Edelstein - L'amore attraverso i secoli.

di Mia Swatt
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO. ***
Capitolo 2: *** #1. ***
Capitolo 3: *** #2. ***
Capitolo 4: *** #3. ***
Capitolo 5: *** #4. ***
Capitolo 6: *** #5. ***
Capitolo 7: *** #6. ***
Capitolo 8: *** #7. ***
Capitolo 9: *** #8. ***
Capitolo 10: *** #9. ***
Capitolo 11: *** #10. ***
Capitolo 12: *** #11. ***
Capitolo 13: *** #12. ***
Capitolo 14: *** #13. ***
Capitolo 15: *** #14. ***
Capitolo 16: *** #15. ***
Capitolo 17: *** #16. ***
Capitolo 18: *** #17. ***
Capitolo 19: *** #18. ***
Capitolo 20: *** #19. ***
Capitolo 21: *** #20. ***
Capitolo 22: *** #21. ***
Capitolo 23: *** #22. ***
Capitolo 24: *** #23. ***
Capitolo 25: *** #24. ***
Capitolo 26: *** #25. ***
Capitolo 27: *** EPILOGO #01 ***
Capitolo 28: *** EPILOGO #02 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO. ***


Buon pomeriggio a tutti, come state? Chi mi conosce starà dicendo"Oddio, ancora questa!? Ha finito una storia l'altro giorno e già torna?" Eh purtroppo sì, però lo sapevate ù.ù
Ma parliamo di cose importanti... Questa fanfiction è interamente ispirata ad una trilogia che mi è piaciuta moltissimo, di cui a breve uscirà il volume conclusivo. Sto parlando de LA TRILOGIA DELLE GEMME, di Kerstin Gier. Leggendo i primi due volume, molti mesi fa, mi era venuta quest'idea e così - appena ho avuto un po' di tempo, dato che avevo altre storie in corso - eccomi qui a proporvela. La mia trama, però, non seguirà interamente tutte le vicende. Mi piace molto ispirarmi e riadattare storie già esistenti, ma ci metto dentro anche molto di mio, altrimenti non avrebbe senso! Detto questo, bando alle ciance e leggete il prologo! Ci si legge in fondo :)




« Se non combatti per qualcosa,
ti ritroverai con niente. »
Theodor Scott Glenn.


PROLOGO

Southampton, contea di Hampshire. Inghilterra.
10 Aprile 1912

Era mattina presto e tutta la città era avvolta in un silenzio innaturale. Gli unici rumori, quella notte, provenivano dal porto. Tutto era quasi pronto per la grande partenza dell’indomani. Un rumore ricordò al giovane di non essere solo, la ragazza accanto a lui starnutì.
<< Credo di essermi presa il raffreddore. >> disse, tastando le balze del suo vestito, senza trovare nemmeno l’ombra di una tasca. A quei tempi, gli abiti, erano molto differenti.
Il giovane sorrise, porgendole un fazzoletto di stoffa. Era bianco, con incise due iniziali rosse sul bordo sinistro. La ragazza gli lanciò un’occhiataccia.
<< Non fare quella faccia, tesoro! >> disse il ragazzo, alzando le mani << Non l’ho rubato, me lo ha gentilmente concesso Renée. Ti ha vista un po’ giù di corda e ha pensato che non stessi bene… Ha occhio. >> non appena finì di parlare, la ragazza fece un altro starnuto e afferrò la stoffa dalle mani del giovane.
<< E così è nata. >> parlò la ragazza, una volta tornata in sé.
<< Già. È molto carina, non trovi? >>
<< Certamente. Che giorno era ieri, o due giorni fa? Ma quanto ci abbiamo messo ad arrivare in questo posto? >>
<< Una giornata, mia regina. >> rispose il giovane, tastando nella giacca l’oggetto avvolto accuratamente in un panno, per impedire qualunque graffio.
<< Perdilo e ti uccido. >> disse la giovane, guardandolo torva. Il ragazzo scoppiò a ridere.
<< Così mi offendi, principessa! >>
<< Con te non si sa mai. >>
<< Avanti… >> disse lui, cingendole le spalle con un braccio << A cosa stai pensando? >>
<< Alla ragazza. Che anno era? >>
<< 1994 >> rispose subito il ragazzo << Per l’esattezza, era il 13 Settembre 1994 >>
<< Ho una tale confusione in testa. >> ammise lei, appoggiandosi al petto forte e possente di lui.
<< Ce la faremo. >> rispose, stringendola a sé << Siamo bravi, siamo riusciti a scappare. Ora dobbiamo solo trovare il modo per impedire quello che i Guardiani vogliono fare, quello che lui vuole fare. >>
<< Dobbiamo nascondere il cronografo. >>
<< Ci stavo pensando. Serve un posto sicuro… >>
<< Hai qualche idea? >>
<< Forse. >> le rispose pensieroso, rafforzando la stretta su di lei.
<< Credi che se la berranno? >>
<< Presumo di sì. Per tutti siamo morti in un tragico incidente… >>
<< Ma si chiederanno che fine abbiano fatto i nostri corpi o, molto più probabilmente, il cronografo. >> disse la ragazza. Il giovane ci rifletté un secondo, constatando quanto le sue parole fossero esatte. Ma ormai ciò che era fatto era fatto, non si poteva più tornare indietro.
<< Quando capiranno il piano sarà tardi, ok? Ma era l’unica cosa da fare. Non potevamo restare, ci avrebbero uccisi. Ed è meglio essere finti morti che morti veri. >>
<< Sì, credo tu abbia ragione. >>
<< Io ho sempre ragione, principessa. >> affermò lui convinto, mentre la ragazza scuoteva la testa, alzando gli occhi al cielo.
<< Cosa ci facciamo qui? >> gli domandò, guardandosi intorno. Quella non era Londra. << Siamo andati alla Loggia e abbiamo svuotato le casse dell’associazione, ma adesso? Cosa vorresti farci con tutti quei soldi? >> di tutta risposta, lui, cominciò a sghignazzare.
<< Non hai capito dove siamo, principessa? >> le chiese e la vide scrollare la testa.
<< Credo di essermi addormentata nella carrozza. Ero molto stanca… >>
<< Southampton. Ti porto a fare un bel viaggetto, ti va? >> lei, scettica, alzò un sopracciglio. Lo conosceva fin troppo bene ed era quasi sicura che avesse speso tutti i loro soldi per un “bel viaggetto” senza ritorno.
<< Non avrai mica comprato i biglietti per il viaggio inaugurale del Titanic, vero? >> domandò lei, ma il suo sghignazzare rispose al suo posto << Me lo sentivo! >> disse, sospirando esasperata.
<< Hai sempre detto di andare pazza per quella nave! Ti ho accontentata, visto che siamo bloccati qui. Appena arrivati ho trovato questi due biglietti a prezzo stracciato, prima classe! Erano gli ultimi. Non sono fantastico? Oh, sì che lo sono. >>
<< Ti fai i complimenti da solo, adesso? >>
<< Mi ami anche per questo, principessa! >> disse lui, portandola dinanzi a sé. Lei emise un gridolino per la sorpresa, che si spense subito quando sentì le labbra di lui sopra le sue. Erano calde, carnose e paradisiache… Si sciolse tra le sue braccia. Lui, dal canto suo, accarezzava avidamente il corpo di lei, perdendosi nelle sue forme e nella sua perfezione.
Il bacio durò troppo poco e quando lui si allontanò lei sbuffò.
<< Con il broncio sei ancora più carina, lo sai? >>
<< Smettila! >> rispose, diventando rossa come un pomodoro maturo e facendo scoppiare a ridere il ragazzo.
<< Abbiamo ancora diverse ore. >> disse lui, tornado serio << Possiamo comprare qualche abito nuovo e mangiare qualcosa… La nave salperà a mezzogiorno in punto. >>
<< Va bene, verrò con te. >> rispose lei, sorridendo << Ma ad una condizione! Si sbarca a Cherbourg o, al più tardi, a Queenstown! >>
<< Perché? Non ti piace il ghiaccio, principessa? >>
<< Non sei spiritoso! >> urlò lei, pensando che l’offerta di viaggiare sul Titanic fosse la cosa più romantica che qualcuno le avesse mai proposto – ovviamente, iceberg a parte.
<< E va bene! >> si arrese il ragazzo, alzandosi in piedi. Porse il braccio alla ragazza, la quale lo afferrò senza esitazione, e si avviarono verso la città ancora addormentata.
<< Ti amo tanto, principessa. >> disse lui, sorridendole amorevolmente.

<< Ti amo anche io. >> sussurrò lei, arrossendo.

Eccomi con il prologo, cosa ne pensate? Per chi segue la trilogia, avrà constatato che in questa pubblicazione le cose cambiate sono poche. Spiego subito i motivi:
1. Ho voluto lasciare la scena del Titanic perché amo il Titanic - non parlo del film, ma proprio della vicenda e della nave.
2. Amo il mistero e un po' di mistero nel prologo andava messo!
3. La conversazione può sembrare simile, ma non è uguale.
La storia infatti, come già detto sopra, si ispira ad una saga esistente, ma non la ripercorrerò completamente identica.
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso, perciò, sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 2
*** #1. ***


Buon pomeriggio a tutti! E un augurio speciale a tutti i single! XD
Per prima cosa ci tenevo a ringraziarvi per il caloroso benvenuto che avete dato alla storia! Undici recensioni con un solo prologo! Grazie mille, vi adoro! <3
Prima di lasciarvi al capitolo ci tenevo a dirvi personalmente che, mentre lo leggerete, potrete notare che i personaggi non sono solamente del fandom di Twilight. Questa long, infatti, è la mia prima crossover e ho unito i personaggi di questo fandom - che resteranno i protagonisti assoluti - con quelli de Il diario del vampiro - che faranno un po' da numero, quindi da contorno.
Detto questo vi lascio al primo capitolo e buona lettura!


.

1.

« Se si osserva attentamente la realtà,
ci si potrà accorgere che essa non è mai come sembra a prima vista.
Può palesarti elementi inaspettati e gradevoli. »
Giuseppe D'Oria.

Londra, Inghilterra.
3 Ottobre 2011

Era da poco iniziato l’ennesimo Lunedì mattina. Come ogni inizio settimana, trovavo la mia divisa scolastica, pulita e stirata, appesa all’anta del grande armadio. Odiavo quella stupida tradizione, ma frequentando un liceo privato non potevo fare altrimenti.
Avevo pregato per anni, mia madre, di iscrivermi ad un liceo pubblico, ma non ottenni mai nulla. Tutta colpa di sua madre, Lady Lillian, e di quell’arpia di sua sorella, zia Victoria. Tutto sommato, però, la divisa non era male: gonna a pieghe, blu e bianca; camicia color panna; golfino – maniche lunghe per l’inverno, gilet per l’estate – blu. L’unica nota positiva era che, avendo un abbigliamento predefinito, non dovevo impazzire per cercare qualcosa da mettere tutte le mattine; non ero una patita di moda o di shopping.
<< Bella?! >> urlò mia madre, dal piano di sotto << A che punto sei? La colazione è pronta! >> sbuffai. Odiavo il fatto di doverci sedere tutti quanti a tavola.
<< Ho finito! >> risposi, infilandomi gli stivaletti blu << Due secondi e scendo! >>.
Quella fu la prima volta che sentii la vertigine, alzandomi dal letto. Lo stomacò cominciò a contorcersi in modo innaturale, mentre la testa girava, distorcendo qualsiasi cosa fosse intorno a me. Come ebbe inizio, cessò. Devo essere affamata, pensai e mi apprestai a raggiungere la sala da pranzo.
Come al solito, ad attendermi, c’era tutta l’allegra famigliola.
A capotavola, con il suo sguardo da rapace, Lady Lillian padroneggiava in tutto il suo splendore. Nella parte sinistra del tavolo, la prozia Jenna, sedeva ridendo sotto i baffi – evidentemente, zia Victoria, aveva già avuto il suo primo dibattito con mia madre.
Renée, la mamma, sedeva vicino alla prozia Jenna, accanto a Charlie, mio padre. Notai che, stranamente, mancava qualcuno all’appello.
<< Dov’è Tanya? >> domandai, prendendo posto.
<< Isabella, ti sembra il modo di dare il buongiorno? >> mi ribeccò Lady Lillian.
<< Hai ragione, nonna. >> risposi, timidamente. Quella donna mi incuteva terrore, e non lo dicevo tanto per dire! << Buongiorno a tutti! >>
<< Renée, è inutile, tua figlia non ha proprio modi educati. >> sentenziò lei, facendo alzare gli occhi al cielo a mia madre.
<< Adesso posso chiedere dov’è Tanya? >> domandai nuovamente, presi una fetta biscottata e cominciai a spalmarvi sopra la marmellata di ciliegie.
<< Si sta preparando, ovviamente. >> rispose zia Victoria << La mia Tanya tiene molto al suo aspetto. Inoltre, poco fa, ha avuto un leggero malessere. >>
<< Di nuovo? >> mormorò mio padre, Charlie << Sarebbe l’ennesimo, senza viaggio incontrollato. >> vidi mia madre tirargli un calcio da sotto il tavolo, ma fu tutto inutile. Lady Lillian aveva sentito, perciò cominciò ad urlare contro di lui.
La nostra famiglia aveva, da sempre, un particolare gene, nel sangue. Grazie a questa diversità nel nostro DNA, la prescelta, avrebbe avuto la capacità di viaggiare attraverso i secoli. Solo nel passato, ovviamente. Nessun viaggio nel futuro, questo non era concepito. Viaggiare nel passato, però, aveva i suoi pregi e i suoi difetti. Per parlare degli ultimi, fare un viaggio incontrollato, poteva essere molto pericoloso. Poteva succedere, per esempio, di scomparire in mezzo ad una folla di gente, in pieno giorno, per riapparire esattamente nello stesso punto, più di cento anni prima. Non avevo mai capito come funzionasse, ma non mi era mai nemmeno importato. Secondo i calcoli matematici di grandi personaggi illustri, quella che avrebbe ereditato il gene sarebbe stata Tanya. Non la invidiavo neanche un po’.
<< Buongiorno a tutti. >> disse mia cugina Tanya, entrando nel grande salone.
Come ogni mattina, era impeccabile. Non aveva neppure un capello fuori posto. Essi, infatti, le ricadevano morbidi e lucenti sulle spalle, mentre gli occhi da cerbiatta, azzurri, facevano risaltare il suo viso pallido, ma perfetto.
<< Oh, Tanya! >> cantilenò Lady Lillian, entrando in adorazione << Che piacere vederti! Come ti senti, cara? Tua madre ci ha detto che sei stata poco bene, prima. >>
<< Sì, nonna. È vero. >> rispose lei, rispettosa, accomodandosi di fronte a me << Ma ora mi sento molto meglio, grazie. >> tutta quella gentilezza nascondeva un demonio! Tanya era un vipera, specialmente con me.
<< Tu sei bella nella tua semplicità, tesoro. >> sussurrò la prozia Jenna, al mio orecchio, facendomi arrossire. Forse aveva ragione.
Abbassai un po’ il capo, guardandomi. La divisa, a differenza di quella di Tanya, era molto meno attillata – questo perché io non l’avevo fatta modificare, lei sì –, i capelli castani, quasi neri, ricadevano ondulati sulle mie spalle, tenuti indietro solo da un piccolo cerchietto. La mia pelle era chiara, forse più pallida di quella di mia cugina, e gli occhi erano di un particolare marrone scuro – ricordavano il colore del cioccolato fondente.
<< Allora, possiamo andare, zio Charlie? >> domandò Tanya, risvegliandomi dai miei pensieri. Quanto tempo era passato? Tanto, a giudicare dal suo piatto vuoto e dal mio ancora pieno.
<< Ma Bella non ha ancora finito di mangiare… >> provò mio padre, ma senza troppo successo. Lady Lillian lo fulminò; zia Victoria alzò un sopracciglio, accigliata; Tanya sbuffò.
<< D’accordo, ho capito! >> dissi, alzandomi dalla sedia << Papà, possiamo andare. Non avevo troppa fame, comunque. >>
<< Sei sicura, tesoro? >> annuii decisa. Lui si alzò da tavola, avviandosi verso la porta d’ingresso.
<< Isabella. >> mi chiamò Lady Lillian, mi voltai con un sorriso stampato in faccia << Ti ricordi cosa devi fare, se Tanya si dovesse sentire male? >>
<< Non sono mica stupida, mi ripetete questa dannata cosa tutte le mattine… >>
<< Come, prego? >>
<< Sì! >> mi affrettai a rispondere, mentre la prozia Jenna rideva, avendo sentito ciò che avevo appena detto << In caso dovesse sentirsi male, avviserò Mr. Saltzman. >> nonché nostro professore di storia, nonché membro della loggia.
<< E, ovviamente, ricordati di non muoverti dal punto preciso in cui è scomparsa! O ritrovarla sarà impossibile! >>
<< Finché non torna. >> aggiunsi, con un tono lamentoso << Voglio dire: lei fa il salto, ma poi ritorna. Non vedo perché preoccuparsi tanto… >> il suo sguardo rapace, fisso su di me, mi fece venire i brividi. Forse avevo parlato un po’ troppo.
<< Va bene! >> intervenne mia madre << Bella ha capito, vero tesoro? Magnifico! Charlie, puoi accompagnare le ragazze a scuola! Buona giornata! >>.
La macchina di Charlie – una berlina scura – era piuttosto grande e lussuosa. Gli interni erano di pelle nera, full optional e di ultima generazione. Lady Lillian, sosteneva sempre che, il marito di sua figlia, non potesse andare in giro con un veicolo scadente; ogni anno, quindi, gli regalava un’auto nuova di zecca. Questa volta era stato il turno della BMW M5.
Amavo l’Inghilterra, Londra soprattutto. Era una bellissima città. Antichità, modernità e magia si univano in essa alla perfezione. Non potevo negare, però, che fosse stato un trauma – almeno all’inizio – cambiare città, Stato, abitudini, fuso orario…
Abitavamo a Forks, fino ad otto anni prima.
Era una piccola cittadina nello Stato di Washington, dove pioveva trecentosessanta giorni all’anno – non che qui le cose fossero diverse. Londra, però, a differenza di Forks era più grande. Molto più grande.
Il motivo principale che ci spinse a trasferirci aveva un nome ed anche un volto: Lady Lillian. Secondo lei, la famiglia non poteva restare divisa. Soprattutto se la dolce Tanya, compiuti i fatidici diciassette anni, avrebbe compiuto il salto nel tempo che avrebbe reso la nostra famiglia molto importante. Che cavolate!, pensai. Come se bastasse una cosa del genere a rendere importante qualcuno o qualcosa.
<< Bells? >> chiamò mio padre << Siamo arrivati. Che facevi, dormivi? >>
<< Spiritoso! Ero solo sovrappensiero. >>
<< Sbrigati, cugina. >> disse Tanya, uscendo svelta dall’auto << Non voglio fare tardi per colpa tua! Zio Charlie. >> lo salutò, cominciando ad avviarsi all’interno del maestoso edificio.
<< La odio. >> sussurrai, così a bassa voce che nemmeno mio padre riuscì a sentirmi.
<< Buona giornata, Bells! >>
<< Anche a te, papà. >> gli diedi un bacio sulla guancia e seguii Tanya.
La Saint Lennox High School era la scuola privata più grande e costosa di Londra. Entrarci, infatti, era un privilegio di cui solo pochi potevano vantarsi.
La struttura era immensa ed anche molto antica. Gli esterni bianchi, ristrutturati, davano un’impressione moderna – e al quanto sbagliata – del suo interno. Lunghi corridoi; lampadari al centro del soffitto, nelle aule; biblioteche super fornite di qualsiasi libro – moderno o antico – esistente; sale relax; mensa pulita, con grandi cuochi in cucina e molto, molto altro.
<< Bella addormentata? >> mi chiamò Tanya << Cosa stai facendo lì, impalata? Sembra che tu non abbia mai visto questa scuola! Certo che potevi essere un po’ più sveglia… >> buongiorno vipera! Ecco che, finalmente, il suo lato demoniaco usciva allo scoperto.
<< Sempre gentile, eh? >> chiesi, raggiungendola di corsa.
<< Dico solo ciò che è giusto, Isabella. >>
<< Oh, certo… >> mugugnai, sperando che non mi sentisse.
<< Ehi, Jess! >> urlò mia cugina, raggiungendo la sua più grande – ma anche unica, credo – amica.
Jessica Stanley, ricca figlia di papà, era l’arroganza fatta a persona – un po’ come Tanya, ecco perché si trovavano bene insieme. Ragazza piuttosto carina, con splendenti capelli castano chiaro; occhi di un insolito grigio antracite; e, per concludere, un fisico da modella.
<< Bella! >> mi voltai, direzionandomi verso quella voce.
<< Ciao Angy! Finalmente una faccia amica… >>
<< È solo Lunedì mattina e sei già così disperata? >>
<< Prova tu a vivere insieme a Tanya. >>
<< Touché, a questo non posso controbattere! >> disse, alzando le mani in segno di resa << Entriamo in classe? >> annuii, seguendola per quei maestosi corridoi.
Un tempo, quella scuola, era un’antica residenza di ricconi. Ma si parlava di più di un secolo prima… peccato che qualcuno non la pensasse così.
<< Miss Isabella, ma che piacere rivederla anche oggi! >>
<< Ciao James. >> lo salutai, facendo attenzione che nessuno mi vedesse parlare al nulla.
James Gordon-Lennox II nato a Londra nell’anno 1678, morì a soli vent’anni a causa di un’insolita febbre alta. Quello che, però, James non riusciva a capire era proprio questo suo stato di morte. Secondo lui, era in quest’epoca a causa di una magia potente e diabolica che gli impediva di farlo interagire con quegli strani individui – cioè gli studenti – fatta eccezione, anche se non sapeva spiegarsi il motivo, per me.
<< Miss Isabella, la vedo sempre vestita con questo strano abbigliamento… Ma lei, o la sua famiglia, non possiede denaro per cambiare vesti? >>
<< Oh, miseria! >> sbottai esasperata da questa storia << James, se ti guardassi intorno noteresti che qui tutti hanno questo abbigliamento! Non sono solo io a portarlo e comunque, non so neanche perché te lo rispiego, siamo a scuola e c’è l’obbligo della divisa. È tutto chiaro? >>
<< Primo, gli altri non interloquiscono con me, perciò io non intavolo conversazioni con loro; per seconda cosa, questa idea della divisa scolastica è a dir poco ridicola e anche piuttosto volgare. >> sospirai esasperata. Far entrare in testa un concetto a James era una lotta persa in partenza. Non capiva, oppure non voleva capire. Ma chi avrebbe mai potuto dire qual era l’opzione esatta?
<< Ma è ancora qui? >> domandò Angela, cercando di vedere quello che vedevo io. Annuii, senza perdermi in chiacchiere.
Angela Weber, anche nota come mia sola migliore amica, era l’unica a conoscenza del mio segreto; di tutti, i miei segreti. La conoscevo da quando c’eravamo trasferiti qui, a Londra, e da quel giorno non c’eravamo più lasciate. Angy, diminutivo di Angela, era una ragazza timida, ma molto intraprendente e decisa. Nel suo metro e sessantatre era una persona coraggiosa e molto, molto intuitiva. I capelli castani, un po’ più chiari dei miei, le ricadeva lisci fino a metà schiena; gli occhi nocciola erano grandi, con un leggero taglio orientale; fisico asciutto e slanciato.
<< James, ma possibile che tu sia qui da centinai di anni e non abbia ancora visto la luce? >> domandai, ricordando uno dei miei telefilm preferiti.
<< Quale luce, milady? >>
<< Che ne so, sei tu quello morto! Dovresti vedere una luce, un tunnel, qualcosa! >> la mia affermazione gli procurò una sana risata, facendomi sbuffare.
<< Io non sono morto, Miss Isabella, dovrebbe saperlo. Ora, se le due giovani fanciulle volessero scusarmi, ho alcune cose da fare. >> fece un regale inchino e si dileguò, attraversando un muro.
<< Certo, non è morto ma attraversa i muri. I pazzi tutti a me, mah! >>
<< Andiamo va! >> disse Angela, mi prese sottobraccio e ci incamminammo verso la nostra aula.
Riuscivo a parlare e vedere i morti da sempre, almeno questo era quello che mi ricordavo. Fin da bambina percepivo le presenze, ovunque andassi. Ne ero terrorizzata, prima; ora, invece, lo trovavo in un certo senso divertente. Nessuno, nemmeno i miei genitori, erano a conoscenza di questo segreto. Eccetto la prozia Jenna, lei lo sapeva eccome!
Entrando in classe avvertii un leggero capogiro, con tanto di morsa allo stomaco. Se non fosse stato per Angela, molto probabilmente, sarei caduta a terra.
<< Ehi, Bella, stai bene? >>
<< Sì, ma questa mattina non ho fatto colazione. Miss Perfezione, come al solito, doveva arrivare puntuale a scuola, eccetera, eccetera… >>
<< Quanto la detesto! >>
<< Non dirlo a me. >> sussurrai, mentre Angela mi accompagnava al banco. Avrei sgranocchiato un pacchetto di cracker durante l’ora di Biologia. Il professor Molina era un tipo piuttosto alla mano, fortunatamente.

La giornata passò in fretta, azzarderei troppo in fretta. Era come se tutto intorno a me fosse distorto, per niente fermo. Non avevo seguito attentamente nessuna lezione, nemmeno quella di Letteratura che mi piaceva tanto. Forse stavo covando l’influenza. Sbuffai, aprendo il menù dello Starbucks.
Io e Angela ci trovavamo a South Lambeth Place, sedute ad un tavolino ovale accanto alla vetrata principale del locale.
<< Io prendo mmm… >> sussurrò Angela, spulciando la carta che aveva in mano << Un iced caramel macchiato e un muffin al cioccolato! Tu, Bella? >>
<< Credo che prenderò un frappuccino semplice, ho lo stomaco chiuso. >>
<< Devi mangiare, Bella. >> disse la mia amica, chiamando il cameriere << Oggi a mensa non hai toccato cibo, che ti prende? >>
<< Non ne ho idea. >> risposi sincera << È da questa mattina che ho lo stomaco chiuso, forse sono raffreddata. >> conclusi, vedendo il ragazzo arrivare a prendere i nostri ordini.
Restammo allo Starbucks qualche ora, dopo essere uscite da scuola. Tanya e le sue amiche erano andate in centro a fare shopping e, ovviamente, io non potevo rincasare senza di lei.
<< Allora, tua cugina ha fatto questo benedetto salto? >> domandò Angela, mentre camminavamo per Lambeth Place, aspettando pazientemente che Jessica e Tanya tornassero a prenderci. Jessica e Angela abitavano a pochi metri di distanza l’una dall’altra, così – a differenza mia e di Tanya, che avevamo l’autista – si alternavano alla guida delle proprie auto. Quanto avrei voluto che quella settimana fosse stato il turno di Angela! Ci saremmo risparmiate tutto questo via vai.
<< No. >> risposi secca, ricordandomi che mi aveva posto una domanda << Non ancora, almeno. Ha capogiri, nausee, male allo stomaco, ma ancora nulla. >> ovviamente, Angela, era a conoscenza anche del segreto della mia famiglia e lo trovava – parole sue – fighissimo!
<< Ma non è strano? >> domandò, scettica << Insomma, da quello che sai – e mi hai detto – compiuti i diciassette anni, per un anno, cioè fino al compimento dei diciotto, vi sono questi salti temporali incontrollati. Tua cugina ha compiuto diciassette anni il mese scorso, non dovrebbe cominciare a… ehm scomparire? >>
<< Mica è una maga, Angy. >> le dissi, provando un certo piacere nel pensare a Tanya associata alla parola “scomparire”.
<< Sai cosa intendo! >>
<< Va bene, va bene! >> risposi, scoppiando a ridere << Non so davvero cosa dirti, amica mia. Lady Lillian è isterica, ma quando non lo è? Zia Victoria è parecchio agitata, anche più del solito… Se Tanya non si deciderà a fare questo salto, credo che a tutti i membri della famiglia verrà un esaurimento nervoso! >>
<< Ma perché dovrebbe essere per forza Tanya? >> domandò, ma vedendo il mio sopracciglio incurvato si affrettò a spiegare << Voglio dire, tutti date per scontato che la dodicesima viaggiatrice debba essere Tanya Denali, ma se così non fosse? Mai pensato che potresti essere tu? >> la fissai per qualche minuti, poi… scoppiai in una fragorosa risata, facendo voltare tutti i passanti della piazza.
<< Hai umorismo, Angela! Devo ammetterlo! >>
<< Ma perché no, scusa? >> domandò lei, sbuffando.
<< Perché grandi nomi hanno stabilito che l’ultima viaggiatrice sarebbe nata il 13 Settembre 1994, al calar del sole! È Tanya quella nata il 13 Settembre, io sono venuta al mondo solo il giorno dopo – il 14 Settembre – e, per giunta, a mezzogiorno! >>
<< Tutti sbagliano, Bella. >>
<< Oh, certo, dillo a Newton! >>
<< Cosa c’entra Mike? >> ridussi gli occhi a due fessure, colpendola sulla nuca.
<< Isaac Newton! >> precisai, riscoppiando a ridere.
Un clacson interruppe la nostra ilarità, facendoci voltare di scatto. Finalmente quelle due arpie erano arrivate!
<< Ciao ragazze, come avete passato il pomeriggio? >> cinguettò Jessica, mentre salivamo in auto << Io e Tanya abbiamo fatto un sacco di shopping! Bella, ogni tanto potresti venire anche tu, il tuo stile ti ringrazierebbe! >>
<< Non perdere tempo, Jess. >> rispose Tanya, al mio posto << Rendere presentabile mia cugina è come fare sei secco al superenalotto! >> concluse, scoppiando a ridere.
Alzai gli occhi al cielo, pensando che ero superiore a loro e alle loro battutine scadenti. Non rispondendo avrei fatto più bella figura.

* * *

Era da una settimana, ormai, che avvertivo queste vertigini e la cosa cominciava a rendermi nervosa. Detestavo stare male, senza contare il fatto che dovevo vedermela da sola. Mia madre era un tantino apprensiva, con me, e se le avessi detto che non mi sentivo in forma mi avrebbe fatto prescrivere chissà quali analisi di controllo. Ed io odiavo gli ospedali, più di quanto odiassi Tanya.
Era notte quando il senso di nausea mi costrinse a scendere al piano di sotto, per prepararmi una tisana. La casa era buia e silenziosa, tutti dormivano.
Raggiunsi la cucina con la massima attenzione, se avessi svegliato Lady Lillian avrei passato una terribile mezzora – figurarsi se fosse stata Tanya a destarsi! L’aria fresca della notte entrò con una folata, dalla finestra aperta. Rabbrividii, ma quell’innaturale gelo mi fece sentire meglio. Decisi, così, di lasciar perdere la tisana e uscire in giardino. Mi avvolsi nella mia vestaglia lilla e, circondandomi le braccia intorno al corpo per stare più al caldo, varcai la soglia della porta sul retro.
La notte era quasi spettrale; la luna piena rendeva il paesaggio magico, ma inquietante al tempo stesso. Mi voltai, per guardare l’enorme villa che, in quel preciso momento, sembrava più un castello dei Carpazi. Metteva paura, per la sua maestosità.
Quando tentai di rientrare in casa una vertigine, più accesa e potente delle altre, mi colpì in pieno stomaco, facendomi girare la testa come mai prima. Tutto, intorno a me, perse colore e forma. Mi sentii sollevare in aria, per poi vedere il buio avvolgermi. Chiusi gli occhi, sperando che la paura cessasse e, quando li riaprii, mi resi conto che qualcosa era cambiato. La vertigine, per prima cosa, era sparita. Mi sentivo bene, molto bene. Ma c’era qualcosa che non andava. In primis, la casa era troppo nuova; in secundis, il cespuglio di rose rosse – che cresceva al centro del giardino – era stato estirpato molto, molto tempo prima della mia nascita.
Non riuscivo a capire quello che stava succedendo. Forse, supposi, ero svenuta e adesso stavo sognando. Decisi, comunque, di rientrare in casa. Pessima idea! La cucina era diversa, completamente. Mi diressi in salotto, ma anche quello era totalmente cambiato. Vecchie fotografie; tappezzeria antiquata; candelabri…
<< Oddio! >> sussurrai, ma subito mi tappai la bocca con la mano. Possibile che Angela potesse avere ragione?
<< E tu chi saresti? >> saltai per aria, quando percepii una voce alle mie spalle.
Non ebbi il tempo di rispondere che, nuovamente, il senso di vertigine – e poi di vuoto – si impadronì di me. Ripiombai nel mio vero salotto che era ancora notte fonda.
Oh, oh
, pensai. E poi corsi come una razzo in camera mia, sperando che quello fosse stato solo un brutto sogno.
.

Eccomi con il primo capitolo, cosa ne pensate? Alcune delle vostre domande avranno sicuramente trovato risposta, almeno lo spero. Come vi ho accennato prima - e come vi è scritto nelle note - questa long è una crossover. Avete potuto vedere, infatti, che la prozia Jenna altri non è che la zia di Elena Gilbert nel telefilm TVD, così come Mr. Saltzman. Altri personaggi si aggiungeranno alla nostra avventura... Ma per scoprire chi saranno dovrete solo continuare a leggere! ;)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso, perciò, sta' a voi... ;)

Un bacione! :*

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Capitolo 3
*** #2. ***


Buongiorno a tutti! E' vero, per me quest'orario è insolito, ma oggi lavoro di pomeriggio e non volevo far saltare la pubblicazione del capitolo o postarlo in orari impensabili! Perciò eccomi qui :) non avendo troppo tempo non mi perdo in chiacchiere. L'unica cosa che vi dico è di stare molto attente alle frasi che metto prima di cominciare ogni capitolo, perché sono fondamentali per la storia... Detto questo, ecco il capitolo! Buona lettura!

.

2.


« Dodici colonne sostengono del tempo il maniero,
Dodici bestie reggono l'impero.
Il falco è pronto a ergersi fiero.
Il cinque è chiave e fondamento vero.
Nel cerchio dei dodici, il dodici è il due invero.
L'aquila spunta per settima, ma è terza davvero. »

Dagli scritti segreti del conte di Saint Germain
[ Tratto da Red, di Kerstin Gier. ]


La mattina dopo mi svegliai con due borse impressionanti sotto gli occhi. Avevo dormito a fatica, scossa e agitata, a causa di quello che era successo al piano di sotto, poche ore prima. Percepivo ancora il senso di nausea. Mi alzai a fatica, anticipando di mezzora la sveglia. Avevo bisogno di una doccia fredda!
Mi diressi in bagno e girai il pomello del doccione perché l’acqua uscisse velocemente. Solo quando cominciai a spogliarmi una domanda si fece strada nella mia mente… Oddio! E se dovessi scomparire sotto la doccia?, arretrai spaventata e rivoluzionai i miei programmi post-sveglia.
Misi la mia tuta preferita – quella viola e grigia, della Freddy – e mi stesi a terra per fare un po’ di ginnastica: flessioni, addominali, esercizi per i glutei.
Le ore passarono in fretta, non senza che la mia mente ripercorresse per l’ennesima volta quello che mi era successo: non riuscendo a dormire, scesi di sotto per farmi una tisana rilassante; avevo crampi allo stomaco e forti mal di testa, così presi la decisione di uscire in cortile, per prendere un po’ d’aria. Dopodiché accadde tutto velocemente: giramento di testa, stomaco sottosopra e, ciliegina sulla torta, il mio primo salto temporale incontrollato!
<< Diamine, sono proprio sfortunata, però! >> sussurrai, finendo la mia terza serie di addominali.
<< Bella? >> chiamò mia madre, intrufolandosi lentamente nella mia stanza << Sei già sveglia? A quest’ora? >> domandò, strabuzzando gli occhi. Per poco la tazza di caffè non le cadde dalle mani.
<< Ehi, non guardarmi così! Qualcuno potrebbe pensare che sia una dormigliona senza speranza!
<< Anche una ritardataria senza speranza, tesoro. >> replicò, sorridendomi calorosamente.
<< Ma quanto amore materno… >> la canzonai, tirandomi su.
<< Sciocca! >> disse Renée, dandomi una spallata << Sai che ti voglio un mondo di bene. >> e mi avvolse in un caldo abbraccio.
<< Anche io, mamma. >> risposi, ricambiando il suo gesto.
Restammo così – io in tuta, anche piuttosto sudata, e lei in vestaglia da notte – per un tempo che mi parve infinito. Forse dovrei parlargliene…, pensai. Ma cosa potevo dirle? “Ehi, mamma! Prima che mi dimentichi, credo che questa notte abbia fatto un salto incontrollato nel tempo! Uh, cosa c’è per colazione?”. No, meglio di no. Avrebbe sicuramente pensato che, a causa delle pressioni a cui ero sottoposta per via di Tanya, stessi cercando attenzioni.
<< Ti vedo pensierosa questa mattina, Bella. >> sussurrò mia madre, scostandosi un po’ per vedermi in viso << Sicura di star bene? >>
<< Sì. >> affermai, ma l’insicurezza si fece strada dentro di me. È tua madre, idiota!, disse quella che doveva essere la voce della mia coscienza. Non ti prenderà di certo per una pazza o, peggio, per una bimba capricciosa! Apri quella bocca, avanti! << Mamma, io dovrei dirti una cosa. >> stavo per riaprire bocca, quando la sveglia sul mio comodino cominciò a suonare.
Mi staccai da mia madre e corsi a spegnerla. Faceva un frastuono unico! Mi sedetti sul letto e sospirai angosciata; forse quello era un segno, dovevo tenere la bocca chiusa.
<< Allora? >> domandò mia madre, raggiungendomi sul letto << Di cosa volevi parlarmi? Abbiamo ancora qualche minuto, prima che tu ti prepari per la colazione. >> non risposi subito. Fissai mia madre a lungo, chiedendomi come mai non avessi preso lo splendido azzurro dei suoi occhi oppure, per dirne un’altra, i fantastici riflessi dorati dei suoi capelli. Avevo preso completamente da mio padre, invece. Charlie, infatti, era un uomo molto bello e, a tratti, affascinante. Aveva i capelli corvini e gli occhi di un nocciola molto scuro. Fisicamente erano due persone totalmente diverse! Mia madre, infatti, poteva benissimo passare per una modella in pensione – a causa della sua adulta età. Charlie, dal canto suo, era un ottimo avvocato, nell’ambito della tutela dei minori.
<< No, nulla. Era una cavolata a dire il vero! >>
<< Dimmela comunque, questa cavolata. >>
<< Alla prima ora c’è Trigonometria e… >>
<< Non pensarci neanche, Isabella Swan! >> disse mia madre, scattando in piedi << Già la odi, quella materia, e questo ti impedisce di applicarti a dovere! Non otterrai un permesso per entrare l’ora dopo. Scordatelo, tesoro! >>
<< Beh, ehm… Ci ho provato! >> sussurrai, mordendomi il labbro inferiore.
<< Muoviti a cambiarti, tesoro, o la nonna si infurierà di nuovo. >>
<< E quando non si infuria? >> sussurrai, camminando verso l’armadio, per recuperare la mia solita divisa scolastica.
<< Ti ho sentito, Bella! >> urlò mia madre, direzionandosi verso le scale.
Ops!, pensai, ma subito dopo stavo già ridendo.

