Hogwarts Horror Story

di Dejanira
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 1: Fall - Long Way Down ***
Capitolo 2: *** What They Deserved ***
Capitolo 3: *** How To Disappear Completely ***
Capitolo 4: *** Fairy Tales [Part #1 - Beware The Forest] ***
Capitolo 5: *** Fairy Tales [Part #2 - Sinead] ***
Capitolo 6: *** Still Beating ***
Capitolo 7: *** Of Tears And Blood ***
Capitolo 8: *** Make It Right ***
Capitolo 9: *** Magic, Drugs & Rock n’ Roll ***
Capitolo 10: *** Death And All His Friends ***



Capitolo 1
*** Part 1: Fall - Long Way Down ***


The Post-War Students

Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

1.

Long Way Down

 

 

 

“I cattivi hanno sicuramente capito qualcosa che i buoni ignorano.”

(Woody Allen)

 

 

 

 

 

“Non sono stati sufficienti professori a due teste, enormi serpenti per il tubo di scarico, svariate morti e una guerra: in piena ripresa, l’attuale Preside, Minerva McGranitt, Ordine di Merlino, Prima Classe, ha deciso di riaprire le porte di Hogwarts per un nuovo anno nella Scuola di Magia e Stregoneria più famosa della Gran Bretagna. Anche la più prestigiosa, prima degli innumerevoli, incresciosi eventi che l’hanno colpita nell’arco degli ultimi sette anni. La nuova Hogwarts è una scuola diversa da quella che gli studenti più anziani ricorderanno, reduce dai fantasmi della disgrazie che lì hanno avuto luogo per l’intera durata dell’anno appena trascorso. Secondo i dati rilevati dal nostro sondaggio, molte famiglie preferiranno non far tornare i loro figli a Hogwarts, preferendo dare loro un’istruzione presso accademie private che stanno acquisendo sempre maggior prestigio in questi ultimi mesi.

“Sarà un anno difficile” conferma Wilkie Twycross, da poco assunto nella scuola nel ruolo di insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure. “Ma faremo quanto in nostro dovere per dimostrare anche ai genitori più scettici che Hogwarts è perfettamente in grado di tornare agli antichi fasti di un tempo.”

La principale preoccupazione delle famiglie, in realtà, non sembra diretta tanto verso l’effettiva competenza dei docenti, quanto verso alcune componenti del corpo studentesco, al tempo dei fatti dello scorso 2 maggio già maggiorenni, e più volte indagate per sospetta complicità con il regime instaurato dai Mangiamorte.

Tuttavia, Minerva McGranitt è stata irremovibile nella sua decisione. Nell’unica intervista che ci ha rilasciato, la Preside ha detto soltanto:

Hogwarts sarà sempre lì, per darvi il benvenuto a casa”.

 

Rita Skeeter, da “La Gazzetta del Profeta”, 1 settembre 1998

 

***

 

Hermione chiuse il giornale con stizza, gettandolo sul sedile vuoto accanto a lei. Harry e Ron la guardarono preoccupati, dopo essersi scoccati un’occhiata d’intesa. La ragazza poggiò il mento sulla mano e puntò con ostinazione lo sguardo oltre il finestrino, sulla splendida campagna inglese, mentre l’Hogwarts Express emetteva il suo ennesimo fischio.

«Quel piccolo, infetto scarabeo» ringhiò con rabbia. «E’ tempo che facciamo di nuovo due chiacchiere, io e la Skeeter.»

«Beh, non è andata così male, no?» osservò Ron, con scarso entusiasmo, e per nulla partecipe al fastidio dell’amica. «Voglio dire, di solito è più acida. Direi che si è quasi trattenuta.»

«Si vede che il Profeta non ha più tanta voglia di sputare ingiustamente veleno sulla scuola ora che il Ministero è cambiato» disse anche Harry, sporgendosi per prendere il giornale e cominciare a sfogliarlo distrattamente. Non c’era articolo che non fosse anche solo indirettamente collegato con la caduta di Lord Voldemort, con un inserto dedicato ora ai nuovi professori della scuola, ora agli ennesimi Mangiamorte latitanti scovati, ora agli sviluppi riguardo le condanne da destinare ai Mangiamorte catturati durante la Battaglia di Hogwarts. I legali di Lucius Malfoy sembravano star facendo di tutto per vincere la causa.

Il treno ebbe un lieve sobbalzo. Passò il solito carrello dei dolci, ma quell’anno non c’era traccia del consueto nugolo di studenti che lo attorniava per accaparrarsi l’ultima confezione di Api Frizzole; a dirla tutta, sembrava più pieno e fornito degli altri anni, ma nessuno di loro ebbe voglia di mettere qualcosa nello stomaco.

«Forse abbiamo sbagliato a tornare per i M.A.G.O.» sussurrò Ron. Harry si voltò a guardarlo, non sapendo se fosse il caso o meno di ribattere.

«Non dire sciocchezze, Ronald» intervenne subito Hermione. «E’ assolutamente necessario prendere i M.A.G.O., soprattutto se vuoi diventare un Auror.»

«Non sono più sicuro di voler diventare Auror» obiettò lui, un po’ sgarbatamente, ma Hermione non se la prese. Immaginava che quell’osservazione gliel’avessero rivolta in tanti, nelle settimane passate. «George mi aveva chiesto se mi andava di dare una mano al negozio. Avrei dovuto accettare.»

Harry e Hermione si guardarono; la ragazza fece per dire nuovamente qualcosa, ma una volta tanto fu un’occhiata eloquente di Harry a farla desistere dall’intento, il che sembrava strano considerato che era lei, di norma, quella che tratteneva gli altri due dal dire qualcosa di estremamente inopportuno.

Questa volta Hermione tacque. Ron guardò oltre il finestrino senza interesse e Harry riprese a sfogliare il giornale per tenere impegnate le mani e liberarsi di quella conversazione, che non aveva la minima voglia di sostenere. Peccato che Ron non fosse dello stesso avviso.

«Dean e Seamus hanno mollato» continuò infatti, e Harry dovette suo malgrado prestargli attenzione. «E anche Calì. Dei nostri saremo praticamente solo noi tre, più Neville e Lavanda.»

«Sì, beh, penso che ci metteranno in stanza con Jimmy Peakes e Ritchie Coote. Adesso sono al settimo anche loro» borbottò Harry, tirando fuori il primo argomento che gli passò per la testa, giusto per evitare che la discussione degenerasse. Hermione gli diede man forte.

«Sì, infatti» convenne, cercando di risultare entusiasta. «Pensa, saremo in classe con Ginny!»

Sia Ron che Harry le riservarono un’occhiataccia tetra e poco civile. L’uno non faceva i salti di gioia all’idea di doversi sorbire anche a lezione sua sorella, l’altro non gradiva particolarmente l’ipotesi di finire oggetto di battutacce e commenti da parte della sua ex ragazza. Quella della rottura di Harry e Ginny non era una cosa sulla quale Hermione aveva avuto il coraggio di indagare. Harry per sua natura preferiva evitare di prendere certi discorsi con lei, e Ginny non le aveva mai confidato più di tanto ritenendola, nel caso specifico, spudoratamente imparziale. La cosa, tutto sommato, a Hermione andava benissimo così: non le andava di stare in mezzo tra quei due.

«E… ehm» Hermione tossicchiò, cercando di riparare a quanto detto prima. «Saremo anche in classe con Luna. Sarà divertente, no?»

Ron stava giusto per rispondere, dando a Hermione una vaga idea di quanto la cosa lo toccasse, quando un leggero bussare alla porta del loro scompartimento lo fermò.

«Scusate.» Lavanda Brown fece scorrere delicatamente la porta, quasi avesse paura di disturbare causando eccessivo rumore. Sembrava un po’ in imbarazzo e decisamente a disagio, tutti stati d’animo che non le si addicevano per nulla. «Calì e Padma non ci sono e, beh, Seamus e Dean neanche, quindi, insomma, mi chiedevo se…»

Era decisamente in imbarazzo. Guardava soprattutto Hermione, come se attendesse da lei il permesso.

Colpita e a sua volta anche un po’ a disagio, Hermione si affrettò a farsi più vicina al finestrino per farle posto.

«Sì, sì, certo, ovviamente. Entra.»

Lavanda sorrise grata e trascinò dentro il suo baule. Poi, non senza un certo ulteriore imbarazzo da parte di Lavanda stessa, Ron si alzò per aiutarla a posare il baule sul relativo scomparto in alto, ed entrambi si sedettero.

Rimasero in silenzio. Harry, che riteneva poco carino continuare a usare la scusa del giornale per tenersi impegnato, guardò in direzione di Hermione, seduta accanto a Lavanda, come se spettasse a lei trovare un nuovo argomento di conversazione. Di solito, quella che li toglieva dalle situazioni scomode era lei.

«Co-come stai, Lavanda?» balbettò Hermione, ma poi prese sicurezza. Ron la guardò, il suo viso non lasciava trapelare alcuna emozione. «Intendo, sei guarita, no? Cioè, va meglio, spero.»

Harry pensò che, se mai Hermione aveva avuto quello straordinario talento per trovare la frase giusta al momento giusto, l’aveva decisamente perso.

In effetti all’inizio nessuno aveva prestato attenzione al fatto che sopra il maglione grigio della divisa, al posto della cravatta con i colori di Grifondoro, Lavanda portasse una pesante sciarpa di lana blu, un po’ eccessiva per stare dentro. Solo guardando bene si poteva intravedere l’inizio di una cicatrice bianca che partiva dal viso, più o meno all’altezza dell’angolo delle labbra, e spariva giù, lungo il collo, dove la sciarpa non lasciava intuire alcunché.

«Oh, ehm, meglio, grazie» balbettò la ragazza. Non si capiva se fosse più a disagio per il fatto di essere a stretto contatto con il suo ex, con la ragazza per la quale lei e il suo ex si erano presumibilmente lasciati o per quella lunga cicatrice che la faceva morire di vergogna e la faceva scoppiare a piangere ogni volta che si guardava allo specchio e realizzava che avrebbe anche potuto gettare via le magliette sottili e un po’ scollate che mettevano in bella mostra il petto e il suo collo alto.

Questo sembrò riscuotere un poco Ron dal suo totale disinteresse, se non altro almeno per gentilezza.

Lavanda ci ripensò e aggiunse, voltandosi unicamente verso Hermione e affondando ancora di più il viso nella sciarpa: «Anzi, Hermione, io non… non credo di averti mai ringraziato come si deve per avermi salvato.» Aveva negli occhi chiari qualcosa che Hermione non le riconosceva.

«Non devi ringraziarmi, io l’ho fatto… insomma, non ce n’è bisogno» si affrettò ad aggiungere lei.

«Greyback avrebbe potuto fare molto di peggio, se tu non l’avessi Schiantato» continuò la ragazza. «Quindi grazie.»

Hermione annuì e sorrise. Harry, non appena incrociò lo sguardo di Lavanda, temendo che lei si fosse accorta che le stava osservando il viso, tornò velocemente al suo giornale. Ron, dal suo canto, ripeté nella sua testa che sarebbe stato decisamente meglio accettare l’offerta di George, e che le cicatrici di Lavanda Brown erano solo la prima delle tante sgradevoli novità che avrebbero trovato a Hogwarts quell’anno.

Un improvviso vociare proveniente dal corridoio del treno sollevò Hermione dall’ingrato compito di trovare qualcos’altro da dire. Subito si alzò in piedi, mentre fuori continuava il trambusto, approfittando al volo dell’occasione.

«Siamo Caposcuola, dici che dovremmo…?» cominciò, guardando Ron, ma lui si infossò ancora di più sul suo posto, scivolando di poco sullo schienale, le braccia conserte.

«Saranno quelli del primo che fanno a botte come ogni anno» borbottò atono, chiarendo che di doveri da Caposcuola almeno per il momento non voleva saperne.

«Bene» disse allora Hermione, guardando poi verso Lavanda e Harry, che la guardava implorante. «Io vado, magari è il caso di dare un’occhiata.»

Non diede a nessuno il tempo di ribattere e sgusciò via, chiudendosi la porta dello scompartimento alle spalle. Guardò verso un estremo e l’altro del corridoio, individuando alla sua sinistra un gruppetto di cinque o sei studenti. Le bastò avvicinarsi un poco per riconoscere le voci.

«Sta’ alla larga da me, e non provare più ad avvicinarti!»

«Tu non provare più ad avvicinarmi, Mezzosangue!»

Il resto furono indignate esclamazioni femminili e rumore di pugni. Hermione si fece largo tra gli studenti, trovando Draco Malfoy e Justin Finch-Fletchley, una coppia alquanto improbabile, che negli anni passati raramente si era parlata, figurarsi fare a botte.

«Che accidenti succede?» chiese la Grifondoro, cercando di vedere oltre la spalla di una ragazza che solo dopo riconobbe come Susan Bones

«Justin ha dato una spallata a Malfoy involontariamente, credo, lui gli ha urlato contro, lo ha chiamato Mezzosangue e il resto, beh, lo vedi» sintetizzò in poche parole la Tassorosso.

Zacharias Smith era intervenuto cercando di trattenere il compagno,ma non senza approfittare della confusione per cercare di lanciare una fattura contro Malfoy, mentre Anthony Goldstein, Caposcuola dei Corvonero, cercava di fermare Draco.

Quando qualcuno – non si capì esattamente chi – lanciò una Fattura Orcovolante, Susan, Anthony e Zacharias si fecero istintivamente di lato, per evitare di essere presi in pieno. Hermione la schivò a sua volta e quella andò a centrare un pivello biondo e con gli occhiali che non poteva che essere del primo, e che ricevette così il suo personalissimo benvenuto a Hogwarts. Non senza uno sbuffo scocciato, Anthony si raddrizzò gli occhiali sul naso e andò ad aiutare il ragazzino ad alzarsi.

«Si può sapere perché devi sempre creare disordini, Malfoy?» si intromise Hermione, come le veniva ormai naturale fare dopo sette anni. Anzi, quasi le mancava. Si affiancò a Justin e fronteggiò Malfoy.

Draco la aggredì di rimando. «Si può sapere perché sei sempre in mezzo ai piedi, piccola sudicia Mezzosangue?»

«Non osare…» si fece di nuovo avanti Zacharias Smith, puntando la bacchetta contro il Serpeverde e mostrando un interesse verso la difesa di Hermione che non aveva mai dimostrato ma che, evidentemente, gli tornava comodo per avere un pretesto per prendersela con Draco Malfoy.

«Non credi che sia poco saggio da parte di voi Mangiamorte additare ancora la gente in questo modo, Malfoy?»

La bacchetta di Zacharias arrivò a pochi centimetri dal petto del Serpeverde, prima che lui rispondesse minacciando a sua volta Smith.

In piedi sulla soglia dello scompartimento più vicino, con uno sguardo indecifrabile, Pansy Parkinson sembrava indecisa sul da farsi.

«Draco, lascia perdere» lo pregò, ma lui non sembrava neanche essersi accorto che lei era lì.

«Prova a ripetere quello che hai detto» lo minacciò.

Zacharias sorrise beffardo. «Puoi scommetterci che lo farò, non ho nessun problema a darti di nuovo del Mangiamorte.»

Dietro di loro, Anthony finì di aiutare il ragazzino e tornò vicino a Susan.

«Tanto» riprese Smith, sempre più sicuro di sé, «non mi risulta che ci siano Tiger e Goyle a farti da spalla quest’anno. Sbaglio?»

Il sogghigno di Zacharias si fece più largo. Poi accadde qualcosa di davvero insolito, perché Goyle, che nessuno aveva notato fino ad allora (il che era un fatto curioso considerata la sua stazza da orso), tirò fuori la bacchetta e si mise tra Smith e Malfoy. Non disse nulla, aveva solo l’espressione più arrabbiata che chiunque gli avesse mai visto, o forse era solo l’impressione data dal vederlo reagire di sua spontanea volontà e non sotto ordine di Draco; grugnì qualcosa di incomprensibile e la punta della sua bacchetta si illuminò di rosso.

«Piantatela» intimò Hermione, questa volta guardando sia i due Serpeverde che Zacharias.

«Stu…» cominciò Goyle, ma Anthony fu più veloce e lo disarmò prima che potesse Schiantare Smith.

«Cosa diavolo state combinando?»

Malfoy, Goyle, Justin, Zacharias, Susan, Hermione e Anthony si voltarono quasi in sincrono alle loro spalle.

«Dovete farvi togliere dei punti ancora prima di mettere piede nel castello? Tutti ai vostri scompartimenti, forza!»

Era Wilkie Twycross, era il nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure ed era anche una bella scocciatura. Aveva già impartito loro lezioni di Materializzazione al sesto anno e aveva una memoria di ferro, particolarmente abile nel ricollegare le facce ai nomi e i nomi alle Case. L’unica cosa buona del cambiare professore ogni anno era che i primi tempi il nuovo sostituto non conosceva bene gli studenti e di solito ci pensava un poco prima di togliere punti a qualcuno, ora invece…

«Dai, andiamo» mormorò Anthony, prendendo per un braccio Susan e per l’altro Zacharias, dopo che Twycross si fu dileguato.

«Ci vediamo a scuola» disse Susan a Hermione.

«A dopo» la salutò anche Justin, seguendo gli altri tre.

Hermione, Malfoy e Goyle rimasero alcuni istanti a fronteggiarsi. Goyle fu il primo a bofonchiare qualcosa e a sparire insieme al flusso di ragazzini curiosi che si allontanavano ora che l’attrazione era finita. Draco si limitò a lanciare qualche altra occhiata in tralice alla Granger, giusto per chiarezza.

«Draco, vieni» lo chiamò ancora Pansy, sempre in piedi in disparte. Hermione pensò che avesse un’aria tremendamente spossata, per essere la Parkinson.

Malfoy questa volta non poté non accorgersi di lei e le riservò solo un lungo sguardo prima di darle le spalle, ignorando la sua mano protesa. Poi superò la Granger con una mezza spallata (cattiva abitudine, a quanto pareva) e cominciò a incamminarsi.

«Penso che me ne andrò da un’altra parte» borbottò, poi prese le sue cose che aveva poggiato proprio fuori lo scompartimento di Pansy e si incamminò verso il lato opposto del corridoio. Lei gli corse dietro, fulminando Hermione con un’occhiata truce, come se la poca considerazione di Malfoy nei suoi confronti fosse colpa sua, e lo seguì dicendogli qualcosa che da quella distanza la Grifondoro non poté sentire, fino a quando Draco non la allontanò con qualche parola poco carina. Lei dovette fermarsi e accontentarsi di guardarlo da lontano.

Hermione tornò da Harry, Ron e Lavanda. Sembravano immersi in un’accesa conversazione, perché Lavanda aveva recuperato la parlantina stucchevole e il tono animato che la caratterizzavano.

«…e anche Hannah mi ha detto che Ernie MacMillan ha deciso di non tornare, e per quel che ne so anche la Turpin e Corner di Corvonero non ci saranno.»

Sembrava uno di quei bollettini di guerra alla radio. Hermione prese posto in silenzio.

«Come mai avete deciso di tornare, voi?» chiese Ron, mostrando per la prima volta da quando erano saliti sul treno una vaga forma d’interesse. «Io, Harry e Hermione non abbiamo frequentato l’anno scorso, ma voi…»

«All’inizio non volevano farci sostenere i M.A.G.O.» spiegò immediatamente Lavanda. «La scuola stava praticamente per chiudere, e seriamente, questa volta, erano successi troppi fatti brutti. Poi alcuni si sono ribellati, alla fine ci hanno concesso la possibilità di fare gli esami, ma non tutti abbiamo accettato l’idea. Superare un M.A.G.O. in Difesa o in Babbanologia sarebbe stato praticamente impossibile, senza contare tutti quelli che avevano perso qualcuno durante la Battaglia e non avevano voglia di tornare sui libri. Io personalmente sono stata un po’ male i primi tempi…» sospirò, e dicendo questo si sfiorò in un gesto quasi automatico la cicatrice bianca. Smise subito non appena si accorse che gli altri la stavano osservando.

«Avevamo bisogno di tornare a Hogwarts» concluse Lavanda. «Anche solo per sapere che ricominciare daccapo era possibile.»

Seguirono alcuni istanti di silenzio carichi di pensieri e non più d’imbarazzo.

Harry guardò gli altri tre, infine si rivolse a Hermione.

«Che succedeva fuori?» domandò casualmente.

Hermione fece un gesto sbrigativo con la mano. «Malfoy ce l’aveva con Justin Finch-Fletchley e così hanno cominciato a lanciarsi fatture Orcovolanti» semplificò. «Ho incontrato Wilkie Twycross» aggiunse poi.

Lavanda sorrise. «Che tipo Twycross, vero? Secondo me è bravo.»

«Speriamo che duri più degli altri» mormorò lugubremente Harry.

«Come sta Malfoy, a proposito, eh?» intervenne di punto in bianco Ron, aggressivo.

Hermione tentennò. «Come sempre, credo. Non più antipatico del solito.»

«Beh, io spero che stia male, molto male» sibilò Ron. «Vile bastardo doppiogiochista.»

«Ha passato un brutto periodo, l’anno scorso» ricordò sbrigativamente Lavanda. Aveva in testa l’immagine di un diciassettenne pallido e schivo, ben lontano dal Malfoy esibizionista e arrogante a cui erano abituati.

«Sì, anche noi» replicò Ron. «Non avrà mai la mia compassione, quello lì.»

Né Hermione né Harry ritennero opportuno contraddirlo in alcun modo. La morte di Fred gli aveva lasciato parecchi strascichi e una profonda amarezza. Sembrava aver perso la sua battuta facile e tendeva a giudicare tutti con maggiore asprezza.

Ginny l’aveva presa in maniera diversa. Non parlava mai di quello che era successo, evitava come la peste l’argomento e si era tuffata a capofitto nel suo nuovo, luccicante ruolo di spensierata adolescente pettegola. Si circondava di amiche altrettanto frivole e cinguettanti e sembrava intenzionata a concludere la sua carriera scolastica nella maniera quanto più normale e ordinaria possibile. Aveva chiuso con Harry, non vedeva più con la stessa frequenza Luna e Neville e si era unita al solidissimo e sfrontato duo di Demelza Robins e Vicky Frobisher. D’un tratto sembravano diventate inseparabili.

Il treno ebbe un altro sobbalzo. Hermione si affacciò dal finestrino.

«Conviene cominciare a prepararsi» sospirò. «Siamo quasi arrivati.»

 

***

 

Assistere al discorso di inizio anno, alla cerimonia dello Smistamento e al banchetto di benvenuto senza la figura placida e imponente di Albus Silente al centro del tavolo degli insegnanti era una cosa alla quale Harry, Ron e Hermione non erano abituati. Gli altri sembravano non farci troppo caso, probabilmente pensando che vedere la McGranitt, seduta a quel posto, invece che Piton, era una cosa alla quale si poteva fare l’occhio più facilmente.

Neville sembrava tornato ad essere quello di sempre, solo un po’ più felice e con l’unica differenza che adesso aveva un discreto gruppetto di ragazzi (soprattutto ragazzine, notò stranito Harry) che gli gravitavano attorno e gli facevano continuamente domande.

Non era stato un buon inizio anno, a detta di Harry. Il discorso del Cappello era il più ambiguo che sentisse da anni, e la McGranitt sembrava parecchio provata. Aveva presentato i nuovi insegnanti di Difesa, Babbanologia e Trasfigurazione e annunciato che il ruolo di Vicepreside era passato a Lumacorno, nuovo direttore della Casa di Serpeverde.

«Si preannuncia un anno orribile» borbottò Ron, guardando il suo roast beef con scarso appetito; il che, considerato che si trattava di Ron Weasley, era a dir poco assurdo.

Harry, Hermione, Ron, Neville e Lavanda si erano radunati in un angolo che speravano fosse un po’ più isolato, salvo capire che nessun posto rimaneva isolato a lungo se c’era Harry Potter di mezzo. Nella confusione, riuscirono a individuare Luna, seduta al tavolo di Corvonero, che li salutò agitando energicamente la mano e facendo tintinnare i suoi orecchini di ravanelli. Ginny Weasley, Vicky Frobisher e Demelza Robins ridacchiavano animatamente parecchi posti più in là di Harry.

L’unico tavolo che non sembrava particolarmente rumoroso era quello di Serpeverde. Le matricole e gli studenti più giovani sembravano forse un po’ più rilassati, ma Harry individuò il vecchio gruppo di Malfoy consumare la cena immersi in una conversazione che non doveva essere molto interessante, a giudicare dalle facce tetre e dai toni bassi. Avevano tutti un’aria molto stanca, da Malfoy alla Parkinson a Nott e la Greengrass…

Fu allora che Harry si accorse di un fatto che gli parve curioso.

«I Serpeverde sono tornati quasi tutti» osservò. Hermione, al suo lato, gettò un rapido sguardo al tavolo per verificare. «A parte Tiger che, beh, ovviamente… insomma, loro sono tornati tutti. Non è strano?»

Ron lo guardò come a dire che la cosa non gli importava minimamente, al massimo lo indisponeva ancora di più. Lavanda si strinse nelle spalle.

«Beh» fu Neville a rispondere, emergendo dall’ammasso di matricole in adorazione. «Loro sono quelli che ne hanno bisogno più di tutti, no? Insomma, non credo possano permettersi di non prendere dei M.A.G.O. decenti, e anche con questi non ci sarà tanta gente là fuori che faccia i salti di gioia al pensiero di dargli un lavoro al Ministero, per esempio» spiegò. «Magari gente come Zabini non ha mai fatto male a nessuno, ma Malfoy e Goyle sono finiti al Wizengamot, e credo che anche Nott abbia avuto qualche problema.»

Ron sbuffò, abbandonando completamente la forchetta sul suo piatto di carne intatto.

«E devono lavorare per forza al Ministero?» sbottò seccato. «Non si possono dare ai servizi sociali? La li prenderebbero di sicuro anche senza il diploma.»

Hermione roteò gli occhi. Comprendeva la rabbia di Ron, ma ultimamente stava diventando sempre più acido, non c’era una sua sola frase che non fosse permeata da cima a fondo di cattiveria e cinismo.

«Ambizione e arrivismo, ricordi?» lo scimmiottò lei. «Ce lo vedi un Serpeverde ai servizi sociali?»

Ron le scoccò un’occhiata offesa e vagamente polemica, allontanando il piatto da sé con un gesto brusco e mettendosi a braccia conserte.

«Questo roast beef fa schifo» si lamentò.

Harry li ignorò. Guardò verso Ginny, che si copriva la bocca con la mano mentre rideva piuttosto rumorosamente a una battuta di Vicky. Lei intercettò il suo sguardo, ma fece tranquillamente finta di nulla e prese un sorso di succo di zucca, mentre tornava a chiacchierare con Demelza e la Frobisher.

Luna se la cavava bene. A giudicare dall’entusiasmo con cui sembrava parlare e gesticolare, stava intrattenendo i suoi compagni di Casa con una conferenza su qualche assurda creatura inesistente. Anthony Goldstein, Terry Steeval e qualche altro Corvonero cercavano di fingere un certo interesse, forse solo per non essere scortesi, ma tutto sommato era un bene che avessero smesso, se non proprio di considerarla un po’ folle (quello era oggettivamente impossibile), quantomeno di nascondere le sue cose e disseminarle in giro.

Tornò a guardare i Serpeverde. Daphne Greengrass sembrava l’unica intenta a fare un minimo di conversazione, anche se a giudicare dalla faccia un po’ disgustata si stava solo limitando a lamentarsi ingiustamente del cibo, proprio come Ron. Qualunque altro pensiero venne cancellato dalla mente di Harry all’istante, perché all’improvviso Draco Malfoy si alzò e se ne andò in silenzio, proprio a metà banchetto. Qualcuno si girò a guardarlo, giusto perché era Draco Malfoy e perché non capitava spesso che qualcuno abbandonasse la Sala la prima sera così presto. Sparì oltre la porta e questa volta neanche Pansy gli andò dietro.

Harry tornò a girarsi verso i suoi compagni.

«Malfoy se n’è andato» disse. «Malfoy se n’è appena andato, così, in piena serata. E’ strano, molto strano…»

«Starà andando a farsi un paio d’ore di sonno prima di far resuscitare Voldemort, liberare i Mangiamorte da Azkaban e ucciderci tutti» ironizzò Hermione, infilando la sua forchetta nel piatto con una certa energia e guardando Harry con aria saccente.

«Infatti, vedi di non tornare a quando eri innamorato di lui e lo pedinavi ovunque» la appoggiò anche Ron, sarcastico. «Per Godric, gli stavi più addosso tu che la Parkinson.»

«E avevo ragione, Draco Malfoy era un Mangiamorte» ribatté Harry, guardando scocciato entrambi.

«Fa’ come vuoi, basta che non mi tartassi giorno e notte il cervello con Malfoy come al sesto anno» replicò Ron. «Anzi, sai cosa ti dico, ha fatto proprio bene Malfoy ad andarsene, avrei anche io voglia di levare le tende e andarmene a dormire.»

«Ron, per favore…»

«Ron per favore proprio niente, Hermione!» sbottò lui. «Li vedi, sono ancora tutti là, Malfoy, Goyle, la Parkinson, come niente fosse.»

La ragazza sussultò. «Beh, cosa ti aspettavi, scusa?»

«Che la pagassero» chiarì lui. Harry e Neville ritennero saggio abbassare gli occhi sul piatto e tacere. «Invece se ne stanno qui a rimpinzarsi di cibo, e da quel che mi ha detto mio padre Lucius Malfoy potrebbe anche venir dichiarato innocente.»

«Ronald, abbassa la voce, per piacere» gli intimò Hermione, vedendo che i fan di Neville avevano rizzato le orecchie e cominciato a parlottare tra di loro.

«Ha messo l’Horcrux nel calderone di mia sorella!» le ricordò aspramente, ma aveva effettivamente abbassato il tono di voce, perché l’ultima frase fu quasi un bisbiglio. Neville gli passò un bicchiere d’acqua che Ron accettò senza troppi complimenti, mandandolo giù d’un sorso. Sembrò almeno in parte calmarsi.

«Certo, finora non è stato espresso alcun giudizio, ma evidentemente Malfoy ha ancora qualcuno dei suoi amichetti Mangiamorte al Ministero.»

«Non c’è bisogno di essere Mangiamorte per farsi corrompere» gli fece notare Hermione.

«I Serpeverde non mi fanno pena lo stesso, nessuno di loro» rispose Ron, perentorio, e la conversazione a riguardo finì lì.

 

***

 

Hermione e Lavanda avevano una nuova camera.

In tutta onestà, Hermione non aveva mai gradito particolarmente l’idea di condividere la sua stanza nel Dormitorio con Calì Patil e Lavanda Brown. Trovava che fossero due ragazzine superficiali, rumorose, indisponenti e tremendamente frivole. Non le piaceva Calì, perché considerava la Cooman la sua luce guida, e non faceva che biasimare la Grifondoro con una sorta di compassione mista a presunzione ogni volta che le capitava, perché Hermione non possedeva l’Occhio Interiore, presa com’era dalla futile materialità dei libri e dei risultati scolastici, che le inaridivano il cervello precludendole un universo di astrazioni pure e metafisica che l’avrebbero portata a un passo dal conoscere il vero senso della vita. Almeno, questo era quello che credeva Calì, o quello che Hermione credeva di Calì.

Lavanda era semplicemente l’emblema della ragazza che Hermione detestava con tutta se stessa (e che forse, forse, invidiava un pochino, ma questo non lo scriveva neanche nel suo diario personale).

Lavanda era bionda, zuccherosa e carina, pettegola all’inverosimile, popolare e vomitevolmente romantica. Si convinceva di aver trovato l’amore un giorno sì e l’altro pure, e la sera Hermione non poteva anticipare i compiti della settimana successiva in santa pace perché Lavanda era troppo impegnata a sospirare, piagnucolare, ridacchiare o esultare con Calì a seconda che la sua ultima fissazione fosse un bello e impossibile, uno stronzo, un sempliciotto o Ronald Weasley.

Quel che Harry e Ron non avevano mai capito era che esisteva una ragione, se Hermione passava tanto di quel tempo in biblioteca.

Così Hermione, per circa sei anni, aveva dovuto sorbirsi, nell’ordine, monologhi e filippiche su Seamus Finnigan, Anthony Goldstein, Roger Davies, Adrian Pucey, Viktor Krum (sì, proprio Viktor, quando Lavanda e Calì ancora non sapevano che sarebbe andato con lei al Ballo del Ceppo), Draco Malfoy (sì, proprio quel Draco Malfoy), Harry Potter (perfino lui, sì), Zacharias Smith e infine Ron.

Calì e Lavanda non erano state delle buone compagne di stanza, tanto meno delle amiche.

Adesso, in quel settimo anno ritardato, Hermione e Lavanda si trovavano ad essere trasferite in una camera più ampia e spaziosa, perché l’avrebbero occupata in cinque, insieme a Vicky Frobisher, Demelza Robins e Ginny Weasley.

Una volta Hermione sarebbe stata felice di condividere la stanza con Ginny. Ma adesso, dopo la fine della guerra e la morte di Fred, ora che Ginny si trovava decisamente in imbarazzo quando c’era Hermione nei paraggi, per paura che lei potesse porle qualche scomodo quesito su Harry o Ron, tendeva ad evitarla.

Vicky e Demelza rispondevano abbastanza alle sue esigenze di ragazze normalmente stereotipate (popolare e modaiola l’una, sportiva e simpatica l’altra) e lei si era unita quasi senza esitazioni a quelle sue compagne di classe con cui in precedenza non aveva mai legato molto.

Per questo ed altri motivi, ritrovarsi sulla soglia di quella stanza, con Grattastinchi in braccio e Lavanda Brown al fianco, di fronte a un’amica con la quale improvvisamente si ritrovava a non avere più nulla in comune e ad altre due ragazze più piccole che promettevano di farle scoppiare il cervello con considerazioni sul Quidditch o sulla nuova collezione autunno/inverno non le sembrava esattamente il modo migliore di cominciare l’anno.

«Ciao!» esclamò Vicky, in direzione delle due nuove arrivate, parandosi di fronte a loro e tendendo la mano. Era magra e bionda, a Hermione risultò abbastanza indifferente. «Io sono Victoria Frobisher, Vicky, ci siamo viste altre volte, di certo vi ricorderete, sono vicepresidente del Club di Incantesimi e frequento anche quello di Scacchi, Pozioni e sono anche nel Circolo dei lettori. Sono sicura che ci troveremo bene!» terminò con un gran sorriso.

Hermione e Lavanda, in un raro, praticamente epico, momento di complicità, si guardarono.

Alle spalle di Victoria, Demelza agitava garbatamente la mano, in segno di saluto, mentre tirava i suoi vestiti fuori dal baule e li poggiava sul letto, dove un grosso persiano bianco teneva gli occhi puntati su Grattastinchi. Nel letto accanto, Ginny sorrideva appena.

Sarebbe stato un lungo anno, decisamente.

 

***

 

 

N/A

Giusto qualche piccolo appunto.

Questa long fiction tiene conto di tutti i fatti avvenuti nel settimo libro, ad eccezione chiaramente dell’epilogo. Questo perché, diversamente da come sono solita fare con le mie storie, mi piacerebbe scrivere questa volta una fanfiction quanto più coerente possibile con l’universo della Rowling, cercando di inserirvi in maniera credibile la ship principale (Draco/Hermione, a scanso di equivoci). Almeno, l’intento è quello.

Ho immaginato che anche Harry e Ron siano tornati a Hogwarts con Hermione. Ho immaginato che la scuola che abbiano trovato al loro ritorno non sia stata quella che ricordavano loro, perché neanche una vittoria può cancellare in un soffio i disastri e le morti di una guerra, perciò ho pensato che, pur con la sconfitta di Voldemort, per Hogwarts non sia stato facile risorgere e tornare immediatamente a un normale ritmo scolastico, come se nulla fosse successo.

Il titolo della storia è un chiaro riferimento al telefilm ‘American Horror Story’. Naturalmente, la trama di questa storia non avrà nulla a che vedere con le puntate della serie TV, per cui niente tutine in lattice e bislacche venute dell’Anticristo, solo un po’ di sano sangue e una leggera piega horror che vorrei mantenere come filo conduttore della storia, sperando di riuscirci perché non era assolutamente questa la piega che avevo previsto per la fanfiction.

Ho scelto Wilkie Twycross come nuovo insegnate di Difesa perché, laddove non è strettamente necessario, preferisco utilizzare prevalentemente personaggi canon. Per cui per questo ruolo ho scelto l’istruttore che ha dato lezioni di Materializzazione a Harry e agli altri nel Principe Mezzosangue, visto che, tra tutti i personaggi secondari adulti, era quello che più si poteva prestare al ruolo, considerati i suoi precedenti come insegnante.

Infine, spero che non risulti troppo fuori dal personaggio il comportamento di Ginny. E’ un personaggio che non ho mai gradito molto, ma non volendolo semplicemente accantonare e mettere da parte, cosa impossibile considerata l’importanza che ha per Harry, ho pensato che, dopo anni di morti e sofferenze, conclusa la guerra un’adolescente potesse desiderare la vita normale e serena che si merita, lontana dal dolore che ha colpito in maniera particolare la famiglia Weasley in sette anni. Ma è un punto che approfondirò anche più avanti.

Draco e Hermione costituiranno ovviamente la ship principale, ma vorrei portare avanti la loro relazione in maniera naturale e graduale, senza improvvisi sguardi che sbrilluccicano d’amore. Tuttavia, i Grifondoro e i Serpeverde non saranno i soli protagonisti: anche i membri delle altre Case avranno il loro giusto spazio in questa storia, per cui non stupitevi se i nomi di Goldstein, di Smith, della Bones e di altri appariranno di frequente.

Mi sembra di aver detto tutto. Grazie se qualcuno è arrivato a leggere fin qui.

Dejanira.

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Capitolo 2
*** What They Deserved ***


The Post-War Students

Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

2.

What They Deserved

 

 

 

 

“Non hai quello che meriti. Hai quello che non puoi evitare.”

(Ralph Waldo Emerson)

 

 

 

Doveva essere una coalizione. La coalizione stracciapalle, per l’esattezza, di cui Blaise Zabini era leader indiscusso.

Draco non si era mai fatto andare molto a genio Blaise Zabini. Aveva imparato a sopportarlo, a suo modo, soprattutto dal quinto anno in poi, dopo che Theodore si era chiuso in un ostinato isolamento forzato. Non che Nott avesse mai sentito il bisogno di unirsi a qualche gruppo o di scorazzare felice insieme a Malfoy, Tiger e Goyle ad appendere i piccoli Grifondoro a testa in giù nei bagni delle femmine, però era diverso prima. Poi, come al solito, Potter e il suo spropositato culo avevano rovinato tutto, con quell’enorme party devasto all’Ufficio Misteri al quinto anno, con un danno complessivo alle strutture ammontante a parecchi milioni di galeoni. Ovviamente, a nessuno era venuto in mente di punire lui e i suoi miracolati amici per l’enorme, irreparabile e fottuto casino che avevano causato al Ministero della Magia, no. A San Potter patrono degli Sfregiati avrebbero dato pure l’Ordine di Merlino, se solo allora fosse stato maggiorenne.

Comunque, un po’ fastidioso Blaise lo era sempre stato. Aveva smanie da raffinato principino mezzo italiano e mezzo francese, ed era sempre stato un ragazzino viziato, arrogante ed esibizionista.

Davvero Draco non si capacitava di come si potesse sopportarlo.

Se a quindici anni Blaise si limitava a incantare le ragazze promettendo loro romantiche estati nella sua tenuta estiva a Venezia o decantando le gioie delle sue nottate parigine all’insegna del fascino oscuro e bohemien della decadenza, a diciassette Zabini poteva ben vantarsi di essere l’unico, esaltatissimo rampollo di una famiglia solida, ferma e incorruttibile, che mai si era lasciata trascinare dalle correnti fetide e perverse di quel bifolco terrorista inglese del Signore Oscuro.

Non in questi termini, naturalmente, Blaise era pur sempre un bisbetico couard.

Sorvolando angelicamente sul fatto che individuare per Zabini un solido, stabile o anche solo non adultero nucleo famigliare era una cosa talmente miracolosa che neanche Harry Potter in persona ci sarebbe riuscito (Blaise aveva all’attivo tre sorellastre e un fratellastro, oltre che un’interminabile scia di patrigni che si erano susseguiti praticamente all’alternarsi delle stagioni), Draco nutriva ugualmente seri dubbi sul fatto che i suoi non avessero beneficiato neanche un pochino del regime dei Mangiamorte.

Qualunque fosse la verità, restava il fatto che di fronte alla Corte del Wizengamot c’era finito Draco, non di certo Blaise. Di questo Zabini andava spudoratamente fiero.

Era praticamente l’unico Serpeverde del settimo a non essere additato come Mangiamorte. Una cosa che Draco non trovava per nulla equa, considerato che anche Daphne e Pansy erano state trascinate nell’infernale girone dei condannati di guerra, pur non avendo fatto nulla se non l’aver accettato con l’onore che si competeva loro l’immensa gloria di essere state scelte come allieve di Salazar. 

In parole più povere di un Weasley, ormai l’equazione imperante, che andava per la maggiore nel castello, era Serpeverde uguale Mangiamorte. Ogni tanto a qualcuno passava per la testa di ricordare quale fosse la provenienza del compianto Severus Piton, ma erano tanti quanti quelli che sottolineavano che il vecchio Codaliscia fosse stato un piccolo e paffuto Grifondoro. Praticamente una minoranza ghettizzata.

In più adesso ci si mettevano pure quei Tassorosso immondi, a cominciare da quello sporco Mezzosangue di Finch-Fletchley, per culminare nella Grifondoro paladina dei Mezzosangue per eccellenza, Lady Granger da Perfeziolandia.

Senza contare Re Weasley, fido destriero di Potter.

Chissà come se la passavano in quella loro altissima Corte dei Miracolati. Probabilmente avevano eretto una statua in platino a Potty, acceso incensi per la Granger e fatto dormire Weasley sugli allori. Un letto sicuramente più comodo di quello che il pezzente poteva vantare nella sua casa dall’evocativo nome “La Tana”. Una cosa, doveva ammettere, non mancava ai Weasley, ed era la coerenza.

Ma, tornando alla coalizzata leadership di Blaise, c’era stato un momento nel banchetto d’inizio anno in cui Draco aveva ritenuto provvidenziale allontanarsi da quella manica di gente insulsa, se non altro per la sua sanità mentale. Pansy aveva cercato di fermarlo, come al solito. Theodore non aveva detto nulla e Blaise l’aveva guardato, solo per un momento, con aria di sfida, mentre Daphne se ne stava sempre sulle sue inveendo contro qualche entità malvagia a caso.

In fondo, saltare quel palloso banchetto, presieduto da un’altrettanto pallosa Frigida McGranitt, non gli dispiaceva così tanto.

Camminò speditamente per i corridoi, cercando di evitare Gazza, la gatta pazza, Pix e rogne generiche, col preciso intento di gettarsi sotto le lenzuola e possibilmente prendere sonno prima che Goyle, Theodore o Blaise potessero importunarlo in alcun modo con le loro chiacchiere. Non doveva essere difficile, del resto ormai avevano un letto vuoto in più nella loro stanza, bastava interporre un materasso di distanza tra lui e le loro chiacchiere e tutti si sarebbero addormentati felici e contenti.

Si diresse verso le scale e le scese di fretta, prima che a quelle venisse la bella idea di cambiare, e nel giro di pochi minuti fu nei sotterranei del castello.

Borbottò la parola d’ordine (“Requiem”; chi l’aveva scelta aveva un pessimo senso dell’umorismo) e si infilò nella Sala Comune, completamente deserta.

Trovava quella desolazione rassicurante. Entrando, accarezzò i divani in pelle, e fece in modo da passare di fronte al camino dalle fiamme verdi di fronte al quale si era seduto tante volte, osservando la sciocca ragazzina di turno che scriveva per lui il tema di Incantesimi.

Salì i pochi gradini che portavano al Dormitorio maschile, togliendosi il mantello e gettandoselo su una spalla. In poche falcate veloci raggiunse la porta della stanza che occupava da ormai sette anni, entrò, si tolse la divisa, si gettò sotto le coperte e si addormentò.

Almeno, questo era quello che avrebbe voluto fare, e che avrebbe sicuramente fatto se non fosse stato per quella piccola sorpresa che trovò ad attenderlo.

Quello che successe infatti fu che Draco aprì di scatto la porta, chiudendosela con un pesante tonfo alle spalle, fece per buttare il mantello sul letto quando un urlo lo bloccò, facendolo sobbalzare.

«Chi cazzo sei tu?»

Sì, perché in piedi accanto al suo letto c’era un ragazzo dai ricciuti capelli neri che non appena Malfoy era entrato nella stanza aveva lanciato un grido tirandosi il lenzuolo addosso per coprirsi, come avrebbe potuto fare una ragazzina scovata dal fratello mentre usciva nuda dalla doccia.

Con l’unica differenza che quel ragazzo era vestito di tutto punto e che Malfoy, grazie a Salazar, era figlio unico.

«Dico, tua madre non ti ha insegnato a bussare?» ebbe pure il coraggio di lamentarsi quello, rimettendo il lenzuolo al suo posto sul letto (“il mio lenzuolo sul mio letto”, pensò inorridito Draco) e dandosi una sistemata ai capelli.

Draco era a dir poco indignato.

«Ma chi diavolo sei e cosa ci fai in camera mia? Sgomberare, muoviti!» tuonò, schiaffeggiando l’aria come se dovesse scacciare una mosca molesta.

«Si dà il caso, caro il mio coinquilino, che da circa più o meno quasi OGGI questa sia anche la mia stanza» sottolineò mellifluamente il ragazzo, accompagnando le sue blasfemie con un gesto stizzito e puntiglioso della mano.

Malfoy era così allibito che il mantello gli cadde per terra e dovette raccoglierlo e metterlo sul letto. «Prego?» disse, sbiancando.

Il ragazzo assunse un’aria impettita e si tirò con entrambe le mani gli estremi della felpa, un gesto che avrebbe anche potuto suonare d’effetto se solo avesse avuto addosso uno smoking e non una misera felpa rossa (rossa!) con scritto in lettere marroni in stampatello il nome di una squadra che Draco non aveva mai sentito nominare.

«Pare» cominciò quello, «che l’anno scorso qui un tizio ci abbia lasciato le penne, lasciando un posto vuoto in questa stanza che è stato assegnato, guarda caso, a me» spiegò, con un gran sorriso. Poi mise su un’espressione contrita, ci pensò un attimo e aggiunse. «Ah, scusa, quel tizio era amico tuo, suppongo, no? Condoglianze, fratello, ci sono passato anch’io, so cosa significa» disse, compassionevole, stringendo d’impeto la mano di Draco, che la ritrasse schifato. La sventolò mollemente come se l’avessero scottato, poi recuperò un minimo di contegno.

«Bastava dirlo subito» bofonchiò. «Però non ti ho mai visto in giro gli altri anni» osservò; e l’avrebbe notato, un ritardato del genere.

«Infatti» convenne quello, come se fossero giunti al punto cruciale della conversazione. Draco ebbe quasi paura. «Mi sono appena trasferito. Vengo da Boston.»

Draco tacque alcuni secondi. «Ah. Nel Lincolnshire.»

Quello sorrise, se possibile, ancora di più. «No. Nel Massachusetts.»

D’accordo. Draco prese un profondo respiro. «Sei… americano.»

L’altro annuì con vigore. «Con ascendenti ungheresi, portoghesi e svizzeri» rettificò.

Malfoy l’ultima frase neanche la sentì, troppo turbato perché il suo cervello potesse riprendere il normale processo elaborativo.

Lui, Draco Malfoy, Purosangue di famiglia della nobiltà inglese da qualcosa come la notte dei tempi, in camera con un…

«Americano?» ripeté ancora, sempre più incredulo e disgustato.

Era sul punto di prenderlo a pugni e stenderlo, già solo per il fatto che i suoi accostamenti cromatici gli davano fastidio (occhi verde palude spento come Potter, capelli neri e sparati da ogni parte come Potter, felpa rossa come il Grifondorissimo Potter… non è che per caso ricordava Potter?), quando la porta della stanza si aprì di nuovo e ne entrarono Theodore, Goyle e Blaise. Goyle andò a gettarsi in un angolo, invisibile come lo era diventato dopo la morte di Tiger, Zabini si stese svogliatamente sul suo letto e Nott, dopo essersi tolto il mantello, andò a sistemare i suoi libri in silenzio.

Draco era sempre più sbalordito. Tutto lì?

«Insomma, si può sapere chi cazzo è questo?» gridò, data la calma degli altri tre.

Blaise si mise le braccia dietro la testa e chiuse gli occhi. «Barry» disse.

«Barry» ripeté Malfoy.

«Esatto» confermò il ragazzo, che si sentì tirato in causa. «Tanto piacere. Mi chiamo Augustus Reginald Oberon Barrett, come mio nonno, l’altro nonno e il medico che mi ha fatto nascere, ma tu puoi chiamarmi Barry. O, in alternativa, Aggie, Reggie, Rex, Stu, Ober, Hero o Pasticciotto di carne, ma quello è solo per gli amici più intimi e mia madre» si presentò.

Draco si sedette sul bordo del letto, prossimo allo svenimento, passandosi una mano tra i capelli.

«Credo che userò Barry» spirò, sconfitto. Poi un altro dubbio (uno dei tanti) gli passò per la testa, alzò lo sguardo e disse: «Se ti sei appena trasferito a Hogwarts, come mai non eri allo Smistamento?»

Lo sapeva. Non poteva stare a Serpeverde, se non era stato Smistato dal Cappello, era una vile spia di Potter sotto copertura, era illegale!

Barry fece schioccare la lingua e lo guardò compassionevole, come una madre guarda un bambino che gli chiede se è vero che i neonati crescono sotto i cavoli.

«Io?» fece Barry, scuotendo la testa. «Insieme agli altri bambini del primo? Santo cielo, sono vietato ai minori» esplicò, come se fosse ovvio e anche piuttosto divertente.

Zabini ridacchiò, forse più per l’espressione sconvolta di Draco che per Barrett in sé. Malfoy ebbe voglia di uccidere anche lui.