* * *

Il Martedì era il giorno più noioso e assolutamente meno producente di tutta la settimana.
Alla prima ora c’era il professor Snyder con la sua dannata Trigonometria – di cui capivo sì e no la metà della metà della lezione –, seguivano due ore di Educazione fisica – che detestavo con tutta me stessa, a causa della mia poca coordinazione cervello/arti –, spagnolo e inglese. Una pausa pranzo di quaranta minuti, dopodiché l’una lezione che aspettavo di buon grado: Letteratura.
<< Bella, sei strana oggi. >> sussurra Angela, seduta al mio fianco << Va tutto bene? >>
<< Certamente, perché me lo chiedi? >> risposi, senza smettere di prendere appunti.
Mi trovavo all’ultimo anno di liceo, ciò significava che dovevo mettermi sotto a seguire le lezioni. Dopodiché avrei conseguito il mio onorato diploma e me ne sarei andata via da questa città, ma – soprattutto – dalla pazzia della mia “famiglia”.
Adoravo mia madre e mio padre, volevo molto bene anche alla prozia Jenna, ma non avrei tollerato ancora a lungo mia cugina, insieme alla sua odiosa mamma e a nostra nonna – ribattezzata da me come Hitler in gonnella, alias Lady Lillian.
<< Bella, ma mi stai ascoltando? >> domandò ancora Angela, sbuffando.
<< Scusa, oggi sono un po’ distratta. >> risposi, passandomi una mano tra i capelli sciolti.
<< Me ne sono accorta… Anche a pranzo non hai mangiato nulla e, scusami se te lo dico, amica mia, hai un aspetto di merda. >> mi voltai di scatto, alzando un sopracciglio.
<< Oh, grazie, Angy! Ma ti prego, contieniti con tutti questi complimenti, potrei montarmi la testa! >> di tutta risposta, soffocò una risatina.
<< Dopo scuola vengo da te e mi racconti tutto ciò che affligge la tua anima! >>
<< Affligge la mia… cosa? >> chiesi, abbastanza confusa << Da quand’è che parli in questi termini? >>
<< Questa notte non riuscivo a dormire, così ho acceso la tv e ho guardato un documentario, molto interessante tra l’altro, sui problemi umani. Beh, Bella, non ci crederai! Ma i problemi della nostra società affliggono più la nostra anima che il nostro corpo! Roba da non crederci. >>
<< Già. >> risposi ancora più confusa << Roba da pazzi, direi. >>
<< Signorina Weber e signorina Swan! >> chiamò la professoressa Montrose << Vi sto forse annoiando? >>
<< No, Miss. >> rispondendo in coro io e Angela << Ci scusi. >> aggiunsi, volendo sprofondare nel banco.
<< Volete deliziarci delle vostre chiacchiere, ragazze? >> di tutta risposta, io e Angy, facemmo di no con la testa.
<< Stavano organizzando il loro pomeriggio, Miss Montrose. >> parlò Tanya, che sedeva dietro di noi, insieme all’inseparabile Jessica Stanley.
<< Grazie mille, signorina Denali, ma nessuno l’aveva chiamata in causa. >>
<< Ho semplicemente pensato di fare la cosa giusta, Miss. >> incalzò mia cugina, costringendomi a voltarmi per fulminarla. Lei, spavalda come sempre, mi sorrise gentile, ma dietro quel gesto si nascondeva la pura malvagità. Anche Lucifero – che credevo seriamente essere il suo vero padre – sarebbe scappato terrorizzato al suo cospetto.
<< Swan e Weber, >> ci chiamò la professoressa << vi tratterrete un’ora in più alla fine delle lezioni. >>
<< Come vuole, Miss. >> rispondemmo, e percepii un ghignò proveniente dalle mie spalle. Questa me la paghi, cugina!, pensai digrignando i denti.
<< Aprite il libro a pagina 467. >> disse la professoressa << Newton, leggi il sonetto ad alta voce e poi fammi una parafrasi corretta. >> aprii il volume di letteratura alla pagina indicata e sperai che quella giornata finisse in fretta. Molto in fretta.

<< Che palle! >> sbottò improvvisamente Angela << Non ce la faccio più! Avrebbe potuto darci anche una punizione un po’ più impegnativa! Che fine hanno fatto le fustigazioni corporali? >>
<< Ma sei forse impazzita, oggi? >> chiesi, alzando un sopracciglio e rimettendo sul tavolo della biblioteca il mio libro di Chimica << Davvero, tesoro, sono seria! Ti fa male non dormire la notte. >>
<< Siamo chiuse qui dentro perché quella stronza di tua cugina non sa farsi i fatti propri! >>
<< Dimmi qualcosa che non so… >> risposi distratta, mentre scrivevo qualche formula utile per il compito di domani.
<< Bella, smettila di fare la secchiona! E dimmi qual è il problema. >>
<< Credo di aver fatto un salto incontrollato, questa notte. >> sputai fuori, senza neanche alzare lo sguardo. Un tonfo mi fece sollevare il capo, ma di fronte a me non c’era più, la mia amica << Angela! >>
<< Sono qui! >> disse, con voce stridula << Per terra, Bella. Credo di essermi ribaltata per lo stupore. >> scattai in piedi, raggiungendola.
<< Oh, miseria! >> urlai e l’aiutai ad alzarsi << Ma stai bene? Hai battuto la testa, ti sei fatta male? >>
<< No, ma dico io… Come accidenti ti viene in mente di dire una cosa simile come se mi stessi enunciando la formula chimica dell’ossigeno!? >>
<< E come avrei dovuto dirtelo, scusa? >>
<< Che ne so, potevi prepararmi psicologicamente, prima! >> alzai gli occhi al cielo, rimettendola in piedi, e tornai al mio posto.
<< Non ne sono nemmeno sicura, Angy. >> mi affrettai a spiegare << Voglio dire, potrebbe anche essere stato solo un incubo. >>
<< Incubo? Bella, dannazione, ma sarebbe una figata assurda! >> strillò, fortuna che in biblioteca non c’era nessuno << Sai come roderebbe quella serpe di Tanya? >>
<< Angela, al momento non mi interessa nulla di Tanya, ok? Sai cosa significa entrare a far parte del cerchio dei dodici? >>
<< No, perché, tu sì? >>
<< No. >> risposi all’istante << Non del tutto almeno, ma so che non sarebbe una “figata” come dici tu. Inoltre, la mia vita cambierebbe radicalmente, più di quanto sia cambiata in questi anni… E sinceramente non mi va, capisci? Non voglio diventare un fenomeno da baraccone. >> sentii Angela sbuffare e il mio stomaco svuotarsi.
Mi appoggiai allo schienale della sedia, premendo una mano lì dove sentivo il fastidio. Era come se non mangiassi da mesi. Stavo davvero cominciando a stufarmi.
<< Bella, tutto ok? >>
<< Non molto, mi gira la testa e mi fa male lo stomaco. >>
<< E sei ancora convinta di aver solo “fatto un incubo”? >> domandò, facendo le virgolette con le dita. La fulminai all’istante, forse – e volevo sottolineare il “forse” – era solo un po’ di influenza. Qualche medicinale e sarebbe passato tutto.
La mezzora seguente, grazie al cielo, passò alla svelta. Angela, dopo il mio breve malessere, insistette per accompagnarmi a casa – anche se la sua era nel quartiere completamente opposto al mio.
Ci trovavamo sulla King’s Road, la strada che passava al centro del quartiere di Chelsea. Era qui che, negli anni Sessanta, la famosa Mary Quant inventò la minigonna; era sempre qui che, ancora oggi, risiedevano i più importanti colossi della moda, affiancati da piccoli negozi tipicamente inglesi, dove si potevano trovare capi di altissima qualità.
<< Oh, no! >> annaspai, sentendo nuovamente quella strana vertigine. Lo stomaco si contorse in modo atroce e la testa cominciò a girarmi come una trottola; tutto intorno a me si fece scuro e incolore e, esattamente come era comparsa, la vertigine scomparve nel nulla. Ed io, purtroppo, sparii con lei.
Evitai, a primo acchito, di aprire gli occhi. Se non li avessi aperti, forse, tutto questo sarebbe sparito nel giro di poco tempo. È tutto un sogno, Isabella, pensai, evidentemente sei svenuta. Sei crollata in mezzo alla strada e hai battuto la testa. Sicuramente è successo questo… Spiegherebbe anche perché non sento più dolore, sono svenuta.
Il suono di un vecchio clacson mi fece spaventare, costringendomi ad aprire gli occhi. Ero in mezzo alla strada e un’auto d’epoca per poco non mi venne addosso.
<< Le sembra modo di aggirarsi così in mezzo alla strada, signorina? >> urlò il guidatore.
<< Oh, merda! >> strillai, togliendomi dalla strada << No, non può essere. Sto sognando! Maledizione, maledizione! >> cercai di respirare e mi guardai un po’ intorno.
Tutto era molto antico. Mi trovano ancora sulla King’s Road, ma aveva un’aria più nuova e pulita, che a me sembrava, però, vecchio stile. I vestiti e le persone sembravano uscire da qualche film storico; mi vennero in mente libri come La caduta dei giganti, di Ken Follett, Quattro inglesi aristocratiche – Le vite inquiete delle sorelle Lennox, di Stella Tillyard, o il film di James Cameron, Titanic.
<< Tutti ambientati nel Novecento. >> parlai a voce alta, senza volerlo realmente fare. Sospirai pesantemente, ma all’improvviso venni catapultata da dove ero venuta.
Ad accogliermi, trovai un’eccitata Angela.
<< Oh. Mio. Dio! >> disse, guardandomi con occhi brillanti << Sei sparita, Bella! Sei sparita! Per… >> continuò, guardando l’orologio << …otto minuti e venti secondi! Eri qui e un attimo dopo, puff! Che gran… >>
<< Angela! >> la interruppi all’istante << Non ti azzardare a dire “che gran figata!”. >>
<< Bella, sei tu la dodicesima viaggiatrice. Ecco perché Tanya non ha ancora fatto il salto, non potrà mai farlo! >>
<< Se ci stessimo sbagliando? >>
<< Oh, andiamo! >> strillò, mettendosi le mani sui fianchi << Tu stai solo negando l’evidenza! Non vuoi accettare il tuo grande e meraviglioso nuovo futuro! >>
<< Meraviglioso? >> stavo cominciando a perdere la pazienza << Angela, ti ricordi quello che ti ho raccontato, vero? Sai quanto tempo ha passato mia cugina dietro… dietro a qualunque cosa! Essere a conoscenza di ogni minimo modo di fare, conoscere cinque lingue, sapersi muovere in ogni epoca, tutte quelle lezioni di storia per sapere con precisione tutto ciò che serve sapere! Le lezioni di danza, di equitazione! E la boxe e la scherma? >> conclusi, riprendendo fiato << Se tu avessi ragione, se questi salti fossero reali, allora sei nella merda fino al collo! >>
<< Bella, non sei inferiore a tua cugina. Potresti imparare tutte queste cose anche tu. >>
<< Lei ci ha messo diciasette anni per impararle, Angela! >>
<< D’accordo, d’accordo. >> rispose lei, tentando di calmarmi << Andiamo a casa tua e per il momento non diciamo niente a nessuno. Andiamo su Internet e vediamo dove sei capitata – sempre se sei davvero andata da qualche parte. >>
<< Io opto per la pazzia! Potrei dichiararmi malata mentale. >>
<< Isabella! >> urlò Angela, dandomi uno scappellotto dietro la nuca << Prima andiamo da te, facciamo qualche ricerca e poi decidiamo il dafarsi, chiaro? >> annuii decisa, pregando che non mi desse un altro scappellotto, e ci dirigemmo verso casa mia.

* * *

<< Eccola! >> urlai all’improvviso, facendo spaventare Angela.
Era da più di un’ora che stavamo cercando l’auto che avevo visto, dopo aver fatto il mio secondo salto incontrollato. Ci trovavamo in camera mia, adesso, e Renée ci aveva preparato qualcosa da sgranocchiare con due bicchieri di succo di ciliegia.
<< Il mio timpano ti sta ringraziando, Bella. >>
<< Scusa! >> dissi, baciandole una guancia << Allora, cosa dice? >>
<< Il nome Mercedes Simplex identifica una famiglia di autovetture di lusso prodotta dalla fine del 1901 al 1909 dalla Casa automobilistica tedesca Daimler per essere inserita nella gamma Mercedes. >> disse Angela, leggendo direttamente Wikipedia << Credo che sia un’automobile di importazione, quello che hai visto doveva essere senza ombra di dubbio un riccone! Fatto sta che, secondo quello che leggo, sei saltata agli inizi del secolo scorso. >> non parlai per qualche minuto. Possibile che fossi realmente io, quella a possedere il gene dei Viaggiatori?
<< Secondo me dovresti dirlo a tua madre. >> riprese Angela, finendo il suo succo << Voglio dire, Bella qui non stiamo giocando e tu hai bisogno di aiuto. Dei salti temporali sai poco e niente perché non te ne sei mai interessata molto. Ma rispondiamo ad alcune domande: un salto quando può, ma soprattutto, deve durare? Ci sono rischi che tu possa restare intrappolata in quell’epoca? E, ancora, quanto indietro puoi andare? >>
<< In che senso, scusa? >>
<< Mettiamo il caso che vai indietro di miliardi di anni, quando Londra non esisteva ancora. Cosa potresti fare? >>.
Non avevo ancora pensato a tutto questo. I quesiti di Angela erano sensati, dovevo assolutamente arrivare in fondo a questa questione.
<< Bella, mi stai ascoltando? >>
<< Sì, pensavo solo che hai ragione. >>
<< Come sempre. >> le diedi una spinta amichevole e scoppiammo a ridere << Quanto tempo è passato tra il primo e il secondo salto? >> domandò, una volta tornata seria.
<< Non lo so, credo poco più di dodici ore. >>
<< Quindi, almeno per il momento, dovresti stare tranquilla. >> parlò, grattandosi il mento con fare pensieroso << Dico bene? >>
<< Presumo di sì. >> risposi, anche se abbastanza incerta. Avrei dovuto fare delle domande, ma con chi potevo parlarne? I miei genitori erano esclusi. Tanya e sua madre, figuriamoci! Lady Lillian? Certo, se volevo farmi rinchiudere in un manicomio o diventare il giullare di casa, avevo la strada libera.
<< La prozia Jenna! >> strillai, all’improvviso << Posso chiedere a lei, senza darle molte spiegazioni. È una donna di larghe vedute, lo sai. Non chiederà, ma mi dirà quello che sa. >>
<< E quando avresti intenzione di parlarle? >> chiese Angela, che annuiva soddisfatta.
<< Dopo cena, quando tutti saranno andati nelle loro stanze. >>
<< Va bene. >> rispose Angy, afferrando la sua roba << Io ora vado a casa, Bella. Devo ripassare un po’ per il compito di domani, ma non appena hai parlato con tua zia fammi sapere! Intesi? Io cercherò qualcosa su Internet, non si sa mai che riesca a trovare qualcosa di interessante. >>
<< D’accordo, Angy. >> dissi, accompagnandola al piano di sotto << E grazie mille. >>
<< Lo faccio perché ti voglio bene. >> rispose, abbracciandomi << E poi sai come la penso, per me è una gran figata! >> concluse, scoppiando a ridere, e scomparve, uscendo dal maestoso cancello.
Stavo per chiudere la porta d’ingresso, quando un piede – fasciato da un paio di stivali molto costosi – si frappose tra me ed essa.
<< Non vorrai davvero lasciarmi fuori, Isabella. >> disse Tanya, stracolma di borse piene di vestiti << Anzi, renditi utile! >> e mi ritrovai tra le braccia tutte le sue compere.
<< Ma non dovevi essere alla Loggia con tua madre? >>
<< Sì, ma non è saltata nemmeno oggi. >> rispose zia Victoria, entrando in casa << Mr. Dwyer ha detto che potevamo andare, che evidentemente non era ancora pronta. >>
<< Ma… Mamma! >> la richiamò Tanya, rossa in viso.
<< Cosa c’è? Ho solo detto ciò che comunque avrebbe saputo da mia sorella. >> alzai gli occhi al cielo, portando le borse in salotto. Non sono di certo un facchino!, pensai. In camera sua, se le porta da sola!
<< Ben tornate a casa, mie care. >> esordì Lady Lillian, entrando nella stanza. Con le sue due preferite era sempre garbata e gentile, il Diavolo in lei taceva con loro. Con me, invece… << Isabella, cosa fai lì impalata? >> appunto.
<< Nulla nonna, stavo solo dando una mano a Tanya. Ora che ho finito tolgo le tende! >> dissi e salii in camera mia, mentre attendevo la cena.
Avrei posto molte domande alla prozia Jenna, sperando che lei mi avrebbe dato tutte le risposte che cercavo.
Per tenere la mente occupata, almeno per un po’, ripresi le formule di Chimica e mi misi a ripassare ancora per qualche ora.

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Eccoci qua con il nuovo capitolo! Bella ha compiuto un altro salto, questa volta sotto lo sguardo della sua carissima amica Angela, che cerca in ogni modo di farle capire che non è pazza e che deve accettare il suo nuovo destino. Lo so che vorrete uccidermi per come è finito :P anche io mi ucciderei se fossi in voi! Ma questa storia è davvero piena di concetti, che devono essere appresi poco per volta, altrimenti non ci capireste niente! Perciò, pian piano, tutto verrà capito e svelato... Nel prossimo capitolo Isabella farà una bella chiacchierata con la sua prozia Jenna, ma quando si deciderà ad informare tutti del fatto che è lei - e non Tanya - la dodicesima viaggiatrice?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso, perciò, sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 4
*** #3. ***


Buon pomeriggio a tutti, come state?
Io non sono di molte parole, perché sono davvero molto stanca! La giornata è già stata fin troppo lunga, per me XD
Prima di lasciarvi al capitolo, però, ci tenevo molto a dirvi una cosa: in questi giorni, se riesco a finire una cosa - nei momenti buchi della mia preparazione per la laurea - vorrei fare una piccola sorpresa a tutti voi, lettori di questa storia. Per chi mi segue anche su facebook o sul mio blog personale (Violet Moon), è possibile che vedrà la sorpresa a breve, tutti gli altri la vedranno Mercoledì prossimo! Siete curiosi di sapere cos'è? XD
Adesso vi lascio al capitolo! Buona lettura :)

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3.

« Sappiamo chi noi siamo,
ma non sappiamo cosa potremmo essere. »
William Shakespeare.

Erano da poco passate le dieci di sera e la rutine di casa Hale non deludeva le mie aspettative. Mamma e papà erano andati in camera loro, a guardarsi un po’ di televisione; zia Victoria era nello studio del nonno, insieme a Lady Lillian; Tanya era attaccata al telefono, con Jessica; per finire, la prozia Jenna, era nella sua stanza a sorseggiare una calda tisana, seduta davanti al camino.
<< Isabella. >> disse, senza nemmeno voltarsi << Sei lì impalata da dieci minuti, vuoi entrare o resti sulla soglia? >> stava fissando il fuoco scoppiettare.
<< Oh, sì. >> risposi, incerta. Mi affrettai a chiudere la porta e la raggiunsi. Mi accomodai sulla poltrona di pelle scura, alla sua sinistra.
Jenna Hale, sorella di Royce Hale – nonché marito di Lady Lillian – era una tipa tosta. Aveva passato la mezza età già da diverso tempo, ma non aveva mai perso la sua freschezza e vitalità. Gli sbarazzini capelli castani, mechati di biondo cenere, incorniciavano un grazioso viso a cuore – che ricordava il mio – ornato da due occhi castano/azzurri.
<< Cosa ti ha portata qui, tesoro? >>
<< Volevo chiederti ehm… delle cose. >> risposi, giocherellando con le mie dita.
Indossavo il pigiama pesante, quella sera tirava un vento piuttosto freddo.
<< Chiedi, nipote! >> rispose sprezzante la prozia << Chiedi e ti sarà dato. >> concluse, facendomi scappare un leggero sorriso.
<< Come funziona questa… questa storia dei viaggi nel tempo? >>
<< Isabella, sai che non ne posso parlare. Non hai altre cose da chiedere alla tua bellissima, quanto dolcissima, prozia Jenna? >> domandò, sbattendo le sue lunga ciglia.
<< Ehm no! >> risposi, vedendola sbuffare.
<< Da quando ti interessano questo genere di questioni? >> chiese, sorseggiando la sua tisana. Da quel poco che riuscivo a sentire, doveva essere un infuso al finocchio e… forse tiglio.
<< N… no, così. >> dissi balbettando. Cazzo, Bella! Sei un genio nell’arte del “non dare nell’occhio”!, mi dissi mentalmente.
<< Tutto bene, cara? >> domandò la prozia, poggiandomi una mano sul ginocchio tremante.
<< Sì, tutto bene. Vorrei solo saperne di più, ecco tutto. Insomma, in questa casa si parla sempre di questo dannato viaggio incontrollato di Tanya, ma io di questa storia so poco e niente! Sono della famiglia, no? Vorrei solo essere un po’ più… preparata. >> lo buttai lì, sperando di far vacillare un po’ la prozia. Lei, dal canto suo, mi stava fissando di sottecchi; mi studiava, cercando di capire cosa ci fosse di vero nelle mie parole. Quando la vidi fare un lungo sospiro, seppi di aver vinto.
<< Cosa vuoi sapere, di preciso? >>
<< Quanto tempo intercorre tra un salto e l’altro? E perché viene definito “incontrollato”? Si può controllare? E questo periodo di assestamento del gene, dura davvero un anno? E quanto indietro si può andare? Insomma, Londra quand’è stata costruita? E se il salto ti portasse a prima, cosa succederebbe? E i dinosauri? Voglio dire: mettiamo il caso che… >>
<< Isabella! >> mi interruppe la prozia Jenna << Una domanda alla volta, cortesemente! Mai pensato di laurearti in giornalismo, cara? Sono sicura che faresti moltissima strada. >>
<< Scusa. >> risposi, mordendomi il labbro inferiore. Non era mia intenzione assalirla, ma tutta questa storia mi stava portando sulla soglia di un esaurimento nervoso.
<< Partiamo dall’inizio, ok? >> domandò lei, sorseggiando un altro sorso di tisana << Ti dirò tutto quello che so, ma soprattutto tutto ciò che posso dirti, mi hai capita? >> annuii, pensando che quello fosse meglio di niente << Partiamo dal presupposto che il primo salto non supera mai i centocinquant’anni. Come puoi vedere, Tanya, ogni pomeriggio passa qualche ora a Temple, e quella residenza fu costruita nel 1741. Quando compirà il salto, infatti, potrà aggiungere il suo sangue al cronografo e, proprio grazie a quello, eviterà di saltare in qualsiasi momento della giornata, visto che potrà essere mandata in qualsiasi epoca passata! Ovviamente non siamo maghi, tesoro, ci sono limiti di tempo; non si può saltare troppo in là… Per adesso, comunque, non c’è una scadenza. Ma sta’ tranquilla, nessuno ha mai incontrato i dinosauri! >> concluse, strizzandomi l’occhio. Dal canto mio, però, ero più confusa di prima.
<< E quanto tempo passa tra il primo salto e quello dopo? >>
<< Nessuno lo sa con precisione. >> rispose la prozia, posando sul piccolo tavolino di legno massello la tazza ormai vuota << Ma se un gene-portatore dovesse compiere il primo salto, i seguente si conseguiranno a intervalli di tempo sempre minori. >>
<< E cosa sarebbe questo cronometro? >>
<< Cronografo, Bella. >> mi sorresse sogghignando << È un oggetto molto antico, con il quale i gene-portatori possono essere spediti in epoche precise. Ovviamente funziona solo con loro, io – tanto per farti un esempio – non potrei usarlo. >>
<< E cos’è questa storia del sangue? >> chiesi e per poco non mi venne la nausea. Sangue…, pensai, che cosa macabra!
<< Non ne so molto. >> rispose, facendo spallucce << I dodici viaggiatori devono inserire il loro sangue all’interno del cronografo, affinché esso li riconosca. Ma non finisce qui… >> sussurrò, avvicinandosi a me << Una volta che il sangue dei dodici viaggiatori verrà inserito all’interno dell’aggeggio, qualcosa di molto potente si rivelerà. >>
<< E cioè? >>
<< Questo non lo so! >> rispose, scoppiando a ridere. Cavolo!, pensai. Proprio quando la storia si stava facendo interessante! << Nella nostra famiglia il gene è associato alle donne, mentre nei Cullen agli uomini. >>
<< Nei chi? >> domandai, sentendo per la prima volta quel nome.
<< L’altra famiglia che ha il gene-portatore. >> rispose la prozia Jenna, storcendo il naso << Non hai mai sentito tua cugina parlare del suo affascinante compagno di avventura, nonché Edward Cullen? >> scossi il capo, in segno di negazione << Non ti perdi poi molto, cara. I Cullen sono tutti degli spocchiosi arroganti. >>
<< Buono a sapersi. >> dissi << Quindi Tanya si troverà a suo agio con questo… Ma, aspetta! Questo tipo ha già compiuto il salto? >>
<< Edward lo ha compiuto quasi due anni fa. È più grande di tua cugina. >>
<< E perché tutti voi siete sicuri che sia proprio Tanya, quella che ha gene? >>
<< Il gene viene tramandato per generazioni. Prima di Tanya lo possedeva una certa Elena Gilbert, nonché la nonna di tua nonna Lillian. Dopodiché passò a Rosalie. >>
<< Rosalie, mia cugina? La figlia dello zio Laurent? >> domandai e la prozia annuì << Che strano. Non lo sapevo, come mai non ne parla mai nessuno? >>
<< Perché la storia di tua cugina Rose è molto, molto triste. >>
Sapevo poco e niente di Rosalie, se non che fosse considerata la pecora nera della famiglia Hale. Come lo squinternato di suo padre, che si sposò all’età di diciotto anni, mia cugina scappò di casa che ne aveva diciassette, e da allora non se ne seppe più niente. Nessuno, però, aveva mai fatto riferimento al fatto che anche Rosalie fosse una gene-portatrice.
<< Un attimo! Ma se il gene si sviluppa all’età di diciassette, vuol dire che… >>
<< Già. Rosalie è scappata poco dopo aver fatto qualche salto. È tutta colpa di quel giovane! Non era fatto per lei. Quando tua nonna scoprì che sua nipote non era più nelle sue stanze, puoi benissimo immaginare come uscì di testa. >> annuii lentamente.
<< Per tutti i numi! Isabella, mi hai fatto parlare anche troppo, inoltre è tardi… Credo che sia il caso che tu vada a dormire, domani hai scuola. >> concluse, sorridendomi calorosa.
<< Sì. Ehm, grazie mille, zia Jenna. >> la salutai, dandole un bacio sulla guancia e mi apprestai a raggiungere la mia stanza.
Se un gene-portatore dovesse compiere il primo salto, i seguente si conseguiranno a intervalli di tempo sempre minori. Non riuscivo a togliermi questa maledetta frase dalla testa.
Avevo già compiuto due salti a distanza, tra loro, di dodici ore. Quando sarei saltata di nuovo, adesso? Sospirai rassegnata, aprendo la porta della mia camera e mi buttai sul letto. Dovevo prendere una decisione… La faccenda stava diventando troppo assurda e pericolosa, per me.
Mi sistemai meglio, infilandomi sotto il caldo piumone, e ci riflettei bene: prima avrei parlato con Angela, dopodiché lo avrei detto a mia madre.

* * *

<< Fammi capire! Quindi, se ti decidessi ad aprire quella cavolo di bocca che ti ritrovi, non avresti più problemi di salti incontrollati? >> domandò Angela, mentre aspettavamo che Mr. Saltzman raggiungesse l’aula di storia.
<< Potresti abbassare la voce, cortesemente? >> chiesi, abbassando la mia.
Tanya e Jessica, sedute dall’altra parte della classe, insieme a Mike e gli altri loro amici, ci guardavano come se volessero capire di cosa stessimo parlando. Se mia cugina avesse saputo che Angela – che lei detestava, tra le altre cose – era a conoscenza del segreto della nostra famiglia… Beh, avrei passato il momento peggiore di tutta la mia giovane vita.
<< Scusa, non volevo parlare a voce troppo alta. >> disse, tirando fuori dallo zaino un pacco di fogli << Ieri sera, comunque, ho cercato su Wikipedia qualcosa. >>
<< E…? Trovato nulla di interessante? >>
<< Non so. In base a quello che mi hai appena raccontato sembrano tutte stronzate! Ecco, leggi qua. >> rispose, indicandomi un foglio.
<< Il viaggio nel tempo è l'ipotetico spostamento tra diverse epoche temporali, verso il passato o il futuro. Per "visualizzarlo" si usa comunemente l'analogia dello spostamento su un filo, una linea che rappresenta il tempo nella sua totalità. >> lessi e mi interruppi quasi subito << Beh, sappiamo che i geni-portatori possono viaggiare solo a ritroso nel tempo. Il futuro non è concepito, da quello che so. >>
<< Esatto! Dopo dice: Alcune teorie scientifiche ammettono la possibilità del viaggio nel tempo, ma solamente attraverso condizioni estreme impossibili da realizzare con le tecnologie disponibili. La teoria della relatività ristretta prende in esame il fenomeno della dilatazione del tempo, registrabile soprattutto da osservatori che si spostino a velocità prossime a quella della luce, fenomeno verificato da numerosi esperimenti e che sembrerebbe lasciare la porta aperta all'ipotesi dello spostamento nel futuro. Tale spostamento, tuttavia, non ha probabilmente nulla in comune con l'idea dei viaggi nel tempo usata nella fantascienza. >>
<< Quindi la mia famiglia sarebbe fantascientifica? >> domandai abbastanza confusa.
<< Secondo Wikipedia sì! >> rispose Angela, scoppiando a ridere.
<< Buongiorno a tutti! >> salutò il professor Saltzman, entrando in classe << Come state oggi, ragazzi? >>
<< Molto bene, Mr. Saltzman. E lei? >> rispose Tanya, facendo la solita civetta.
Alaric Saltzman era un uomo sulla trentina, molto affascinante. I capelli castani erano corti, sempre molto curati, mentre gli occhi erano di un nero impenetrabile – si faceva perfino fatica a distinguere l’iride dal cristallino. Era alto, su per giù un metro e ottantacinque, e aveva un fisico atletico. Single, devoto al suo ruolo d’insegnante e, ciliegina sulla torta, membro della loggia – il che gli donava un’aria misteriosa e accattivante.
<< Mio Dio, vorrei essere una gene-portatrice solo per restare qualche ora a Temple con lui, da sola, in qualche sotterraneo sperduto. >> sussurrò Angela, costringendomi a voltarmi dalla sua parte.
<< Stai sbavando, Angy. >> dissi, alzando gli occhi al cielo.
<< Di cosa stavamo parlando, la scorsa volta? >> domandò Mr. Saltzman, rivolgendosi a noi.
<< Del grande incendio di Londra! >> risposero prontamente, in coro – come due pappagalli –, Jessica e Tanya.
<< Giusto. Grazie, ragazze! E cos’avevamo detto a riguardo? >> chiese, scegliendo la sua preda << Isabella, vuoi illuminarci tu? >>
<< Certo. >> risposi titubante, alzandomi in piedi << L’incendio si propagò nella City di Londra e ne distrusse la gran parte. L’incendio scoppiò a Pudding Lane, nella casa di Thomas Farrinor, un fornaio del re Carlo II… >>
<< In che anno? >> domandò Mr. Saltzman.
<< Ehm, era il… >> ci pensai su un attimo, sperando di non fare la mia solita figura di merda. Odiavo la storia, era più forte di me << Il 2 Settembre 1664 >>
<< 1666! >> mi corresse immediatamente mia cugina, meglio conosciuta come “La serpe”.
<< Vuoi proseguire tu, Tanya? >> le propose Mr. Saltzman, sorridendo. Io tornai a sedermi, mentre mia cugina si alzò in piedi.
<< L’incendio ebbe un forte impatto sulla società londinese. Si iniziò, poi, a pensare che tutto il disastro facesse parte di complotti cattolici o che, perfino!, esso fosse stato annunciato da innumerevoli profezie richiamate dalla satanicità della data dell’incidente. >>
Scollegai il cervello alla seconda frase. Sentivo parlare Tanya già abbastanza a casa, anche a scuola era davvero troppo.

La lezione stava andando per le lunghe, trasformandosi in un tête-à-tête tra professore e allieva. Stavo cominciando a snervarmi.
<< Bella, ti vuoi calmare? >> mi chiese Angela, improvvisamente << Sono dieci minuti che sembri un elefante, su quella sedia! Se non ce la fai più chiedi di andare in bagno. >> ci pensai su qualche minuti, poi decisi di accettare il consiglio della mia amica.
<< Mr. Saltzman? >> chiamai, interrompendo mia cugina. Queste sì che sono soddisfazioni!, pensai tra me e me.
<< Sì, Isabella? >>
<< Non mi sento molto bene, potrei assentarmi qualche minuto? >>
<< Certamente, hai bisogno di aiuto? >> propose lui, facendomi lanciando sguardi ai miei compagni << Vuoi che qualcuna venga con te, per precauzione? >>
<< Ah, ehm… >> mi voltai verso Angela, che aveva lo sguardo che urlava “Provaci a dire il mio nome e ti uccido! Devo restare qui a rifarmi gli occhi col professorino sexy, hai capito?” << No, grazie, Mr. Saltzman. Vado da sola! >> mi sorrise, annuendo, e uscii dall’aula.
Erano le due e mezza di pomeriggio, tra poco più di mezzora saremmo potuti tornarcene a casa. Ero ancora molto confusa, non avevo preso alcuna decisione riguardante il mio caso di gene-portatrice – sempre se non fossi impazzita, immaginandomi tutto quanto. Mi ricordai, però, di essere saltata davanti ad Angela, ciò significava che non ero pazza, ma peggio. Come sarebbe cambiata la mia vita, da ora in avanti? Come l’avrebbe presa mia madre o mio padre? E Lady Lillian, mi avrebbe considerata all’altezza? Avrei dovuto dimostrare di essere capace di fare questi salti e, dopo aver fatto tutto questo, avrei dovuto dare il mio sangue a degli sconosciuti? E di quanto sangue si parlava?
Una vertigine interruppe i miei pensieri, facendomi venire un gran mal di stomaco.
<< Oh, no. >> sussurrai, prima di sentirmi leggera e compiere l’ennesimo salto. Il terzo.
Chiusi gli occhi, questa volta, comprendoni il viso con le mani. Quando percepii nuovamente il pavimento sotto i piedi li riaprii. Avevo compiuto il salto nel corridoio della scuola, perciò… Perché mi ritrovavo in un castello?
Mi guardai intorno, cercando di capire dove mi trovassi, ed infine capii: la Saint Lennox High School non era sempre stata una scuola. Nel 1678, infatti, era il palazzo in cui abitava James – il fantasma che vedevo tutti i giorni, al liceo – e la sua famiglia. E rimase tale per diverso tempo. Capire che anno fosse, sarebbe stato impossibile.
I soffitti erano alti, i corridoio lunghi. C’erano molte vetrate, che facevano entrare il riflesso della luna. È notte…, pensai. Me n’ero accorta solo in quel momento. Sentii in lontananza una musica leggera, un valzer forse, provenire da qualche salone. La mia curiosità arrivò alle stelle e cominciai a correre, sperando di scoprire da dove venisse, con precisione. La mia corsa durò poco, perché alcune voci catturarono la mia attenzione.
Quando una porta, sul lato destro del corridoio, si aprì mi infilai prontamente in una stanza a caso. La sfortuna, però, non mi abbandonava mai.
<< Cosa stai facendo? >> domandò una voce maschile.
<< Io? Razza di idiota, siamo qui per una cosa importante! E tu stai corteggiando tutto il plotone di belle donne che c’è là dentro! >> rispose una voce femminile, che mi sembrava famigliare.
Ero nascosta dietro ad una grossa tenda, anche piuttosto spessa, ad origliare una conversazione che non mi riguardava. Ma c’era qualcosa che mi spingeva verso quei due individui.
<< Sei forse gelosa? >> domandò lui, con malizia nella voce.
<< Ma sei completamente impazzito? Se lasciassi a casa il tuo ego, ogni tanto, sarebbe meglio, non credi? >>
<< Oh, sì. Tu sei supergelosa. >>
<< E piantala… >> replicò la ragazza, sbuffando.
Mi affacciai un po’, per vederli. Lui era di spalle. Indossava una giacca blu scuro, da sera, elegante; i capelli erano castani, con strani riflessi che ricordavano il bronzo. Non riuscivo a vederlo in faccia, ma dal fisico sembrava promettere proprio bene. Quando guardai lei sfiorai, per poco, l’infarto. Aveva una parrucca bianca sul capo e un sontuoso abito azzurro pastello, con pizzi molto appariscenti. Il suo viso, però, era assolutamente riconoscibile. Lo vedevo tutti i giorni dappertutto: a casa, a scuola, per strada. Dovunque ci fosse una sorgente riflettente, quel viso era lì. Sono io quella!, strillai nella mia mente.
Ma com’era possibile? Stavo osservando una qualche me stessa del passato? La confusione mi fece quasi inciampare, provocando un fastidioso rumore.
Fu in quel momento che sprofondai nei suoi occhi scuri – che altri non erano che i miei occhi scuri. Mi fissò a lungo, con sguardo sconvolto.
<< Che succede? >> domandò il ragazzo, ma la me stessa gli bloccò il viso con le mani e posò le sue labbra su quelle di lui.
Non avevo mai baciato nessuno in tutta la mia vita, e vedermi avvinghiata a qualcuno mi procurò una strana sensazione. Le braccia del ragazzo, da prima rigide, si rilassarono e cinsero la vita di quella giovane.
Il tutto si dissolse davanti ai miei occhi, in un batter d’occhio. Mi ritrovai nell’aula di inglese che, per fortuna, era vuota. Ero disorientata e mi sentivo completamente sottosopra. Com’era possibile quello che avevo appena visto?
Il suono della campanella mi risvegliò dai pensieri. Cazzo!, pensai. Com’era possibile? Ero stata via per mezzora? Come avrei potuto spiegarlo a Mr. Saltzman? Presi un respiro profondo e corsi nell’aula di storia.
<< Isabella! >> mi chiamò Mr. Saltzman, venendomi incontro << Ma dov’era finita? Ho mandato la sua amica Angela a cercarla e mi ha detto che era uscita in giardino a prendere un po’ d’aria, che sarebbe tornata a momenti, ma è passata l’intera ora. >>
<< Mi scusi! >> dissi completamente senza fiato << Ho perso la cognizione del tempo e sì ero… ero fuori, mi sentivo mancare. >>
<< Adesso sta’ meglio? >> domandò ed io annuii energicamente << D’accordo, allora ci vediamo domani, Isabella. >> mi sorrise e si diresse all’uscita.
Entrai in classe, per recuperare la mia roba, e sprofondai al mio posto. C’era un silenzio rilassante, in quel momento.
<< Bella! >> urlò qualcuno, facendomi saltare in aria.
<< Angela, sei forse impazzita? >>

<< Scusa, ma mi stavo preoccupando. Cos’è successo? Hai fatto un altro salto, vero? >> annuii sconsolata, risprofondando nel banco << Bene, allora raccontami tutto! Voglio sapere ogni dettaglio più insignificante. >> disse, accomodandosi di fianco a me. Cercai la bottiglietta d’acqua che tenevo sempre nella borsa e, dopo aver fatto diversi sorsi, le raccontai tutto.

.

Questo capitolo spiega un po' di cosucce, soprattutto sui viaggi nel tempo. Saltano fuori anche nuovi personaggi - anche se solo per nome -, queli: Rosalie Hale, la cugina, pecora nera, della famiglia; e i Cullen, soprattutto Edward Cullen, nonché altro viaggiatore del tempo da ormai due anni.
Bella, inoltre, compie un altro salto incontrollato! E vede se stessa ed un ragazzo... Come si può spiegare?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Vi lascio di seguito il mio blog, un bacione a tutti!
Eccolo qui: 
Violet Moon (Blog).

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Capitolo 5
*** #4. ***


Buon pomeriggio a tutti, come state?
Purtroppo oggi non sto troppo bene, per varie ragioni - sia fisiche che emotive -, perciò evito di dilungarmi troppo nel parlare e vi lascio al capitolo tanto atteso.
Ci tengo moltissimo a dirvi quanto vi adoro, davvero! Questa storia è stata accolta benissimo e il merito è tutto vostro :) proprio per questo motivo, ecco a voi la SORPRESA di cui ho parlato nel precedente capitolo. Spero vi piaccia!



Come già scritto nel mio blog, il video è stato realizzato con il programma Sony Vegas Pro 10 e rappresenta un po’ la storia di Edelstein – L’amore attraverso i secoli.
Nel video, infatti, ho voluto far trasparire quello che, nel corso della storia, si potrà leggere: l’iniziale confusione di Bella, per la sua nuova vita; il rapporto conflittuale con il suo partner di viaggi nel tempo – che nella storia ancora non è apparso, ma presto farà la sua comparsa portando moltissime sorprese.
Come già ho detto, credo almeno un milione di volte, questa storia è una riadattazione della trilogia delle gemme di Kerstin Gier, e sto lavorando parecchio per dare ad essa una sfumatura personale.
Spero che il video sia stato di vostro gradimento :) fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
E adesso... BUONA LETTURA!

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4.

« Noi non scegliamo affatto.
Il nostro destino sceglie.
Ed è saggezza mostrarci degni della sua scelta, qualunque essa sia. »
Romain Rolland, Il viaggio interiore, 1942.


Erano le cinque di pomeriggio e mi trovavo a casa Weber. Angela aveva fortemente insistito perché andassi da lei, per tenermi sotto controllo e farmi entrare un po’ di sale in zucca.
La casa di Angela – un’accogliente villetta a schiera, bianca e marrone – era situata nel quartiere di Tower Hamlets. Esso si trovava nella parte Est della città e faceva parte della Londra interna.
<< Non riesco a credere che non hai ancora informato tua madre! >> disse Angy, addentando un plum cake al cioccolato.
<< Sta lavorando. >> risposi, mettendo via il mio succo di frutta all’arancia. Non avevo per niente fame. Inoltre, l’ultimo salto nel tempo, mi aveva lasciato addosso una strana sensazione. Chi era quel ragazzo? E perché lo stavo baciando?
<< La tua è solo una scusa, e lo sai! >> urlò Angela, attirando tutta la mia attenzione << Ora basta, Bella. Prendi il telefono e chiama tua madre, adesso! >>
<< Ma… >> non terminai la frase, ritrovandomi due occhi nocciola a fissarmi come se volessero incenerirmi. Sbuffai, ed estrassi il mio fidato iPhone nero – un regalo di compleanno pensato dai miei genitori, sotto suggerimento di Lady Lillian.
Il suono del telefono aumentava i battiti nel mio cuore. Ero in ansia, e se mamma non avesse risposto da lì a pochi minuti avrei messo sicuramente giù.
<< Pronto, Bella? >> domandò Renée, leggendo il mio nume sul display.
<< Ehm sì, ciao mamma. Ti disturbo? >>
<< Sto lavorando, ma è un momento morto. Tutto bene? Volevi dirmi qualcosa? >>
<< Sì, vorrei parlarti di una cosa, ma… beh, sei impegnata! Magari rimandiamo… >>
<< Non ci provare, Isabella Marie Swan! >> strillò Angela, richiamando l’attenzione anche di mia madre. La fulminai con lo sguardo, ma lei sghignazzò.
<< Bella, cosa sta succedendo? Dove sei? >> domandò Renée, cominciando ad agitarsi.
<< Sono da Angela, mamma. >> risposi e presi un lungo respiro prima di far esplodere la bomba << Mamma, credo di aver fatto un salto nel tempo! Anzi, se sono sicura, purtroppo. È successo tre volte! Sono come Tanya? Come è possibile? >> silenzio.
Passarono diversi minuti, ma mia madre non rispose subito. Sospirai rassegnata. Ecco, non mi ha creduta! Lo sapevo!, pensai.
<< Ma cosa sta dicendo? >> chiese Angela, a voce bassa.
<< Niente, l’ho seccata. >> risposi, cercando di non scoppiare a piangere << Te lo avevo detto che non mi avrebbe creduta! >>
<< Bella, dove sei? >> chiese mia madre, nuovamente. Finalmente parlava!
<< Certo che anche tu però, eh! >> disse la mia migliore amica, alzandosi dal letto << Se dovessi mai dare una notizia tragica non farlo, chiama me! >>
<< Sono da Angela. >> risposi, ignorando il suo monologo.
<< Non ti muovere da lì, chiamo tuo padre e arriviamo. >>
<< Sai come… >> tentai, ma mi bloccò all’istante.
<< Sì, so come arrivare a casa Weber. Fatti trovare fuori tra venti minuti! >> disse e riagganciò.
Restai per diversi minuti a fissare il mio cellulare di ultima generazione, senza guardarlo davvero. Mia madre non mi credeva, si capiva benissimo. Mi avrebbe sicuramente accompagnata al manicomio più vicino. Miseria, ero spacciata!
<< Angy, tu mi verrai a trovare, vero? >> mugugnai sconsolata.
<< Dove, scusa? >>
<< Al manicomio. >>
<< Ma per favore, Bella! Adesso alza il culo e va’ fuori ad aspettare i tuoi genitori! Vuoi che ti faccia compagnia? >> scossi la testa in senso negativo, lei aveva altro da fare.
<< No, stai qui e cerca tutto quello di cui abbiamo parlato. >> dissi, afferrando la mia borsa e la giacca scura.
<< Certo, capo! Cronografo, famiglia Cullen – soprattutto, Edward Cullen. >> concluse, facendomi l’occhiolino. Alzai gli occhi al cielo, attorcigliandomi la piccola sciarpa lilla al collo.
<< Non deve essere un tipo molto interessante se si trova bene con Tanya. >> dissi, prima di uscire dalla stanza e dirigermi verso la porta.
<< Stasera chiamami, hai capito? >> domandò Angela, mettendo la testa fuori dalla soglia << Voglio tutti i dettagli! >> mi mandò un bacio e tornò nel suo studio – o almeno, come chiamava lei la sua stanza.

La macchina di mio padre arrivò subito. Frenò come un pazzo davanti al cancello bianco di villa Weber, facendo stridere i freni. Balzai indietro per lo spavento e sgranai gli occhi per la sorpresa. Da quando mio padre guidava in quel modo?
<< Bella! Salta su, veloce! >> disse Charlie, aprendo la portiera del passeggero.
Quando salii sull’auto, mi accorsi che mia madre era seduta sul sedile posteriore.
<< Bella, piccola mia, stai bene? >> chiese Renée, accarezzandomi il viso e baciandomi i capelli.
<< Sì, mamma, ma vorrei capirci qualcosa! È possibile? Sto diventando pazza? Mi credete pazza? >>
<< Cosa? >> domandò mio padre, lanciandomi un veloce sguardo << Bambina mia, ma come fai a dire una cosa del genere? >>
<< Non lo so! È tutto così assurdo. >> risposi, incrociando le braccia, e sprofondai nel sedile di pelle nera.
<< Quante volte sei saltata? >> domandò mia madre, sbucando alla mia sinistra.
<< Tre volte. >>
<< A che intervalli? >> chiese mio padre. Da quando sono così interessati ai salti temporali?
<< Non lo so con precisione. >> risposi, sospirando << La prima volta è stata Lunedì notte, ero scesa in cucina a prendere qualcosa da bere. Sono uscita in giardino e sono saltata! Il secondo riguarda il giorno dopo, cioè ieri, mentre stavo tornando a casa da scuola. L’ultimo risale a qualche ora fa, alla Saint Lennox. >>
<< Gli intervalli si stanno accorciando. >> disse papà, trovando l’assenso di mamma.
<< Lo penso anche io. >>
<< Cosa ti hanno detto alla loggia? >>
<< Niente, ho parlato con un’incompetente che non ha voluto passarmi Carlisle per niente al mondo. >>
<< Chi è Carlisle? >> domandai, ma nessuno rispose alla mia domanda.
<< Dovranno farci entrare comunque. >> disse Charlie, con un tono che mi fece venire i brividi << Il rubino lo abbiamo noi. >>
<< Qualcuno può spiegarmi?! >> strillai, andando verso una crisi di nervi << Chi sarebbe il rubino, e cosa significa? E perché sembra che ne sappiate molto più di me? E dove stiamo andando? Chi è questo Carlisle? >>
<< Tesoro, calmati. >> mi sussurrò Renée, baciandomi una guancia << Il signor Cullen è il Gran Maestro della loggia. >>
<< Stiamo andando a Temple? >> domandai, percependo un misto di nervosismo e paura. Cosa sarebbe successo da ora in avanti? La mia vita, quanto sarebbe cambiata?
<< Sì. >> rispose Renée << Dovrebbero esserci ancora Victoria e Tanya. >>
<< A tua sorella e a tua madre prenderà un infarto! >> disse Charlie, scoppiando a ridere.
<< Papà! >> lo ammonii. Sua figlia stava per avere una crisi di nervi e lui faceva ironia?
<< Scusa, Bells! Ma è vero, pensaci. Hanno sempre pensato che fosse Tanya la prescelta, l’hanno educata e cresciuta in questo modo… Lady Lillian, poi, ha sempre osteggiato il suo amore incondizionato per la sua secondo genita e sua figlia! E adesso? >> domandò, scoppiando nuovamente a ridere.
<< Non è carino da parte tua, Charlie. >> disse mia madre, trattenendo la sua ilarità. Ero circondata da pazzi, assurdo!
<< La state prendendo fin troppo bene. >> dissi, improvvisamente << Nemmeno foste al corrente che questa assurdità potesse accadere! >> li vidi scambiarsi un’occhiata e mi venne una terribile intuizione << Non ditemi che lo sapevate! >>
<< Bella, tesoro… >> tentò mia madre, la fermai.
<< Tesoro un corno! >> urlai << Lo sapevate e non mi avete mai detto niente! Perché? >>
<< Perché volevamo darti un’infanzia serena e tranquilla, senza pericoli. >>
<< Beh, sì certo, l’infanzia è stata splendida! Ma adesso? Quando Lady Lillian ci chiese, anzi ordinò, di trasferirci qui potevate dirmelo! Adesso cosa dovrei fare? Passare il resto della mia vita a saltellare allegramente nel tempo? >> nessuno rispose. Afferrai gli auricolari del mio iPhone e li premetti nelle orecchie, lasciando che un po’ di musica mi tranquillizzasse prima dell’arrivo a Temple.
Temple era un’area ubicata tra Fleet Street e il Tamigi, nella City. Zona preferita dai turisti che, quasi ogni giorni, si ammassavano davanti all’enorme Temple Church – la Chiesa del Tempio. Papà la superò, oltrepassando anche Inner Temple e Middle Temple, svoltò a sinistra e si fermò davanti ad una gigantesca casa, fatta interamente di mattoni.
Era un’abitazione sontuosa e molto antica, lo stile – da quel poco che ne capivo – doveva essere gotico o vittoriano.
Mamma scese dalla macchina e citofonò. Un istante dopo il grande cancello nero si aprì, permettendoci di entrare e parcheggiare.
<< Andiamo. >> sussurrò papà, scendendo. Lo imitai, ma sentii un brivido percorrermi la schiena.
<< Cosa stiamo facendo qui? >> chiesi a mia madre, ma non mi rispose.
Entrammo tutti e tre, e ci trovammo davanti un maestoso corridoio. Sembrava l’entrata di un museo.
<< Stiamo cercando il signor Cullen, abbiamo molta urgenza di parlare di lui. >> disse mia madre, rivolgendosi ad una donna molto bella. Era alta, capelli di uno strano colore castano-bronzeo e gli occhi di un accecante verde smeraldo.
<< Mio marito al momento non può ricevere, è in riunione. >> rispose la donna << Ma se vuole, può lasciare un messaggio. Cosa dovrei dirgli? >>
<< Che abbiamo portato il rubino. >> rispose secca mia madre, facendo sgranare gli occhi della donna << Rosso rubino, per la precisione. >>
<< Come, scusi? >> domandò la donna << Non vorrei essere indiscreta, ma… Sei Renée, vero? >>
<< Sì, Esme. Sono proprio io. >> rispose mia madre, sorridendo appena << Allora, potremmo parlare con Carlisle e con mia madre? >>
<< Aspettate qui, vedo cosa posso fare. >> rispose Esme, e si avviò a destra del lungo corridoio.
<< Perché continuate a ripete rubino, rosso rubino? Cosa significa? >> domandai esasperate.
<< Ogni viaggiatore del tempo ha una pietra di riferimento. >> rispose mio padre << Tu sei la dodicesima viaggiatrice, perciò sei il rubino. >>
<< Rosso rubino… >> sussurrai, annuendo lentamente << Ok, ho afferrato! >>
<< Rosso rubino, che ha la magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore… >> recitò mia madre, facendomi venire la pelle d’oca.
<< E questa cosa sarebbe? >> domandai, con voce roca.
<< Una vecchia filastrocca. >> rispose lei, sorridendomi << Non credevo di ricordarla ancora. >>
<< Se io sono il rubino, Tanya che pietra è? >>
<< Nessuna, tesoro. >> rispose mio padre << I viaggiatori sono dodici, e ne manca solo uno all’appello: tu. >> Che fortuna…, pensai.
<< Ma perché proprio dodici? Sicuri che non siano tredici o, che ne so, undici? >>
<< Dodici cifre, dodici viaggiatori nel tempo, dodici pietre preziose, dodici tonalità musicali, dodici ascendenti, dodici passi per trovare la pietra filosofale… >>
<< Va bene, va bene, ho capito! >> dissi, sbuffando << Un momento! Pietra filosofale? State scherzando? >> domandai, ma entrambi fecero “no” con il capo.
<< Mi è stato detto che la più giovane delle sorelle Hale mi ha portato il rubino. >> disse un uomo, seguito da Esme.
Era anziano, ma non troppo, su per giù sui sessanta, sessantacinque anni. I capelli erano grigi, corti, e due simpatici occhi azzurro-grigi facevano bella mostra su un viso paffuto, incorniciato da una leggera barba.
<< Salve, Mr. Dwyer. >>
<< Salve a lei, giovane Hale. >> rispose il signor Dwyer.
<< Mi chiamo Renée, la prego. Sono sposata, adesso, non uso più il cognome da nubile. >>
<< Mi perdoni! >> rispose Mr. Dwyer << Sarà l’età… E così, questa è sua figlia. >>
<< Sì, questa è Isabella. >> rispose mia madre, dandomi un colpetto sulla schiena << Isabella, questo e Phil Dwyer e fa parte della loggia. >>
<< Oh, ehm… Piacere di conoscerla, signore. >>
<< Tu! >> urlò zia Victoria, raggiungendoci come una pazza << Cosa ti è saltato in mente, Renée? Adesso tua figlia sarebbe il rubino! Ti piacerebbe! >>
<< Mi piacerebbe? >> domandò mia madre, alzando un sopracciglio.
<< Oh, oh! >> sentii dire a mio padre.
<< Victoria, tu non hai capito niente della mia vita! Ma cosa dico? Tu non capisci mai niente delle vite altrui, perché sei troppo egoista per pensare a qualcuno o qualcosa che non riguardi te stessa! >> urlò mia madre, facendo sghignazzare mio padre << Quindi se non sai cosa dire fai un favore alla comunità: chiudi la bocca! >>
<< Ma come osi! >>
<< Su, su, ragazze. >> le ammonì Mr. Dwyer << Risolveremo la faccenda al più presto, non vedo perché fare tutte queste scene. >>
<< Pensi che ha casa è anche peggio… >> disse Charlie, facendo scoppiare Mr. Dwyer in una fragorosa risata. Mia madre si voltò e pestò il piede a suo marito, il quale cominciò a saltellare per il dolore.
<< Allora, Isabella… >> disse Mr. Dwyer, rivolgendosi a me << I tuoi genitori credono che tu sia il rubino. Hai fatto qualche salto nel tempo, di recente? >>
<< Ne ho fatti tre. >> risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore.
<< Parlamene un po’, cosa ne dici? >> domandò l’uomo, sorridendomi. Presi un gran respiro e annuii, raccontando per l’ennesima volta quello che mi era successo.
<< Direi che è incredibile. >> disse Mr. Dwyer, quando finii di parlare << Questo spiegherebbe perché la nostra Tanya non ha compiuto nemmeno un misero salto. >>
<< Mr. Dwyer! >> lo chiamò zia Victoria, accigliata per la situazione << Non le crederà, spero! È Tanya il rubino, non questa insulsa ragazzina che mi trovo come nipote! >> Insulsa ragazzina?, mi domandai sconvolta. Ma come si permetteva? << Non è nemmeno nata il 13 Settembre! Non ci sono i calcoli matematici per pensare realmente che… >>
<< Isabella è nata il 13 Settembre. >> disse mia madre, improvvisamente << È nata di sette mesi, lo sapete tutti. Ma non è nata realmente il 14 Settembre, come vi ho fatto sempre credere. >>
<< Io e Renée sapevamo della “profezia”… >> continuò mio padre, facendo le virgolette con le dita << E avevamo paura che anche nostra figlia sarebbe stata costretta ad intraprendere la vita di Tanya. Non volevamo rovinarle l’infanzia, ecco. Così abbiamo deciso di insabbiare tutto, sperando che fosse realmente Tanya la gene-portatrice. >>
<< Vi rendete conto di quello che avete fatto? >> domandò Mr. Dwyer, passandosi una mano tra i capelli, disperato.
<< Sei una bugiarda! >> urlò zia Victoria contro mia madre.
<< Oh, ma piantala! Tu sei una vipera. >>
<< Ora basta! >> urlò Mr. Dwyer << Seguitemi, andiamo nella Stanza del Drago. >>
Ci incamminammo per il lungo corridoio e poi svoltammo a sinistra, esattamente come aveva fatto la signora Cullen, poco prima.
L’interno era un misto perfetto di modernità e antichità, ornato in oro pregiato. I grandi lampadari in cristallo, al centro degli enormi soffitti; i quadri appesi alla pareti; la tappezzeria e i grandi archi, donavano al posto un’aria arcaica.
Dopo pochi minuti ci fermammo davanti ad una grande porta in legno massello, totalmente intagliata da pregiati decori. Mr. Dwyer l’aprì, mostrando un’enorme sala.
Al centro di essa vi era un grande tavolo, di legno scuro, posto su un vistoso tappeto persiano; alle pareti diversi dipinti e, tutt’intorno alla stanza, svariati divanetti e poltrone.
<< Renée, Charlie… Isabella? Cosa ci fate qui? >> domandò Lady Lillian, venendo nella nostra direzione.
<< Tua figlia è impazzita, mamma! >> urlò zia Victoria, raggiungendo Tanya che, completamente a suo agio, era educatamente seduta sul divano più piccolo a leggere un libro.
<< Cosa sta dicendo tua sorella, Renée? >>
<< La giovane Renée, Lady Lillian, sostiene che sua figlia sia il rubino. >> rispose Mr. Dwyer.
<< Cosa? Ma è una pazzia! >> urlò un uomo in fondo alla stanza.
Non sembrava inglese. Aveva un viso orientale, ricordava un po’ gli indiani di Las Push. Aveva i capelli neri, cortissimi, intonati ai suoi occhi scuri. Fisicamente era ben piazzato, come se avesse fatto per anni la box. Dietro di lui si nascondeva un adorabile bambino. Non doveva avere poco più di sei anni. Era identico all’uomo, eccezion fatta per i denti bianchissimi messi in evidenza dal un caloroso sorriso.
<< Cerchiamo di non agitarci, che ne dite? >> domandò un altro uomo.
Era più giovane del primo e senza dubbio più affascinante. Per certi aspetti ricordava Mr. Saltzman. I capelli neri corti, incorniciavano un viso perfetto. Gli occhi erano azzurri e possedeva un fisico degno del miglior nuotare.
<< Carlisle! >> strillò mio padre, precipitandosi verso di lui.
<< Charlie! Da quanto tempo, come stai? >> domandò Carlisle, abbracciandolo.
<< Potrebbe andare meglio. >> rispose mio padre, staccandosi lentamente << Ti ricordi Renée? Adesso è mia moglie… >>
<< Una bella donna non si dimentica mai. >> disse Carlisle, facendole in baciamano << Piacere di rivederla, signora Swan. >>
<< Piacere mio, signor Cullen. >>
Cullen. Ecco perché quel nome non mi era nuovo! La prozia Jenna mi aveva parlato della loro famiglia. Edward Cullen era l’altro gene-portatore, quello che saltellava nel tempo già da due anni. Che il signore e la signora Cullen fossero i suoi genitori?
<< Tu devi essere Isabella, dico bene? >> domandò il signor Cullen, porgendomi la mano.
<< Sì, piacere di conoscerla. >> arrossii leggermente. Quell’uomo era davvero affascinante.
<< Hai finito con tutti i convenevoli, Carlisle? >> domandò l’uomo-indiano.
<< Quanto sei burbero, Billy. >>
<< Gradirei ascoltare questa fantomatica storia e sapere perché, questa donna, afferma che sua figlia – che noi non abbiamo mai visto, vorrei sottolineare – sia il rubino. >>
<< Non farci troppo caso, Isabella. >> mi sussurrò all’orecchio Mr. Dwyer << Il dottor Black non è così cattivo come sembra. >> stentavo a crederlo.
Nella Stanza del Drago scoppiò il finimondo. Mamma urlava contro zia Victoria, la quale ricambiava gli insulti a gran voce. Lady Lillian cercava di mantenere la calma, si vedeva benissimo quanto fosse furente. Il dottor Black scherniva sia mia madre che mio padre, i quali continuavano a spiegare educatamente e lui e al signor Cullen la storia sulla mia nascita. Io, dal canto mio, non riuscivo quasi a respirare. Perché era successo a me? Cosa avevo fatto di male? Non riuscivo a credere che i miei genitori avessero mentito sulla mia data di nascita. Potevo capirlo, certo, ma ero loro figlia! Potevano dirmi la verità.
<< Come può credere che potremmo mai prendere in considerazione anche una sola singola parola di quello che sta dicendo! >> urlò il dottor Black, facendo spaventare il bambino, che gli stava sempre dietro << Ci ricordiamo tutti come ha mentito per proteggere quella pazza di sua nipote Rosalie e quello screanzato di Emmett! >>
<< Billy! >> lo ammonì il signor Cullen.
<< Emmett? >> domandai più a me stessa che a Mr. Dwyer << Chi sarebbe questo Emmett? >>
<< Emmett Cullen, il fratello maggiore di Carlisle Cullen. >> rispose lui, però.
<< Billy cosa, eh? >> domandò il dottor Black, rivolgendosi a Carlisle Cullen << Tutti sanno quello che è successo! Rosalie Hale ed Emmett Cullen tentarono di fare un salto da soli, senza alcuna supervisione! E la qui presente Renée li aiutò, combinando un macello! >>
<< Erano innamorati! >> obiettò mia madre << Ho fatto solo quello che credevo fosse giusto! Erano così giovani… >>
<< E cosa abbiamo ottenuto tutti, signora Swan?! >> strillò ancora il dottor Black << Un cronografo rubato e due presunti morti! >>
<< Morti?! >> urlai, indietreggiando spaventata.
<< Sta’ calma, piccina. >> mi tranquillizzò Mr. Dwyer, porgendomi una sedia << Adesso possiamo calmarci tutti, per piacere? >>
Nella stanza calò un silenzio innaturale, ed io cercai di riordinare le idee.
Mia cugina, Rosalie Hale, aveva una relazione con il suo compagno di viaggi nel tempo, Emmett Cullen, che altri non era il fratello minore di Carlisle. Ma non era tutto… Tutte queste persone sostenevano che entrambi fossero morti, e che il cronografo fosse andato perduto. Una lieve fitta mi colpì al cuore. Non conoscevo mia cugina, né tanto meno questo Emmett, ma pensarli morti era… era tremendo.
Cazzo!, mi ritrovai a pensare. E adesso come facciamo? Se il cronografo era l’unico aggeggio in grado di tenere i nostri piedi saldi a terra, cosa avremmo fatto, adesso? Cosa avrei fatto io, adesso?
<< Le chiacchiere stanno a zero. >> intervenne Mr. Dwyer << Credo che dovremmo solo aspettare che la giovane Isabella faccia l’ennesimo salto, così da costatare se Mrs. Swan stia dicendo la verità. >>
<< Concordo con Mr. Dwyer. >> disse il signor Cullen, appoggiandosi al tavolo << Potremmo accompagnarla nella stanza degli archivi. >> propose, cercando il consenso di tutti gli altri membri.
<< Secondo me è un’ottima idea. >> lo spalleggiò Mr. Dwyer.
<< È una perdita di tempo! >> disse zia Victoria, facendo roteare gli occhi ai miei genitori.
<< Fosse per me non l’avrei nemmeno fatta entrate. >> borbottò il dottor Black.
<< Santo cielo, Billy! >> disse esasperato, Carlisle << Non ha microspie o una bomba ad orologeria sotto la divisa scolastica! Datti una calmata, ok? >>
<< Vieni pure, Isabella. >> disse Mr. Dwyer, porgendomi la mano.

Prima di afferrarla guardai mia madre e mio padre, i quali fecero un silenzioso cenno di assenso col capo. Afferrai la grande mano di quell’uomo e mi apprestai ad andare incontro al mio destino.

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* Le frasi scritte in corsivo sono prese dal primo libro della saga originale, ossia da Red.
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Finalmente Bella ha trovato il coraggio di dire ai suoi genitori che è una gene-portatrice, ma... Charlie e Renée erano già a conoscenza di tutto! Come spiegano nel capitolo, lei e Tanya, sono nate lo stesso giorno, ma non volendo che la figlia vivesse le stesse esperienze poco infantili della cugina, hanno preferito insabbiare ogni cosa. Come si può biasimarli? Hanno agito da genitori protettivi. E' anche vero, però, che così facendo hanno complicato, adesso, la vita di loro figlia.
Finalmente si svela anche, se non propriamente nei minimi dettagli, la storia della cugina Rosalie e del suo partner di viaggi nel tempo - nonché compagno di vita - Emmett Cullen, nonché fratello di Carlisle. Le carte adesso sono sul tavolo; cosa succederà ora?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti!

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Capitolo 6
*** #5. ***


Buon pomeriggio! Sono da poco tornata dal lavoro e, come promesso ad una mia carissima lettrice, eccomi qui a pubblicare. Non mi dilungo moltissimo perché devo ancora pranzare XD
Ci tenevo, comunque, a ribadire quanto ti adori! Ho raggiunto più di SESSANTA RECENSIONI con soli cinque capitoli! Siete lettori fantastici, grazie mille a tutti!
Adesso la smetto di parlare, anche perché il mio stomaco brontola :P posto e vado a pappare! Perciò... Buona lettura!

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5.

« Opale e ambra, la prima coppia, s'avanza,
canta agata, che del lupo ha sembianza,
con acquamarina in si bemolle - solutio!
Seguono smeraldo e citrino - coagulatio! - le due corniole gemelle in scorpione,
e giada, numero otto, digestione.
In mi maggiore: tormalina nera, zaffiro in fa, rischiara la sera.
E subito appresso ecco diamante, undici e sette, leone rampante. Projectio!
Scorre il tempo così lento, rubino è principio e fine del movimento. »
Intermezzo quattro, Red. Kerstin Gier.

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Ci muovevamo per la loggia in silenzio, girando per svariati corridoio. Alle pareti vi erano ritratti di ogni tipo ed epoca, divisi da antichi candelabri. Il pavimento, poi, era interamente ricoperto con una moquette scura.
Avevo perso la cognizione del tempo già da un pezzo, qualche svolta e scala precedente. Queste mura erano un enorme labirinto! Ero grata che Mr. Dwyer – se pur in totale silenzio – fosse al mio fianco.
<< Siamo quasi arrivati, Isabella. >> sussurrò, qualche istante dopo il mio pensiero.
<< Ma come fa a sapere che non ci siamo persi? >> domandai, vedendolo sorridere << Insomma, questo posto è gigantesco! >>
<< Dopo un po’ ci fai l’abitudine. >> rispose, tornando serio << Mi aggiro per questi corridoi da quando sono piccolo, perciò è tutto ben stampato nella mia testa. >> concluse, picchiettandosi una tempia con la mano libera.
Finalmente ci fermammo davanti ad una grande porta in legno, anch’essa molto antica. Quando Mr. Dwyer mi fece entrare, capii perché aveva quel nome.
La stanza degli archivi sembrava un’enorme biblioteca. Ricordava, facendo perfino invidia, a quella che vedevo da piccola nel cartone Disney La Bella e la Bestia. Negli scaffali, però, non vi erano solo un mucchio di libri, ma anche dozzine di raccoglitori stracolmi di fogli bianchi o ingialliti dal tempo. Al centro della sala era posto un grande tavolo rotondo e – come nella sala del drago –, sparsi per tutto lo spazio, alcuni divanetti di pelle marrone.
<< Edward, cosa ci fai qui? >> domandò Mr. Dwyer, rivolgendosi ad un ragazzo stravaccato comodamente sull’ultimo divano, in fondo alla sala.
<< Salve, Mr. Dwyer. >> rispose lui, alzandosi, e venne davanti a noi << Mio padre mi ha mandato ad aggiornare la lista dei viaggiatori. Caroline Forbes, l’acquamarina, e il giovane Cullen suo collega, Tyler – l’agata –, sono… ops, e lei chi sarebbe? >> domandò Edward, incrociando il mio sguardo.
Per poco non mi cedettero le ginocchia. E non perché il ragazzo dinanzi a me fosse indubbiamente bello – con quei due profondi occhi verde smeraldo, quel viso perfetto, quei capelli di un insolito colore e il fisico più sexy che avessi mai visto –, ma perché la sua voce, ne ero sicura, era la stessa del ragazzo che aveva baciato la me stessa del passato.
<< Isabella Swan, ti presento Edward Cullen. >>
<< Ciao. >> disse lui, ed io alzai una mano impacciata. Che gran figura, Bella! Complimenti!, pensai a mossa fatta.
<< Lei è la nuova Tanya, a quanto sembra. >> rispose Mr. Dwyer, scrollando le spalle.
<< Cosa? >> domandò Edward, visibilmente sconvolto.
<< Vai nella sala del drago, c’è anche tuo padre. Ti spiegheranno tutto. >> gli propose Mr. Dwyer.
<< Vado subito. >> rispose Edward, salutandolo con un cenno del capo << Elisabetta. >> mi disse e si volatilizzò nel corridoio.
<< Isabella! >> gli urlai, ma era già scomparso. Sbuffai, incrociando le braccia al petto.
Solo dopo qualche istante il mio cervello si mise in moto. Edward Cullen! Era lui, l’altro viaggiatore nel tempo. Adesso capivo perché Tanya era sempre impaziente di andare alla loggia, a Temple.
<< Vuoi qualcosa, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, versandosi una tazza di tea.
<< No, grazie comunque. >> risposi, andando ad accomodarmi vicino a lui, sul divano più grande << Posso farle una domanda? >> domandai, sperando nella sua gentilezza.
<< Certo, se è qualcosa a cui posso rispondere, volentieri. >>
<< Chi è quel bambino che sta sempre dietro al dottor Black? >> tentai, non riuscendo a capire perché non potesse rispondermi ad una domanda simile.
<< Quale bambino? >> chiese Mr. Dwyer, e la sua domanda mi spiazzò. Oh, oh!, pensai. Forse era un fantasma. Diamine, Bella, li vedi da tutta una vita e non hai ancora imparato a riconoscerli? Sbuffai, sapendo che la mia coscienza avesse ragione.
<< Oh, no! Scusi, intendevo dire mmm… ecco, sì… >> e adesso come diavolo me ne sarei uscita? << Il dottor Black è mai stato giovane? Insomma, è sempre così burbero? >>
<< Purtroppo sì. >> rispose, sospirando << Non è sempre stato così, però. Era solare e allegro, una volta, prima che suo figlio morì. >> annuii, cercando di comprendere il comportamento di quell’uomo. Non ero madre, ma sicuramente perdere un figlio avrebbe cambiato chiunque.
<< Quanti anni aveva? E come si chiamava? >>
<< Jacob. >> rispose Mr. Dwyer << È morto alla festa del suo sesto compleanno. Povero piccolo, una terribile disgrazia! Adesso dovrebbe avere pressappoco la tua età. >> annuii comprensiva, capendo perché Jacob fosse ancora qui. Magari, come James, non lo aveva capito; oppure, essendo così piccolo, aveva paura di lasciare suo padre.
Restammo in silenzio per un po’, finché Mr. Dwyer non riprese a parlare.
<< Era solo questo che volevi chiedermi? >>
<< No, ma non so se risponderebbe. >> ammisi, mordicchiandomi il labbro per l’agitazione.
<< Prova, non hai nulla da perdere. >> disse lui, sorridendomi.
<< Cos’è questo cronografo? E come facciamo noi, adesso, a controllare i nostri viaggi nel tempo se mia cugina Rosalie e quel ragazzo mmm, Emmett Cullen, sono morti, rubando prima il suddetto cronografo? >> mi risultava ancora difficile usare la parola “morte” e tutte quelle a lei annesse. Ero sempre stata convinta che Rosalie Hale fosse in giro per il mondo, chissà dove. Non avrei mai minimamente immaginato che fosse morta.
<< È una storia complessa, Isabella. >> disse Mr. Dwyer, qualche secondo dopo << Non so nemmeno se potrei parlartene. >>
<< Ma non lo direi a nessuno! >> mi affrettai a dire << Lo giuro! >>
<< Se farai il salto diventerai di diritto un membro di questa loggia, di conseguenza potrai sapere tutto quello che vuoi. >> annuii tristemente, e sprofondai sul divano << Oh, al diavolo! Mi sembri una ragazza tanto a modo e non credo proprio che andrai a parlare di queste cose in giro! >> a quelle parole, i miei occhi si illuminarono ed io scattai a sedermi.
<< È una storia molto triste e per certi versi bizzarra. >> cominciò a dire Mr. Dwyer << Il fatto è antecedente alla tua nascita. Rosalie ed Emmett erano i viaggiatori di quella fascia temporale – rispettivamente zaffiro e tormalina nera, nel cerchio dei dodici. La prima aveva la tua età, mentre Emmett era più grande di lei di qualche anno, ma nonostante ciò tra loro sbocciò subito l’amore. Non si capisce bene cosa successe, ma una notte si intrufolarono qui, nella loggia, e fecero un salto nel tempo senza supervisione e, cosa ancora più bizzarra e senza alcun precedente, portarono con loro il cronografo. In base agli Annali, dopo qualche tempo, venimmo a conoscenza del fatto che due giovani, apparentemente due pesci fuor d’acqua per quel periodo storico, erano stati ritrovati morti sulla riva del Tamigi. La descrizione corrispondeva in tutto e per tutto a tua cugina e ad Emmett Cullen. Del cronografo rubato, però, non ci fu alcuna traccia. >>
<< E cosa c’entra mia madre, in tutta questa storia? >> domandai, non riuscendo ancora a capire perché il dottor Black la ritenesse responsabile.
<< Si venne a sapere che fu Renée, tua madre, a fornire ai due sciagurati il passepartout per accedere a tutte le stanze della loggia, qui a Temple. >> a quella rivelazione non seppi che dire. Perché mia madre avrebbe fatto una cosa del genere? Era per questo motivo, forse, che non mi aveva mai rivelato di poter essere una gene-portatrice? Credeva che il mio destino potesse coincidere con quello della sua nipote preferita, Rosalie Hale?
<< Per quanto riguarda il cronografo… >> mormorò Mr. Dwyer << Ne abbiamo un altro. >> la cosa mi lasciò spiazzata.
Esistevano due cronografi? Ma come era possibile? In quanto oggetto speciale, magico, non doveva essere unico e inimitabile? Chiunque, allora, avrebbe potuto realizzare un cronografo-macchina del tempo?
Stavo per porre le mie domande, quando una vertigine e una botta allo stomaco mi fecero girare la testa. Tutto intorno a me perse forma e mi ritrovai completamente al buio.
È successo un’altra volta!, pensai, sentendomi subito molto meglio. Afferrai la pila elettrica che Mr. Dwyer mi aveva messo in mano – evidentemente quando aveva intuito che sarei sparita da lì a pochi nano secondi – e l’accesi.
Mi trovavo ancora nella stanza degli archivi, solo che era tutto molto diverso da poco prima. Gli scaffali, tanto per fare un esempio, erano totalmente impolverati e da fuori non filtrava nemmeno un po’ di luce. Il tavolo circolare era sparito, così come tutti i divani e l’arredamento moderno che abbellivano quel posto.
Presi a camminare, facendomi luce con la torcia, e per poco non saltai in aria quando sentii lo squittio di un topo. Evidentemente, a quel tempo, questa stanza veniva usata come un vero e proprio archivio sotterraneo; quelli che si vedevano in televisione, bui e pieni di polvere, che si venivano a consultare solo in casi straordinari.
Quando percepii nuovamente la vertigine, mi sentii sollevare in aria e…
<< Isabella, il tavolo! >> ma era troppo tardi. Atterrai sul bordo di quel grande ovale di legno, di sedere, e caddi rovinosamente a terra.
<< Cominciamo bene. >> disse una voce alle spalle, proveniva dalla soglia.
<< Isabella, come ti senti? >> domandò Mr. Dwyer, aiutandomi ad alzarmi.
<< Direi bene… Forse un po’ dolorante, ecco. >> risposi, guardandomi intorno.
Non eravamo più soli, nella stanza. Attorno a noi c’erano: Carlisle ed Esme Cullen e loro figlio, lo smemorato Edward – appoggiato alla porta semiaperta.
<< Direi che Renée aveva ragione, no? >> domandò Esme, rivolgendosi a suo marito. Carlisle annuì pensieroso, dopodiché si rivolse a tutti noi.
<< Esme, cara, vai ad avvertire i signori Swan che Isabella è andata dal dottor Black. Le farò dare una controllata, dopodiché ci donerò qualche goccia del suo sangue, così da poterla mettere all’interno del cronografo. >> quella direttiva mi fece venire la pelle d’oca! << Phil, accompagni lei la giovane Isabella nello studio medico. Io andrò a comunicare a Miss Brandon i cambiamenti, dopodiché, cortesemente, le faccia vedere la strada per giungere da Miss Brandon e mi raggiunga nella stanza del drago. >>
<< Certo, Carlisle. >> risposero in coro Mrs. Cullen e Mr. Dwyer.
<< Edward, tu vieni con me? >> domandò la signora Cullen a suo figlio, il quale annuì. Non mi aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
<< Che c’è? >> gli domandai, irritata << Ho qualcosa fuori posto? O semplicemente non ti piace la mia faccia? >>
<< Per il momento non mi piaci tu. >> rispose Edward, impassibile.
<< Non mi conosci nemmeno. >>
<< E non voglio conoscerti, infatti. >> rispose, avvicinandosi di poco a me.
<< Edward, figliolo, per favore non ricominciare. >> lo ammonì suo padre, ma lui non gli diede retta. Ricominciare? Ricominciare cosa?, mi domandai.
<< Oh, andiamo, papà. Questa ragazzina sarà solo un intralcio alla missione. >> sputò fuori con tranquillità assoluta, nemmeno avesse ordinato un panino e delle patatine fritte! << Non ci serve, posso fare tutto da solo, esattamente come ho fatto in questi due anni. Tanya era preparata, ma lei? Scommetto che non sa niente né di viaggi nel tempo né di qualsiasi altra cosa collegata a questo argomento! Probabilmente avrà passato la sua vita a smaltarsi le unghie, uscire a fare shopping e al telefono o, tanto per farla un po’ più acculturata, a sfogliare qualche rivista di gossip! >> sentivo la mia bocca completamente aperta, la gola secca e il sopracciglio sinistro alzato. Ma come diavolo si permetteva!?
<< Edward! >> lo ammonì sua madre, ma non sortì l’effetto desiderato.
<< Non ci serve! >> rispose lui, voltandosi appena per guardarla in faccia << Può darci il suo sangue e venire qui tutti i pomeriggi, per un anno, per trasmigrare da qualche parte… >> il mio cervello di disconnetté.
Primo, cosa voleva dire trasmigrare? E secondo, ma cosa credeva che fossi, un pacco postale!?
<< Senti un po’ tu, damerino da quattro soldi! >> urlai, parandomi di fronte a lui << Io non so quale Tanya tu abbia conosciuto, ma quella che va a fare shopping e si smalta le unghie è lei, non di certo io! Inoltre, credo di poter imparare abbastanza in fretta tutto quello che il tuo cervellino da essere di sesso maschile sottosviluppato ha imparato, mi sono spiegata bene? >>
<< Quanto hai in storia, a scuola? >> domandò, ignorando completamente le mie urla di poco prima << E quante lingue conosci? Cosa sai delle buone maniere, di ippica, scherma e tutte queste cose? Ti rispondo io: niente! >>
<< Non ti permetto di parlarmi in questo modo! >>
<< Va bene, allora rispondi a qualche nozione base! >> disse, incrociando le braccia al petto << Quant’è durato il trono di Enrico VIII? Dov’è nato e quando è morto? >>
<< Fu il Re d’Inghilterra dall’Aprile del 1509, fino al giorno della sua morte! >> risposi, ringraziando mentalmente Jonathan Rhys-Meyers. Dalla sua espressione, notai quanto fosse deluso dalla mia corretta risposta. Ghignai beffarda, lieta di averlo messo con le spalle al muro.
<< E cosa sai dirmi della casata degli Stuart? >> domandò, avvicinandosi di un passo, mentre io indietreggiai di uno. Cazzo, questa non la sapevo! << Chi li sostituì, perché e quando? >> ingoiai la saliva, ma continuai a sostenere il suo sguardo. Questa volta mi aveva fregata << Appunto, se si pongono questioni che non vengono trattate da telefilm storici da quattro soldi , non sa niente di niente! >> urlò, parlando agli altri piuttosto che a me.
<< Adesso basta, Edward. >> lo ammonì il signor Cullen << Vai con tua madre e chiudi il becco. Per oggi hai detto abbastanza. >>
<< D’accordo, papà. >> disse Edward, incamminandosi verso la porta << Mr. Dwyer, Betty. >>
<< Isabella! >> urlai, nell’istante preciso in cui chiuse la porta, con un tonfo assordante.
Odioso!
<< Andiamo, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, porgendomi il braccio << Ti porto dal dottor Black. >> accettai il sostegno e, con un cenno del capo, salutai il signor Cullen. Esme aveva seguito, poco prima, il figlio.