«Comunque» sospirò ancora una volta Barry, come se si stesse preparando a un gran discorso, poi cominciò a rovistare in mezzo all’ammasso di coperte e lenzuola appallottolate alla rinfusa sul letto (“le mie coperte, le mie lenzuola, il mio letto…”), e ne estrasse un misero foglio di quaderno spiegazzato che sollevò con l’enfasi di un Cercatore che ha appena catturato il Boccino d’Oro.

«Allora» ripeté di nuovo Barry, per riavere l’attenzione dei presenti su di sé. “Salazar, che esibizionista”, si disse Malfoy. Barrett si schiarì la gola.

«Sì. Dunque. Dicevo. Visto che saremo compagni di stanza, che vivremo insieme per tutto il prossimo anno, tutti i giorni delle settimana, in tutte le ore del giorno e della notte…» Draco si schiaffeggiò una mano sulla faccia. «… visto che in pratica diventeremo come una famiglia, ho pensato che fosse utile stabilire alcune regole» disse.

Goyle, che se n’era stato in disparte tutto il tempo, guardò il nuovo venuto con sospetto. Theodore ascoltava, ma non smise di riordinare i suoi libri.

Barry sventolò il foglio di fronte a sé e ricominciò a parlare. «Dunque. Prima regola: la prima regola di Serpeverde è che non si parla mai di Serpeverde» annunciò.

Draco sembrava disorientato. «Siamo i seguaci di Tu-Sai-Chi» e lì Barry ebbe perfino il coraggio di chiedere “Chi?” ma Malfoy si astenne dal commentare, «i criminali, i cattivi, i Mangiamorte, i parassiti della scuola e della società. Come puoi aspettarti che non si parli di noi?» argomentò.

Barry guardò Draco con aria intelligente, molto intelligente, e annuì comprensivo. «Accidenti. Siete proprio famosi!»

Lì Malfoy ci rinunciò del tutto.

Barry riprese a parlare. «Seconda regola: siccome siamo come una famiglia, condividiamo tutto, compresi alcol, donne, erba, punizioni, compiti per casa e sigarette» elencò, accompagnando ogni punto del programma con un dito della mano, «tutto ciò che è mio sarà vostro» declamò, con fare da parrocchiano. Poi perse l’aria da santo e aggiunse, come se si fosse dimenticato di specificarlo: «E tutto ciò che è vostro sarà mio» concluse soddisfatto.

Draco e Goyle si scambiarono un’occhiata d’intesa, e il fatto che Goyle fosse rimasto l’unico in quella stanza con cui Draco potesse scambiare un’occhiata d’intesa la diceva lunga sulla gravità del problema.

«Ora» continuò ancora Barry, «per dare il giusto esempio, vi informo che nel mio baule ci sono gli alcolici, dentro quel portapenne ho messo delle sigarette, l’erba è nascosta dentro il tacco di quelle vecchie scarpe all’angolo e i preservativi sono nel cassetto dei calzini, invece nella scatola delle scarpe sotto il mio letto ci sono le riviste porno, per le emergenze.»

Draco strappò il foglio dalle mani di Barry. «Sotto il mio letto, vorrai dire.» Analizzò quel pezzo di carta straccia. «Cos’è questa macchia gialla sul bordo?»

Barry si sporse oltre le spalle di Malfoy, per vedere il punto che stava indicando. «Ah, sì. Devo averci vomitato sopra a un certo punto, il nostro amico Blaise mi ha fatto provare un po’ di quel vostro Firewhisky, e io di solito bevo alcolici babbani, questo è un pelino più forte…»

Con un brivido di disgusto, Draco passò lentamente il pezzo di carta a Barry reggendolo con due dita. «Alcolici… babbani» ansimò.

«Sì, babbani» confermò tranquillamente Barry.

«Intendi proprio babbani babbani.»

«Sì, babbani babbani» ripeté di nuovo lui, un po’ scettico ma sempre controllato. «I miei sono cappellai, io sono un Nato Babbano, non te l’avevo detto?»

In futuro, Augustus Barrett, per la madre Pasticciotto di carne e per gli amici Barry, poté giurare di non aver mai visto nessuno impallidire così tanto e così rapidamente.

Theodore Nott, finendo di sistemare l’ultimo libro sullo scaffale della libreria, sghignazzò. «No, mi sa che non gliel’avevi detto.»

Nelle stanze più vicine, qualcuno ebbe il buon gusto di domandarsi cosa fosse tutto quel baccano, ma sapendo chi alloggiava lì ritenne saggio non indagare.

Dal canto suo, Barry, sorridente e impassibile, osservò Malfoy urlargli contro gli epiteti più scortesi, alcuni di cui non conosceva neanche il significato, ma per quanto la trovasse una cosa poco gentile da fare proprio al loro primo incontro, comprese che non tutti riescono a prendere bene i nuovi arrivati e che a volte è difficile andare d’accordo fin dall’inizio, ma lui era una persona educata e decise che avrebbe fatto del suo meglio per fare sì che i rapporti tra lui e quel simpatico biondino evolvessero nel migliore dei modi. Sarebbero diventati ottimi amici, se lo sentiva.

Così, in quella frazione di secondo in cui Draco si zittì per recuperare il fiato tra un “Sanguesporco” e un “Segaiolo”, Barry stese le labbra in uno dei suoi sorrisi più convincenti del suo repertorio.

«Comunque non mi hai ancora detto come ti chiami» gli fece notare con grazia.

Draco ammutolì, le labbra bloccate in un “lurida checca americana e Mezzosangue” che gli morì in gola.

Squadrò quella mezzasega del suo nuovo compagno di stanza. Era smilzo e un poco più basso di lui, con quei capelli alla Potter, un viso pallido con due profonde occhiaie sotto gli occhi, le labbra piegate in un perenne e odioso sorriso e quella ridicola felpa rosso Grifondoro con su scritto il nome di una squadra che ora si spiegava perché Draco non conoscesse. Non si trattava di Quidditch.

«Draco Malfoy.» Se Draco avesse detto “Mi arrendo” sarebbe suonato più o meno allo stesso modo.

Barry fece una faccia strana, inizialmente mantenne il suo improbabile sorriso beffardo, con un’aria in realtà piuttosto idiota, poi emise un verso strano e infine scoppiò in una risata che non riuscì più a trattenere.

Blaise ridacchiò con lui, Goyle e Draco si guardarono di nuovo.

«Scusa, amico» rise Barry, con le mani a trattenersi lo stomaco. «E’ solo che…»

Blaise rise più forte, e Barry scoppiò dopo di lui. Tossì e si rimise serio. «Cioè, insomma… Draco? Fai sul serio?»

Blaise rise ancora.

Malfoy fulminò entrambi con un’occhiata omicida. Sarebbe stato un anno di merda.

«D’accordo, d’accordo» fece Barry. «D’accordo. Posso chiamarti Drake?»

«No» sibilò Malfoy.

«D’accordo, d’accordo» ripeté di nuovo Barry. «Va bene. Solo un’ultima cosa…»

«Che c’è ancora?» implorò Draco, sull’orlo della disperazione.

«Oh, tranquillo, una cosa da nulla» lo rassicurò lui. Si chinò per terra e cominciò a guardare sotto il letto, emettendo versetti da idiota con i quali avrebbe potuto richiamare un gatto. Tese le braccia e quando si rialzò stringeva tra le braccia un minuscolo bassotto.

«Quello… quello è un cane?» strepitò Draco.

«E’ Stacey» disse Barry, accarezzandole la testolina. Quella guaì. «Le ho dato il nome della mia prima scopata. La prima di cui ricordo il nome, per lo meno» aggiunse.

«E’ un cane! Non si possono portare cani a Hogwarts, solo topi, gatti, gufi e rospi!»

«E’ di piccola taglia, ho visto scodinzolare gatti più grossi di lei in giro» si difese Barry.

Draco, per l’ennesima volta in quella serata, cercò con lo sguardo l’appoggio di Goyle.

«E’ carina» grugnì lui, facendo spallucce.

Perfetto. Perfino Goyle l’aveva abbandonato.

«Adesso» disse Barry, mollando Stacey sul letto di Draco, dove si accovacciò, «per onorare la regola numero due, visto che sono nuovo, non ho ancora ben capito come funziona qui per la lavanderia e non mi sono rimasti calzini puliti… non è che me ne presteresti un paio, Drake?»

 

***

Nobody said it was easy
It's such a shame for us to part
Nobody said it was easy
No one ever said it would be this hard
Oh take me back to the start.

(The Scientist, Coldplay)

 

 

Appena rientrata in camera dopo il banchetto, Pansy si gettò mollemente sul letto a braccia larghe, osservando il soffitto. Daphne entrò subito dopo di lei e dopo aver lasciato passare Millicent si chiuse la porta alle spalle, andando a rovistare tra i cassetti della scrivania.

Pansy rimase immobile. Millicent si chiuse in bagno e ne uscì poco dopo in pigiama, augurando la buonanotte a entrambe e mettendosi a letto. Tracey Davis era tornata prima di loro e dormiva già.

Daphne trovò le sigarette che stava cercando. Ne accese una con la bacchetta, afferrò il posacenere e si sedette a gambe incrociate sul letto, sfilandosi con i piedi le scarpe.

«Piantala di fumare dentro» la riprese Pansy. «E’ vietato.»

«Chi se ne frega.»

«Mi dà fastidio.»

Daphne scrollò la cenere dentro il bicchiere adibito a quel nuovo ruolo.

«Ne vuoi una?» disse in tutta risposta, porgendole il pacco di sigarette.

Pansy e Daphne si guardarono negli occhi un istante, poi Pansy tornò al suo soffitto e Daphne alla sua occupazione.

Millicent si rigirò nel letto, per non sentirle.

«Ti è piaciuto il banchetto di inizio anno?» chiese Pansy, tanto per fare conversazione.

«Era uno schifo. Come ogni volta.»

«Non è vero, quest’anno è stato peggio.»

Daphne aspirò una lunga boccata di fumo. Sentì la nicotina invaderle i polmoni, poi buttò tutto fuori.

«Malfoy è uno stronzo» enunciò.

«Cosa?»

«Draco. Si comporta da stronzo con te.»

Silenzio dall’altra parte. Millicent si tirò le coperte fin sopra la testa.

«Non capisco perché ci stai» insistette Daphne.

«Non ci sto.»

«Come no.»

Pansy sospirò. Ebbe improvvisamente sonno.

«E secondo te cosa dovrei fare?»

«Mollarlo. E fumarci su. Possibilmente mollarlo mentre ci fumi su. Scarica i nervi.»

«Secondo me è una stronzata questa che le sigarette fanno scaricare i nervi. E’ solo che ti piace crederlo.»

«Non parlavo del fumo. Piantare i ragazzi stronzi scarica i nervi. Fumare non serve a niente, ho iniziato solo per piacere a quelli più grandi» scrollò ancora la cenere. «Stronzi pure loro.»

A Pansy sembrò la cosa più sensata che un fumatore le avesse mai detto.

«A me Draco piace.»

«Che stronzata. Ti fa solo male.»

«Anche fumare ti fa male ma non smetti.»

«Le sigarette non sono stronze.»

«Sì che lo sono. Prima ti fanno credere che sia una cosa piacevole, poi diventano un vizio e alla fine ti ammazzano.»

«Malfoy è la stessa cosa. Prima ti fa credere di essere perfetto, poi diventa un vizio e alla fine ti uccide.»

«Stiamo dicendo che l’amore è come le sigarette?»

«Non lo so. Secondo me è più una cosa tipo una puntura di zanzara.»

Pansy aggrottò le sopraciglia. «Perché una puntura di zanzara?»

«Perché è una cosa fastidiosa e prude ancora anche dopo che vieni punto.»

Pansy si fece scettica di fronte a quella curiosa massima.

Daphne diede un altro tiro. «Perché, tu sei innamorata di Malfoy?»

Pansy ci pensò sopra. «Non lo so. E’ probabile. Diciamo che non escludo alcuna possibilità.»

«Faresti bene.»

«Ad innamorarmi?»

«A non escludere alcuna possibilità.»

«Volete fare silenzio?» mugugnò Millicent, mettendosi il cuscino sulla testa.

Pansy la ignorò. «Qualche volta i morsi di zanzara sanguinano.»

«Solo se li gratti troppo.»

Momento di pausa dall’altra parte.

«Possiamo smetterla di parlare per metafore? Non ci capisco più niente» disse Pansy, portandosi una mano sugli occhi.

Daphne si strinse nelle spalle. «La maggior parte della gente che parla per metafore non le capisce. Piacciono solo perché sono d’effetto, ma non significano niente.»

Pansy annuì, ancora poco convinta. «Da dove le prendi tutte queste perle di vita?»

«Mi segno le cose interessanti che sento dire alla gente e le tiro fuori quando serve, così le persone pensano che io sia arguta o geniale o qualcosa del genere» borbottò l’amica.

«E’ la cosa più intelligente che abbia sentito dire da un po’ di tempo a questa parte.»

«L’ho sentito dire a Theodore questa mattina.»

«Ah. Strano che Theodore pensi una cosa simile.»

«Infatti parlava di me.»

Daphne finì la sigaretta e la spense dentro il bicchiere, che mise di lato sul suo comodino, già ingombro di riviste, boccette d’inchiostro e nastri per capelli.

«Ho sentito che c’è un nuovo ragazzo a Serpeverde» disse Pansy.

«Vero» confermò Daphne.

«Che tipo è?»

«Americano, Mezzosangue e mezzasega.»

«Carino?»

«Solo se ti piace il genere.»

«A te piace il genere?»

«L’unico genere di ragazzi che mi piace è quello dei ragazzi a cui per prima cosa piaccio io.»

«Vuol dire che non ti interessa un amore non corrisposto?»

«Non ne ho idea, di solito piaccio a tutti.»

«Ah, ecco.»

«E’ che la venerazione nei miei confronti mi sembra un requisito indispensabile per farmi piacere una persona. E’ la prima cosa che guardo.»

«La seconda qual è?»

«Non c’è. Di solito mi basta questo.»

Rimasero in silenzio.

«Avete finito?» chiese Millicent da sotto il cuscino.

Pansy sospirò. «Sì, suppongo di sì.»

«Buonanotte, Milly» fece anche Daphne, come se si fosse accorta solo allora che c’era anche lei lì.

«Buonanotte, Mills» disse Pansy, e spense la luce.

 

***

 

Erano esattamente le sei e quattro minuti quando Richard Wagner svegliò Draco Malfoy.

Quando capitano certe cose incredibilmente brutte prima di andare a dormire a volte succede che la mattina dopo si abbia un momento di inconsapevolezza in cui, ancora intorpiditi dal sonno, non si prenda immediatamente atto della nuova condizione. La stessa situazione si ripresenta anche per le cose incredibilmente belle, come una scopata inaspettata, ma le cose belle, almeno a Hogwarts, non capitavano mai con la stessa frequenza.

Bello o brutto che fosse, comunque, quando si svegliò a Draco non venne fatta neanche la carità di vivere quel sospeso momento di inconsapevolezza, perché quando alle sei e quattro minuti del mattino quello che dopo scoprì essere Richard Wagner lo svegliò, lui sapeva già a chi imputare quel brusco buongiorno e quel fracasso.

«Barry!»

Perfino Blaise, che aveva il sonno più pesante di un troll, si svegliò imprecando.

Nel letto accanto a quello di Draco, Barry sbadigliò, si tirò a sedere stiracchiandosi con un gran sorriso e accarezzò la fetida cagna che dormiva ai piedi del suo letto e che gli venne incontro.

Draco individuò la fonte di quel fracasso indicibile, ovvero uno scatolino nero di plastica incantato che emetteva una musica incalzante.

Malfoy prese la sua bacchetta, che teneva sempre accanto a lui, sul comodino (non si sa mai chi tu debba Schiantare di prima mattina) e la puntò contro la scatola incantata di Barry.

«Finite Incantatem!» urlò, ma la scatola, lungi dallo spezzare l’incantesimo, gli rispose perfino con un trionfante aumento di toni.

Barry, con la bocca ancora impastata dal sonno, guardò Malfoy perplesso.

«Che diavolo di incantesimo hai messo su questa roba?» tuonò Draco, visto che niente funzionava.

«Incantesimo?» ripeté Barry, che tese una mano verso la scatola e premendo un insolito bottoncino fece cessare qualunque rumore.

Blaise, ringraziando Merlino, affondò di nuovo tra le coperte.

Draco si trattenne dallo scoppiare a piangere.

«E’ Richard Wagner, La cavalcata delle valchirie» mugugnò Barry, spingendo Stacey giù dal suo letto. Quella cominciò a zampettare sul pavimento e a mordicchiare le pantofole di Draco. «Svegliarmi con questa mi dà sempre la giusta carica.»

Notando l’espressione a metà tra l’infuriato e lo sbalordito di Draco, e quella vagamente interrogativa di Nott, che pur standosene in silenzio e con la testa poggiata sul cuscino aveva gli occhi ben spalancati, Barry guardò entrambi e disse: «E’ una radiosveglia. Non sapete cos’è? Cavoli, neanche io sono così ignorante.»

Dopo aver mandato a quel paese Barry («Non puoi svegliarti nel primo pomeriggio come ogni cazzone parassita che si rispetti invece che a quest’orario indecente?»), la scatola magica e pure le sue pantofole sbavate e distrutte dal cane, Draco si infilò in bagno e non ne uscì prima di una buona mezzora, e anzi sembrò volerci impiegare ancora più tempo quando Barry bussò alla porta dicendo che era urgente.

Una volta fuori, salutando amorevolmente Barrett che si fiondò verso il gabinetto di volata, si vestì e uscì prima di tutti. Lasciò i sotterranei e si diresse subito verso l’ala centrale del castello.

A giudicare dall’orario che aveva scopiazzato il giorno prima dalla bacheca, la prima lezione dell’anno sarebbe stata Incantesimi. Ma siccome mancavano ancora quasi due ore e la Sala Grande era quasi vuota, andò in biblioteca. Forse riusciva a mettere insieme qualche riga improvvisata per il tema di Incantesimi che avrebbe dovuto fare durante l’estate, scopiazzando qua e là da qualche libro. Avrebbe preso l’occorrente e sarebbe tornato in Sala Comune, Pansy gli avrebbe dato una mano, di solito era mattiniera e faceva sempre i compiti delle vacanze.

Entrò nella biblioteca, praticamente deserta a parte un paio di secchioncelli occhialuti Corvonero, si diresse in fretta verso il reparto di Incantesimi, afferrò un paio volumi a caso che gli parvero interessanti e nel giro di cinque minuti fu di fronte alla scrivania di Madama Pince, che ogni anno si faceva più vecchia, più grassa e, contro ogni logica, dall’udito sempre più acuto.

«Prendo questi» fece sbrigativo Draco, afferrando subito la penna per firmare il registro della vecchia.

Madama Pince lo guardò da sopra le lenti tonde dei suoi occhiali spessi, e dopo appena una manciata di secondi assottigliò lo sguardo e corrugò la sua già rugosissima fronte.

«Tu sei quello che ha rubato due libri dalla biblioteca l’anno scorso» sputò la vecchia. «Se proprio ti interessano, puoi consultarli qui in biblioteca, ma non prenderli in prestito» gracchiò con la sua voce da cornacchia.

Draco la fissò incredulo. «Come, scusi?»

Madama Pince sbatté un pugno rachitico sul tavolo con aria assai poco minacciosa. «Qui» ringhiò, e con il suo indice ossuto indicò due caselle con dentro scritto il nome di due volumi, la firma di Draco, la data di ritiro del libro e uno spazio bianco nella casella della data di consegna.

Madama Pince scrutò Malfoy maligna. «La prima volta ho sorvolato, la seconda, come da regolamento» e qui indicò un foglio di pergamena alle sue spalle scritto in una grafia stretta e fitta, «ti ho detto che non avresti più potuto portare via libri da questa biblioteca.» Concluse il tutto sistemandosi con un dito gli occhiali in equilibrio su quel naso piccolo.

Malfoy aveva un’aria allibita. Era un affronto!

«Senta» cercò di ragionare Draco, «se non si trattasse di una disperata emergenza, le assicuro che non metterei mai più piede in questa pulciosa topaia, ma data la mia situazione le ricordo che…»

«Bando alle ciance» lo interruppe la bibliotecaria con un gesto stizzito. «Fila via!»

«Okay, d’accordo, il primo libro l’ho perso, non lo trovo più, va bene? Ma l’altro sono sicuro di averlo riportato, quindi non incolpi me della sua incompetenza!»

«Qui non c’è scritto» sogghignò Madama Pince, indicando ancora una volta il pesante registro. «L’alchimia degli elementi, volume IV… la casella accanto è vuota.»

Draco roteò gli occhi. «Non ho la più pallida idea del perché non ci sia scritto niente, io l’ho riportato, d’accordo? Se vuole glieli pago, quei due libri polverosi, anzi glieli ricompro, invierò un gufo al Ghirigoro per ordinarli stasera stessa, ma mi faccia prendere questi fottuti libri di Incantesimi ora!»

«Modera i toni, giovanotto! E no, non puoi ordinare quei libri, erano la vecchia edizione, non sono più in commercio da almeno dieci anni. Ora smamma, ho del lavoro da fare. Sì, signorina Granger?»

Dopo aver realizzato che Madama Pince no, non era totalmente pazza, almeno non al punto di nominare Lady Granger da Perfeziolandia senza un  motivo valido, Draco sobbalzò non appena si trovò a fianco la paladina dei Mezzosangue in persona, che stringeva al petto due volumi che di certo pesavano più di lei. Guardava Madama Pince, quell’arpia, che diversamente da come si era comportata con Malfoy adesso sorrideva cordiale all’indirizzo della Grifondoro, con un’espressione che la faceva quasi sembrare un po’ meno vecchia e un po’ meno arcigna. Quasi.

«Non ho potuto fare a meno di sentire» disse Hermione, parlando alla bibliotecaria. «E mi stavo giusto chiedendo cosa ci facesse un libro di Pozioni nella sezione di Rune Antiche» spiegò, porgendo alla vecchia arpia un tomo dall’aria piuttosto vecchia e consunta. Sulla copertina, Draco lesse: L’alchimia degli elementi, volume IV.

La bibliotecaria prese il libro con reticenza.

«Ecco, vede? Vede?» rinsavì subito Malfoy, osservando ora la bibliotecaria, ora la Granger, come se lui l’avesse sempre saputo.

«Vedo che hai lasciato un libro nella sezione sbagliata, rendendo difficoltosa la catalogazione e la consultazione da parte di altri utenti» dichiarò Madama Pince, formale. «Anche questo è contro regolamento. Spostati ora, la signorina Granger vuole prendere quell’altro libro, immagino» terminò, sorridendo apertamente a Hermione.

«Sì» confermò la ragazza, mettendo sulla scrivania il suo libro di Rune. Madama Pince lo prese e cominciò a segnarne titolo e autore sul suo registro, quando con un leggero tonfo Hermione prese i due libri di Incantesimi di Malfoy mettendoli insieme a quello di Rune. «Anche questi.»

La vecchia strega sembrò non gradire particolarmente lo stratagemma, anzi guardò Hermione come se lei l’avesse tradita, poi fissò Malfoy che aveva un’aria disorientata al pari della sua ma che, non appena si accorse che la bibliotecaria lo stava osservando, si affrettò a tramutare il suo stupore in una faccetta arrogante che sembrava gridare “Io vinco sempre.”

Madama Pince rese i tre libri a Hermione, che le augurò una buona giornata e poi uscì. Dopo un momento di confusione, Draco affrettò il passo per seguire la ragazza che lo precedeva di parecchi metri, e in pochi minuti fu in corridoio.

La Granger lo aspettava in piedi, nella sua consueta postura rigida con le gambe allineate e la schiena ben dritta, stringendo i libri. Infilò il suo nella borsa e porse a Malfoy gli altri due.

Draco li prese, non senza un certo sospetto, e non senza l’istinto di soffiarci sopra o di spolverarli con la manica del maglione per evitare che germi molesti lo infettassero.

Rimasero a guardarsi per un paio di secondi. Draco aggrottò la fronte.

«Spero che tu non ti aspetti davvero che io ti ringrazi» chiarì, mentre lei non smetteva un attimo di fissarlo con indignazione.

«No, ovvio che no, sarebbe troppo civile da parte tua» replicò lei offesa, ma forse neanche così tanto. Del resto se l’aspettava.

«Bene» disse Draco, non trovando nulla da ridire. «Vedi di contenere le tue carinerie, la prossima volta» sibilò.

Hermione mise su un’aria ancora più indispettita. «Sta’ tranquillo, è solo il mio senso sociale che ogni tanto mi fa dimenticare chi ho davanti.»

Chiuse le cinghie della sua borsa e si allacciò gli alamari del mantello, continuando a guardarlo con stizza. Poi si sistemò meglio la tracolla in spalla.

«Merlino, credevo che lo scorso anno ti avesse cambiato, almeno un po’» mormorò con una certa pena e disgusto, mentre senza attendere una sua replica lo oltrepassava e si allontanava unendosi al flusso di studenti che cominciava ad affollare il corridoio.

Draco rimase impalato per un po’. Era quasi certo che se non fosse corsa via avrebbe rifilato alla Granger una minaccia delle sue, perché lei non aveva alcun diritto di uscirsene con battute poco felici, ma ritenne che quella doveva evidentemente essere la giornata fortunata della Mezzosangue, perché non le urlò contro nulla del genere, limitandosi a rimpiangere la sua sorte che quella mattina, cominciata malissimo con la scatoletta infernale di Barry, non poteva che promettere disgrazie.

 

***

 

N/A

Secondo capitolo. Siamo ancora al primo giorno di scuola, siamo ancora a una sorta di introduzione, questa volta dal punto di vista dei Serpeverde; dal prossimo, si entra nel vivo della faccenda.

Barry è ovviamente un personaggio originale, non sarà uno dei principali ma avrà un suo ruolo. E’ troppo eccessivo? Troppo volgare? Troppo Babbano? Stona non poco col contesto generale?

Ho già detto di voler rimanere quanto più possibile fedele al canon, ma vorrei anche portare un po’ di quella normalità adolescenziale che, a causa della guerra, Hermione, Draco e gli altri non hanno mai avuto. Non mancherà la magia, comunque, cercherò di bilanciare le due cose.

A questo proposito: è vero, le radiosveglie, come tutta la tecnologia babbana, non dovrebbero funzionare a Hogwarts. Posso prenderla come una licenza poetica?

La prima regola della sua lista Barry la prende ovviamente da ‘Fight Club’ di Chuck Palahniuk.

 

Ringrazio ancora chi ha letto lo scorso capitolo. Gli aggiornamenti saranno ogni due settimane, presumibilmente di martedì. Per ora sono arrivata alla stesura del capitolo quattordici, ma se riuscirò a portarmi ancora un po’ avanti vedrò di velocizzare anche gli aggiornamenti.

Dejanira

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Capitolo 3
*** How To Disappear Completely ***


The Post-War Students

Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

3.

How To Disappear Completely

 

 

 

 

“E' meraviglioso che ogni giorno ci porti una ragione nuova di sparire.”

(Emil Cioran)

 

 

 

 

«Piantala, Zacharias.»

Quando lo cacciò via, con un gesto esasperato e gli occhi socchiusi, Susan Amelia Bones aveva nella voce quell’indifferenza e quell’impotenza che la rendevano, agli occhi di Zacharias, un magnifico gioco di prestigio.

Lui, che l’aveva raggiunta al suo banco da dietro, poco prima che arrivasse Twycross e cominciasse la lezione di Difesa, si rimise dritto, allontanandosi dal suo viso e dal suo orecchio, dove le aveva sussurrato parole che Susan non aveva avuto neanche voglia di sentire, mandandolo via ancora prima che lui potesse chiarire cosa avesse da dire.

Non che dovesse essere qualcosa di interessante, comunque. Susan aveva l’impressione che lei e Zacharias si fossero detti tutto. Non era stato il suo primo ragazzo, ce n’erano stati diversi prima di lui, ma la loro storia era un continuo tira e molla che andava avanti da almeno due anni e che sembrava non voler finire mai.

Zacharias sosteneva di essere l’unico adatto a lei, perché altrimenti Susan non sarebbe sempre tornata da lui.

Susan sosteneva di essere l’unica da cui Zacharias avrebbe dovuto tenersi alla larga, perché altrimenti sarebbe di certo finito schiantato, prima o poi, a forza di lasciarla andare e poi pretendere che tornasse da lui supplicando.

In definitiva, chiunque avrebbe convenuto che Susan e Zacharias dovevano volersi molto male, per dedicarsi con tanta alacrità e diligenza alla minuziosa e sistematica rovina della loro esistenza. In questo, erano praticamente fatti l’uno per l’altra; avrebbero potuto cercare per anni e non trovare mai qualcuno disposto a impegnarsi, con altrettanta tenacia, in quel tenero massacro.

All’ennesima provocazione di lui, attualmente impegnato nella fase di corteggiamento, uno stadio base di quella loro ciclica autodistruzione, Susan si alzò, prese i suoi libri e la sua borsa e si diresse qualche banco più indietro, mentre Zacharias la guardava con un’espressione indecifrabile e le mani in tasca. Oltrepassò prima il banco di Terry Steeval e Anthony Goldstein, che la guardò ma non disse nulla, poi quello dove sedevano un sempre più tetro Ron Weasley di fianco a Hermione Granger, che stava tirando fuori il suo libro di testo e un foglio di pergamena nuovo per gli appunti.

Nel banco subito dietro il loro c’era Harry Potter, che aveva tentato in tutti i modi di sollevare il morale di Ron con banali constatazioni sul Quidditch, senza ottenere molti risultati.

Susan tossicchiò e Harry si girò a guardarla.

«Scusa, Harry, è libero qui?»

Harry borbottò qualcosa e poi le fece spazio, togliendo le sue cose dalla sedia vuota accanto a lui. Susan sedette in silenzio.

Il nuovo professore di Difesa Contro le Arti Oscure, Wilkie Twycross, entrò in quel momento. Quasi nessuno studente si accorse della sua presenza fino a quando non picchiettò la bacchetta sulla cattedra per richiamare l’attenzione della classe, e allora tutti ebbero un sobbalzo. Il professor Twycross era un uomo incredibilmente alto e smilzo, con capelli che un tempo dovevano essere stati di un biondo sbiadito ma che già da tempo avevano iniziato a striarsi di grigio. Aveva un viso sgraziatamente allungato, e occhi chiari che erano i più vacui che chiunque in quell’aula avesse mai visto. Il suo sguardo era trasparente e nel complesso risultava una figura evanescente ed eterea; alcuni credevano sinceramente che fosse colpa delle troppe Smaterializzazioni.

Da quel che sembrava, Twycross aveva tutte le carte in regola per essere il primo insegnante di Difesa a non venir fatto fuori nel giro di un anno scolastico da molto tempo. Sembrava professionale e preparato, non dava l’idea di fare favoritismi, era rigoroso e severo al punto giusto, e come la McGranitt riusciva a mantenere l’ordine in classe senza sforzi eccessivi. Non risultava particolarmente simpatico ai suoi studenti, ma non dava neanche molti motivi per farsi odiare. Era un soggetto piuttosto ambiguo, era talmente leggero nei passi, e aveva una voce così limpida ma allo stesso tempo così lontana che risultava quasi come un’eco. Dava l’impressione di poter sparire da un momento all’altro; tutto in lui sapeva di assenza.

«Affronteremo oggi gli Incantesimi di Annullamento, qualcuno sa dirmi di cosa si tratta? Sì, signorina Granger?»

«Appartengono alla seconda classe dei contro incantesimi difensivi. Vanificano l’incantesimo dell’avversario e ne annullano gli effetti. Il più basilare è ovviamente il Sortilegio Scudo, ma a un livello più alto si trovano Incantesimi Annullanti che non sono individuati da alcuna formula, dal momento che si tratta per lo più di incantesimi non verbali.»

Ron si riscosse dal suo stato d’indifferenza. L’irritante parlantina di Hermione quando rispondeva a un professore era una di quelle cose che gli erano mancate terribilmente.

«E’ esatto. Cinque punti a Grifondoro. Come la signorina Granger ha anticipato, quelli di cui discuteremo oggi sono… Prego, signor Malfoy, signor Barrett, accomodatevi. Abbiamo appena cominciato.»

Hermione si voltò alle sue spalle. Sulla soglia dell’aula c’erano Draco Malfoy, dall’aria alquanto nervosa, e il ragazzo nuovo, quello che tutti chiamavano Barry, che al contrario sembrava raggiante.

«Scusi il ritardo, prof» trillò Barry entusiasta, permettendosi perfino di dare una gomitata a Malfoy come per invitarlo a porgere le sue scuse a sua volta. Draco ovviamente non apprezzò il gesto, anzi gli rifilò un’occhiataccia e andò a prendere posto accanto a Theodore Nott proprio mentre Barry gli indicava un banco vuoto per due.

Al suo fianco, Hermione poté sentire Ron bisbigliare qualche insulto in direzione di Malfoy.

Barry invece prese posto in uno degli ultimi banchi, in modo da avere una panoramica perfetta di tutte le studentesse presenti in aula.

Non fu una lezione molto interessante. Pur nella sua rigida diligenza, Twycross non risultava noioso nello stesso modo in cui lo era Rüf, ma lasciava comunque nei suoi studenti un senso di vaghezza che li portava a perdere facilmente il filo o a lasciarsi distrarre. Solo nelle esercitazioni pratiche, alle quali il professore sembrava tener molto, tutti riuscivano a star ben attenti e svegli.

Harry Potter, per quel che lo riguardava, aveva una ragione in più degli altri per distrarsi. Era strano avere Ginny in aula, poterla osservare anche durante le lezioni; gli permetteva di scoprire un lato in più di lei che non aveva mai sospettato, come il fatto che sembrasse ridacchiare continuamente con la sua compagna di banco, Victoria Frobisher, prestando scarso interesse all’insegnante. Scriveva spesso su un quadernetto anche quando gli altri non prendevano appunti, cosa che portò Harry a supporre che non si trattasse di annotazioni inerenti la lezione. Poté giurare di aver visto anche Victoria girarsi a guardarlo di sottecchi con la coda dell’occhio, dopo che Ginny le aveva sussurrato qualcosa all’orecchio, per poi trovarle ancora a parlottare tra di loro anche dopo aver distolto lo sguardo diverse volte. Era un comportamento che aveva riscontrato in lei tutte le mattine dall’inizio della scuola, ma quel giorno sembrava particolarmente impegnata a girarsi e a spettegolare con Vicky. I loro sguardi saettavano con sospetto da Harry a Susan e viceversa.

Susan, che essendo una ragazza aveva un occhio un po’ più sveglio di quello di Harry per quelle cose, non si lasciò sfuggire le continue occhiate e i bisbigli.

«Ginny Weasley sembra gelosa» sussurrò a Harry, mentre Twycross stava di spalle per scrivere alcuni schemi alla lavagna.

Harry scosse la testa, smettendo di tracciare inutili ghirigori sul bordo della sua pergamena.

«No, io non credo» borbottò, abbastanza sicuro. Per la miseria, lui era il Prescelto. Aveva sconfitto Lord Voldemort il maggio precedente, gli sembrava ridicolo prendersi adesso la pena di far caso a certe futilità.

«Oh, io dico di sì, invece. Bisbiglia a Victoria di fissarti di sottecchi, parlotta sottovoce, non segue Twycross… Ti tiene d’occhio» insistette Susan con fare tranquillo, mentre intingeva la punta della sua penna d’aquila nell’inchiostro e trascriveva sulla sua pergamena lo schema alla lavagna.

Harry avrebbe preferito che non fosse così ovvio. Avrebbe gradito anche che Susan Bones non glielo facesse notare, ma lei ostentava una tale calma nel trattare la cosa come se fosse ordinaria amministrazione, perciò decise di non dargli tutto quel peso. Quando alzò lo sguardo da Susan, tuttavia, intercettò quello di Ginny che lo distolse subito e bruscamente, quasi Harry le avesse fatto un dispetto. Era terribile.

Tutto sommato, la lezione parve passare in fretta, forse per via di Luna che tenne impegnato il professore per dieci minuti buoni sciorinando sempre più strampalate teorie che traevano spunto dalle sue improbabili letture. Twycross parve un po’ disorientato all’inizio, ma poi prese Luna con una certa serietà, rispondendo con ragionevolezza e pazienza a tutte le sue domande e obiezioni, dando origine a un dialogo alquanto bizzarro. Zabini ridacchiò, ma gli altri Serpeverde per lo più rimasero zitti, il che risultò a Harry molto strano perché di solito non perdevano occasione per deridere quelli della sua cerchia, e Luna era uno dei bersagli più facili.

Perfettamente in orario, Twycross terminò la lezione. Appuntò sulla lavagna i compiti per la lezione successiva, augurò a tutti una buona giornata e uscì dall’aula, impalpabile e silenzioso come un fantasma. Gli studenti cominciarono a raccogliere le loro cose e ad andare via. Harry trovò che Susan fosse particolarmente lesta nell’infilare tutto dentro la sua borsa, e capì perché quando Zacharias Smith si diresse subito in direzione del loro banco. Susan si gettò il mantello sulle spalle.

«Ciao, Harry» lo salutò poi, in maniera eloquente, forse un po’ troppo eloquente, mentre dava le spalle al Tassorosso, fingendo di non vederlo, subito prima di uscire di fretta dietro Twycross.

Harry ebbe appena il tempo di ricambiare con un lieve cenno della mano, trovandosi poi a osservare Smith che lo fissava sospettoso. Ma Zacharias era un ragazzo pieno di risorse, e sparita Susan trovò comunque un altro modo per importunare il prossimo.

«La Gazzetta del Profeta ha pubblicato un articolo interessante stamattina» annunciò, a nessuno in particolare, ma con voce abbastanza alta perché chiunque potesse sentirlo. Questo, unito a un certo carisma che Harry non gli aveva mai riconosciuto, ma che avrebbe fatto bene a tenere a mente, da allora in avanti, fece sì che buona parte dei presenti in aula gli prestasse attenzione.

Zacharias tornò al suo banco e da sotto il manuale di Difesa prese una copia del giornale del giorno. Lo aprì, sfogliò alcune pagine e poi lo mise bene in mostra. Diversi studenti si avvicinarono.

Ron, che si era già infilato il mantello, lesse il titolo dell’articolo a voce alta.

«“Cattive novità per i processati Mangiamorte: i fratelli Carrow confessano, volano nuove accuse.”»

Al che, Ron si esibì in uno strano ghigno, molto poco da lui. Smith dovette ritenerlo un portavoce convincente, perché non protestò quando il Grifondoro prese il giornale e cominciò a leggere alcuni estratti dell’articolo, poggiandosi al suo banco di fianchi.

«“Durante l’interrogatorio da parte degli Auror, Alecto e Amycus Carrow decidono di confessare. Nuovi nomi sono stati aggiunti all’elenco degli indagati per gli innumerevoli atti di violenza perpetrati dal settembre al maggio scorso a danno degli studenti della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. “Avevamo l’appoggio di diversi Consiglieri del Ministero”, afferma Alecto Carrow. “E nessuno di loro era sotto Imperius.” Già l’ex Ministro della Magia, Pius O’Tusoe, si era difeso dalle accuse rivoltegli affermando di essere stato controllato da Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e da alcuni suoi Mangiamorte. “Erano in molti a essere a conoscenza di quel che avveniva nella scuola” continua Amycus Carrow. “Alcuni genitori avevano sporto ripetutamente denuncia, ma nessuna di queste era stata accolta dalla Corte del Wizengamot. MacDougal aveva il Consiglio in pugno, metteva a tacere qualunque protesta da parte del Comitato Scolastico.” Hector MacDougal, 54 anni, attuale Ministro dell’Istruzione Magica, è stato più volte indagato per sospetta attività Mangiamorte sin dalla Prima Guerra, ma fino ad oggi sollevato da qualunque accusa.»

«Problemi in famiglia, Morag?» insinuò ironico Zacharias, interrompendo la lettura di Ron. A braccia conserte, fissava con arroganza Morag MacDougal, una Corvonero introversa che se ne stava sempre sulle sue, in disparte. Morag assottigliò gli occhi azzurri, mentre arrotolava i suoi fogli di pergamena con eccessiva energia.

«Vuoi che ti stacchi un braccio, Zacharias?» si fece avanti Anthony, con la sua ragazza, Mandy, una Corvonero dai capelli bruni, attaccata al braccio.

«Continua a leggere» lo sfidò invece Morag, con voce decisa, guardando in direzione di Ron. Era strano sentirla parlare, e Ron stesso ne rimase un po’ stupito perché in sette anni si accorse di non averle mai rivolto la parola, né sapere che voce avesse.

Un po’ intimidito, perché non gli andava di prendersela con una tizia che non aveva mai filato neanche di striscio, Ron riprese lo stesso.

«“E’ bene citare, a riguardo, i due assassinii compiuti l’anno scorso a danno di due famiglie che avevano denunciato i Carrow alle autorità per torture e violenze sui propri figli. Celebre a riguardo il caso Bones...”» Ron esitò. Si guardò intorno, quasi per assicurarsi che Susan non fosse in aula. Fissò Zacharias, che sembrava incredibilmente fermo. «“Celebre a riguardo il caso Bones, relativo all’omicidio di Alan Bones, fratello di Edgar Bones, membro dell’Ordine della Fenice, assassinato durante la Prima Guerra, e Amelia Bones, membro di spicco della Corte del Wizengamot prima della sua uccisione da parte del Signore Oscuro. Oltre a ricordare il caso, i fratelli Carrow accusano come possibili fautori dell’omicidio di Alan Bones i Mangiamorte Lucius Malfoy e Bellatrix Lestrange, noti per…”»

Arrivato a quel punto, Ron non poté continuare perché accaddero ben due fatti bizzarri. Il primo, che forse tanto insolito non era, fu che Draco Malfoy gli si fiondò addosso, con tutta la buona intenzione di sferrargli un pugno o qualcosa di simile, il che risultò ambiguo perché era consueta abitudine di Malfoy mandare i suoi tirapiedi a fare a botte per lui. La seconda cosa strana fu che Ritchie Coote e Vicky Frobisher, due persone che con Malfoy avevano sempre avuto ben poco a che vedere, si misero in mezzo alla difesa di Ron. Victoria non fece molto più che affiancarsi ai due con un’aria insolitamente aggressiva e ferita per il suo delicato faccino sempre ben truccato, ma Ritchie, che pur avendo un anno in meno di Draco e Ron non aveva nulla da invidiare loro in quanto a forza e altezza, non esitò ad afferrare Malfoy per la camicia, prima che il Serpeverde lo allontanasse da sé con uno strattone che lo mandò quasi a sbattere contro lo spigolo del banco.

«Piantatela» si interpose Harry, aiutando Ritchie, col quale aveva una certa confidenza essendo quest’ultimo uno dei suoi Battitori, a rimettersi in piedi. Ron e Draco continuarono a fissarsi n cagnesco, mentre Hermione si avvicinava per trattenere Vicky.

«Si può sapere che vi prende?» le chiese, cercando di mantenersi quanto più garbata possibile.

«Lo sai chi erano gli altri genitori uccisi per aver denunciato i Carrow?» sibilò Victoria, che aveva una voce incredibilmente squillante per essere una ragazzina così fragile. «I genitori di Colin!» strillò, di fronte alla perplessità di Hermione.

Calò una strana tensione, Harry e Hermione si guardarono.

«Su, su, zuccherino.» In quel silenzio, Barry, il nuovo ragazzo di Serpeverde, si fece avanti, dando un buffetto sulla guancia a Victoria, cosa che lei non apprezzò affatto. Draco alzò teatralmente gli occhi al cielo, incredulo che quella feccia americana e mezzosangue fosse ancora lì.

«Questo tuo amico, Cody…» iniziò Barrett.

«Colin» lo corresse Vicky con un’occhiataccia «Era il mio ragazzo. L’hanno ucciso i Mangiamorte.»

«Oh, beh, è molto, molto romantico» balbettò Barry, un po’ in difficoltà. «Ma vedi… pensi sul serio che se lui fosse qui, adesso, vorrebbe che tu lo vendicassi con una così barbara violenza, piuttosto che lasciare che la giustizia…»

«Colin ha combattuto a Hogwarts, lo scorso maggio, anche se non poteva, perché era minorenne» lo interruppe Ritchie. «E’ morto per questo. Credo che ritenesse necessaria la violenza, a volte» ringhiò aggressivo, sovrastando Barry di qualche centimetro. «Soprattutto con quelli come voi» aggiunse ancora, fronteggiando di nuovo Malfoy.

«Ritchie» lo trattenne Harry, afferrandolo per un gomito, ma quello non voleva saperne di mollare.

«Adesso ascoltami bene, ragazzino.» Draco gli puntò contro la bacchetta, proprio come aveva fatto con Justin Finch-Fletchley in treno.

Ron intervenne, estraendo la bacchetta a sua volta, mentre Hermione lo riprendeva invano.

«Provaci, Malfoy, e ti giuro che…»

«Cosa?» lo sfidò Draco, avvicinandosi di alcuni passi. «Cosa fai? Mi Schianti? Vai a piagnucolare dalla McGranitt? Mi sfidi a duello?»

«Puoi giurarci che ti sfido a duello, Malfoy.»

«Ron!» esclamò Hermione, lasciando stare Vicky. «Ron, adesso basta.»

Ron si girò verso Harry, per cercare il suo appoggio, ma quello si mise accanto a Hermione e come lei scosse la testa, segno che non lo appoggiava.

«Io sono il suo secondo» dichiarò di punto in bianco Smith, affiancando Ron, che lo guardò un po’ scettico per alcuni secondi, ma non si oppose.

«E io sono il suo» ribatté altrettanto fermamente Barry, dando una specie di pacca sulla spalla a Draco, che si scostò irritato.

«Levati di mezzo, tu, che diavolo…?» protestò, ma Barry, con uno di quegli sguardi fieri e decisi in pieno stile San Potter, gli bisbigliò: «E’ la terza regola: dobbiamo sempre aiutarci tra di noi, che si tratti di rimorchiare una ragazza, vomitare l’anima dopo una sbronza o… cos’è che si intende esattamente per “duello”?»

Draco desiderò che Weasley lo uccidesse all’istante.

«Allora è deciso» pattuì Ron, scuro in volto, scatenando i bisbigli dei presenti. Anthony Goldstein, dietro Zacharias, borbottò qualcosa in disapprovazione.

«Ronald, per favore, non essere ridicolo, non è il luogo né il momento adatto, per cui…»

«La Granger ha ragione» fece Smith. «A Mezzanotte, nella Foresta Proibita.»

«Scusa, amico, non per essere scortese, ma tu in questa storia che cazzo c’entri?» obiettò perplesso Barry, che davvero non si spiegava tutto quel rivoluzionarismo nell’aria.

«C’entro eccome, se c’è di mezzo anche la famiglia della mia ragazza» sibilò di rimando.

«Bene, affare fatto, allora» tagliò corto Draco.

«Magnifico» fece anche Ron. «A stanotte, Malferret» lo salutò. Poi, sotto gli sguardi preoccupati di Hermione e Harry, lasciò l’aula, seguito da quel curioso alleato che era Zacharias Smith.

 

***

 

Praticamente non si parlava d’altro. La voce del duello tra Ronald Weasley e Draco Malfoy fece il giro della scuola in un baleno, grazie all’intervento efficiente e fulmineo di Mandy Brocklehurst, Victoria Frobisher e persino Lavanda Brown, che attualmente detenevano la fascia di Regine Supreme del Pettegolezzo. Partì perfino un illegale giro di scommesse, fomentato probabilmente da Jimmy Peakes e Ritchie Coote, che davano alla pari come possibili morti o gravemente feriti sia Draco che Ron. Gli unici che non si pronunciarono sulla questione furono proprio gli altri Serpeverde, divisi tra il desiderio di farla pagare alla cerchia di Grifondoro per la loro insolenza e l’impulso irrefrenabile di sparire dignitosamente.

Dopo neanche un quarto d’ora la notizia era giunta anche alle orecchie sensibili di Susan, seduta sul prato insieme alla sua amica Mandy Brocklehurst.

«Che razza di deficiente» borbottò Susan, quando Mandy le riferì di Zacharias e di come aveva dato inizio alla quasi rissa.

«Essere teatralmente patetico è l’unico modo che conosce per fare colpo su di te» osservò Mandy. «Davvero, Susie, una volta per tutte, lascialo perdere.»

Fosse stato così semplice. Zacharias aveva occupato buona parte dei suoi pensieri e delle sue giornate, in un modo o nell’altro, da quando aveva undici anni. Era esattamente il tipo di ragazzino che tirava le trecce alla compagna di banco perché farle i dispetti era il solo modo in cui poteva farle capire che le piaceva. Si erano distrutti a vicenda, in quegli anni, perché era il loro personalissimo modo di dirsi che tenevano l’uno all’altra.

«Spera che sia Malfoy, a vincere» suggerì Mandy. «Se sei fortunata, Draco farà fuori prima Weasley e subito dopo Zacharias. Così te lo togli dai piedi.»

Sembrava davvero l’unica soluzione possibile.

Hermione Granger non era dello stesso avviso. Su quel duello non riponeva la minima speranza, semmai una caterva di dubbi. Assalire Ron con le sue infinite, ragionevoli motivazioni non era servito a nulla. Neanche Harry era riuscito a dissuaderlo, ma, se non altro, Hermione aveva apprezzato il fatto che una volta tanto non lo avesse assecondato in qualunque impulsiva sciocchezza gli passasse per la mente.

«Devo ricordarti come è finita l’ultima volta che tu e Malfoy vi siete sfidati a duello, Ronald?»  tornò alla carica Hermione, mentre lei e Harry seguivano Ron per il porticato del castello.

«Con te che mi seguivi in vestaglia petulante e un cane a tre teste. Sì, me lo ricordo.»

Hermione sbuffò.

Da quella fatidica lezione di Difesa, Ron aveva preso perfino l’abitudine di accompagnarsi con Zacharias Smith, il che chiaramente non poteva portare a nulla di buono. Non si erano mai piaciuti, al contrario, Harry e Ron consideravano Smith un presuntuoso scocciatore alla pari di Malfoy – beh, magari non proprio come Malfoy, ma comunque qualcosa che ci andava vicino – e vederli camminare fianco e fianco discutendo a bassa voce non poteva che generare in Hermione e Harry uno sdegnoso ribrezzo.

«Ritirati dal duello, Ron.»

«Sei impazzita, Hermione?»

«Sarebbe un suicidio sociale» lo appoggiò anche Zacharias.