La visita dal dottor Black fu veloce e meno dolorosa di quanto mi aspettassi.
Mi aveva prelevato un po’ di sangue – da aggiungere al cronografo – e mi aveva fatto diversi vaccini. Per tutto il tempo, cercando di non attirare troppo l’attenzione, avevo conversato con il piccolo Jacob, anzi Jake – come preferiva essere chiamato lui. Era un bambino molto educato e simpatico… Era un peccato pensare che fosse morto. Mi spiazzò molto la sua innocente rivelazione: “Io so di essere morto, sono annegato in piscina per la precisione. Però papà da quando sono andavo via è così triste e diverso… Non voglio lasciarlo finché non ricomincerà a sorridere.” Aveva detto lui, peccato non sapesse che, molto probabilmente, il suo papà non avrebbe mai più sorriso e lui sarebbe rimasto legato a questa dimensione per molto, molto tempo.
<< Tutto bene, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, mentre ci aggiravamo per quei maestosi corridoio.
<< Sì, tutto bene. Grazie. >>
<< Se stai pensando a quello che ti ha detto Edward… >>
<< Oh, no! >> dissi, interrompendolo << Non stavo affatto pensando a quell’arrogante! >> esplosi, facendo ridere Mr. Dwyer.
<< Edward ha un brutto carattere, ma è un ottimo viaggiatore. >> disse, una volta tornato serio << Con tua cugina non si è mai comportato in questo modo, perciò ti chiedo scusa da parte sua. >> annuii, senza proferire parola.
Eh certo…, pensai, con Tanya non si è mai comportato così, lo stronzo. Ovvio, lei è bella, bionda… Tutto il contrario di me, insomma.
<< Siamo arrivati! >> disse Mr. Dwyer, interrompendo il mio flusso di pensieri.
<< Dove siamo, Mr. Dwyer? >>
<< Stai per conoscere la nostra sarta. Sarà lei a cucire i tuoi abiti, quando dovrai fare i salti temporali su commissione. >> rispose, facendomi l’occhiolino. Salti su commissione? Che diavolo significava?
<< Miss Brandon? >> chiamò Mr. Dwyer, bussando alla porta << Ti ho portato il vero rubino, mia cara. >>
<< Entri pure, Mr. Dwyer! >> urlò una voce melodiosa e cristallina.
La ragazza che mi ritrovai davanti sembrava un folletto. Ma non fu il suo aspetto a colpirmi, bensì la sua giovane età. Non avrà avuto poco più di diciotto anni. Era molto bassa, anche più di me – il che risultava essere un evento! –, i capelli erano corti, neri; gli occhi, invece, brillavano di un intenso azzurro, anche più luminoso di quello di Tanya. Era indubbiamente la ragazza più bella che avessi mai visto.
<< Quindi tu sei il rubino! >> squittì, mettendo via il metro da cucito che aveva in mano << Cavolo, però tu sei scura di capelli e anche di occhi! Potrei anche riadattare tutti gli abiti fatti alla precedente ragazza, ma i colori stonerebbero. Mmm… cosa posso fare? >>
<< Cosa ne dici di presentarti prima, cara? >> le suggerì Mr. Dwyer.
Alice, dal canto suo, scoppiò in una fragorosa risata. Dopo pochi istante saltellò verso di noi.
<< Ha ragione, Mr. Dwyer, chiedo scusa. >> poi si rivolse a me << Piacere di conoscerti, io sono Alice Brandon, sarta ufficiale della loggia. Tu sei il rubino, dico bene? >> concluse, porgendomi la sua mano. L’afferrai lentamente, quella ragazza mi sembrava suonata!
<< Puoi chiamarmi Bella. >> le risposi, stringendogliela << Mi chiamo Isabella Swan, ma Bella basta. >> lei sorrise e mi abbracciò di slancio.
<< Ti creerò abiti mozzafiato, Bella! Ovviamente per te sono solo Alice, niente Miss Brandon! Credo di poter affermare che abbiamo la stessa età. >> concluse staccandosi e mi sorrise, mettendo in mostra la sua perfetta dentatura bianchissima.
<< Bene, allora vi lascio, io avrei delle cose da fare. >> disse Mr. Dwyer, avviandosi alla porta << Isabella, la sala del drago, dove ti aspettano i tuoi genitori, è la prima porta in fondo al corridoio. Devi solo andare sempre dritta, va bene? >>
<< Certo. Grazie di tutto, Mr. Dwyer. >>
<< Ci vediamo domani, cara. >> disse << Miss Brandon. >> salutò e poi scomparve.
<< Bene, Bella, adesso sali su quel cubo rosso. Devo prenderti le misure. >> e detto ciò, passò così mezzora.
<< Non sembri molto contenta. >> sussurrò Alice, una volta appuntata anche l’ultima misura.
<< Non lo sono molto, infatti. >> affermai, sospirando << Ho scoperto di essere una gene-portatrice solo da pochi giorno e… sì, insomma, nessuno mi aveva mai accennato la cosa. Ho paura di come cambierà, da ora in avanti, la mia vita. >>
<< Posso immaginare. >> sorrise comprensiva, ma non aggiunse altro.
<< Beh, ora vado. Sperando di tornare subito a casa, sono stanchissima. >>
<< Ci vediamo, Bella! >> mi salutò Alice, mentre mi avviavo alla porta. Ricambiai il saluto e mi avventurai per quel lungo corridoio.
Tirai un sospiro di sollievo, quando vidi apparire in lontananza la stanza del drago. Prima non ci avevo fatto caso, ma stavo cominciando a pensare che si chiamasse in quel modo a causa dell’incisione in oro che vi era in alto: un grosso grado arrotolato su se stesso.
Stavo per entrare quando delle voci attirarono la mia attenzione.
<< Sintomi-fantasma! Ti rendi conto? >> diceva mia cugina << Non sai che vergogna! >>
<< Ehi, guardami! Non prenderla in questo modo… >> rispose Edward << Adesso hai una vita da vivere, Tanya, capisci? Non sai quanto ti invidio. >>
<< Invidiarmi? >> domandò Tanya, con voce rotta. Mi nascosi dietro una colonna, per vederli meglio << Sono diventata una ragazza normale, Edward, ti rendi conto? >>
<< Tanya, tu sei speciale. Ognuno di noi lo è, basta che trovi ciò per cui è nato. >> le sorrise, accarezzandole la guancia.
Fu allora che capii tutto. Edward era stracotto di mia cugina, ecco perché non poteva sopportarmi! Ero entrata in un territorio che non era mio. Di certo non l’ho chiesto, pensai.
<< Ci siamo divertiti insieme, vero? >> civettò lei, sorridendo in modo malizioso.
<< Moltissimo! Da ora in poi le cose saranno molto diverse, qui. >>
<< Già, mia cugina non è sicuramente adatta a questo posto. >> rispose Tanya. Ma che gentile! Era un’arpia, ecco cos’era!
<< Sai, tua cugina mi fa pena. >> sussurrò Edward, raccogliendole una ciocca di capelli e la rimise dietro al suo orecchio << Insomma, non sa nulla di viaggi nel tempo, non è assolutamente preparata per entrare a far parte della cerchia dei dodici. Sua madre, per proteggerla, le ha fatto vivere una vita assolutamente priva di una preparazione adeguata per questo posto. Mi chiedo come riuscirà a cavarsela. >>
<< Avrà te… >>
<< Sinceramente, non voglio averci nulla a che fare. >> disse Edward, in tono glaciale.
Stavano così le cose? Gli facevo pena? Non voleva avere nulla a che fare con me? Per me andava benissimo! E allora perché diavolo ti danno fastidio le sue attenzioni verso quella civetta di tua cugina?, mi chiese la mia coscienza. Sbuffai, decisa ad entrare nella sala e tanti saluti.
La porta, però, si aprì da sola ed io caddi a terra.
<< Ahia! >> urlai, implorando pietà per il mio povero sedere.
<< Cosa ci fai là per terra, Isabella? E dov’è mia figlia? >> domandò zia Victoria, senza degnarsi di darmi una mano << Oh, eccoti, Tanya! Andiamo via, subito! La macchina è pronta. >>
<< Vi accompagno. >> si propose Edward. E, in men che non si dica, sparirono tutti e tre.
Mi alzai a fatica ed entrai nella stanza. Ad aspettarmi c’erano mio padre e Lady Lillian.
<< Tutto bene, tesoro? >> domandò mio padre, venendomi incontro. Accorciai le distante e mi tuffai tra le sue braccia.
Ero stanchissima e volevo solo tornarmene a casa.
<< Dov’è la mamma? >>

<< Sta parlando con Carlisle. >> rispose Lady Lillian, venendo verso di me << Cara, credo tu abbia bisogno di una bella dormita, hai delle occhiaie tremende. >> sospirai rassegnata, sperando che quella giornata finisse al più presto.


Eccoci qui, ad entrare ancora di più nel vivo della storia.
Bella ha conosciuto due nuovi volti_ il famoso - e tanto atteso, da tutte voi - Edward Cullen, e la piccola, quanto pazza, Alice Brandon. Per quanto riguarda il primo, beh, è totalmente diverso dall'Edward della Meyer e vi dirò, non avete ancora visto niente ù.ù''... Per quanto riguarda Alice, direi che il ruolo di sarta della loggia le calza a pennelo, no? Spero che anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Adesso vi saluto e vado a pranzare XD
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Alla prossima, un bacione!

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Capitolo 7
*** #6. ***


Salve a tutti! Come state?
Magari non frega a nessuno, ma ci tenevo a comunicarvi che finalmente posso tornare sulle mie storie, riprendendo a scrivere quotidianamente perché, finalmente, MI SONO LAUREATA! Addio ai libri, gente! Adesso ho solo il mio lavoretto part-time :) quindi, impegni di lavoro permettendo, sono tutta vostra XD
Ci tenevo, prima di lasciarvi al capitolo - se vi va - di dare un'occhiata ad una mia vecchia flash, sempre sul fandom Twilight, di due capitoli. Il titolo di questa mini-storia è E PENSO A TE. Mi venne in mente una mattina, dopo aver ascoltato appunto l'omonima canzone. Se volete farci un salto, ne sarei felice :)
Adess però, bando alle ciance! Godetevi il capitolo e buona lettura!

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6.

« Tutti gli uomini sognano. Non però allo stesso modo.
Quelli che sognano di notte nei polverosi recessi della mente
si svegliano al mattino per scoprire che il sogno è vano.
Ma quelli che sognano di giorno sono uomini pericolosi,
giacché ad essi è dato vivere i sogni ad occhi aperti
e far sì che essi si avverino. »
Thomas Edward Lawrence.

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Ritornammo a casa che era ormai ora di cena. Il signor Cullen mi aveva comunicato, prima di lasciarci andare via, che l’indomani sarei dovuta tornare alla loggia per trasmigrare – termine piuttosto pomposo che indicava lo spostamento corporeo del viaggiatore, dal presente al passato.
Da quel poco che avevo compreso, infatti, era molto pericoloso per un gene-portatore affrontare viaggi incontrollati. Il cronografo – o come diavolo si chiamava! – era molto utile in questo campo: riusciva a far combaciare perfettamente il gene nel viaggiatore del tempo con il suo organismo, impedendo che esso interferisse con la sua vita. Ero arrivata a capire, perfino, che una gene-portatrice doveva saltare, al giorno, un minimo di due ore e mezza; un gene-portatore, invece, aveva un minimo di tre ore. Questi accorgimenti impedivano, ai mal capitati, di scomparire improvvisamente nel bel mezzo di una lezione scolastica o, peggio ancora, sotto la doccia. Mi era stato anche detto, da mia madre – in macchina, al ritorno –, che il signor Cullen e tutti gli altri, erano chiamati Guardiani. Si suddividevano in cerchia interna e cerchia esterna, all’interno della loggia di Temple. Fu il conte di Saint Germain a instituire quella setta segreta, nel lontano 1741. Una volta compresa la grandiosità delle sue doti, tornò indietro nel tempo per prelevare il sangue dei suoi predecessori e lo inserì nel cronografo, così che esso fosse pronto – una volta completato il cerchio dei dodici – a svelare il segreto del segreto. Quale fosse, questo segreto, nessuno lo sapeva.
<< Edward andrà ad informare il conte che anche il rubino si è unito a noi, domattina. >> aveva annunciato Mr. Cullen, prima che andassimo via da Temple. << No! >> aveva urlato mia madre, colta da un’improvvisa isteria che il dottor Black non aveva evitato di commentare << Dal conte no! Ti supplico, Carlisle, lascia perdere! >>
<< Mia moglie ha ragione. >> l’aveva spalleggiata mio padre << Avete il suo sangue, il cerchio è completo. Al resto può pensarci il giovane Cullen, non vedo perché Isabella debba andare ad incontrare il conte di Sant Germain. >>
<< Io concordo col baffetto. >> disse Edward, attirando su di sé il mormorio della sala << Questa ragazzina non ci serve. Con tutto il rispetto per i genitori, ma l’hanno fatta crescere allo scuro di tutto! Cosa potrebbe mai fare? Come potrebbe mai essermi anche lontanamente utile? Una palla al piede, ecco cosa sarebbe. Io concordo con i signori Swan: non alcun senso presentarla al conte. >>
<< Edward, comando io qui. >> lo aveva ribeccato suo padre << Non tu. È tutto chiaro? >> avevo adorato quell’uomo solo perché era riuscito a zittire quell’arrogante viziato!
Alla fine la situazione degenerò all’inverosimile.
Tutti cominciarono ad accusarsi a vicenda, sostenendo che la mia totale inadeguatezza avrebbe ostacolato la missione. È proprio questo che voleva! Non è vero, Renée?, aveva urlato il dottor Black, risollevando il polverone “Rosalie-Emmett”.
<< Se non fosse stato per quella Hale dagli occhi celesti, il cronografo sarebbe ancora qui! >>
<< Rosalie non c’entra nulla! >> aveva urlato Lady Lillian << È stato Emmett a rubarlo e traviare la mia povera e ingenua nipote! >>
<< Ma per favore! >> era intervenuto Carlisle, alzando di qualche nota il suo tono di voce << Non crederà realmente che sia tutta colpa di mio fratello, Lady Lillian! >>
<< Le relazioni tra Hale e Cullen non portano mai niente di buono. >> aveva borbottato il dottor Black << Spero che tu lo capisca, giovanotto. >>
<< Stia tranquillo, dottor Black. >> aveva risposto Edward, in modo che lo sentissi chiaramente << Questa ragazzina non è proprio il mio tipo. >>
<< Oh, sta’ tranquillo! >> avevo urlato, per la prima volta dopo un tempo che mi sembrava interminabile << Miro ad avere una relazione con qualcuno che abbia più classe e cervello di te! >> dopodiché detti il mio benestare alla trasmigrazione del giorno dopo e trascinai via da lì i miei genitori.
Mi riscossi dai miei pensieri solo quando il sonno cominciò a farsi largo in me. Chiusi gli occhi e lasciai che le braccia di Morfeo mi accompagnassero in un mondo più normale e tranquillo.

* * *

<< Bella, hai un’aria orribile. >> disse Angela, per la centesima volta in poche ore.
<< Lo hai già detto. >> le feci notare, abbandonando la testa sul tavolo della mensa << Non ho dormito affatto bene e ho usato il correttore per le occhiaie. >>
<< E te lo sei spalmata per tutta la faccia? >> chiese e la fulminai. Di tutta risposta, lei alzò le mani in segno di resa e continuò il suo monologo << Non fare quella faccia! Ho aspettato tutta la sera una tua telefonata, ma niente. Per sapere quello che è successo ieri a Temple ho dovuto aspettare fino a questa mattina, ti sembra giusto? Beh, per come la vedo io non lo è affatto! Cosa ti costava farmi una telefonata? >>
<< Scusa, Angy. >> dissi, per la milionesima volta, quella mattina << Ero molto stanca. >>
<< Però hai dormito male e poco… >> mugugnò << D’accordo, d’accordo! La smetto. Comunque, pensiamo alle nuove informazioni che abbiamo! >> disse, eccitata come una bambina dentro ad un negozio di caramelle << Tu sei il rubino, rosso rubino per la precisione, e sei la dodicesima viaggiatrice! Ciò ti da il privilegio di sedere alla tavola di quelli di Temple… E queste stanze con i nomi fighissimi? Sala del drago, degli archivi… Tu non sai quanto ti invidio, Bella! Per non parlare di Edw… >>
<< Non nominarmelo, quello stronzo! >> sbottai, interrompendola << Edward so-tutto-io Cullen, è solo un pidocchio! Lui e il suo cervello sottosviluppato, insieme al suo ego sovrasviluppato! Dovevi vedere come si atteggiava a grande uomo della loggia! Sì, uomo di ‘sto ca… >>
<< Bella! >> mi interruppe Angela, facendomi mantenere un certo decoro << Ce la farete a collaborare oppure vi ammazzerete a vicenda? Promette bene. >> le tirai una foglia di insalata e lei mi infilò una patatina fritta in bocca. Scoppiammo a ridere qualche istante dopo, anche se l’idea di ammazzare Edward stava diventando molto, molto allettante.

La giornata sembrava non passare mai. Mentre Mr. Saltzman spiegava “Dio solo sa cosa”, ero intenta a scarabocchiare sul blocco per gli appunti. Ero così concentrata a guardare fuori dalla finestra, che non mi resi conto di ciò che stavo disegnando: un corvo nero, con un cuore rosso – che ricordava in modo imbarazzante un rubino – era riverso a terra, morto. Fu in quel momento che compresi perché non ero riuscita a chiudere occhio. Per la precisione li avevo chiusi, gli occhi, solo che dopo un terribile incubo avevo deciso di aver dormito a sufficienza. Chissà perché non me lo ricordavo…, pensai distrattamente, riordinandomi le idee.
Ero a Londra, di notte. Mi trovavo su una torre, forse quella dell’orologio, e le lancette segnavano la mezzanotte. Un corvo volò sopra di me; percepii un ringhio alle mie spalle e mi voltai impaurita. Un leone. Era lì, di fronte a me e al mio pennuto amico nero, che ci fissava con due occhi talmente lucenti che ricordavano il diamante più splendente. Erano cattivi, spietati… L’animale balzò in avanti, facendomi perdere l’equilibrio, ma il corvo cercò di proteggermi. Fu in quel preciso istante che il leone, con una zampata, squartò il petto dell’uccello, dal quale fuoriuscì un grande rubino rosso.
<< Isabella! >> tuonò una voce, di fianco a me. Urlai spaventata, ma poi riconobbi Mr. Saltzman << Bentornata tra di noi. Per curiosità, ha sentito anche una sola parola di quello che le ho chiesto? >> mi morsi il labbro, sentendo le risatine dei miei compagni di classe. Cazzo!, pensai. Possibile che doveva succedere sempre tutto a me?
<< Mi scusi, Mr. Saltzman. >> sussurrai, mettendo via il foglietto << Ero persa nei miei pensieri e… Mi scusi, davvero. >> sospirò pesantemente e tornò alla cattedra.
<< Non si preoccupi, Isabella. >> sorrise comprensivo << Per domani voglio un resoconto dettaglio dell’incendio di Londra. Dieci pagine di Word, dimensione del carattere dieci, interlinea uno. D’accordo? >> comprensivo un cavolo!
<< Certo, Mr. Saltzman. >>
<< A cosa stavi pensando? >> domandò Angy, sussurrandomi all’orecchio.
<< Te lo dico dopo. Una relazione di dieci pagine basta e avanza, per oggi. >>
<< Oh, andiamo, il lavoro extra lo hai già beccato! Cosa credi, che ti aggiunga qualcos’altro? >>
<< Signorina Weber, vuole fare compagnia alla sua amica per quanto riguarda la relazione? >> domandò Mr. Saltzman, sorridendo sgargiante.
<< Ehm no, grazie… >> rispose Angela. Chissà se, da ora in avanti, avesse smesso di sbavare dove camminava.
L’ultima mezzora di lezione la passammo interamente in silenzio. Due relazioni per il giorno dopo erano più che sufficienti!
Quando sentimmo la campanella annunciare il nostro via libera, mi trattenni dal saltare per la gioia. Mr. Saltzman ci salutò calorosamente, ricordando a me e ad Angela la relazione per il giorno seguente, raccolse le sue carte e uscì di corsa. Evidentemente aveva qualche affare da sbrigare a Temple. Mi vennero i brividi quando mi ricordai che la mia prossima tappa non sarebbe stata la mia camera – con tanto di letto e atmosfera famigliare –, ma bensì la loggia. Sbuffai, ricadendo sulla sedia.
<< Che c’è? >> domandò Angela, rendendosi conto che non la stavo seguendo.
<< Devo andare a Temple, adesso. >> risposi, come se mi fosse appena morto il pesciolino rosso, che tenevo nella palla di vetro fin da bambina.
<< Oh… >> sussurrò Angela, sedendosi su una sedia vicina << Quindi niente Starbucks. >> scossi il capo, cominciando a vedere quali fossero i cambiamenti della mia vita.
<< Mi dispiace, Angy. Non posso proprio. >>
<< Non importa, Bella, prima la tua incolumità! >> disse raggiante << Però, se devi andare a Temple, non ti converrebbe sbrigarti? >>
<< In teoria sì, ma non ne ho troppa voglia. >> dissi in tono piagnucoloso.
<< Isabella Marie Swan, alza il culo e vai a trasmi… ehm, qualcosa del genere. >>
<< Trasmigrare, Angela. >> l’aiutai, alzandomi di malavoglia.
Uscimmo da scuola velocemente, ma fummo bloccate da Mike, Jessica, Lauren, Riley ed Eric. Stavano parlottando all’ingresso, impedendoci il passaggio.
<< Tanya ha fatto proprio un bell’acquisto. >> disse, maligna, Lauren << È uno spettacolo! >>
<< Secondo me è il cugino. >> ribatté Jessica, incrociando le dita dietro alla schiena << Non potrebbe essere il cugino? >>
<< Ma di cosa state parlando? >> le interruppe Angela, evitando di prestare attenzione ai ragazzi che, a differenza di quelle due pettegole, stavano illustrando la bellezza di un macchina che, a detta loro, era assolutamente fantastica.
<< Bella, dicci un po’… >> Jessica mi tirò verso di lei, indicandomi un punto preciso << Quello è un vostro cugino di cui, per pura sbadataggine, vi siete dimenticate di parlarci? >> guardai dove mi aveva indicato e… Oh, santissimi numi!
<< Bella, quello non sarà mica… >> disse Angela, ed io conclusi la sua frase.
<< … Edward so-tutto-io Cullen! Sì, è lui. >>
<< Lo conosci? >> domandò Lauren, avvicinandosi ancora di più.
<< Cullen? >> chiese, invece, Jessica << Perché questo cognome non mi è nuovo? >>
<< Forse te ne ha parlato mia cugina. >> risposi, alzando gli occhi al cielo. Quanto sono oche!, pensai. Se lo avessero conosciuto avrebbero capito quanto odioso – oltre che bello – fosse.
<< Come Jasper Cullen? >> chiese Riley, rivolgendosi verso di noi.
<< E chi sarebbe? >> domandò Angela, lanciandomi un’occhiata interrogativa. Alzai le spalle, facendo capire che non me importava chissà quanto.
Cosa assolutamente falsa!
Me ne stavo lì, impalata a fissare come Edward sorridesse a mia cugina, la quale ricambiava ogni sguardo, sorriso o carezza. E tutto ciò, anche se non ne capivo il motivo, mi infastidiva. Per essere precisa, mi infastidiva maggiormente il fatto che con me fosse un grandissimo stronzo, mentre con lei un gattino ammaestrato!
<< Sì, il ragazzo castano che gioca nella squadra di football. >> parlò Mike << Ce l’ho in qualche lezione di storia contemporanea e di trigonometria. >>
<< Come me segue spagnolo. >> si intromise Eric, sorridendo ad Angela, la quale arrossì.
<< Guardatelo! >> urlò Riley, attirando la nostra attenzione << È quello lì! Cazzo, credo siano fratelli! E chi lo sapeva… >> già, chi lo sapeva! Non avevamo solo una gene-portatrice a scuola, ma anche il fratello di un gene-portatore! Com’era piccolo il mondo.
Jasper, nel frattempo, superò Tanya battendo un cinque ad Edward; si sorrisero complici, dopodiché presero strade diverse. Edward aprì la portiera della luccicante Mercedes nera, Jasper si diresse verso il parcheggio della scuola.
<< Secondo me stanno insieme. >> disse improvvisamente Mike.
<< Chi? >> mi lasciai scappare, ancora prima di rendermene conto.
<< Come chi? Tua cugina e quel tipo, tontolona. >> sbuffai, erano quattro anni che mi era stato affibbiato quel nomignolo e cominciavo a non sopportarlo più.
Stavo per replicare sgarbata, ma gli occhi di Edward incrociarono i miei. Erano sorprendentemente verdi, anche a quell’inaudita distanza. Tanya si allontanò di poco, irrigidendosi; Edward, invece, mi indicò con l’indice sinistro e mi fece segno di avvicinarmi. Mi ricordò in modo imbarazzante Patrick Swayze, quando interpretava Johnny Castle in Dirty Dancing.
<< Ma sta chiamando… te? >> chiese Lauren, con incredulità. Alzai gli occhi al cielo e, sbuffando, mi feci largo tra di loro e scesi i gradini – salutando con uno sguardo Angela.
<< Non capisco, se le fa tutte e due? >> domandò Mike e fu Jessica a rispondere.
<< Non credo, non sarebbe da Tanya dividere uno ragazzo del genere. Con Bella, poi! >> evitai di ascoltare il resto e accelerai il passo.
<< Finalmente! Ti sto aspettando da più di dieci minuti. >> disse Edward, dandomi il suo buon pomeriggio.
<< Cavolo, quanto mi dispiace! >> risposi ironica << Se avessi saputo che saresti venuto tu a prendermi avrei fatto tutto molto più in fretta! Non sai come mi duole il cuore, in questo momento. >> Edward alzò un sopracciglio, mentre Tanya mi ribeccò ferocemente.
<< Come diamine ti salta in mente di rispondergli in quel modo! >> disse lei << Ti sembra il caso di comportarti così, davanti ad un Cullen? >> sbuffai, incrociando le braccia al petto. Lo sguardo divertito di Edward mi fece ancora più infuriare. Se solo avessi potuto, lo avrei preso a schiaffi!
<< Dobbiamo andare, Swan. >> disse Edward, indicandomi i sedili posteriori << Ci aspettano a Temple e siamo già abbastanza in ritardo. >> senza ribattere, entrai in auto.
<< Ci si vede, Tanya! >> la salutò lui, dandole un veloce bacio sulla guancia. Dopodiché si infilò anch’egli sui sedili posteriori della Mercedes nera e disse all’autista di partire.
Il silenzio che piombò fu imbarazzante. Edward era totalmente stravaccato ed il suo ginocchio batteva contro mio; io, dal canto mio, mi allontanai un po’, guardando fuori dal finestrino. Si stava preparando un temporale.
<< Non ti mangio mica. >> gli sentii dire, perciò mi voltai, guardandolo interrogativa << Ti sei allontana come un razzo. Volevo solo farti capire che non ho alcun interesse nel saltarti addosso. >>
<< Oh, tranquillo, il mio sogno proibito non è di certo quello di finire sui sedili posteriori con un idiota patentato! >>
<< Sei proprio una bambina. >> disse, scuotendo il capo.
Dopo circa venti minuti, l’auto arrivò a Temple. Entrammo nel grande cancello nero, che racchiudeva dentro di sé la loggia, e parcheggiammo. Ad attenderci c’erano Mr. Cullen e Mr. Dwyer.
<< Finalmente, ragazzi! >> disse quest’ultimo << Vi aspettavamo da un pezzo, cos’è successo? >>
<< Betty ha avuto alcuni problemi a scuola, presumo. >> rispose Edward, parlando come se io non ci fossi << È uscita tardi, poi il traffico ha fatto il resto. >>
<< Bella, ok? >> gli dissi, piuttosto irritata << Non Elisabetta né, tanto meno, Betty! Mi chiamo Isabella! Vuoi che ti faccia lo spelling? >>
<< Per l’amore del cielo, ragazzi! >> ci interruppe Carlisle << Edward, Isabella non è un nome molto complicato. Potresti cortesemente ficcartelo in testa? >> di tutta risposta, lui scrollò le spalle ed entrò nella loggia. Carlisle mi offrì il braccio, che accettai sorridendo, e lo seguimmo anche noi.
<< Oggi pomeriggio andrete a trovare il conte di Saint Germain. >> ci annunciò Mr. Dwyer. Dall’espressione rilassata di Edward, capii che dovevo essere io l’unica ad esserne allo scuro. Ricordavo ancora la ferrea decisione di mia madre nel non volere che il conte sapesse di me o che, peggio ancora, potesse pretendere la mia conoscenza.
<< Ma mia madre ha detto… >>
<< Lo so, cara. >> disse Carlisle, interrompendomi << C’è voluto un po’ per convincerla, ma alla fine ci siamo riusciti. >> non avrei voluto sapere, per alcuna ragione al mondo, in che modo l’avessero convinta.
<< Miss Brandon ti sta aspettando per vestirti. >> mi informò Mr. Dwyer << Oggi, tu ed Edward, trasmigrerete nel 1745. Il conte era da poco arrivato a Londra, in quell’epoca, abbiamo pensato di evitarvi viaggi in carrozza per arrivare alla sua residenza. La loggia era già stata creata, quindi dovrete solo raggiungere la sala del drago. >>
<< Ma se resta tutto in ehm famiglia, perché dovremmo cambiarci d’abito? >> domandai, confusa. Se non saremmo usciti dalla loggia, ed essa era da sempre stata sede dei viaggi nel tempo, nessuno si sarebbe spaventato nel vedere due giovani vestiti in modo strano.
<< L’autenticità prima di tutto, Isabella. >> mi rispose Carlisle << Non vogliamo correre alcun rischio, tutto qui. >> sospirai pesantemente e mi lasciai scortare nella stanza di Alice.
Era tutto sottosopra! Stoffe da una parte, pizzi e merletti dall’altra… La piccola Alice risaltava tra quella montagna di roba solo grazie ai suoi sbarazzini capelli corvini.
<< Tutto bene, Miss Brandon? >> domandò Mr. Dwyer.
<< Sì! >> rispose lei, togliendosi una piuma lunga e bianca dai capelli << Stavo riguardando gli abiti per Isabella, credo di aver fatto un po’ di confusione. >> constatò, guardandosi intorno.
Da quel poco che ne sapevo il 1700 era l’epoca del Rococò, formato dalla crinolina esasperata, delle parrucche, dei pizzi e dei cicisbei. Quando Alice ci mostrò i nostri abiti, mi dieci un cinque mentale. Purtroppo, ci avevo azzeccato!
<< Cosa ve ne pare? Vi ho perfino abbinati! >> squittì Alice, battendo le mani.
Appesi ad un manichino facevano bella mostra i nostri “costumi d’epoca”. Il mio abito era blu scuro e bianco, composto da un corpetto aderente, terminante a punta, e doppia gonna esageratamente larga sui fianchi, sostenuta dal panier. Le maniche al gomito terminavano in una cascata di pizzi di diverse lunghezze. L’abbigliamento di Edward, d’altronde, era molto più divertente: la giacca era lunga a campana, ricamata e decorata da passamanerie blu scuro e, sotto, un gilet di colore contrastante, di qualche tonalità più chiara. I pantaloni al ginocchio lasciavano scoperte le calze di seta e le tipiche scarpe con fibbie e gale. Ma ciò che mi fece ridere sfacciatamente, fu la profusione di pizzi alle maniche e al colletto.
<< Oddio! E tu dovresti indossare quello? >> gli domandai tra le risate << Miseria, questa trasmigrazione doveva essere fatta solo per vederti conciato così! >>
<< Non che tu starai messa meglio! >> mi ribeccò Edward, sorridendo sornione << Sembrerai il circo russo! >>
<< Scusatemi, ma state offendendo i miei fantastici abiti! >> si intromise Alice, urlando << Questi vestiti sono perfetti per voi, perciò nessuno farò ridere o sembrerà una tenda per il circo! Sono stata abbastanza chiara?! >> restai ammutolita dalla sua determinazione.
<< Cristallina! >> dicemmo all’unisono io ed Edward.
Durante la mezzora successiva, Alice mi aiutò a cambiarmi, mentre Edward era stato scortato nell’altra stanza. Prima di andare, sarebbe dovuto passare anche lui per le mani di Miss Brandon.
<< Ecco fatto! Acconciatura fantastica! >> disse e poi mi concesse di specchiarmi.
Per poco non svenni. L’abito mi fasciava la vita in modo impeccabile, facendo risaltare il mio decolté – anche un po’ troppo, rispetto ai miei gusti. I capelli erano tirati completamente indietro e sulla nuca, facendo un po’ di volume, e alcune ciocche ricadevano ondose sulle spalle. Nel complesso era tutto assolutamente realistico. Sembravo uscita da qualche spettacolo teatrale se non, addirittura, da qualche film storico.
<< Dalla tua faccia deduco che ti piace, il mio capolavoro. >> sussurrò Alice, passandomi un leggero strato di fard rosaceo sulle guance.
<< Sei davvero fenomenale, Alice. >>
<< Grazie, grazie! Lo so. >> disse e scoppiammo a ridere. Fu in quel momento che entrò Edward, nella stanza. Per poco non svenni.
Ero convinta che vederlo così avrebbe messo in ombra il suo lato affascinante e sensuale, ma dovetti ricredermi. Edward, al contrario, risultava molto sexy!
<< Alice, devo per forza mettere la parrucca? >> domandò lui, dopo avermi fatto la radiografia. Dovetti voltare il capo, per impedirgli di scorgere il rossore sulle mie guance.
<< Ovvio, Edward! Lo chiedi tutte le volte e la risposta non cambia. >>
<< Isabella non ce l’ha però, la parrucca! >> si lamentò e per la prima volta mi fece tenerezza. Forse perché aveva azzeccato il mio nome!
<< Bella è una ragazza giovane, Edward. E andrete dal conte nel primo pomeriggio, ciò implica che non è necessario per lei indossarla. >> lo sentii sbuffare, mentre si faceva sistemare quell’orribile affare bianco in testa.
<< Allora, ragazzi? >> domandò Carlisle, fermo sulla soglia << Siete pronti? >>
<< Sì, papà. >>
<< Bene, io e Phil vi scorteremo nella stanza del cronografo. >>
<< Secondo il dottor Black, per il momento, sarebbe più sicuro bendare la ragazza. >> disse, con noncuranza, Edward.
<< Cosa? >> domandai, ma nessuno mi rispose.
<< Non è una cattiva idea. >> lo spalleggiò Carlisle << Solo per il momento, s’intende. >>
<< Cosa?! >> domandai ancora, ma nessuno mi degnò di attenzione.
<< Prendo una benda! >> avvisò Mr. Dwyer. Sbuffai, evitando di fare altre domande, visto che nessuno sembrava in vena di darmi risposte.
Spostai lo sguardo su Edward e notai che stava sghignazzando. Alzai gli occhi al cielo, cosciente che il suo scopo nella vita – oltre a viaggiare nel tempo – era diventato quello di farmi irritare a morte!
Quando Mr. Dwyer tornò con la benda, me la mise intorno agli occhi e, nel buio più totale – almeno per me –, ci dirigemmo nella stanza del cronografo, dove avremmo compiuto il salto per incontrare il fatidico conte di Saint Germain.
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Ha fatto la sua entrata in scena, se pur indirettamente, anche il fratellino minore di Edward, ossia Jasper. Chi lo avrebbe mai detto? Come dice Bella, non solo alla Saint Lennox c'è una gene-portatrice, ma anche il fratello di un gene-portatore! Beh, era ovvio, da un lato. Come avevo spiegato nei capitoli precedenti la Saint Lennox è la High School più importante e prestigiosa di tutta Londra, come avrebbe potuto non trovarsi tra quelle mura un Cullen? Il rapporto tra Bella e Edward non è proprio idilliaco, anzi tutto il contrario! Un capitolo importante ci aspetta, però... Bella ed Edward - nonostante le loro divergente - sono costretti a "stare insieme", è proprio per questo motivo che - nonostante la scetticità di Renée - sono chiamati al cospetto del conte di Saint Germain. Ma chi è questo personaggio?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Un saluto a tutti, un bacione :*

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Capitolo 8
*** #7. ***


Buon pomeriggio a tutti, come state? Non voglio rubarvi moltissimo tempo, solo chiedervi due minuti di attenzione!
Per prima cosa, in settimana creerò una pagina facebook - con l'aiuto di altre ragazze che, gentilmente, si sono prestate a darmi una mano - che avrà il nome di Graphics and Edit video. Come ho scritto sul mio blog, so che in giro ce ne sono molte, ma l'idea era quella di “insegnare”, dare consigli, invece che realizzare soltanto. Ci sono molte persone che vorrebbero imparare – almeno, questo è quello che ho visto in diversi mesi in giro per il web – ad usare un programma di grafica (che sia di video o di immagini) e volevo dare una mano, nel mio piccolo, a queste persone. Nella pagina, ovviamente, si potranno richiedere anche immagini fatte da me – e da chi, magari, volesse aiutarmi a mandare avanti un'idea del genere, che nel suo "dietro le quinte" porterebbe molto lavoro – e persino video su commissioni, rispettando alcuni canoni che verranno inseriti all'interno della pagina. Cosa ne dite? A qualcuno potrebbe interessare? Appena creata, la pagina, verrà postata sul mio profilo di facebook e nei miei vari punti di comunicazione (quali: il mio blog personale, gruppo e pagina facebook che divido con la mia socia, anche lei autrice di Efp, sulle storie), ma potrete trovarla dalla prossima settimana anche qui, in questa storia, per chi volesse mettere il "Mi piace".
Altra questione è, all'interno del gruppo - potete trovare il link diretto a fondo pagina - sto facendo una sottospecie di domande ad eliminazione. Vi spiego meglio: ho quattro flashfic, sempre sul fandom di Twilight, impostate, ma non posso scriverle tutte e quattro! Ho pensato, così, di dare a voi la possibilità di scegliere quale leggere prima. La prima votazione c'è stata settimana prossima, adesso è in atto la seconda. Settimana prossima, le due storie più votate saranno mette "in sfida" per scegliere la definitiva. Se volete partecipare, basterà iscrivervi al gruppo :) ovviamente, è tutto facoltativo XD ho solo voluto informarvi!
Adesso smetto di rompervi e vi lascio al capitolo. Buona lettura a tutti!

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7.

« Dubitate di tutto,
ma non dubitate mai di voi stessi. »
André Gide.
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La stanza del cronografo non era molto diversa dalle altre camere importanti. L’unica differenza era che non aveva finestre, in quanto ci trovavamo chissà quanto in profondità.
Eravamo scesi per una marea di scale dritte, a chiocciola; girato una montagna di angoli e colonne… Insomma, avevo perso totalmente il senso dell’orientamento! L’ultima cosa che ricordavo con chiarezza, prima che Mr. Dwyer mi bendasse gli occhi, erano le urla di Alice nel cercare di mantenere perfetta la sua meravigliosa acconciatura, fatta sui miei capelli.
<< Tutto bene, Isabella? >> mi domandò Mr. Dwyer, vedendomi impalata sulla porta.
L’aria era rarefatta, percepivo anche un leggero odore di vecchio. Proprio davanti a me, era situato un grosso tavolo di legno scuro, completamente sgombro. Sopra di esso vi era solamente un panno bianco – tendente al giallognolo – che faceva da fagotto a qualcosa. Un piccolo divano rosso, a destra, faceva bella mostra nell’angolo.
<< Sì, tutto bene. >> risposi, facendo qualche passo avanti, cercando di non inciampare in quell’enorme vestito << Stavo solo riprendendo il controllo nei miei occhi, Mr. Dwyer. >>
<< Ti senti pronta per andare, Isabella? >> domandò il signor Cullen, sorridendomi.
<< Più o meno. >>
<< Dobbiamo rimanere ancora qui per molto? >> domandò Edward, sbuffando << Non vorrei rovinare i vostri meravigliosi preamboli, ma vorrei evitare di passare tutto il mio pomeriggio nell’Aprile 1745 con questa qui. >> alzai un sopracciglio, scettica. Questa qui? Avevo proprio capito bene?
<< Edward… >> lo rimproverò suo padre, forse meno del solito. Quell’uomo doveva essere un santo, non c’erano altre spiegazioni. Come faceva a sopportare quell’insopportabile ragazzo? È suo figlio…, rispose la mia coscienza. Touché.
<< Se è per questo, Cullen, anche io vorrei evitare di passare tutto il mio pomeriggio in tua compagnia! >> sbottai irritata.
<< Fantastico, siamo d’accordo su qualcosa! >> disse lui, applaudendo, e poi si rivolse ai due uomini che avevamo davanti << Siete contenti, vero? >>
<< Saranno settimane difficili. >> disse Mr. Dwyer, sospirando.
<< D’accordo, vi diamo la parola d’ordine. >> mormorò Carlisle, aprendo un libro piuttosto voluminoso << La parola d’ordine del 4 Aprile 1745 era… >> mugugnò qualcosa, bloccando improvvisamente il dito indice sulle righe << Qua redit nescitis. >>
Per poco non mi cedettero le gambe. Ma che lingua era mai quella?
<< Latino. >> rispose Edward, evidentemente notando i miei occhi sgranati << Voi non conoscete l’ora del suo ritorno. Non hai mai studiato latino in tutta la tua vita, dico bene? >> di tutta risposta, incrociai le braccia al petto assumendo un’aria più risoluta.
<< D’accordo, Isabella, vieni qui. >> disse il dottor Black che… Ma quando cavolo era entrato? << Il cronografo è pronto. Avanti, dammi il tuo dito indice. >>
<< Il dito indice? >> chiesi confusa, avvicinandomi all’oggetto.
Non era nulla di speciale. Un orologio da taschino, di dimensioni tre o quattro volte più grandi, posizionano su una scatoletta quadrata – marrone scuro – dove vi era intagliata una piccola fessura. Le dodici ore, all’interno del quadrante, erano fissate interamente con pietre preziose, che seguivano un cerchio cronologico perfetto: un opale bianco, l’ambra, un’agata multicolore, l’acquamarina, lo smeraldo di un verde intenso, un quarzo citrino giallastro, due corniole aranciastre, una giada sull’azzurro/verde pastello, la tormalina nera, uno zaffiro completamente blu, il diamante e, infine, un rubino rosso come il sangue.
<< Isabella? >> mi riscosse dai miei pensieri, il dottor Black.
<< Sì, scusi. >> gli diedi la mano sinistra e l’uomo inserì il mio dito nella piccola fessura ovale del cronografo.
<< Adesso sentirai una leggera puntura, ma non ti muovere. È molto importa che resti ferma, va bene? >> ero molto titubante. Che significava “leggera puntura”?
<< Oh, santo cielo! >> disse esasperato Edward, scansandomi in malo modo << Dottor Black, vado prima io. Poi se la qui presente Isabella decide di raggiungermi bene, altrimenti mi farò una partita a poker col conte! >> detto ciò, inserì il dito nell’oggetto.
Il cronografo reagì all’istante. Una luce bianca, accecante, si sprigionò facendo illuminare il diamante posizionato sul numero undici. Dovetti coprirmi gli occhi, proteggendoli addirittura con le mani. Che diavolo era successo?
<< Edward è il diamante. >> mi spiegò Carlisle << Il cronografo vi riconosce a seconda del sangue; vi identifica. Quando lo userai tu, la luce che si sprigionerà sarà quella del rubino, incastonato nel numero dodici. >>
<< Opale e ambra, la prima coppia, s’avanza, canta agata, che del lupo ha sembianza, con acquamarina in si bemolle – solutio! Seguono smeraldo e citrino – coagulatio! – le due corniole gemelle in scorpione, e giada, numero otto, digestione. In mi maggiore: tormalina nera, zaffiro in fa, rischiara la sera. E subito appresso ecco diamante, undici e sette, leone rampante. Projectio! Scorre il tempo così lento, rubino è principio e fine del movimento. >> recitò Mr. Dwyer, sorridendomi con fare di incoraggiamento.
Per un attimo restai incantata da quella strana filastrocca. Richiamava in sé tutti i dodici viaggiatori del tempo e, con essi, le loro pietre identificative.
Mi avvicinai lentamente al tavolo, sul quale era appoggiato il cronografo, e allungai la mia mano verso l’oggetto. Quando infilai il dito nella fessura, percepii tre piccoli aghi forarmi il polpastrello. Evitai di urlare – per dolore e spavento – solo per mantenere un certo decoro, evitando che Edward mi tormentasse anche per questo.
Un fascio di luce rosso intenso si sprigionò dal rubino, incastonato nel numero dodici. Tutta la stanza ne fu invasa, costringendomi nuovamente a chiudere gli occhi. Quando li riaprii, tutto intorno a me era buio. Non c’era neanche la parvenza di una candela.
<< Eccoti, finalmente. >> sussurrò qualcuno alle mie spalle. Saltai in aria per lo spavento. Avrei persino urlato, se una mano non mi avesse tappato la bocca << Sono io, Betty. Datti una calmata. >> parlò quella che era la voce di Edward.
<< Razza di idiota! Mi hai fatto prendere un colpo! >>
<< Lo so. >> rispose sghignazzando. Una domanda mi venne spontanea nella mente: ma se lo avessi ucciso e lasciato qui, il corpo poi sarebbe tornato nel presente? Oppure avevo qualche possibilità di occultare le prove dicendo, tanto per dirne una, che lo avevo perso di vista nel 1745? Un fascio di luce mi colpì in pieno viso, riportandomi alla realtà.
<< Mi stai accecando! >>
<< Pensavo che il buio non ti piacesse granché. >> rispose, scrollando le spalle << Avanti, vieni con me, dobbiamo andare dal conte e abbiamo solo tre ore e mezza di tempo! >> mi afferrò per il polso e mi trascinò verso una grande porta.
Sentire la sua mano a contatto con la mia pelle mi provocò un brivido lungo la schiena, come se avessi preso una scossa elettrica. A giudicare dalla noncuranza di Edward, però, l’avevo percepita solo io. Stai diventando totalmente pazza, Bella. Sbuffai, sapendo che la voce della mia coscienza non aveva tutti i torti.
Arrivati alla soglia, Edward si guardò intorno attentamente. Dopodiché spense la torcia e afferrò un tizzone, porgendomelo.
<< Così vedi dove mettere i piedi. >> disse, spegnendo la sua pila elettrica << Non possiamo far vedere oggetti del futuro, i Guardiani potrebbero rimanerne sconvolti! Siamo comunque nel Settecento. Inoltre, non tutti quelli che lavorano alla loggia hanno a che fare direttamente coi viaggi nel tempo… Per alcuni è solo pura teoria, mettiamola così. >> spiegò, spingendomi davanti a lui.
<< Non mi bendi? >> chiesi, ancora indispettita << È pur sempre la stanza del cronografo, no? Potrei memorizzare i corridoi, entrare di notte e sgraffignarlo come hanno tuo zio e mia cugina! >> gli sorrisi beffarda, quando voltò di scatto la testa << Non è quello che pensate tutti? Sono un pericolo, no? >>
<< Non sei abbastanza sveglia per uscire da Temple inosservata col cronografo in borsa, inoltre questi corridoio sono leggermente diversi da quelli che abbiamo oggi, nel 2011. Le probabilità che tu riesca ad orientarti sono pari a zero. >> disse, sghignazzando. Sbuffai, camminando in silenzio.
I corridoi erano così stretti che riuscivo a percepire il calore del corpo di Edward, accanto al mio. Il suo braccio poi, di tanto in tanto, si scontrava col mio. Non riuscivo a capire perché le mani mi sudassero tanto, ma soprattutto perché il mio cuore era totalmente impazzito. Batteva ad una velocità assurda, fino a farmi venire il mal di testa.
<< Chi siete? >> domandò un ragazzo, armano di spada, uscito da dietro una colonna.
<< Siamo ospiti del conte di Saint Germain. >> rispose Edward, mentre io feci qualche passo indietro.
<< Ti conosco. >> parlò un altro ragazzo, uscendo dalla parte opposta << Ti ho visto anche questa mattina aggirarti da queste parti. >>
<< Parola d’ordine, prego. >> tornò a parlare il primo.
<< Qua redit nescitis. >> rispose prontamente Edward. I due giovani si scostarono di poco e indicarono al mio accompagnare la porta nascosta nel muro. Egli l’aprì e ci incamminammo per quelle segrete.

Due rampe infinite di scale, tre parole d’ordine, un labirinto interminabile e buio dopo, io ed Edward ci ritrovammo nel cuore della loggia. Ci stavamo dirigendo verso la stanza del drago.
<< Milord! >> disse qualcuno alle nostre spalle << Cosa ci fa ancora da queste parti? Non è forse venuto questa mattina a trovare il conte? >>
<< Salve, Sir Marcus. >> lo salutò Edward, facendo un inchino << È stato Aro a dirmi di tornare da lui, vuole conoscere il rubino. >> concluse indicandomi.
Mi sentivo tanto come un trofeo, una bambolina che tutti potessero vantare di avere o di aver trovato. Ero una persona parlante e pensante, e volevo essere trattata come tale.
<< Quindi è questa graziosa fanciulla, il tanto atteso rubino. >> disse Marcus, avvicinandosi a me << Molto interessante… Mi rincresce, però, darvi una spiacevole notizia. Il conte si è sentito poco bene ed è stato riaccompagnato nella sua dimora. >>
<< Cosa? >> domandò Edward, con una velata nota isterica << Noi abbiamo poco tempo e non vorrei sprecarlo, è possibile raggiungere il conte a casa sua? >> Marcus ci pensò qualche istante, ma poco dopo ci fece strada.
Entrammo in una sala piuttosto grande, che non avevo ancora visto alla loggia del 2011. Odiavo avere gli occhi puntati addosso, ma sembrava che quello fosse il passatempo del 1745 – neanche avessi avuto la toppa dei jeans aperta. L’abito di Alice, poi, era piuttosto ingombrante e notavo che Edward non si trovava a suo agio in quei vestiti del Rococò. Continuava a toccarsi i pizzi del colletto e delle maniche.
Marcus si diresse ad una scrivania, dove vi era seduto un altro uomo. Li studiai attentamente, cercando di non farmi notare. Il primo era alto, ben piazzato; capelli scuri e occhi grigi. Il secondo, di cui non sapevo nemmeno il nome, era più minuto. I capelli erano biondi, piuttosto chiari; il viso più giovane e gli occhi di un sorprendente azzurro cielo.
<< Venga, Edward. >> disse proprio quest’ultimo << La scorterò io, con la mia carrozza, fino alla residenza di mio cugino Aro. >>
Edward annuì lentamente, facendo un mezzo inchino. Dovrei farlo anche io?, pensai. Evitai, comunque, di fare figuracce.
<< Grazie per la sua disponibilità, Caius. >> disse Edward, dandomi una leggera spinta perché mi chinassi. Dannato!, pensai. Per poco non caddi rovinosamente a terra!
<< Se i signori volessero seguirmi… >> disse Caius, indicandoci la porta.
Stranamente, Edward, mi porse il braccio. Lo fissai, alzando un sopracciglio; stava facendo sul serio? Il suo sguardo rispose alle mie mute domande: “Non fare la bambina e afferralo subito, Betty!”. Sbuffai contrariata, ma accettai l’invito.
Ci avviammo, scortati da innumerevoli guardie armate, fino alla carrozza.
Era molto bella, proprio quelle che si vedevano nei film d’epoca, tipo Marie Antoinette.
<< Prego, Miss. >> disse il cocchiere, porgendomi la mano, e mi aiutò a salire. Il vestito era davvero troppo ingombrante! Inciampai diverse volte, finché non caddi col sedere sul “sedile”.
<< Davvero di gran stile. >> commentò Edward, accomodandosi di fronte a me. Avrei voluto picchiarlo, ma – almeno per questa volta – non aveva tutti i torti.
Non riuscivo ancora a capire cosa ci facessi qui, in questo tempo ma, soprattutto, con questo dono, che non avevo mai desiderato possedere. Nonostante odiassi il ragazzo dagli occhi verdi che mi sedava davanti, dovevo ammettere che su una cosa aveva ragione: io non ero tagliata per quel mondo.
<< È pensierosa, Milady? >> domandò Caius, facendomi spaventare.
<< Oh, no. Stavo solo… >> notai lo sguardo accigliato di Edward, così mi morsi la lingua << Nulla. Sì, avete ragione, Sir. Ero solo molto pensierosa. >>
<< Non temete, Isabella. Sono sicuro che piacerete moltissimo a mio cugino. >> disse sorridendomi, e per una frazione di secondo mi sentii tranquilla.

Arrivammo dal conte di Saint Germain nel giro di quaranta minuti. Notavo che Edward continuava a guardare l’orologio, agitato. Mi avvicinai a lui, mentre attendavamo il permesso per raggiungere il conte nel suo studio.
<< Quindi è permesso portare gli orologi? >> chiesi, indicandoglielo.
<< È un orologio da taschino, quindi è permesso, sì. >> rispose duro, come al solito << Inoltre, se non lo avessi non potremmo sapere con precisione quanto tempo abbiamo, non ti pare? >>
<< Sì, hai ragione. >> risposi, allontanandomi. Volevo solo fare conversazione, diamine!
<< Come mai chiamate vostra nonna sempre Lady Lillian? >> domandò Edward, fissandomi attento.
<< Lei preferisce così. Sono rare le volte in cui usiamo la parola “nonna”, l’unica che può farlo è Tanya. >>
<< Ma è sempre così, mmm, come dire burbera? >> domandò, alzando un sopracciglio. A quel gesto il mio cuore cominciò a fare le capriole. Come diavolo era possibile? Lo detestavo, ma al tempo stesso mi attraeva.
<< N… no. >> dissi, balbettando << Cioè sì, nel senso… >> Bella, datti un contegno!
<< No o sì? Sembri parecchio confusa. >>
<< Sì e no. È sempre burbera, sì, però quello che hai visto tu non è niente, te lo assicuro! A casa è mille volte peggio, ecco quello che intendevo. >> parlai, appena ripresa un po’ di lucidità. Edward non ribatté, annuì solamente.
Il nostro silenzio, assolutamente imbarazzante, venne interrotto da Caius.
<< Venite, ragazzi. >> disse << Il conte vi aspetta nel suo studio, al secondo piano. >> annuimmo e ci incamminammo dietro di lui.
La villa di Sir Aro, più noto come il conte di Saint Germain, era costruita su tre livelli; era immensa e piena di stanze. Le rifiniture erano fatte in oro; i soffitti erano piuttosto alti, sulle pareti c’erano un’infinità di ritratti; le scalinate erano maestose.
Arrivati dinanzi ad una grande porta, intarsiata d’oro, ci fermammo. Caius bussò e una voce sicura ci intimò di entrare.
Lo studio era grande e arioso. La finestra a sinistra della stanza occupava quasi tutta la parete e si affacciava sul giardino, totalmente immerso nel verde. L’aria era pulita, per nulla inquinata dallo smog delle automobili. Seduto alla scrivania, su una poltrona di pelle marrone, c’era un uomo dai lunghi capelli neri. La mascella era dritta e squadrata; la pelle sembrava fatta di carta velina, quanto era pallida e sottile.
<< E così sei tu il rubino. >> disse, puntando i suoi occhi, neri come la notte, su di me << Ti sto aspettando da tanto, tanto tempo. >> rimasi a fissarlo a lungo, senza proferire alcuna parola.
<< Buon pomeriggio, conte. >> disse Edward, notando il mio mutismo << Ci hanno informati del suo malessere, sono terribilmente dispiaciuto. >>
<< Oh, Edward, non ti crucciare per queste piccolezze. >> disse, alzandosi in piedi << Sono un uomo molto forte, ragazzo! >>
<< Lo vedo, Sir. >> rispose Edward, sorridendogli. Provai, inspiegabilmente, una fitta di gelosia. Perché riusciva ad essere gentile con tutti, tranne che con me?
<< Edward, vada con mio cugino a bere qualcosa. Io vorrei fare due chiacchiere con la giovane fanciulla. >>
<< Non so se sia il caso di lasciarvi… >> cominciò Edward, titubante, ma subito fu fermato da un gesto della mano del conte.
<< Suvvia, Edward! Voglio solo parlarle in privato, nulla di speciale. Poco importa se non sa le buone maniere, sarò comprensivo. Ho letto la lettera che mi hai fatto recapitare questa mattina, comprendo tutto, perciò non infierirò su Isabella. >>
<< Come desiderate. >> disse Edward. Dopodiché, fece un inchino vistoso, voltò le spalle e uscì, insieme a Caius.
Il cuore riprese a martellarmi nel petto, ma questa volta non era l’eccitazione, ma l’agitazione e la paura.
<< Vuole qualcosa da bere, Isabella? >> domandò Aro, indicandomi un piccolo divanetto ocra. Il conte mi offrì la mano, che afferrai, e ci dirigemmo verso l’oggetto.
Era fredda come il ghiaccio, come se nelle sue vene non ci fosse alcuna goccia di sangue.
<< Ho le mani fredde, vero? >> domandò, sorridendo << Vi porgo le mie scuse, Isabella, ma ho sempre avuto questa bizzarra peculiarità. >>
<< Oh, no… non si preoccupi! Anche io solitamente le ho fredde! >> dissi, ma subito dopo mi morsi la lingua. Era una cosa da dire ad un conte?
<< Mi è stato detto dell’incresciosa situazione che si è venuta a creare nel vostro tempo, Isabella. Mi dica: è vero che sua madre e suo padre le hanno tenuto nascosto il fatto che lei sarebbe potuta essere la dodicesima viaggiatrice? >> annuii, non sapendo cos’altro fare << E come mai hanno fatto questa scelta? Mi dica. >>
<< Per proteggermi, credo. >> risposi, ma parve una spiegazione molto stupida << Loro pensavano che se fosse venuto fuori che ero nata lo stesso giorno che i grandi personaggi avevano stabilito come quello in cui il rubino sarebbe nato, la mia vita sarebbe stata molto diversa, più travagliata. Volevano darmi un’infanzia normale, ecco. Tutto qui. >>
<< È ammirevole l’amore che i suoi genitori provano per lei, Isabella. Ma capirà che come fondatore della loggia e del cerchio dei dodici, non posso non pensare anche alla stupidità di una decisione simile. La nostra missione è molto grande e altruistica, potente anche… I suoi genitori avrebbero dovuto pensare anche al bene di tutti noi. >> stavo per ribattere qualcosa, ma la voce di mia madre mi rimbombò nella testa. Non fidarti di nessuno, mai. Nemmeno del tuo istinto. Era una frase che mi ripeteva sempre, fin da piccola. Non l’avevo mai compresa appieno, ma adesso cominciavo a darle un senso.
<< Ha ragione, conte. Chiedo scusa da parte loro. >>
<< Cosa sono queste scuse! >> canticchiò, allontanandole con la mano << Non mi servono, Isabella. Adesso lei è qui, il rubino è sorto e la profezia potrà avverarsi! >>
<< Quale sarebbe la profezia? >>
<< Non è stata ancora informata? >> domandò scettico ed io feci di no col capo << Mi rincresce, Milady! Com’è potuto accadere? >>
<< Sono la cugina di Rosalie Hale, Sir. >> mi affrettai a spiegare << Non sono neppure addestrata a dovere per questo incarico e… penso che credano che io sia una persona scomoda, oltre che inutile. >>
<< Che assurdità! E chi può pensare una cosa del genere? >> proprio in quell’istante Edward, insieme a Caius, bussò alla porta. Quando il conte li fece entrare, si affrettò a raggiungerci. Quando parli del Diavolo…, pensai sghignazzando.
<< Non vorrei disturbarvi, ma tra meno di un’ora dovremmo tornare indietro e dobbiamo raggiungere la loggia, prima che sia tardi. >> disse Edward, parlando col conte.
<< Oh, sì, certo! >> rispose lui, alzandosi in piedi << Ho preparato un biglietto per suo padre, Edward. Lo affido alle sue mani. >> il mio accompagnatore prese la busta e la nascose nell’interno della giacca. Dopodiché mi porse il braccio e ci incamminammo nuovamente verso la carrozza.
Il viaggio di ritornò sembrò svolgersi più lentamente rispetto a quello dell’andata. Nessuno parlò, visto che Caius era rimasto a casa del cugino e c’eravamo solo io ed Edward a dividere la carrozza.
Arrivati a Temple corremmo come pazzi, per raggiungere la stanza del cronografo. Non capivo il perché di tutta quell’agitazione. Insomma, eravamo all’interno delle mura della loggia, adesso, anche se fossimo riapparsi nella stanza del drago quale sarebbe stato il problema? Non osai chiederlo, però.
<< Ci siamo. >> disse Edward, poggiandosi una mano sullo stomaco. Scomparve, davanti ai miei occhi, qualche secondo dopo.
Al buio di quel sotterraneo restai sola, attendendo che la vertigine colpisse anche a me. Accadde, diversi secondi dopo Edward, e come ero arrivata me ne andai, riapparendo nella stanza del cronografo circondata da diverse persone – tra cui mia madre.
Era il 2011. Finalmente ero ritornata a casa.

* La filastrocca in corsivo, come già detto nel Capitolo 5, è presa dal libro Red, di Kerstin Gier.

Scusate il ritardo nel postare, ma oggi è stata una giornata da pazzi! Allora, di rubo solo altri due minuti. Finalmente abbiamo conosciuto il conte di Saint Germain che altri non era il nostro buon vecchio Aro. Vi dico subito che nel prossimo capitolo ci saranno interessanti spiegazioni e scoperte, proprio su Sir. Aro, meglio noto come conte di Saint Germain. Edward e Bella non riescono proprio a stare tranquilli, anche se si può dire che in questo capitolo hanno avuto una semi-conversazione normale XD
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

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Capitolo 9
*** #8. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come state?
Come detto nelle risposte alle recensioni e nel gruppo/pagina di Facebook, questa settimana - a causa di impegni di famiglia - ho anticipato eccezionalmente la pubblicazione di "Edelstein". Spero non vi dispiaccia XD
Prima di lasciarvi al capitolo, per chi ha Facebook, voglio fare un po' di autopubblicità alla mia nuova paginetta. Essa è gestita da me, in quanto titolare, e altre tre gentilissime ragazze che si sono prestate a darmi una mano in questa idea folle. Graphics adn Edit video, è stata pensata per tutti coloro che, non solo hanno bisogno di qualcuno a cui rivolgersi per avere un aiuto - richiedendo, perciò, lavori grafici o anche video vero e propri, attenendosi ad alcuni punti che diamo noi -, ma anche per chi ha voglia di imparare.
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Adesso vi lascio al capitolo e buona lettura!
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8.

« Le due principali regole che stanno alla base della vita stessa sono:
1. il cambiamento è inevitabile.
2. tutti cercano di resistere al cambiamento. »
Deming William Edwards.
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Erano trascorsi diversi giorni dall’incontro con Aro, più noto come il conte di Saint Germain.
L’impressione che mi aveva dato era quella di una persona cortese e disponibile. Inoltre, eccezion fatta per Angela e i miei genitori, nessuno si era fatto in quattro per darmi man forte. Nessuno si fidava di me, specialmente i membri della loggia. A casa, poi, regnava un’atmosfera molto pesante. Lady Lillian mi guardava come se le facessi pena, e in un certo senso sì, le facevo proprio pena; zia Victoria e Tanya cambiavano stanza non appena entravo io, nemmeno avessi rubato loro chissà cosa! L’unica che era contenta, anche se molto preoccupata, di questa nuova situazione era la prozia Jenna. Si era infuriata moltissimo con mia madre e mio padre, quando venne a sapere che avevano mentito sulla mia data di nascita.
<< Renée, sei stata un’imprudente! >> aveva urlato la prozia a mia madre, una sera << Ti rendi conto che adesso Isabella passerà un periodo infernale? Non è preparata per trasmigrare in epoche differenti da questa, neppure a compiere la missione insieme a quel piccolo arrogante di un Cullen! Non fraintendermi, nipote cara, sono contentissima che la dodicesima viaggiatrice sia Bella, anziché Tanya, ma avresti dovuto farle affrontare un minimo di preparazione. >>
<< Lo so, zia. >> aveva risposto mia madre, sospirando angosciata, mentre stringeva le mani di mio padre << Volevamo solo darle un’infanzia serena, senza tutto questo fardello. Speravamo sul serio che fosse Tanya il rubino. >>
<< Oh, certo! Come no. >> intervenne nel discorso zia Victoria.
<< Cosa vorresti dire, Vic? >> le aveva chiesto mia madre, alzando un sopracciglio.
<< Che non ci crede nessuno. Come al solito hai voluto attirare l’attenzione su di te e su tua figlia! La giovane ragazza incompresa che non sapeva di essere una gene-portatrice! >> schioccò la lingua << Brava, Renée, come al solito sei riuscita a manipolare tutto! Sei tale e quale a tua nipote! >>
<< Non capisco perché dobbiate sempre tirar fuori la povera Rosalie. >> aveva mormorato mio padre, affinché tutti sentimmo.
<< Concordo con lui, Victoria. >> aveva detto Lady Lillian << E ci tengo a dire che questa conversazione è assolutamente insensata. Jenna ha detto chiaramente come stanno le cose, Renée ha capito; perciò, Victoria, ti prego di smetterla. >> quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Zia Victoria cominciò ad inveire contro tutto e tutti e mia madre, ovviamente, non si tirò indietro. La prozia Jenna, capendo che non era più aria, prese un libro dalla libreria e andò a leggere in camera sua; stessa cosa fece la nonna. Tanya si alzò improvvisamente, e con il suo fare elegante e silenzioso scomparve su per le scale.
<< Ehi, Bella! >> urlò Angela, spaccandomi il timpano destro << Ma ci sei? Ti sto chiamando da almeno dieci minuti! >>
<< Scusa, Angy. >> risposi, rivolgendole un sorriso << Mi ero persa nei miei pensieri. >>
Era Sabato pomeriggio, ed io e la mia migliore amica, ci trovavamo nella più grande biblioteca comunale, nel centro di Londra. Eravamo passate prima da Starbucks per prendere qualche muffin alla vaniglia e alla nocciola, e due milkshakes: uno alla fragola, per lei, e uno alla mente e cioccolato, per me.
<< Guarda cos’ho trovato su quel simpaticone del conte! >> disse Angela, indicando lo schermo del computer bianco che avevamo davanti.
Era proprio lui. Il ritratto che capeggiava di fronte a noi era identico a quello che avevo visto molte volte, nella loggia. Inoltre, dopo averlo conosciuto realmente, non potevo sbagliarmi. Aro Leopold Cooper, conte di Saint Germain (1703 – 1784), recitava la scritta sotto l’immagine del suo ritratto.
<< Questo sito sostiene che il conte di San Germano, o di Saint Germain, è nato nel 1703 – non si sa dove! –, vissuto nel XVIII secolo in Europa. Era un personaggio molto importante in Francia, soprattutto quando era molto giovane, ma compiuti i quarant’anni ha deciso di trasferirsi a Londra. >> mi spiegò Angela, rielaborando ciò che aveva da poco letto.
Avevamo deciso di usufruire dei computer della biblioteca per sicurezza. Casa mia era troppo trafficata e nessuno doveva sapere che Angela fosse a conoscenza del nostro segreto di famiglia. Gli unici che sospettavano qualcosa, ma che non avevano mai detto o accennato nulla a riguardo, erano i miei genitori. Fare questo tipo di ricerche a casa mia, però, poteva risultare pericoloso – oltre che molto stupido. Se Tanya avesse sospettato qualcosa sarebbe corsa a dirlo a sua madre che, a sua volta, avrebbe avvertito Lady Lillian… E a quel punto sarebbero stati guai!
<< Avventuriero, alchimista e personaggio di rilievo… >> lessi ad alta voce, per capire meglio << Le origini del conte, forse nato ad Asti, rimangono avvolte nel mistero: per alcuni si suppone che sia stato figlio illegittimo di Francesco II Rákóczi, principe di Transilvania e della principessa Violante Beatrice di Baviera, appartenente alla dinastia dei Wittelsbach e granduchessa di Toscana. Secondo questa teoria, sarebbe stato educato a Firenze da Gian Gastone de' Medici, cognato di Violante. Altre leggende lo vogliono figlio naturale della regina di Spagna, Maria Anna del Palatinato-Neuburg – vedova di Carlo II di Spagna –, e di un aristocratico, il conte di Melgar. Le sue attività erano quelle di cortigiano in viaggio tra Inghilterra, Francia, Olanda, Russia, Germania. Compare per la prima volta verso il 1740 esule dalla Francia introdotto alla corte di Inghilterra. Famoso per la sua grande cultura, abile musicista, conoscitore di molte lingue, pittore e soprattutto grande alchimista, produttore di portentosi cosmetici. Ebbe anche incarichi diplomatici e fu affiliato ad una società segreta dell'ordine dei Rosacroce. Viene citato nelle memorie di Giacomo Casanova ma anche Voltaire, Mozart, Madame de Pompadour e Cagliostro lo incontrarono. Alcune sue caratteristiche più stravaganti, come quella di sparire all'improvviso e di riapparire contemporaneamente in più luoghi, insieme alla sua attività protratta per molti anni, se non per secoli, indussero addirittura alcuni a pensare che non si trattasse di un'unica persona, ma di un di gruppo di individui con lo stesso aspetto e la stessa identità esterna introdotte presso le corti europee. >> il fischio di Angela mi costrinse ad interrompere la lettura.
<< Non sapeva tutelarsi bene, direi. >> disse, pensierosa << Insomma, non era molto furbo. >>
<< Non credo volesse esserlo, Angy. >> risposi, per poi riprendere la lettura << Tutto ciò che riguarda il conte di Saint Germain sembra indissolubilmente legato al mistero, e forse un po' anche alla fantasia, o piuttosto provenire da più arcani poteri e segreti iniziatici. Secondo la leggenda egli avrebbe trovato il segreto della pietra filosofale, per cui, a detta di molti, non invecchiava mai e poteva trasformare il piombo in oro e ingrandire le gemme. Per dare un'idea del fascino e del magnetismo che la figura di Saint Germain sembra aver esercitato sulla mente e sul cuore di tanti, si narra che alcuni lo abbiano incontrato molti anni dopo la sua morte ufficiale, e ancora oggi c'è chi dice che lo si possa incontrare a Roma, nel giorno di Natale, seduto nei giardini del Pincio. >> mi interruppi, riflettendo un attimo. Quello che vi era scritto sul conto del conte era troppo dettagliato e vicino alla verità, ma c’era un “ma” grosso come una casa: lui non aveva la pietra filosofale, in quanto la sua apparizione – o quello che doveva succedere – sarebbe avvenuta una volta completato il cerchio di sangue.
<< Bella, stai bene? >> domandò Angela, sventolandomi una mano davanti alla faccia.
<< Sì, pensavo una cosa… >> stavo per esporgliela, ma una voce alle nostre spalle mi interruppe.
<< Finalmente ti ho trovata! >> mi voltai di scatto e per poco non mi venne un infarto.
Era la prima volta che lo vedevo vestito in maniera meno formale: jeans a vita bassa stretti, infilati in un paio di Vans grigie, bordate di bianco, che si abbinavamo perfettamente alla sua felpa con cappuccio color antracite. I capelli erano sempre scompigliati, di quel castano-bronzeo molto strano, ma assolutamente attraente.
Scattai in piedi, frapponendomi tra me e lo schermo del computer, per evitare che leggesse la ricerca che io, insieme alla mia migliore amica – un’estranea alla loggia e alla famiglia –, stavo facendo.
<< Edward! >> strillai, producendo una voce stridula.
<< Isabella. >> salutò lui, togliendosi gli occhiali da sole. L’infarto di poco tempo prima stava per manifestarsi con effetti ancora più gravi. I suoi occhi erano di un verde molto intenso, troppo intenso. Avrebbe dovuto essere bandito, un colore così!
<< Edward? >> domandò Angela, fissandolo ad occhi sgranati.
<< Già, piacere. E tu sei…? >>
<< Angela! >> dissi, sembrando una cornacchia.
<< Bella! >> mi ammonì la mia amica, cercando di capire cosa stessi facendo.
<< Edward! >> le dissi, sperando che capisse che doveva chiudere la pagina di Google.
<< È forse un gioco? >> chiese lui, alzando un sopracciglio.
<< No. Ehm, cosa ci fai qui? >> domandai, spingendolo lontano dallo schermo. Con la coda dell’occhio notai Angela armeggiare con la tastiera e il mouse, così potei tirare un sospiro di sollievo.
<< Sono passato a casa tua, ma non c’eri. Così tua nonna ha chiesto a tua madre dove avrei potuto trovarti, ed eccomi qui! >>
<< E mi stavi cercando perché…? >>
<< Oh, non pensare male. >> disse subito, togliendosi dalla faccia ogni traccia di mezzo sorriso << Avrei altri piani per il Sabato pomeriggio, purtroppo però, secondo mio padre e Mr. Dwyer, dovrei darti qualche lezione di scherma e quant’altro. >>
<< Che cosa? >> domandai, contrariata. Perché lui doveva diventare il mio professore? Non era chiaro che mi detestava?
<< Lo so, sono sconcertato quanto te. >>
<< Non c’è nessun altro disponibile? >> tentai, sperando che mi dicesse di “sì”.
<< Purtroppo no. Ho fatto la tua stessa richiesta anche io, prima di prendermi questa responsabilità con tanto di rischio. >>
<< Rischio? >> domandai, inclinando il collo a destra << Oh, andiamo! Sei tu che potresti uccidermi “per sbaglio” mentre mi insegni a usare la spada. >>
<< Appunto. Poi, però, rischierei di andare in galera. >> sicuramente la sua risposta mi fece rimanere con la bocca spalancata, perché lo vidi trattenere una risata piuttosto rumorosa.
<< Posso rifiutarmi. >> risposi voltandomi, ma lui mi afferrò per il braccio.
<< No, non puoi. >> disse, ad un soffio dalla mia faccia << Senti, forse siamo partiti con il piede sbagliato… >> gli lanciai un’occhiataccia << D’accordo, sono partito col piede sbagliato, ma non ho nulla di personale contro di te. Non ti conosco nemmeno! Non devi piacermi, dobbiamo solo lavorare insieme. Oltretutto, se non ti convinco, passerò dei guai con mio padre… >>
<< In sostanza mi stai supplicando di salvarti il culo. >> parlai, senza accorgermi della finezza usata, se non dopo aver aperto bocca. Maledizione!
<< In altri termini, però sì. Credo che tu abbia anche bisogno di un corso accelerato con Giuseppe Salvatore. >> concluse pensieroso.
<< Con chi, scusa? >>
<< Una cosa alla volta. Avanti, prendi le tue cose. Ti aspetto in macchina. >> si rimise gli occhiali da sole, mi voltò le spalle e si diresse all’uscita.
<< Che succede? >> chiese Angela, una volta raggiunta. Sbuffai, scivolando sulla poltrona blu notte, posta davanti alla scrivania del computer.
<< Devo andare con lui. >>
<< Ma non sei già trasmigrata questa mattina? Mr. Dwyer ti ha fatto il favore proprio perché tu passassi un po’ di tempo con me. >>
<< Evidentemente ha cambiato idea. >> dissi, alzandomi. Afferrai la borsa e mi infilai la giacca << Hanno chiesto a Mr. Io so fare tutto meglio di te di impartirmi lezioni di scherma e non so che altro. >>
<< Quindi devi andare per forza. >> sussurrò, intristendosi.
<< Lo so, tesoro. >> dissi, abbracciandola << Odio anche io tutto questo, vorrei solo passare un po’ di tempo con te, invece… >>
<< Non ti preoccupare. Vai pure, però questa sera andiamo a divertirci, ci stai? >> domandò, allungando il mignolo destro affinché io intrecciassi il mio.
<< Ci sto! >> dissi e lo feci << Ti chiamo quando rientro, va bene? >>
<< D’accordo! Buon pomeriggio, allora, Bella. >> le baciai una guancia e corsi fuori.