«E’ già un suicidio e basta, tu e Malfoy siete abbastanza grandi adesso da farvi del male sul serio, non abbiamo più undici anni!»

«Esatto, sono grande a sufficienza per decidere cosa è meglio e cosa non lo è» la rimbeccò lui.

«Lo dirò alla McGranitt!»

«Adesso chi è che è tornato ad avere undici anni, eh?»

«Senti, Granger» si intromise Smith, mentre Hermione gli rivolgeva un’occhiata poco amichevole, che non lo scoraggiò affatto. «E’ l’occasione che aspettavamo. I Serpeverde sono più deboli che mai ora, non te ne accorgi? Un tempo Malfoy non sarebbe stato l’unico a scattare, invece adesso? Perfino la Parkinson è rimasta zitta.»

«Forse perché, a differenza di qualcun altro, ha sviluppato un minimo di buonsenso!»

«E’ tempo sprecato, Hermione» sospirò Harry, con rassegnazione.

«Tanto lo so che sarete i primi a seguirmi stanotte» gongolò soddisfatto Ronald.

«Puoi starne certo, qualcuno dovrà pur riportarti al castello, quando sarai agonizzante e senza l’uso di un arto!»

«Se proprio dovrai trascinare qualche ferito, Hermione, quello sarà Malfoy.»

Non ci fu più verso di farli smettere di battibeccare.

Diversa ancora era la situazione nei sotterranei. Daphne e Blaise avevano colto in pieno lo spirito della faccenda, gettandosi a capofitto nel giro delle scommesse.

«Hai notato che i tuoi amici non hanno alcuna fiducia nella tua vittoria?» fece notare Barry a Malfoy, seduto di fronte a lui e Pansy sui divanetti della Sala Comune, osservando come Daphne e Blaise dessero per buona la dipartita di Draco.

«Perché ci sei tu come secondo, idiota.»

«Non so dire di Weasley, ma Smith è un bravo duellante» osservò pratico Theodore.

«Tu hai mai duellato, Barry?» domandò curioso Blaise.

Barry tossicchiò, schiarendosi la gola. «Ecco, era proprio questo punto che volevo affrontare…»

«Siamo rovinati» bofonchiò Goyle, e se l’aveva capito perfino lui, la situazione era anche più grave di quel che Draco aveva immaginato.

«Io ho un allenamento» annunciò Malfoy, alzandosi, grato di potersi servire di quel diversivo per mollare i suo compagni lì.

«Posso venire con te?» lo pregò Barry.

«NO.»

Arrivare in campo e trovare la sua squadra al completo fu perfino peggio.

Draco non pensava che l’avrebbe mai detto, ma quell’anno avrebbe volentieri ceduto la sua spilla di Capitano a qualcun altro. La squadra non era la stessa da quando se n’erano andati Pucey, Vaisey, Urquhart  e Worrington. Soprattutto Pucey. Non erano esattamente suoi amici, ma erano una buona distrazione e un sollievo quando Theodore, dopo la cattura di suo padre, aveva smesso di parlare un po’ con tutti, quando Blaise si era fatto ancora più insostenibile, Daphne ancora più acida e Pansy aveva cominciato ad avanzare sentimenti e pretese troppo alte perché lui potesse sorreggerle. Erano una bella squadra, lui, Pucey e gli altri, prima. Non c’era nessuno che giocasse sporco come loro, che sapesse disarcionare gli avversari e truccare i bolidi come loro. Madama Bumb diceva che erano la più grande manica di disonesti che avesse mai volato su un campo da Quidditch. Era una cosa di cui andavano fieri.

Draco passò in rassegna i suoi nuovi giocatori, già in divisa e con le loro scope in mano: due Battitori del sesto, robusti e dall’aria non molto intelligente, un Portiere del quinto, mingherlino ma dai riflessi acuti, e tre Cacciatori passabili, tra i quali c’era una ragazza, il che era praticamente una sciagura per Draco, ma con i tempi che correvano aveva dovuto accontentarsi di quell’esserino svogliato particolarmente bravo nel picchiare forte. Avevano la sconfitta dipinta in faccia, quei sei lì. Serpeverde non avrebbe mai vinto la Coppa del Quidditch, quell’anno.

Diede inizio all’allenamento.

Malcolm Baddock, il Portiere mingherlino, parò tutte le pluffe che gli vennero scagliate contro, il che era un bene perché significava che aveva un buon Portiere, o un male perché voleva dire che i Cacciatori facevano pena.

Lydia Austen, la Cacciatrice femmina, toglieva costantemente di mano la pluffa ai Cacciatori maschi, dando loro strattoni e mostrando le tette all’occorrenza, il che era positivo perché la ragazza ragionava come un maschio, ma catastrofico perché i maschi ragionavano come zitelle.

I due Battitori erano grossi abbastanza per incutere soggezione e per spingere la gente giù dalla scopa, il che, in fin dei conti, era tutto ciò che si richiedeva dal loro ruolo.

‘Inesorabilmente afflitto’ non si avvicinava neanche a descrivere lo scoraggiamento di Draco. E se Malfoy credette di star raschiando il fondo con le unghie quando la Cacciatrice cominciò a togliersi davanti a lui la divisa da Quidditch per infilarsi quella scolastica nel patetico tentativo di sedurlo, non sapeva che la condanna suprema sarebbe giunta di lì a poco sotto forma di sciagura tascabile formato Hermione Granger.

Sorvolando distrattamente sulle discutibili arti seduttrici della Cacciatrice, Malfoy uscì dagli spogliatoi per recuperare i bolidi e le pluffe dal campo e riporli nell’apposito baule.

Era inginocchiato sul campo, sul baule aperto e con il primo bolide in mano quando un tossicchiare nervoso lo interruppe.

Draco dovette alzare gli occhi sulla Granger, che stava in piedi, cosa che lo indispose ancora prima che lei aprisse bocca per il solo fatto che aveva osato permettere che fosse lei quella a guardare lui dall’alto, un fatto socialmente e gerarchicamente incongruo, data la sua superiorità indiscussa.

In un atto quasi istintivo, Draco guardò alle sue spalle giusto per accettarsi che non ci fosse nessuno dietro; quindi, appurato che, a meno che non stesse comunicando con invisibili spiriti dell’aldilà, la Granger stava effettivamente rivolgendosi a lui, aggrottò le sopracciglia e mise su la più indisponente delle sue espressioni sdegnate.

«Il banco mensa per disadattati è laggiù in fondo» esordì tetro Draco, imprigionando la palla tra le cinghie di cuoio.

Lei sembrò esalare un profondo respiro, probabilmente per evitare che si trasformasse in insulto, e incassò la battuta poco felice di Malfoy con quella che, ai suoi occhi, doveva essere una inequivocabile prova di superiorità morale.

«Vorrei parlarti» disse Hermione, molto dignitosamente, senza nessuna inclinazione di voce. Era immobile e rigida nel suo pesante mantello, e il viso non tradiva alcuna emozione.

Draco si tirò in piedi, felice di poterla finalmente sovrastare di almeno quindici centimetri buoni, poi, schioccando la lingua, diede un’altra rapida occhiata alle sue spalle, infine tornò a guardare la Granger.

«Vedi quella ragazza laggiù?» chiese Draco, indicando la Cacciatrice che era appena uscita dallo spogliatoio e si stava lisciando le pieghe di una gonna più corta del consueto. Si esibì in un mezzo sorriso quando si accorse che Malfoy la stava guardando. Hermione, invece, alzò un sopracciglio con supponenza.

«Anche lei vorrebbe parlarmi» sottolineò, mentre Hermione non s’incrinava di un soffio. «E, considerato che è di gran lunga più passabile di te, intuirai da sola che, se non mi intrattengo con lei, è parecchio difficile che lo faccia con te.»

Hermione scosse la testa, il suo sguardo era quasi compassionevole. Pensandoci, era la prima volta che si recava di persona da Malfoy per discutere con lui; di norma, i loro erano incontri obbligati o casuali. Non si aspettava nulla di meglio.

«Il tuo imbarazzante esibizionismo mi commuove fino alle lacrime, Malfoy» ribatté la Granger. «Quasi quanto quella poverina.»

«Bene» fece lui in risposta, spostandosi per andare a recuperare la pluffa qualche metro più indietro. «Allora ti consiglio di andare a versare le tue lacrime da qualche altra parte, perché io qui sono un po’ impegnato.»

La curiosità di sapere cosa avesse Lady Granger di tanto importante da dirgli non lo sfiorò nemmeno. Immaginava già che si trattasse di una qualche insostenibile lezione di etica, per sbattergli in faccia con presunzione la sua ineguagliabile fibra morale; o magari voleva solo che le restituisse i libri di Incantesimi che aveva preso in prestito dalla biblioteca per lui, oppure era semplicemente impazzita. Qualunque cosa fosse, ne aveva già avuto abbastanza.

«Vorrei chiederti di ritirarti dal duello» rivelò infine Hermione, alzando la voce perché lui potesse sentirlo.

Malfoy le rivolse un’occhiata perplessa, mentre tornava al baule per conservare la pluffa.

«Perché dovrei?» le chiese, senza interesse.

«Per diverse motivazioni, una più valida dell’altra. Devo elencartele tutte?»

Draco sbuffò, incredulo che la Granger l’avesse raggiunto fin lì per quello. Che assurdo senso di responsabilità.

«Risparmiati» le sussurrò appena, allontanandosi di nuovo nel campo alla ricerca dell’altro bolide. La Granger stavolta lo seguì.

«E’ contro le regole» cominciò, standogli dietro mentre lui guardava da un lato e dall’altro per individuare la palla. «E’ vietato agli studenti sfidarsi a duello, circolare al di fuori della Sala Comune di notte e addentrarsi nella Foresta Proibita, in qualunque momento.»

Draco non si prese neanche la briga di ribattere l’ovvio, mentre si dirigeva verso la pluffa che giaceva proprio sotto gli anelli.

«E se non vi accordate voi per abbandonare questa idea pessima, come Caposcuola sarò costretta a riferirlo ai professori. Cosa che in effetti dovresti fare anche tu.»

Draco raccolse la pluffa, poi, tanto repentino da costringere Hermione a farsi indietro di due passi, le fu rapidamente di fronte.

«Io non credo che lo farai» le sibilò a due dita dal naso. «E sai perché? Non solo perché faresti perdere un sacco di punti alla tua Casa, oltre a mettere nei guai i tuoi amichetti già la seconda settimana di scuola… ma perché sei un’insopportabile e frigida secchiona, e sai che se ti mettessi a fare la spia come avevi l’abitudine di fare a undici anni, ti guadagneresti in poco tempo l’antipatia di tutti quelli che ti stanno attorno» le soffiò mellifluo. Si allontanò subito dopo, passandosi la pluffa da una mano all’altra.

«Potranno pure ammirarti come loro eroina, ma come persona sei semplicemente odiosa» aggiunse, dirigendosi in fretta verso il bordo campo.

Hermione rimase alcuni istanti immobile e fissare la sua schiena mentre si allontanava, perché tutto si era aspettata, ma non che le dicesse quelle cose. Non si sentiva così offesa, perché era da stupidi dare peso alle parole di Malfoy, e quelle insinuazioni avevano cominciato a fare meno male il giorno in cui aveva deciso che qualche volta valeva la pena mentire ai professori in cambio di due amici disposti ad affrontare un troll di montagna per salvarti. Però era strano che fosse Malfoy a dirle tutto quello, e che glielo dicesse proprio in quel momento. Le sembrò un gran bel salto di qualità, comunque, che volesse infierire su qualcosa che sapeva poteva far male, invece che basandosi su pretesti come quelli della purezza del sangue in cui lei non credeva, e in cui ormai credevano in pochi.

Scacciò via ogni pensiero, e aumentò il passo per stargli dietro. Gli fu di nuovo davanti quando lui si rialzò dopo aver conservato l’ultima palla e chiuso il baule. Si guardarono per un momento.

«Non trovi che sia da stupidi litigare ancora dopo… dopo tutto quello che è successo?» domandò Hermione. Se lui aveva deciso di alzare il livello della conversazione, lei non sarebbe stata da meno.

«Voglio dire che ora che è tutto finito, e con tutto quello che abbiamo passato lo scorso anno, sfidarsi a duello solo per uno stupido articolo di giornale, o per un idiota come Smith…»

Hermione non completò la frase. Malfoy si rese conto che c’era qualcosa alla base che la Granger non comprendeva.

«Lasciami in pace» mormorò alla fine, facendo levitare il baule a qualche centimetro da terra. Le diede le spalle e fece per andare verso lo spogliatoio.

«Non è solo perché è contro le regole, o perché tu e Ron potreste finire in punizione» continuò imperterrita Hermione. Suo malgrado, Malfoy si fermò, pur continuando a darle le spalle.

«Lo trovo sbagliato» disse, nello stesso momento in cui Draco si girava a guardarla.

Lei sperava che capisse.

Sperava che capisse quello che a Ron non avrebbe avuto senso spiegare, non con il peso di un fratello morto ancora nella testa e nel cuore.

Sperava comprendesse che c’era qualcosa di insensato e profondamente ridicolo nel continuare a sfidarsi in questo modo, dopo tutti quei morti e quella guerra, dopo che c’erano stati entrambi quando sembrava che Voldemort trionfasse e quando invece Harry aveva vinto. Non era più come prima, quando c’era un Harry Potter tornato da un cimitero con il cadavere di un ragazzo morto, a raccontare storie a cui nessuno voleva avere il coraggio di credere, e tutti loro a farsi le loro idee e supposizioni lontani da quell’orrore. C’erano stati tutti insieme, per l’ultima volta, e avevano sofferto tutti allo stesso modo. Hermione temeva che continuare a far crescere dentro quel rancore li avrebbe riportati al punto di partenza.

Ma Malfoy non comprese. Abbandonò l’incantesimo di levitazione sul baule, che si posò a terra con un tonfo rumoroso, e poi raggiunse Hermione, questa volta più da vicino. In quegli occhi, lei riconobbe qualcosa che aveva scorto anche a Malfoy Manor, mentre Bellatrix la torturava.

«Tu credi sul serio che io vi odi solo perché tu sei una Mezzosangue, Weasley uno straccione e Potter una mezzasega?» le sibilò contro. Hermione cominciò a domandarsi se avesse fatto bene a spingersi fin lì. Non seppe cosa rispondere, perciò Draco continuò.

«Non è per questo che stanotte spezzerò al tuo amico Weasel una costola o due, e se proprio ci tieni tanto, riferiscigli pure quello che ti ho detto, così se ha ancora un briciolo di buonsenso potrà essere lui a ritirarsi.»

Se ne andò, prese il baule e non aggiunse nient’altro, né diede a lei il tempo di ribattere qualcosa. Fu meglio così. Qualunque cosa avesse detto, sarebbe stata del tutto inutile.

 

***

 

Zacharias trovò Susan accovacciata accanto al camino ancora spento, intenta a sottolineare con una matita il libro di Storia della Magia. Era probabilmente l’unica – a parte Hermione Granger, ovviamente – a seguire con entusiasmo e interesse le lezioni di Rüf.

Arrivò in silenzio, e pur non avendolo sentito arrivare, Susan non rimase sorpresa nel trovarselo improvvisamente alle spalle. Lo aspettava; sapeva che prima o poi sarebbe andato da lei a pavoneggiarsi della sua eroica e patetica messinscena.

Susan sfogliò un’altra pagina.

«Per quanto ancora pensi di non rivolgermi la parola, esattamente?» chiese stancamente Zacharias.

Susan sottolineò una frase con particolare vigore.

«Di sicuro fintanto che continuerai a dare spettacolo aizzando le persone le une contro le altre.»

Zacharias si sedette sulla poltrona. Temeva che lei se ne sarebbe andata, non sopportando di averlo tanto vicino, e invece non si spostò, rimanendo concentrata sul suo libro.

«Lo facevo per te» obiettò il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli biondi e in disordine, come li portava da quando aveva capito che le ragazze lo trovavano più attraente del taglio da ragazzino alla sua Prima Comunione che aveva a dodici anni.

Susan evidenziò un’altra riga.

«Lo facevo per te, perché tu non dici mai quello che pensi, e invece dovresti.»

«In questo caso, credo che dovresti rivalutare le tue abilità di Legilimens, perché non stavo pensando affatto a quanto sarebbe stato bello svilire Malfoy e Morag e sfidare uno dei due a duello.»

«Beh, avresti dovuto.»

«Perché?» Susan poggiò la matita sul libro di scatto, voltandosi a fissare Zacharias. «Solo perché sentite tutti il bisogno spasmodico di azzannarvi l’un l’altro per il male che si sono fatti i vostri genitori…»

«Cosa?» Zacharias era incredulo. «E del male che hanno fatto a te, uccidendo tuo padre? E i tuoi nonni, e i tuoi zii? Per Merlino, Sue, la reazione di Weasley è normale, gli hanno ammazzato il fratello! Tu, invece…»

«Io invece cosa?» lo affrontò lei. Si tirò in fretta in piedi, il libro cadde dal suo grembo, la matita ticchettò e poi continuò a scivolare silenziosa sul tappeto. «Credi che dovrei andarmene in giro a minacciare qualunque figlio di Mangiamorte incontri per strada?»

«Non dico che sia corretto, dico solo che è quello che le persone normali fanno, quando sono arrabbiate. E tu non lo sei. Non lo sembri.»

Tacquero. Alcuni Tassorosso più piccoli decisero di ritirarsi nei loro Dormitori, lasciando la Sala Comune silenziosa. Nel camino, nel frattempo, cominciò a scoppiettare un piccolo fuoco. Zacharias fece per dire qualcos’altro, ma all’ultimo richiuse la bocca.

«Non capisco perché lo fai» sussurrò Susan, guardandolo. Zacharias non distolse lo sguardo neanche per un istante. «Io cerco solo di sparire, e tu mi porti continuamente a galla.»

«E’ quello che io chiamo sopravvivere.»

«E’ quello che io chiamo accettazione forzata» ribatté. «Voglio solo stare sola.»

Zacharias non smetteva di guardarla. Una volta questo la faceva arrossire, perché lui non smetteva di ripeterle quanto la trovasse bella. Si era innamorata di Zacharias contro la sua volontà, perché lui era uno di quelli che ti facevano cedere a forza di complimenti e moine. Si chiese cosa l’avesse spinta a ricambiarlo, la prima volta.

Sicuramente l’aspetto fisico. Zacharias era biondo e alto, e forse non era bellissimo, aveva occhi troppo scuri e troppo tristi per un ragazzo tanto candido e strafottente, e zoppicava un po’, non lo si notava sempre se non ci si prestava attenzione, ma Susan sapeva che era colpa di una brutto incidente a cavallo e che era così da bambino. Aveva imparato a riconoscere il risuonare disarmonico dei suoi passi, e si era innamorata di quella debolezza, amava ogni sua debolezza ancor di più del suo ghigno irriverente e dell’atteggiamento arrogante che lo facevano sembrare tanto sicuro di sé. Lei invece si era innamorata di quelle cose che lui in se stesso odiava, come la sua paura nell’addormentarsi a luci spente, la piega storta che prendevano le sue labbra quando si esibiva in un sorriso, o quel difetto alla gamba destra.

Di contro, lo odiava per tutto quello che lui amava in se stesso, e che coltivava fino a rendersi costantemente una persona peggiore di quel che era. Si arruolava in battaglie non sue, aderiva a una causa per il solo gusto di urlare qualcosa al mondo, e non faceva che urlare, e arrabbiarsi e odiare, Zacharias odiava tantissimo, e con il suo odio e la sua rabbia tirava fuori solo il marcio di se stesso.

Voleva tirare fuori il marcio anche da lei, ma non per farle del male, solo per essere meno solo.

Aveva un modo tanto egoistico e profondo di amare che lo riempiva interamente e non lasciava spazio per altri sentimenti, e qualunque emozione diventava troppo per quel cuore che non riusciva a contenere abbastanza, e allora straripava di odio, straripava di rabbia. Ed era la sola cosa che gli altri vedevano di lui.

«Se vuoi fare un po’ di soldi facili, punta su di me, per il duello di stanotte» proruppe Zacharias, interrompendo quell’eternità di silenzio. «Ti prometto che vincerò.»

«Non voglio che tu vinca» chiarì Susan, pacata come al solito.

Zacharias sorrise con quel sorriso storto, mentre si chinava su di lei, afferrandole il mento con due dita.

«Lo sospettavo. Chissà come mai, non lo vuole mai nessuno, per me.»

La lasciò con la sua matita dalla punta spezzata e il suo libro di storia.

Lei raccolse le sue cose e corse in camera, ignorò Hannah che le domandò se fosse successo qualcosa, si chiuse in bagno a chiave e pianse, pianse per suo padre, per sua zia Amelia, per tutti quelli che avevano perso qualcosa, pianse e per un’ora non la smise più.

 

***

 

N/A

Il titolo del capitolo è tratto dall’omonima canzone dei Radiohead.

Zacharias Smith mi piace perché è un ragazzino odioso e antipatico, Susan Bones pure perché, anche se nei libri viene nominata appena, è un bel personaggio con una bella storia, famiglia antica e influente alle spalle ma Mezzosangue da parte di madre, familiari per lo più decimati dalla guerra (a proposito, che i nonni paterni, Amelia, Edgar, consorte e figli sono stati uccisi viene detto da JK, quanto ai genitori di Susan, di cui non viene rivelato neanche il nome, dovrebbero essere entrambi vivi; il padre gliel’ho ammazzato io per esigenza di trama e per buttare Susan più a terra di quanto già non sia).

A martedì 20!

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Capitolo 4
*** Fairy Tales [Part #1 - Beware The Forest] ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

4.

Fairy Tales

[Part #1 – Beware The Forest]

 

 

 

 

Quando il primo bambino rise per la prima volta, la sua risata si sbriciolò in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là. Fu così che nacquero le fate.

(James Matthew Barrie)

 

 

 

«C'era una volta un povero agricoltore che aveva tanti figli e poche possibilità di dar loro di che mangiare e di che vestire. Erano tutti belli, ma la più bella era la figlia minore, così bella che la sua avvenenza era infinita. Una volta stavano seduti tutti insieme intorno al focolare, ciascuno di loro occupato in qualche modo, quando improvvisamente qualcuno bussò tre volte al vetro della finestra. L'uomo uscì a vedere che cosa accadesse e quando si affacciò, c'era un grande orso bianco.»

Morag interruppe la lettura. Fissò un punto imprecisato di fronte a sé, qualcosa oltre le rive del Lago Nero, forse oltre le rive del nulla. Increspò la fronte.

«Beh, allora?» la punzecchiò Daphne Greengrass, con le mani dietro la testa e i piedi contro il tronco della betulla all’ombra della quale lei e Morag stavano distese. La gonna le si abbassava un poco a metà cosce, diversi ragazzi si girarono a guardarla e lei finse di non accorgersene.

«Continuiamo la lettura o no?» insistette ancora, dando una leggera spintarella a Morag.

«Cercavo di focalizzare mentalmente la scena» borbottò la Corvonero. Quel pomeriggio, visto che non erano previste lezioni, aveva messo da parte la divisa scolastica per un abitino nero e calze pesanti. I capelli scuri le ricadevano su una spalla in una morbida treccia.

«Pensavo conoscessi la storia a memoria» obiettò Daphne. Intercettò lo sguardo di un Tassorosso, che distolse subito gli occhi e continuò a camminare verso il castello insieme ai suoi compagni.

«Infatti.»

«E allora non interporre tutte queste pause.»

«Perché ti fai leggere i libri da me, se non ti piace come racconto una storia?»

«Non mi piace leggere, ma mi piace che siano gli altri a farlo per me. Eravamo rimasti?»

Morag scosse la testa, sbuffando. Cercò il punto dove aveva interrotto la lettura, ma degli strepiti di alcuni ragazzi alle loro spalle la distrassero.

«Potresti trovare una postura composta, di grazia?» si lamentò Morag. «Mi innervosisce avere l’attenzione degli sconosciuti addosso.»

«Non guardano mica te» fu la scocciante replica di Daphne, che socchiuse gli occhi. Sapeva di rendersi antipatica. Sapeva anche che a Morag non importava, tanto a lei stavano antipatici tutti. Magari era per questo che riuscivano a passare tante ore insieme senza litigare, Daphne non la irritava più di quanto non la irritasse il resto del genere umano.

Morag studiò il libro che teneva poggiato sulle gambe. Era uno dei vecchi racconti di fiabe che le aveva regalato sua madre, l’aveva trovato sul fondo del suo baule. Chissà da quanto tempo era lì. Forse dal suo primissimo giorno di scuola, quando aveva undici anni e sua madre l’aveva infilato tra i vestiti di nascosto, perché potesse tenerle compagnia quando quella notte non sarebbe riuscita a dormire. Morag non riusciva mai ad addormentarsi senza una buona storia.

«Non ti preoccupa il fatto che il tuo amico abbia intenzione di farsi ammazzare nella Foresta Proibita, stanotte?» chiese Morag, persa nell’osservazione delle illustrazioni della fiaba.

Daphne schiuse appena gli occhi.

«Parli di Draco?»

«C’è qualcuno, oggi, che non parli di Draco?»

«Sono due anni che la gente non fa altro che parlare di Draco e non ho ancora sentito una sola voce vera sul suo conto.»

«Capita, quando sei uno stronzo.»

Daphne non rispose. Guardò le fronde degli alberi sovrappensiero, poi allungò una mano a frugare nella borsa di Morag, acchiappò una matita e staccò un foglio a caso, appuntò qualcosa, ripiegò il foglio fino a ottenere un minuscolo quadratino e lo infilò nella manica della camicia.

Morag la osservò in quella bizzarra pratica, ma non disse nulla neanche quando la Serpeverde le strappò il quaderno, che come sapeva benissimo era una cosa che Morag detestava. Ci passò sopra, come bisognava fare sempre quando si aveva a che fare con Daphne Greengrass.

«Ci sono un sacco di creature pericolose nella Foresta Proibita» le ricordò Morag.

«Ci sono anche un sacco di stronzate che i professori si inventano per tenere alla larga gli studenti dai posti più interessanti. Secondo me, al massimo lì in mezzo c’è solo gente che va a scopare. Così si spiegano i gemiti e le urla.»

«Ti sbagli.»

«Capita molto raramente che io mi sbagli.»

«Ti sbagli sulla Foresta.»

«Andiamo avanti con questa fiaba o no?»

«Ci credi nelle fate?»

«Credo a Blaise quando mi dice di essersi scopato le gemelle Patil contemporaneamente, penso di poter credere anche nelle fate.»

«Non dovresti mai dubitare delle fate. Diventano terribilmente suscettibili, quando qualcuno non crede in loro.»

«Senti, la pianti di fare la versione incazzata e cattiva della Lovegood? Mi dà sui nervi.»

«Anche tu mi dai sui nervi. Sei egocentrica, superficiale e stupida.»

«Tu invece sei pazza, insolente e pericolosa. Adesso me la racconti una storia?»

Morag le raccontò la sua storia. Perché era questo che si faceva di solito con le amiche, no?

Certo definire la Greengrass una sua amica sarebbe stato un po’ avventato. Non era mai riuscita a stringere molte amicizie a Hogwarts. Amanda Brocklehurst aveva tentato di avvicinarla, i primi tempi, e così anche Pansy Parkinson. Poi avevano smesso. Daphne diceva che era normale, se lei si scopava i loro ragazzi. A quel punto Morag ribatteva che non lo sapeva, allora, che Goldstein e Malfoy fossero impegnati, o per lo meno non avevano l’aria di esserlo; e comunque non avrebbero dovuto prendersela con lei.

Così si era sicuramente giocata la simpatia di Pansy e anche quel poco di affinità che sembrava aver costruito con Mandy, anche se allora Anthony non stava ancora con lei. La Brocklehurst non la odiava, però la teneva a debita distanza.

Con Daphne era un’altra cosa. Si erano sempre conosciute, perché si conoscevano le loro famiglie. Tra Purosangue si frequentavano un po’ tutti. Daphne e Morag erano diventate amiche per abitudine, erano arrivate a Hogwarts e già si conoscevano, erano cresciute e avevano imparato che nel loro essere insopportabili potevano benissimo reggersi a vicenda. Non si confidavano segreti e non si scambiavano i vestiti, anche perché Morag trovava che Daphne si vestisse come una sgualdrina, e Daphne che Morag si vestisse come un folletto, il che rendeva il rapporto più semplice.

Se avevano qualcosa da dirsi, lo facevano senza troppe esitazioni.

Se avevano un segreto da confessare, se lo confessavano, ma non come se fosse una gran rivelazione, cosa che poteva mettere una certa responsabilità addosso all’altra, semplicemente se lo dicevano come parlavano dei compiti in classe e del cambio di direzione del vento, minimizzavano tutto e poi lo dimenticavano, per tirarlo fuori solo quando era veramente necessario.

Così capitava che una dicesse: «Hai notato come sono incredibilmente verdi le foglie di quest’albero? Guarda, MacDougal, la natura è Serpeverde.» E che l’altra subito dopo rispondesse: «Ieri ho fatto sesso con Malfoy.» «Eh?» «Malfoy, il ragazzo della tua migliore amica.» «Bah.» «E il cielo e il mare comunque sono blu, due a uno per Corvonero.»

Era un rapporto che funzionava.

Morag era giunta nel bel mezzo dell’intreccio, quando cominciò a piovere. Una goccia cadde sul viso di Daphne, un’altra sul libro di Morag, che subito lo richiuse e lo ripose in borsa per evitare che si rovinasse. Cominciò a piovere a dirotto.

«Accidenti, accidenti» imprecò Daphne, saltellando veloce le pozzanghere con Morag alle costole, mentre il fango le sporcava le scarpe nuove.

Si rifugiarono sotto il porticato. Morag strappò la propria borsa dalle mani di Daphne, che l’aveva usata per coprirsi i capelli in modo da non rovinare eccessivamente la piega.

«Non vorrei trovarmi al posto di Malfoy e Weasley» sospirò Morag, osservando gli angoli cupi dell’inizio della Foresta Proibita, dove gli alberi erano meno fitti. Cercando di scorgere in mezzo, a voler andare troppo oltre con lo sguardo, non si distingueva una forma dall’altra. Magari era solo suggestione.

«Neanche io» convenne Daphne. «Soprattutto Weasley. Non so, non mi ci vedrei rossa.»

Morag trasse un profondo sospiro, mentre fissava la Greengrass a metà tra il perplesso e il divertito. I suoi occhi saettarono ancora alla Foresta. D’istinto, infilò una mano dentro la borsa, trovo la consistenza rassicurante della copertina rigida e della carta.

Strinse il libro di fiabe.

 

***

 

Anthony Goldstein non si capacitava.

Seduto sul davanzale della finestra della Torre di Corvonero, non sembrava neanche fare caso al ticchettio della pioggia sui vetri. La Sala Comune era gremita, ma non confusionaria. I Corvonero se ne stavano ammucchiati a gruppi, o da soli, studiando insieme o discutendo con un tono di voce accettabilmente basso, in modo da non disturbare chi era immerso nella lettura.

Anthony ignorò Terry, che dal lato opposto lo chiamava per invitarlo ad andare con loro, e anche le continue occhiate della sua ragazza, che non capiva cosa ci fosse che non andasse.

Bella domanda. Non lo capiva neanche lui.

Anthony, semplicemente, non si capacitava.

«Attirerai altri Nargilli, se continui a pensare così forte.»

Anthony si riscosse, ed ebbe quasi un sobbalzo nel trovarsi di fronte Luna Lovegood che lo fissava a un palmo dal naso. I lunghi capelli biondi erano legati in una coda alta, in modo da mettere bene in mostra gli orecchini di ravanelli e la collana di tappi di Burrobirra.

«Oh» esclamò Anthony, preso alla sprovvista. «Ehm, davvero?»

«Sicuro» confermò Luna, con un tono che Anthony non avrebbe potuto definire in altro modo se non “professionale”. «Ne hai la testa piena. Credo che potrei starnutire. Hanno anche questo effetto, lo sapevi?»

«No» tentennò Anthony. Luna riusciva a mettere a disagio perfino uno come lui. «E’, ehm, grave?»

«C’è il rischio che ti si impiglino tra i capelli, e domattina potresti trovare sul cuscino qualche Nargillo spiaccicato. Non è molto carino» commentò svagata, puntando gli enormi occhi grigi sulla capigliatura corvina di Anthony. Lui si sentì talmente a disagio che si passò una mano tra i capelli, come se davvero ci fosse qualcosa. Che assurdità.

«E come si fa a mandarli via?» chiese, solo per non offendere Luna, come faceva ogni volta che si interessava a una sua conversazione. A parte questo, dopotutto, non era così male.

«Oh, dovresti solo pensare più piano. Puoi parlare con me, se vuoi. Aiuta ad alleggerire i pensieri» spiegò, con fare pratico.

«Oh, ehm…»

«A cosa pensavi?» lo aiutò lei, sedendosi sul davanzale accanto a lui, facendo leva sulle braccia. I ravanelli tintinnavano a ogni suo movimento.

«Beh…» cominciò Anthony. Del resto, che male poteva fare? «Pensavo che sto per fare una cosa stupida, che non vorrei fare, soprattutto per qualcuno per cui non vale la pena, però credo che lo farò lo stesso.»

Luna ascoltò attentamente ogni parola, facendo sentire Anthony un po’ a disagio, perché non si aspettava che lei lo prendesse tanto seriamente.

«Sì» disse infine Luna. «Si chiama amicizia, credo. O amore, dipende dai casi.»

«No, no, è un ragazzo. Un amico, intendo» specificò Anthony, mentre Luna annuiva comprensiva. «Nemmeno un amico, in realtà. E’ questo il problema, che mi ritrovo sempre a stargli dietro per tirarlo fuori dai guai anche se lui è un idiota e io non gli devo niente.»

Luna sgranò gli occhi. «E’ proprio amicizia, allora, e di quella più pericolosa! Sì, credo proprio che il tuo sia un caso di amicizia disinteressata, che non si aspetta nulla in cambio» spiegò, come se quello fosse il suo mestiere. «Dovresti fare attenzione.»

«Sì, infatti» concordò Anthony, un po’ scettico. «Sono andati via, i Nargilli?» aggiunse poi, ripensandoci.

Luna arricciò le labbra in una smorfia adorabile. «Sì, un po’, ma ce ne sono ancora parecchi. Ti consiglio di cantare una canzone finché non vanno via.»

«Ah, ehm…» Anthony si passò di nuovo una mano tra i capelli, il che era ridicolo perché non c’era assolutamente nessun Nargillo. Per sua fortuna Luna trovò qualcos’altro di cui sorprendersi, sostenendo che attorno al camino si era annidata una famiglia intera di Gorgosprizzo, e lui poté risparmiarsi l’imbarazzo di canticchiare qualche assurdo motivetto.

Distolse lo sguardo dalla figura minuta e fragile di Luna quando vide Mandy avvicinarsi. Tese le braccia e le portò a stringerle i fianchi quando lei fu vicina abbastanza.

«Ho qualche strano insetto tra i capelli?» chiese, un attimo prima che lei si sporgesse in avanti per baciarlo.

«No, non mi sembra» ridacchiò Mandy, un po’ perplessa.

Anthony sorrise fra sé e sé, la sua presa aumentò sulla vita della ragazza mentre la baciava.

Mandy era carina. Altezza nella media, sottile di corporatura, capelli castani che acconciava nei modi più diversi e occhi grandi e chiari. Era un po’ troppo fissata con la moda, le scarpe alte e i bei vestiti, e tutti dicevano che non fosse adatta a lui, perché era civettuola, frivola e si dava un sacco di arie.

Lui invece aveva l’etichetta di bravo ragazzo stampata a caratteri cubitali sulla fronte. Aveva un viso pulito e occhi azzurri e sinceri, andava bene a scuola ed era una di quelle persone destinate ad avere successo qualunque cosa facessero nella vita. L’anno precedente, con i Carrow, si era guadagnato una seconda targhetta identificativa, quella di ribelle, collezionando cicatrici e torture di cui non gli piaceva lamentarsi. Aveva ideali e forti principi, a Hogwarts lo stimavano tutti.

Tuttavia, a lui quella ragazzina un po’ stucchevole e leziosa di Mandy piaceva davvero. Era facile stare con lei, perché era innamorata e fedele, non litigavano quasi mai. Non che non avesse i suoi difetti, Mandy aveva un’indole naturalmente invidiosa e pestifera che la portava a ordire piccoli e per lo più innocui complotti al fine di liberarsi la strada da possibili rivali, soprattutto quelle che temeva potessero danneggiare la sua relazione con Anthony. Sapeva essere molto gelosa.

Per questo motivo teneva continuamente sott’occhio Morag MacDougal. Lo fece anche allora, allontanandosi delicatamente dalle braccia di Anthony, mentre osservava Morag entrare nella Sala Comune. Aveva il vestito inzaccherato di pioggia e i capelli umidi. Stringeva al petto la sua borsa e si diresse subito verso la scala che portava ai dormitori femminili senza salutare nessuno, giusto Luna che la accolse con lo stesso sorriso enorme con cui accoglieva tutti.

Mandy tornò a rivolgere il suo sguardo a Anthony. I suoi occhi si rabbuiarono un poco quando si accorse che lui aveva seguito la figura di Morag sparire oltre le scale.

«C’è qualcosa che ti preoccupa?» gli chiese, perché in effetti sembrava così.

Anthony negò con un cenno del capo. «Nulla» mentì, perché qualcosa c’era. Ma non era il caso di parlarne con Amanda.

Si voltò per guardare fuori dalla finestra. Nel vetro, vide riflessa la sua stessa immagine, quella di un ragazzo magro e pallido con gli occhiali, accanto al viso fresco e grazioso di Mandy. Cercò di andare oltre, oltre quelle facce che improvvisamente gli sembrarono assurde, guardò la Foresta.

Accidenti a Zacharias.

 

***

 

«Guarda che sei sempre in tempo.»

«Piuttosto la gogna pubblica.»

«Ti prenderai un raffreddore. Potrebbe ricominciare a piovere, e la temperatura si è abbassata terribilmente.»

«Figurati, un raffreddore…»

«Escono fuori i ragni quando il terreno è umido.»

«Non è vero, te lo sei inventato.»

«Ti giuro che è vero.»

«Ti aspetti che ci creda?»

«Diciamo che ci conto.»

Harry non ne poteva veramente più. Hermione e Ron avevano battibeccato per tutto il tragitto dalla Torre di Grifondoro al cortile, rendendo difficile, a lui che stava in mezzo, la consultazione della Mappa del Malandrino, per evitare di incrociare Gazza o la sua gatta malefica. In più, ormai erano cresciuti parecchio, e si stava stretti sotto il Mantello.

Per fortuna, stando alla Mappa, non c’era nessuno nei paraggi.

Harry individuò il rettangolo con la scritta “Zacharias Smith” a breve distanza da loro. Li aspettava all’ingresso del porticato, come stabilito. Poco più in là, invece, la Mappa segnava i nomi di Draco Malfoy e Augustus Barrett.

«Che brutta idea» commentò rabbioso Harry, chiedendosi come potevano, in una notte come quella, andare in cerca di casini anche ora che tutto era finito. Evidentemente ce l’avevano nel sangue.

Ron ebbe pure la bella trovata di far saltare in aria Smith afferrandolo per le spalle quando lui, ovviamente, non poteva vederli. Il Tassorosso sobbalzò e, se non fosse stato per il pronto intervento di Harry che gli mise una mano sulla bocca, avrebbe cacciato un urlo che li avrebbe fatti scoprire in un batter d’occhio.

Hermione sfilò il mantello dalle loro teste, lo ripiegò e lo diede a Harry.

«Non vi avevo visti» disse Zacharias, soffermandosi sul ghigno di Ron. «Idiota. Come avete fatto?»

«Magia» rispose Ron con un sorriso sornione, battendo alcune pacche sulla spalla di Smith, che ebbe il buon gusto di non fare altre domande.

«Malfoy?» chiese allora Smith.

«Più avanti, oltre l’angolo» rispose Harry. «Andiamo.»

Quando li raggiunsero, trovarono un Draco Malfoy particolarmente sobrio nel suo completo nero e nel mantello pesante, mentre Barry sembrava più che altro uno che passasse di lì per caso per chiedere indicazioni. Indossava abiti babbani sulle tinte accese del rosso.

«Qualcosa di meno vistoso?» suggerì Smith, squadrando dall’alto in basso Barry. Aveva i capelli ancora più sparati e in disordine del solito, probabilmente colpa dell’umidità.

«A nessuno di voi è venuto in mente di guardare le previsioni meteo prima di decidere la data dell’escursione?» si lagnò lui. «Sono di salute cagionevole, il freddo mi irrita la pelle» aggiunse con stizza, tirando fuori dalle tasche un berretto e cacciandoselo sulla testa.

Hermione guardò disperata quel gruppo senza capo né coda.

«Andiamo, prima che ci scoprano» si rassegnò a dire, afferrando Harry per un braccio e tirandoselo in avanti perché facesse strada.

A parte il rischio di affondare i piedi nel fango, cosa di cui Barry si lamentò ripetutamente, passare dal castello al limitare della Foresta senza essere visti non fu particolarmente difficile con quel buio e con quel freddo. I sei ragazzi rallentarono nelle vicinanze della capanna di Hagrid, e solo dopo essersi assicurati che tutte le luci fossero spente si spinsero oltre.

Oltrepassato il recinto di zucche di Hagrid, si trovarono all’inizio della Foresta. Tutti cercarono di guardarvi dentro, ma il buio era fitto e non si distingueva nulla.

«Non si vede un accidenti» bofonchiò Zacharias.

«E di chi è stata la geniale idea?» replicò a tono Harry, voltandosi verso il Tassorosso.

«Siamo sempre in tempo per tornare indietro» fece notare Hermione, osservando sospettosa gli alberi.

«Avete paura per caso?» s’informò Barry, con tono del tutto piatto, senza la minima traccia di provocazione. Ron la prese comunque come tale.

«Ti piacerebbe, vigliacco Serpeverde.»

«Puoi giurarci che mi piacerebbe, amico» lo assecondò Barry, più sincero che mai. «Così ce ne torniamo tutti in camera nostra e risolviamo la cosa con una stretta di mano e un bicchierino di brandy. Ci state?»

Non ci stavano. Fu chiaro dagli sguardi in cagnesco che Ron e Zacharias gli riservarono, mentre Draco, che da quando si erano visti era stato miracolosamente muto, sperava in cuor suo che qualcuno accettasse la proposta di Barry e della Granger di darsela a gambe. Non avvenne.

«Viscidi codardi» mormorò Ron. «Lumos.»

La punta della sua bacchetta si accese; gli altri imitarono il suo esempio. Poi, con un profondo respiro, Ron si addentrò nella foresta. Fu il primo. Zacharias lo seguì a ruota, così come Harry, che non poteva abbandonare il suo migliore amico, e Barry, che non voleva restare solo indietro.

Infine Draco e Hermione, seppur riluttanti, dovettero andare. Hermione si accorse che la mano di Malfoy che reggeva la bacchetta tremava impercettibilmente. Draco non brillava certo per coraggio, e Hermione ricordava di come a undici anni, per punizione, fosse stato costretto ad accompagnare insieme a loro Hagrid nella Foresta. Neanche allora aveva mostrato grande fegato.

Merlino, si disse Hermione. Possibile che in sette anni non avessero imparato niente?

Ron e Zacharias avanzavano in testa. Harry e Hermione stavano dietro e, per ultimo, Barry si attaccò al braccio di Draco, che lo scrollò via con irritazione.

«Drake» bisbigliò Barry, raggiungendolo di nuovo. «Tu ce l’hai l’assicurazione sulla vita?»

«La cosa?»

«Una volta mi era venuta l’idea di assicurarmi una parte del corpo. Gli attori famosi di solito lo fanno. Poi ho pensato che se mai avessi voluto assicurarmi qualcosa quello sarebbe stato l’inquilino del piano di sotto, comprendi? Però non so se è una cosa che si può fare. Oppure sì? In fin dei conti, è una parte del corpo come un’altra. Tu che ne dici, Drake?»

Diceva che avrebbe dovuto trovarsi ovunque tranne che lì, ecco cosa diceva.

Pansy l’aveva pregato di non andare. Anche Theodore gliel’aveva caldamente sconsigliato, ma lì per lì non era riuscito a ritirarsi. Aveva dimenticato quanto potesse fare paura, il buio.

Potter sembrava tutto sommato tranquillo. Dopotutto, lui a faccende come quella ci era abituato, senza contare che col culo stratosferico che si ritrovava sarebbe sempre riuscito a cavarsela. Weasley era il più deciso di tutti, la Granger sembrava incerta, e non aveva mollato il braccio dello Sfregiato neanche per un istante da quando avevano acceso le bacchette. Smith era strano, sicuramente spaventato, ma non voleva fermarsi. Barry, invece… beh.

«Siamo sicuri che questo luogo sia a norme igienico-sanitarie?» riprese infatti Barrett. «Avete pensato all’eventualità di un’infezione, qualora qualcuno dovesse farsi male e sporcarsi la ferita?»

«La vuoi piantare?» tagliò corto Zacharias, illuminandogli per un istante il volto pallido col fascio di luce che scaturiva dalla sua bacchetta.

«Quanto ancora abbiamo intenzione di camminare?» chiese invece Draco. «Se andiamo troppo oltre, poi non sapremo come tornare indietro.»

Harry, dentro di sé, sapeva che era vero. Era già da un pezzo che erano usciti dalla Mappa.

«Avanziamo solo un altro poco» rispose Ron. «Non possiamo rischiare di svegliare Hagrid.»

Camminarono ancora. Harry e Hermione si scambiarono parecchie occhiate d’intesa, di cui Ron parve non accorgersi. Barry era tutto un fremito; quando Draco spostò casualmente alcuni sassolini con la scarpa, lui lanciò un gridolino strozzato e balzò in aria, andando ad attaccarsi con entrambe le mani al braccio della Granger, che lo guardò un po’ male ma alla fine non disse niente.

«Non va già bene così, Ron?» fece Harry, lanciando occhiate furtive alle sue spalle, dopo dieci minuti senza fermarsi. Ron sembrò valutare il posto; era lontano a sufficienza perché nessuno potesse sentire i rumori degli Schiantesimi, il buio era pesto come in qualunque altra parte della Foresta e c’era in mezzo agli alberi uno spazio sufficiente perché lui e Malfoy potessero duellare.

Decisero che andava bene.

Ron e Draco si misero al centro, l’uno di fronte all’altro, bacchetta alla mano. Zacharias stava in piedi vicino a loro, per dare inizio al duello. Barry se ne stava seduto su un masso tra Hermione e Harry.

«In posizione» annunciò Smith; Barry alzò i pollici in direzione di Draco, ammiccando.

«Stringetevi la mano…» continuò il Tassorosso, e sia Ron che Malfoy lo guardarono truci.

«Solo se prima posso sputarci sopra» disse Ron, chiarendo quanta voglia avesse di toccare Draco.

Malfoy sembrava dello stesso avviso.

«Al mio tre» fece Zacharias, decidendo che si poteva anche fare uno strappo alla regola e saltare i convenevoli.

«Non mi sembra che ci siamo mai presentati» disse a un tratto Barry, rivolgendosi a Hermione. «Io sono Barry. Sei libera venerdì sera?»

«Uno… due…»

«Stupeficium!»

«Protego!»

Come da manuale, Malfoy aveva anticipato i tempi. Ron forse un po’ se l’aspettava, perché era stato veloce nel pronunciare il contro incantesimo, ma non veloce abbastanza per renderlo efficace.

Andò a cozzare per terra di schiena, dolorante. Si tirò subito in piedi.

«E’ sleale» ringhiò Harry.

«Certo che lo è» rispose Malfoy. «Ti aspettavi anche l’inchino, per caso?»

Ron scagliò una fattura contro Malfoy, mettendoci tutta la rabbia che aveva. Il ghigno sul volto pallido di Draco svanì nello stesso istante, mentre si affrettava ad evocare uno degli scudi annullanti di cui Twycross aveva parlato proprio quella mattina a lezione. Chissà, magari ne sarebbe stato contento.

«Confringo!»

«Levicorpus!»

«Incarceramus!»

«Pop-corn?» Barry passò un pacchetto sotto i nasi di Harry e Hermione, che rifiutarono cortesemente.

«Serpensortia!»

«Evanesco! Mi sto già battendo contro un serpente, Malferret, non c’è bisogno che ne Evochi un altro!»

«Mi sono sempre chiesto dove andassero a finire tutte le cose che vengono fatte Evanescere» borbottò Barry, con la bocca piena di pop-corn, osservando con interesse Ron e Draco, come se stesse assistendo a uno spettacolo teatrale.

Anche in quel momento, Hermione non riuscì a resistere al suo bisogno di rispondere a qualunque domanda.

«Non vanno da nessuna parte, spariscono e basta.»

«Così, pouf

Sgranocchiò un altro pop-corn.

«Come mai hai deciso di andare via dagli Stati Uniti?» chiese la ragazza.

«Lunga storia. Mafia gangster. Hanno sterminato tutta la mia famiglia. Ora sono sotto la protezione dell’FBI.»

«Scusate» li interruppe Harry, sporgendosi verso Hermione e Barry. «Mi piacerebbe sentire quando Malfoy o Ron verranno scagliati giù da un dirupo urlando per il dolore, quindi potreste abbassare la voce, per favore?»

Malfoy e Ron si battevano bene. Draco, dovettero ammettere Harry e Hermione, aveva tecnica. Magari era di moda tra i Purosangue educare i figli a duellare. Ron aveva dentro una rabbia incontenibile, e questo mandava lo stile di Malfoy a farsi benedire.

Ron si stava rialzando da terra. Draco lo aveva mandato a sbattere contro il tronco di un albero, cosa che dovette fargli molto male. Aveva un piccolo taglio sulla guancia sinistra.

Rispose a Malfoy con uno Schiantesimo ben piazzato, che non riuscendo a contrastare prontamente, Malfoy preferì scansare nascondendosi dietro il tronco di un albero. Trasse un sospiro, chiedendosi quanto ancora sarebbe durato.

Diversi fasci di luce rossa resero superflue le bacchette accese di Harry, Hermione e Zacharias, squarciando l’oscurità come lampi.

Harry dovette scansarsi e spostare Barry e Hermione di lato per evitare che il rimbalzo di una fattura di Malfoy li beccasse in pieno.