Dopo dieci minuti non ero ancora riuscita a trovare Edward. Dove diavolo poteva essersi cacciato? Non avevo idea di come fosse venuto qui. La limousine della loggia? L’autobus? Possedeva una macchina, e se sì, quale?
Il clacson di un automobile argento metallizzato mi fece saltare per aria.
<< Allora? Ti muovi, Betty? >>
<< Cosa ti costa chiamarmi Bella? >> gli chiesi, voltandomi e appoggiai le mani sui fianchi << Insomma, sappiamo entrambi che sai come mi chiamo. >>
<< Betty ti si addice di più. Allora, vuoi salire o no? >> sbuffai, ma feci ciò che mi avevo detto.
L’auto non era affatto male. Una Volvo xc60, con interni totalmente neri, di pelle. L’abitacolo era caldo e molto accogliente, atmosfera assai curiosa visto il proprietario. La radio era accesa, a volume basso, e riproduceva una melodia classica.
Nonostante Edward non mi piacesse per niente, dovevo ammettere che fosse un ragazzo per bene; che dava molta importanza ai particolari. Sapeva muoversi e destreggiarsi in qualsiasi situazione. Lo avevo visto molto spesso in quei giorni, alla loggia, e non lo avevo mai beccato in situazioni imbarazzanti o stupide né, tanto meno, con un capello fuori posto. Era il classico tipo curato e pulito.
<< Ti sto aspettando da dieci minuti. >> aprì bocca e ruppe il mio idillio personale. Ben educato, sì; tipo curato e pulito, assolutamente; grandissimo stronzo, vogliamo dimenticarcelo?
<< Scusa, non trovavo la macchina. >>
<< Lo so, ti ho vista uscire. >> disse, ingranando la terza, dopo aver sorpassato un motorino << Volevo vedere quanto ci mettevi a capire dove fossi. Ahimé, ti ho sopravalutata! >> restai senza parole. Anzi, una l’avevo! Stronzo, stronzo, stronzo!
Il silenzio, eccezion fatta per la radio accesa, regnava all’interno dell’auto. Nessuno dei due proferì più parola, per tutto il resto del tragitto.
Il viaggiò, comunque, durò poco. In poco meno di trenta minuti avevamo parcheggiato all’interno di una grande residenza, che riconobbi essere – dalla targhetta d’oro posta sulla cassetta della posta – la residenza Cullen.
Greenwich era il borgo di Londra più importante e conosciuto, soprattutto per il fatto che, nel XIX secolo, fu convenuto di far passare proprio qui il meridiano avente longitudine zero, cioè il meridiano fondamentale o meridiano di Greenwich, per l’appunto. Il “borgo verde” era situato poche miglia ad Est della City, sulla sponda meridionale del fiume Tamigi.
<< Perché siamo qui? >> chiesi, vedendolo uscire dalla macchina.
<< Perché possediamo una palestra nel seminterrato e intendo usarla. >> rispose, dopodiché mi aprì la portiera affinché scendessi e lo seguissi.
Non entrammo in casa, ma scendemmo presso una scala – piuttosto stretta – del cortile. La villa era enorme, immersa nel verde del giardino, che si estendeva per diversi ettari di terreno. Era una costruzione bianca, con svariate tonalità di marrone. Non riuscii a vedere altro, però.
Persa nella mia poco umile contemplazione, non mi resi conto che Edward si era fermato per inserire la chiave nella toppa, così gli finii addosso, facendolo incavolare.
<< Stai più attenta! Ma non vedi dove metti i piedi? >>
<< Io? >> domandai irritata, anche se sapevo di essere in torto << Ti sei fermato di colpo, cosa pretendi? >> sbuffò, ma non rispose. Partiamo benissimo!, pensai sarcastica.
<< Vieni. >> disse lui, accendendo la luce e… rimasi senza fiato.
Quella palestra era di sicuro la più fica che avessi mai visto! Ovviamente, mi riferivo a quelle “fatte in casa”. La stanza era spaziosa e molto arieggiata, nonostante ricordasse un bunker, visto che non c’era neppure mezza finestra. Al soffitto, però, c’erano diverse ventole e sulle pareti, in basso, dei climatizzatori. Al centro vi era qualsiasi attrezzo potessi cercare o sperare di possedere: tapis roulant, panca per i pesi, tappetini per lo stretching, addominali, flessioni, e persino diverse spalliere al muro.
<< Sembra che tu non abbia mai visto una palestra in vita tua. >> disse Edward, superandomi, e andò ad aprire un piccolo magazzino << Oh, che sciocco! Evidentemente è così. >> non riuscivo a capire perché non riuscisse ad essere gentile nemmeno mezzo secondo. Insomma, non chiedevo molto. Non doveva confessarmi il suo amore, baciarmi o cadermi ai piedi, folgorato dalla mia bellezza, ma diamine! Sapeva solo farmi saltare i nervi.
Aprii la bocca per controbattere acida, come di consueto, ma la richiusi subito. Non mi andava di discutere, non quel pomeriggio. Volevo solo fare quella dannata lezione di scherma e poi andarmene a casa.
<< Come mai? >> domandò Edward, improvvisamente. Si appoggiò al muro, inarcando un sopracciglio, e incrociò le braccia al petto.
<< Come mai, cosa? >> chiesi, togliendomi la giacca e poggiando a terra la borsa.
<< Solitamente hai la lingua lunga. Adesso non hai battuto ciglio alla mia provocazione. >>
<< Appunto perché le tue sono sempre e solo stupide provocazioni per farmi irritare. >> dissi, senza nemmeno guardarlo in faccia << Non l’ho scelto io di essere il rubino, ok? Mi dispiace che il tuo sogno romantico sia andato in frantumi, ma non puoi continuare a prendertela con me. Da oggi si cambia aria, Cullen. Dimmi quello che vuoi, tanto litigherai da solo. >> mi stupii di me stessa. Da dove veniva tutta quella determinazione? << Adesso, se vogliamo cominciare, oppure chiamo un taxi e me ne torno a casa. >> quando alzai il viso, notai il suo sguardo fisso nella mia direzione.
Sgranai gli occhi quando cominciò a camminare verso di me, spedito come un treno. I suoi occhi verdi erano due fari accesi che brillavano di una luce che, purtroppo, non riuscivo ad identificare. Ingoiai la saliva, fino a percepire il mio cuore battere furente. Ebbi paura che mi volesse davvero uscire dal petto. La respirazione, poi, avevo dimenticato cosa fosse. Quand’è che ero entrata in iperventilazione?
<< Sogno romantico? >> fu l’unica cosa che uscì dalle sue labbra. Quelle stesse labbra che ti sei vista baciare…, disse una vocina nella mia mente. Mi allontanai di scatto, cercando di riprendere il controllo di me stessa. Cosa volevo fare? O, meglio ancora, cosa diavolo stavo aspettando che facesse?
<< Parlo di te e Tanya. >> dissi, con voce roca. Cercai di darmi un contegno e ripresi a parlare << Vi ho visti quel giorno, alla loggia. Come vi parlavate, come la consolavi… Tu mi odi perché sei innamorato di lei ed io ho rovinato tutto, dico bene? >> rimase in silenzio per un istante, poi scoppiò a ridere. Anzi, scoppiò proprio a ridermi in faccia!
<< Isabella, sei totalmente assurda! >> urlò tra le risate << Sembra una scenata di gelosia in piena regola! E… Oddio, con tutto il rispetto, ma non ne capisco il motivo. Io non sono di tua proprietà, non sono il tuo ragazzo, non sono niente per te. >> riprese tono, e tornò a fissarmi negli occhi, serio e deciso << Sei una ragazzina, Swan. Io non ti devo spiegazioni; non devo dirti se sono o meno interessato a tua cugina perché, in fin dei conti, non sono affari tuoi. Posso assicurarti, però, che Tanya era molto diversa da te; che stare con lei era mille volte più piacevole. Tu non capisci i sacrifici che io e lei abbiamo fatto, per tutta la vita! Tu non lo capirai mai! Quando a cinque anni eri a giocare nel parco, con i tuoi genitori, io ero a studiare storia; quando il Sabato sera uscivi con gli amici, io ero troppo stanco per alzarmi dal letto; mentre tu facevi tutto quello che ti interessava, che ti piaceva, io mi facevo il culo alle lezioni di buone maniere, di danza antica, scherma, equitazione! Quando le mie passioni erano ben altre! Tu hai viaggiato. Io sono nato e cresciuto in questa dannata città e da qui non potrò più andarmene! Quindi piantala di sputare sentenze, perché tu, Isabella Marie Swan, della mia vita non sai assolutamente niente. >> rimani impietrita. Gli occhi mi pungevano, ma non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi crollare a terra, in ginocchio, scossa da una miriade di singhiozzi.
<< E tanto perché tu lo sappia: se fossi innamorato di Tanya, non mi importerebbe granché che non fosse il rubino. Tample non è una trasmissione per cercare il vero amore, esiste il mondo reale. >> il mio viso era in fiamme, più per la collera che per altro, in quel momento << Ora che ci siamo detti tutto, direi che possiamo anche cominciare, non credi? >> non risposi, non feci nessun passo. Mi limitai a prendere un profondo respiro e a voltagli le spalle, per sbattere le ciglia e ricacciare indietro le lacrime.
<< Sei destrorsa o mancina? >> chiese improvvisamente. Mi voltai di scatto.
<< Cosa? >>
<< Vuoi che usi un concetto più semplice? >> domandò, lanciandomi una spada piuttosto sottile dal manico lungo e tondo << Destrorso sta ad indicare chi utilizza prevalentemente la mano destra; mancino, invece… >>
<< So cosa vogliono dire! >> sbottai, bloccando il suo monologo << Dio santo, non sono così deficiente! >>
<< Bene, allora dimostrami cosa sai fare con la spada. >> mi lanciò un elmetto bianco e cominciò la lezione.
Il pomeriggio passò, principalmente, con me col culo per terra. Edward, nonostante il suo pessimo carattere, era un bravo insegnate; il problema ero io. Ero assolutamente negata. Mi insegnò, comunque, i passaggi base: il saluto, le posizioni, l’offesa – l’insieme delle azioni che tendono a determinare il colpo –, la difesa – i movimenti che hanno lo scopo di evitare il colpo – e, per concludere, la controffesa – un’azione di offesa in contrapposizione con l’offesa dell’avversario. Avevo centinai di termini che mi vorticavano in testa, ma l’unica cosa che percepivo erano i muscoli che si tendevano fino a farmi un male del diavolo.
<< Direi che possiamo andare. >> disse Edward, a lezione finita.
Avevo atteso quella frase per tutto il giorno.

Arrivai a casa ad ora di cena, ma non avevo per niente fame.
L’unica cosa che desideravo era farmi un bagno caldo e sprofondare nelle morbide pieghe del piumone del mio letto. Mia madre non mi fermò, forse avevo la faccia più penosa di quello che immaginavo.
Il bagno caldo non mi rilassò molto, anzi quasi per niente. Non riuscivo a togliermi dalla testa le parole di Edward e il tono cattivo, duro e freddo che aveva usato. Non capivo, però, perché mi ferisse tanto il suo comportamento. In fin dei conti, nemmeno lo conoscevo davvero. Passavamo qualche ora insieme, quando andava bene, altrimenti trasmigravo da sola, nella stanza del cronografo. Eppure la sua freddezza mi lasciava una strana sensazione addosso, come se volessi altro. Chiusi gli occhi e fu un grosso sbaglio. Vidi di nuovo come sorrideva a mio cugina, come era stato dolce ed educato con lei. Come puoi pretendere che ti guardi o che ti tocchi come faceva con lei?, domandò quella che doveva essere la voce della mia coscienza. Non hai nulla che può attrarre un ragazzo. Tanya, nonostante il suo carattere di merda e la sua arroganza, è bella, intelligente… Tu cos’hai? Dei banalissimi capelli scuri, degli occhi insignificanti. Edward non ti noterà mai.
Scivolai lungo la porta del bagno e cominciai a piangere. Non solo per le parole di Edward o per quelle che mi erano ronzate in testa, pochi minuti prima. Dovevo sfogarmi, lasciare che l’ansia e il nervosismo della giornata passasse, portandosi via tutto.
Rimasi sul pavimento del bagno per ore, avvolta solo dal un piccolo asciugamani celeste. Dopodiché, decisi di alzarmi e infilarmi sotto le coperte e dormire, dormire…
La vibrazione del mio telefonino mi ridestò quasi subito. Erano le dieci, il messaggio era di Angela: “Immagino che ti sia dimenticata del nostro appuntamento. Non fa nulla, sarai sicuramente stanca… Tranquilla, non me la prendo! Però, domani mattina chiamami. Un bacio e dormi bene, Bella. Ti voglio bene, A.”
Solo il costo dell’iPhone mi impedii di lanciare il cellulare, affinché si sgretolasse in mille pezzi. Mi ero dimenticata di Angela, del nostro appuntamento. Ero un’amica pessima, davvero pessima.
Prima che Morfeo mi trascinasse nel suo mondo, cercai di fare il punto della situazione. Mi ero sempre chiesta, in quei giorni, cosa sarebbe cambiato nella mia vita una volta aver ammesso il mio stato di gene-portatrice. Prima non ero stata in grado di trovare una risposta, ma adesso sì.
Tutto. Era tutto cambiato. E tutto, purtroppo, sarebbe stato destinato a cambiare ancora.

* Il pezzo scritto in corsivo sul conte di Saint Germain, è stato preso da Wikipedia, cambiando alcune informazioni, affinché essere fossero utili alla mia storia.

In questo capitolo volano scintille e il mito di Edward già cotto di Bella - come molte di voi hanno pensato e scritto nelle recensioni - si disintegra. Edward non è affatto cotto di Bella, non c'è stato alcun colpo di fulmine o annessi, è semplicemente così. Il suo carattere è stato forgiato da un'infanzia persa, da desideri che, alla fin fine, accomunano tutti: fare ciò che si vuole, viaggiare. Edward vede in Bella solo una ragazzina che ha avuto una vita semplice che lui, in fin dei conti, invidia.
Non mi prolungo molto, oggi, perché tutto ciò che volevo far capire l'ho scritto nel capitolo. Anche gli altri personaggi hanno fatto la loro ricomparsa XD facendo capire che a villa Hale le cose non vanno proprio benissimo. Cosa ne pensate?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti, e ricordo anche il mio blog:Violet Moon (Blog).

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Capitolo 10
*** #9. ***


Buon pomeriggio a tutti! Come state? Oggi il tempo è a dir poco schifoso XD ma ho sentito che è un po' così in tutta Italia.
Prima di lasciarvi al capitolo, ci tenevo a ringraziarvi tutti di cuore! Siete dei lettori a dir poco fantastici *-* mi seguite in tantissime e mi commentate anche, quindi grazie mille!
Adesso vi lascio alla lettura perché ho un paio di cose da dirvi XD ci si rilegge in fondo! Buon capitolo :)

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9.

« La verità più autentica è quella scoperta nel silenzio,
il resto è distorsione. »
Antonio Pistarà.

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<< Che grandissimo stronzo! E non aggiungo altro perché sono una signora! >>.
Era cominciato così l’ennesimo Lunedì mattina alla Saint Lennox. Il giorno prima, a causa di svariati impegni, non riuscii a spiegare nulla – del Sabato pomeriggio, passato con Edward – ad Angela. Avevamo deciso, quindi, di fare colazione insieme e poi avviarci a scuola.
Secondo Angela, nonostante il ragionamento di Edward potesse essere facilmente compreso – era vero, d’altronde, che io non sapessi nulla della sua infanzia o della sua vita –, non accettava il tono con il quale esso era stato esposto. Io, dal canto mio, avevo passato un week end tremendo! Lezioni di scherma, di ippica, di combattimento. L’unica fortuna, e non sapevo chi dovevo ringraziare per questo, era che non vidi Edward nemmeno per un istante. Si era recato alla loggia la Domenica mattina, mentre io fui scortata a Temple qualche ora prima di cena. Forse non voleva vedermi, pensai, sospirando. Non potevo dargli torto, in fin dei conti nemmeno io impazzivo all’idea di trovarmelo davanti.
<< Ha ragione la tua prozia, questi Cullen sono proprio arroganti e insopportabili! >>
<< Non tutti, Angy. >> le dissi, prendendo posto nell’aula di spagnolo << I genitori sono delle persone a modo. >>
<< E lo zio? >> chiese, alzando un sopracciglio << Andiamo! Ha sedotto tua cugina, portandola alla morte, e ha perfino rubato il vecchio cronografo. >>
<< Questa storia mi fa ancora venire la pelle d’oca. >> ammisi ad alta voce.
Non riuscivo a crederci. Non potevo crederci! Non conoscevo Rosalie, ma com’era possibile che fosse morta? Che fossero morti. Nulla, in quella faccenda, aveva senso. Perché Emmett avrebbe dovuto circuire mia cugina, poi? Insomma, il cronografo avrebbe potuto anche rubarlo da solo, senza troppi preamboli. Le chiavi le aveva tua madre, Bella…, disse una vocina nella mia testa. Possibile che fosse tutto vero? Edward la diceva lunga sui leciti comportamenti della sua famiglia. Non li conoscevo in fondo. Avrebbero potuto essere qualunque cosa, anche degli arroganti, proprio come li aveva descritti la prozia Jenna. Magari – e volevo sottolineare il “magari” – sotto i visi angelici di Esme e Carlisle si celavano due diavoli.
<< Buenos días, chicos! >> urlò Mrs. Montez, entrando in classe. Ricambiammo il saluto e aprimmo il libro, in attesa delle indicazioni della professoressa.

La mattinata passò in fretta e, senza nemmeno rendercene conto, ci ritrovammo in mensa, all’ora di pranzo.
La fila per prendere i piatti si stava facendo insopportabile e i miei piedi reclamavano pietà. Non mi ero ancora totalmente ripresa dal week end frenetico che avevo appena trascorso.
<< Basta! >> sbottai, facendo girare mezza sala. Decisi, così, di abbassare la voce << Angy, io ci rinuncio. Non riesco più a stare in piedi, ti aspetto al tavolo. >>
<< Guarda che se mi lasci qui da sola non ti prendo nemmeno una patatina! >> mi minacciò, guardandomi in tralice.
<< Non fa niente, mi è passata la fame. >> le dissi, afferrando la sua borsa marrone << Ti porto questa al tavolo, tu aspetta pure per il cibo. >> le schioccai un bacio sulla guancia e mi apprestai a raggiungere un tavolo vuoto, vicino alla vetrata più ampia che dava sul cortile interno.
Come al solito, il cielo era scuro, coperto di grosse nuvole nere cariche di pioggia. La nebbia, poi, era immancabile. Londra era famosa per la sua quotidiana foschia da film horror.
Assorta nei miei pensieri, non mi resi conto del vassoio giallo – stracolmo di cibo – che mi scivolò sotto il naso.
<< Angela, ti avevo detto che… >> ma non riuscii a concludere la frase. La lingua mi si bloccò in bocca e gli occhi mi si sgranarono. Due occhi verdi, piuttosto scuri, mi fissavano con attenzione, mentre sulla sua faccia era stampato un sorriso molto ampio, che gli metteva in evidenza i denti perfettamente bianchi.
<< Ho sentito che non ti andava di fare la fila, ma hai passato un week end piuttosto stressante. Fidati di me e mangia qualcosa, intesi? >> mi strizzò l’occhio e tornò da dove era venuto.
Rimasi immobile per diversi minuti. Cosa voleva da me, Jasper Cullen? Era stato infinitamente gentile, ma non comprendevo il perché di tutta quella gentilezza. La cosa che mi lasciò perplessa, però, era la somiglianza con suo fratello maggiore. A parte qualche piccola differenza – come il colore degli occhi di qualche tonalità più scura, il suo normale colorito castano ai capelli – la fisionomia era quasi identica. La stessa fossetta quando sorrideva, la dentatura bianca, la mascella squadrata…
<< E quello da dove esce? >> chiese Angela, sedendosi di fronte a me << Come hai fatto a procurarti tutto quel cibo? >>
<< Ehm, è stato Jasper. >> risposi, notando che quella risposta risultasse strana perfino a me che l’avevo pronunciata.
<< Jasper? >> domandò Angy, alzando un sopracciglio << Jasper… Cullen? Il fratello minore di Edward, alias stronzo, Cullen? >>
<< Sì. >> risposi, guardando il vassoio. C’era di tutto: dalla pizza all’insalata mista, in vaschetta; dal puré di patate alla torta di spinaci; dal succo alla fragola fino al budino al cioccolato! Per non parlare, poi, del sacchettino di frutta.
<< È stato carino. >> disse Angela, soprapensiero << Lo è stato, no? Chissà perché. >>
<< Ha detto che ha sentito che ero stanca, ma non mi faceva bene non mangiare. Non so dove abbia preso tutta questa roba, però. >>
<< Chi se ne frega, Bella! Io ho recuperato solo una banana, e tu devi mangiare. Non chiedere quando hai tutto questo ben di Dio davanti, capito? >> scoppiai a ridere, vedendola avventarsi sui tranci di pizza. Con la coda dell’occhio, però, notai che Tanya si era avvicinata a Jasper e, senza capire cosa gli avesse detto, lo scortò fuori dalla mensa.
Dal punto in cui mi trovavo non riuscivo a capire nemmeno una parola e, purtroppo, nessuno mi aveva insegnato a leggere il labiale. Era chiaro, comunque, che il giovane Cullen non apprezzasse la compagnia di mia cugina.
Il resto della giornata passò tranquillamente. E, senza neppure che me ne rendessi conto, la campanella che segnava la fine dell’ultima ora suonò.
<< Non vedevo l’ora che finisse, questa giornata. >> borbottai, uscendo dall’aula di letteratura inglese.
<< Ti vedo. Sei a pezzi, amica mia. >> sussurrò Angela, passandomi un braccio intorno alle spalle. Stavo per rispondere, quando qualcuno mi si parò davanti.
Era senza dubbio un bel ragazzo: capelli biondi, legati in una coda bassa; occhi azzurri; fisico atletico. Era più grande di noi. Da quel poco che ricordavo, ripensando alla nostra prima conversazione, doveva avere pressappoco vent’anni.
<< Buon pomeriggio, Miss Isabella. >> disse, sorridendo ampiamente.
<< Ciao James. >> risposi, cercando di non dare troppo nell’occhio << Era da un po’ che non ti vedevo in giro, dove sei stato? >>
<< Sempre qui, Milady. >> rispose, unendo le braccia dietro la schiena. Era vestito con abiti tipici del Seicento. Lo stile, da quel poco che avevo capito sentendo parlare Alice, alla loggia, doveva essere Barocco. Indossava una casacca con spalline, blu scuro, che lasciava vedere la camicia bianca indossata sotto, con grandi maniche larghe e un ampio colletto bordato di pizzo. I pantaloni, che ricordavano più una calzamaglia, erano beige, inseriti in un paio di stivali da cavallerizzo.
<< Miss Isabella, mi sta ascoltando? >>
<< Cosa? >> domandai, sbattendo le palpebre. Mi ero incantata.
<< Che modi! E che maleducazione! Io le parlo e lei pensa ad altro? Indecente, assolutamente indecente! >> urlò, e scomparse sotto i miei occhi. Sbuffai, sapendo che non aveva proprio tutti i torti.
<< James? >> domandò Angela, guardandosi attorno.
<< Sì, è riapparso, ma a quanto pare il mio essere soprapensiero è – testuali parole, eh! – indecente, assolutamente indecente! >> dissi, cercando di imitare il suo strano accento. Angela, dal canto suo, scoppiò a ridere di gusto.
<< Se fai ridere in questo modo la tua amica, deduco tu non sia così malaccia come dicono. >> disse una voce vicina al mio orecchio. Sobbalzai, finendo addosso ad Angela che, stando vicina alle scale, stava per perdere l’equilibro. Fortunatamente, il ragazzo, afferrò entrambe prima che rotolassimo giù per quattro rampe di scale.
<< Scusate, non volevo uccidervi! Giuro. >>
<< Tu sei Jasper, dico bene? >> domandai, cercando di calmare il mio cuore impazzire. Miseria, questa volta me la stavo per fare sotto!, pensai.
<< E tu sei Isabella Swan. >> disse lui, sorridendomi amichevole. A differenza di suo fratello, Jasper, aveva un sorriso che contagiava anche gli occhi. Niente in lui sembrava arrogante. Né il tono di voce, né lo sguardo, né il sorriso che ci stava mostrando.
<< Io sono Angela… >> tentò di dire la mia migliore amica, ma fu interrotta.
<< Lo so, sei la ragazza che esce con Eric, dico bene? >> a quella domanda la vidi avvampare, diventando lentamente rosso fuoco.
<< C…cosa!? No, cioè… Ma come ti è venuta questa idea? >> domandò, balbettando. Mi feci scappare un ghigno e lei, di tutta risposta, mi pestò un piede. Mi morsi il labbro inferiore, per evitare di fare figuracce davanti a Jasper Cullen.
<< Oh, scusami! Avrò capito male, allora. >> rispose lui, sghignazzando. Ecco, in quel momento sì che mi ricordava suo fratello!
<< Cosa vuoi da me, o da noi, Jasper? >> domandai, cercando di non perdere la pazienza. Se ci aveva fermate per prendere in giro la mia amica, aveva sbagliato persona. Non mi risultava difficile detestare i Cullen, né prenderli a calci in…
<< Devo parlare con te, Isabella. >> rispose, prima che terminassi il mio colorito pensiero.
<< Adesso? >> chiesi, lanciando un’occhiata prima a lui e poi ad Angela, per finire all’orologio che avevo al polso << Non so se… >>
<< In privato, se la tua amica vuole scusarci un momento. >> mi interruppe lui, spostando lo sguardo tra me e Angela. Non sapevo cosa fare. Non mi andava di allontanarmi con quel ragazzo né, tanto meno, abbandonare la mia migliore amica per l’ennesima volta. Senza contare, poi, che mi stavano aspettando a Temple, per farmi trasmigrare qualche ora e non potevo di certo arrivare in ritardo.
<< Bella? >> mi chiamò Angela, trascinandomi in un angolo << Io credo che voglia parlarti della loggia. >> sussurrò, in tono così basso che persino io feci fatica a sentire le sue parole << Pensaci, è un po’ sbruffone, va bene, ma è un Cullen. Sicuramente è al corrente della particolarità della sua famiglia, come ne eri al corrente tu. Da quello che ho sentito in giro, Jasper, non è come suo fratello maggiore, anzi tutto il contrario! Se vuole parlarti in privato, dopo che lo hai visto discutere con tua cugina, beh… io ti consiglierei di parlarci! >> la guardai di traverso e la vidi annuire. Forse aveva ragione, però…
<< Angy, non voglio piantarti in asso un’altra volta. Non faccio altro in queste settimane… >>
<< Sciocchezze, Bella! Non lo fai perché vuoi farlo, ma perché sei costretta a farlo. Una vera amica queste differenze le capisce. >> disse, strizzandomi l’occhio << Ti aspetto all’uscita! Vedrò se Mike e gli altri hanno ancora da dire qualcosa sulla Mercedes di quel tuo amico che ti viene a prendere ogni tanto! >> urlò, allontanandosi da noi. L’adoravo, non poteva essere altrimenti.
<< Allora, posso parlare? >> domandò Jasper, dietro di me. Si era avvicinato così tanto – e di soppiatto – se ci mancò poco perché saltassi in aria per la paura.
<< D’accordo, parla. >> dissi fredda, voltandomi. Incrociai le braccia sotto il seno e alzai un sopracciglio. Non avevo niente contro di lui, ma il ragazzo che era uscito fuori negli ultimi cinque minuti, mi fece ricredere molto sul metro di giudizio che usavo per inquadrare le persone.
<< Ritira gli artigli, però, Bella. >> disse, facendosi scappare un ghigno << Davvero, non sono sul fronte di guerra. Lo giuro! Se avessi una bandierina bianca la sventolerei. >> affermò, tastandosi le tasche della divisa.
Come noi ragazze, anche i ragazzi avevano un abbigliamento prestabilito. I pantaloni erano lunghi, blu scuro, intonati alla giacca. Essa era semplice: sfoggiava lo stemma della Saint Lennox sul taschino sinistro, e aveva solo tre piccoli bottoncini. La camicia azzurro pastello e le scarpe scure, lucide, definivano il tutto.
<< D’accordo, scusa, ma arriva al punto, Jasper. >> risposi, assumendo una posizione meno fiera e rigida << Devo andare a Temple, se arrivo di nuovo in ritardo tuo fratello mi ammazza. E sinceramente ne ho piene le palle delle sue critiche su tutto quello che faccio. >>
<< Edward non è come lo descrivi, ma ho sentito dire che ti sta dando parecchio filo da torcere. >>
<< Parecchio? Tu non hai nessuna vaga idea di quanto lui sia stronzo con me. >>
<< Forse hai fatto qualcosa di… >> lo fulminai con lo sguardo, impedendogli di continuare quella bestemmia. Io avevo fatto qualcosa a lui? Eravamo davvero entrati nella fantascienza, adesso. << D’accordo, scusa! Non sono affari miei. Volevo solo dirti che non verrà nessuno di Temple a prenderti, oggi. Ti porto io. >>
<< Ah… >> risposi, mordendomi il labbro inferiore. Quindi è questo che voleva dirmi!, mi dissi mentalmente.
<< Ti aspettavi altro? >> chiese, indicandomi le scale. Lo seguii, e ci incamminammo verso l’ingresso dell’istituto.
<< No, no. Sinceramente non pensavo a niente. >> ammisi, camminandogli accanto.
Mi ricordava davvero molto suo fratello. Spalle larghe, corpo perfetto, lineamenti spigolosi. Doveva essere un gene di famiglia, tutti i Cullen erano indubbiamente molto belli.
<< Tanya ha ragione, sei una ragazza bizzarra. >> disse, sghignazzando.
<< Oh, per l’amore del cielo! >> urlai, inchiodandomi dov’ero << Possibile che voi Cullen di sesso maschile non sappiate valutare le persone secondo il vostro punto di vista? Tanya ha detto, Tanya ha fatto. Diamine, Tanya racconta solo una marea di stronzate! >> conclusi irritata, ma lui scoppiò a ridere di gusto. Cosa avevo detto di tanto divertente?
<< Scusami, non volevo riderti in faccia! >> disse, tra i singhiozzi << Solo che papà aveva ragione, darai proprio del filo da torcere a mio fratello! >> concluse, cercando di placare la sua ilarità << E comunque, non ho mai sopportato tua cugina. Il mio “bizzarra” è molto diverso dal suo. >> precisò, una volta tornato serio << Adesso che ci siamo chiariti, possiamo andare a Temple, signorina? >> annuii leggermente, arrossendo. Forse, una volta tanto, mi ero sbagliata. I Cullen, almeno uno o due, non era totalmente imbecilli.

Una volta salutata Angela, seguii Jasper verso il parcheggio. L’auto che mi trovai davanti era senza dubbio una favola. Blu notte, vetri oscurati, tirata a lucido. Gli interni erano di pelle nere, due posti e full optional – con tanto di TV incorporata. Era un’Audi R8.
<< Vi trattate bene in famiglia, vedo. >> dissi, una volta salita e imboccata la strada per Temple. Lui sorrise, ma non disse nulla.
<< Quindi sei tu il rubino. >> parlò, rompendo l’innaturale silenzio che si era creato.
<< A quanto pare… >>
<< Da quello che ho capito, i tuoi genitori hanno insabbiato un bel po’ di cose. >>
<< Volevano proteggermi! >> dissi subito, cercando di prendere le loro parti.
Nonostante non capissi totalmente la loro decisione di tenermi allo scuro di tutto, non potevo permettere che qualcun altro mettesse bocca sulla mia famiglia.
<< Non ne dubito. >> disse, ingranando la quinta. Tra lui e suo fratello, dovevo ancora decidere chi era il più pazzo al volante! << Sai, non li condanno. Ho visto Edward spaccarsi la schiena per anni, buttando nel cesso la sua infanzia… Comprendo perché i tuoi genitori hanno fatto questa scelta. Per essere onesto, però, capisco più tuo padre che tua madre. >>
<< Perché, scusa? >>
<< Quando Emmett e Rosalie facevano parte del cerchio dei dodici, lei era molto attenta alle loro necessità. Nonostante abitasse a, mmm… >>
<< Forks. >> lo aiutai, capendo che quel paesino era così sperduto che in pochi ricordavano il suo piccolo nome.
<< Ecco sì, Forks. Nonostante si fosse trasferita lì, con tuo padre, non perdeva occasione di tornare qui, a Londra, per incontrare tormalina nera e zaffiro. >> ricordai che anche Mr. Dwyer li aveva chiamati così.
Secondo la tavolozza dei dodici viaggiatori, ognuno di essi – di noi, dunque – corrispondeva ad una pietra e ad una nota musicale. Emmett Cullen era la tormalina nera, nonché il mi minore; mia cugina, Rosalie Hale, lo zaffiro, nota anche come fa. A seguire c’eravamo Edward ed io. Lui il diamante, nonché fa diesis ed io il rubino, oppure sol. Per non parlare poi degli animali o dei segni zodiacali a cui il cerchio faceva riferimento.
Avevo cercato di apprendere il più possibile, ma ancora troppe cose mi risultavano complicate.
<< Mia madre era molto legata a sua nipote. >> dissi, sperando che non fosse passato troppo tempo da quando Jasper aveva parlato.
<< Infatti si è visto. Non ha pensato un secondo a sgraffignare le chiavi di tuo nonno e consegnarle a loro. >>
<< Le chiavi di mio nonno? Non capisco. Cosa c’entra il nonno in tutta questa faccenda? >>
<< Ma come, non lo sai? >> domandò lui, alzando un sopracciglio. Evidentemente pensava che lo stessi prendendo in giro << Tuo nonno fu il Gran Maestro della loggia, prima di mio padre. >> rimasi a bocca aperta. Un’altra cosa di cui non ero a conoscenza. Fantastico!, pensai.
<< Cos’altro sai, Jasper? E come fai a sapere tutte queste cose, soprattutto? >>
<< Sono sempre stato un po’ un impiccione, quindi origliavo molto, quando ero piccolo. Senza contare che mio fratello si fida di me, perciò mi racconta moltissime cose. >>
<< Cos’altro sai? >> ripetei, notando che aveva deliberatamente saltato quella domanda.
<< So che Emmett e Rosalie non erano i santi che crede tua madre, Bella. >> disse serio, guardando la strada << Non fu solo l’amore a spingerli a rubare il cronografo, il loro era un paino premeditato. Per colpa loro il vecchio cronografo è andato perduto e mio fratello è da due anni che salta in qualsiasi epoca per recuperare il sangue di tutti gli altri viaggiatori, sperando di trovare l’oggetto tubato o i due traditori. >>
<< Ma si pensa che siano morti! >>
<< Gli Annali del 1912 dicono questo, ma non abbiamo conferma del fatto che siano realmente morti. >> sorrise, ma era un riso amaro << Sinceramente non so cosa sia meglio, per loro. Se dovessero trovarli, non oso immaginare cosa gli farebbero. Il cerchio dei dodici è stato creato per qualcosa di importante, di superiore… Ma affinché esso sia realmente completo, il cronografo deve avere al suo interno il sangue di tutti i dodici viaggiatori. Adesso, Isabella, capisci quanto è compromessa questa missione? >> non risposi, ma annuii.
Capivo. Capivo eccome! Emmett e Rosalie aveva fatto un gran casino! E mia madre li aveva aiutati. Dovevamo per forza trovare il vecchio cronografo, altrimenti il cerchio non si sarebbe mai completato. Se Rosalie ed Emmett erano davvero morti, come avremmo fatto a mettere il loro sangue nel cronografo del 2011? Ti stai ponendo le domande sbagliate, Bella!, urlò una voce dentro la mia testa. La domanda è: perché lo hanno fatto? E perché tua madre li ha aiutati, sapendo ciò che avevano in mente? Una lampadina si accese all’improvviso, rispondendo ad un quesito che non mi ero mai posta realmente: ecco perché nessuno si fidava di me; ecco perché Edward non si fidava di me. Io ero la figlia di Renée Hale. La mia famiglia era marchiata come traditrice.
<< Siamo arrivati. >> disse Jasper, posteggiando all’interno del parcheggio della loggia.
Non mi ero nemmeno accorta di quanto il tempo fosse volato. Le riflessioni e le informazioni, soprattutto, mi aveva completamente occupata.
<< Grazie del passaggio, allora. >> gli dissi, aprendo la portiera.
<< È stato un piacere, Bella. >> disse Jasper, sorridendomi.
<< Anche per me. >> ricambiai il sorriso e mi apprestai a raggiungere l’ingresso.
Entrata nell’immenso edificio andai da Esme, che stava sistemando un blocco di fogli pesanti. Appena mi vide, comunicò il mio arrivò e mi scortò nella sala del drago, dove avrei trovato Mr. Dwyer, il quale mi avrebbe portato nella stanza del cronografo.
Durante il piccolo tragitto, nessuno parlò. Finché non andai a sbattere contro qualcuno, girando l’ennesima colonna.
<< Mi scusi. >>
<< Guarda quando cammini, ogni tanto. >> disse una voce. La sua voce.
Alzai la testa di scatto e mi immersi in due fantastici occhi di smeraldo. Il cuore cominciò a battermi più veloce, e in quel momento lo odiai.
Mi diedi un contegno e feci un passo indietro, rimettendomi in posizione totalmente dritta. Alzai il mento, scuotendo i lunghi capelli mossi, e superai Edward senza nemmeno ribattere al suo commento.
<< Domani dobbiamo tornare dal conte, spero che tu sia preparata. >> alzai un sopracciglio, ma non risposi né mi voltai << Quando qualcuno ti parla è buona educazione rispondere! >>

<< Domandare è lecito. >> dissi, fermandomi, ma senza voltarmi a guardarlo << Rispondere è cortesia. >> e detto quello, sotto una risatina trattenuta di Esme Cullen, mi preparai mentalmente alla mia ennesima trasmigrazione, in uno scantinato buio, a fare i compiti per il giorno dopo.
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Fa la sua comparsa diretta un nuovo personaggio - che comunque abbiamo visto già qualche capitolo fa, in modo indiretto -, cioè Jasper Cullen, il fratellino minore di Edward. Notiamo che il carattere di Jasper è diverso, mentre per alcuni tratti molto simile, a quello del fratello. Nonostante questo, però, Jasper spiega alla nostra Isabella molte cose interessanti... Tornano ancora i nomi di Rosalie ed Emmett, ma la domanda di base resta ancora: sono realmente morti? E se non lo sono, come dice anche Jasper, dove sono? Altre informazioni sui dodici viaggiatori escono fuori. Ognuno corrisponde ad una gemme, ad un animale, ad una nota musicale... e a molto, molto altro.
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

ATTENZIONE!
Scusate se richiamo nuovamente la vostra ttenzione, ma ci tengo moltissimo a questa cosa. Il 15 Aprile 2012 sarà il primo centenario dell'affondamento del Titanic. Sul mio blog [ > specialmente in questo post: Una data da ricordare ] ho spiegato una mia idea per commemorare quel tragico incidente di, ormai, cento anni fa. Se vi va dateci un'occhiata... L'idea base, comunque, riguarda una one-shot sul fandom di Twilight, o per meglio dire una flash-fic di due capitoli, che verrà pubblicata una parte - la prima parte - domani, in onore della partenza; la seconda, ma soprattutto ultima, parte verrà pubblicata Domenica 15 Aprile, in ricordo dell'affondamento avvenuto nelle prime ore della mattina.

Mando un bacione a tutti, e ricordo il mio blog:Violet Moon (Blog).

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Capitolo 11
*** #10. ***


Buon pomeriggio a tutti, qui il tempo è tremendo - lampi, tuoni, pioggia esagerata - da voi? Mi chiedo: quando arriverà finalmente la primavera? Sto per rinunciarci -.-'
Tornando a noi, prima di lasciarvi a Edelstein - L'amore attraverso i secoli, ci tenevo a ricordarvi che il week end appena passato - cioè il 14/15 Aprile - è stato il centenario dell'affondamento del Titanic. Per quella data, ho voluto fare dei piccoli gesti commemorativi, tra cui una flashfic di due capitoli. Vi lascio di seguito il link, nel caso vi facesse piacere leggerla. Il fandom è quello di Twilight e i motivi per cui ho voluto usare quel fandom sono tutti scritti nelle note della storia.


Ora vi lascio al capitolo e buona lettura!

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10.

« L'esperienza non ha alcun valore etico:
è semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri errori. »
Oscar Wilde.

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Nonostante cominciassi ad abituarmi a quella vita totalmente assurda, mi suonava ancora molto strano vedermi indossare quei vestiti. Miss Brandon era una maga nel suo lavoro.
Mi stavo preparando per l’ennesima trasmigrazione, ma questa volta non ci sarebbe stato uno scantinato buio ad attendermi, ma la residenza del conte di Saint Germain.
<< C’è qualcosa che non va, Bella? >> domandò Alice, mentre mi sistemava l’enorme gonna del vestito. Lo stile era quello della volta passata, il Rococò, cambiava solo il colore. L’abito era rosso scuro, formato da un corpetto aderente di qualche tonalità più chiara, terminante a punta, e doppia gonna esageratamente larga sui fianchi, sostenuta dal panier. Le maniche, come l’altra volta a gomito, terminavano in una cascata di pizzi di diverse lunghezze. Il colore ricordava un bianco sporco.
<< Bella? >> mi richiamò Alice e a quel punto mi ricordai che mi aveva posto una domanda.
<< Scusami, ero soprapensiero. >> dissi e poi mi affrettai a rispondere << Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? >>
<< Sei silenziosa, oggi. Hai discusso di nuovo con Edward? >> non risposi, nonostante la verità non fosse lontana.
Dopo la mia sparata – o presa di posizione, dipendeva dai casi – del giorno prima, Edward non mi degnava più di uno sguardo né di una parola. Come hai detto tu: domandare è lecito, rispondere è cortesia!, aveva detto. Non vedo il motivo per cui parlarti, quando è chiaro che io non piaccio a te e tu non piaci a me. Andiamo dal conte, facciamo questi benedetti salti insieme, quando è necessario, e basta. Il mio atteggiamento mi si era ritorto contro. Quelle furono le prime e ultime parole che, Edward Cullen, mi aveva rivolto quel pomeriggio. Erano anche le ultime che mi avrebbe rivolto da ora in avanti, da quel che diceva.
<< No, è tutto come al solito. >> mentii, cercando di convincere più me stessa che lei << Sono arriva da un’ora e mi ha dato il suo caloroso benvenuto, quindi direi che per oggi siamo a posto. >>
<< Edward non è così cattivo. >> disse Alice, mentre mi faceva accomodare su una sedia girevole da parrucchieri << Ha un caratteraccio, è vero, ma è sempre molto educato e rispettoso. Non capisco perché ti tratti in questo modo. >>
<< Magari non è lui il problema, sono io. >> affermai, torturandomi le dita delle mani << Non è la prima volta che sento questo frase… “Edward non è così stronzo, non so perché si comporta così”, magari non gli piaccio e basta. >> attesi una risposta, ma non arrivò.
Nonostante la mia tristezza, avendo paura di aver centrato il punto, fui sollevata di troncare il discorso. Sarei dovuta stare con Edward per le prossime quattro ore, non volevo parlane anche adesso.
<< Come mai sei finita qui, Alice? >>
<< Che vuoi dire? >> chiese, mentre mi intrecciava i capelli. Le sue mani erano così delicate che mi sarei perfino potuta addormentare sotto il loro tocco.
<< Come mai fai la sarta e non fai un lavoro normale? Hai la mia età, ma non mi pare che tu vada a scuola. >>
<< Infatti è così, mi sono diplomata all’età di sedici anni. >> sgranai gli occhi, urlando un “Cosa!?” che fece scoppiare in una fragorosa risata la mia nuova amica << Questa reazione è uno spasso, la ebbe anche Edward quando mi diplomai così giovane. >>
<< Wow, sei un genio, allora! >>
<< Non direi, sono solo devota alle cause che credo giuste. >> disse, lavorando sul suo capolavoro, con estrema attenzione << Mia madre, Mrs. Mary Brandon, ha sempre lavorato per la loggia. Era lei, infatti, la sarta ufficiale, prima di me. Ho cominciato a fare questo lavoro dopo la sua morte… Avevo quattordici anni, ci credi? Non avendo un padre sarei finita dagli assistenti sociali se Carlisle ed Esme non mi avessero presa con loro. >> a quella rivelazione mi bloccai. In primis, mi resi conto che all’interno della loggia c’erano davvero molte cose di cui non ero a conoscenza, troppe cose che non sarei riuscita ad immaginare né, tanto meno, a capire fino in fondo. In secundis, scoprii un risvolto interessante, quanto inaspettato.
<< Mi stai dicendo che sei la sorellastra di Edward da… da… >>
<< Quattro anni e mezzo, esatto. >> rispose, con un sorriso stampato in faccia << Ho detto che avevo quattordici anni, ma non è proprio così. Mancava poco, comunque. Legalmente sono una Cullen, ma non ho voluto cambiare il cognome di mia madre. È un orgoglio personale! Adoravo la mia mamma. >> restammo a parlarne per un po’. Alice era davvero una persona splendida, nonostante la vita fosse stata una grandissima bastarda con lei.
Mi spiegò che sua madre aveva un raro tumore al cervello, che la portò alla pazzia. Durante il suo ricovero fu affidata temporaneamente proprio alla famiglia Cullen, ne seguì poi l’adozione vera e propria, dopo la morte di Mrs. Brandon. Non aveva mai conosciuto suo padre, il quale aveva lasciato sua madre – nonché moglie da poco – quando scoprì che questa era incinta. Alice non volle mai sapere nulla di lui, nemmeno il suo nome.
<< Oh, no! >> urlò improvvisamente << Ho usato trucchi classici, Bella, niente Waterproof! Non piangere, per favore, che mi rovini tutto il capolavoro! >> alla tristezza subentrò l’ilarità, perciò scoppiai a ridere.
<< Sei una sagoma, Alice! >> dissi, tra le risate.
<< Grazie, cara! >> rispose, seguendomi a ruota.
La porta si aprì proprio in quel momento, e il ragazzo che più odiavo – e non solo, forse – fece il suo teatrale ingresso.
<< Alice, mi servono altre scarpe, queste sono strette. >> disse tranquillamente, finché non si accorse di me << Oh, scusate. Vedo comunque che state ridendo, quindi non ho interrotto alcun lavoro. >> concluse, facendo un sorriso più falso di una banconota taroccata.
<< Finisco l’acconciatura di Bella e ti trovo un altro paio di scarpe, aspetta qualche minuto. >> Edward sbuffò, ma si accomodò rassegnato. Con la coda dell’occhio, ne approfittai per studiare il suo nuovo abbigliamento.
La giacca era nera, lunga a campana, ricamata e decorata da passamanerie oro; sotto, il gilet richiamava il colore dei decori. I pantaloni al ginocchio lasciavano scoperte le calze di seta e le tipiche scarpe con fibbie e gale. Come l’altra volta, la profusione di pizzi bianchi ornava maniche e colletto. Era indubbiamente bellissimo.
<< Mi hai guardato bene? >> domandò Edward, improvvisamente.
<< Cosa? >> dissi, tornando a fissare la mia immagine allo specchio. Alice stava facendo un lavoro spettacolare. Aveva creato quattro grandi trecce, per poi fissarle sulla mia nuca, con eleganza e precisione.
<< Mi stai fissando da quando sono entrato. Speri così che torni a parlarti, Betty? >>
<< Non spero proprio niente. >> risposi, cercando di mantenere la calma. Non dovevo perdere la pazienza, non dovevo confermargli quanto poco posata fossi, non dovevo…
<< Queste stronzate le pensi la notte o ti vengono spontanee dopo aver visto me? >>
<< Senti un po’, tu! >> urlai, alzandomi di colpo dalla sedia. Nonostante lo strillo inaudito di Alice, mi trascinai dinanzi a lui << Avevi detto che non mi avresti parlato più, no? E allora, cortesemente, rispetta quello che dici! >>
<< Ho detto di non vedere alcun motivo per cui parlarti, non che non ti avrei parlato mai più. È diverso, Betty. >> la sua calma fece andare a quel paese la mia, già precaria di suo.
<< Io non ti sopporto! E per la cronaca, non sono io che dico stronzate, mi hai capita? >>
<< Wow, wow, wow! Ma come ti scaldi, ragazzina. Dovresti pensare un po’ prima di agire, non trovi? >>
<< Pensare? Sai a cosa penso da quando ti ho incontrato, Cullen? >>
<< Ma non qui davanti ad Alice, Swan! >> urlò piano, fingendo di vergognarsi << Capisco di essere entrato nei tuoi sogni, ma… >>
<< All’omicidio, razza di egocentrico! >> strillai, facendo riecheggiare il mio urlo per tutta la loggia. Qualcuno, ma non avevo ancora capito chi, aveva aperto la porta della sartoria.
<< Così mi uccidi, Swan. >> disse Edward, mettendosi una mano sul cuore << Il mio ego ne risentirà parecchio. >>
<< Sai dove puoi ficcartelo, il tuo ego? >> sibilai, a due millimetri dal suo viso perfetto.
<< Adesso basta! >> tuonò una voce che mai, prima di allora, avevo udito con quel tono.
Io ed Edward ci voltammo entrambi, verso la soglia della stanza, e ci mettemmo subito sull’attenti.
<< Sono passate settimane e ancora non riuscite ad andare d’accordo? Quando qui c’era sua cugina queste cose non succedevano, Isabella. >> E quando mai?, pensai nervosa. C’era sempre mia cugina, in mezzo! Ovunque andassi, restavo sempre la sua dannata ombra.
<< Ci scusi, Mr. Saltzman. >> sussurrò Edward, abbassando il capo, notando che non avevo ancora aperto bocca.
<< Io sono contenta che il rubino sia Bella, invece. >> squittì Alice, facendoci voltare tutti verso di lei << Tanya era un’oca, Bella è molto meglio! >> e concluse, strizzandomi l’occhio.
<< È molto interessante il suo parere, Miss Brandon, ma quando c’era la signorina Tanya regnava un’altra aria, qui. >> ricalcò Mr. Saltzman, facendomi sentire uno schifo.
<< Il problema, Alaric, è che non è solo colpa di Isabella. >> disse Mr. Dwyer, entrando lentamente. Indossava una giacca marrone scuro, abbinata ai pantaloni; una camicia beige, come le scarpe, e una cravatta a righe << Il qui presente giovanotto, nonché Edward Anthony Cullen, non da tregua nemmeno per un secondo a questa piccina. >>
<< Mr. Dwyer! >> ribatté Edward, diventando rosso come un pomodoro maturo. Sghignazzai piano, incrociando le braccia sotto il seno. Lo spettacolo stava cominciando a farsi interessante. Il ragazzo accanto a me, percepì il mio verso e mi guardò con sguardo omicida; ricambiai lo sguardo, facendogli una linguaccia.
<< E la qui presente Isabella potrebbe evitare gesti poco cortesi. >> disse Mr. Saltzman, alzando un sopracciglio. Fu il turno di Edward, di sghignazzare.
<< Dobbiamo trovare un modo per farli andare d’accordo. >> disse Mr. Dwyer, assumendo un’aria pensierosa.
Mi presi quel momento per notare l’abbigliamento sempre molto formale di Mr. Saltzman. Indossava un completo grigio piombo, con sotto una camicia celeste/grigiastra. Ai piedi, sfoggiava un paio di scarpe lucide, nere. Il suo aspetto era sempre lo stesso: affascinante e misterioso. Tutto quello che faceva impazzire l’intera Saint Lennox – compresa la mia migliore amica, Angela. Sospirai rassegnata, avevo indubbiamente qualcosa che non andava. Ero sempre stata molto diversa dalle altre bambine o ragazze delle mia età. Quando loro correvano dietro al bello di turno della scuola, io prediligevo tutt’altro; quando c’era la ressa per prendere ripetizioni dal professore più sexy della scuola, io me ne stavo per conto mio, sotto un albero a volte, a leggere o ripassare quella materia. Trovavo Mr. Saltzman indubbiamente molto bello, ma non così tanto da strapparmi i capelli o rovinarmi la media per avere delle ripetizione private.
<< Mentre voi pensate, io potrei finire l’acconciatura di Bella? >> domandò Alice, riportandomi alla realtà << Poi cerco le scarpe per Edward. >>
<< Certo, Miss Brandon. >> rispose Mr. Saltzman << Io e Phil andiamo a prenderci un tea, se per lei va bene… >>
<< Certamente, Alaric. >> rispose Mr. Dwyer << Torniamo tra qualche minuto, sperando che i ragazzi siano pronti per andare. >> concluse, si voltò e scomparvero entrambi, richiudendo la porta.
<< Vieni, Bella. >> disse Alice, indicandomi la sedia sulla quale ero seduta qualche istante prima.
Il silenzio innaturale che si era creato, fu interrotto dal suono del telefonino di Edward.
I've become so numb I can't feel you there become so tired so much more aware. I'm becoming this all I want to do, is be more like me and be less like you. << Scusate, è Jasper. >> disse, interrompendo la melodia che conoscevo piuttosto bene.
<< Non ci credo. >> sussurrai, notando che l’attenzione di Alice fosse focalizzata completamente su suo fratello, piuttosto che sui miei capelli.
<< Edward, è successo qualcosa? >> domandò, leggermente isterica. Il ragazzo le fece segno di no e uscì, richiudendosi la porta alle spalle << Antipatico, potevi farmelo salutare! >> mormorò, tirandomi una treccia così forte che mi fece urlare.
<< Alice, fa’ piano! >>
<< Scusa, scusa! >> disse, massaggiandomi la cute con le dita << Perdonami, mi sono distratta. >>
<< Non è da te… Oh, santissimi numi! Tu hai una cotta per tuo fratello! >> a quella frase, il pettine le cadde dalle mani e la vidi sgranare gli occhi. Ci ho preso!, pensai.
<< Non è come pensi! >> cercò di difendersi, ma era esattamente come pensavo!
<< Oh, sì invece! >>
<< Non è mio fratello, comunque! La storia te l’ho spiegata! >>
<< Oddio, quindi è vero! >> urlai, prima che Alice mi saltasse addosso, cercando di tapparmi la bocca << E lui lo sa? E Edward? Non oso immaginare come reagirebbe se… >>
<< Non lo sa nessuno! E tu non lo dirai a nessuno, mi hai capita? >>
<< Oddio, oddio! >> ero piuttosto sconvolta, e non riuscivo a mettere insieme una frase di senso compiuto.
<< Bella! >> piagnucolò Alice << Riprenditi! Una vita intera a non farmi sgamare e poi… >>
<< Una vita intera? >> domandai, sgranando gli occhi << Ti piace da quando? >>
<< Da sempre… >>
<< Oh, mio Dio! >>
<< Ma che state facendo? >> domandò Edward, rientrato nella stanza << Alice, se vuoi ucciderla lascia almeno che ti dia una mano. Sai che ti aiuto volentieri! >> concluse, sorridendo a trentadue denti.
<< Niente, Edward. Stavamo solamente giocando, vero Bella? >> annuii, ancora sotto shock. Era cotta di suo fratello! Fratellastro, Bella!, urlò la voce della mia coscienza. In effetti aveva ragione, Alice non era una Cullen, né per cognome né, tanto meno, per sangue.
<< Voi siete tutte pazze. >> disse Edward, scuotendo la testa.
<< Ha parlato il sano di mente. >> borbottai, sorridendogli quando mi fulminò con lo sguardo.

Il resto del tempo passò velocemente.
Alice era stata una maga nel rimettermi a posto l’acconciatura. Trovò le scarpe ad Edward e, in men che non si dica, fummo accompagnati alla stanza del cronografo.
Come la volta scorsa – a differenza di quando trasmigravo per fare i compiti, che c’era solo Mr. Dwyer – erano fermi, davanti al cronografo, tutti i Guardiani più importanti della loggia: il signor Cullen, Mr. Dwyer – che era sceso con noi –, il dottor Black e, per concludere, Mr. Saltzman.
<< Eccovi, finalmente. >> borbottò il dottor Black, seguito come sempre dal piccolo Jake.
<< Abbiamo avuto qualche problema in sartoria. >> rispose Mr. Dwyer, appallottolando la benda, servita per coprirmi gli occhi, per poi mettersela in tasca.
<< Ciao, Bella! >> disse Jacob, correndo verso di me. Gli sorrisi leggermente, cercando di non farmi vedere << State andando di nuovo dal conte? Io l’ho visto in foto, una volta, ma sai che non mi piace per niente? Come quello lì, insomma. >> concluse, indicando Edward. Non riuscii a trattenermi, così scoppiai a ridere.
<< Allora siamo in due, piccolino! >> dissi, piegata in due dalle risate. Mi accorsi solo poco dopo che tutti gli occhi erano puntati su di me.
<< Tu non hai tutte le rotelle a posto. >> disse Edward, fissandomi come si guardava una malata mentale, avvolta in una camicia di forza.
<< Scusa, Bella! >> urlò Jake, tornando dietro suo padre. Gli feci cenno di non preoccuparsi e lui, di risposta, mi fece un grande sorriso.
<< Vogliamo procedere, Isabella? >> domandò Mr. Saltzman, sbuffando. A scuola sembrava una persona diversa da come si presentava qui, alla loggia. Forse, e sottolineavo il forse, il motivo era che non si trovava a Temple sotto la veste di insegnante, ma come Guardiano. Il problema sorgeva quando cambiavi anche la mia, di veste. A Temple ero una viaggiatrice inesperta, non una studentessa distratta, ma piuttosto brillante – anche se non molto nella sua materia.
Persa nei miei pensieri – come sempre, d’altronde – non mi accorsi di Edward che, dalla mia sinistra, si era spostato accanto al dottor Black, dinanzi al cronografo già pronto per “partire”.
<< Qual è la parola d’ordine e, per sapere, questa volta in che anno andremo? >> chiese Edward, con una sicurezza disarmante.
<< Il conte, nella lettera che ti ha consegnato, ha chiesto che il prossimo incontro venisse fatto dieci anni dopo il primo con il rubino. Perciò, salterete nel 1755 – più precisamente, il 13 Giugno 1755. >> rispose Carlisle, parlando con suo figlio, ma rivolgendo qualche sorriso anche a me.
<< La parola d’ordine, comunque, è… >> si intromise Mr. Saltzman, sfogliando gli Annali << Ex hoc momento pendet aeternitas. >>
La prima cosa che pensai fu: più lunga no?
La seconda cosa che pensai, invece, fu: eh?
<< L’eternità è appesa a questo momento. >> disse Edward che, come al solito, sembrava sempre sapere cosa mi passasse per la mente.
<< Sì, lo sapevo. >> risposi, facendo la sostenuta.
<< Ah-ah, ne sono convinto. >>
<< Avanti, Edward, vieni. >> disse il dottor Black, sbuffando << Salterai prima tu, come sempre. E questa volta, Isabella, cortesemente… Infili il dito immediatamente nel cronografo! >> mi abbaiò praticamente contro, facendomi indietreggiare – andando così a sbattere contro Mr. Dwyer – e sgranare gli occhi.
<< Billy, ma si calmi, santo cielo! >> lo rimproverò Carlisle, passandosi una mano tra i capelli – doveva essere un segno di esasperazione, mi accorsi che lo faceva anche Edward, in alcuni casi.
Come la volta precedente, non appena Edward introdusse il dito nel cronografo, dall’oggetto si sprigionò una luce accecante, che invase completamente la stanza. Quando riaprii gli occhi, il ragazzo che fino a pochi secondi prima era davanti a me, era sparito.
<< Fantastico. >> affermò Mr. Saltzman, sorridendo.
Presi un respiro profondo e mi avvicinai al dottor Black, gli porsi il dito indice e qualche istante dopo sentii le tre punte dell’ago perforarmi il polpastrello. Il rubino si accese, investendo la stanza con un rosso acceso. Pochi secondi dopo, mi ritrovai completamente al buio.
Il silenzio, mischiato all’oscurità, mi fece venire la pelle d’oca. Dove diavolo si era cacciato quel troglodita? Possibile che fosse già salito, lasciandomi lì in balia delle guardie e della parola d’ordine?
<< Edward? >> sussurrai, ma non rispose nessuno << Edward? >> riprovai con un po’ più di voce.
<< Sono qui! Stavo aspettando che mi chiamassi. >>
<< Razza di cretino! Pensavo te ne fossi andato! E per la cronaca, mi hai fatto prendere un colpo. >> dissi, cercando di regolarizzare il respiro.
<< Insomma, Isabella, se non parlo ti spaventi, se parlo anche… >>
<< Accendi la torcia! >> gli ordinai, interrompendolo. Lo sentii sbuffare, ma fece ciò che avevo detto.
La stanza del cronografo, questa volta, era più pulita e ordinata. Era stato aggiunto un tavolo, un divanetto e anche un piccolo mobile.
<< Vogliamo andare? O vuoi continuare a fissare questo fantastico arredamento? >> domandò Edward, già davanti alla porta. Non risposi, mi alzai gli angoli dell’ingombrante gonna e lo raggiunsi.
Il tutto funzionò esattamente come la volta precedente: corridoi bui e stretti, scale su scale, colonne, guardie e parola d’ordine. Da quello che ci aveva detto Carlisle, saremmo tornati nuovamente alla residenza del conte, quindi ci sarebbe stata una carrozza ad attenderci, una volta arrivati alla loggia del 1755.
Il viaggio in carrozza fu tranquillo, ma soprattutto silenzioso. Sir Caius e Sir Marcus erano fuori Londra, per affari, perciò ci scortò alla residenza Cooper un cocchiere incaricato dal conte in persona.
<< Perché siamo dovuti tornare qui? >> domandai, non riuscendo più a stare zitta.
<< Scusami? >> domandò Edward, puntando i suoi fari su di me. il cuore, come se avessi infilato la presa in un interruttore, cominciò a battermi forte. Cercai di ignorare quella assurda sensazione e continuai a parlare.
<< Ci siamo stati solo qualche giorno fa, dal conte. Perché tornare così presto? >>
<< Ti rendi conto che per lui sono passati dieci anni? >> domandò, scuotendo la testa << Non hai ancora capito come funziona, vero? Per noi sono passati solo pochi giorni, per lui sono passati anni. Lo scorso salto è avvenuto per noi nel 2011, per lui era il 1745, ora è il 1755. È tutto chiaro? >>
<< Sì, genio, fin qui ci arrivo. >> risposi, alzando gli occhi al cielo << Intendo dire: cosa costava a noi aspettare qualche settimana in più e magari prepararmi meglio? Insomma, lui sarà sempre lì – o qui, non so più che tempo usare –, nel 1755. >>
<< È stato il conte a fornire la data anche del nostro tempo. >> mi informò, tornando a guardare fuori << Fa sempre così, è una regola. La loggia funziona basandosi su determinate regole, Isabella, e non sarà di certo la tua presenza a cambiare questo fatto. >> evitai di controbattere, capendo che se avessi aperto nuovamente bocca, saremmo finiti male. Molto male.
Quando la residenza Cooper emerse davanti a noi, una scarica elettrica mi percorse la schiena, facendomi rizzare come un gatto sul sedile. Cos’era quella sensazione? E perché, varcando il grande cancello nero, cominciai a sentire freddo, fin dentro alle ossa?

La suoneria di Edward è Numb, dei Linkin Park.
In questo episodio si scoprono altre cose molto interessanti: Alice Brandon è la sorellastra di Edward e Jasper e, rullo di tamburi, ha una cotta per quest'ultimo. Jasper ricambierà? Lo scopriremo più avanti XD Bella e Edward si stanno preparando per andare dal conte e tra loro, come di consueto, le cose non vanno nel migliore dei modi. Abbiamo visto, per la prima volta, Mr. Saltzman nei panni di Guardiano e non di insegnante... Cosa ne dite? E come mai Bella ha quella reazione entrando nella villa del conte, nel 1755? Nel prossimo capitolo, almeno l'ultima domanda, troverà una risposta... :)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Ricordo il mio blog, e un bacione a tutti:Violet Moon (Blog).

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Capitolo 12
*** #11. ***


Buon pomeriggio a tutti! Chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo ieri non ci sono stata tutto il giorno. Non sapevo che sarei stata fuori città, quindi chiedo scusa per questo slittamento!
Visto l'imprevisto evito di fermarmi a blaterale, perciò vi lascio subito al capitolo! Buona lettura :)
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11.