Quando tornò a guardarli, Harry vide che Ron era di nuovo a terra, e Malfoy gli stava davanti. Ron gli scagliò contro un incantesimo che lui subito parò, poi cercò di poggiarsi in fretta sul ginocchio per rimettersi in piedi.

Draco non glielo lasciò fare. Lo afferrò per il colletto, lo tirò in piedi di forza, facendolo sbattere contro un tronco.

«Solo bacchette, Malfoy!» lo riprese Zacharias. «Non puoi colpire l’avversario a mani nude!»

In compenso, Ron gli sferrò un pugno.

Malfoy indietreggiò, coprendosi con le mani il naso dal quale aveva cominciato a uscirgli del sangue.

«Ron!» saltò subito Hermione, consapevole che la situazione stava degenerando.

«E sta’ zitta…» le sussurrò seccato Zacharias, premendole una mano sulla spalla per farla sedere. Lei lo allontanò con sgarbo.

Malfoy si scagliò su Ron. Lo afferrò per le spalle, cercando di buttarlo a terra, e Ron fece lo stesso. Continuarono per alcuni secondi, Harry capì che da lì a poco sarebbe stato necessario dividerli, ma proprio mentre stava valutando o meno se agire, Malfoy, con uno strattone più forte degli altri, riuscì a liberarsi di Ron, spingendolo indietro. Nel tentativo di recuperare l’equilibrio, Ron mosse alcuni passi indietro, ma non si accorse del dislivello del terreno e, avendo poggiato male un piede, cadde all’indietro, scivolando e atterrando in una posizione orribile per la sua gamba che si piegò innaturalmente.

Harry e Hermione corsero subito a soccorrerlo, mentre Draco si teneva distante.

«Miseriaccia» imprecò Ron, tenendosi il ginocchio. «Accidenti. Miseriaccia.»

Hermione si inginocchiò vicino a lui, togliendogli le mani dalla gamba perché potesse vedere meglio. Barry e Zacharias li guardavano immobili, in silenzio.

«Mi sa che ho vinto» commentò poi con leggerezza Draco, con un lampo di soddisfazione nello sguardo. In quel preciso istante, Hermione desiderò mettere mano alla su bacchetta e Schiantarlo, o fargli del male, qualunque cosa pur di sfigurare il ghigno irriverente e del tutto fuori luogo di Malfoy.

«Il duello non è concluso, io sono il secondo di Weasley!» esclamò Zacharias, in direzione di Draco.

«Ma siete impazziti?» sbottò Harry. Guardò tutti a uno a uno, da Zacharias a Malfoy a Barry, che non aveva detto niente ma si prese ugualmente il suo disprezzo.

«Bisogna portarlo in Infermeria» disse Hermione. «Potrebbe essere una distorsione, una lesione all’articolazione… Io ve l’avevo detto.»

«Puoi camminare, rosso?» chiese Barry, con le mani sulle gambe, abbassandosi verso Ron.

«Non credo…» mugugnò Ron, affatto contento. Il suo sguardo carico d’ira era tutto rivolto a Malfoy.

«Cosa ti è saltato in mente?» strepitò Hermione, voltandosi di scatto verso Malfoy.

«Io?» Malfoy ricambiò le sue accuse con uno sguardo indignato e offeso. «Lui mi ha colpito sul naso! E non ho colpa io, se non riesce neanche a reggersi sulle sue gambe!»

«Chiudi il becco, Malfoy» ringhiò Ron, mentre Harry e Barry lo aiutavano a mettersi in piedi.

«Dobbiamo terminare il duello!» insistette Zacharias, parandosi di fronte a Ron, sorretto da un lato e dall’altro da Harry e Barrett.

«Dacci un taglio, Zacharias» lo aggredì Hermione. «Il duello è finito nel momento in cui hanno cominciato a prendersi a pugni!»

Smith fece per protestare qualcosa, ma Harry lo precedette con tono perentorio. Ne aveva abbastanza per quella sera, ne aveva passate così tante in quegli anni da averne abbastanza per una vita intera.

«Adesso torniamo al castello» disse perentorio. «Tutti quanti. Ron ha bisogno di essere medicato. Ora…»

Si bloccò. Infilò una mano nella tasca della sua felpa grigia, tastando inutilmente alla ricerca di qualcosa che non c’era. Hermione se ne accorse e lo guardò interrogativa.

«Hai…» Harry si schiarì la voce, poi si chinò verso Hermione per bisbigliarle qualcosa, mentre Zacharias imprecava ad alta voce dando calci alle pietre. «Hai preso tu la Mappa?» sussurrò.

«No, Harry» rispose lei. «L’avevi tu fino a mezz’ora fa.»

Capendo quale fosse il problema, Hermione sospirò pesantemente.

«Senti, lo capisco, ma dobbiamo portare Ron al castello, torneremo a cercarla, e faremo attenzione lungo la strada di ritorno, ti sarà scivolata di tasca e non te ne sei accorto, e…»

Ron era ferito. La Mappa non c’era, non era nella sua tasca e non ce n’era traccia nemmeno vicino al masso su cui si erano seduti né tra le foglie secche, e Ron era ferito, ed era tutto ciò di cui doveva preoccuparsi adesso.

Ma aveva perso la Mappa.

 

***

 

Quando, allo scoccare della mezzanotte, Anthony scese nella Sala Comune di Corvonero, sapeva che l’avrebbe trovata vuota. Sopra i tavoli c’erano alcuni libri abbandonati e una copia de La Gazzetta del Profeta di quella mattina. L’unico rumore al di là del silenzio era il crepitio del fuoco ancora acceso. Seduta di fronte ad esso, pallida e muta tanto da mimetizzarsi con la tappezzeria, Morag MacDougal non smetteva di guardarlo. Il baluginio delle fiamme sul suo profilo metteva in risalto le lentiggini e i riflessi rossi tra i capelli scuri. Aveva gli occhi più tristi di sempre.

Chiuse con gentilezza il libro di fiabe che teneva aperto in grembo, poggiandolo sulla poltrona e accarezzandone la copertina rigida e consumata agli angoli come avrebbe potuto passare la mano sul manto di un gatto.

«Immaginavo che non avresti resistito a lungo in pena per quel coglione.»

«Sempre più raffinata, vedo» ironizzò Anthony. «Ti fa male frequentare Daphne.»

«A te fa male frequentare Zacharias, ma non per questo mi rifiuterò di accompagnarti a cercarlo nella Foresta, stanotte» disse Morag, senza stupirlo. Si alzò in piedi. «Andiamo?»

Morag chiacchierava sempre di fate e folletti. Qualche volta, molto tempo addietro, Anthony si era ritrovato a sognare creature alate, mostri nati dall’unione di animali diversi, fanciulle dotate di artigli e giovani che grondavano sangue e si contorcevano nel fuoco. Poi aveva scoperto che era solo Morag che gli sussurrava racconti di fate e mostri all’orecchio, a quell’ora che era troppo tarda per definirla notte e troppo presto per chiamarla mattina. Proprio come lei, sospesa tra i sogni destati dalle illustrazioni di un libro di fiabe per bambini e le ombre dei cadaveri con cui era stata costretta a convivere.

Anthony allora si svegliava e trovava Morag stesa al suo fianco, che chiudeva piano il suo libro per bambini, senza far rumore, e poi chiudeva anche gli occhi e il resto della storia lo inventava lei, e ogni notte era un finale diverso per gli stessi protagonisti di sempre. Era il peso delle infinite possibilità che gravavano sulla sua testa e che la schiacciavano a terra, divisa tra l’influenza di fate e orchi, che volevano sopraffarla o solo prendersi cura di lei.

Non capitava mai che avesse paura, o lo abbracciasse, o piangesse. Stava bene nel suo vuoto tessuto ai ferri come un lugubre velo di lutto, era sempre fredda e aveva i capelli lisci a nascondere il volto e il sorriso.

Tutte le volte che la vedeva era così, immersa nella lettura di un libro di fiabe con quei capelli bruni e lunghi che le impedivano la vista degli altri e la celavano agli sguardi, così forse avrebbero smesso di bisbigliare di nascosto di lei.

Anthony incrociò le braccia al petto, assottigliò con curiosità lo sguardo, fissandola intensamente.

«Mi seguiresti nella Foresta a quest’ora di notte?»

«Goldstein, ti seguirei ovunque.»

Uscirono. Non era facile riacquistare la complicità che aveva con Morag un tempo. Lei era oltre in tutti i sensi, coperta da ragnatele che la avvinghiavano senza permettere che qualcuno potesse avvicinarla e sussurrarle parole dolci all’orecchio quando gli incubi erano troppi per sopravvivere.

Anthony aveva dimenticato come ci si sentisse a seguire quel folletto di Morag in piena notte, scorazzando per i corridoi e pregando di non essere visti. Aveva dimenticato il sapore della notte più gelida sulla pelle, come l’anno precedente quando fuggire dall’orrore della vecchia Hogwarts diventava l’unica strada per resistere.

Giunsero al limitare della Foresta Proibita e si fermarono. Anthony prese la mano di Morag.

«Hai paura?» le chiese, mentre gli occhi della ragazza erano fissi sulla Foresta. Lei strinse tra le sue dita fredde la mano di Anthony.

«No, non ne ho.»

 

***

 

N/A

1 L’incipit in corsivo del libro che Morag legge a Daphne appartiene a una fiaba norvegese, ‘A est del sole, a ovest della luna’ di Peter Christen Asbjørnsen e Jørgen Moe.

2 Morag MacDougal è un personaggio appena citato ne ‘La Pietra Filosofale’ durante lo Smistamento, tuttavia, al di fuori dei libri, la Rowling ha speso diverse parole su di lei. Io mi sono attenuta quanto più possibile a queste informazioni.

Stando letteralmente all’HP Lexicon, Morag è di origini scozzesi; la possiamo immaginare come una ragazza ‘alta, con gli occhi azzurri, le lentiggini e riflessi rossi tra i capelli scuri’. Quello che più mi affascina di lei è il fatto che il significato del nome richiami il sole e la luce, mentre il cognome faccia riferimento all’oscurità. Sempre secondo il Lexicon, dal momento che non è stata Smistata a Serpeverde, ma non la vediamo mai né all’ES né in generale tra coloro che supportano Harry, si può dedurre che non abbia ancora deciso da che parte stare. Morag sembrerebbe catturata tra la luce e le tenebre, per questo di tutti i personaggi citati nella ‘Classlist’ (in pratica un elenco di tutti i ragazzi dello stesso anno di Harry, redatta dalla Rowling e fonte di molteplici ispirazioni) è quello che mi incuriosisce di più.

3 Nel prossimo capitolo ci sarà più Draco/Hermione, prometto!

 

 

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Capitolo 5
*** Fairy Tales [Part #2 - Sinead] ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

5.

Fairy Tales

[Part #2 – Sinead]

 

 

 

Questo è il momento di avere paura dell'oscurità.”

(Neil Gaiman)

 

 

Are you looking for saviour

Chasing a dream?

Love turned to hate

Now I’m crossing the borders

Sealing our fate

But I’m not afraid

(Sinead, Within Temptation)

 

 

Nei suoi quasi otto anni di vita nel Mondo Magico, Hermione Granger ne aveva fatti di incontri strani. Aveva smesso di sorprendersi; dopo essersi ritrovata a cominciare ogni anno chiedendosi quale disgrazia sarebbe caduta sulla tua testa quella volta, aveva capito che non ne valeva più la pena. Eppure, era incredibile come il mondo le giocasse ancora di quei brutti scherzi.

Quella era, a buon diritto, la compagnia più strana con cui si fosse ritrovata a camminare nella Foresta Proibita nel bel mezzo della notte. E dire che ne aveva fatti di strani incontri nella Foresta Proibita, nel bel mezzo della notte.

Prima cosa: un Harry Potter troppo Harry Potter e un Ron Weasley troppo poco Ron Weasley.

Aveva notato un naturale e graduale cambiamento in Harry, com’era normale che fosse. L’aveva visto lottare, sacrificarsi, sperare, morire e ancora una volta tornare e combattere. Adesso, dopo aver concluso con onore la sua battaglia, le sembrava di vedere un Harry molto più simile a quello che aveva conosciuto a undici anni che a quello con cui aveva vissuto in una tenda per quasi un anno.

La guerra l’aveva svuotato. La morte delle persone che aveva imparato ad amare gli aveva lasciato una strana assenza dentro, che non era un vuoto incolmabile come quello di Ron o Ginny, era più un aver tirato fuori strenuamente ogni più intima briciola di sé, fino a lasciarne solo lo scheletro e la sua più sommaria essenza. Da lui era svanita la rabbia, la frustrazione, la collera, l’ardore. Magari non c’entrava nulla, magari era semplicemente stanco. Sì, stanco andava bene.

Ron non era mai stato meno Ron di così. Che qualcosa in lui non andasse l’avevano capito tutti; era arrabbiato. Ron Weasley aveva sviluppato un bisogno sconsiderato di distruggere tutto, di sputare contro ogni cosa per tutto quello che gli avevano tolto.

Aveva lasciato correre, quando un diario impregnato di magia oscura aveva quasi ucciso la sua Ginny ancora bambina.

Aveva fatto finta di nulla, quando un sistema già marcio e corrotto ancora prima che Voldemort vi mettesse mano gli aveva sottratto quel Percy che non era mai stato il suo fratello preferito, ma era stato un fratello e poi era improvvisamente diventato un estraneo.

Aveva stretto i pugni, quando si era ritrovato al capezzale d’un letto d’ospedale a tenere la mano di una padre che ancora sorrideva, nonostante tutto.

Aveva tremato di rabbia, quando una creatura che di umano aveva ormai ben poco aveva sfigurato il volto avvenente del suo fratello più grande, sulla soglia di un matrimonio e della realizzazione di tutto ciò che qualcuno potesse desiderare per la propria vita.

Ancora aveva taciuto, quando si era ritrovato a osservare sua madre curare, trattenendo le lacrime, l’orecchio mutilato di George.

Infine, qualcosa di lui era stato sepolto con Fred, il giorno in cui avevano calato quella bara nella terra.

Una volta, tre anni prima, Ron si era stupito, a proposito di Cho Chang, nel sentire che una persona potesse covare dentro di sé tante di quelle emozioni tutte insieme. Adesso se ne stupiva ancora. Perché aveva dentro tante di quelle cose che non riusciva neanche a dirle tutte, né a trovare per ognuna un nome, perché non c’era nome per quel che stava passando, e se mai avesse dovuto dare un nome a tutto quello, quel nome sarebbe potuto essere Fred, ma non era tutto, perché Fred era Fred e ormai Fred non era neanche più, non esisteva, non era più alla Tana a prenderlo in giro né al negozio a vendergli prodotti a prezzi più alti proprio perché era sua fratello, non era più da nessuna parte, non c’era più nessun Fred.

Aveva avuto ragione già allora, una persona non poteva sopportare quei sentimenti tutti quanti insieme.

Hermione e Ron non avevano più parlato di quel bacio.

Era quasi come fosse svanito, cancellato dalla testa e dal cuore di Ron come nulla fosse, e il dolore non lasciava spazio a un sentimento ingombrante come quello che in quel periodo aveva provato per Hermione, qualunque cosa fosse stata. Non era rimasto più niente. A stento era rimasto Ron.

L’altra bizzarra componente di quell’astrusa compagnia era ovviamente Draco Malfoy.

Hermione non se la sarebbe sentita di spiegare a nessuno la sensazione strana che provava nello stargli vicina. Non era una cosa che gli altri avrebbero potuto capire.

Come si poteva dirlo a parole? Come si poteva spiegare l’ammasso indistinto di paura, orrore e sofferenza, come un enorme grumo di sangue secco, il peso di un dolore che non voleva sparire, l’irrazionalità delle sue preghiere, delle sue speranze, la tragedia nei suoi occhi mentre qualcuno, che non era più nemmeno Bellatrix, non erano più neanche i Mangiamorte, era solo un incontenibile dolore, le succhiava via la dignità e quel poco di bene che c’era in lei e che la teneva desta, come si poteva togliere a una persona il bisogno stesso di respirare, barattandolo con un desiderio imbarazzante di morire, di essere uccisa piuttosto che sopportare tutto quello.

Come si poteva stare a guardare? Magari voltare il capo, coprirsi le orecchie, a volte solo di nascosto sbirciare, per chiedersi tra un respiro mozzo e l’altro se lei era ancora viva, se aveva smesso di urlare perché urlare non esprimeva quel dolore abbastanza, era un male paralizzante che lasciava inermi, intorpiditi in una supplica di morte.

Come potevano gli altri capire il misto di vergogna, tristezza, paura nel trovarsi accanto l’unica persona ancora in libertà e in vita ad aver condiviso con lei il suo dolore, quel Draco Malfoy che non era mai stato niente se non un compagno di scuola antipatico che si limitava a detestare, come poteva dire ad alta voce cosa significasse aggrapparsi disperatamente allo sguardo di qualcuno che non aveva mai avuto alcun valore prima, guardandolo improvvisamente con una minuscola, flebile speranza negli occhi, come se lui potesse aiutarla, come se lui fosse la cosa più umana, più vera e vicina che ci fosse in quella stanza, perché era l’unico appiglio che aveva della sua vita passata, di un insulto sibilato a denti stretti, di un ghigno odioso e arrogante e di tutta una serie di cattiverie e dispetti, era l’unico legame col suo mondo, perché la donna che la torturava con quel piacere perverso negli occhi non apparteneva certo al suo mondo, non potevano essere fatte della stessa care e dello stesso sangue, curioso, lo stesso sangue, quello stesso sangue per cui veniva con tanta ferocia torturata, e quel Draco Malfoy che era l’unica cosa che riusciva a guardare in quel momento, sperando in qualcosa, non sperava che l’aiutasse, sperava e basta, come sperano i condannati, aggrappandosi a qualunque scoglio, e lui che la guardava e mi dispiace, sembrava dire, e aveva paura tanta quanta ne aveva lei, mi dispiace, non voleva guardare, voltava il capo, mi dispiace, mi dispiace.

Hermione trasse un sospiro non appena si ricordò di respirare. Aveva trattenuto il fiato senza neanche accorgersene, cacciò via tutto, i suoi pensieri corsero di nuovo a quella inaspettata combriccola.

Zacharias Smith. Un tipo davvero strano. Lo detestava perché le ricordava Malfoy sotto certi aspetti, era ricco, Purosangue, prepotente e pieno di sé, di lui aveva sentito tante storie, in giro, era uno di quelli di cui le ragazze chiacchierano in bagno nella pausa tra un’ora e l’altra. Era presuntuoso, scettico e invadente, aveva sempre dubitato di Harry e a Hermione non piaceva la supponenza con cui trattava gli altri. Era solo un ragazzo detestabile. Non c’era nulla di male, in lui, dopotutto.

Quell’americano, quel Barry lì, era semplicemente fuori posto. Era sfacciato, eccessivo, inopportuno e volgare, vestiva sempre di rosso e da quel che aveva capito Hermione gli piacevano i cani, il bowling, il cibo dei fastfood e gli spaghetti western di Sergio Leone. Malfoy e Smith l’avevano guardato perplessi, solo Ron, in uno slancio di cortesia, aveva detto che lui non li conosceva e non ne aveva mai assaggiati.

Il ritorno sembrò a Hermione molto più lungo dell’andata. Harry, Zacharias e Barry aiutavano Ron a camminare, facendosi passare un suo braccio attorno alle spalle. Procedevano lentamente e più d’una volta rischiarono di scivolare, con Malfoy che da dietro li guardava soltanto senza muovere un dito. Hermione stava avanti, facendo strada e assicurandosi che non ci fossero dossi, ceppi nascosti e terreno scivoloso a causa del fango.

«Non arriveremo mai, di questo passo» si lamentò Zacharias, dando il cambio a Barry per sostenere Ron.

«Io l’avevo detto» sussurrò Hermione a denti stretti, spostando il ramo di un albero con la mano per passare.

Camminarono ancora. Le luci del castello non si vedevano ancora quando ci fu un fruscio di foglie; Hermione si bloccò, Harry alzò la bacchetta e Barry strillò.

«Che succede?» gridò isterico, di nuovo aggrappato a Hermione.

Ebbe appena il tempo di dirlo che ci fu un altro muovere di foglie. Era continuo, basso, costante e anche, da quel che sembrava, sempre più vicino.

«Sembra che strisci…» mormorò Malfoy, tendendo l’orecchio. A quella constatazione, sia Hermione che Zacharias rabbrividirono.

«Muoviamoci, presto» li incitò Harry, tenendo salda la presa su Ron e andando avanti.

Il rumore continuava. Loro aumentarono il passo, per quel che il ginocchio lesionato di Ron consentiva, e quel qualunque cosa fosse sembrò prendere velocità a sua volta.

«Che cazzo è?» fece Barry, terrorizzato. «E’ buio, non si vede un cazzo!»

«E forse è meglio così, andiamo» borbottò Zacharias, spingendolo in avanti.

Ron dovette fare una fatica immensa, zoppicando a stento per stare dietro ai passi veloci di Harry e Zacharias. Malfoy, che diventava incredibilmente veloce quando c’era qualcuno da cui scappare, stava in testa. Barry stava ancora appiccicato a Hermione, aggrappato alla sua vita. La ragazza lo guardò con disappunto quando una mano del Serpeverde scivolò con un movimento apparentemente involontario più in basso sul suo fianco, allora lei se lo scrollò di dosso e lui fu quasi sul punto di andare di nuovo ad aggrapparsi a Draco quando…

«Perché tanta fretta?»

Barry ebbe un sobbalzo e lanciò l’ennesimo urlo acuto nel vedersi improvvisamente di fronte la figurina alta, cupa e sottile di Morag MacDougal. Dietro di lei, Anthony Goldstein venne fuori dal buio.

Harry era bocca aperta e confuso, ma comunque sollevato di aver scoperto la causa di quei rumori. Ron, imprecando qualcosa di poco carino, si lasciò accasciare a terra, incapace di reggersi ancora in piedi nelle sue condizioni.

«Che ci fai qui?» disse subito Zacharias, rivolgendosi ad Anthony, il quale si strinse nelle spalle e si diede una pulita agli occhiali con un lembo del proprio mantello, poggiandoseli poi nuovamente sul naso.

«Me lo chiedo ogni volta» fu la tetra risposta di Anthony. Morag doveva avere una qualche strana influenza su di lui, perché, al pari di quella ragazza dai tratti affilati e spigolosi come un folletto, il suo viso sembrava stranamente pallido ed emaciato nelle tenebre della Foresta. O magari era solo il buio a mettere suggestione, si disse Zacharias.

«Ron si è lesionato un ginocchio» disse pratica Hermione, vedendo che Anthony si era chinato accanto a un Ron dolorante. Gli si mise accanto.

«Come?» chiese il Corvonero.

Hermione esitò.

«Colpa di quell’idiota lì» borbottò Ron, mentre con un cenno del capo indicava Malfoy, che se ne stava poggiato di schiena al tronco di un albero con aria indifferente.

Anthony preferì non dire nulla a riguardo, per evitare ulteriori battibecchi.

«Ora come la spieghi questa ferita a Madama Chips?» chiese Anthony.

«Ci inventeremo qualcosa, intanto dobbiamo arrivare al castello» disse Harry. «Forza, aiutami ad alzarlo…»

Anthony prese un braccio di Ron facendoselo passare attorno alle proprie spalle, mentre Harry faceva lo stesso. Con il viso teso per lo sforzo, Ron cercò di tirarsi in piedi facendo forza sulla gamba sana, ma sul momento di mettersi in piedi qualcosa attirò la sua attenzione. Qualcosa come una fiaccola… o una piccola lucciola in lontananza.

«Quello… quello cos’è?» borbottò, non riuscendo a prestare attenzione ad altro.

«Quello cosa?» chiese Harry, seguendo la direzione dello sguardo sgranato dell’amico.

Tutti si voltarono a guardare.

Qualunque cosa fosse, sembrava bellissima.

Lontano, tra i filari di alberi tanto alti da non distinguerne la cinema, c’era una figura bianca accovacciata su se stessa, che nascondeva il volto tra le mani. Le sue spalle ossute erano scosse da piccoli singulti, e lunghi e umidi capelli biondicci le ricadevano davanti al viso coperto e sulla schiena. Aveva una veste bianca lacera e strappata in più punti, che le lasciava scoperte le braccia, le spalle e le gambe bianchissime. Tutto quanto il suo corpo sembrava ricoperto di una spettrale sostanza o ombra giallastra, che lungi dal renderla raccapricciante la faceva apparire solo più disperata e triste.

Dei lamenti, come di fiera ferita, scossero maggiormente quel gracile corpo di ragazza. Hermione provò immediatamente l’impulso di andarla a soccorrere. Quasi senza accorgersene, mosse un passo.

«Che fai?» le chiese Harry, allarmato.

«E’ solo una ragazza, sembra che abbia bisogno di aiuto» rispose Hermione, ricambiando lo sguardo di Harry, perfettamente calma.

«Ma dobbiamo portare Ron…»

Barry fece schioccare incredulo la lingua, appoggiando un gomito sulla spalla di Draco con l’aria di chi la sapeva molto, molto lunga.

«Ma certo» borbottò, osservando Hermione che gli dava le spalle e osservava curiosa la figura femminile in lontananza, che continuava a lamentarsi e a gemere. Barry scosse la testa. «Logico. Uno si trova davanti una cosa palesemente inumana, spalmata di gelatina del correva l’anno 212 a.C., e anziché scappare, darsela a gambe, Schiantarla, mettersi le mani nei capelli, cosa fa? Le dà una mano. Questo, Drake, amico mio, è quel che io chiamo essere fottutamente rincoglioniti.»

Dal momento che Barry non si era preso la briga di abbassare la voce, e anzi guardava Hermione con aria vissuta e compassionevole, nel voltarsi la ragazza gli rivolse un’occhiata di fuoco.

«Sono informata su tutte le creature pericolose che popolano la Foresta Proibita, e quella ragazza laggiù non corrisponde a nessuna di esse. Solo perché non è umana, non merita forse il nostro aiuto? Non vedi che è in difficoltà?»

«Certo che lo vedo, sorella, e vedo anche i film horror» ribatté petulante Barry, mentre Malfoy ancora una volta si domandava di che accidenti stesse blaterando. «La ragazza ingenua mossa da buoni sentimenti è sempre la prima a morire, un classico» bofonchiò il ragazzo, cacciando fuori dalla tasca del giubbotto bordeaux il sacchetto di carta dei pop-corn.

Hermione lo guardò altezzosa, dandogli di nuovo le spalle e fissando ancora la creatura inginocchiata tra gli alberi. Il suo lamento era melodioso e straziante, il suo aspetto etereo e fragile. Non c’era nulla di malvagio, in lei.

Hermione mosse un passò in avanti. Morag, accanto a Anthony, trasalì.

La ragazza piangeva ancora. C’era qualcosa di incredibilmente malinconico in lei, come se dovesse sostenere sulle proprie esili spalle un peso insostenibile, e fosse schiacciata al di sotto di esso. Hermione provò nei suoi confronti una profonda tenerezza e un desiderio istantaneo di salvarla, proteggerla. Mosse un secondo passo, un terzo. Era sempre più vicina.

«Io non so se è una buona idea» osservò Ron, tremando leggermente, ancora sostenuto da Harry e Anthony.

Quando Hermione le fu di fronte, trovò che fosse bellissima. Era indubbio che non fosse umana, nessuna ragazza era capace di sprigionare tanta lucentezza. Era splendida; se da lontano quel contorno giallognolo e spettrale rivestiva il suo corpo come la pelle morta di un serpente, da vicino sembrava invece che l’adornasse d’oro. Con tutta la gentilezza di cui si sentiva capace, Hermione si abbassò per arrivare all’altezza del suo viso in lacrime.

«Non è affatto una buona idea» ripeté ancora Ron, preoccupato e paralizzato da quella visione. Provava solo una gran voglia di scappare; c’era troppa magia nascosta in quella Foresta, e dopo sette anni di Basilischi, Acromantule, Inferi e gente che faceva della propria anima uno spezzatino, aveva la pretesa di saperne qualcosa.

Malfoy si scosse di dosso Barry, che sgranocchiava pop-corn con fare irritante.

«Che mucchio di stronzate» sibilò nervoso. Dando uno spintone a Barry, che per un attimo vacillò sulle proprie gambe, cominciò a camminare verso Hermione e quella sottospecie di budino.

«Come ti chiami?» sussurrò dolcemente Hermione alla ragazza.

Lei singhiozzò, impaurita allontanò le mani dal viso, con esitazione. Il suo corpo magrissimo, con ossa che sporgevano da ogni parte, fu scosso da un altro fremito. Aveva occhi di un celeste opaco e chiarissimo, trasparenti e limpidi come le acque di una sorgente.

Morag sobbalzò nel vedere Malfoy avanzare con tanta decisione. Mosse un mezzo passo in avanti, trattenendo il respiro.

«Malfoy, fermati, è pericoloso!» lo avvertì, con una strana preoccupazione negli occhi. Gli altri si girarono a guardarla, perplessi.

La ragazza abbassò la testa, i capelli le ricaddero sul viso seguendo morbidamente i movimenti del suo capo.

«Mi chiamo Sinead» sussurrò, con voce da sirena.

All’avvertimento di Morag, Draco si bloccò, voltandosi per guardarla sprezzante e scettico.

«I tuoi cadaveri in cantina ti mandano in paranoia, MacDougal.»

«Malfoy, ti avverto…»

«Anthony, per favore.»

Barry scosse incredulo il capo. «E il cretino che non ascolta mai un cazzo di quello che gli dicono viene subito dopo. Tipico. Il prossimo è lo sbruffone col cervello intasato. Smith, preparati, tra poco tocca a te.»

Hermione mosse in avanti una mano quasi volesse accarezzare la pelle di cera di Sinead. Lei non si mosse di un soffio, ma a un niente dai suoi capelli la Grifondoro ritrasse la mano.

«Cosa sei? Posso aiutarti?»

«Granger, piantala.»

Hermione sussultò nel trovarsi Malfoy alle sue spalle. Sinead si rannicchiò ancor di più su se stessa, osservando Draco con occhi terrorizzati e cattivi.

«Sarà uno stupido poltergeist che vuole attirare l’attenzione del primo deficiente che passa di qua, per cui adesso muoviti, non voglio perdere il mio tempo con te e con questo inutile folletto!»

Sinead emise un lamento più stridulo dei precedenti, ricominciando a piangere, così forte che Hermione e Draco per un attimo dovettero quasi coprirsi le orecchie per il graffiare atroce di quelle strilla. Poi la Grifondoro si tirò di nuovo in piedi, ponendosi tra Sinead e Malfoy.

«Sei solo un presuntuoso ragazzino viziato, Malfoy» lo attaccò. Improvvisamente avvertì una vampata d’odio e irritazione investirla per intero, e tutta la sua rabbia fu rivolta verso quel Serpeverde che aveva ai suoi occhi troppe colpe. «Avresti dovuto ascoltarmi stamattina quando ti ho chiesto di ritirarti dal duello, e invece guarda in che situazione ci siamo cacciati per colpa tua!»

«Per colpa…» Draco la guardò sbigottito e infuriato. In quel momento, Hermione più che mai desiderò cancellargli quell’orribile ghigno dalla faccia. «Per colpa mia, Mezzosangue?»

«Hai spinto Ron, si è ferito per causa tua!»

Sinead urlò più forte.

«E’ stato lui a sfidarmi!»

Hermione si sentì invadere da una collera inarrestabile. Merlino, cosa avrebbe dato per farlo smettere una volta per tutte.

«Dovresti mostrare un minimo di riconoscenza!» gli sbraitò contro, quasi senza far caso al repentino cambiamento negli occhi di Draco. «A quest’ora saresti morto senza di noi, ti abbiamo salvato quando tu ci avresti lasciato morire, non fai altro che pavoneggiarti quando invece dovresti solo chiedere scusa!»

Malfoy tacque, le labbra schiuse nell’atto di dire qualcosa che gli rimase impigliato nella gola. Neanche allora Hermione si accorse del lampo di umiliazione e vergogna nei suoi occhi chiari.

«Non hai la più pallida idea di cosa darei per toglierti quel sorriso beffardo dalla faccia» sibilò ancora, caricando ogni parola di un odio che, nonostante tutto, Malfoy non l’aveva mai sentita provare nei suoi confronti.

A quel punto, Sinead urlò così forte che tutti dovettero coprirsi le orecchie per non assordarsi.

Solo Morag, in quel caos, trovò la forza di gridare con tutto il fiato che aveva in gola, ma la sua voce neanche risuonò nel frastuono stridente delle urla di Sinead.

«Idioti, toglietevi di mezzo, è una fata!»

Sinead esplose d’un colpo, in una luce argentea che per un istante schiarì la notte. I capelli biondi e lunghissimi le avvolgevano il collo e le spalle come le spire di un rettile.

Hermione non ebbe bisogno di sentire le urla di Morag per comprendere che era ora di levarsi di lì. Afferrò un lembo del mantello di Malfoy per strattonarlo lontano da Sinead. Quando la guardò la fata era in piedi, anche se pareva si librasse a pochi centimetri dal terreno. I suoi occhi vitrei puntarono Malfoy.

«Scappate, deficienti!» gridò ancora una volta Morag, prima che l’ennesimo verso stridulo della creatura coprisse il suono della sua voce. A quel punto Malfoy non se lo fece ripetere due volte. Diede le spalle alla fata e cominciò a correre, e anche Hermione, osservando il modo in cui Sinead sembrava improvvisamente volersi scagliare in loro direzione, fuggì d’istinto, mentre dietro sentiva anche la voce di Ron intimarle di correre via.

Con una velocità che nessuno di loro si sarebbe mai aspettato per una creatura debole ed evanescente come quella, Sinead cominciò a seguirli, mentre i suoi versi da arpia squarciavano la notte. Harry, mollando Ron alla sola presa di Anthony, sguainò la bacchetta e la rincorse a sua volta. Le lanciò alcuni Schiantesimi, che la mancarono tutti, fino a quando uno non la colpì facendola cozzare a terra con uno strepito e un gemito acuto. Non appena si fu ripresa, la fata si girò rabbiosa verso Harry, fissandolo con occhi gelidi.

«Via, Potter!» gli urlò Smith, un istante prima che Sinead esplodesse in un altro grido lanciandosi alla rincorsa di Harry.

Combattendo contro le fitte al ginocchio, Ron, sostenendosi come meglio poteva a Anthony, Morag e Zacharias, cercò di velocizzare il passo. Barry aveva lasciato cadere all’istante gli ultimi pop-corn rimasti, mentre se la dava valorosamente a gambe.

«Stupeficium!» urlò Harry, quando la fata fu di fronte a loro. Non la colpì, così puntò di nuovo la bacchetta.

«Ma sei matto?» ringhiò Morag, abbassandogli bruscamente il polso. «Come ti viene in mente di Schiantare una fata, la farai solo infuriare di più!»

«E cosa dovrei fare allora?» le urlò di rimando Harry.

Barry, allibito di fronte a un tale scempio di intelligenza, gettò un’imprecazione.

«Quello che avremmo dovuto fare fin dall’inizio, Scarface, levare le tende!»

Sinead tornò ad attaccarli. Loro ripresero a correre. Harry fece del suo meglio per sostenere Ron che imprecava e gemeva, cercando di non sforzare troppo il ginocchio. Non resistette più, e anche col sostegno di Harry e Anthony rovinò a terra, scorticandosi i palmi delle mani.

«Cazzo…»

Ma fu un attimo. Sinead si arrestò, come se avesse fiutato qualcosa nell’aria. Loro si fermarono, e solo Morag sembrò intuire qualcosa. La fata rimase immobile per un istante, poi, stupendoli tutti, fluttuò via, sparendo tra le ombre della Foresta.

«Se n’è andata» sussurrò Harry, incredulo. «Perché?»

Morag gli indicò rapidamente un punto alle sue spalle.

«Le luci del castello. Ancora qualche minuto di cammino e poi saremo fuori dalla Foresta.»

Era vero. Le tenebre erano ancora fitte, ma in fondo, oltre gli alberi, tutti potevano scorgere il profilo delle torri di Hogwarts e le luci accese che rischiaravano la facciata.

«Merlino, grazie» esalò Zacharias, abbandonandosi per terra con la schiena contro il tronco di un albero, esausto. «Siamo arrivati.»

Ron, accasciatosi accanto al Tassorosso, guardò in direzione di Harry, incontrando uno sguardo che, esattamente come il suo, di sollevato aveva ben poco.

Anthony, capendo al volo, come se si fosse accorto solo in quel momento che qualcosa non quadrava, soffocò un’imprecazione tra i denti.

Barry scartò una confezione di uvette.

«Già. Peccato che ci siamo persi il signor Darcy e Miss Bennet» fece notare tranquillo, prendendo una manciata di uvette e cacciandosele in gola.

Harry fissò Ron terrorizzato.

E adesso come li ritrovavano Draco e Hermione?

 

***

 

And I, I feel the end near, I’m no fool

Getting closer

But I’m doing what I should.

I’ve been drowning in sorrow

Chasing tomorrow, running away

(Sinead, Within Temptation)

 

 

Corsero a perdifiato.

Hermione sentì alle sue spalle il suono di diversi Schiantesimi, fece per arrestarsi ma Malfoy la afferrò per la manica del mantello tirandola via. Il pensiero che si stesse preoccupando per la sua incolumità non la sfiorò neanche di striscio, mentre continuava a fuggire; conosceva la proverbiale codardia di Malfoy e ricordava come già al primo anno avesse preteso la compagnia di Thor, il grosso cane di Hagrid, troppo spaventato per aggirarsi per la Foresta Proibita da solo.

Le strilla agghiaccianti di Sinead erano così forti che Hermione non riuscì più a capire se allontanarsi ancora sarebbe servito a non sentire le urla. Aveva come l’impressione che quella voce squarciasse per intero la foresta, e dovunque fossero andati quella grida li avrebbero seguiti come se quella incredibile creatura fosse stata ancora dietro di lei.

Malfoy, in compenso, non parve perdersi in ulteriori elucubrazioni; corse fino a non avere più fiato, fino a sentir le gambe cedere, e solo quando l’unico rumore furono i loro passi frettolosi che calpestavano le foglie secche, Draco si fermò. Hermione fece lo stesso, appoggiandosi al tronco di un albero per riprendere fiato. Malfoy fu più rapido di lei nel riprendersi, infatti, mentre la Grifondoro si lasciava scivolare per terra, incurante di sporcarsi i pantaloni di fango, lui cominciava a guardarsi intorno per recuperare un minimo di orientamento. Lei lo guardò, ansiosa, seguendo il suo esempio e gettando occhiate veloci qua e là.

Alberi, alberi, buio, foglie, rocce, alberi, alberi, buio, alberi.

Nulla che rappresentasse per lei un punto di riferimento.

«Cazzo» mormorò Draco, che le dava la schiena. Hermione realizzò in quell’istante quanto fosse alto, o forse era solo un’impressione data dal buio, dai colori scuri del suo abbigliamento, o dal fatto che lei fosse rannicchiata per terra.

«Cazzo, cazzo, cazzo…»

Lui cominciò a dare calci alle pietre. Una sbatté contro un pezzo di roccia ricoperta di felci che sbucava dal terreno, e il suo trotterellare fu l’unico rumore che risuonò nella Foresta, ora silenziosa. Hermione lo trovò inquietante, e nonostante tutto, pur con tutte le situazioni peggiori che era stata costretta ad affrontare, ebbe paura.

Si era ritrovata a fronteggiare nemici, brandendo una bacchetta e sfidando maghi molto più grandi e potenti di lei, arrivando sempre a scansarsi d’uno spiraglio da un Anatema Che Uccide. Aveva visto Basilischi, Mangiamorte e assassini, subito torture inenarrabili ma…

L’oscurità era un’altra cosa. Era una di quelle paure irrazionali che ci si porta dietro fin da bambini, e che non si cancellano mai del tutto. Un mago con la bacchetta poteva essere ucciso o ferito, il buio era inevitabile. Strinse le ginocchia al petto.

Malfoy aveva smesso di prendere a calci tutto. Le dava ancora le spalle e teneva la testa china.

«Cosa facciamo adesso?» sussurrò Hermione, accorgendosi che le tremava la voce.

Malfoy non le rispose.

«Possiamo incamminarci di nuovo» continuò, visto che lui taceva. «Girare a vuoto, forse così potremmo avvicinarci al castello o…»

«… addentrarci di più nel cuore della Foresta, sì, magnifico» concluse Draco per lei. «Magnifico» ripeté ancora.

Rimasero in silenzio. Entrambi tesero le orecchie alla ricerca di un suono, uno spostarsi di foglie, una voce o uno dei loro nomi gridati ad alta voce che potesse significare in qualche modo che gli altri erano vicini. Attesero, ma la Foresta era più silenziosa che mai.

«Di sicuro torneranno a cercarci, insomma, quanto potremmo esserci allontanati?» disse Hermione, cercando una conferma nel profilo impassibile di Draco, che non la guardò nemmeno.

Che strano. Hermione si era aspettata di sentirlo strepitare, lagnarsi come una bambina, rivolgerle contro accuse di tutti i tipi o anche solo frignare in preda al terrore. Invece Malfoy se ne stava immobile, in piedi, con le braccia abbandonate lungo i fianchi, senza trovare nulla da fare o da dire, semplicemente arreso, mentre quella che lasciava trapelare la paura da un tono di voce tremante era lei. Questo non se l’era proprio aspettato.

Il comportamento di Malfoy la innervosì ulteriormente. Non le era di nessun aiuto.

«Cosa facciamo?» domandò ancora Hermione, scrutandone il profilo, in attesa di un cenno, di una lamentela, un insulto, qualcosa.

Malfoy girò appena il viso verso di lei, senza smettere di darle le spalle.

«Non lo so. Sei tu quella di cui parlano sempre la mattina dopo a scuola, lodando il tuo incredibile ingegno che tira sempre fuori dai casini Potty e Weasel. Non trovi nessuna soluzione intelligente adesso?» chiese retorico, e non senza una punta d’insolenza nella voce.

Hermione non trovò nulla di sufficientemente tagliente da ribattere. Si limitò a tenere la bocca chiusa, almeno fino a quando non vide Malfoy sedersi su una roccia di fronte a lei, permettendole finalmente di guardarlo in viso, per quel che le tenebre le consentivano. Hermione attese alcuni secondi che trascorsero lentissimi, poi non riuscì più a trattenersi.

«Insomma… non facciamo niente?»

Malfoy tacque.

«Aspettiamo… e basta?» riprese allibita. «Aspettiamo cosa, poi?» aggiunse ripensandoci.

Malfoy non sembrava avere la minima intenzione d’essere d’aiuto.

«Bene» sibilò allora Hermione. «Bene. Resteremo qui fino a quando non sarà giorno e Harry e Ron saranno costretti ad avvertire la McGranitt che dovrà venire a prenderci e subito dopo ci espellerà. Bene. Io l’avevo detto.»

Passò mentalmente in rassegna tutti gli incantesimi che conosceva, comprendendo che qualunque incantesimo di orientamento non sarebbe valso a nulla considerato che non sapeva neanche se Hogwarts si trovasse a nord o a sud di lì. Certo avrebbe potuto far sprizzare scintille dalla punta della sua bacchetta, in modo da indicare la loro posizione, ma quello avrebbe sicuramente destato l’attenzione di qualcuno al castello, così decise di conservarla come ultima risorsa, qualora non avessero trovato un modo per tornare senza farsi scoprire e, conseguentemente, espellere.

«Pensi davvero che la McGranitt potrebbe far espellere te?» chiese Malfoy, guardandola scettico.

Hermione ricambiò con un’occhiata altezzosa e fiera.

«E’ incredibile come la logica dei favoritismi e delle raccomandazioni sia tanto profondamente radicata in te, Malfoy» replicò lei, sciorinando la sua parlantina da libro di testo. «Noi a Grifondoro non siamo abituati a ricevere trattamenti esclusivi solo perché portiamo un nome piuttosto che un altro.»

«Sì, certo» borbottò Draco, con una smorfia amara, distogliendo lo sguardo e poggiando le braccia sulle sue ginocchia. Avrebbe avuto più d’un argomento per ribattere, come, tanto per esempio, ricordarle che loro non avevano subito alcuna ripercussione al quinto anno dopo aver praticamente mandato all’aria la sezione più importante e pericolosa del Ministero, per non parlare di tutte le volte che avevano infranto le regole senza beccarsi alcuna punizione solo perché lo facevano per una giusta causa, che scusa pateticamente squallida.

Hermione continuò a guardarlo con cipiglio saccente, ma c’era qualcosa di nuovo e insolito in Malfoy che la convinse a non proseguire.

Perché non si lamentava? Perché non straparlava come al solito di come gliel’avrebbe fatta pagare, una volta fuori da lì, per qualcosa di cui lei non aveva neanche colpa? Perché, semplicemente, non si comportava da Malfoy?

La sua arrendevolezza nel cedere alle accuse la stupì. Era una prerogativa di Malfoy quella di insistere a sproposito anche quando era palesemente nel torto. Ora, invece?

Hermione avrebbe preferito che lo facesse. Che dicesse qualcosa, anche di antipatico, sarebbe andato bene lo stesso. I minuti successivi passarono nel più totale silenzio, e Hermione odiava il silenzio.

Meglio, amava la quiete della biblioteca, e il piacere di leggere un libro sulle rive pacifiche del Lago Nero; le piacevano i luoghi appartati e tranquilli, lontani dalle banali chiacchiere frivole di Calì e Lavanda.

Quello che non le piaceva era il silenzio pesante e tagliente tra due persone che non sanno cosa dirsi. Come il primo giorno di scuola, sul treno, quando Lavanda era entrata nel loro scompartimento.

Hermione non si riteneva una persona timida, aveva una cultura e una gamma di interessi sufficientemente estesa per potere sostenere con sicurezza e competenza qualunque conversazione. Non era abituata a stare in compagnia di qualcuno senza parlare, esprimere le sue idee, perché lei aveva sempre un’osservazione acuta da fare, un’obiezione da porre, una spiegazione da dare a chi ne sapeva meno di lei.

La consapevolezza di non aver mai veramente parlato con Draco Malfoy un po’ la sorprese, perché era una di quelle cose a cui non aveva mai pensato.

Certo si erano rivolti insulti, e si erano dette tutte le cose più cattive che ci si potesse dire; avevano litigato più volte, e quel giorno stesso lei era andata a cercarlo al campo da Quidditch, ma anche quella conversazione era scaduta in una sequela di insulti e provocazioni. Adesso, bloccata nella Foresta Proibita in compagnia di Draco Malfoy, si rendeva conto di non avere nessun argomento di cui discutere con lui. Il che non avrebbe rappresentato un problema, considerato che le chiacchiere erano l’ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, ma quel silenzio la metteva a disagio. Così come la metteva a disagio il fatto di trovarsi accanto quell’unica persona che aveva potuto guardare quella sera a Malfoy Manor, e non trovare in alcun modo le parole per dirgli… cosa? Aveva esitato con Bellatrix nel riconoscerli, non era abbastanza?

Per la prima volta in vita sua si chiese chi fosse Draco Malfoy. Fu solo uno di quei pensieri assurdi che la coglievano quando il suo cervello arrivava a troppe conclusioni diverse, e tutte esatte, ogni volta che ragionava con tanta intensità fino a perdersi nelle sue stesse considerazioni.

Pensava, e ne era convinta tutt’ora, di conoscere Malfoy. Oh, non aveva dubbi che bisbetico, prepotente, esibizionista e viziato sintetizzassero in maniera esaustiva il suo pessimo carattere, però, per un solo istante si chiese come potesse essere per i suoi amici. Di che accidenti parlavano quando si riunivano la sera nella loro Sala Comune? Credeva di sapere più che bene con chi avesse a che fare, e invece quella notte Hermione comprese che se qualcuno le avesse mai chiesto che tipo di persona fosse Malfoy, non avrebbe saputo far altro che ripetere le stesse voci che sentiva in giro.

«Malfoy…» esitò.

«Che vuoi?»

«C’è qualcuno.»

Sì, perché aveva effettivamente sentito qualcosa muoversi tra le foglie, non molto distante da loro. Draco inizialmente sembrò non volerle neanche prestare attenzione, ma quando un fruscio più vicino dei precedenti giunse anche alle sue orecchie, scattò in piedi quasi nello stesso momento di Hermione.

La Granger aveva ragione, c’era qualcosa che si muoveva.

Hermione si fece istintivamente indietro, avvicinandosi al ragazzo che si guardava intorno nervoso e impaurito. Estrasse la bacchetta, ma non avrebbe saputo neanche in che direzione puntarla.

«Sembra…» iniziò Hermione, ma si fermò per tendere l’orecchio quando ci fu un altro spostare di foglie e sassolini.

«E’ lo stesso rumore di prima» la precedette Malfoy.

«Quando sono arrivati Anthony e Morag» aggiunse Hermione, senza trovare neanche il coraggio di covare quella speranza.

«Non credo che stavolta siano loro» sussurrò infatti Draco, alimentando il timore di Hermione.

Aveva avuto ragione Draco, prima, aveva il suono di qualcosa che striscia. Un serpente, forse? Hermione lo sperava, non sarebbe stato difficile mandarlo via.

I rumori erano sempre più veloci, più vicini. Hermione si guardò confusamente attorno, passando in rassegna il sottobosco, qualunque cosa fosse li stava raggiungendo, lei si tenne pronta, alzò con maggior fermezza la bacchetta.

«Che diavolo è quello?»

Fu Draco a parlare. Hermione si voltò rapidamente, accorgendosi all’istante cosa stesse osservando Malfoy.

Era di dimensioni contenute, e comunque per nulla maestoso come ci si aspettava dagli esemplari di quella specie. Aveva un corpo allungato e sinuoso, rivestito interamente di lucide squame screziate di verde e oro. Aveva una coda molto lunga e gli scatti e i movimenti di un serpente, col quale sarebbe stato facile confonderlo se non fosse stato per le due corte zampe sul davanti e per le piccole ali che sbucavano dal dorso. Gli occhi erano gialli e tagliati verticalmente da una vispa pupilla nera. In bocca, tra le zanne e i denti appuntiti, teneva un foglio di pergamena vecchio e consunto.

Hermione guardò ripetutamente Malfoy, col quale scambiò una rapida occhiata, prima di guardare di nuovo ai suoi piedi.

«Quello…» Hermione deglutì. «Quello è un drago?»

 

***

 

Harry si mise le mani tra i capelli.

Non riusciva a credere di essersi perso Hermione.

Ancora dentro la Foresta, ma abbastanza vicino al suo confine in modo da non perdersi ancora e non temere troppo le tenebre, Zacharias camminava avanti e indietro da almeno dieci minuti buoni. Morag MacDougal era seduta accanto a Ron, che si teneva il ginocchio contraendo l’espressione del viso per trattenere il dolore. Barry sedeva dall’altro lato, appuntando qualcosa su un taccuino.

«Cos’è quello?» gli chiese Morag, sbirciando le pagine.

Barry sorrise, riponendo la stilografica. «La mia autobiografia.»

«Bisogna tornare indietro a cercarli» disse Anthony, rivolto a Harry. Quest’ultimo annuì, guardando però in direzione di Ron.

«Ci divideremo» propose Anthony, pragmatico. «Morag, Zacharias e Barry accompagneranno Ron in Infermeria.»

«Contaci» fece ironica Morag, guadagnandosi un’occhiataccia da Ron.

«Sicuro, amico» replicò con egual sarcasmo Barry, scrivendo un’altra riga sul suo taccuino.

«E come lo spieghiamo alla Chips quel ginocchio, esattamente?» obiettò perplesso Smith.

«Io non ho intenzione di farmi espellere» insistette perentoria Morag.

«Io ho sonno» sbadigliò Barry.

«Direte la verità, che Ron e Malfoy si sono sfidati a duello e Ron è rimasto ferito. Tacete solo sul piccolo dettaglio della Foresta. Io e Harry torniamo a cercare Malfoy e Hermione» propose Anthony.

«Un momento» lo interruppe Barry. «Perché voi due ve la scansate mentre noi ci becchiamo l’ira della vecchia?»

Zacharias non disse nulla, ma sembrava dello stesso avviso.

«Vuoi venire di nuovo là in mezzo con noi, forse?» replicò Harry, al limite della sopportazione, mettendo a tacere il Serpeverde.

«E se qualcuno ci chiede di Malfoy?» osservò Morag.

«Appunto, vorranno spennarlo vivo subito» convenne Barry, appuntando la parola “spennarlo” sul suo diario e sottolineandola due volte.

«Beh, inventatevi qualcosa» sbottò Harry. «Dite che è scappato, che è morto, che è tornato nella sua Sala Comune… Siate un po’ creativi, no?»

Barry appuntò “creativi” con una certa stizza.

«Forza, muoviamoci» disse infine Zacharias, porgendo una mano a Ron per aiutarlo ad alzarsi. «Ma se non li trovate entro un’ora, tornate indietro.»

Harry e Anthony fecero segno di sì con la testa.

Poi, tra gli insulti di Barry e le repliche di Morag, si divisero.

 

***

 

La cosa veramente buffa di tutta quella faccenda era che i draghi erano un’altra di quelle cose su cui Hermione aveva deciso, dopo l’anno precedente, di mettere una bella pietra sopra. Ora invece eccola lì, a chinarsi vicino a quel piccolo esserino sinuoso che sembrava porgerle quel che teneva in bocca.

«Da quando tutta questa empatia con le creature della Foresta, Granger?» chiese Malfoy, vedendo come la ragazza si era abbassata vicino a quell’orrido e squamoso essere.

«Non sembra pericoloso» osservò Hermione, vedendo come il drago muoveva la coda e la testa. Magari era ancora un esemplare troppo piccolo.

«Neanche l’arpia di prima lo sembrava» notò ragionevolmente Draco. «Che diavolo stai facendo?» aggiunse poi, quando Hermione tese esitante la mano verso il drago. La avvicinò con cautela, ritirandola con uno scatto quando quello emise un piccolo sbuffo di fumo dalle narici. Ma accorgendosi che si era trattato al massimo di una specie di starnuto, Hermione porse di nuovo il braccio. Lentamente, afferrò con due dita il vecchio foglio di pergamena che il drago stringeva tra i denti.

«Un foglio di pergamena?» fece Malfoy, quando la ragazza se lo rigirò tra le dita. «Che ci fa un drago con un foglio di pergamena?»

Voleva restituirlo a Harry, suggerì una vocina dentro Hermione, che lei cercò di sopprimere perché a dir poco assurda. Però non aveva dubbi, quella che aveva in mano era proprio la Mappa del Malandrino che Harry sosteneva di aver perso, e se non erano stati Anthony e Morag a causare quei rumori prima, allora quel cucciolo di drago li seguiva già da un po’.

Sembrava davvero innocuo. Non come Sinead, era innocuo davvero. Girava su se stesso emettendo strani sbuffi di fumo, con dei versetti che ricordavano più i sibili di un serpente che i raschianti versi di Norberto. Camminava quasi strisciando, aiutandosi con le piccole zampe che aveva sul davanti.

Draco si ritirò quando il drago avanzò verso di loro, ma Hermione rimase ferma e quello cominciò quasi a strusciarsi contro le sue scarpe, come una specie di gatto.

Sia Draco che Hermione osservarono perplessi.

«Siamo sicuri che sia un drago?» chiese Malfoy, sempre più scettico quando Hermione tese una mano e quello non si spostò né si indispettì, anzi arcuò il dorso per lasciare che la mano di Hermione scorresse delicatamente sulle sue squame. La ragazza ritirò con un mezzo brivido il braccio, perché non era un contatto a cui era abituata e di primo acchito le causò un po’ di ribrezzo.

«A me sembra solo una vipera troppo cresciuta» insistette Malfoy.

Il drago, o presunto tale, emise un altro dei suoi strani versi e si spostò di lato. Un po’ strisciando, balzando o tentando una specie di volo che risultò più che altro un discutibile balzo, si allontanò da loro di qualche metro. I due ragazzi rimasero immobili, ma quello voltò indietro il muso e sibilò ancora qualcosa. Poi continuò ad avanzare di qualche passo balzando infine sopra un ramo più basso degli altri.

«Credi sia possibile…» cominciò Hermione, vedendo come il drago continuava a gracchiare versi in loro direzione. «… che voglia che lo seguiamo?»

Il drago balzò sul ramo di un albero vicino, sbattendo velocemente le sue piccole ali.

«Se anche fosse?» obiettò Malfoy.

Guardò sospettoso quella piccola creatura magica. Nella Foresta Proibita c’era di tutto, centauri, licantropi, fate, poltergeist, acromantule, thestral, folletti e chissà quante altre assurdità di cui lui neanche conosceva il nome, ma non draghi. Non c’erano mai stati draghi nella Foresta, di questo era certo. Per cui, mettersi di punto in bianco a seguire un orribile drago domestico non gli sembrava la soluzione più azzeccata.

«Tu hai altre alternative per uscire fuori di qui?» lo rimbeccò Hermione, muovendo un passo in avanti. Il drago lanciò un altro dei suoi versi.

«Chi ti dice che voglia aiutarci?» disse Draco.

Ma lei si strinse nelle spalle, stringendo ancora tra le mani quell’inutile pergamena.

«Ci ha riportato questa» rispose, come se valesse come spiegazione.

Draco assunse un cipiglio contrariato.

«Ci ha riportato una vecchia e inutilizzabile pergamena?» ripeté, mentre l’espressione di Hermione rimaneva ferma e decisa. «Perché, era tua? Che diavolo ci fai?»

Hermione non rispose, non le sembrava il caso di spiegare a uno come Malfoy cosa fosse quella Mappa. Però si fece coraggio e camminò avanti, mentre il drago balzava soddisfatto verso l’albero successivo.

La ragazza aumentò il passo per stare dietro al drago, che si girava continuamente per assicurarsi che lei lo stesse seguendo. Così anche Malfoy, alla fine, temendo che la Granger fosse capace di mollarlo là da solo, le corse dietro lasciandosi condurre da quell’insolita guida.

 

***

 

N/A

Riguardo la mia visione delle fate, creature ricorrenti in questa storia, fornirò ogni dovuta spiegazione al momento opportuno.

Ringrazio come sempre chi segue questa storia, attualmente giunta al capitolo diciassette e ancora lontana dalla fine. Comunque, posso dire con sicurezza (ehm) che sarà divisa complessivamente in tre parti, salvo repentini e poco probabili cambi di idea, e che la prima parte, Fall, conta sedici capitoli. Per la seconda, non so ancora.

Come al solito, prossimo aggiornamento il 17!

 

 

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Capitolo 6
*** Still Beating ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

6.

Still Beating

 

 

 

 

I am here still waiting though I still have my doubts


I am damaged at best, like you’ve already figured out

I’m falling apart, I’m barely breathing


With a broken heart that’s still beating


In the pain there is healing


In your name I find meaning

(Broken, Lifehouse)

 

 

 

«Non posso credere che tu lo abbia fatto sul serio.»

Mandy Brocklehurst non era mai stata capace di covare a lungo rancore, tantomeno di infuriarsi.

Almeno, non con lui, pensò Anthony, affondando la forchetta nel porridge ed evitando cautamente di incrociare lo sguardo deluso e severo della sua ragazza.

Quella mattina, seduto tra Terry Steeval e Luna Lovegood, che aggiungeva una strana polverina argentata che sapeva assurdamente di cannella alla sua colazione, Anthony Goldstein vantava due dita di borse sotto gli occhi da primato nazionale, più l’aria afflitta e cupa di chi la notte precedente non ha dormito per nulla.

Giocò accuratamente col suo pasto fuggendo gli occhi di Mandy.

«Ho dovuto sapere tutto da Victoria» riprese Mandy. «Ti rendi conto? Questo perché ieri ti sei accidentalmente dimenticato di accennarmi il fatto che volessi fare una gita nella Foresta Proibita in piena notte con Morag MacDougal.»

Anthony rimase ancora ostinatamente zitto. Terry, al suo fianco, ebbe compassione di lui.

«Stamattina ti ho cercato e non c’eri, nessuno ti aveva visto. Ho pensato che Susan potesse sapere qualcosa, così ho chiesto a lei ma non ha saputo dirmi niente, se non che aveva qualche sospetto. Alla fine abbiamo incontrato Vicky, che ci ha raccontato una storia davvero molto curiosa

Mandy sospirò. Anthony si azzardò appena a sollevare lo sguardo.

«E adesso sei in punizione» terminò affranta.

«Sei in punizione il giorno degli allenamenti a due settimane dall’inizio del torneo» ci tenne a sottolineare Terry, beccandosi la scatola dei corn-flakes in testa. «Ahia, Amanda!»

«Senti, non potevo mollare Zacharias» si difese subito il ragazzo, senza che l’espressione irata di Mandy si addolcisse di un minimo. «E ho fatto bene, avevano bisogno di aiuto. Avrai sentito di Ron Weasley, immagino.»

«Sì, Weasley, Potter, Granger, Malfoy, tutto» elencò Mandy spiccia. «E ti sei fatto mettere in punizione.»

«Pare.»

«L’anno dei M.A.G.O.»

«Andiamo, Mandy» rise Terry, servendosi del bacon. «Da quando ti importa tanto degli esami? Ti spiace solo che il tuo ragazzo perfetto stia rovinando la sua reputazione da studente modello, non è vero? Dagli aria, poverino, non sei mica sua madre» argomentò tranquillo.

Mandy arcuò pericolosamente un sopracciglio, incrociando le braccia al seno. Perfino Anthony ebbe la bontà di squadrare trucemente l’amico, riconoscendo che aveva esagerato. Terry non fece caso né a l’uno né all’altro.

«Luna, mi passeresti il succo di zucca, per piacere?»

«Oh, certamente, Terry.»

Anthony guardò la sua ragazza, come a pregarla di non far caso al poco tatto dell’amico.

«Per favore» le disse infine. «Non è stata una bella nottata. Ron si è ferito, Zacharias e gli altri hanno dovuto portarlo in Infermeria e spiegare alla Chips del duello. Poi io e Harry siamo tornati indietro per cercare Hermione e Malfoy, abbiamo girato a vuoto ma niente, non li abbiamo trovati. Abbiamo aspettato ancora al limitare del bosco, pensavamo di avvertire i professori. Per fortuna poco dopo sono arrivati, con…»

Esitò. Ricordò la richiesta di Hermione, di tacere almeno momentaneamente su quel piccolo e squamoso dettaglio.

«Beh, non so esattamente come abbiano fatto, ma sono tornati, poi siamo rientrati tutti al castello e la McGranitt…» fece una pausa molto significativa. Terry annuì comprensivo. «Insomma, puoi immaginare come ci abbia accolti la McGranitt.»

Perfino Mandy sembrò sciogliersi in un briciolo di solidale umanità a quell’affermazione.

«Perciò, racconta, amico» fece Terry, appoggiandosi a Anthony come se dovesse confidargli un gran segreto. «Come ci si sente?»

«Come ci si sente cosa?» ripeté confuso l’altro.

Terry sbuffò, impaziente.

«Beh, ad aver appena vissuto un’avventura stile Potter. Con feriti, dispersi, creature magiche, Foreste Proibite…»

«Abbassa la voce» lo pregò Anthony. «I professori non sanno della Foresta.»

Mandy arricciò le labbra dense per il rossetto. «Ma se hai appena detto…»

«Abbiamo spiegato del duello, sì» confermò Anthony. «Zacharias ha detto alla McGranitt che Ron e Malfoy si sono sfidati sulla Torre di Astronomia, insomma, che bisogno c’era di mettere in mezzo anche la Foresta? Con Hermione e Malfoy è andato tutto liscio, li abbiamo trovati, non c’era più alcun rischio. Sarebbe stata una precisazione inutile.»

«Di poco conto, certo» ironizzò Terry.

«E la punizione?» chiese Mandy. «Sapete già in cosa consiste?»

Anthony fece spallucce.

«Twycross, che era presente insieme a Lumacorno quando siamo tornati, ha chiesto alla McGranitt di poter essere lui a occuparsene» spiegò.

«E…?» fecero Mandy e Terry all’unisono.

«E niente, non sappiamo ancora di che si tratta. Ma pare che voglia che la scontiamo tutti insieme. Ci ha detto di recarci in biblioteca domani pomeriggio alle cinque, così per allora anche Ron si sarà ripreso. A proposito, Terry, anticipiamo gli allenamenti di un giorno.»

«Ricevuto, capo» fece il ragazzo. «Però, la biblioteca… non sembra terribile.»

«Vi farà ordinare vecchi archivi e scartoffie» disse anche Mandy. «Abbiamo sopportato di peggio.»

L’ultima frase rimase sospesa nel vuoto. Cadde un silenzio colmo di sottintesi e nessuno ebbe più voglia di aggiungere altro. Anthony e Terry sentivano il bruciore delle loro ferite ancora impresso sulla pelle.

«Io…» Mandy tossicchiò. «Io vado in aula. Susan mi aspetta lì. A dopo, ragazzi» li salutò, raccogliendo la sua borsa e andando via, degnando appena Anthony d’uno sguardo.

Non appena fu fuori dalla Sala Grande, Terry diede una gomitata all’amico.

«Non sembra proprio furiosa, dai» lo consolò. «Poteva finirti peggio.»

«Sì» convenne con poca convinzione Anthony.

«Certo che anche tu…» riprese dopo un momento di esitazione Terry. «Insomma, potresti anche evitare di scorazzare per i boschi con Morag, non trovi?»

«Sì» disse ancora una volta l’altro. «Lo so.»

Allontanò la ciotola col porridge e si versò del succo di zucca.

Neanche due settimane e aveva già collezionato una punizione, un litigio con Mandy e uno spostamento improvviso degli allenamenti di Quidditch.

Buon inizio anno, Anthony, si disse, brindando mentalmente a se stesso.

 

***

“Ognuno di noi accetta l’amore che pensa di meritare.”

(Stephen Chbosky)

 

 

I tried my best to be guarded, I’m an open book instead


I still see your reflection inside of my eyes


That are looking for purpose, they’re still looking for life.

(Broken, Lifehouse)

 

 

Pansy si lasciò spingere docilmente contro il bordo del banco, mentre Draco la baciava con irruenza. Artigliandole i fianchi stretti, Malfoy la fece sedere sul tavolo, lasciando che lei lo circondasse con le gambe. La bocca di Draco lasciò quella di Pansy per spostarsi ansiosa sul suo collo, mentre con una mano le alzava la gonna sulle gambe e con l’altra s’insinuava sotto il maglione, togliendo i primi bottoni della camicia dalle rispettive asole.

Pansy rispose con un mugolio quando Draco le passò la lingua sulle labbra e poi tornò a baciarla, mentre la sua mano le si posava su un seno.

Lei gli passò le braccia attorno al collo e Malfoy la afferrò con entrambe le mani dietro le ginocchia, tirandosela più vicino.

«Tra poco cominceranno ad arrivare gli altri» mugugnò Pansy, con voce stanca.

«Tra poco, appunto» sottolineò Malfoy, baciandola prima che lei potesse parlare ancora.

Pansy non sembrava d’accordo quanto lui. Non oppose alcuna obiezione, non lo faceva mai, pur di compiacerlo. Si lasciò baciare e toccare passivamente, dando una risposta poco calorosa alle attenzioni di Draco. Chiuse gli occhi.

Sapeva cosa che le avrebbe detto Daphne. Che faceva male a stare con Malfoy. Che poi, stavano insieme? Lui non la definiva mai “la sua ragazza”, anche se Pansy, di contro, pensava a lui in questi termini. Daphne avrebbe mandato al diavolo le definizioni e le avrebbe detto di scaricarlo senza uno straccio di umanità. L’aveva chiarito a tutti, perfino a Draco stesso, come non approvasse la sua relazione con Pansy.

Sta con te solo perché gliela dai, le avrebbe ricordato in quel momento, senza mezzi termini e anche un po’ volgare, come aveva imparato ad essere da quando aveva cominciato a frequentare il gruppo di Pucey. Non ci sarebbe stata cattiveria, tuttavia, nelle sue parole. Solo una sincera preoccupazione, mascherata dietro un tono mascolino che faceva a botte col suo aspetto sensuale e femminile.

Non era una cosa che Daphne avrebbe potuto capire, stabilì Pansy, mentre Draco le infilava una mano sotto la gonna. Daphne e Draco non erano mai stati granché amici, e lui di certo non si confidava mai con lei. Come avrebbe potuto allora la sua amica capire cosa si provava nel leggere quella disperata rassegnazione negli occhi di Draco ogni notte? No, Daphne non era fatta per quel genere di sentimenti.

Daphne era una che andava via. Pansy invece restava ad aspettare. Adesso, si ripeteva tutte le mattine, guardandosi allo specchio, sperando di scendere in Sala Comune e trovare Draco pronto a rivolgerle anche solo un mezzo sorriso, adesso faceva male, perché Draco stava male, e non gli importava più di nessuno. Ma lei sarebbe rimasta; quando tutti se ne andavano, nel momento in cui tutti gli voltavano le spalle, lei gli sarebbe rimasta accanto, pronta, condiscendente, fedele. L’avrebbe sorretto quando soffriva; l’avrebbe perdonato tutte le volte che lui spietatamente la feriva. E alla fine, solo alla fine, Draco avrebbe capito che lei era l’unica che gli era rimasta accanto, e nella sua arrendevolezza avrebbe colto l’importanza del suo sentimento, e allora l’avrebbe capita, l’avrebbe amata come lei si aspettava.

Era tutta una questione di attesa. Era questione di tempo… e Pansy sapeva essere molto paziente. Draco sarebbe sempre tornato da lei.

«Non…» Pansy dovette interrompersi, perché l’ennesimo bacio di Draco le cucì la bocca.

«Non vuoi raccontarmi di stanotte?» chiese infine, non appena lui la lasciò libera di parlare.

«Sei probabilmente la ragazza più pettegola di questa scuola, saprai sicuramente già tutto, no?» replicò lui. Sembrava nervoso.

Pansy cercò di cogliere un accenno di ironia, tenerezza, anche solo di scherzosa presa in giro in quella frase. Non lo trovò; era solo una frase e basta.

«Sì, ma…» sospirò. Era sconfitta ancor prima di cominciare. «Sì, ma sono la tua ragazza, non pensi che dovrei sapere qualcosa di più di quello che chiunque potrebbe sentire vociferare nei bagni?»

«No, se è andata esattamente come si vocifera nei bagni» replicò scocciato lui. «Non c’è niente da aggiungere.»

Pansy annuì con scarsa convinzione. Comprese che cercare di fargli capire che il minimo dettaglio che lo riguardasse per lei sarebbe stato motivo di interesse sarebbe stato troppo. Così lasciò correre, e Malfoy d’un tratto sembrò perdere l’interesse per lei.

Probabilmente quelle chiacchiere l’avevano innervosito.

Si allontanò da lei, abbassandole la gonna sulle gambe e andando a prendere posto in una delle ultime file, mentre Pansy scendeva dal banco con un balzo, dopo essersi riabbottonata la camicetta.

Andò a sedersi accanto a lui e dopo qualche minuto cominciarono ad arrivare gli altri. Draco non le rivolse più la parola fino alla fine della lezione.

 

So I’m holdin’ on, I’m holdin’ on, I’m holdin’ on


I’m barely holdin’ on to you…

(Broken, Lifehouse)

 

***

 

«E questi qui invece sono… di Romilda Vane? Accidenti, Ron, io starei attento se fossi in te» borbottò Ginny Weasley, scartando il primo dei pacchi di dolci e cioccolatini di cui avevano riempito Ron nell’arco di una mattina.

La voce che Ron Weasley era stato ferito durante il duello si era ingigantita a dismisura lungo il suo giro per la scuola. C’era chi parlava di feriti gravi, gambe amputate e pericolose arpie che li avevano inseguiti per tutta la Foresta. La vittoria di Malfoy, ammesso che così la si volesse chiamare, ben lungi dallo screditare il Grifondoro, gli aveva invece conferito più popolarità di quanta già non ne godesse; diverse ragazzine avevano cominciato a mandargli fiori e auguri di pronta guarigione, insieme a confezioni di dolci che Hermione aveva prontamente confiscato per assicurarsi che non ci fossero Filtri d’Amore o altre pozioni annidate tra uno strato di cioccolato bianco e uno alle nocciole.

Madama Chips gli aveva aggiustato le articolazioni in un baleno; adesso però aveva il ginocchio fasciato e per un po’ avrebbe dovuto camminare con le stampelle. Fortunatamente per la squadra di Quidditch, quell’anno erano Serpeverde e Corvonero ad aprire il campionato.

Ginny si era ovviamente precipitata in Infermeria al termine delle lezioni in compagnia di Victoria Frobisher, che voleva ufficialmente confortare l’amica in un momento difficile, e ufficiosamente spiare il Trio Miracoli a caccia di nuove informazioni.

Harry, che scioccamente non si era aspettato di vedersi sbucare fuori Ginny da un momento all’altro, pensiero assai stupido considerato che Ron era suo fratello, sobbalzò nell’intravedere la familiare sagoma della sua ex ragazza dietro una sempre più sfrontata Victoria Frobisher.

Si era messo in piedi vicino il comodino, accanto a Hermione che sedeva sulla sponda opposta del letto rispetto a quella in cui stava Ginny. In generale, il clima non era dei migliori.

«Mi dimettono stasera» disse Ron, a nessuno in particolare. «In tempo per le lezioni di domani… peccato, non mi sarebbe dispiaciuto saltare le due ore di Incantesimi e no, non dire nulla Hermione» si affrettò ad aggiungere, notando che la ragazza aveva già aperto bocca per fargli probabilmente notare quanto fosse deleterio per il suo rendimento scolastico saltare le lezioni.

«Certo che voi sì che sapete come inaugurare l’anno» si intromise Vicky. Ron la guardò con sospetto, aveva un non so che che gli ricordava Rita Skeeter. «Credo che la McGranitt sia molto infuriata…»

«Avevo notato» replicò atono Ron, guardandola perplesso.

«Sì, beh, otto studenti che se ne vanno a zonzo per il castello di notte, dopo tutto quello che è successo l’anno scorso…» continuò la ragazza.

«Cosa c’entra questo con i fatti dell’anno scorso?» chiese anche Harry, un po’ in imbarazzo perché non appena aveva preso parola Ginny si era improvvisamente girata a guardarlo.

«La scuola sta cercando di recuperare consensi» spiegò Victoria. «E studenti che riescono a eludere la sorveglianza, sfidandosi a duello per litigi dovuti a un articolo del Profeta sui processi in corso, non è un granché come pubblicità» sintetizzò Vicky.

Ron borbottò qualcosa di incomprensibile, spingendo di lato sua sorella che si era seduta un po’ troppo vicino al suo ginocchio ferito.

«In un sola notte, avete praticamente infierito su tutti i punti su cui i giornalisti battono» continuò Victoria. «Insufficiente sicurezza dei sistemi di sorveglianza del castello, incompetenza del personale e praticamente inesistente coesione tra i membri della varie Case, soprattutto tra quelli che sono stati colpiti di più dalla guerra; nello specifico, voi, gli eroi, e i Mangiamorte.»

Harry fece una specie di smorfia, Hermione invece non ribatté nulla, segno che era d’accordo con la Frobisher.

Ron si guardò attorno spaesato e un po’ offeso, come se qualcuno lo avesse accusato di qualcosa.

«Non pensavo di scatenare tutto questo» bofonchiò risentito.

«Dovreste stare più attenti» li avvisò Victoria. «Hogwarts sta cercando di riprendersi, dovremmo fare un piccolo sforzo per… andare più d’accordo tra di noi. Tutti noi, intendo.»

«Non siete stati tu e Ritchie i primi a intervenire contro Malfoy ieri mattina a Difesa?» le ricordò Hermione, poco convinta da quel repentino cambio di prospettiva.

«E’ quel che bisognerebbe fare, non quello che farò, almeno per quel che mi riguarda» obiettò Vicky con un sorriso insolente.

Gran bell’esempio di coesione tra le Case, pensò Hermione.

«A proposito» disse Ron, occhieggiando sospettoso da Ginny a Victoria, prima di continuare a parlare. «Hermione, riguardo al tuo… ehm, piccolo problema squamoso…»

Hermione lo guardò severa, come a rimproverarlo per aver tirato fuori l’argomento di fronte a Vicky e Ginny, che non ne sapevano niente. Harry, dal suo canto, si rabbuiò appena a quella citazione che gli fece tornare in mente il cadavere di Lupin in Sala Grande.

«Piccolo problema squamoso?» ripeté Victoria, curiosa. «Problemi di pelle, cara? Ho delle creme che potrebbero fare al caso tuo.»

«No, ehm» balbettò Ron, tornando a guardare Hermione. «Dicevo solo che ho mandato un gufo a mio fratello Charlie.»

«Charlie?» esclamò Ginny, scuotendo con cautela una confezione di Cioccolatini al Firewhisky. «Che c’entra Charlie?»

«E’ a casa per ora, mamma mi ha detto che è tornato ieri.»

«Sì, questo lo so» rispose Ginny, perplessa.

«Insomma, sarà da Hagrid, dopodomani» concluse Ron, guardando prima Harry e poi Hermione.

«Perché, Charlie se ne intende di cosmetica?» replicò confusa Ginny.

«Vuoi farti gli affari tuoi?» la rimbeccò Ron.

Ginny emise uno sbuffo seccato, mollando i pacchi di dolci sul comodino e alzandosi dal letto.

«Va bene, come non detto» sospirò. «Noi andiamo» annunciò infine, mentre anche Vicky s’infilava il mantello con lo stemma di Grifondoro.

«A dopo» disse Victoria, salutando Hermione con un cenno della mano.

Quando Ginny ebbe varcato la soglia dell’Infermeria, Harry poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Una Ginny improvvisamente fredda nei suoi confronti non era una cosa a cui uno si abituava facilmente.

«Dicevamo di Charlie?» fece Hermione, mentre Ron annusava con sospetto una caramella mou. Lei lo fissò un po’ indispettita, e quando lui si accorse che Hermione lo stava fissando mise via il pacco di caramelle, lanciandolo a Harry.

«Scusa» balbettò. «E’ che non ci sono abituato. Voglio dire, di solito queste cose succedono a Harry.»

Ma più che scocciato dalla nuova situazione, Ron sembrava lusingato dalle attenzioni delle sue ammiratrici. Notò il cipiglio severo di Hermione, tremendamente minaccioso, così si affrettò a cancellare il suo sorriso malcelato dalla faccia.

«Certo, certo, Charlie… Dicevo?»

«Charlie sarà da Hagrid dopodomani» ripeté Hermione, a braccia incrociate.

«Sì, ecco, appunto» ripeté Ron. «Dopodomani. Insomma, non possiamo lasciare quel coso da Hagrid ancora per molto. L’abbiamo capito ormai che non si possono allevare draghi da compagnia o sbaglio?»

Harry si strinse nelle spalle.

«Non voglio allevarlo!» si giustificò subito Hermione. «E’ solo che non riesco a liberarmene.»

Sì, perché il ‘piccolo problema squamoso’, come l’aveva amorevolmente definito Ron, dopo aver guidato lei e Malfoy al limitare della Foresta, con estrema incredulità da parte del Serpeverde, sembrava deciso a non mollarli. Hermione aveva però dovuto lasciarlo, sperando che, qualunque cosa ci facesse lì, tornasse da dove era venuto. Invece, appena un paio d’ore dopo, rientrata nel suo dormitorio, si era ritrovata quel piccolo drago acciambellato sul bordo del suo letto, con Grattastinchi che gli soffiava minaccioso. Il cucciolo di drago aveva il muso coperto di graffi, e Hermione pensò che era sempre stato sottovalutato, il suo gatto, se riusciva perfino a tener testa ai draghi.

L’aveva dovuto portare via in fretta nel primo luogo che le venne in mente, ovvero la capanna Hagrid, prima che Ginny, Victoria, Lavanda e Demelza si svegliassero.

«Tra draghi e Malfoy, Hermione» disse d’un tratto Ron, «mi chiedo davvero come tu abbia fatto a resistere la scorsa notte.»

«No, in realtà…» Hermione esitò. «Non è stato così terribile. Malfoy, voglio dire. Non più del solito.»

«Posso immaginare» fece ironico Ron. «E dovremo subircelo anche domani pomeriggio… accidenti a Twycross.»

«A proposito» intervenne Harry. «Non sembra un granché come punizione» osservò.

Ron sorrise. «Oh, per Hermione no di certo. Un intero pomeriggio da passare in biblioteca, che crudeltà

«Piantala, Ron. Ti ricordo che è in parte anche colpa tua se siamo in questa situazione. L’anno è appena iniziato e noi siamo già adesso in punizione.»

Ron fece spallucce. «Mi piacciono le tradizioni.»

Harry ridacchiò, sinceramente divertito. Hermione dapprima lo guardò severa, ma poi l’espressione del suo viso si rilassò un poco e anche lei si concesse una leggera risata, allungando la mano sul letto per stringere quella di Ron.

In fondo, con tutto quello che avevano passato, potevano anche permettersi la frivolezza di riderci su, ogni tanto.

 

***

 

I’m hanging on another day just to see what you will throw my way


And I’m hanging on to the words you say


You said that I will be ok

The broken lights on the freeway left me here alone


I may have lost my way now, haven’t forgotten my way home.

(Broken, Lifehouse)

 

 

Pansy sospirò e appoggiò il mento al dorso della mano mentre, china sul davanzale della finestra, scrutava tra le profondità del Lago Nero. Cercò di estraniarsi, di ignorare lo scalpitare delle sue compagne di camera. Naturalmente non ci riuscì.

«Vediamo cosa abbiamo qui» disse Daphne proprio in quell’istante, sbucando all’improvviso dietro le spalle della piccola Tracey Davis e soffiandole via di mano la lettera che stava scrivendo.

Arrossendo fin sopra i capelli, Tracey subito entrò nel panico, implorando Daphne, che invece, scalza e già in pigiama, salì sul letto e lo scavalcò per andarsi ad appollaiare sul davanzale della finestra, vicino Pansy.

«“Cara mamma”» cominciò Daphne, con voce stucchevole, leggendo la lettera. Tracey arrossì ancora più furiosamente, occhieggiando disperata in direzione di Millicent Bulstrode, che si strinse appena nelle spalle con disinteresse mentre scartava una Cioccorana.

«“Il nuovo anno scolastico non è cominciato molto bene per me”» lesse ancora. Tracey si sporse per afferrare la lettera, ma Daphne, sogghignando dall’alto dei suoi venti centimetri in più della compagna, allontanò la mano impedendole di avvicinarsi.

«“I miei compagni sono diventati ancora più ostili nei miei confronti. Ieri mattina perfino Vicky Frobisher, con cui frequento il Club di Incantesimi, mi ha fatto capire che non sono più gradita nel suo gruppo. Non parlo mai con nessuno, a volte mi sento così sola che mi viene voglia di…”»

Tracey sbiancò, mentre Daphne si arrestava. Atteggiò le labbra carnose in una smorfia, come sempre bellissima. Tracey si sentì ancora più insignificante.

«Cosa ti viene voglia di fare, Tracey?» sorrise Daphne, melliflua. La lettera si fermava lì.

La ragazza fece per dire qualcosa, ma in quell’istante Pansy sfilò di scatto la lettera dalla mano di Daphne, consegnandola di nuovo alla sua proprietaria, che la afferrò scura in viso, ripiegandola e stringendosela contro.

«Povera Tracey» cinguettò ancora una volta Daphne. «E’ proprio una stronza, quella Frobisher, vero?»

«Daphne, piantala» sbottò Pansy, dietro di lei, senza neanche spostare il viso in sua direzione.

Daphne nemmeno la guardò, né diede segno d’aver sentito, ma tacque ugualmente, pur senza perdere quel suo mezzo sorriso insolente.

Tracey diede le spalle alle due ragazze tornandosene verso il suo letto, stracciò in mille pezzi la lettera che gettò nel cestino e si sedette sul bordo del materasso, a testa china, proprio di fronte a Millicent che continuava a masticare cioccolata, tetra e impassibile.

«E tu?» disse d’un tratto Daphne, voltandosi verso Pansy. Lei alzò appena il capo in direzione dell’amica. «Perché così malinconica stasera?»

Pansy nemmeno rispose, mentre scuoteva piano la testa.

Daphne emise un sonoro sbuffo, alzando gli occhi al cielo. Si sedette sul bordo del davanzale, dondolando le caviglie e fissando Pansy.

«Ti prego, mi piange il cuore a vederti così afflitta per uno stronzo come Malfoy» disse, con tono amorevole, ben diverso da quello falsamente di miele che aveva usato con Tracey.

«Tu non hai un cuore, Daphne» mugugnò distratta Pansy, accennando col capo alle spalle curve di Tracey, ginocchia rannicchiate al petto.

Millicent ridacchiò in sottofondo.

Daphne fece schioccare la lingua, per nulla toccata da quella affermazione.

«Devi lasciarlo perdere. Non ne vale la pena!» insistette con convinzione, afferrandole una mano per attirare la sua attenzione, totalmente concentrata sui riflessi verdastri delle acque del Lago.

«Di Purosangue ricchi, biondi e presuntuosi ce ne sono a bizzeffe» aggiunse sprezzante.

«Per esempio?» chiese blanda Pansy, massaggiandosi le tempie per attenuare un principio di mal di testa.

Daphne aprì la bocca per dire qualcosa, ma desistette vedendo l’occhiata truce che Pansy le rivolse.

«Andiamo» continuò, quasi implorante, mentre l’altra faceva di tutto per evitare il suo sguardo. «Cos’ha Draco di così speciale?»

«Deve per forza avere qualcosa di speciale?» sbottò ancora una volta Pansy, voltandosi di scatto a fissarla negli occhi. «Non posso tenere a lui, pur con tutti i suoi difetti?»

Daphne sorrise, mentre scuoteva dolcemente la testa.

«Ma no, scherzi?» ridacchiò, guardandola con fare quasi altero. «Siamo Serpeverde, non sono sentimenti che fanno per noi, questi.»

Pansy tornò a guardare ostinatamente altrove, non gradendo il sarcasmo, sempre che ve ne fosse, nascosto in quella frase.

«Ti tratta di merda» s’impuntò di nuovo Daphne, ancora più finemente.

«Non è vero!» replicò stizzita Pansy. «E’ solo nervoso.»

«Pansy, come puoi giustificarlo ancora?»

«E’ solo un momento» ripeté l’altra. «Passerà.»

«E’ solo uno stronzo» rispose Daphne a tono. «Ed è solo che non gliene frega nulla di te.»

«Vuoi smetterla di intrometterti?» esclamò Pansy, irritata, stringendo i pugni e drizzando la schiena. «Non ho intenzione di prendere lezioni sentimentali da una che lascia che il suo ragazzo si faccia qualunque altra cosa respiri in sua assenza!»

«Parli di Pucey?»

«Pucey, chi per lui, che importa!» s’inalberò Pansy, sempre più irascibile. «Quanti ne cambi ogni mese, Daphne?»

Daphne emise una risata divertita. «Io almeno non mi faccio mettere i piedi in testa» ribatté altezzosa, incrociando le braccia al petto.

«Io non…»

«Sei il suo cagnolino» la interruppe Daphne. «Buon Salazar, come non puoi vedere che il male che ti fa? Ti rende patetica

«Bene» tuonò Pansy a quel punto. «In questo caso, ti informo che la tua patetica migliore amica sta per andare dal suo…»

«…patetico padroncino» continuò Daphne per lei. «Davvero romantico.»

Rimasero a fissarsi in tralice per alcuni secondi, poi Pansy puntò il naso all’insù, mentre con supponenza prendeva il suo mantello dall’armadio e se ne andava via, sbattendosi la porta alle spalle.

Percorse il corridoio di fretta, senza neanche prestare attenzione a chi incontrava. Giunse nella Sala Comune come un fulmine, ignorando i saluti entusiasti di Barry e quelli più discreti di Zabini.

Theodore sogghignò al suo indirizzo non appena la vide scendere così trafelata.

«Cerchi qualcuno?» domandò, intuendo al volo le sue intenzioni.

Pansy avvertì solo un inspiegabile moto d’ira invaderla, mentre fissava il sorriso saccente di Nott. Era seduto vicino al camino, leggendo un libro in silenzio, mentre Barry e Blaise giocavano a scacchi.

Lei non gli rispose, si limitò soltanto a guardarsi intorno, facendo scorrere velocemente gli occhi sulla Sala.

Individuò subito Draco. Era insieme ad alcuni membri della squadra, ma tra tutti Pansy si concentrò unicamente su Lydia Austen, appollaiata sul bracciolo della poltrona sulla quale stava seduto Draco, con alcuni schemi di gioco tra le mani.

Lydia, la Cacciatrice, rivolse un sorriso insipido a Malfoy, mentre lui mostrava a lei e agli altri due Cacciatori la strategia che aveva ideato per la successiva partita contro Corvonero, mentre lei rispondeva con assensi del capo e sospiri di adorazione.

Stringendo i denti per la rabbia, Pansy si diresse a falcate veloci in direzione di Draco e degli altri della squadra, e Baddock, il Portiere, dovette fare un cenno al suo Capitano perché lui si accorgesse dell’arrivo di Pansy.

Draco alzò lentamente gli occhi su di lei, la sua espressione concentrata e assorta si tramutò all’istante in una di evidente fastidio.

«Che c’è?» le domandò seccamente, e anche un po’ scocciato.

«E’ tutto il pomeriggio che lavori su quegli schemi» gli fece notare, col tono più pacato che riuscì a metter su.

«E allora? C’è la partita tra poco» Malfoy la fissò come a volerla sfidare a obiettare qualcosa.

Lydia rivolse a Pansy un’occhiata che la squadrò dall’alto in basso, a partire dai capelli per terminare sulla punta delle lucide scarpette nere.

Pansy ricambiò con uno sguardo sprezzante che avrebbe fatto sentire chiunque un insetto; quindi torno a guardare Draco, sconfitta.

Lui la osservò come se stesse aspettando che dicesse qualcosa, qualcosa come una cortese frase di congedo che lo lasciasse finalmente in pace con la sua squadra e il suo Quidditch.

«Quando finisci io…» Pansy boccheggiò, indicando i posti più vicini al fuoco, terribilmente in difficoltà. Aprì la bocca e la richiuse, trovandosi patetica.

Patetica.

Patetica.

«Come vuoi» fece Draco, stringendosi nelle spalle. Le rivolse un ultimo sguardo e poi tornò a concentrarsi sul suo schema, indicando alcuni punti a Lydia, che annuì energicamente, senza staccargli gli occhi di dosso.

Abbandonando le braccia lungo i fianchi, Pansy rimase immobile alcuni istanti, poi si voltò e si diresse silenziosa verso il camino.

Prese posto accanto a Theodore, che non le staccò gli occhi di dosso per un istante.

«Andata male?» l’apostrofò lui, non appena si fu sistemata.

Lei distolse lo sguardo dal suo viso, non sopportando il confronto con gli occhi nerissimi di Nott, ben più profondi e foschi di quelli di Draco.

Incuteva paura.

Di contro, i suoi gesti avevano una delicatezza d’altri tempi, un’accortezza innata nel trattare le persone, forse solo una profonda empatia che derivava da una mente sagace e molto più sensibile di quel che lasciavano trasparire quegli occhi di carbone.

«Va sempre peggio» sussurrò Pansy, osservando distratta Barry che si metteva le mani tra i capelli mentre l’alfiere di Blaise faceva fuori con ferocia il suo cavallo.

«Passerà» mormorò Theodore in risposta, mentre con delicatezza sfogliava un’altra pagina.

L’aveva detto anche lei, no?

Passerà.

«Credo che Draco non stia bene» gli disse Pansy. «Sei il suo migliore amico, lo sai. Sei l’unico con cui parla.»

Nott annuì, ma non aggiunse nulla a quella constatazione che, a suo avviso, chiariva già tutto.

«Tutte le accuse rivolte contro suo padre lo fanno stare male» disse ancora Pansy. «Ma ormai è tutto finito. Perché non riusciamo a stare bene, se è tutto finito?»

Theodore prese un segnalibro di carta e con delicatezza lo pose tra le due pagine, poi richiuse il libro poggiandoselo sulle gambe.

«Tutto finito?» ripeté, con ari quasi curiosa, come se Pansy avesse sollevato un’obiezione interessante a un quesito posto in classe.

Pansy non trovò la forza di aggiungere null’altro, mentre Theodore la scrutava in attesa. Lei si lasciò andare contro lo schienale del divano, ravviandosi i capelli scuri con una mano, sovrappensiero.

Tornò a voltarsi in direzione di Draco, e in particolare su Lydia che si sporse in avanti verso i di lui per tracciare sullo schema qualche proposta di correzione che reputava vincente. Malfoy sembrò studiare con interesse il suggerimento della ragazza, gli occhi nascosti sotto qualche ciocca di capelli biondi che gli ricadde lentamente sulla fronte, poi alzò lo sguardo su Lydia annuendo e accennando un sorriso cortese o un complimento.

Pansy dovette distogliere lo sguardo.

Incrociò casualmente gli occhi di Nott, scoprendo che lui la stava già osservando.

«Perché si comporta così?» si ritrovò a domandare Pansy, a voce bassa, spiando ancora in direzione di Draco.

«Beh, è semplice» rispose Theodore, alzando appena le spalle con noncuranza. «E’ preoccupato, in primo luogo per la sorte che toccherà a suo padre e subito dopo per quella che toccherà a lui, ora  che la brillante carriera al Ministero che gli era stata prospettata sin da bambino è fallita miseramente. Sa che tutti, guardandolo, gioiscono vedendolo fallire, ma questo gli causa vergogna e lo porta ad isolarsi. Tuttavia è di Draco che stiamo parlando, e sappiamo bene che è troppo esibizionista e viziato per ritirarsi in un angolo in silenzio, perciò cerca l’approvazione e la stima da coloro dai quali può ancora ottenerla» riassunse sbrigativo, senza fare una piega.

Pansy arcuò un sopracciglio. «Per esempio Lydia Austen?»

«Per esempio» convenne Theodore, con un sorriso un po’ storto che mise in mostra i denti bianchi. «Lei è sciocca, invaghita e lo lusinga continuamente con le sue attenzioni. Tu sei…»

Pansy assunse un’espressione ancora più scettica e anche vagamente minacciosa.

«…impegnativa» concluse Theodore, cauto. «Hai idea di cosa voglia dire voler scappare e non trovare nessuna strada vuota in cui farlo? Dovunque Draco si giri adesso, troverà sempre qualcosa a ricordargli cos’ha fatto» specificò il ragazzo.

«E io porterei a galla questi ricordi?» tentennò confusa Pansy.

«Gli stai accanto da sempre, da quanto tempo vi conoscete? Sei tutta la sua vita.»

Pansy era quasi sul punto di ribattere a quel commento quando Theodore abbassò di nuovo gli occhi sul suo libro, e un istante dopo le comprese perché. Sentì una presa delicata ma decisa sulle sue spalle, e voltandosi trovò Draco che la osservava placidamente, senza alcuna particolare espressione.

Gettò uno sguardo alle sue spalle, sulla Austen e sugli altri della squadra che si avviavano verso i rispettivi dormitori, poi tornò a fissare Draco, che subito si chinò sulla sua bocca.

«Hai finito?» gli domandò, un istante prima che lui potesse baciarla.

«Sì, per oggi basta Quidditch» rispose indifferente, e subito la baciò.

Pansy ricambiò, ma senza grande trasporto.

Era questo, lei? Una gradevole distrazione per tutte le volte che il Quidditch gli sarebbe venuto a noia?

Pansy gli posò una mano sulla spalla, premendo leggermente per allontanarlo da sé.

«Vado a dormire, sono stanca» gli riferì atona, con sguardo basso.

Lui rimase in silenzio, forse un po’ sorpreso, forse per nulla toccato, infine annuì e la lasciò andare.

Pansy si alzò in piedi e lo salutò con una “Buonanotte” appena mormorata tra i denti. Il suo ultimo sguardo fu per Theodore, che discreto le lanciava qualche occhiata tra una riga e l’altra del suo libro, poi corse verso la sua stanza.

 

***

 

N/A

Nessuna annotazione particolare per questo capitolo, che anzi mi convince poco, probabilmente perché ho dovuto revisionarlo e ultimarlo molto di fretta.

Nel caso non fosse chiaro, mi piace la Draco/Pansy, ma non vorrei vederla realizzata, è solo un pairing che, dal mio punto di vista, si trascina dietro una non indifferente dose di malinconia e che quindi non può che andarmi a genio. Sarà che ho sempre avuto un debole per le storie tristi…

Alla prossima, con la punizione di Twycross!

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Capitolo 7
*** Of Tears And Blood ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

7.

Of Tears And Blood

 

 

 

 

“Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva.”

(L’attimo fuggente)

 

 

 

Sedevano tutti e otto al tavolo più appartato della biblioteca, vicino a una finestra nella sezione di Aritmanzia, che di solito non aveva il coraggio di frequentare nessuno, a parte Hermione Granger e pochi altri. Harry stava quietamente seduto accanto a Ron, che aveva il ginocchio fasciato e aveva poggiato accanto a sé le stampelle che avrebbe dovuto portare per almeno una settimana. Hermione aveva preso un libro a caso da uno scaffale e aveva iniziato a sfogliarlo distrattamente, così come Anthony che s’era avvicinato a lei alla ricerca di un modo per ammazzare il tempo mentre attendevano l’arrivo di Twycross. Morag sedeva da sola, distante da tutti e in silenzio, con i lunghi capelli bruni sciolti che le coprivano parte del viso. Draco giocherellava con la sua bacchetta, un’abitudine rischiosa che Hermione gli aveva più volte rimproverato senza successo. Zacharias era l’unico che stava in piedi, con le mani in tasca, scrutando sospettoso Barry che, a gambe incrociate sul pavimento, muoveva la testa a ritmo di una musica che solo lui poteva sentire con una specie di strano paraorecchie.

Harry e Ron si guardavano attorno a disagio per quel lugubre silenzio, che venne interrotto solo non appena Barry, a occhi socchiusi e battendo il ritmo con un piede calzato in un babbanissimo e plebeo paio di converse rosse, si mise a canticchiare a voce bassa.

«Nightclubbing, we're nightclubbing, we're what's happening…»

In un conato di solidarietà, Malfoy e Smith si guardarono perplessi.

«Ehi» borbottò Zacharias, chiamando Barry che continuava a canticchiare a occhi semichiusi. «Ehi!»

«We see people, brand new people, they're something to see…»

Il ragazzo non lo ascoltava. Così Smith gli tolse d’improvviso le cuffie dalle orecchie.

«Ehi, cazzo fai?» esclamò subito Barry, raffinato come al solito, togliendo immediatamente di mano a Zacharias le cuffie e anche l’iPod che si era tirato dietro.

«Come fai a farlo funzionare?» s’incuriosì Hermione, mentre Barry riponeva l’oggetto nella tasca della felpa. «Non so se hai letto Storia di Hogwarts, ma dovresti comunque sapere che la tecnologia babbana non funziona qui» spiegò lei.

Barry la guardò disgustato, mentre si calava il cappuccio rosso sulla testa ricciuta.

«Leggere?» ripeté. Da come lo disse sembrava un’offesa. «No, è stato un amico di Boston a insegnarmi qualche trucco, un tizio in gamba, quello, aveva un bel tatuaggio che gli copriva tutto l’avambraccio sinistro.»

«Un Mangiamorte?» fece nauseato Ron, allibito di fronte alla leggerezza con cui Barry trattava l’argomento.

«No» ribatté quello, tranquillo. «Solo un tizio con un tatuaggio sul braccio.»

L’orologio sulla parete scoccò le cinque esatte quando Twycross sembrò quasi materializzarsi di fronte a loro, senza che nessuno l’avesse visto arrivare. Con un gesto secco della bacchetta il professore tolse da sotto il naso il libro a Hermione e Anthony, riprese Malfoy che continuava a lanciare e acchiappare la sua bacchetta e fece segno a Barry e Zacharias di sedersi compostamente.

Quando tutti e otto furono seduti e a braccia conserte, Twycross distribuì loro un foglio di pergamena ciascuno, che andò a srotolarsi e a dispiegarsi sul tavolo.

Ron prese il suo figlio e corrugò la fronte mentre leggeva.

«“Chi sono io?”» lesse perplesso. Gli altri non fiatarono, ma guardarono altrettanto confusi la faccia allungata e inespressiva di Twycross.

«Ho notato» cominciò il professore, cominciando a camminare avanti e indietro di fronte al loro tavolo, «che alcuni di voi in particolare sono stati puniti svariate volte nel corso di questi anni, ma, evidentemente, con ben scarsi risultati.»

Fece una pausa, mentre i ragazzi si scambiavano occhiate curiose l’un l’altro.

«La professoressa McGranitt ha convenuto con me che, considerata l’inefficacia delle scorse punizioni, questa volta sarebbe stato più utile qualcosa di diverso. Non credo che lucidare trofei e rispolverare vecchi archivi potrebbe insegnarvi qualcosa.»

Diede un altro colpo di bacchetta, e otto rispettive boccette d’inchiostro e piume d’aquila si posarono di fronte a ciascuno di loro.

«La vostra punizione è la seguente: voglio che riempiate quel foglio di pergamena con un tema, una considerazione, un racconto, una riflessione, una barzelletta, un aneddoto, una poesia, quel che volete, purché esprima chi siete voi» annunciò, lasciando basiti gli altri, perfino Morag che di solito era molto composta e discreta e che adesso invece lo fissava con occhi increduli e scettici.

«Una poesia?» ripeté disorientata. «E’ uno scherzo?»

Wilkie Twycross si fece ancora più severo, ma ciò non tolse nulla alla placidità della sua espressione.

«No, signorina MacDougal» replicò atono. «Se una guerra intera non è riuscita a insegnarvi qualcosa riguardo l’estrema pericolosità dei pregiudizi e del covare rancore contro qualcuno di cui non volete neanche cercare di comprendere il punto di vista, dubito che un solo tema possa aiutarvi su questa strada, ma ritengo che possa essere un buon punto di partenza.»

«Cioè lei vuole che noi riempiamo un foglio di pergamena con la storia della nostra vita?» riassunse Zacharias, poco convinto. Si rigirava tra le dita la piuma d’aquila. «Tutto qui?»

«Voglio che facciate lo sforzo di imparare a conoscervi, signor Smith. Di accettarvi e comprendervi l’un l’altro. Mi sono spiegato?»

Hermione e Anthony, diligenti, furono gli unici a dare un abbozzo di assenso. Malfoy guardava disgustato ora il suo foglio ora il professore, chiedendosi chi diavolo avesse assegnato la cattedra a quello spostato. Barry sembrava sereno, anzi quasi contento; gli avevano parlato di punizioni corporali e altre atrocità, quella gli sembrò una passeggiata. Senza contare che Twycross non avrebbe potuto trovare per lui nulla di più facile: aveva un’intera autobiografia su cui basarsi.

«Non uscirete di qui fin quando non avrete finito. Madama Pince vi controllerà di tanto in tanto per assicurarsi che voi non combiniate alcun danno. Compilerete la vostra relazione e dopo ne discuterete con gli altri, mantenendo un atteggiamento di apertura e confronto verso i vostri compagni. Sarà Madama Pince stessa ad avvertirvi quando potrete andare, e sarà sempre lei a riferirmi come è proceduto il pomeriggio. Domande?»

Hermione alzò timidamente la mano.

«Quello che scriveremo lo leggerà qualcuno? A parte noi, voglio dire.»

«No» la rassicurò il professore. «Voglio che siate sinceri e che vi sentiate liberi di esprimere quel che volete senza timore di essere giudicati o rimproverati da un professore. Altro?»

Nessuno fece obiezioni.

«Bene» concluse Twycross. «Buon lavoro.»

Se ne andò via in un frusciare di mantelli.

«E’ la più grossa stronzata che io abbia mi sentito da quando ho messo piede qui dentro» decretò lugubremente Draco.

«Concordo» convenne Zacharias.

«Ha senso, invece» li contraddisse lesta Hermione. «Io trovo che Twycross abbia ragione.»

«Io trovo che Twycross sia un po’ fuori» borbottò Ron. «Scusa, Malferret, se non m’interessa sapere quand’è il tuo compleanno e qual è il tuo colore preferito» aggiunse, all’indirizzo di Draco che rispose con un’occhiata in tralice.

«Beh, comunque poteva capitarci qualcosa di peggio, dopotutto, no?» tentò Morag, fissando il suo rotolo di pergamena come un insetto molesto.

«Sì, ma qualcosa adesso dovremo pur scrivercela» borbottò Harry, impugnando la penna. «Che accidenti scriviamo?»

«Se non hai tu qualcosa da scriverci, Harry…» ridacchiò Anthony, lasciando in sospeso la frase.

«La mezzasega sta scrivendo» bofonchiò Morag.

«Datti pace, Morticia, se ho una vita più interessante della tua» ringhiò Barry. «Comunque, Drake, a me interessa sapere qual è il tuo colore preferito.»

«Ah, menomale, ero proprio in pensiero perché credevo che non volessi saperlo.»

«Io credo che scriverò una barzelletta» borbottò Ron.

«Tu sei una barzelletta, Weasel.»

«Vuoi un altro pugno, Malfoy?»

«Ron, ti prego, lascia perdere.»

«E’ il viola, Drakie?»

«Ti consiglio di moderare i toni quando ti rivolgi a un tuo superiore, Weasley. E’ una cosa che quelli della tua famiglia dovrebbero tenere bene a mente.»

«Sai cosa dovrebbero tenere invece a mente quelli della tua di famiglia?»

«Magenta? Terra di Siena? Verde speranza? Rosa salmone? Nero di seppia?»

«Illuminami.»

«Dovrebbero tenere a mente che non è buona abitudine parlare a sproposito, soprattutto se tuo padre è sotto processo e con la prospettiva di una vita intera da passare ad Azkaban!»

«Ron» sospirò anche Harry, mettendo una mano sul braccio dell’amico.

Ron e Draco non si staccavano gli occhi furenti di dosso; Harry aveva una mezza idea che se non fosse stato per quel ginocchio fasciato il suo amico sarebbe saltato addosso a Malfoy già da un bel pezzo.

«Bene» fece perentoria Hermione. «Adesso, se non vi spiace, che ne dite di riempire quel foglio che avete davanti? Prima finiamo, meglio è.»

Ron non ebbe nulla da ribattere, e Harry mollò la presa sul suo braccio. I tre Grifondoro si sedettero, Ron al centro, e di fronte a loro Barry si sporse un poco verso l’orecchio di Draco.

«Fucsia bordesto lillato?» suggerì ancora, mentre Malfoy lo guardava scocciato.

Lo liquidò con qualche cattiva parola, intinse la punta della sua penna d’aquila nell’inchiostro e, come gli altri, cominciò a scrivere.

 

***

 

Impiegarono poco meno di un’ora a comprendere che gettare qualche frase su quel foglio sarebbe stato meno noioso che rigirarsi i pollici e guardarsi di sottecchi.

Hermione, ovviamente, fu la prima a finire, seguita curiosamente da Draco e Morag, che pure erano stati restii di fronte alla consegna di quell’assurda punizione. Anthony aveva messo da parte il suo foglio, limitandosi a tirare fuori dallo zaino che aveva lasciato in un angolo un diario consunto che, diceva, sarebbe stata la sua storia. Ron aveva gettato in fretta poche rabbiose righe, così come Harry che sembrava in difficoltà. Zacharias era rimasto a braccia conserte tutto il tempo, e anche adesso presentava agli altri con arroganza il suo foglio bianco. Rappresentava tutto ciò che era, disse. Barry si affrettava a ultimare il suo papiro a cui si era dedicato per un’ora intera tanto alacremente.

«Abbiamo finito?» chiese Anthony, dando il via ai giochi. Gli altri posarono le penne d’aquila.

«Non ho intenzione di leggere niente a nessuno» mise subito in chiaro Malfoy.

«Neanch’io» lo appoggiò Ron. «Al massimo, sentirò il punto di vista di Harry.»

«Ma così non serve a niente» obiettò ragionevolmente Anthony. «Conosci già Harry.»

«E chi se ne frega» replicò anche Draco, che arrotolò il suo foglio di pergamena impedendo a Barry, al suo fianco, di sbirciare.

Zacharias non si pronunciò nemmeno, a testimonianza di quanto poco lo toccasse la discussione.

Hermione e Anthony si guardarono, sapendo di essere gli unici ad aver preso con un minimo di serietà la faccenda. Allora Hermione decise di prendere l’iniziativa e dare il buon esempio. Arrotolò la sua pergamena, si alzò dal suo posto, con gli occhi di Harry e Ron puntati curiosi addosso. Fece il giro del tavolo e acciuffò per un braccio Malfoy, che non avendole prestato la minima attenzione, non si era accorto di lei. Sobbalzò.

«Che diavolo vuoi?» protestò, quando lei lo tirò per un braccio per farlo alzare. Dovette mollare subito la presa perché lui la allontanò bruscamente, dando a Ron un motivo in più per alzarsi e prenderlo a pugni di nuovo. «Non provare più a toccarmi, piccola sudicia Mezzosangue!»

«Ehi» lo riprese Harry. «Non rivolgerti così a lei.»

Hermione, comunque, non si lasciò intimidire. Costrinse Draco a tirarsi in piedi e lui dovette cedere, un po’ perché non voleva essere toccato ancora un po’ perché la faccia arcigna della Pince era sbucata da dietro lo scaffale di Storia, e quindi dovette tacere. Per dare il suo appoggio, Anthony si alzò e andò da Harry.

Tra le proteste generali di Malfoy, Hermione riuscì a trascinarlo fino al tavolo vuoto più vicino, dove si sedette invitando il Serpeverde a fare lo stesso. Passandosi una mano all’altezza del maglione, dove lei lo aveva toccato, come a voler cacciare via la polvere, alla fine fu costretto a sedersi.

«Non aspettarti la mia collaborazione» sibilò deciso.

«Vuoi che cominci io?» propose lei.

«Non voglio ascoltare le tue stupide lagne.»

«Allora comincia tu. Sei stato uno dei primi a cominciare e a finire. Suppongo che tu abbia qualcosa di ben preciso da dire, se l’hai scritto con tanta sicurezza.»

Draco la guardò per un po’. Lui teneva le braccia incrociate e il suo rotolo di pergamena ben stretto tra le lunghe dita. Si guardò attorno, vedendo Barry pronto a intrattenere gli altri con un estratto della sua autobiografia. Tornò a fissare la Granger.

Lei lo guardava imperiosa e severa, il suo sguardo non aveva nulla da invidiare a quello della McGranitt. Era una delle tante cose che odiava di lei, il fatto che fosse pronta a mettere in moto quel suo scalpitante cervello per arrivare a mille conclusioni diverse. La detestò profondamente. Non aveva mai mostrato tanta intraprendenza con lui, prima. Adesso prendeva in prestito libri per lui dalla biblioteca, lo seguiva fino al campo da Quidditch, si permetteva di costringerlo a fare cose che non voleva. Il fasto della gloria che lei e i suoi compari si erano tanto valorosamente guadagnati le aveva montato la testa, come quello sfigato di Paciock che ora girava per i corridoi con aria da re.

La Granger era supponente, arrogante, saccente. Ostentava una sicurezza che prima non aveva. Prima lo teneva alla larga, lo cacciava via con poche battute mirate quando ce l’aveva tra i piedi, faceva di tutto per evitarlo. Cosa voleva da lui?

Draco pensò a quello che aveva scritto su quel foglio, a com’era stato facile gettare su carta quella fantasia che lo ossessionava da un po’. Non aveva avuto dubbi su cosa scrivere, una volta messa mano alla penna, non aveva strazianti apologie da proporre né agghiaccianti resoconti su quanto quegli ultimi anni fossero stati terribili anche per lui: l’arresto di suo padre, la missione affidatagli dal Signore Oscuro, la morte di Silente, il regime dei Mangiamorte… No, era altro quello che gli andava di sputare in faccia a quegli inutili, vittoriosi Grifondoro al momento. La sua collera.

«Vuoi davvero leggere quello che ho scritto?» domandò allora con sarcasmo, cominciando a srotolare con lentezza il suo foglio.

Hermione si strinse nelle spalle. «E’ quel che la punizione richiede.»

Draco dispiegò intermente la sua pergamena al centro del tavolo, come un guanto di offesa gettato a terra in attesa che qualcuno accettasse quella sfida. Si fissarono a vicenda, mentre Malfoy si abbandonava mollemente contro il suo schienale, dondolandosi sulle gambe posteriori della sedia.

Hermione guardò il foglio appena di striscio.

«Leggi tu» ordinò.

Dopo un attimo di attesa – Malfoy era chiaramente innervosito da quei toni perentori – il ragazzo si sporse e rimettendosi composto afferrò il foglio tra le mani. Lei lo guardava, non sembrava volerlo mostrare, ma a Draco parve di riconoscere un guizzo di curiosità nei suoi occhi scuri. La fissò ancora. Pregustò già il suo silenzio inorridito quando lui avrebbe finito. Cominciò a leggere.

«Mi preparo per la nobile guerra…»

 

***

 

Mi preparo per la nobile guerra.

Sono a scuola, è l’ora di Trasfigurazione. Quella vecchia pazza di Frigida McGranitt è ancora professoressa e normalmente se la prenderebbe con me perché sono in ritardo e non sono ancora entrato in aula.

Ma non oggi.

Sono calmo. Mi sono lasciato tutto alle spalle, compreso Blaise che ridacchiava dietro di me e Pansy che mi implorava di qualcosa, ma non riuscivo a sentire cosa dicesse, perché lei mi parla spesso ma io non sto mai a sentire. Solo Theodore mi guardava e capiva; lui sapeva cosa sarebbe successo, lo sa sempre. E’ l’unico amico che io abbia qui dentro.

Tiro fuori il mio mantello e lucido la mia bacchetta. Sono di nuovo io il suo padrone, adesso, non risponde più a Potter.

Avrei ucciso chiunque avessi incrociato sul mio cammino, fosse stato Mezzosangue o Mangiamorte o Grifondoro, non avrebbe avuto importanza. Li avrei uccisi tutti.

M’incammino per i Sotterranei del castello. Sono vuoti, la gente ha paura. Ha paura di me. Lo leggo nei loro occhi quando mi squadrano di sottecchi e subito dopo distolgono lo sguardo, temono che io possa far loro del male perché appartengo alla schiera dell’Oscuro Signore. Il Marchio Nero con il teschio dalla cui bocca esce un serpente pulsa sul mio braccio, e fa male, fa male da morire.

Indosso le vesti da Mangiamorte.

La tunica nera mi sfiora i piedi e ho una maschera scheletrica che mi nasconde il viso. Sembro un’ombra, sono un’ombra. Nessuno può vedermi davvero ma tutti mi temono.

Esco dai Sotterranei, come un’anima che risorge. Cammino per i corridoi, sono implacabile, sono invincibile; ho la bacchetta in mano.

Alcuni si girano a guardarmi, altri fanno finta di non vedermi. Qualcuno mi indica col dito, la maggior parte si arresta o scappa. Vedono il mio Marchio, vedono la mia maschera, ma nessuno intuisce cosa sta per succedere.

Mi avvicino all’aula di Trasfigurazione. Spalanco la porta, entro di soppiatto, non la richiudo. Voglio che tutti vedano cosa sono capace di fare.

La McGranitt scrive qualcosa alla lavagna. Si volta a guardarmi, tutti lo fanno. Alzano i loro occhietti insipidi su di me, che sono forte, sono imponente. Sto per ucciderli.

La vecchia mi rimprovera per il ritardo. Io alzo la bacchetta, gliela punto al cuore. Avada Kedavra e la McGranitt non c’è più.

Allora gli altri vogliono fuggire, ma io non glielo permetto. Weasley è il primo che ammazzo. Le sue cervella gli schizzano fuori dal cranio ancora prima che possa accorgersi che il getto rosso della mia bacchetta è diretto contro di lui. Si schianta sul banco, il suo sangue ricopre i libri, qualcuno urla.

Paciock lo faccio fuori senza pensarci, un lampo di luce verde ed è finita. Corre a fare compagnia al buon vecchio Weasel, non gli do nemmeno il tempo di chiedermi pietà.

E’ il turno di Potter. Lui mi sta davanti, vuole affrontarmi. La sua cicatrice è più viva che mai, sanguina ancora sulla sua fronte e so che gli fa male, gli fa male come il mio Marchio che mi stringe le vene e il sangue in una morsa, ma io non mi arrendo, non oggi. Questa è la mia guerra.

Il sangue abbandona il corpo morto di Potter che si accascia su quello dei suoi amici di sempre. Alcuni corrono a cercare aiuto, ma a me non importa, non m’importa di essere ucciso, non mi importa più di niente.

Lascio la Mezzosangue per ultima. Ha condiviso con me i minuti più strazianti della sua vita, l’ho guardata contorcersi e soffrire sotto l’effetto di un Cruciatus, le stavo di fronte mentre lei silenziosamente m’implorava.

M’implora anche adesso. Si inginocchia, mi prega di risparmiarle la vita. Il sangue che scorre dalla testa di Weasley le macchia le ginocchia e l’orlo della gonna, piange e mi sussurra preghiere. E com’è patetica, com’è fragile nel supplicarmi di non ucciderla, di lasciarla viva.

Ha le mani sporche del sangue dei suoi amici morti, le lacrime scendono sulle sue guance e si mischiano al sangue, lacrime e sangue, lacrime e sangue, non c’è nient’altro per noi, solo lacrime e sangue. Siamo solo uomini, è di questo che siamo fatti.

La lascio per ultima perché voglio che anche lei stia con me fino alla fine nel momento peggiore. Esplode in un lamento atroce quando nonostante le sue suppliche la mia bacchetta sfiora la sua fronte.

Prega ancora, mi promette di tutto, tra i singhiozzi sussurra il mio nome, crede davvero che io possa risparmiarla.

Ma non oggi. Oggi sono implacabile, oggi sono forte, sono spietato, sono crudele. Non ho pietà.

Avada Kedavra.

 

***

 

Barry terminò la sua oratoria nello sbigottimento generale.

Zacharias prese perplesso il foglio che Barrett aveva abbandonato sul tavolo, intento ad asciugarsi con un dito una lacrima di melodrammatica commozione che giunse ai suoi occhi. Ron lo guardò perplesso.

«Una sporca vicenda di droga con tanto di stereotipato patrigno cattivo, fratello scappato di casa e sorella malmenata annessi?» disse asciutto Smith, riepilogando l’epopea di Barry. «La storia dei gangster era più credibile.»

Barry lo squadrò con supponenza.

«Almeno io qualcosa l’ho scritta» sbottò, facendo riferimento alla pergamena intatta di Zacharias, il quale non si scompose minimamente. Il Tassorosso cominciò a guardarsi intorno, guardando le facce dei compagni a uno a uno. Si soffermò sul viso teso di Morag.

«Morag MacDougal, la donna con più scheletri che vestiti nell’armadio» esordì teatrale il ragazzo, mentre lei gli rivolgeva uno sguardo carico di sottintesi. «Cos’hai da proporci tu? Torbidi racconti di vita metropolitana all’insegna di guerre di bande e prostituzione minorile? O hai seguito il suggerimento di Twycross e hai deciso di poetare

«Non sei divertente» borbottò Anthony, guardando l’amico.

Morag si esibì in un mezzo sorriso, accogliendo senza remore l’invito di Smith.

«Ho qualcosa di meglio di un lamento in versi» disse, aprendo il suo foglio di pergamena. A differenza degli altri, aveva riempito entrambe le facciate.

«Ti racconto una storia» continuò, guardando Zacharias che sogghignava al suo indirizzo.

«Prego, fai pure» replicò il Tassorosso. «Ti ascoltiamo.»

 

***

 

C’era una volta una bambina piccola di nome Katrina. Viveva in un ombroso castello sulle cime dei monti scozzesi, con la sua mamma, il suo papà e la sua scatola giocattolo con il clown a molla parlante. Era una bambina fortunata, aveva genitori che la riempivano di giocattoli e bei vestiti e non le facevano mancare mai nulla, se non un po’ d’attenzioni. Ma lei era sempre così presa dai suoi giocattoli e dalle sue belle cose che non se ne preoccupava affatto.

Un giorno sua mamma, che era una donnina serena con i capelli bruni che disegnava fate e orchi e le leggeva libri di fiabe prima di andare a dormire, ordinò al loro Elfo Domestico di portare via i vecchi giochi di Katrina, per far spazio ai libri e alle bambole nuove. Così l’Elfo eseguì, e il giorno dopo il clown a molla era finito nel seminterrato insieme ai trenini di legno e al rattoppato orsetto di pezza.

A Katrina i nuovi giochi non piacevano.

C’era una bambola di porcellana dalle lunghe trecce corvine, con ciglia lunghe e ben curvate e un vezzoso abitino da principessa a balze bianche e lilla. Katrina l’aveva chiamata Joceline, come la più antipatica e fastidiosa tra le sue compagne di giochi. Oltre la principessa Joceline, c’era anche un bisbetico folletto di peluche il cui nome era Trickster, e che aveva, tra le tante, pessime qualità, l’abitudine di riprenderla quando faceva qualcosa che non andava – se rovesciava il bicchiere del latte per terra e non chiamava nessuno per ripulirlo, o quando sferruzzava con le tendine della sua finestra per fabbricare una sciarpa calda per il suo Tony, il rammendato orsacchiotto di pezza con un solo nero occhio di bottone.

Quando la compagnia di Trickster e della principessa Joceline cominciò a infastidirla – il folletto non faceva che rimproverarla anche per le cose più futili, e la bambola la guardava superba e altera dalla cima della mensola più alta – Katrina decise di organizzare una spedizione nel seminterrato per recuperare l’orsacchiotto Tony e il clown a molla.

Il papà di Katrina, un uomo scuro e altissimo, le aveva severamente proibito di andare nel seminterrato, fin da quando era piccola.

«Nel seminterrato» le spiegava lui quando la bambina faceva domande, «si annidano i rancori e i cattivi pensieri di tutte le cose che sono state messe da parte, come i vecchi acquerelli della mamma e il tuo orsacchiotto senza un occhio. Lì sotto le cose non sono mai quello che erano prima; non andarci mai, o cercheranno di catturarti e intrappolarti nel loro abbandono.»

Ma Katrina era sempre stata una bambina un po’ discola, come si premurava costantemente di ricordarle il folletto Trickster. Così, una notte, mentre il papà e la mamma erano a letto, Katrina scese nel seminterrato di nascosto.

Purtroppo, Katrina non era grande abbastanza per avere una bacchetta sua, e anche se fosse riuscita a rubare quella della mamma non avrebbe saputo pronunciare la formula di un solo incantesimo; così, dovette accontentarsi di una semplice candela, anche se – Katrina questo lo sapeva bene – ci sono giorni in cui una fiammella sola non basta a vincere le tenebre.

In punta di piedi e senza fare rumore, per evitare di svegliare il folletto Trickster, Katrina scese lungo le scale del suo enorme castello, rabbrividendo al contatto del pavimento freddo e lucido con i suoi piedi scalzi.

Raggiunse la porticina d’ingresso del seminterrato, che la bambina riuscì ad aprire dopo diversi sforzi. Quando fu riuscita nell’intento, raccolse la candela che aveva momentaneamente poggiato per terra e si avventurò in quel luogo oscuro.

Katrina sapeva che il suo papà non aveva mentito quando l’aveva avvertita di stare alla larga dal seminterrato. Infatti, oltre ad essere universalmente noto che i sotterranei sono luoghi assai pericolosi dove scendere a fare due passi, soprattutto se si è solo dei bambini e se è piena notte, Katrina avvertiva nell’aria un puzzo strano e nauseante che doveva sicuramente essere l’odore del rancore.

La bambina cominciò a scendere cautamente la piccola rampa di scale, tenendo alta la candela davanti a sé. Per un attimo la colse la paura e la voglia di tornare al caldo delle sue coperte, ma poi le tornarono in mente il sogghigno cattivo del folletto Trickster e i boccoli di pece della principessa Joceline, così si fece coraggio.

Come da prassi, le scale cigolavano sinistramente. Katrina lo prese come un buon presagio: era sulla strada giusta.

«Tony?» bisbigliò, sperando che lui la sentisse e si facesse avanti per primo. Nel buio, intravedeva solo sagome alte e squadrate di scatoloni o statue ricoperte da pesanti coltri, non aveva voglia di addentrarsi in quelle tenebre. «Signor Clown a molla?»

Le tremava un po’ la voce e sentiva le spire delle cose abbandonate che cercavano di trascinarla un po’ più in basso nel loro oblio. Ma lei non aveva scelta: doveva riportare Tony e il signor Clown in salvo.

La fiamma della candela illuminò debolmente l’ambiente; Katrina si accorse di aver trattenuto il respiro.

«Tony…» sussurrò ancora. «Signor Clown a molla… vi prego, dove siete?»

A un certo punto Katrina sentì dei rumori; trasalì e si guardò paurosamente intorno, sentendo rumori di scatoloni e perfino un gemito. Il primo impulso fu di scappare. Katrina cominciò a precipitarsi verso le scale, ma nel farlo inciampò e cadde lunga distesa per terra. La candela le scivolò di mano e cozzando contro la pietra gelida del pavimento si spezzò e si spense, lasciando Katrina nelle tenebre.

Quando la situazione stava per farsi più pericolosa, Katrina avvertì un rumore familiare e uno strano rimbalzo… come di una molla.

«Accidenti…» borbottò una voce da lontano. «Oh, accidenti. E’ troppo in alto. Accidenti.»

«T-Tony?» mormorò la bambina tra i singhiozzi, che ne aveva riconosciuto la voce.

«Accidenti… accidenti… signor Clown, le dispiacerebbe rimbalzare un po’ verso su? Quella scatolina lì in alto, sì?»

Ci furono una serie di rumori, come di una molla e qualcosa che cadeva.

Katrina stette all’erta.

«Sì… sì, ecco, signor Clown, quella lì. La ringrazio, messere. Ci siamo, ecco: Kat?»

Una fiamma flebile squarciò il buio come una spada e, per quel che la riguardava, l’orsacchiotto Tony era il suo cavaliere.

Tony, con l’aiuto del clown a molla, aveva recuperato dal fondo di uno scatolo una confezione di fiammiferi, che aveva usato per accendere la candela rotta di Katrina che, rotolando, era giunta fino a lui. Tony la sollevò goffamente tra le sue zampe scucite, illuminando il signor Clown e il profilo ossuto di Katrina.

«Oh, Tony!» esclamò la bambina, rialzandosi in un balzo e correndo a recuperare l’amico. Il signor Clown le sorrideva sornione dalla sua scatola rossa, silenzioso ma vigile come sempre.

«Ahia» si lagnò l’orsetto. «Ahia, Kat, attenta alle cuciture!»

«Scusa, scusa» si precipitò a dire lei, accorgendosi di starlo stritolando troppo forte. «Oh, Tony, sono così felice di averti ritrovato! Porterò te e il signor Clown in salvo, vi nasconderò sotto il letto così la mamma non saprà mai che siete lì!»

«Bel piano, madamigella» scherzò l’orsacchiotto, mentre si lasciava sollevare sulla spalla di Katrina, dove si appollaiò saldamente.

«Gradisce adagiarsi tra le mie braccia, messere?» domandò cortesemente la bambina al signor Clown, che sapeva quanto ci tenesse a che gli si usasse un certo riguardo.

«Volentieri, madamigella, volentieri» trillò quello, scuotendo tutti i suoi campanelli e pennacchi. Katrina prese in braccio anche il clown a molla con la sua scatola.

«Ma, un momento!» tuonò d’un colpo il signor Clown, facendo sobbalzare la bambina e anche Tony, che sulla sua spalla traballò leggermente e rischiò quasi di far cadere nuovamente la candela. «Che mi venga un colpo, sergente! Abbiamo dimenticato il nostro ospite!» continuò il clown, molleggiandosi nella sua scatola tra le braccia di Katrina, rivolgendosi all’orsetto che trattenne un’esclamazione di sorpresa.

«Oh, già, è vero» convenne sbadatamente quello.

«Di chi parlate?» s’informò educatamente Katrina.

Tony e il signor Clown si scambiarono un’occhiata.

«Ma del gentiluomo che ci ha tenuto compagnia in questa settimana, naturalmente» spiegò il clown a molla.

«E che ci sembra assai scortese abbandonare qui sotto dopo che è stato tanto gentile e beneducato con noialtri» continuò Tony.

«Oh» Katrina sembrava sorpresa.

«Dovremmo aiutarlo» insistette il signor Clown. «Non lo senti come geme?»

Katrina aggrottò le sopracciglia sottili. «Io non-»

Silenzio. Poi un lamento riempì il seminterrato, lo stesso gemito di dolore che aveva sentito la bambina scendendo lì e che aveva attribuito a qualcos’altro.

Un brivido di terrore le percorse la spina dorsale.

Col signor Clown in braccio e l’orsacchiotto Tony che illuminava il buio tenendo alta la candela, Katrina avanzò a piccoli passi, con le gambe molli e il cuore in gola.

«Un po’ più avanti, madamigella» la esortò messer Clown.

Katrina mosse un altro, minuscolo passo. Il pavimento sotto i suoi piedi era sempre più freddo.

«Avanti» la incitò anche Tony, reggendosi con una zampa tozza l’occhio di bottone che stava quasi per cadergli. «Vai avanti, Kat.»

Katrina si mosse ancora, i gemiti erano più vicini, così come il puzzo nauseante del rancore.

«Avanti» ripeté imperioso messer Clown, quando la bambina esitò.

Katrina fece un altro passo. Al suo orecchio, l’orsacchiotto Tony, col filo nero che gli cuciva addosso un sorriso a metà, le sussurrò: «Avanti.»

Avanti.
Vai avanti, Kat.

Si sbrighi, madamigella.

Katrina…

L’ospite giaceva imbavagliato per terra. Il sangue raggrumato dava una nuova forma al suo volto pieno di ferite e lividi, un grumo di sangue secco gli impediva quasi totalmente la vista da un occhio, che forse era stato fatto saltar via. I suoi piedi legati si agitavano inquieti tra la polvere del seminterrato, con l’occhio buono guardava disperato attorno a sé e mugugnava qualcosa che con la bocca e con la lingua tagliata non riusciva a formulare.

Katrina urlò.

 

***

 

Hermione osservò Draco alzare gli occhi dal foglio e guardarla mentre pronunciava le ultime due parole. Poi abbandonò il rotolo di pergamena sul tavolo, come uno schiaffo, mentre incrociava le mani e tornava a dondolarsi sulla sedia con un ghigno serafico.

La Granger era chiaramente colpita; non aveva fiatato, fatto domande, obiettato nulla. Anche adesso lo guardava come se si aspettasse che fosse lui a prendere parola per primo, perché lei evidentemente non avrebbe saputo come commentare.

«Allora?» la esortò dopo alcuni secondi Draco. «Ti è piaciuta la mia storia?»

Hermione sostenne il suo sguardo. Sembrava pensierosa, sì, ma non inorridita da quelle sue fantasie.

«E’…» Hermione esitò. Prese un bel respiro. «E’ quello che fantastichi di fare? Sterminarci tutti?»

Draco si strinse nelle spalle, godendo della sua faccia ammutolita e sorpresa.

«E’ solo un sogno che faccio spesso, ultimamente» spiegò con noncuranza. «Si ripete sempre uguale, e finisce sempre nello stesso modo.»

«Con me che ti supplico e tu che fai saltare le cervella a Harry» ricordò Hermione. «Carino.» Fece una smorfia.

«Sì, trovo anch’io» convenne ironicamente lui. «Sei contenta ora che ci siamo aperti a questo simpatico e inutile confronto, come voleva Twycross? Credi che adesso mi alzerò e andrò a chiedere scusa a Weasley e che domani pranzeremo al tavolo insieme?»

Hermione sostenne quello sguardo di piombo.

«Credo che sia arrivato il momento di dare un senso a tutte le cose che sono successe» ribatté. «Se continuiamo a comportarci come se nulla fosse successo, se continuiamo a odiarci come facevamo prima… tutto quello che per cui tutta quella gente è morta non sarà servito a niente» terminò in un sussurro. «E’ tempo di finirla, Malfoy.»

Lui la ascoltò attentamente, mentre a qualche metro da loro gli altri ridevano per qualcosa che aveva detto Barry. Draco mise su un ghigno inquietante e scosse la testa, tenendo gli occhi bassi. Hermione si chiese perché Malfoy si stesse osservando le mani, poi si accorse che stringeva la mano destra come a voler trattenere qualcosa sull’altro avambraccio.

«Granger, io non ti odio come facevo prima» le disse lui, con uno strano sorriso. «Io ti odio in una maniera che prima non avrei neanche creduto possibile» le sussurrò.

Hermione tacque.

«Vedi…» riprese Malfoy, sporgendosi sul tavolo per farsi più vicino al suo viso. Parlava a bassa voce, forse per non farsi sentire dagli altri, e istintivamente anche Hermione si avvicinò. «Te l’ho già detto quella volta al campo di Quidditch. Non importa se sei una Sanguesporco. Una volta potevo anche odiarti per questo, ma adesso devi capire, Granger, che non mi importa assolutamente nulla del tuo putrido sangue.»

Qualcosa in quelle parole innervosì Hermione. Non solo la cattiveria con cui Malfoy pronunciò quella parola – Sanguesporco – ma quel sorriso che gli increspava le labbra in una smorfia di compiacimento.

«Odio Potter perché era con me la notte in cui ho quasi ucciso Silente» disse Malfoy, e ogni traccia di quel sorriso cattivo svanì all’istante dalla sua bocca. Hermione si voltò per un istante a guardare Harry, che seduto all’altro tavolo discuteva sommessamente con Anthony.

«Odio Weasley» riprese Malfoy, riportando l’attenzione di Hermione su di sé, «perché quella volta, nella Stanza delle Necessità, è tornato indietro a prendere me e Goyle nonostante i nostri gli avessero appena fatto fuori il fratello.»

Fred.

Hermione fece per dire qualcosa, scosse la testa, ma lui la bloccò alzando un indice e facendole segno di tacere.

«Odio te» sibilò infine, e Hermione trasalì, «perché ero in quella stanza mentre mia zia ti torturava» concluse infine, tirando fuori a voce qualcosa che lei si era impegnata con costanza a seppellire nella parte più profonda di sé. Qualcosa, in Hermione, in quel momento si strappò.

Come le era accaduto raramente in vita sua, per una volta Hermione non seppe cosa dire; ma nello sguardo di Malfoy, non appena trovò la forza di alzare il mento e guardarlo, trovò qualcosa che in tutti quegli anni di battibecchi e insulti non c’era mai stato.

Vergogna.

«Sai cosa vorrei?» sussurrò ancora Malfoy, sempre più vicino.

Vergogna perché loro erano lì a guardare mentre lui mandava miseramente in pezzi la sua vita.

«Vorrei non dover vedere ogni giorno le vostre stupide, vittoriose facce.»

Vergogna perché loro lo odiavano mentre lui si odiava a sua volta, per ogni suo respiro, per ogni suo gesto.

«Vorrei che la piantaste di mettervi contro di me, vorrei che una volta per tutte mi lasciaste in pace.»

Vergogna perché lui era un sottomesso, un succube, piegato alle minacce di qualcuno a cui non aveva avuto la forza di ribellarsi; vergogna perché aveva perso, perché aveva fallito. E il mondo gli sbatteva continuamente in faccia quel fallimento così grande.

«Malfoy, lasciami» mormorò Hermione, e solo allora lui si accorse di averle afferrato il braccio all’altezza del gomito, serrandoglielo con forza sulla stoffa del maglione. Non mollò la presa, strinse più forte.

«Vorrei che non esisteste» sputò fuori infine. «Vorrei non conoscervi. Vorrei che non ve ne andaste in giro con quell’aria da pavoni per i corridoi con quello stuolo di seguaci al seguito.»

«Mi stai facendo male» gli sussurrò ancora, cercando di mantenersi controllata e ferma.

«Vorrei che spariste.» Aumentò la presa sul suo braccio. «Vorrei potervi togliere di mezzo come in quel sogno, vorrei che mi imploraste, vorrei che…»

Fu costretto a mollare la presa e voltare il capo di lato quando lei lo colpì con uno schiaffo. Hermione si alzò in fretta, mentre lui si premeva una mano sul viso a coprirsi parte della bocca e guancia.

«Che succede?»

Ron e Harry le furono subito alle spalle, così come gli altri che destati dal rumore si avvicinarono al loro tavolo.

«Ti ha fatto qualcosa?» le chiese premuroso Ron, sfiorandole per un attimo il volto con una mano. Ma Hermione non rispose, anche se sembrava un po’ strana, guardava il palmo della mano con cui aveva colpito Malfoy, sentendo addosso uno strano presagio.

Ron si voltò a guardare il Serpeverde, pronto a urlargli contro qualcosa.

Draco se ne stava ancora piegato su quel banco, cercando di dar loro le spalle, la mano gli tremava leggermente mentre la premeva ancora sul suo viso.

Morag fu la prima a superare gli altri e ad affiancare Malfoy, poi con un gesto secco cercò di afferrargli il polso per scoprirgli la faccia, ma lui la allontanò violentemente mandandola quasi a sbattere contro la sedia.

«Che cazzo mi hai fatto?» urlò Malfoy, girandosi all’improvviso e fissando Hermione dritto negli occhi. Lei boccheggiò, sembrava confusa, tremava. Non riuscì a dire nulla.

«Che cazzo mi hai fatto?» strillò ancora Draco, le urla soffocate da quelle mani sulla bocca, la voce incrinata per la paura.

Quando Morag si fece di nuovo avanti per scoprirgli il viso, questa volta con più cautela, Draco non la fermò.

Anthony era già corso a chiamare qualcuno mentre gli altri guardavano inorriditi una sottile crepa nera allargarsi come una ragnatela sulla pelle di Draco, distorcendo la sua bocca in un macabro sorriso.

 

***

 

N/A

Comincio scusandomi per il ritardo, ma non è questo un periodo in cui sono dell’umore giusto. Prometto anche di finire di rispondere al più presto alla recensioni dello scorso capitolo, perdonatemi. Siete sempre comunque gentilissimi.

Ora, con ordine: l’idea della punizione scelta da Twycross deriva chiaramente da The Breakfast Club, film del 1985 di John Hughes dove, similmente a quanto succede in questo capitolo, un gruppo di ragazzi viene costretto a passare un pomeriggio in biblioteca a compilare un tema dal titolo Chi sono io? Ho sempre desiderato adattare l’idea al fandom di HP e finalmente ne ho avuto l’occasione.

La canzone che Barry sta ascoltando è ovviamente Nightclubbing di Iggy Pop.

Katrina è il primo nome che JK aveva pensato per Morag, poi sostituito da Isabel e infine definitivamente rimpiazzato con Morag. Mi piacerebbe prendermi la libertà di pensarlo come il secondo nome della ragazza.

Infine, se qualcuno ha seguito American Horror Story saprà sicuramente che “Mi preparo per la nobile guerra” è la frase con cui Tate Langdon comincia a raccontare a Ben Harmon delle fantasie che lo tormentano. Tate si immagina mentre cammina per i corridoi della sua scuola, con un cappotto scuro e con la faccia truccata come uno scheletro. Riflettendoci su, ho pensato che l’insieme poteva ricordare un poco i Mangiamorte, e per quanto Draco non abbia niente a che vedere con Tate, l’idea di associare le due cose mi piaceva. Anche il discorso e lo stile del racconto di Draco sono simili a quelli di Tate (Sono calmo, conosco il segreto. So cosa sta per succedere, so che nessuno può fermarmi, neanche me stesso. Uccido chi mi piace. C'è chi prega di non essere ucciso ma non mi fa pena, non provo niente).

Credo proprio di aver detto tutto.

A presto!

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Capitolo 8
*** Make It Right ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

8.

Make It Right

 

 

 

 

The world seems not the same,

though I know nothing has changed.

It's all my state of mind,

I can't leave it all behind.

I have stand up to be stronger.

(Pale, Within Temptation)

 

 

 

Il dolore era ovunque.

Era in lei e in tutte le cose attorno, era l’essenza stessa del mondo. Era ciò che la teneva ancora in vita, era l’ultima barriera che le impediva di morire.

Si contorceva per terra come un serpente, mentre dalle sue labbra scaturivano urla e preghiere che non riconosceva come sue. Era la voce di un’altra, che si era insinuata nella sua testa e tra la sua pelle, aveva preso possesso del suo sangue, e ora la dilaniava dentro, gustando ogni piccolo morso.

La risata di Bellatrix si allargò in quel massacrante vuoto, riempiendo ogni cosa. Il suo odio si annidò nel nulla che costituiva l’esistenza e si rintanò in lei, tra le sue ossa, facendole male, scuotendola da capo a piedi, ridandole vigore.

Era l’odio che la manteneva in vita, adesso.

Il dolore cessò, ma l’odio non passò mentre Bellatrix si allontanava, contaminando la stanza con l’eco delle sue risa. Risuonavano ovunque.

Lei rimase a terra, paralizzata, versando lacrime e urlando al solo ricordo del dolore.

Lui si avvicinò con l’incedere di una fata o un serpente, i suoi passi non producevano alcun rumore contro quel marmo nero.

Hermione alzò gli occhi su di lui, scoppiò in un nuovo pianto nello scorgere la sua veste nera e il volto ricoperto da quella maschera da scheletro. Il Marchio Nero gli incendiava il braccio, s’imprimeva a sangue nella pelle, ed era quel sangue che cadeva lungo il suo braccio sinistro da sotto la manica della tunica, depositandosi sul suo viso.

«Per favore» implorò Hermione. Nelle sue orecchie rimbombava la voce di Bellatrix, l’ardore delle sue Maledizioni, la dolcezza lacerante del suo dolore.

«Non uccidermi» pianse Hermione. «Per favore.»

Draco Malfoy le tese la mano. Sollevandosi in ginocchio, Hermione la prese e lui l’aiuto ad alzarsi.

Anche quando gli fu di fronte, lei non riuscì a capire se Draco la stesse guardando in viso. Quella maschera da morto oscurava il suo sguardo, così lei gliela sfilò e quella si dissolse tra le sue mani come polvere.

Hermione sfiorò con lo sguardo la pesantezza di quegli occhi grigi, che la guardavano senza emozione, come quelli vacui di un cieco. Fece scorrere il suo sguardo sulla dolcezza di quei lineamenti eleganti, sui capelli tanto biondi da apparire quasi bianchi, così serici da desiderare di accarezzarli, e quella pelle intatta, pallida, perfetta.

Si baciarono.

Hermione si aggrappò alle sue spalle e lui la sorresse per la vita, lei accarezzò quelle labbra con le proprie, e mise in quel bacio tutta la dolcezza di cui era capace, era il suo modo di chiedere perdono.

Continuò a baciarlo; e anche quando dalle sue labbra scaturì una ragnatela di tenebre che si diffuse sul viso di Draco come una malattia, lei continuò a baciarlo. Neanche quando il suo volto divenne una maschera di male e buio ben più tetra di quella che aveva portato fino ad allora, neanche in quel momento Hermione smise di baciarlo.

Lo uccise così, svuotando in lui tutto l’odio che le attanagliava il cuore, che le imprigionava l’anima, che le soffocava il respiro.

Dopo, tra le mani, le rimase solo una tunica nera e la scheletrica maschera da Mangiamorte che rideva di lei col suo beffardo sorriso.

 

***

 

«Hermione.»

Qualcuno le sfiorò una guancia. Aprì gli occhi.

Si tirò a sedere, sbadigliando, la mente ancora scossa dall’ombra di un incubo.

«Ciao, Lavanda» mugugnò, con voce impastata.

Lavanda Brown le sorrideva, seduta sulla sponda del suo letto. Indossava una vestaglia sopra il pigiama che lasciava ben in mostra la lunga cicatrice che le percorreva il collo e il viso fino agli angoli della bocca.

«Ho visto che ti muovevi nel sonno e ho pensato di svegliarti» disse la ragazza. «Ginny, Demelza e Vicky sono già scese.»

Hermione si destò del tutto. Si stropicciò gli occhi con la mano, dando un’occhiata rapida al quadrante della sua sveglia.

«E’ tardi» borbottò, tirando le coperte mentre Lavanda si alzava per lasciarla scendere.

Afferrò rapidamente i suoi vestiti e corse in bagno, ben sapendo che l’aspettava una lunga giornata.

La prima cosa che fece una volta fuori dalla Torre di Grifondoro fu recarsi in Infermeria. In Sala Comune Neville le aveva detto che Harry e Ron erano ancora sopra, così poté sperare di avere qualche minuto libero prima del loro appuntamento.

L’infermeria era vuota quando entrò. A parte, naturalmente, Madama Chips e il letto occupato da Draco Malfoy. L’infermiera le rivolse un cenno di saluto e un tiepido “Buongiorno”, mentre la ragazza prendeva posto sulla sedia lasciata vicino al letto di Draco.

Malfoy dormiva. In realtà, Hermione ebbe come l’impressione che fingesse, ma non poteva averne la certezza così restò semplicemente ferma a guardare.

Da quel poco del suo viso che non era ricoperto da bende, si intuiva che la sua espressione fosse serena e distesa. Magari si era sbagliata, forse dormiva davvero. La maledizione, incantesimo, fattura, o qualunque cosa fosse, si era propagata anche in alto nella parte sinistra del volto, prima che Madama Chips potesse impedirne l’avanzamento. Le sue cure dovevano aver sicuramente alleviato i danni, perché almeno la parte destra della bocca e del volto risultava quasi del tutto illesa.

La sera prima, quando il professor Lumacorno aveva portato il ragazzo in Infermeria, Madama Chips aveva agito immediatamente con impacchi di erbe e lozioni che avrebbero dovuto arrestare il propagarsi delle ferite. Il che avveniva solo momentaneamente, visto che quella fitta ragnatela di crepe sul viso sembrava rigenerarsi.

Lumacorno e la Chips avevano naturalmente chiesto spiegazioni, che neanche loro avevano saputo dare. Magia Oscura di livello avanzato, ben oltre le possibilità di uno studente, seppur brillante come Hermione, era stato il verdetto finale. La conclusione più plausibile a cui il professor Lumacorno era giunto era che qualcuno volesse nuocere in qualche modo a Draco Malfoy, ipotesi non così improbabile considerata la numerosa schiera di nemici che sicuramente il ragazzo si era fatto in quegli anni, per azioni proprie o anche per quelle che altri – nello specifico, i suoi genitori o i suoi zii – avevano compiuto.

Del resto, Hermione non avrebbe saputo dire altro. Pur sapendo di essere stata indubbiamente lei la causa scatenante di quella magia, dettaglio su cui gli altri avevano elegantemente sorvolato per difenderla, Hermione sapeva di non aver avuto l’intenzione di procurare a Malfoy quelle ferite. Almeno, non volontariamente. Primo, perché non aveva idea di che magia fosse quella, e concordava con Lumacorno nel ritenere che si trattasse di Magia Oscura al di fuori della sua portata. Ma non capiva ugualmente come e perché quel qualcuno, chiunque fosse, che aveva deciso di punire Malfoy in quel modo così macabro, avesse pensato di servirsi di lei per quel compito.

Le sue mani non avevano nulla che non andasse, l’aveva constatato con se stessa e con gli altri, sui quali una sua carezza o, beh, uno schiaffo, non causavano di certo quegli effetti. Ed era anche abbastanza sicura che un altro contatto con la pelle di Malfoy non avrebbe portato alle stesse conseguenze, un po’ perché le doveva essere sicuramente capitato di sfiorarlo mentre aiutava Harry e Anthony a portarlo in Infermeria senza procurargli ulteriori danni, un po’ perché semplicemente sentiva che quella magia, fluita in qualche modo attraverso di lei, si era dissolta.

In ogni caso, non avrebbe di certo corso nuovamente il rischio sfiorandolo di nuovo.

Tuttavia, il suo sentirsi almeno moralmente innocente non le risparmiò la preoccupazione né i sensi di colpa. Che l’avesse voluto o no, qualcosa era chiaramente successa, e considerato tutto la rabbia che era corsa tra di lei e Malfoy in quei giorni, e in quel momento in biblioteca soprattutto, non poté fare a meno di chiedersi se lei fosse totalmente esente da qualsiasi colpa.

Mentre guardava il viso addormentato di Malfoy, il ricordo dell’incubo di quella notte tornò a turbarla.

«Si faccia da parte un attimo, signorina Granger» la scosse la voce di Madama Chips, che si avvicinò a Malfoy con una serie di unguenti. Anche la ragazza poté notare alcune sottili crepe nere sbucare fuori dalle bende. Le ferite si diffondevano ancora.

«Non migliora?» chiese Hermione all’infermiera.

«Fintanto che non sappiamo con esattezza di cosa si tratti, qualunque cura sarà insufficiente» precisò la Chips. Prima di togliere le bende dal viso del ragazzo e applicare le medicazioni, l’infermiera si voltò a guardare Hermione.

«Io, il professor Twycross e la professoressa McGranitt ce ne stiamo occupando» aggiunse, quasi a voler ammorbidire il suo precedente tono un po’ burbero. «Stia tranquilla, signorina Granger.»

Lasciò Madama Chips al suo lavoro e uscì dall’Infermeria. Lungo i corridoi incrociò Theodore Nott e Pansy Parkinson, e soprattutto quest’ultima non le risparmiò uno sguardo furente e carico d’odio. Camminavano in direzione opposta alla sua, così Hermione suppose che stessero andando a trovare Malfoy. La Serpeverde sibilò qualcosa al compagno e fece per uscire la bacchetta, ma Nott la fermò passandole un braccio attorno alle spalle e la superarono senza altri inconvenienti.

L’appuntamento con Harry e Ron era alla capanna di Hagrid. Per quanto la vicenda di Malfoy avesse scacciato via ogni altro pensiero, Hermione aveva anche un’altra questione di cui occuparsi.

Il piccolo problema squamoso saltellava allegro sopra il tavolo della cucina di Hagrid. Thor lo guardava sospettoso, ma evidentemente abituato alle strane bestie che Hagrid gli portava in casa, se ne stette accucciato tranquillo ai piedi della sedia di Harry.

«Zucchero?» chiese Hagrid a Hermione, dopo averla fatta accomodare insieme agli altri e averle offerto una tazza di tè. Hermione rifiutò cordialmente.

Charlie Weasley, il fratello secondogenito di Ron, non aveva nulla da invidiare al maggiore Bill in quanto a fascino, soprattutto dopo che Greyback aveva dato il suo nobile contributo, pensò Hermione con amarezza. Anche se Charlie non possedeva la bellezza palese di Bill, aveva un fascino nuovo, diverso, nel portamento e nei gesti che lo rendeva attraente al pari del fratello. Forse era il sorriso insinuante che ricordava un po’ quello dei gemelli, o semplicemente le sue vaste conoscenze, patrimonio dei suoi innumerevoli viaggi, che gli conferivano una rassicurante sicurezza che lo rendeva l’esatto modello di persona interessante.

«E’ un Lindworm» affermò subito Charlie, senza esitazioni, mentre accarezzava con perizia il dorso lucente del drago. Nei suoi gesti non c’era nulla della ritrosia che caratterizzava i movimenti dei tre ragazzi quando avevano a che fare con quella creatura. Charlie sapeva esattamente quali punti toccare per calmare il drago, e quali invece evitare anche solo di sfiorare per non infastidirlo.

Al pari di Charlie, Hagrid appariva altrettanto incantato.

«Un cosa?» ripeté Harry, guardando ora Charlie ora Hermione, quasi si aspettasse anche da lei una risposta, ma lei non poté fare altro che stringersi nelle spalle e ammettere la sua ignoranza in materia.

«Un Lindworm» scandì ancora Charlie. «E’ una creatura originaria dei paesi nordici, in particolare Scandinavia e Germania. Oggi sono molto rari, le loro squame vengono vendute a prezzi altissimi al mercato nero, sono uno degli ingredienti essenziali per la fabbricazione della Felix Felicis, anche se il più delle volte vengono sostituite con squame di altri rettili più facilmente reperibili.» Charlie fece una pausa, mentre gli altri tre osservavano non senza un certo timore i movimenti sinuosi del Lindworm. Certo adesso potevano dire di averci fatto un po’ l’abitudine, ma i suoi scatti ricordavano ancora troppo quelli di un serpente per non rimanerne impressionati almeno un poco.

«Dove hai detto che l’hai trovato, Hermione?» chiese poi Charlie.

«Al limitare della Foresta» si precipitò a rispondere Ron. Avevano concordato sul fatto che neanche Hagrid poteva sapere dei reali dettagli del duello tra lui e Malfoy; anche se era per prima cosa loro amico, restava pur sempre un professore di Hogwarts.

«Strano che non l’ho visto prima io» disse il guardiacaccia. «Ci abito qui.»

«Sì, curioso» convenne con un sorriso nervoso Ron.

Hermione allungò una mano per accarezzare il drago, che subito si avvicinò a lei per lasciarsi toccare. Dapprima la ragazza lo sfiorò appena, non potendo impedirsi di provare un brivido di fastidio nel sentire le squame a contatto con la sua pelle. Era esattamente come accarezzare un serpente. Ma, se non altro, era un serpente che non cadeva agonizzante al suo minimo tocco.

«Alcuni non lo considerano nemmeno un drago» continuò Charlie.

«Perché?» chiese Harry, fissando la creatura dubbiosa.

«Beh, tra i miei colleghi i pareri sono discordanti, ma c’è chi afferma che al Lindworm manchino alcune caratteristiche essenziali che impediscano di classificarlo come drago.»

Hermione sobbalzò ed emise una specie di strillo acuto quando la creatura le saltò in braccio, arrampicandosi con le sue due uniche zampe sulle spalle della ragazza, che lo tenne come meglio poteva, cercando di assecondare i suoi scatti repentini.

«Per prima cosa, le dimensioni» elencò Charlie. «I draghi hanno tutti una stazza notevole, mentre il Lindworm, anche nel caso degli esemplari più grossi, non supera mai la lunghezza di due metri. Quello che avete trovato voi è ancora giovane, a giudicare dalla lucentezza delle squame, ma in ogni caso non credo che, crescendo, diventerà molto più grosso di come è ora.»

Estremamente a disagio, Hermione fu ben felice di passare la creatura tra le mani più esperte di Hagrid, che lo lasciò adagiarsi elegantemente tra il suo braccio e la spalla.

«Seconda cosa, non volano» continuò Charlie. «O meglio, quelli più grandi non ci riescono. Le loro ali sono troppo piccole per sostenere il loro peso. Nel caso di esemplari più esili, come questo, le ali sono forti abbastanza da permetterne un accenno di volo, anche se avrà sempre la tendenza a muoversi per grandi balzi, qualora è possibile. Di contro, i Lindworm sono grandi viaggiatori. Nonostante la fatica che comporti, amano compiere grandi viaggi, anche quelli al di fuori della loro portata. Hanno un ottimo senso dell’orientamento.»

Il che, forse, pensò Hermione, spiegava come avesse fatto a guidare lei e Malfoy fuori dalla Foresta Proibita. Ma questo, naturalmente, evitò di farlo presente ad alta voce.

«Come avrete notato, non sputano fuoco» aggiunse ancora Charlie. «Al massimo, scintille e sbuffi di fumo.»

Come a conferma di quanto appena detto, il Lindworm emise una specie di starnuto che procurò solo alcuni innocui sbuffi di fumo dalle narici.

«Insomma che accidenti fanno?» bofonchiò Ron deluso. «Sono dei lucertoloni mal cresciuti.»

«Una volta tra le famiglie Purosangue era costume portare un Lindworm in dono alla propria sposa, come regalo di nozze» disse ancora Charlie.

«E ti pareva» bisbigliò Ron all’orecchio di Harry. «Loro e le loro stupide manie.»

«Per una strega, ricevere un Lindworm in dono era motivo di grande vanto, data la difficoltà nel trovare una creatura del genere. Bisognava acquistarlo dai contrabbandieri, pagarlo a peso d’oro e godere delle giuste conoscenze per procurarsene uno. Era sicuramente indice che il mago che stavano per sposare era di famiglia altolocata e prestigiosa» disse Charlie. «Per la loro natura innocua e le dimensioni ridotte, i Lindworm venivano considerati alla stregua di animali da compagnia. In più, sono creature estremamente fedeli: riconoscono un padrone e uno soltanto, e a loro sono fedeli per tutta la vita… che generalmente è molto, molto lunga. Ben più di quella di un uomo, ovviamente. Se trovate un Lindworm selvaggio, impossibile da addomesticare, probabilmente è ancora fedele al suo vecchio padrone, ormai morto. Domarlo, in quei casi, è quasi impossibile.»

«E’ questo qui è fedele a Hermione?» domandò Harry, osservando il modo in cui il drago, o qualunque cosa fosse, cercava continuamente le attenzioni della ragazza.

Charlie sospirò. «Sicuramente ti ha preso in simpatia» disse, rivolto a Hermione, che non seppe se prendere la notizia come buona o meno. «Però, beh, è un po’ presto per sapere se ti ha scelto come padrona. L’ipotesi che tu lo possa diventare, un giorno, non è comunque assurda: come ho già detto, è ancora una specie di cucciolo, è molto probabile che non ne abbia ancora uno.»

Il Lindworm saltò giù dalla presa di Hagrid, atterrando sul tavolo.

«Ma la motivazione principale che spinge alcuni ricercatori a non classificarlo come drago è un’altra» concluse Charlie, con una soddisfazione simile a quella di Lumacorno quando si lasciava le pozioni migliori per ultime. «I Lindworm si esprimono in Serpentese.»

«Cosa?» esclamò Harry, sorpreso.

«Già» confermò Charlie. «I Lindworm parlano la lingua dei serpenti. In realtà, condividono molte caratteristiche con questo animale. In molti non li considerano veri e propri draghi proprio perché la loro natura è data da una sorta di incrocio tra un serpente e un drago. Ritengono che siano creature ibride. Io non sono d’accordo. Voglio dire, ci sono anche altre specie di draghi, molto più imponenti, che non riescono a levarsi in volo. In più, le loro peculiarità essenziali sono quelle di un drago, hanno una vita media che coincide con quelle delle creature mitologiche, non di un comune serpente. Anche la conformazione delle loro squame è differente, anche se i movimenti ricordano quelli di un rettile, il che è dovuto al fatto che hanno un solo paio di zampe e anche di ridotte dimensioni. Quanto ai loro artigli, sfido io a non considerarli quelli di un drago. Anzi, per essere corretti, i loro effetti sono ben più potenti di quelli di un drago comune.»

Harry, Hermione e Ron guardarono confusi la creatura. Sembrava davvero innocua.

«E noi ora cosa dovremmo farci?» disse Harry infine, dando voce al dilemma comune.

Charlie esitò. «Beh, si può avviare una pratica per allevarlo, se volete. In alcuni Paesi, la Gran Bretagna tra questi, possedere un Lindworm non è illegale, per la loro natura ibrida. Certo è un percorso lungo, dovreste dimostrare di avere determinate conoscenze, che potete acquisire nel frattempo se ci tenete, e dimostrare di possedere un ambiente ideale nel quale farlo crescere  e…»

«Noi non vogliamo allevarlo» lo interruppe subito Hermione. «E’ solo che non riesco a liberarmene. Mi segue, una volta l’ho trovato in camera mia e non ho la più pallida idea di come abbia fatto a entrare. Vorrei solo lasciarlo libero.»

Charlie annuì comprensivo.

«Capisco. Posso portarlo con me, se volete. Gli troverei una riserva dove stare. Ciò comunque non toglie che se davvero ti ha riconosciuta come padrona troverà un modo per tornare prima o poi, ma visto che non ne siamo certi, si potrebbe fare un tentativo. Oppure…»

«…Oppure?» incalzarono gli altri tre.

«Oppure niente, Hagrid lo riporterà nella Foresta, dove presumibilmente stava prima, per quanto la cosa sia strana, visto che non ci sono specie di draghi in questa regione, e voi sperate che ci resti. O che migri da qualche altra parte. Se dovesse continuare a cercare la tua compagnia, Hermione, qualora la cosa dovesse destare complicazioni potrete prendere provvedimenti. E’ pur sempre una creatura selvatica, è libera di vivere dove vuole, a patto di non arrecare danni a cose o persone. E se ha scelto la Foresta di Hogwarts come sua casa… beh, avete sopportato acromantule giganti e basilischi, in quanto a pericolosità un Lindworm non è neanche lontanamente paragonabile a loro.»

Rimasero in silenzio a osservare il piccolo drago emettere strani versi. Un’idea colpì fulminea Ron.

«E se Harry gli chiedesse di lasciarci in pace? O gli domandasse da dove viene? Insomma, amico, conversi con micidiali serpentoni per il tubo di scarico, questo qui sarà almeno un po’ più ragionevole, no?» Il ricordo del basilisco fece sorgere una nuova considerazione in Ron, che si voltò verso Hermione come illuminato. «A proposito, Hermione, fossi in te mi preoccuperei. Cominci a piacere a troppi serpenti, non ti pare?»

«Divertente» borbottò la ragazza squadrandolo truce. Per qualche motivo, la battuta l’aveva messa un po’ a disagio.

«Harry potrebbe provarci, certo» rispose Charlie. «Ma non è detto che ottenga una risposta. Anche per comunicare, i Lindworm si espongono solo con coloro a cui decidono di essere fedeli. Certo la Rettilofonia potrebbe determinare la scelta del loro padrone, ma se non ne ha ancora designato uno, o ha già scelto Hermione, è difficile che ti dia retta. Diversamente da quel che crede la gente, sono draghi, non cagnolini da salotto.»

Ancora una volta, Ron parve deluso.

Hagrid tornò ad accarezzare il Lindworm, troppo esaltato all’idea di averne uno in casa per potersi lasciar deludere dal fatto che non fosse un potente drago alato e sputa fuoco.

«Certo che però è proprio bella» disse il guardiacaccia, accarezzando il Lindworm vicino all’attaccatura delle ali.

«Bella?» fecero Ron e Harry in coro.

«E’ femmina, non l’avevo detto?» si scusò Charlie. «E’ una lei. Il che la rende estremamente permalosa, vi consiglio di non offenderla. Potreste rimetterci un occhio.»

 

***

I have to try

To break free

From the thoughts in my mind

Use the time that I have

I can say goodbye

Have to make it right

Have to fight

'Cause I know in the end it's worthwhile

That the pain that I feel slowly fades away

It will be all right.

(Pale, Within Temptation)

 

 

Anche quella sera, dopo cena, Hermione mollò Harry e Ron con una scusa per recarsi in Infermeria. Aveva reso partecipi i suoi amici dei suoi dubbi riguardo la sua presunta o meno colpevolezza nella maledizione che aveva colpito Draco Malfoy, ma non della visita di quella mattina e neanche di quella che si apprestava a fare.

Purtroppo per lei, quella volta non fu fortunata come di mattina. Quando arrivò in Infermeria, questa non era vuota, ma c’era Pansy Parkinson che stava ancora a fianco del letto di Malfoy. Gli diceva qualcosa, ma lui sembrava irritato. Hermione si fece di lato nascondendosi oltre lo stipite della porta, domandandosi se non fosse il caso di rimandare. Non aveva voglia di fermarsi a fare quattro chiacchiere con la Parkinson. Ma, proprio nel momento in cui cominciava a valutare con più serietà quest’ipotesi, sobbalzò nel trovarsi la Serpeverde a un metro da lei, altrettanto stupita di vederla lì. La sua sorpresa si tramutò nella frazione di un secondo in fastidio, e Hermione rimpianse amaramente di non essersene andata prima.

Saltando con classe i convenevoli, Pansy le puntò la bacchetta alla gola, spingendola al muro.

«I tuoi amici potranno anche difenderti, se vogliono, ma Barry mi ha detto come sono andate davvero le cose» sibilò la ragazza. «Augurati che Draco guarisca, perché se la situazione peggiora sarò io a dare la giusta versione dei fatti e a fartela pagare amaramente.»

Hermione alzò lentamente una mano, per allontanare la punta della bacchetta dalla sua gola, ma Pansy la strinse ancora più saldamente e, se prima la sfiorava appena, adesso gliela premeva contro con rabbia.

«Sono preoccupata quanto te, Parkinson» chiarì Hermione.

Pansy ghignò. «No, non credo proprio.»

«Non voglio essere la causa del male di Malfoy. Ti assicuro che io non ho fatto niente» precisò, ma Pansy era irremovibile nella sua collera.

«Se peggiora…» Hermione avvertì un groppo alla gola mentre parlava. «Puoi essere certa che mi occuperò io stessa di rivelare qualunque informazione possa essere d’aiuto» la rassicurò.

Pur non covando la minima fiducia in lei, Pansy le credette. Sapeva quale assurdo senso dell’onestà dominasse l’animo dei Grifondoro, ed era più che convinta che la Granger avrebbe mantenuto fede a quanto aveva detto. La cosa, comunque, non le impedì di premere quella bacchetta più a fondo contro il collo della Granger.

«Stagli alla larga» sibilò la ragazza. «Non vuole vederti.»

«Sì, lo credo bene» convenne Hermione, mettendo avanti le mani per invitarla a ritrarsi, ma la Parkinson non si ammorbidì per nulla. «Voglio solo capire cosa è successo. Potrebbe essere utile, non trovi?»

Pansy continuò a fissarla inviperita, ma non rispose.

«Non avrei mai voluto causargli quelle ferite» ripeté ancor Hermione. «Non avrei mai desiderato qualcosa del genere per nessuno.»

Pansy sospirò. Alla fine abbassò la bacchetta.

«Tu prova ancora a giocarci uno scherzetto del genere, Granger, e te la faremo pagare cara» le bisbigliò minacciosa all’orecchio. Poi, non senza averle rivolto un’ultima, gelida occhiata, le diede le spalle e sparì.

Allora Hermione poté entrare in Infermeria.

Malfoy sembrò essersi accorto dell’amorevole scambio di battute tra Hermione e la sua ragazza, perché non appena lei varcò la soglia lui le aveva già puntato lo sguardo addosso. Hermione sedette dove fino a poco prima era stata Pansy. Draco la seguì con gli occhi fino a quando lei si fu sistemata, poi voltò il capo dall’altro lato, in silenzio. Aveva ancora il volto fasciato per metà, e di certo con tutte quelle bende a immobilizzargli parte della bocca non avrebbe potuto neanche parlare.

«Ciao» fece Hermione, torturandosi nervosamente le mani. Lui non diede neanche segno di aver sentito e Hermione si sentì molto stupida.

Stupida per esserlo andato a trovare, quando era ovvio che lui non aveva voglia di vedere chi lo aveva costretto lì; stupida perché in ogni caso non avrebbe avuto voglia di vederla comunque, considerato che non si parlavano e quando lo facevano era solo per gettarsi addosso veleno. E stupida anche per quel “Ciao”, che risultò così ridicolo. Qualunque domanda sulla scia del “Come va?”, “Stai meglio?”, “Fa ancora male?” le sembrò perfino più fuori luogo della sua presenza lì. Del resto, lui non sembrava neanche aspettarsi che lei parlasse, ma Hermione detestava i silenzi imbarazzanti e non poté trattenersi dal dire qualcosa.

«Mi dispiace» disse. Anche se aveva il capo voltato dalla parte opposta, Hermione si accorse che aveva atteggiato la porzione sana di labbra in una smorfia di sarcasmo.

«Mi dispiace davvero. Anche se non sono stata io.» Altra smorfia dall’altra parte. Forse era una fortuna che non potesse parlare. «Ti prometto che cercherò di risolvere la cosa, Malferret. Cioè, Malfoy» si corresse dopo, accorgendosi di averlo anche chiamato col nomignolo con cui di solito lei, Ron e Harry lo prendevano in giro. Davvero un gesto carino. Lui comunque non vi badò nemmeno.

«E poi, beh» disse ancora, passando a torturarsi il bordo della gonna a pieghe. «Visto che non puoi parlare, e quindi posso finalmente dirti quello che voglio senza che tu mi interrompa, volevo solo farti sapere che chiunque sia stato a desiderare di farti questo, io, ecco, non lo approvo. Voglio dire, mi dispiace che continuiamo ancora a farci tutti male.»

Non suonava granché come discorso. Soprattutto perché non solo lui non la interrompeva, ma non dava neanche segno di prestarle ascolto. Però sentiva, era indubbio che lo facesse, quindi tanto valeva approfittarne, no?

«Quindi» riepilogò infine, «quello che ti volevo dire fin dall’inizio, e che forse ho già detto, è che scoprirò cosa è successo. E che in tutta questa storia io non sono coinvolta. Mi dispiace. L’ho già detto.»

Poggiò le mani sulle ginocchia e si alzò. Si chiese se non fosse il caso di aggiungere qualcosa, ma aveva l’impressione che non avrebbe fatto differenza. Malfoy continuava a non guardarla.

«Allora… ciao.»

Attese ancora qualche istante e poi andò. Magari lo infastidiva davvero e gli impediva di riposare. A Hermione non piaceva essere di troppo.

Poco prima di uscire si fermò a parlare con Madama Chips. L’infermiera stava armeggiando con alcune provette di medicinali.

«Qualche novità?» s’informò la Grifondoro.

Madama Chips scosse la testa.

«Nessuna. Se non ci sono progressi, saremo costretti a trasferirlo al San Mungo. Qui non abbiamo le risorse necessarie per occuparci di un caso come questo.»

Il tragitto lungo i corridoi Hermione lo percorse sovrappensiero. Arrivata alle scale, decise di deviare e invece che alla Torre di Grifondoro decise di andare al bagno delle ragazze. La biblioteca a quell’ora era chiusa, e lei aveva bisogno di stare alcuni minuti da sola.

Optò per il bagno di Mirtilla, quello non lo frequentava nessuno. Entrò di fretta, senza badare a nulla. Ma quando intravide la sagoma sottile di Susan Bones appoggiata a un lavandino non poté fare finta di niente.

«Ciao» disse, dopo un momento di sorpresa.

Susan aveva la treccia bionda tutta in disordine e il contorno degli occhi un po’ scuro per il mascara colato. Sembrava che avesse appena pianto, e solo dopo Hermione si accorse della sigaretta babbana che si portò alle labbra.

«Ciao» replicò mesta la Tassorosso. Era una versione di Susan che non conosceva affatto. La ricordava sempre in ordine e ben curata ed era abbastanza sicura di non averla mai vista fumare prima.

Ritenendo che fosse scortese andare via subito, Hermione si avvicinò alla ragazza. Ebbe l’istinto di farle notare che era vietato fumare nei bagni, ma dopotutto anche Susan era Caposcuola e non era solita infrangere il regolamento, a differenza di Hermione che a due settimane dall’inizio della scuola era stata invischiata in un duello a mezzanotte, una scampagnata nella Foresta Proibita e aveva anche mandato un ragazzo in Infermeria per magia oscura. Non era esattamente nella posizione più adatta per fare la saccente.

«Ho saputo di Malfoy» buttò lì Susan.

«Non è stata colpa mia» si difese subito Hermione.

Susan diede un tiro di sigaretta.

«Sì, Anthony mi ha detto anche questo.»

Già, Anthony Goldstein. Lui e Susan Bones erano sempre stati molto uniti.

Hermione sentì il bisogno di parlare con qualcuno. Non poteva fare a meno di sentirsi un po’ sola, da quando si erano freddati i rapporti con Ginny. C’erano Harry e Ron, naturalmente, ma a volte sentiva il bisogno dell’appoggio di una figura femminile, del consiglio di un’amica. E tutto sommato, poteva anche essere la nuova eroina della Seconda Guerra Magica, ma a parte Ginny e Luna non aveva mai avuto amiche.

Susan Bones era una ragazza popolare e carina. Piaceva più o meno a tutti, non aveva nemici, aveva un carattere bendisposto e socievole. Amava fare conversazione, prender parte a qualunque avvenimento si tenesse a Hogwarts, avere buoni voti ed essere sempre circondata da gente. Aveva un ragazzo, dei migliori amici e parecchi conoscenti. Per sentito dire, Hermione sapeva che la sua famiglia ne aveva sopportate tante durante le due guerre, ma l’immagine che Susan dava di lei era quella di un’adolescente serena e felice.

Nonostante questo, lei e Hermione non erano mai state davvero amiche. Si erano ritrovate più volte a chiacchierare in classe, o a commentare una lezione, e un paio di volte avevano anche rivisto qualche argomento insieme in biblioteca. Per la prima volta Hermione pensò che il problema fosse unicamente suo; non aveva mai curato la sua vita sociale tantomeno le sue amicizie, e del resto lo studio e le continue magagne in cui si ritrovava annualmente infognata insieme a Ron e Harry non le lasciavano spazio per curare i rapporti umani.

Un po’ la capiva, Ginny. Cosa c’era di male a desiderare solo una vita ordinaria e normale, ora che tutto era passato?

Per la prima volta in vita sua, Hermione si chiese come sarebbe stato essere quell’altra ragazza. Quella che ha tanti amici, si diverte, va alle feste, conosce tutti e non serba rancore per nessuno. Le ragazze come Lavanda, come Calì, come Susan Bones. Normali. Ebbe l’impressione di aver fatto cose straordinarie, in quei suoi pochi anni di vita, ma di essersi persa per strada una porzione di se stessa.

«Ehm, qualcosa non va?» chiese allora, squadrando Susan. Probabilmente, se Hermione fosse stata Lavanda o Ginny, avrebbe trovato qualcosa di meglio da dire; magari avrebbe anche intuito subito, come fanno di solito le ragazze, di cosa si trattasse, anche solo per averlo udito da voci di corridoi; e di certo avrebbe avuto maggiore dimestichezza nel parlare con lei, nello starla ad ascoltare, forse darle un consiglio su come liquidare quel ragazzo, quell’amica o chiunque fosse che la stava facendo soffrire.

La sua adolescenza, invece, Hermione l’aveva interamente dedicata a quella guerra. Aveva conoscenti che la fermavano per i corridoi anche solo per complimentarsi con lei, durante i primi tempi perfino giornalisti che le stavano alle costole per avere un resoconto dettagliato della ricerca degli Horcrux, c’erano Harry e Ron che in quegli otto anni si erano sempre affidati a lei, quando qualcosa non andava. Ma non c’era una sola persona che l’avrebbe presa di parte con uno sguardo d’intesa per confidarle i suoi problemi, sperando di trovare in lei una buona amica.

Susan scrollò la cenere nel lavandino.

«Altre volte andava peggio» rispose soltanto, con sguardo vuoto.

Hermione non insistette oltre; e, se anche avesse voluto, quella conversazione non sarebbe mai andata più lontano di così.

Infatti, proprio mentre Susan dava l’ultimo tiro e spegneva la cicca nel lavandino, Morag MacDougal entrò trafilata nel bagno delle ragazze. Sia Hermione che Susan si girarono a guardarla perplesse, perché non era cosa di tutti i giorni vedere la MacDougal così agitata.

«Ti ho cercata ovunque, Granger» disse Morag, dopo aver rivolto appena un cenno di saluto a Susan.

Si avvicinò alle due ragazze.

«Davvero?» fece Hermione scettica, ma Morag non vi badò.

«Credo di sapere cosa è successo a Malfoy.»

***

 

N/A

Non posso che scusarmi per la discontinuità degli aggiornamenti. Non so ancora a quando, ma ringrazio sempre chi segue con uguale interesse questa storia e mi riprometto anche di rispondere al più presto alle ultime recensioni.

Deja.

 

 

 

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Capitolo 9
*** Magic, Drugs & Rock n’ Roll ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

9.

Magic, Drugs & Rock n’ Roll

 

 

 

fata

[fà-ta]

s.f.

Creatura delle selve, delle lagune e dei boschi. Ha l’aspetto di un donna giovane, eterea, di bell’aspetto e bassa statura, anche se può assumere diverse forme a seconda di chi si trova davanti.

Le fate sono creature dall’indole generosa, e non è raro che cerchino il contatto con la specie umana; sono solite elargire doni a coloro che sottopongono prima a una prova, presentandosi solitamente sotto l’aspetto di donne anziane o fanciulle bisognose. Esse mostrano tuttavia un carattere vanitoso, dispettoso e vendicativo; sono molto irascibili e possono decidere di scatenare la loro ira contro chi è irrispettoso con loro o si rifiuta di credere nella loro esistenza.

Pur essendo creature della luce, le fate amano le tenebre. Non appaiono mai agli uomini durante le ore di sole e, ad eccezione di non volersi spontaneamente mostrare, richiedono che si porgano loro delle offerte, solitamente banchetti o fiori, affinché si materializzino di fronte agli occhi di un umano.

 

Morag alzò gli occhi dal libro che aveva preso quel pomeriggio in prestito dalla biblioteca. Accovacciata sul pavimento in marmo della Torre di Astronomia, guardava Hermione Granger, in piedi e con un’aria tremendamente seria, e Susan Bones, seduta sulla balaustra in un modo che a Morag, che soffriva di vertigini, provocava una cocente agitazione.

Le due ragazze non avevano fiatato da quando Morag aveva cominciato a leggere; e se, tra le due, Susan Bones aveva un’espressione vagamente assente, Hermione Granger ostentava tutta l’ansia e la preoccupazione che aveva accumulato in quei due giorni.

«Continuo a non capire» disse Hermione, camminando nervosamente avanti e indietro. Susan seguiva i suoi movimenti con lo sguardo, impassibile.

«Secondo te» e qui Hermione puntò gli occhi dritti in quelli di Morag, «quello che è successo a Malfoy ha a che vedere con la fata che abbiamo incontrato nella Foresta Proibita l’altra notte. Sinead.»

Morag annuì debolmente. Hermione la guardò, attendendo che aggiungesse qualcos’altro, ma non lo fece. Così la Grifondoro continuò a esporre i suoi dubbi.

«D’accordo, Malfoy è stato di certo scortese con lei quella sera, ma lo stesso vale anche per Barry. E nemmeno Ron si è mostrato particolarmente incline ad aiutarla» le ricordò Hermione. «Perché avrebbe dovuto punire proprio lui?»

Morag chiuse il libro con un sospiro. Hermione rabbrividì per il freddo.

«La fata non voleva punire Malfoy» rispose Morag, sotto gli occhi disorientati di Hermione e Susan. «Voleva ringraziare te, Granger.»

Hermione aggrottò le sopracciglia e aprì la bocca, ma rimase in silenzio. Perfino Susan, che non era sembrata molto partecipe alla discussione fino  quel momento, storse la bocca.

«Eh?» fece infatti, confusa.

«Non è evidente?» sbottò Morag, mentre le altre due la guardavano truce. «Quella notte la fata, com’è nella sua natura, ci ha messo alla prova per decidere se premiarci o meno con un dono. Tu, Granger, sei stata l’unica di noi che ha cercato di aiutarla, e questo è il dono che lei ha scelto per te.»

Susan guardò Hermione perplessa. Lei, sentendosi accusata, boccheggiò più volte.

«Stai scherzando!» sbottò risentita. «Io non le ho mai chiesto di fare del male a Malfoy! Ne l’avrei mai voluto!»

«Sicura?» chiese ancora Susan, chiaramente restia a crederle del tutto.

«Lo so che ci detestiamo, ma non vorrei mai punirlo per questo con la magia oscura» chiarì ancora, non riuscendo a credere che la si potesse credere capace di un gesto simile. O, forse, era solo questo che la gente vedeva di lei e Malfoy? Il modo in cui si fossero odiati per otto anni, al punto da arrivare a ferirsi in maniera così grave?

«Fa parte dell’indole dispettosa delle fate» spiegò Morag. «A volte provano piacere nel fraintendere i desideri.»

«Io non ho desiderato niente del genere per Malfoy, mai» ripeté ancora Hermione, stizzita. «Quante volte devo ripeterlo?»

«Ne sei davvero convinta?» ridacchiò Morag, squadrandola. Hermione si sentì invadere da un moto di irritazione, ma si trattenne.

«Naturalmente.»

«Io mi ricordo di qualcosa, invece» la contraddisse Morag, tornando seria. «Qualcosa che tu hai detto a Malfoy di fronte a Sinead.»

Hermione ribatté quasi automaticamente. «Io non…»

Dovresti mostrare un minimo di riconoscenza! A quest’ora saresti morto senza di noi, ti abbiamo salvato quando tu ci avresti lasciato morire, non fai altro che pavoneggiarti quando invece dovresti solo chiedere scusa!

Il ricordo del litigo tra lei e Malfoy quella notte nella Foresta le tornò in mente, riempiendola di quell’odio che l’aveva trafitta in quel momento, così come nel suo sogno.

«Oh, Merlino…» mormorò Hermione, mettendosi le mani sulla bocca, incredula.

Non hai la più pallida idea di cosa darei per toglierti quel sorriso beffardo dalla faccia!

«Oh, Merlino» ripeté ancora una volta Hermione, guardando ora Morag ora Susan. «Merlino, io… il suo viso… quelle ferite sulla sua bocca…»

per toglierti quel sorriso beffardo dalla faccia!

«Vi dispiacerebbe spiegare?» chiese Susan, che non capiva più nulla.

«La Granger quella notte ha detto qualcosa riguardo al voler cancellare il sorriso dalla faccia di Malfoy» spiegò Morag, pratica. «Ed è quel che la fata ha fatto. Malfoy adesso è in Infermeria col volto sfigurato da un’orribile ragnatela, chiaro frutto di magia oscura, che gli storce le labbra in una specie di sogghigno. Molto scenografico.»

«Non scherzare» la riprese Hermione.

«Per Morgana» mormorò Susan. «Sembra uno schifoso film dell’orrore.»

«Un che

«Lascia perdere, Morag.»

«E adesso cosa facciamo?» esclamò Hermione, interrompendo le altre due.

Susan fece finta di pensarci su. «Qualcosa che comprenda voi che andate dalla McGranitt rivelandole la verità e guadagnandovi l’eterna stima dei vostri compagni, i quali faranno sicuramente i salti di gioia al pensiero di rischiare l’espulsione per salvare la vita di Draco Malfoy. Soprattutto Ron Weasley» ironizzò la Tassorosso.

«Scordatelo» intervenne repentina Morag. «Io non mi farò espellere per Malfoy. Ho bisogno di uscire da questo posto con dei buoni M.A.G.O.» disse, con un tono che non avrebbe ammesso alcuna replica.

«Non per fare la guastafeste, ma ho il vago sospetto che se non fate qualcosa Malfoy potrebbe peggiorare, chissà, magari morire» osservò Susan con voce incolore.

Hermione ebbe voglia di mettersi le mani tra i capelli.

«Mi piange il cuore» borbottò Morag, tirandosi in piedi e pulendosi la gonna dalla polvere.

«Ma non possiamo non fare niente!» le interruppe Hermione, in preda al panico.

«Io ve l’avevo detto che quella era pericolosa, ma voi non avete voluto ascoltarmi» sottolineò la Corvonero.

«E abbiamo sbagliato, d’accordo?» sbottò Hermione. Morag e Susan la guardarono, lei sospirò, sconfitta. «Mi dispiace. Avrei dovuto capirlo. Ma adesso quello che è successo è più o meno colpa mia, devo fare qualcosa.»

«Che non implichi avvertire la McGranitt» specificò Morag.

Hermione le lanciò un’occhiataccia.

«No, almeno fin quando non sarà strettamente necessario… Che si può fare?»

Susan si strinse nelle spalle e scosse la testa, lei non aveva la minima competenza nell’argomento. Morag ci rifletté un poco e alla fine, sotto lo sguardo severo di Hermione, dopo un momento di esitazione cedette.

«Si potrebbe…» sbuffò. «Si potrebbe tornare nella Foresta, cercare la fata, chiederle di rimediare a quel che ha fatto.»

«E funzionerebbe?» chiese Hermione. «Secondo te.»

Morag la guardò. Curioso come la Granger tenesse improvvisamente conto del suo parere, ora che era troppo tardi.

«E’ possibile, se sarai tu a chiederlo. Sinead ti deve un dono. E questa è l’unica strada che possiamo tentare al momento.»

«Sei impazzita?» esclamò Susan. «Vuoi tornare lì dentro?»

«Qualcuno ha per caso una proposta migliore, anziché contestare sempre le mie?» sbottò infastidita la ragazza.

«Ma ci perderemo là in mezzo, non sapremo più come tornare indietro.»

«Ah, adesso è diventato un noi

«Tornare indietro non sarà un problema» si intromise Hermione all’improvviso, con fare sicuro.

«Ah, no?» la rimbrottò Susan. «E perché?»

La risposta le sfiorò la spalla in quel momento.

Susan emise uno strillo mentre scendeva dal parapetto, fissando a occhi sgranati il Lindworm che dondolava la sua lunga coda appollaiato sulla balaustra.

«Bene» fece Hermione, mentre Susan la guardava ammutolita. «Risolto questo punto, come si procede ora?»

 

***

 

Il miracoloso, o miracolato, piano prevedeva questo: Morag e Susan sarebbero andate nelle cucine, nei sotterranei, a raccattare delle offerte che potessero attirare a loro le fate. Hermione, nel frattempo, con quel simpatico – meglio, simpatica – esemplare di drago in braccio, avrebbe cercato di evitare la sorveglianza di Gazza, intrufolarsi nel dormitorio dei ragazzi e rubare – no, si corresse, prendere in prestito – il Mantello dell’Invisibilità di Harry. Poi si sarebbero inoltrate nella Foresta, possibilmente senza farsi scoprire, avrebbero allestito un picnic o quel che era per quella fata capricciosa e avrebbero esposto la loro richiesta, con la speranza che venisse accolta.

La prima parte, ovviamente, fu la più semplice: il peggio si conservava sempre per ultimo.

Entrare nel dormitorio maschile non fu poi così difficile. Era notte tarda e i ragazzi dormivano già. Ron era sepolto sotto un ammasso di coperte e trapunte, Jimmy Peakes e Ritchie Coote sembravano tranquilli nei loro rispettivi letti e anche Harry e Neville erano profondamente addormentati. Pregando che il Lindworm non facesse rumore, Hermione cominciò a frugare nel baule del suo migliore amico, e con un Accio appellò facilmente a sé il Mantello. Lasciò la stanza in punta di piedi.

Tornò di sotto, in cortile, dove Morag e Susan la aspettavano. Portavano con sé dei cestini stranamente pesanti per essere così piccoli, e dopo aver tirato fuori il Mantello, Hermione lo gettò su di sé e sulle altre.

Al limitare della Foresta, il Lindworm fece strada. Almeno, loro si limitarono a seguirlo, ovunque avesse voluto condurle.

Dopo mezzora di cammino, giunsero a una piccola radura. Stabilito che era un luogo abbastanza rientrato e nascosto, cominciarono ad allestire il presunto banchetto.

Dal cestino, Espanso magicamente come la vecchia borsetta di perline di Hermione, Susan tirò fuori una tovaglia che distese su una zona del terreno senza troppi avvallamenti e sporgenze, mentre Morag e Hermione tiravano fuori le offerte di cibo.

«Non so, siamo sicure che le fate mangino queste cose?» chiese Susan, annusando un delizioso vassoio di biscotti farciti al miele.

«Non è questo che importa» disse Morag, paziente. «Ciò che conta è che si porga loro un dono, in segno di rispetto e gratitudine. Le fate amano essere vezzeggiate.»

C’erano dolci, frutta di vario genere, fiori di zagara che Hermione non poté fare a meno di domandarsi dove quelle due li avessero trovati, e ovunque c’era un odore di arancia, vaniglia, miele e cannella. Dopo aver sistemato sulla tovaglia le ultime margherite, Susan si fece da parte.

Lei e le altre, sotto indicazione di Morag, si allontanarono tra gli alberi, in modo da poter lasciare le fate libere di giudicare il dono e scegliere se accettarlo o meno. Il Lindworm si adagiò ai piedi di Hermione, vigilando.

Non passò più d’una decina di minuti prima che una fata si avvicinasse con cautela al banchetto. Era più piccola di Sinead, aveva folti capelli bruni e vestita con una leggera tunica color indaco. Spargendo deboli scintille ovunque, che si distribuirono sulla tovaglia disperdendosi in una soffice polvere d’oro, si avvicinò al piatto ricolmo di more, attorno al quale cominciò a girare come se stesse valutando la preziosità dell’offerta.

Poi fu il turno di un’altra fata ancora, che si mosse veloce tra le offerte alla ricerca di quella che più le aggradasse.

Morag, lungo la strada, aveva spiegato a Hermione e Susan che esistevano differenti specie di fate, così come esistevano diverse razze di folletti. Le fate che accorsero al loro banchetto erano creature del piccolo popolo, alate, graziose e di piccole dimensioni. La fata che avevano incontrato loro la prima volta, invece, aveva più l’aspetto d’una ninfa dei boschi, le sue dimensioni erano maggiori, anche se la sua altezza non superava quella d’una bambina sui dieci anni, e non possedeva ali.

Sinead non si presentò come le altre fate. Dopo un’attesa forse più lunga del necessario, se solo fossero state più attente, Hermione, Susan e Morag si accorsero della piccola Sinead abbarbicata su un albero le cui grosse radici emergevano dal terreno. Era più bella della prima volta; anche adesso indossava una veste bianca, ma non stracciata e sporca, anzi ricolma di vezzi, veli, merletti e altre decorazioni in stoffa. Stava seduta a gambe incrociate come una bambina, che era esattamente quel che il suo volto ovale e minuto ricordava. I capelli biondi come fili d’oro le ricadevano leggeri sulle spalle ossute, il suo visetto era contratto in una pestifera smorfia di dispetto.

«Venite a porgerci un dono?» esordì la fata Sinead, dondolandosi su se stessa. La sua voce non era più vellutata e calda come quella con cui si era rivolta a Hermione, qualche notte prima, ma limpida e squillante come lo scrosciare di una sorgente.

Le tre ragazze tacquero, improvvisamente ammutolite, senza sapere esattamente cosa dire.

Sinead inclinò il capo di lato.

«E’ un banchetto delizioso» continuò con quella sua voce che era insieme quella di una donna e di una bambina. «Le mie sorelle sembrano gradirlo.»

Balzò giù dall’albero con uno scatto repentino. C’era una velocità quasi esagerata nei suoi movimenti, il suo aspetto era docile e mansueto ma quando si muoveva sembrava che fosse sempre sul punto d’attaccare. Quattro o cinque fate – svolazzavano troppo velocemente per capire quante fossero – passarono sopra le teste di Hermione, Morag e Susan, giocando tra di loro vicino Sinead e sparendo poi oltre la radura e tra gli alberi in una scintilla di luce.

«Hai gradito il mio dono?» domandò d’un tratto Sinead, e Hermione comprese che si stava rivolgendo direttamente a lei. Adesso sedeva sopra un grossa roccia rivestita di felci, nella stessa posizione di prima, scrutandola con gli stesso occhi limpidi. C’era una strana insolenza nel suo tono; si aspettava una risposta negativa.

«Mi dispiace» cominciò Hermione, scegliendo ogni parola con cura, per evitare di innervosirla o offenderla. «Credo che ci sia stato un errore.»

«Nessun errore, nessun errore» trillò la fata, in una risata cristallina. «Ora ha un nuovo sorriso sulla faccia, è fatto di tenebre e increspature, sorriderà ancora, sì, sorriderà tutta la faccia, sorriderà di morte e paura, dietro la sua nuova maschera» cantilenò Sinead, dondolandosi avanti e indietro leggermente, come una bambina piccola.

Morag e Susan si scambiarono un’occhiata, per la prima volta in quella sera anche la Corvonero sembrava in difficoltà. Hermione sentì il corpo sinuoso del Lindworm sfiorarle le caviglie.

«Vorrei sapere cosa gli è successo» disse Hermione. «Non voglio che continui a stare male» aggiunse, implorante.

Sinead terminò la sua cantilena, arricciando le sue labbra pallide.

Fu così veloce nello scivolare giù da quelle rocce e arrivarle alle spalle che Hermione non poté fare e meno di chiedersi se non avesse volato sul serio, pur non essendo fornita di ali.

«C’era tanto di quell’odio, in te, quella notte» le sussurrò la fata all’orecchio, facendola rabbrividire. «Ti consumava. Dovevi farlo uscire in qualche modo, o ti avrebbe distrutta.»

Susan arretrò di alcuni passi, facendosi più vicina a Morag.

«Lo hai desiderato davvero!» squittì ancora Sinead. «Oh, sì, il tuo desiderio era forte, desideriamo con vero ardore solo le cose che sappiamo che non potremo mai ottenere… ci rende liberi. E’ saggio, è sicuro, non fa paura. Non rischiamo di ottenere quello che vogliamo» bisbigliò ancora, sporgendosi oltre la spalla di Hermione. Le stava sempre dietro, mai di fronte.

«Dimmi» continuò la fata, con voce bassa, quasi volesse che potesse sentirla solo lei. «Raccontami cos’hai sentito quando lo hai toccato» sibilò, ora più simile a un serpente che a una fata. Il Lindworm continuò ad accarezzare le caviglie di Hermione, vigile e all’erta.

«Descrivimi il piacere di sentir scivolare tutto quel male fuori di te, passare attraverso di te, attraverso la tua pelle, fino alla sua…» soffiò leggera. Poi, quasi impercettibile, sfiorò con un suo piccolo dito magro la guancia di Hermione, scatenando all’istante in lei la stessa reazione che il suo schiaffo aveva avuto su Malfoy. Una crepa scura parti dal punto in cui Sinead toccava Hermione, percorrendo e lacerando la sua guancia come fosse stata di carta pesta. Hermione balzò indietro, Sinead ridacchiò, ma non appena la fata ritrasse la mano ogni ferita dal volto della ragazza svanì.

«Non voglio questo» disse subito Hermione, cercando di seguire con lo sguardo la fata che era tornata ad appollaiarsi su un’altra roccia. «L’ho pensato, ma non volevo che succedesse davvero. Voglio solo chiederti…» la sua voce si fece esitante. «Vorrei che tu ritirassi la tua maledizione. E’ questo che desidero.»

Sinead ci pensò su, dondolando i piedi nudi.

«Sì, sì, sì» sbuffò la fata, annoiata. «Sì, ho capito. Stupidi umani.»

Hermione cercò gli sguardi di Morag e Susan, trovandoli spaventati e atterriti. Tornò a guardare la fata, tremando nello scoprire che Sinead non aveva distolto per un istante gli occhi da lei, da quando era arrivata.

«Sei buona» disse ancora la fata. «Comprendi la magia, e hai a cuore le creature che sono frutto di essa. Il Lindworm ha scelto di guidarti» soggiunse, indicando il piccolo drago.

Dietro Hermione, Morag sembrava sollevata, anche se ancora palesemente in ansia.

«Artemisia e radici di elleboro» disse Sinead. «Pestali insieme, poi spremi dei semi di amaranto e aggiungi il succo al tuo composto. Spargi la lozione che avrai ottenuto sul suo viso usando una foglia di sambuco, ma bada a non toccare direttamente le ferite con le mani: si espandono in fretta» riassunse, e Hermione provò istantaneamente un sospiro di sollievo.

Ci era riuscita! Sapeva come curare Malfoy!

Voltandosi verso Susan, sia accorse che anche lei sorrideva. Morag era semplicemente sollevata.

«Ora» la richiamò Sinead, «dimmi cosa desideri.»

Hermione si voltò di scatto, sbigottita. «Come?»

Sinead sorrise.

«Io ti ho messa alla prova, e tu mi hai aiutato: meriti una ricompensa. E se il mio primo dono non è stato gradito, spero di rimediare con un secondo. Perciò, parla.»

Hermione rimase interdetta.

«Io veramente non desidero nulla, io…»

Un leggero tossicchiare alle sue spalle la interruppe. Susan la fissava trucemente, i suoi occhi sembravano sillabare un disperato “ma cosa cazzo stai dicendo?”

Tornò a guardare il viso pallido di Sinead.

«Io non voglio niente» ripeté Hermione. «E quel che voglio, non credo lo si possa ottenere con la magia.»

Sinead sogghignò. «Tu prova. Questo lo deciderò io.»

Hermione esitò. Non era sciocca: sapeva dell’animo tendenzialmente buono delle fate, ma aveva capito anche quanta cautela fosse necessaria nel fare loro una richiesta, per non rischiare di incorrere in voluti fraintendimenti.

«Quello che vorrei è non commettere più errori» disse sicura Hermione, ben sapendo che niente avrebbe potuto soddisfare quella richiesta. «Vorrei prendere sempre la decisione giusta, per non incappare in cattive conseguenze. Abbiamo sofferto tanto e sbagliato in molti, adesso voglio solo che le cose vadano per il verso giusto. Ma non sempre è facile, quando non sai cosa verrà dopo.»

La fata sembrò pensierosa, ma non delusa né in difficoltà. Susan borbottò qualcosa di incomprensibile.

«A queste cose non rimedia la magia» terminò Hermione.

Sinead non smise di sorridere. Chiamò a sé alcune piccole fate, sussurrando loro qualcosa all’orecchio. Quelle sparirono in un turbinare di faville.

«Forse» sussurrò la fata.

Le sue sorelle sbucarono fuori dalle ombre recando con loro un piccolo fagotto avvolto in un velluto viola. Lo porsero a Sinead, che le ringraziò e strinse l’oggetto tra le mani con cura.

Ancora prima che Hermione potesse rendersene conto, la fata era di fronte a lei, ma la notevole differenza di statura tra le due non fece sembrare Sinead la meno minacciosa.

La fata porse a Hermione lo strano fagotto, lei lo accettò con evidente perplessità.

«E’ tuo» le disse Sinead, arretrando di qualche passo, il vestito ricolmo di veli e balze che le accarezzava le ginocchia.

Hermione lo aprì facendo attenzione. Quando ebbe preso il dono in mano, Morag e Susan si fecero avanti per guardare.

«Cos’è?» domandò Morag, parlando per la prima volta.

Era un anello d’avorio dal diametro di cinque centimetri circa, che incrociava, al suo interno, un altro anello di dimensioni minori con riportati sopra dei numeri. Incastrato  nell’anello principale, quasi a segnarne il diametro, c’era un sostegno rettangolare sul quale slittava un piccolo foro, posizionabile all’altezza delle diverse tacche. Il tutto era sostenuto da una sottile catena d’oro.

«E’ una Meridiana d’avorio» spiegò Sinead, mentre Hermione rigirava l’oggetto tra le dita. «Un oggetto davvero raro e prezioso, fabbricato dai folletti secoli e secoli orsono… ti consiglio di conservarlo con cura.»

Susan e Morag continuarono a studiarlo incuriosite.

«E in che modo potrebbe ottemperare alla mia richiesta?» chiese Hermione, fissando sospettosa la fata. Non la convinceva affatto.

«Conservalo» ripeté ancora Sinead. «Potrebbe servirti.»

Disse queste ultime parole, poi svanì, come se si fosse smaterializzata via. La radura calò nelle tenebre, e solo allora Hermione si accorse di come la luce delle fate avesse rischiarato l’oscurità.

Delle sorelle di Sinead non v’era più traccia, né del banchetto che avevano allestito per loro. Tutto era esattamente come quando erano arrivate.

Sprofondate in quel buio, tutte e tre non poterono fare a meno di rabbrividire.

«E’ meglio se torniamo subito» disse Susan, strofinandosi le mani contro le braccia.

«Sono d’accordo» convenne Hermione. «Tanto ormai abbiamo risolto tutto, no?» disse, avvolgendo la meridiana nel velluto e infilandola nella tasca interna del suo mantello.

«Sì, più o meno sì» bofonchiò Morag, guardandosi ancora attorno, svagata.

Hermione aggrottò la fronte. «Più o meno?»

«Dobbiamo trovare gli ingredienti per preparare quella lozione, no?» le ricordò la Corvonero.

Hermione fece spallucce. «Sì, è ovvio. L’artemisia la usiamo tutti i giorni a Pozioni, lo stesso vale per l’elleboro. La foglia di sambuco si può reperire facilmente e…» Fece una pausa, confusa.

«I semi di amaranto sono illegali» le fece notare Susan. «Come gli artigli di drago e le radici di valeriana. Vengono usate come droghe.»

Morag annuì.

«Accidenti» imprecò Hermione. Doveva saperlo. Doveva saperlo che era stato troppo semplice.

«Non c’è bisogno di preoccuparsi tanto» la rassicurò Susan. «Insomma, se vai a certe feste ne circola parecchia di quella roba, non è difficile procurarsela. Non l’hai mai notato?»

Hermione avrebbe voluto rispondere con stizza che no, non l’aveva notato. E non aveva neanche mai preso parte a una festa come quelle di cui parlava lei, tanto meno le era mai passato per la testa di drogarsi. A stento aveva assaggiato il Firewhisky, figurarsi.

«Sì, ma non possiamo aspettare che qualcuno dia una festa e nemmeno cominciare a girovagare per i pub di Hogsmeade il fine settimana» borbottò Hermione.

«Possiamo semplicemente andarla a comprare» osservò Morag.

Hermione la fissò a occhi sgranati.

«Certo» ridacchiò, vicino all’orlo di una crisi di nervi. Cos’altro avrebbe dovuto sopportare, ancora? «E una di voi magari saprebbe indicarmi qui e subito uno spacciatore di fiducia a cui rivolgermi, dico bene?»

Scosse la testa incredula, ma l’ironia svanì dal suo volto non appena si rese conto che Susan e Morag non solo erano serissime, ma non sembravano neanche particolarmente impressionate.

«Sul serio conoscete qualcuno?» sbottò incredula.

Susan si strinse nelle spalle. «Lo conoscono tutti.»

«Ma credo che, per trovarlo, ci serva Daphne Greengrass» aggiunse Morag, mentre Susan premeva per cominciare a tornare indietro. «Non le spiacerà darci una mano.»

 

***

 

Adrian Pucey era stato, nei suoi anni d’oro a Hogwarts, il più grande spacciatore che la scuola avesse mai visto.

Elemento di spicco della Magnifica Triade Pucey/Baston/Diggory, Cacciatore dei Serpeverde, membro della Squadra d’Inquisizione, rifornitore ufficiale di alcolici e altre sostanze non meglio identificate, Adrian aveva terminato in grande stile il suo ultimo anno nel castello, con tanto di padre arrestato e targa onorifica di bello & maledetto al seguito.

Era l’anno che precedeva il periodo che i Serpeverde chiamavano della Grande Decadenza, ovvero l’era di umiliazioni e patimenti che avevano segnato i giorni successivi alla scampagnata di Potter and Company all’Ufficio Misteri.

Perfino Hermione, suo malgrado, aveva sentito parlare di lui.

Lavanda Brown aveva passato la sua fase Pucey più o meno al loro quarto anno, quando passava ore a decantare a Calì l’irresistibile fascino da cattivo ragazzo di Adrian.

L’Adrian Pucey che venne ad aprire loro la porta di quell’appartamento a Hogsmeade, proprio sopra la Testa di Porco, era un ragazzo sui vent’anni vestito alla babbana in camicia e jeans, molto alto, esile, con capelli scuri che circondavano un viso dai tratti forti e mascolini. Poteva a una superficiale occhiata risultare attraente, ma Hermione stabilì sin da subito che quell’aria da strafatto che si portava irrimediabilmente dietro lo faceva scendere di almeno dieci livelli sotto lo zero nella sua scala di gradimento personale.

Non appena Daphne Greengrass, dopo una veloce aggiustata ai capelli già perfetti, ebbe bussato alla porta, la faccia di Pucey, piacevolmente sorpresa nel trovare la bellezza di ben quattro ragazze che bussavano alla sua porta tutte in una volta sola, fece capolino attraverso il piccolo spiraglio che lasciava aperto il chiavistello.

«Apri» disse imperiosa Daphne, e un istante dopo il ragazzo le fece accomodare in casa sua.

«Ezra me l’aveva detto che oggi sarebbe stato il mio giorno fortunato» esordì Adrian, mentre con un cerimonioso gesto della mano invitava ad entrare anche le altre tre, chiudendo la porta alle sue spalle. «L’ha letto nelle stelle.»

«Immagino» borbottò Daphne, mollando malamente il suo mantello su una sedia e sparendo oltre il corridoio d’ingresso, perfettamente a suo agio lì dentro.

«Signore» disse Adrian, invitando Morag, Susan e una sempre più perplessa Hermione a farsi avanti.

Se l’ingresso era poco più che uno spoglio e tetro bugigattolo, il salone in cui si sedettero era spazioso e riccamente decorato.

Si trattava di un’ampia stanza con finestre che davano sulla strada principale del villaggio, mobili in noce e travi a vista. Al centro del salone c’erano due grandi divani in pelle disposti attorno a un tavolinetto basso ricolmo di bottiglie vuote, posacenere sporchi, avanzi di cibo e diversi cumuli e bustine di erbe. Sul divano di fronte quello sul quale si era mollemente adagiata Daphne Greengrass, c’era un ragazzo biondo e con gli occhi chiari. Sedeva scompostamente con aria annoiata, tra le mani mescolava un mazzo di carte magiche e aveva un cappello nero a cilindro che gli cadeva storto sul capo, coprendogli parte del volto. Hermione ebbe l’impressione di averlo già visto.

«Prego, sedetevi» fece ancora Adrian, con quella sua ostentata cortesia. Hermione e le altre sedettero a fianco di Daphne.

«Ancora carote, Vaisey?» borbottò la Greengrass, distratta, mentre lasciava che Adrian le accendesse una sigaretta.

Il ragazzo biondo col cilindro sbuffò. Hermione ricordò dove l’aveva visto, ovvero alle partite di Quidditch contro Serpeverde; fino al loro sesto anno, Vaisey giocava come Cacciatore.

«E’ da una settimana che Ezra cerca di far uscire il coniglio nuovo dal cilindro» spiegò educatamente Pucey, notando le facce confuse di Hermione, Susan e Morag. «Il coniglio che avevamo prima andava meglio, ma se l’è mangiato il boa e abbiamo dovuto prenderne un altro. Questo non vuole saperne di uscire e Ezra tira fuori solo carote.»

Morag lo squadrò altera, Susan invece storse il naso.

«Boa?» ripeté, rabbrividendo di disgusto al pensiero.

«Tranquilla, l’abbiamo dovuto dare via» la rassicurò Adrian. «Era diventato troppo grosso, occupava tutto il divano. Ezra ci è rimasto male, sente molto la sua mancanza, non è vero, amico?»

Ezra Vaisey si tolse il cilindro dalla testa, infilandoci dentro il braccio che affondò fino all’attaccatura della spalla.

«Aveva senso dell’humour, il vecchio Cadmus» sospirò Ezra, che aveva una voce bassa e sibilante. «Ed era di poche parole, questo bisogna riconoscerglielo. Sapete che scocciatura quando un serpente vi sibila costantemente nell’orecchio perché non ha digerito bene? La vipera che avevo prima era così. Una noia terribile.»

Hermione arcuò un sopracciglio in un fare così severo che sarebbe stato impossibile per Vaisey non accorgersi della sua espressione accondiscendente.

«Ezra è Rettilofono» chiarì ancora una volta Adrian, andando a sedersi accanto a Vaisey, che continuava a rovistare dentro il cilindro. «Problemi, amico?»

«Non riesco a trovare il coniglio» disse, infilando il braccio più a fondo.

«Sarà nella credenza come l’ultima volta» suggerì Adrian, prima di tornare a guardare le quattro ragazze con rinnovato interesse. «Cosa vi porta qui a quest’ora della notte? Blaise ha esaurito le scorte?»

«Lascia perdere Blaise» lo ammonì Daphne, soffiando via il fumo. «Amaranto, siamo qui per questo. Te n’è rimasto?»

Pucey ridacchiò divertito.

«Certo che me n’è rimasto, bambolina. Come mai vi serve?»

Daphne diede un altro tiro profondo. Hermione e Morag erano state irremovibili: di uno come Pucey non ci si poteva fidare, e non avevano la minima intenzione di raccontargli delle loro uscite nella Foresta e tanto meno di Malfoy.

«Nulla che t’interessi» minimizzò Daphne con un gesto della mano.

Pucey annuì, evidentemente non gli importava poi molto. Squadrò Hermione, Morag e Susan ad una a una, senza pudore.

«Tu sei la nipote di Amelia Bones, non è vero?» disse Adrian a Susan, non potendo evidentemente fare a meno di quell’abitudine tipicamente Serpeverde di ricordare le persone in base alle loro influenze. «Poi Morag, naturalmente… E tu sei l’amica di Potter, se non sbaglio. Sbaglio?»

Adrian si alzò di nuovo, per prendere una sigaretta da un pacco gettato sul tavolino. Se l’accese con un gesto rapido della bacchetta e cominciò a camminare per la stanza, lentamente.

«Draco parlava di te, qualche volta. Sei la Mezzosangue, no?»

Stranamente, non c’era poi tutta quella cattiveria nel modo in cui disse “Mezzosangue”. Con lo stesso tono l’avrebbe potuta etichettare come “Grifondoro”, “Inglese” o qualunque altra definizione puramente indicativa, senza tendenze razziste sottintese.

«Sono Hermione Granger» borbottò Hermione, che pur non gradendo particolarmente l’idea di presentarsi e farsi riconoscere da un soggetto del genere, si sentiva infastidita dall’essere definita solamente “amica di Potter” o “Mezzosangue”.

«Hermione» ripeté Adrian, guardandola. La ragazza sostenne lo sguardo ma non disse niente. «Sei stata per un po’ sui giornali quest’estate» aggiunse.

Hermione annuì, senza sapere bene cosa dire. Sapeva, perché gliene aveva parlato il padre di Ron, che i Pucey erano entrambi Mangiamorte e sotto processo. Adrian, però, non aveva passato problemi di alcun tipo, in tal senso.

«Noi saremmo un po’ di fretta» li interruppe Daphne, indispettita.

Pucey tornò a guardare lei.

«Certo, capisco. Vado a prendere quello che hai chiesto.»

Sparì oltre il corridoio, con le mani in tasca e la sigaretta in bocca.

Dopo aver estratto l’ennesima carota dal suo cappello a cilindro, Ezra si arrese e lo mollò di lato, riacciuffando il suo mazzo di carte.

«Allora?» fece dopo un po’ Vaisey, con lo sguardo chino sulle sue carte. Alcune ciocche di capelli biondi gli sfiorarono la fronte. «Che aria tira a Hogwarts?»

«Una pessima aria, te l’assicuro» sospirò Daphne. «A voi gli affari vanno bene, vedo.»

Ezra si strinse nelle spalle, con aria indifferente.

«Draco come sta?» domandò ancora il ragazzo. «E’ da quest’estate che non lo vedo.»

Daphne scambiò con le altre un’occhiata di cui Vaisey non si accorse.

«Bene, credo» rispose, vaga. «Io e lui non parliamo molto.»

Ezra annuì, mescolando ancora le sue carte.

Hermione, nel frattempo, non poté non pensare all’assurdità della situazione.

Fate dispettose e passeggiate nella Foresta al chiaro di luna erano una cosa che poteva sopportare; aveva affrontato di peggio.

Uscire di nascosto dai confini del castello attraverso uno dei passassi segreti che erano stati riaperti dopo la fine del regime dei Carrow, questa era una cosa che poteva ancora accettare. Dopo essere arrivata fino a Londra in groppa a un Thestral, tutto il resto risultava di poco conto.

Fare visita a due ex Serpeverde inquietantemente gentili e celebri per il commercio di sostanze illecite, questo proprio i suoi poveri, deboli nervi non lo potevano reggere. Soprattutto se questo la costringeva ad arrivare a conclusioni inaspettate che si sarebbe molto volentieri preclusa.

Tanto per fare un esempio, per una Grifondoro convinta come lei scoprire che in fondo, molto in fondo, poteva anche darsi l’eventualità che ci fossero sporadici casi di Serpeverde non proprio da buttar via la stupì. La Greengrass non le era mai stata simpatica, pur non avendole mai fatto nulla di male; Daphne era soltanto una persona che le risultava odiosa a pelle, per i suoi modi superficiali e la sua superbia malcelata.

Di voci su Vaisey e Pucey ne aveva sentite parecchie, e non solo gli spasimi d’amore di Lavanda. Anche Harry e Ron, nelle innumerevoli serate che avevano passato attorno al camino, si erano lamentati del loro comportamento scorretto durante le partite. Perciò Hermione aveva sempre dato per scontato che non differissero poi così tanto da Malfoy o dalla Parkinson.

Forse per il fatto di essersi presentata lì con Daphne Greengrass, restava comunque il fatto che finora nessuno, a parte quella blanda considerazione di Pucey, avesse fatto qualche osservazione riguardo al suo essere una Mezzosangue. Né riguardo lei né riguardo Susan, che pure aveva una madre babbana.

La situazione generale, pertanto, non le piacque. Hermione detestava sbagliarsi almeno quanto detestava Draco Malfoy.

Se poi la sua impressione sbagliata ricadeva su gente come Pucey e Vaisey, che godevano di una fama talmente pessima che dubitare di loro sarebbe stato d’obbligo per chiunque, la cosa le pesava ancora di più.

«Ecco qua» disse Adrian, appena tornato con una busta trasparente in mano, piena di chicchi scarlatti. La passò a Daphne, la quale tuttavia la diede a Hermione e Morag perché potessero valutare anche loro.

«E’ roba buona» le rassicurò Adrian. «Questa di solito la vendiamo a cinque galeoni al grammo. Per te, naturalmente, offre la casa» aggiunse poi, ammiccando in direzione di Daphne.

«Credo che, ehm» Hermione tossicchiò. «Penso che anche la metà di questa vada bene, no?» disse, cercando la conferma di Morag, la quale annuì distrattamente.

«Immagino di sì» disse pure Adrian, per nulla interpellato. «Basta un solo di questi e sei a posto per tutta la serata» aggiunse, senza badare troppo al cipiglio severo di Hermione.

«Bene» fece allora la Grifondoro. «Abbiamo finito, allora?»

Daphne spense la sua sigaretta, quindi disse di sì.

Adrian diede a Hermione la quantità di semi di amaranto che avevano concordato, e la ragazza li infilò nell’altra tasca del mantello, non quella in cui conservava la meridiana d’avorio, dono di Sinead. Quando si diceva averne piene le tasche…

«Il tre di ottobre diamo una festa qui, per il compleanno di Urquhart» disse d’un tratto Adrian, con un sorriso poco rassicurante. «Siete tutte invitate, ragazze.»

«Fantastico» borbottò Susan. Poi, in direzione di Daphne che era andata a recuperare il suo mantello: «Greengrass, hai preso tutto?»

«Sì, sì» rispose scocciata quella. «Possiamo andare.»

Salutò Pucey con un bacio sulle labbra ed Ezra con un gesto veloce della mano, che lui poté ricambiare solo con un cenno del capo visto che aveva le braccia di nuovo impegnate col suo capello a cilindro.

«Tre ottobre, mi raccomando» ripeté ancora Adrian, mentre le accompagnava alla porta.

Solo quando furono in strada Hermione poté tirare un sospiro di sollievo. Erano le tre di notte, se avessero accelerato i tempi magari sarebbe riuscita a somministrare la lozione a Malfoy quella sera stessa.

«Sbrighiamoci» disse, cominciando a incamminarsi. Dopo tutto quello che aveva fatto quella notte, fintanto che non si fosse occupata di Malfoy non avrebbe potuto ritenersi tranquilla.

 

***

N/A

Buonasera!

Ebbene no, si direbbe che io non mi sia dimenticata di questa storia, sebbene l’abbia lasciata ferma per mesi. Poco tempo, altra robaccia a cui pensare, il famigerato bloccodelloscrittore e tante altre belle cose mi hanno allontanato da EFP, ma stasera m’era venuta voglia di mettermi a spulciare tra le vecchie cartelle e mi sono ricordata di Hogwarts Horror Story. Ecco il nono capitolo, con qualche appunto.

La mia idea di fata è il risultato di un’accozzaglia di notizie raccattate in giro per il selvaggio web, mi andava di unificare un po’ tutte le varie tipologie di fate, dagli esserini svolazzanti e vanitosi alla Peter Pan fino alle fate madrine elargitrici di doni stile Pinocchio e Bella Addormentata.

Adrian Pucey e Vaisey sono personaggi della Rowling. Adrian ha due anni in più di Harry&Co, Vaisey (l’aggiunta del nome Ezra, così come tutto quel che lo riguarda, l’ho felicemente cavato fuori dal nulla e non ha alcuna base di riferimento) uno in più del trio, visto che era nella squadra di Quidditch ai gloriosi tempi del Principe.

L’amaranto ovviamente è una normalissima pianta, ma preferisco pensare che i maghi abbiano un occhio più acuto dei Babbani per certe cose e che siano a conoscenza di proprietà inaspettate per certi fiori piuttosto che tirare in ballo droghe babbane.

La meridiana l’ho descritta sul modello di una meridiana portatile ad elevazione costruita a Parigi da tale Monsieur Butterfield, nel correva il secolo XVIII. Qui la foto.

Ringrazio chi continua a incoraggiarmi nella stesura di questa fanfiction, è quasi banale dire che mi dà una grande soddisfazioni leggere le parole di chi recensisce e di chi mi contatta privatamente. Mi fate sentire importante, uh.

A… prima o poi, diciamo.

Dejanira.

 

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Capitolo 10
*** Death And All His Friends ***


Hogwarts Horror Story

- Part 1: Fall –

 

10.

Death And All His Friends

 

 

 

 

All winter

We got carried

Oh way over on the rooftops

Let's get married

All summer we just hurried

So come over

Just be patient

And don't worry

(Death And All His Friends, Coldplay)

 

 

Aveva raggiunto l’Infermeria in punta di piedi, di nascosto, conservando in una tasca il necessario per la sua cura. Era arrivata e lui era sveglio come se la stesse già aspettando, più probabilmente era solo stato tenuto desto da un brutto sogno.

«Cos’hai in mano?»

L’amaranto aveva il profumo dell’eternità, forte di quel che nome che lo designava come l’unico fiore destinato a non appassire. Alcuni credevano che fosse augurio di autenticità nei sentimenti, emblema dei legami più puri come l’amicizia, nati per perdurare nel tempo e non sbiadire mai come quel fiore immortale.

Togliere quelle bende e rivelare, nella penombra della stanza rischiarata appena dalla fiamma languida di una candela, quella maschera di odio che gli sfigurava il viso sarebbe diventata probabilmente una delle immagini che avrebbe affiancato la voce d’oltretomba di Bellatrix nei suoi peggiori incubi.

«Ehi, Hermione.»

Togliendo via quelle fasciature, aveva rivelato la parte malata di quel viso, dove una trama di crepe buie avvizziva la sua pelle chiara. Oscure ragnatele del colore delle ombre, propagatesi dalla bocca, alla guancia, all’altezza degli occhi quasi, salivano come un fitto groviglio di serpenti pronti a dilaniare quanto di più etereo resisteva ancora in quel volto.

Era il frutto del suo odio, il germoglio del male che si trascinava dentro, quel rancore che aveva tanto rimproverato agli altri e che ora doveva compatire in se stessa, quell’epidemia di sofferenza che aveva portato a due guerre e che lei aveva contribuito a diffondere come un morbo di pestilenza su quelle labbra intoccabili.

«Hermione?»

«Non farà più male. Niente farà più male.»

Il composto di amaranto, artemisia ed elleboro scorreva su quelle ferite come una colata di cera, riparando a quegli squarci inguardabili che rattrappivano il suo viso in una macabra smorfia.

Le tenebre che le alimentavano vennero riassorbite dal sambuco, che subito si accartocciò e appassì al contatto con quell’orrore.

Le crepe nere svanirono ad una ad una da quel volto, lasciando solo un leggero alone rossastro che sarebbe andato via col tempo.

Lui si accarezzò una guancia, tremante, temendo di sentire ancora tra le dita la consistenza dell’odio e del dolore.

«Hermione!»

La ragazza quasi si affogò col suo succo di zucca quando Harry Potter le saltò praticamente addosso, soffocandola in un abbraccio che non le lasciò lo spazio neanche per respirare.

«Harry» mugugnò. «Mi uccidi.»

«Scusa, scusa» disse l’amico, con un sorriso che gli andava da uno zigomo all’altro.

Hermione stava quasi per chiedergli il motivo di tutte quelle effusioni quando anche Ron la raggiunse abbracciandola da dietro e posandole un bacio sulla guancia di fronte a tutti, in Sala Grande, in un modo che la fece arrossire d’imbarazzo perché era la prima volta che la toccava da quella notte in cui si erano baciati.

«Che succede?» domandò lei disorientata, non capendo che diamine prendesse a entrambi.

«Come che succede?» ridacchiò Ron al suo orecchio, senza smettere di abbracciarla. «Buon compleanno!»

Ah, già.

Il 19 settembre.

Il suo compleanno.

In mezzo a tutti i pensieri di quella notte l’aveva dimenticato.

«Hermione, auguri!» gridò ancora qualcuno, questa volta una ragazza, raggiungendola in un turbinare di capelli biondi e tintinnare di braccialetti e orecchini.

Luna Lovegood le spruzzò una strana polvere dorata all’altezza del naso, facendola starnutire.

«E’ polvere di ali di Gorgosprizzo, cancella via tutte le preoccupazioni e mette di buon umore» spiegò allegra. «E’ quel che serve per un compleanno, no?»

Tutto quell’affollarsi di gente attorno a lei la confuse. Presto arrivarono anche Neville e Lavanda, più Jimmy Peakes e Ritchie Coote che non riuscirono a trattenersi dall’intonare un Tanti Auguri A Te a squarcia gola dopo essere saliti sulle sedie ed essersi guadagnati un rimprovero da parte di Lumacorno.

«Credevi che ce lo fossimo dimenticato?» chiese Harry, sorridendole. «Volevamo darti quest’impressione. Così saresti stata ancora più sorpresa.»

«Mamma ha preparato dei biscotti di zucca per te, me li ha fatti arrivare con Errol questa mattina. In realtà il gufo ha sbagliato destinazione e invece che a me sono arrivati a Euan Abercrombie e agli altri ragazzi del quarto che hanno la camera vicino la nostra, ma l’importante è che siano arrivati, no?»

«E ti abbiamo lasciato anche un regalo, abbiamo detto a Lavanda di fartelo trovare sul letto ma stamattina quando si è svegliata già non c’eri» aggiunse anche Harry. «Hai festeggiato per conto tuo e non ci hai detto niente?»

«Stasera abbiamo organizzato un piccolo ritrovo in Sala Comune, abbiamo ordinato due vassoi di dolci di Mielandia e Dennis ci mette a disposizione la sua vecchia radio» continuò Ron. «Sarà divertente, vedrai!»

«A proposito, dove sei sparita ieri sera? Ti abbiamo aspettata dopo cena ma non ti sei fatta vedere.»

Per quanto fosse lusingata da quel mare di attenzioni, Hermione non poté fare a meno di passarsi con stanchezza una mano sulla fronte, scostandosi dalla presa gentile di Ron e accasciandosi a sedere al tavolo dei Grifondoro.

«E’ tutto magnifico, davvero» disse, sospirando. «Vi ringrazio, siete meravigliosi, però, per favore… potete abbassare un po’ la voce? Ho un’emicrania che mi uccide.»

«Oh, certo, certo» disse subito Ron, sedendosi accanto a lei mentre Harry e Luna facevano lo stesso. «Possiamo darti qualcosa? Acqua? Latte? Succo di zucca? Caffè? Firewhisky?»

«Sto bene così, grazie» rifiutò lei, rabbrividendo al pensiero.

«Hai un aspetto orribile» le fece notare Luna, con quella sua sincerità ingenua e disarmante. «Dovresti fare qualcosa per quelle occhiaie, sai? Sembra che ti abbiano presa a pugni.»

«Ehm, grazie del consiglio, Luna» disse la Grifondoro, con un sorriso stentato.

«Magari oggi dovresti saltare le lezioni» propose Ron, facendole sbarrare gli occhi. «E’ il tuo compleanno, e se ti senti poco bene è perché hai bisogno di riposo, è evidente con tutto quello che è successo, io e Harry potremmo tenerti compagnia, sai, potremmo…»

«Noi non salteremo una lezione, Ron Weasley» lo redarguì più severa della McGranitt e di Molly Weasley insieme. «Non provare a cercare una scusa per risparmiarti due ore di Trasfigurazione!»

«Va bene, d’accordo, come non detto» si arrese lui. «Ti consiglio di assaggiare uno dei biscotti di mia madre, sono buonissimi.»

Continuarono a strillarle nell’orecchio e a sventolarle la scatola di biscotti sotto il naso per tutta la durata della colazione. Lei si sforzò di sciogliersi in un sorriso e di rispondere cordialmente a tutti quelli che le si avvicinavano per farle gli auguri, ma la verità era che sentiva la stanchezza premere e che avrebbe desiderato solo andare a dormire e svegliarsi l’indomani.

Qualunque suo pensiero venne interrotto dall’ingresso in Sala Grande di Draco Malfoy. Pansy Parkinson gli camminava accanto tenendolo per mano e sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Andarono a sedersi al loro tavolo con Theodore, Blaise, Goyle, Daphne e Barry, che lo accolsero con diverse pacche sulle spalle.

Lui prese posto in silenzio e senza troppe cerimonie, sorvolando sui commenti entusiasti dei suoi compagni. Non la degnò di uno sguardo né del più piccolo cenno.

Non aveva detto molto a Malfoy, di tutto quello che aveva fatto la notte precedente per lui. Non voleva che lui dovesse sentirsi in dovere di ringraziarla o di pensare a quanto Hermione avesse rischiato, trasgredendo praticamente a tutti i punti del regolamento scolastico per procurarsi la cura che lo avrebbe salvato dalla fattura di Sinead. Gli aveva rivelato appena lo stretto necessario riguardo la Foresta Proibita, il banchetto e l’incontro con le fate. Sorvolò del tutto sul capitolo Adrian Pucey.

«Hanno dimesso Malfoy stamattina» disse Ron, indovinando la direzione dello sguardo di Hermione. «Evidentemente non stava poi così male, se si è ripreso tanto in fretta. Voleva solo metterti nei guai, Hermione» borbottò il ragazzo, senza accorgersi del rabbuiarsi dello sguardo della sua amica. La ragazza non disse nulla mentre mescolava il suo cappuccino, decisa a tacere su tutti i fatti di quella notte, anche con Harry e Ron.

Parlarono del suo compleanno per il resto della mattinata.

Le lezioni di quella giornata furono interminabili, perfino per Hermione che riusciva a seguire con diligenza anche le soporifere ore di Storia di Rüf.

Al termine dell’ora di Pozioni, ultima di quell’estenuante giornata, Harry e Ron insistettero per trascinare Hermione con loro invece che al suo solito ritiro spirituale in biblioteca per anticipare almeno i compiti dei tre giorni successivi. Anche quel giorno, tuttavia, la ragazza si dimostrò irremovibile, e lasciò i due amici con la promessa di raggiungerli in tempo per pranzare insieme, pur sapendo che, tutto sommato, forse la biblioteca non sarebbe rientrata nei suoi piani per la mattinata.

Impiegò più tempo del dovuto a riporre il suo calderone nell’armadio in fondo all’aula. Per tutto il tempo, lanciò occhiate veloci in direzione di Draco Malfoy, che intercettò più d’una volta il suo sguardo costringendola ad abbassare gli occhi.

Goyle fu il primo a lasciare l’aula, seguito da Blaise, Pansy, Daphne e Barry. Theodore Nott disse qualcosa a Draco, il quale fece un segno di diniego col capo, poi anche lui uscì.

Quando erano rimasti praticamente solo Jimmy e Ritchie nella stanza, Hermione si accorse che anche Malfoy stava impiegando un tempo sconsideratamente lungo a lucidare la sua bacchetta.

I due Grifondoro salutarono Hermione con uno squillante “A stasera!” e un sorriso a trentadue denti.

Andati via loro, Draco e Hermione rimasero soli nell’aula.

Hermione chiuse la sua borsa, pesantissima per tutti i libri che ci stavano dentro, sollevandola con sforzo e poggiandola sul banco. Tenne gli occhi ostinatamente bassi e, anche quando sentì risuonare i passi di Malfoy sul pavimento, non fece nulla per guardarlo. Solo quando lui le fu di fronte, porgendole qualcosa a cui lei a una prima occhiata non fece caso, Hermione fu costretta a fissarlo.

«Puoi riportarli alla Pince» disse Draco seccamente, poggiando sul banco i due libri di Incantesimi che lei aveva preso per lui quel primo giorno di scuola in biblioteca. «Non mi servono più.»

Hermione guardò prima i due pesanti volumi, poi il viso sano e di nuovo perfetto di Malfoy.

«Va bene» riuscì a dire soltanto, aprendo di nuovo la borsa e cercando di infilarci a stento anche quei libri.

Malfoy non aprì bocca né mosse un dito mentre la guardava impegnata in quell’operazione. Pur sentendo lo sguardo pungente del ragazzo addosso, non osò alzare gli occhi fino a quando non fu riuscita a sistemare tutto e a chiudere le cinghie della sua tracolla con notevole difficoltà.

A quel punto, osservare Malfoy e sprofondare in un silenzio disarmante fu inevitabile. Soprattutto considerato che il Serpeverde non accennava ad andarsene.

«Non saresti dovuta tornare nella Foresta Proibita» disse d’un tratto, con la voce più incolore e gelida che Hermione gli avesse mai sentito. «Tantomeno trascinare quelle due con te. Io non devo niente a nessuno, chiaro?»

Suo malgrado, non volendo assolutamente fare la parte della ragazzina compiacente e intimidita, Hermione si limitò ad annuire.

«Mi avrebbero portato al San Mungo e mi avrebbero guarito lì, anche se non fossi intervenuta tu» aggiunse ancora, sempre più freddo. «Il tuo aiuto non era richiesto né necessario.»

Hermione annuì di nuovo. Poi qualcosa, ovvero quella sua vena saccente che non poteva fare a meno di veni fuori anche nei momenti più inopportuni, la costrinse a replicare.

«Non voglio che tu mi dica niente» mise in chiaro. «Non l’ho fatto per te. Voglio dire, è naturale che l’abbia fatto per trovare un rimedio alla fattura che ti aveva colpito, ma se sono tornata nella Foresta è stato solo per far tornare i conti con me stessa. Avevo causato quel danno e dovevo ripararlo, come faccio sempre quando commetto uno sbaglio» spiegò, con altrettanto distacco. Sperò che i suoi toni controllati bastassero ad alleggerire un po’ quella tensione.

Sapeva dove stesse il problema: come gli aveva ripetutamente rinfacciato Hermione, Malfoy aveva già parecchi debiti di vita nei confronti suoi e dei suoi due migliori amici. Non avrebbe sopportato di averne sulla coscienza un altro. Erano già abbastanza tesi i rapporti tra di loro senza che si intromettesse lei ad aggiungere un ulteriore patina di sensi di colpa e imbarazzo.

«Bene» sbottò lui, dopo alcuni secondi. «Allora, adesso che ti ho restituito questi libri, non voglio più avere nulla a che fare con te. Pertanto, nei prossimi giorni e per tutto il resto della vita, vedi di starmi alla larga» sibilò, mentre le sue mani si stringevano attorno al bordo del banco.

«D’accordo» rispose Hermione, di fronte alla pressione di quelle iridi gelide. «Però, solo una cosa, Malfoy…»

Lui si fece teso, quasi irritato da quell’ulteriore precisazione, ma non la interruppe.

«Non voglio dovermi sentire a disagio ogni volta che sei nei paraggi, e vorrei che lo stesso valesse per te. Abbiamo già chiarito che non ci dobbiamo nulla, no?» fece, cercando nel suo volto inflessibile una conferma che non trovò. Deglutì. «Perciò… nemici come prima?»

Aggiunse un sorrisetto nervoso a quella battuta, che non smorzò per nulla la tensione, semmai la appesantì ancora di più.

Malfoy, tuttavia, non si mostrò particolarmente contrariato.

«Nemici come prima» confermò, con voce incolore. Si aggiustò il mantello sulle spalle, senza smettere di guardarla. Poi tornò al suo banco e raccolse i suoi libri.

«Auguri di buon compleanno» le disse infine, senza il minimo calore nei toni. Si voltò e senza aggiungere nient’altro si lasciò Hermione e quell’aula alle spalle.

 

No, I don't want to battle from the year to end

I don't want to cycle and recycle revenge

I don't want to follow death and all of his friends.

(Death And All His Friends, Coldplay)

 

***

 

La vecchia radio di Dennis Canon rimandò l’ultimo pezzo delle Sorelle Stravagarie. Jimmy, Ritchie e Vicky si esibirono in un esaltato karaoke che fece ridere tutti i presenti, compresa Lavanda che nessuno sentiva sorridere da parecchio tempo.

Erano presenti tutti i Grifondoro del settimo e anche alcuni ragazzi che non conoscevano direttamente Hermione ma ai quali Ron non aveva disdegnato di offrire qualche dolce e invitare a restare attorno al camino.

Hermione sedeva al solito posto vicino al fuoco, il suo preferito. Le fiamme riflettevano bagliori rossastri tra i suoi ricci.

La musica cambiò. Da lontano, la festeggiata sorrise in direzione di Lavanda, che con un bicchiere di Acquaviola in mano per la prima volta non cercava di nascondere la sua cicatrice con foulard o sciarpe improbabili. Accolse l’invito di Jimmy che la convinse a salire su un tavolo per intonare lo sdolcinato ritornello della hit del momento, un singolo dell’affascinante e prosperosa Celestina Warbeck.

Trasse un profondo respiro, rigirandosi tra le mani il suo bicchiere di Burrobirra, mentre sentiva al suo fianco la presenza rassicurante di Harry, appena sedutosi accanto a lei con le mani intrecciate e i gomiti poggiati sulle gambe. Lui si girò a guardarla, mentre Hermione, che lo fissava già, gli rivolse un bel sorriso.

Per qualche motivo, sentì il bisogno di stringergli la mano. Una delle tante cose buone di Harry era che non faceva mai domande, evidentemente temeva le risposte, così ricambiò quella stretta in silenzio.

«Come vanno le cose con Ron?» le chiese Harry, non senza un certo imbarazzo. I suoi occhi verdi puntarono il Weasley in questione, che dopo aver convinto Euan Abercrombie e altri suoi amici del quarto a restare, si era avvicinato a Lavanda, dicendole qualcosa a voce alta per sovrastare gli acuti di Celestina Warbeck. La ragazza sorrise serena, portandosi la mano al collo in un gesto quasi automatico.

«Oh, per piacere, Harry, piantala» lo rimbrottò Hermione.

Lui alzò le spalle. «Cosa c’è di male? Chiedevo solo perché non ci capisco più niente.»

Dopotutto, lei non poté biasimarlo. Non aveva più pensato a Ron. Non ce n’era stato il tempo. Naturalmente quel sentimento riaffiorava, certe volte, quando lui l’abbracciava scherzando o le schioccava un bacio sulla gota come quella mattina, ma l’assenza di interesse del ragazzo nei suoi confronti aveva fatto svanire in lei ogni speranza. Molte cose erano cambiate, in lui, dopo la morte di Fred. Hermione sapeva che, in fondo, l’atteggiamento di Ron non differiva poi molto da quello di Ginny.

«Nemmeno io» ammise Hermione a bassa voce, fissando il fuoco. Harry ebbe la bontà di non aggiungere altro sull’argomento.

«Sai, quando io e Anthony siamo tornati indietro nella Foresta per cercarti, la sera del duello, lui mi ha raccontato alcune storie riguardo l’anno scorso» disse Harry. «Sui Carrow. Il modo in cui punivano gli studenti.»

Fissava le fiamme anche lui, mentre Hermione evitava il suo sguardo. Harry assunse un’aria distratta, mentre affondava tra i suoi pensieri.

«Ho capito una cosa» replicò a un certo punto Hermione, proprio quando Harry pensava – e forse un po’ sperava – che nonostante tutto quell’ultima frase venisse lasciata cadere in sospeso. «Non voglio che ricadiamo nello stesso circolo vizioso di odio e rancore degli anni passati. Questa volta andrà bene, Harry, me lo sento» aggiunse.

Harry strinse la sua mano, fredda nonostante il calore della stanza.

«Quest’anno andrà bene» ripeté Hermione. «E io, tutto sommato, credo di sentirmi felice. Anche se abbiamo perso tanto, abbiamo fatto molto. Dovresti essere fiero di te stesso.»

Diede un sorso al suo bicchiere ancora quasi del tutto pieno.

Harry scacciò via l’immagine dei cadaveri di Lupin, Tonks e Fred. Si chiese come si potesse andare fieri di tutto quello.

«Secondo te cosa è successo davvero a Malfoy?» le domandò Harry.

Lei s’irrigidì.

«Quello che ha detto Lumacorno» mentì. «Qualcuno che lo odiava ha cercato di fargli del male.» Realizzò dopo che, in fin dei conti, era esattamente la verità.

«Che ci fate seduti qui?» esclamò d’un tratto Ron, rosso in volto per il caldo o forse per qualcosa che aveva bevuto. «Alzatevi, miseriaccia!»

Hermione sorrise, posò il suo bicchiere sul tavolino e si alzò.

«Mi spiace, ma credo che andrò a dormire. E’ mezzanotte e domani abbiamo lezione.»

Ron era incredulo. «Ma Hermione, è la tua festa!»

«E mi è piaciuta un sacco.» Rise della sua espressione contrariata. «Sono davvero stanca.»

«D’accordo…» fece Ron, accarezzandole un braccio. «Ehm, buonanotte, allora.»

«Buonanotte, Ron. Harry.»

Rivolse un cenno di saluto a entrambi con la mano, superò Ritchie e Victoria che non riuscivano a credere che stesse già andando a dormire e infine riuscì a raggiungere la sua stanza.

Trovò Ginny seduta a gambe incrociate sul letto mentre accarezzava Grattastinchi. Sobbalzò quando sentì la porta aprirsi di scatto, e l’animale le scese dalle gambe, saltando giù dal letto e raggiungendo la sua padrona.

«Ciao» disse la più piccola, un po’ sorpresa. «Come mai già di ritorno?»

«Come mai non sei scesa?» replicò Hermione. Non sembrava un’accusa, il suo tono lasciava trasparire solo una leggera preoccupazione.

Ginny si sfilò le scarpe e si distese sul suo letto, con le mani dietro la nuca.

«Non ero dell’umore per festeggiare. Scusa.»

«No, non importa» si affrettò a dire Hermione. «Non volevo dire questo.»

«Lo so» rispose l’altra. «Però scusa lo stesso. E’ il tuo compleanno. E non ho avuto il tempo di comprarti un regalo. Abbiamo avuto tre compiti di inizio semestre nel giro di una settimana.»

«Non devi giustificarti, sai bene che non è questo che mi interessa» disse Hermione, prendendo in braccio Grattastinchi e andando a sedersi sul bordo del suo letto. Il gatto si accoccolò in braccio a lei, cominciando a fare le fusa.

«Demelza e Vicky sono simpatiche» disse Ginny, continuando a fissare il soffitto. «Magari qualche volta potresti uscire con noi, se ti va.»

«Ginny…»

«Potremmo andare a fare compere da Mondomago. E’ appena arrivata la nuova collezione e…»

«Ginny» la bloccò di nuovo Hermione. «Non c’è nulla di male se ti sei fatta delle nuove amiche. Davvero» aggiunse, notando il modo in cui gli occhi marroni della ragazza si erano offuscati.

Ginny si tirò nuovamente a sedere.

«E’ normale» continuò Hermione. «Non devi sentirti in colpa.»

Ginny la guardò per diversi istanti; per un momento Hermione credette di rivedere quella complicità che avevano un tempo e che sembrava essere svanita in un’estate.

«Voglio solo che le cose vadano finalmente bene» mormorò la minore, squadrando la vecchia amica con uno sguardo triste.

«Lo so, Ginny» le sorrise Hermione, tentando, senza successo, di non far risultare quel sorriso troppo amaro. «Lo so.»

 

***

 

So come over

Just be patient

And don't worry

(Death And All His Friends, Coldplay)

 

 

Tracey Davis era sempre stata una ragazza strana.

Era un cosetta pallida e smunta, con capelli flosci e un’espressione scialba costantemente dipinta in quegli anonimi occhi castani. Era una mezzosangue e neanche di famiglia agiata, aveva imparato col tempo che se voleva sopravvivere a Serpeverde la sua unica via di fuga era attaccarsi alle gonne di Pansy Parkinson e Daphne Greengrass, che seguiva ovunque come una fedele valletta. A parte le due reginette della loro Casa e Millicent, non sembrava avere altre amicizie nel castello. Era mattiniera e andava a letto presto tutte le sere, ma non senza aver prima scritto una lunga lettera che, come aveva scoperto Daphne, prendendola in giro per una settimana buona, era sempre indirizzata a sua madre. A differenza di Pansy e Daphne, che ricevevano continuamente lettere da amici sparsi per tutto il Paese, ragazzi che morivano loro dietro, inviti a feste di compleanno e a volte anche fiori e regali, la sua unica corrispondenza era rappresentata dalla madre.

A tutto questo si aggiungeva il fatto che la piccola e minuta Tracey fosse anche una ragazza incredibilmente timida, che veniva subito paralizzata da una ventata di imbarazzo ogni volta che Theodore Nott, Blaise Zabini o Draco Malfoy erano nei paraggi, non riuscendo a spiaccicare neanche la più piccola parola. Da lì, la fama che fosse una persona insulsa e anche vagamente stupida.

Quella sera, ad esempio, sedeva alla destra di Pansy e Daphne, vicino al camino dalle fiamme verdi. Di fronte a loro, c’erano Draco, Theodore, Blaise e Barry, che stavano giocando una partita a poker con le carte magiche. Gregory se ne stava in disparte su una poltrona, in silenzio, e come al solito dava l’impressione che gli mancasse qualcosa, come sempre da quando era morto Vincent.

Barry fece uscire un asso dalla manica della sua camicia, Tracey se ne accorse ma tacque.

La ragazza si incantò a osservare il modo in cui Pansy fissava Draco mentre lui pizzicava le sue carte. I suoi occhi esprimevano una dolcezza che non le apparteneva, e Tracey pensò che avrebbe dato qualunque cosa perché qualcuno guardasse lei nel modo in cui Pansy guardava Draco.

Daphne assisteva alla partita con disinteresse, l’aria annoiata e il pensiero sicuramente rivolto a qualcos’altro. L’attenzione di Tracey si focalizzò su Gregory, che con un sospiro guardava le fiamme languire nel camino, sconfitto.

Augustus Barrett, il ragazzo nuovo, vinse quella mano, con estremo disappunto degli altri tre. Tracey non aveva mai parlato con lui, perché era una di quelle persone esuberanti e indiscrete che la mettevano terribilmente a disagio, facendola balbettare e rispondere a monosillabi. Anche in quel momento, non vedeva l’ora di potersi ritirare in camera per rispondere alla lettera che le aveva inviato quella mattina sua madre, insieme a una piccola confezione di caramelle mou.

«Nessuno batte lo zio Barry a poker» sghignazzò Barrett, facendo l’occhiolino alle tre ragazze, che ricambiarono con un’occhiata altera, tranne Tracey che rimase impassibile.

Stizziti, gli altri Serpeverde decisero di chiudere lì per quella sera, mentre Barry raccoglieva la sua vincita e se ne andava trionfante a tormentare alcune piccole e stucchevoli Serpeverde del quinto.

«Vado anch’io» mormorò debolmente Tracey, guardando solo Daphne e Pansy, che la salutarono appena. Tracey sparì oltre le scale del dormitorio delle ragazze. Theodore e Blaise sprofondarono di più nelle poltrone, quest’ultimo si fece passare da Daphne una busta sigillata il cui mittente era palesemente Adrian Pucey. Zabini la intascò in silenzio.

A quel punto, Draco si alzò, sgranchendosi le gambe. Guardò la sua presunta ragazza, che non aveva smesso di osservarlo per un attimo.

«Vieni, Pansy?» le disse, con un invito che suonava più come un ordine. Pansy fece per alzarsi, ma Daphne la bloccò per un braccio.

«Mi avevi promesso che mi avresti aiutato a scegliere il vestito per il compleanno di Urquhart» le disse, squadrandola a fondo. Pansy comprese al volo e scosse la testa con rammarico, conoscendo bene la sua migliore amica e la sua mania di tenerla alla larga da Malfoy.

«Possiamo farlo anche domani. C’è tempo» rispose, mentre si alzava in piedi e prendeva la mano che Draco le porgeva.

Daphne seguì la sua sagoma e quella di Draco, mentre lui, con una mano poggiata sul fondoschiena della ragazza, la conduceva verso la sua stanza.

Draco aprì la porta di fretta, chiudendosela alle spalle con un tonfo, mentre spingeva Pansy verso il letto.

Nott, Zabini e gli altri suoi compagni di stanza avevano preso l’abitudine di non andare mai a dormire prima delle due, rimanendo fino a notte tarda a chiacchierare con gli altri ragazzi che adesso frequentavano il settimo e con il gruppo di Astoria Greengrass, la sorella sedicenne di Daphne che seppur più giovane aveva già la tendenza a radunare attorno a sé uno stuolo di adepti che la vezzeggiavano con lusinghe e premure.

Draco sfilò velocemente il maglione di Pansy, gettandolo con noncuranza sul pavimento. Le allentò con poco garbo la cravatta e cominciò a sbottonarle la camicia, infilando subito sotto di essa una mano che Pansy si premette con più forza sul petto.

Fecero presto a finire entrambi sdraiati sul letto di Draco, che la sovrastava ricoprendola di baci e carezze frettolose.

Mentre Malfoy le strattonava la gonna facendola scivolare morbidamente sulle gambe, lei gli prese il viso tra le mani, sollevata al pensiero di potere ancora sfiorare la bellezza di quella pelle con le sue dita. Lo baciò con una tenerezza che faceva a pugni con i gesti avventati di Draco, il quale tuttavia si rassegnò a rispondere a quel bacio, senza smettere di accarezzarle le cosce e i fianchi.

«E’ bello poterti toccare di nuovo» mormorò lei, più a se stessa che a lui.

Draco emise un gemito in risposta, mentre Pansy lo accarezzava.

Non riuscì comunque a risponderle nulla. Non sapeva mai come fare, con lei.

Non era vero, come Daphne credeva, che Pansy gli era indifferente; al contrario. Non era cieco di fronte all’amore devoto e fedele che lei nutriva nei suoi confronti. Pansy era con lui da sempre. Aveva preso l’abitudine di tenerlo per mano quando erano bambini e da allora non aveva più smesso.

Draco si detestava sinceramente per la sofferenza che le procurava, per le volte che l’aveva tradita, per i silenzi a cui l’aveva abituata. Si sentì pervadere da una forte rabbia, fu preso quasi dalla voglia di mettersi a piangere lì con lei in quel momento, invece le affondò con forza le dita sui fianchi e dopo averle tolto gli ultimi vestiti rimasti cominciò a spingere dentro di lei con forza.

Pansy si aggrappò subito alle sue spalle, gli occhi socchiusi, il respiro spezzato.

Tutte le cose belle che avevano fatto insieme e tutto l’amore che avevano a loro modo condiviso erano continuamente soffocati da sentimenti di gran lunga più sudici, fastidiosi e penetranti.

Draco era tutto pieno di odio. Mentre spingeva contro di lei con molta più violenza del solito, si lasciò pervadere tutto quanto di rabbia.

Odiò sua zia, odiò Voldemort, odiò Silente, odiò Potter e odiò il fratello morto di Weasley.

Pansy gli mise una mano tra i capelli e lui odiò Hermione Granger e la pena che si era data per tirarlo fuori da quel guaio.

Pansy gli poggiò entrambe le mani sui fianchi, premendo con decisione come per domandargli di fare più piano, e lui odiò le sudicie mani di quella Mezzosangue che aveva osato toccarlo, togliergli quelle bende e curarlo.

Pansy lo guardò con gli occhi profondi e lucidi e i capelli sulla bocca e lui chinò il viso a baciarla, succhiandole e mordendole le labbra e poi la lingua e poi una guancia.

Pansy era calda, affabile, docile, innamorata. Senza di lei non avrebbe resistito un solo giorno.

La abbracciò e la strinse mentre continuava a spingere con forza e, in quel modo così discreto e dolce che solo lei sapeva usare nei suoi confronti, Pansy comprese ogni cosa, ogni singola crepa di quel dolore che provava, in parte perché condividevano le stesse paura, in parte perché erano Draco e Pansy, e di tutto quello che avevano condiviso non se ne sarebbero mai liberati.

Draco poggiò il viso di fianco a quello della sua ragazza, accostando la guancia alla sua e nascondendo la faccia contro il cuscino. In tutta la sua vita non si era mai sentito perso come in quel momento.

Pansy gli gettò le braccia al collo e se lo strinse forte addosso, ignorando il fastidio del peso di Draco sul suo corpo minuto. Avrebbe voluto che lui la baciasse, che la guardasse, che le dicesse che era bella. Malfoy non fece nulla di tutto questo, e lei non gli rimproverò nulla.

Più tardi quella sera, quando Pansy tornò al suo dormitorio, Daphne era l’unica che era rimasta sveglia ad aspettarla. Quando Pansy si chiuse la porta della loro camera alle spalle e vide Daphne a gambe incrociate sul suo letto, con alcuni forgli di pergamena attorno e una piccola candela sul comodino, trasse un lungo sospiro aspettandosi l’ennesima strigliata. Fece per andare verso il suo letto e togliersi i vestiti, ma Daphne la tirò per la gonna invitandola a sedersi sul suo letto. Poi tirò fuori un piccolo pacchetto viola da dietro il cuscino.

«Cioccolato?» le chiese, scartando il pacchetto e porgendoglielo.

Rischiarato appena dalla fiamma della candela, Pansy intravide un sorriso sulle labbra della sua amica.

«Cioccolato» ripeté Pansy, poi afferrò un dolcetto e mentre lo scartava si ritrovò a ridacchiare davanti a Daphne in maniera un po’ sciocca, senza reale motivo, ma per riflesso rise anche l’altra e fosse stato anche solo per quel momento, anche solo per quella sera, Pansy si disse che andava bene così.

 

 

 

 

 

 

***

 

N/A

Chi non muore si rivede.

E’ passato parecchio tempo da quando ho cominciato a scrivere questa storia ma quelle volte che mi capita di riaverla tra le mani ritrovo l’entusiasmo che ho provato quando ho cominciato a progettarla, scriverla e pubblicarla, e mi torna la voglia di tornare a raccontare di Draco, Hermione e tutti gli altri.

Mi viene da sorridere rileggendo i vecchi capitoli per alcuni errori involontari o meno e per alcuni passaggi un po’ goffi, magari appena avrò un po’ più di tempo rileggerò e correggerò le piccole cose che non vanno.

Anche se con estremo ritardo, vorrei ringraziare chi – ormai anni fa – ha speso qualche parola per darmi impressioni, consigli, correzioni, apprezzamenti. Tutti quanti mi hanno resa felice, il vostro interesse per quello che, nel mio piccolo, ho deciso di raccontare con questa fanfiction è già da solo una grandissima soddisfazione. A voi un sincero grazie.

Anche se da anni ormai non pubblico nulla e mi dedico soltanto a originali, ho intenzione di riprendere questa storia. Ho diversi capitoli pronti e tanto vale non lasciarli in sospeso a marcire in qualche disordinata sottocartella senza titolo.

 

Dejanira

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