« Genio e follia hanno qualcosa in comune:
entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri. »
Arthur Schopenhauer.
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Quando arrivammo a casa del conte di Saint Germain, una terribile notizia ci colse impreparati.
<< Come sarebbe a dire che il conte non è in casa perché si è recato, urgentemente, da Lord Masen? >> domandò Edward, notando che il maggiordomo – un ometto piuttosto simpatico: basso, cicciotto, e coi bassi grigi – non voleva fornirci altre informazioni.
<< Si calmi, Sir. >> disse l’uomo << Il conte ha lasciato questa missiva per lei. Legga, prego. >> dire che Edward gliela strappò dalle mani, sbuffando perfino, sarebbe stato solo un leggero eufemismo.
<< Cosa dice? >> domandai, non riuscendo a leggere.
Edward Cullen era indubbiamente molto più alto di me, venti centimetri come minimo. Le spalle larghe, poi, impedivano ogni mio tentativo di lettura. Nemmeno con le acrobazie più disperate sarei riuscita a scoprire cosa diavolo ci fosse scritto in quel foglio!
Di tutta risposta, mi fece segno di tacere e continuò tranquillo la sua interessante lettura. Sbuffai, incrociando le braccia sotto il petto. Mi voltai appena, per guardare come fosse cambiata in dieci anni, quella casa, ma mi resi conto che il maggiordomo mi sorrideva un po’ troppo. Indietreggiai leggermente, cercando di scomparire dietro al corpo possente di Edward, ma lui non demorse. Ma che diamine… Non ci starà sul serio provando con me, questo?, mi chiesi mentalmente. Solo in quel momento, Edward si ricordò che ci fossi anche io.
<< Ehi, non credi di stare guardando un po’ troppo? >> domandò il mio accompagnatore al maggiordomo che, dopo essere stato colto in fragrante, si indispettì. Tirò fuori il petto e la pancia, alzò il mento, assumendo un’aria impettita.
<< Allora, cosa dice quella lettera? >> domandai, notando l’aria pesante che si stava creando.
<< Niente di cui tu debba preoccuparti, ma dobbiamo raggiungerlo da Lord Masen. >>
<< Cosa? E come facciamo? >> domandai, in tono lamentoso. Possibile che ogni volta che dovevamo vedere questo dannatissimo conte, ci fossero sempre corse da fare? Io non sapevo nulla di bon ton, ma il conte non era di certo l’educazione fatta a persona.
<< Abbiamo perso mezzora, per venire qui. >> borbottò Edward, tirando fuori l’orologio da taschino << Abbiamo a disposizione quattro ore, oggi, ce ne rimangono tre e mezza. Non possiamo fare altro, dobbiamo raggiungere il conte da questo Lord. >> affermò serio e sicuro di sé, per poi rivolgersi al maggiordomo << Dove si trova la casa di Lord Masen? >>
<< Wigmore Street. >> rispose il signorotto, dopodiché Edward mi afferrò il polso e mi trascinò via.
Diede direzioni abbastanza precise al cocchiere, pregandolo di fare in fretta. Egli prese alla lettera le parole di Edward e sfrecciò come un fulmine. Non pensavo che una carrozza potesse raggiungere tali velocità.
<< Ho notato che hai fatto colpo sul maggiordomo… >> sussurrò Edward, sghignazzando. Mi voltai, fulminandolo con lo sguardo. Il mio gesto però, invece che farlo stare zitto, lo fece scoppiare a ridere. E rideva di gusto! Dio mio, quanto è bello quando ride…, pensai. Isabella Marie Swan! Ma che diamine ti salta in mente?, urlò la mia coscienza.
<< Perché stai ridendo? >> chiesi, con tono indispettito.
<< Nulla, nulla, ma se tutti i pretendenti che hai sono così… >> non concluse la frase, perché l’ilarità arrivò all’apice. Avrei tanto desiderato strangolarlo!
Arrivammo dal conte impiegando meno tempo di quello che credevo. Edward, come un perfetto gentiluomo del Settecento, mi scortò fino all’ingresso, bussò, annunciando la nostra presenza, e mi guidò all’interno della grande residenza Masen.
<< Vorremmo parlare con il conte di Saint Germain. >> disse Edward, parlando al nuovo maggiordomo << Ci siamo recati a casa sua, come pattuito ieri, purtroppo c’è stato comunicato che per impegni inderogabili è dovuto venire qui, da Lord Masen. È possibile vederlo? >>
<< Un attimo, prego. Attendete qui. >> disse il signore – questa volta un uomo abbastanza giovane: magro e alto, con un viso pulito – e scomparve su per le scale.
<< Nervosa? >> domandò Edward, notando il mio battere del piede << Tranquilla, non mi sembra interessato. >>
<< Divertente, Edward. >> ribattei, con un sorriso più che finto.
<< Lo so, sono molto divertente. >> disse, credendoci sul serio. Alzai gli occhi al cielo e sospirai rassegnata.
Pochi minuti dopo, ci trovammo davanti un uomo sulla cinquantina. Era alto, con un po’ di pancia. Capelli neri, come i baffi che portava, e un taglio di capelli talmente orrendo che ricordava un parrucchino venuto male.
<< Salve, giovanotti. >> disse l’uomo << Sono Lord Masen, e chiedo scusa per questo spiacevole inconveniente. Domani partirò per Parigi, e ci tenevo molto a salutare il mio amico Aro. Ma prego, seguitemi di sopra! >>
Come la villa del conte di Saint Germain, anche questa era parecchio sontuosa. Gli intonachi sui marmi, lo stile georgiano, i centinai di quadri – placcati d’oro – su tutte le pareti, e i grandi lampadari al centro dei soffitti.
<< Aro, amico mio, ecco i tuoi ospiti. >> disse Lord Masen, entrando in uno studio piuttosto grande. Al centro di esso vi era un tavolo ovale, basso, attorniato da poltrone e divani di un verde bottiglia. Le tende, dello stesso colore degli arredi, erano tirate affinché la luce del giorno entrasse ed illuminasse la stanza.
<< Ecco qui i miei viaggiatori preferiti! >> disse il conte di Saint Germain, alzandosi per venire verso di noi << Stupefacente, non siete invecchiati di un anno. >>
<< Buon pomeriggio, conte. >> disse Edward, facendo una riverenza.
<< Cosa sono queste formalità, giovanotto! Venite, prego. >> disse, trascinando con sé Edward, mentre io rimasi impalata, all’entrata << Lord Masen, questo è il pronipote del mio pronipote! Non è impressionante quello che il cronografo sa fare? >>
<< Ancora con questa storia, Aro? Non ti sembra di esagerare? Saranno solo due ragazzini che hai pagato affinché ti reggessero il gioco. >> parlò una voce gelida, che proveniva dalla poltrona. L’uomo era di spalle, rispetto a me, e sedeva sulla poltrona dinanzi alla sottoscritta. Riuscivo solo a vederne i capelli neri.
<< Oh, andiamo, Rákóczi! Tu non credi mai a niente. >> disse Lord Masen, porgendomi il braccio affinché mi avvicinassi anche io.
<< Stia tranquillo, Lord Masen. >> rispose il conte << Il mio amico Rákóczi vorrebbe solo viaggiare nel tempo anche lui. Dico bene, Felix? >>
<< Sono solo sciocchezze, Aro. Non si può viaggiare nel tempo. >> ribatté Rákóczi e finalmente potei guardarlo in faccia.
Era bianco come il gesso, mastodontico come un armadio e, per concludere, le iridi non si distinguevano dal cristallo per quanto fossero scuri i suoi occhi.
<< Scusate il suo scetticismo… >> disse il conte, parlando ad Edward più che a me << Ma Felix è un condottiero, un militare, e ragiona molto con la sua vena scientifica. >>
<< È comprensibile, Sir. >> disse Edward, sorridendo appena.
Lo osservai per un po’, notando quanto il suo atteggiamento con gli altri fosse diverso da quello che teneva con me. Col conte di Saint Germain, poi, avevo notato – già dalla prima volta che andammo a trovarlo – una sottile complicità; provava molta stima per lui, e si fidava anche molto di quell’uomo.
<< Isabella, come ti vanno le cose nel XXI secolo? >> domandò il conte, riscuotendomi dai miei pensieri << Quanto tempo è passato dal nostro primo incontro di dieci anni fa? >>
<< Dieci anni fa? >> domandò Rákóczi, sconcertato << Ma è una bambina! Come puoi pensare che potremmo mai credere al fatto che tu abbia interloquito con questa giovane quando era ancora, a tutti gli effetti, una bambina? >> a quel quesito, il conte scoppiò in una fragorosa risata. Mi stupii del fatto di non trovarlo molto invecchiato, rispetto alla volta precedente. Certo, era senza dubbio cambiato, ma non come aspettarsi di rincontrare una persona a differenza di dieci anni.
<< Vuoi spiegare tu, Edward, a Rákóczi come funzionano i viaggi del tempo? >>
<< Certamente. >> rispose lui, accomodandosi a fianco del conte, sul divano più ampio << Per noi, principe Rákóczi, non sono passati dieci anni. Io e Isabella, infatti, abbiamo incontrato il conte solo pochi giorni fa. >>
<< Che idiozie. >> borbottò Rákóczi, alzandosi per versare qualcosa di alcoolico nel suo bicchiere ormai vuoto.
<< Allora, Isabella… >> disse il conte, nuovamente << Come stanno andando le cose alla loggia, di recente? Hai fatto progressi? >> non sapevo cosa rispondere.
Guardai Edward affinché mi desse una dritta, qualcosa per non fare una figuraccia. Ma come al solito, lui non perse occasioni per farmi risultare inadatta.
<< Non vi sono molti progressi, Sir. >> rispose Edward al mio posto << Abbiamo iniziato ad istruirla con lezioni basi di scherma, nozioni di storia, ippica, le buone maniere di ogni epoca… Purtroppo, però, la giovane Isabella è al quanto negata per tutto ciò. >> restai ammutolita. Ma come si permetteva?
<< Il rubino, secondo le profezie, ha un dono che tutte le altre gemme non hanno. >> mormorò il conte, in risposta ad Edward, dopodiché si rivolse a me << Hai già scoperto quel è questo dono, ragazza? >> scossi il capo, timidamente.
Cosa avevo di speciale? Niente.
Qual era il mio dono? Nessuno, in fin dei conti.
Ero solo una ragazzina che non sapeva nulla sui viaggi del tempo e che, senza essere stata adeguatamente preparata, si era ritrovata immischiata in questa grande missione. Come potevo pretendere che Edward mi guardasse o considerasse in modo differente? Ero un peso per lui, lo capivo bene, adesso.
<< Rosso rubino, che ha la magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore. >> recitò il conte, facendomi venire la pelle d’oca. Era la stessa filastrocca che aveva recitato mia madre, qualche tempo prima. Ma com’era possibile?
<< Non ho alcuna magia, conte. >> risposi flebile, rendendomi conto di quanto la voce mi tremasse.
<< Capisco. Beh, sono solo parole messe insieme chissà da chi e quando… Sei una gemma assolutamente normale, dico bene? >> chiese, ma quella domanda mi suonò strana.
Perché il suo atteggiamento nei miei confronti era cambiato? Non sembrava più lo stesso conte di pochi giorni prima. Qualcosa, nella sua cordialità, mi sembrava sorprendentemente fasulla. Inoltre, “gemma normale”? Già il solo fatto di essere in un cerchio di matti che viaggiavano nel tempo mi rendeva strana, non normale.
<< Sì, signore. >> rispose Edward, vedendo che non accennavo a rispondere << È assolutamente normale. >> non sapevo perché, ma invece di “normale”, per il modo in cui lo aveva detto, mi parve di sentire la parole “inutile”.
<< Edward, visto che vi ho fatto perdere molto tempo, a causa di questi viaggi inaspettati, può seguirmi dello studio di Lord Masen? Dovrei parlarle in privato, inoltre devo darle una missiva da portare a suo padre, nonché Gran Maestro della loggia del vostro tempo. >> disse il conte, spostando poi i suoi occhi verso Lord Masen, chiedendogli il permesso. Glielo diede e, senza degnarmi di uno sguardo né di una misera parola, si diressero fuori dalla stanza.
Rimasi lì, sentendomi parecchio un pacco postale in attesa della consegna, zitta e ferma. Rákóczi era vicino al tavolino dei liquori a versarsi un altro bicchiere, mentre Lord Masen mi sorrideva sincero, ma impacciato.
<< Vuole accomodarsi, Milady? >> domandò proprio quest’ultimo, indicandomi la poltrona. Ci pensai su qualche istante, dopodiché mi resi conto che non sarei mai riuscita a sedermi con il vestito che avevo indosso.
<< No, grazie. Credo proprio che resterò in piedi, Lord Masen. >> risposi, guardandomi intorno.
Nessuno parlò, anche se sembrava che volessero chiedermi chissà cosa – soprattutto proprio Lord Masen –, ma per diversi minuti regnò il silenzio. Alla fine si decise a chiedermi qualcosa del XXI secolo, soprattutto di politica e geografia. Scoprii che Rákóczi era il sovrano della Transilvania, e l’idea che fosse un vampiro si impadronì di me. Insomma, era cadaverico! E quello sguardo faceva impressione.
Quando la porta si aprì, tirai un sospiro di sollievo. Non ne potevo più di quell’interrogatorio infinito! Inoltre, di polita sapevo bene poco, e a parte rispondere “non lo so” non stavo riscuotendo molto successo.
<< Isabella, andiamo? >> domandò Edward, inchinandosi nuovamente ai miei due nuovi “amici”. Feci “sì” con la testa e cercai di muovermi, ma qualcosa me lo impedì.
Era come se i miei piedi fossero incollati a terra, cementati. Tutto intorno a me perse colore, diventando come un film in bianco e nero. Riuscivo ancora a notare il rosso del mio abito, o il verde scuro di quello del conte, proprio dinanzi a me sulla soglia, ma tutto il resto era immobile, incolore. Mi venne stupidamente in mente il potere di bloccare il tempo di Piper Halliwel – una delle protagoniste del telefilm Streghe, che amavo moltissimo guardare con Angela. All’improvviso, però, percepii il gelo avvolgermi tutto il corpo, e una morsa ferrea stritolarmi il collo. Non riuscivo a capire come fosse possibile. Nessuno era accanto a me, nessuno si stava muovendo, eppure percepivo fin troppo bene il senso di strangolamento.
<< Parliamoci chiaro, Isabella. >> disse il conte, muovendosi verso di me.
Aveva le braccia conserte e camminava lentamente, fissandomi con i suoi occhi scuri. Erano arcigni, vigili e cattivi. E fissi su di me.
<< Sono passati dieci anni dall’ultima volta che ti ho vista, anche se per te sono passati solo pochi giorni. Le cose cambiano in dieci anni, ragazzina, mi hai capito bene? Tu non sei nessuno e questo è il mio cerchio, la mia missione, la mia loggia. E tu seguirai le mie regole, sono stato chiaro? >> avrei voluto rispondere, ma la paura e il senso di soffocamento me lo impedivano. Il conte, tuttavia, non prestò attenzione a tutto questo. Al contrario, lo reputò una mancanza di rispetto nei suoi confronti. Aumentò la presa – anche se non riuscivo a capire come tutto ciò fosse possibile – e urlò rabbioso.
<< Non mancarmi di rispetto, ragazzina! Rispondi: mi hai capito? >>
<< S… sì. >> riuscii a dire, e tutto cessò all’istante.
<< Isabella, allora? Ti muovi? >> chiese Edward, avvicinandosi a me << Ma stai bene? Sei cadaverica. >> tentai di dire qualcosa, ma avevo la gola secca. Tremavo tutta, dalla punta dei capelli alle dita dei piedi. Quando incrociai lo sguardo del conte, che mi fissava incuriosito – ma con un sorrisetto strano sulle labbra – capii che non ero pazza. Tutto quello che avevo visto, avvertito, era successo realmente.
<< Isabella! >> mi chiamò Edward, ancora una volta. Incrociai i suoi occhi verdi e notai… preoccupazione. Era possibile pensare che lui, Edward Cullen, fosse preoccupato per me?
<< Noi andiamo o faremo tardi, vero Isabella? >> disse, afferrandomi la mano << Conte, Lord Masen… Sir. Rákóczi. >> salutò Edward, prima di trascinarmi via.
La sua mano era calda, morbida; le sue dita erano ferree, ma al contempo delicate e gentili.
Raggiungemmo la carrozza, che ci avrebbe riportato a Temple, e salimmo in fretta. Secondo Edward avevamo meno di quanto pensassimo. Tra mezzora avremmo compiuto il salto di ritorno.
<< Bella, ma stai bene? >> domandò, poggiandomi una mano sulla fronte << Sei cadaverica, che diavolo ti è successo? Quando sono entrato nella stanza eri normale. >>
Cosa avrei dovuto rispondergli? Che ero diventata pazza, forse? Che il conte, il suo grande e amato conte, non si sa come mi aveva minacciata? Intimorita e quasi strangolata? E tutto questo senza nemmeno fare un passo né, tanto meno, alzare realmente le mani su di me. Mi sentivo presa in giro, violata quasi. E una domanda non la smetteva di ronzarmi in testa: cosa diavolo era successo?
<< Isabella! >>
<< Cosa c’è? >> urlai, prendendomela con Edward che, alla fin fine, non c’entrava niente.
<< Si può sapere che diamine ti prendere? >>
<< Il conte ha… Cosa ti ha detto di me? >> domandai, ma il suo tornare sulla difensiva mi fece capire che non aveva alcuna intenzione di parlarne.
<< Io mi preoccupo per te e tu infili il tuo grazioso naso in cose che non ti riguardano? >>
<< Il mio naso è grazioso? >> mi sentii dire, senza riflettere. Edward, dal canto suo, sorrise stranamente sincero. Restai allibita, per un attimo. Non mi aveva mai sorriso in quel modo.
<< Sì, hai un naso molto grazioso. >> rispose, toccandomene la punta. Mi tirai indietro più per difesa che per altro. Da quando aveva cominciato ad essere… gentile?
<< Allora, vuoi dirmi che c’è? >> chiese, tornando al suo posto << Sembra che tu abbia visto un fantasma. >>
<< Un vampiro, al massimo. >> mormorai, sospirando pesantemente.
<< Come scusa? >>
<< Sì, quel tipo… Rákóczi! Credo sia un vampiro. >>
<< I vampiri non esistono, sciocchina. >> disse, alzando gli occhi al cielo.
<< E tu come lo sai, scioccone? >> domandai, incrociando le braccia sotto il seno.
<< Viaggio nel tempo da due anni, non credi che tra tutto quello che ho scoperto ne avrei incontrato almeno uno o, comunque, sentito parlare? >>
<< Sei sempre il solito so-tutto-io, non c’è che dire. >> dissi, sbuffando e lo vidi ridere.
<< Almeno hai ripreso colorito. Prima lo sembravi tu, un vampiro. >> distolsi lo sguardo dai suoi occhi e mi morsi il labbro, affinché non notasse il mio rossore aumentare.
Per i minuti seguenti tornai a rimuginare su quello che era successo. Mi sentivo intontita e anche molto stanca, come se mi fosse passato sopra un treno. Non vedevo l’ora di sdraiarmi.
<< Guarda, siamo ad Hyde Park. >> disse Edward, riscuotendomi dai miei angoscianti pensieri. Feci come mi aveva detto e spostai lo sguardo fuori dal finestrino. Il parco era fantastico… E con quell’aria di pulizia era mille volte meglio di come risultava nel nostro tempo. Era sempre un bel parco, anche nel 2011, pulito e ben tenuto, ma non c’era paragone con questo spettacolo.
<< Aspetta un secondo! >> strillò Edward, improvvisamente << Hyde Park? È impossibile! Siamo dalla parte opposta di Temple! >> mi voltai di scatto verso di lui e lo vidi affacciarsi per parlare col cocchiere.
<< Edward, cosa succede? >>
<< Non lo so, Zackary ha detto che qualcuno, fuori dalla casa di Lord Masen, gli ha detto di scordarci fuori Hyde Park per incontrarci. >>
<< Cosa? E chi? >>
<< Non lo so, ma questa storia mi puzza. >> disse, guardandosi intorno << Ma qualunque cosa succeda dovrai darmi ascolto. Hai capito, Isabella? >>
<< Ma non capisco… >>
<< Dimmi se hai capito! >> urlò, facendomi spaventare.
<< Diamine sì, ho capito! >> strillai più forte di lui, proprio poco prima che la carrozza venisse assaltata.
Edward mi arrivò addosso, coprendomi col suo corpo e mi tenne giù la testa.
<< Stai qui, mi hai capito? >> urlò, prima di scendere dalla carrozza ormai ferma.
<< Edward! >>
<< Stai là! Non uscire per alcun motivo! >> urlò uscendo dalla carrozza, per poi richiuderla subito e con forza. Il caos scoppiò immediatamente.
Ero rannicchiata sul sedile, con le mani sopra la testa, come a coprirmi. Sentivo gli spari – o almeno, quelli che sembravano spari – e diversi rumori. Sembravano quelli di una colluttazione, di un corpo a corpo. Quando percepii qualcuno capitolare a terra mi issai sui gomiti e cercai di scendere dall’uscita laterale di sinistra. Dovevo avere coraggio. Presi un respiro profondo e portai la mano sulla maniglia. La paura, però, mi immobilizzò. Edward ha detto che devo restare nella carrozza. Perché voglio scendere allora?, mi domandai mentalmente, percependo il mio cuore esplodere.
Il tutto sfumò quando sentii chiaramente l’urlo di Edward. Senza più pensarci, mi catapultai fuori, facendo attenzione. Per poco non calpestai un uomo – vestito completamente di nero – che si trovava steso a terra, privo di sensi. Mi sposati cautamente e trovai il corpo di Zackary, il nostro cocchiere, riverso a terra in una pozza di sangue.
Mi tappai la bocca per non urlare o svenire; il sangue non lo avevo mai sopportato.
Superai i cavalli che, nonostante il putiferio che era venuto a crearsi, restavano fermi a composti al loro posto. Notai che per terra, vicino a Zackary, c’era un fioretto. Lo afferrai, e proseguii per la mia strada. Davanti ai miei occhi si manifestò un film che mai avrei voluto vedere: Edward stava lottando con due uomini armati di pistola. Riuscì a metterne fuori gioco uno, ma nel farlo fu ferito ad un braccio e cadde all’indietro. L’assalitore gli puntò la sua spada sul petto e parlò.
<< Arrenditi! E forse prolungherai di qualche istante la tua vita! >>
<< Mai, dannato! >>
<< E allora muori, maledetto! >> urlò puntando la lama sul petto di Edward che sgranò gli occhi, venendomi sul campo di battaglia.
Senza sapere bene cosa stessi per fare, afferrai il fioretto con entrambe le mani e portai la sottile lama in alto, dopodiché la conficcai nella schiena dell’uomo vestito di nero.
Lo penetrò come se fosse burro, facendolo accasciare a terra, urlante e sanguinante.
<< Che diavolo stai facendo? >> urlò Edward, alzandosi. Venne verso di me e mi disarmò << Cosa ti avevo detto? Dovevi restare nella carrozza, dannazione! >>
<< L’ho ucciso, vero? L’ho ammazzato! >> urlai, tremando come una foglia.
<< No, sta ancora respirando, il bastardo. >> sibilò Edward, ruotandolo con un piede << Chi ti ha mandato? E cosa volevi da noi? >>
<< Non lo so. >> rispose flebile e poi perse i sensi.
<< L’ho ucciso! >> strillai, scossa da mille brividi di paura << Oddio, oddio, oddio! >>
<< Bella! Guardami! >> urlò Edward, scuotendomi per le spalle << Hai fatto la cosa giusta! Avrebbe ucciso me e poi te, ok? >>
<< Ma l’ho ucciso! L’ho affettato come burro! >>
<< Come… Oh, diamine, Isabella! Riprenditi! >> urlò esasperato.
Improvvisamente tutta la luce del giorno scomparve. Era sera quando riaprii gli occhi, dopo aver avvertito una leggera pressione sulla stomaco. Scivolai a terra, troppo stanca per reggermi sulle gambe.
<< Isabella! No, non cedere adesso. >> disse Edward, sostenendomi << Siamo tornati a casa, è il 2011, va bene? Adesso riprenditi, per favore. >>
<< Ho ucciso un uomo. >>
<< Mai sentito parlare di legittima difesa? >> domandò, trascinandomi lungo la strada.
Era sera, l’aria fresca non mi avrebbe fatto altro che bene. Tutta la gente ci guardava, parlottando tra essa, probabilmente a causa del nostro inusuale abbigliamento.
<< Che disastro. >> sibilò Edward tra i denti. Mi teneva stretta per la vita, con il braccio sinistro, mentre con la mano destra mi sosteneva il gomito sinistro.
<< Stai sanguinando. >> riuscii a dire, non sapendo nemmeno io come.
<< È solo un graffio, mi farò medicare dal dottor Black. Tu piuttosto, come ti senti? >>
<< Meglio, credo. >> risposi ed era vero, all’incirca. Anche Edward percepì che fossi sincera, perché mi lasciò andare e cominciò a sbraitarmi contro.
<< Te lo ripeto, Isabella! Dovevi restare in carrozza, ma cosa diavolo ti è saltato in mente? Potevano ucciderti! Quando ti ho vista dietro quel tipo per poco non mi è preso un infarto! Sei stata la solita imprudente… >>
<< Oh, andiamo! E piantala! Perché non ammetti che se non ci fossi stata io avrebbero ritrovato solo il tuo insulso cadavere ad Hyde Park!? Ti ho salvato la vita, non ce la fai proprio a dire grazie? >>
<< Sei stata un’imprudente! >> strillò ancora << Ma anche molto coraggiosa. Grazie… Ti devo la vita. >> disse a bassa voce e tutto d’un fiato. Sorrisi, sapendo che dovevo accontentarmi di quello.
<< Cosa facciamo adesso? >> domandai, cominciando a sentirmi male. Ero nervosa e spaventata, agitata e terrorizzata… La nausea stava per avere il sopravvento.
<< Dobbiamo raggiungere un negozio, cercare un telefono. Non lo so! Ma dobbiamo far sapere a Mr. Dwyer dove siamo affinché ci possa venire a prendere. >>
<< Mi viene da vomitare. >>
<< Oh, santo cielo, no! Dai, Isabella, per favore… Un ultimo sforzo. >> annuii, appoggiandomi a lui, affinché non perdessi i sensi a causa della pressione che, sfortunatamente, si stava abbassando sempre di più.

Trovammo un telefono solo una ventina di minuti dopo. Edward chiamò suo padre affinché mandasse qualcuno a prenderci. I soccorsi – se così si potevano chiamare – arrivarono dieci/quindici minuti dopo.
<< Ragazzi, ci siamo preoccupati non vedendovi tornare! Oh, santo cielo, Isabella sembra un lenzuolo e lei, Edward, è ferito! Ma cosa accidenti è successo? >> urlò agitato Mr. Dwyer, facendoci salire sulla limousine nera.
<< Una trappola, ad Hyde Park. Ci hanno assaltati e hanno ucciso il povero Zackary. >> rispose Edward, sprofondando sul sedile di pelle nera.
<< Ho ucciso un uomo. >> sussurrai, probabilmente ancora sotto shock.
<< Come? Cosa ha fatto? E come glielo spiego a sua madre? >> disse Mr. Dwyer, asciugandosi la fronte con un fazzoletto di stoffa.
<< Le avevo detto di restare in carrozza, ma… >>
<< E non ricominciare, santo cielo! Ti stava ammazzando, cosa avrei dovuto fare? Rimanere lì e godermi lo spettacolo? >> sbottai, irritata dal suo comportamento.
<< Isabella è molto stanca, Mr. Dwyer. >> disse Edward, ignorando le mie urla << Portiamola a casa, farà a me tutte le domande del caso. >>
<< Ma il protocollo dice… >> tentò di controbattere Mr. Dwyer, ma Edward lo interruppe.
<< Risponderò io alle domande, Mr. Dwyer! >> urlò Edward, terrorizzando il povero Phil << Non vede che è sottoshock? Portiamola a casa. Verrò io alla loggia e spiegherò tutto quello che è accaduto. >> disse fermo, facendomi un sorriso sghembo che mi mandò in cortocircuito il cervello.
<< Va bene, Edward. Ha ragione. >>
Il viaggio quasi non lo sentii. Forse mi ero addormentata, oppure il mio cervello mi aveva avvolta in una sorta di annebbiamento temporaneo. Non lo sapevo, ma ne ero contenta.
<< Grazie ancora, Bella. >> sentii dire a qualcuno, che dalla voce sembrava Edward << Ci vediamo domani, dormi bene. >>
<< Buona notte. >> sussurrai, incerta che mi avesse sentita.
Una volta scesa dalla macchina, tutto si fece scuro e pesante. Sprofondai in un buco nero, stremata. E per un po’ non riemersi.

La storia sta decisamente entrando nel suo vivo. Il conte di Saint Germain si presenta molto diverso dalla volta precedente, questo è dovuto agli anni che, almeno per lui, sono passati. Cosa sarà successo in dieci anni, quindi? E la sensazione che prova Isabella nello studio di Lord Masen, sarà vera o solo suggestione? Il capitolo è abbastanza avventuroso... Assalti di carrozze, combattimenti, omicidi... Edward sembra essere cambiato, almeno un po', nei confronti di Bella. Sarà un cambiamento permanente? In fin dei conti, la ragazza gli ha salvato la vita...
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 13
*** #12. ***


Buon pomeriggio a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo di questa storia.
Avete visto la nuova grafica di Efp? Cosa ne pensate? Sinceramente a me non fa impazzire XD magari devo solo abituare l'occhio, boh!
Comunque, bando alle ciance e buona lettura!

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12.

« Tutti desiderano possedere la conoscenza,
ma relativamente pochi sono disposti a pagarne il prezzo. »
Decimo Giunio Giovenale.

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Mi sentivo stranamente riposata. Nonostante questo, però, non avevo alcuna intenzione di aprire gli occhi o, peggio ancora, uscire da quelle calde e morbide coperte. Doveva essere mattina inoltrata, comunque, perché i raggi di sole – deboli a Londra, ma comunque bene accetti – entravano dalla finestra, posandosi sul mio viso. Tutto il peso e la paura del giorno prima, però, mi ripiombarono addosso nell’istante esatto in cui la mia mente lasciò il mondo onirico e ritornò alla realtà.
Mi issai a sedere sul letto, a gambe incrociate, di colpo. Avevo gli occhi sgranati e cominciai a guardarmi intorno. Mi trovavo in camera mia, ma non avevo la benché minima idea di come ci fossi finita. Grazie ancora, Bella. Ci vediamo domani, dormi bene. Quella fu la prima frase che mi vorticò in testa, quella mattina. Ma chi l’aveva pronunciata? E grazie per cosa?
<< Finalmente ti sei svegliata, tesoro. >> sussurrò mia madre, entrando nella mia stanza.
<< Mamma… >> sussurrai, cercando di capire cosa ci facesse a casa.
<< Come ti senti? >> domandò, accomodandosi ai piedi del letto << Ieri mi hai spaventata, sai? Mr. Dwyer sosteneva che fossi solo molto stanca, per questo avevi perso i sensi. La cosa non mi ha tranquillizzata molto, e nemmeno a tuo padre. >>
<< Mi ha riportato Mr. Dwyer a casa? >> chiesi, scoprendo di ricordare poco o niente della passata giornata.
<< Lui e quel ragazzo… Edward, sì. >> rispose, accarezzandomi una guancia.
Tutto ciò che avevo rimosso ritornò prepotentemente davanti ai miei occhi: la visita a casa del conte, il viaggio da Lord Masen, lo strangolamento “fantasma” di Aro, per non parlare dell’attacco e…
<< Oddio, ho ucciso un uomo. >> sussurrai, guardandomi le mani. Cosa stavo cercando? Forse, qualche traccia di sangue?
<< Lo so, piccina, lo so. >> disse mia madre, avvicinandosi a me. Mi abbracciò, cullandomi dolcemente << Non è stata colpa tua. Carlisle, ieri sera, ci ha chiamati e ci ha spiegato tutto… Lo avevo detto che andare da quel conto non era una buona idea, ma nessuno mi ha dato retta! Ma tu non hai fatto niente, bambina mia… >> continuò, lisciandomi i capelli con le dita << Era una trappola, un’imboscata, per uccidere te e il tuo compagno di viaggio nel tempo. Hai fatto la cosa più giusta, mi hai capita bene? >> annuii, cercando di assimilare le sue parole nel migliore dei modi.
Restai lì, tra le braccia di mia madre, per diversi minuti. Era da molto tempo che non mi sentivo più così amata e protetta… Forse ero solo una stupida. Insomma, avevo diciassette anni e ancora cercavo conforto nell’abbraccio della mamma? Le mie domande mentali non trovarono risposta perché il mio stomaco cominciò a brontolare.
<< Direi che il tuo stomaco sta reclamando cibo. >> sussurrò Renée, alzandosi, e cominciò a sghignazzare << Credo sia normale, non mangi da ventiquattro ore, più o meno. >>
<< Come, scusa? Ma che ora è? >> chiesi, cercando le pantofole e mi alzai dal letto.
<< Sono da poco passate le due del pomeriggio, cara. >> rispose, aprendo la porta, ed uscì.
Restai sulla soglia per qualche minuto. Le due del pomeriggio? Ma quanto cavolo avevo dormito? Avvertii la mamma che sarei andata a sciacquarmi la faccia, prima di scendere di sotto. Lei annuì e mi incitò di non metterci troppo.
Guardandomi allo specchio per poco non mi venne un colpo. Ero mostruosa! I capelli sembravano una matassa irrisolta, gli occhi erano lucidi e gonfi, e sul viso c’era un pallore quasi innaturale. Aprii l’acqua gelida e me la gettai in faccia, cercando di cambiare quel riflesso. Il risultato, purtroppo, non mutò molto; avevo ripreso, almeno, un po’ di colore sulle gote.
Una volta indossata la mia tuta lilla, con dettagli neri, ed essermi legata i capelli in una coda di cavallo alta, scesi di sotto. La casa era stranamente silenziosa.
<< Eccomi, mamma. >> dissi, entrando in cucina.
Non la usavamo molto spesso per mangiare. Secondo Lady Lillian, la sala da pranzo era più indicata da utilizzare, in una famiglia altolocata che si rispettasse. Quando volevo farmi uno spuntino o, quelle rare volte, quando eravamo da sole senza le tre arpie, pranzavamo in quella stanza.
<< Ti vedo meglio, tesoro. >> disse Renée, apparecchiandomi un lato del tavolo << Spero tu abbia fame, Jane ti ha fatto lo spezzatino. Quello piccante che piace a te! >>
<< Ma dove sono tutti gli altri? >>
<< Tanya è ancora scuola, Victoria è andata a fare shopping con qualche sua amica, non so… >> rispose, senza fermarsi un secondo << Tuo padre è a lavoro, sai che non torna a casa prima delle sei di sera. >>
<< Sì, ma la nonna e la prozia Jenna? >> domandai, prendendo posto.
L’odore dello spezzatino piccante di Jane – la nostra cuoca e domestica tutto fare – cominciò a solleticarmi il naso e lo stomaco. Mi passai la lingua sulle labbra, notando di avere davvero una grandissima fame.
<< Tua nonna è momentaneamente a Temple, non so a fare cosa. Sinceramente, nemmeno me ne importa… Sai che non amo quella gente. >> disse, aprendo una bottiglia di acqua frizzante e si accomodò di fronte a me.
<< E la prozia? >>
<< È di sopra a guardarsi qualche telenovelas. >> rispose, scoppiando a ridere << Sai che è patita di queste cose! >> annuii sorridendo e cominciai a mangiare.
Per essere precisa, divorai tutta la pentola. Ero veramente affamata.
Durante tutto il pranzo, comunque, non smisi nemmeno un per un secondo di pensare alla giornata precedente. Che mi fossi solo sognata lo strangolamento del conte? Insomma, come avrebbe potuto essere possibile, una cosa del genere? Eravamo a due metri di distanza e poi tutto aveva perso colore; le sue mani gelide attorno al mio collo…
Rabbrividii, pensando di essere pazza.
Era un evento che in quella maestosa casa non ci fosse nessuno, eccetto noi – domestici a parte. Era un’occasione troppo ghiotta per non approfittarne.
<< Mamma, posso farti una domanda? >> chiesi, mettendo piatto e bicchiere nella lavastoviglie.
<< Certo, chiedi pure. >> rispose, sorseggiando il suo bicchiere di Pinot Noir.
<< Perché il conte non ti piace? >> iniziai a domandare, tornando a sedermi di fronte a lei << Insomma, non lo hai mai conosciuto, no? È morto già da un po’ di tempo, a meno che tu non sia un viaggiatore, non puoi conoscerlo. >>
<< Ho letto molto su di lui, Bella. >> rispose, finendo il suo bicchiere in un colpo solo << E non mi piace quello che ho letto; non mi piace lui. Tutte le sue idee, le sue profezie… Devi stare attenta a quell’uomo, Bella, mi hai capita? Non fidarti di lui, mai. Per nessun motivo. >>
<< Cosa sai di lui? Cosa hai letto, mamma? >>
<< Nulla che debba riguardarti da vicino. >> disse, versandosi un altro bicchiere << Ma dammi retta, non è un uomo affidabile. >>
<< Edward è convinto di sì. >> controbattei, ricordando in che modo lo guardasse e rispettasse << Si capisce benissimo che lui si fida del conte di Saint Germain. >>
<< Tutta la famiglia Cullen si fida lui; tutta la loggia, anzi. Ciò non vuol dire che quelle persone ripongano bene la loro fiducia. >> affermò, riprendendo a sorseggiare il suo bicchiere di vino << Perché mi fai queste domande? Ha forse fatto qualcosa di strano? >> la sua domanda mi lasciò interdetta, soprattutto l’ultima parola usata. Cosa si nascondeva dietro alla facciata educata e rispettosa del conte? E, cosa più importante, come faceva mia madre a sapere così tanto su di lui?
<< Perché aiutasti Rosalie ed Emmett a rubare il cronografo? >> chiesi a brucia pelo, facendole sgranare gli occhi << Lo so che li hai aiutati. Eri l’unica ad avere il passepartout delle chiavi di nonno Royce. Sì, mi hanno anche rivelato che era lui il Gran Maestro della loggia, prima di Carlisle. Perché non so nulla di queste cose? Perché non mi hai mai detto nulla? >> mi resi conto che la mia voce si era alzata di qualche tonalità, nonostante non fosse mia intenzione urlare. Comprendevo, però, che mia madre sapesse molto più di quello che mi diceva, e la cosa mi faceva imbestialire. Ero la dodicesima viaggiatrice, no? Perché continuare a tenermi allo scuro di tutto, facendomi passare per una totale incompetente?
<< Ho aiutato Rosalie ed Emmett perché era giusto farlo. >> rispose calma, direzionandosi verso il lavandino, con il bicchiere vuoto in mano << Ma non è compito mio spiegarti tutto, Bella. Posso solo indirizzarti, ma… >> si guardò intorno e scattò verso di me, facendomi quasi saltare per aria. Quando ricominciò a parlare, sussurrò talmente piano che feci fatica a capirla, quasi << Non puoi sapere niente di tutto quello che vorresti sapere. Devi essere a conoscenza solo di tutto quello che sanno gli altri viaggiatori o Guardiani, né più né meno. Il conte è subdolo, bambina mia, lui ti entra in testa quando non te lo aspetti! Non può trovare informazioni nella tua mente, arriverebbe a fare cose impensabili… >> concluse, alzandosi per tornare in posizione eretta. Mi baciò la fronte e uscì dalla cucina, lasciandomi con più domande e dubbi di prima.
Per una frazione di secondo restai immobile, come se fossi stata catapultata via dal mio corpo, improvvisamente. Mia madre, per la prima volta in tutta la mia vita, mi aveva spaventata. Il conte è subdolo, ti entra in testa quando non te lo aspetti…, quella frase continuò ad echeggiarmi in testa per tutto il giorno.

Verso le quattro del pomeriggio venni scortata a Temple, per la solita trasmigrazione. Mi portai dietro gli esercizi di trigonometria e un libro di letteratura, tanto per leggere un po’.
Quando varcai la grande soglia della loggia, una calma innaturale mi avvolse di colpo. Era sempre così, qui. Era come se quel grande castello – la loggia, appunto – si trovasse in una dimensione tutta sua; come se nulla, delle faccende esterne, potesse toccare quel posto o la gente che ne faceva parte. Era irreale.
<< Salve, cara. >> disse Esme, accogliendomi con il suo caloroso sorriso << Hai riposato bene? >>
<< Sì, signora Cullen, grazie. >> risposi, seguendola affinché mi scortasse nella solita sala del drago.
<< Suvvia, Isabella, chiamami pure Esme! >> protestò, senza perdere il suo solare sorriso << Mi fai sentire più vecchia di quello che sono, altrimenti. >>
<< D’accordo Esme, grazie dell’interessamento. >> dissi, dopodiché calò il silenzio.
Stranamente, quel pomeriggio, c’era più via vai del solito. Molta gente che, prima di allora, non avevo mai visto, andava avanti e indietro per i lunghi corridoi. Che ci fosse qualche problema? Non riuscii a darmi una risposta, perché Mr. Dwyer comparì dinanzi a noi.
<< Oh, Isabella! Come sta? >>
<< Bene, Mr. Dwyer, grazie… >> risposi, ma venni interrotta all’istante proprio da lui.
<< È puntuale come un orologio svizzero, Isabella, oggi! Stavo proprio venendo da lei, lo sa? >>
<< Da me? >> chiesi, alzando un sopracciglio. Possibile che non potessi riposare nemmeno qualche ora in più? Dannato gene-portatore!
<< Grazie mille per averla portata fin qui, Esme. >> disse Mr. Dwyer, porgendomi il braccio, che afferrai senza troppi indugi. Se avevo capito una cosa, di recente, era quella di non controbattere nessuno e fare poche domande.
<< Isabella, oggi dovrà fare un salto nel tempo insieme ad Edward. >> spiegò Mr. Dwyer, accompagnandomi da Alice.
<< Cosa? Come? Perché? >> ok, dovevo ammettere che la faccenda delle domande non mi era ancora entrata totalmente in testa.
<< Questa mattina, Edward, si è recato da Elena Gilbert, per prendere il suo sangue sotto ordine del conte di Saint Germain… >> quel nome mi fece venire la pelle d’oca << C’è stato un piccolo inconveniente, purtroppo. >>
<< Che genere di inconveniente? >> domandai, cercando di portare la conversazione più lontana possibile da quel dannato conte.
<< Lady Gilbert si è rifiutata di dare il suo sangue al giovane, richiedendo della sua futura nipote. >> spiegò, fermandosi davanti alla porta della sartoria, e spostò gli occhi su di me << E cioè lei, mia cara Isabella. >>
<< Io? >> chiesi, sentendomi una cretina << Ma le avete spiegato che io non sono Tanya, ma Isabella? Sono un impiastro in queste cose. >>
<< Il problema, Isabella, è che ha fatto precisamente il tuo nome. Lady Elena Gilbert ha espressamente detto di voler conoscere il corvo, quale Isabella Marie Swan. >> rispose qualcuno alle mie spalle. Mi voltai di colpo, trovandomi davanti la faccia più stanca che avessi mai visto in vita mia.
Il ragazzo che si trovava di fronte a me, era cadaverico. Il viso era quasi cereo, con profonde occhiaie violacee. Nonostante quello, però, era sempre indubbiamente bellissimo.
<< Ma hai dormito? >> domandai, non riuscendo a trattenermi << Un vampiro sarebbe più vivo di te, al momento. Hai un aspetto orribile, Edward! >>
<< Buon pomeriggio anche a te, eh! >> disse, sistemandosi la sua giacca nera con leggeri ricami << Comunque no, non ho dormito affatto, contenta? Sono stato tutta la notte a rispondere a centinai di domande, dopodiché sono andato a casa, mi sono fatto una doccia veloce, e sono tornato qui per andare da Lady Gilbert, peccato che ho fatto un viaggio a vuoto. >> concluse, sbuffando.
<< Uhm, mi dispiace… >>
<< Oh, tranquilla, ci sono abituato. Allora, Mr. Dwyer, la mandiamo a cambiare o dobbiamo restare qui tutto il pomeriggio? >>
<< Oh, sì! Ha ragione, Edward! >> rispose Mr. Dwyer, aprendo la porta.
Come al solito, era tutto sottosopra. Stoffe, perline, scarpe… Quando Alice cominciava a creare non la fermava più nessuno.
<< E non sai com’è la sua stanza a casa… >> sussurrò Edward, avvicinandosi a me come mai prima. Sentire il suo fiato sulla mia pelle mi fece rabbrividire… Chiusi leggermente gli occhi, sperando di riprendere un certo contegno.
<< Miss Brandon! >> la chiamò Mr. Dwyer, e un folletto sbucò dal mucchio di pizzi sparsi per tutto il pavimento.
<< Eccomi! Il vestito di Bella è prontissimo. >> parlò Alice, come se quella stanza fosse stata l’ordine fatto ad oggetto.
<< Non capisco una cosa, però. >> dissi di getto, senza pensare se quella osservazione avrebbe potuto crearmi problemi o meno << Come faceva a sapere Lady Gilbert che sono io la dodicesima viaggiatrice e non Tanya? >>
<< È esattamente quello che ci stiamo chiedendo tutti. >> risposi Edward, fissandomi con sguardo indagatore.
<< Non penserai che c’entri qualcosa, mi auguro. >> replicai, stizzita.
<< Coda di paglia, forse? >> domandò, facendomi il suo sorrisetto da stronzo.
<< Adesso basta, ragazzi, ok? >> si intromise subito Mr. Dwyer << Edward, è ridicolo che la ragazza possa essere responsabile di questo, intesi? Inoltre, cortesemente, si ricordi che le ha salvato la vita! Siete entrambi molti stanchi, Isabella più di lei visto che questo è un mondo tutto nuovo, può comportarsi come una persona matura? >>
<< Ha ragione, Mr. Dwyer. >> rispose Edward, calmandosi all’istante << Scusa, Isabella, non era mia intenzione mettere in dubbio la tua parola. >> restai ammutolita. Possibile che facesse sul serio? Ma che problema aveva, poi? Riusciva a cambiare personalità, atteggiamento, nel giro di mezzo secondo? Dove finiva la verità e cominciava la falsità, nei miei confronti?
<< Va bene, adesso uscite tutti! >> urlò Alice, arrivando davanti a noi << Preparo la nostra Bella, così sarete pronti per andare! >> cacciò fuori i due uomini, per poi tornare da me, sorridente come sempre.
<< Ti ho preparato un abito fantastico! È blu! Quel colore ti dona moltissimo, lo sai? >> cominciò a parlare a macchinetta, prendendomi sotto braccio, e mi trascinò al centro della stanza.
L’abito che aveva scelto per me era davvero molto bello e, grazie al cielo, per niente pomposo. Alice mi informò che saremmo saltati nel 1912, e in quel periodo gli abiti erano più sobri. Era un vestito da passeggio, composto da corpino e gonna, realizzato in raso di seta blu, ricamato con paillettes, jet e marcassiti. Sulle spalle cadeva una leggera mantellina, realizzata in pizzo meccanico color burro.
I capelli, a differenza delle volte precedenti, erano lasciati più liberi. Alice, infatti, mi aveva fatto una leggera treccia, lasciata piuttosto morbida lungo la schiena, tenendo alcuni ciuffi ribelli all’indietro con un fermaglio a farfalla.
<< Sei incantevole come sempre, Bella. >> disse, passandomi un leggero strato di cipria sulle guance.
<< Merito tuo, Alice. >>
<< Sì, ma ho anche un’ottima base su cui lavorare! >> rispose, facendomi l’occhiolino << Sei pronta, Bella! Puoi andare. >> le diedi un bacio sulla guancia e raggiunsi la sala del drago, dove tutti mi stavano aspettando.
Quando varcai la soglia, trovai tutti i Guardiani conversare in modo piuttosto acceso. Carlisle, come al solito, discuteva con il dottor Black; Mr. Dwyer sfogliava qualcosa – forse gli Annali – parlottando con Mr. Saltzman; Edward, dal canto suo, continuava a fissare l’orologio impazienze.
Chiusi la porta alle mie spalle, piuttosto rumorosamente, e mi avviai al centro della stanza.
<< Era ora. >> sentii mormorare ad Edward. Mi voltai, fulminandolo con lo sguardo. Possibile che tutta la gentilezza del giorno prima fosse sparita con il sorgere del nuovo giorno? Evidentemente sì.
<< Isabella ha finito, possiamo andare. >> parlò Mr. Dwyer, avvicinandosi a me.
Sbuffai, notando che estraeva qualcosa dalla giacca: la solita benda nera.
<< Possibile che non vi fidiate ancora di me? >> chiesi, guardandoli uno ad uno << Non ho alcuna intenzione di sabotare questa missione, ok? Non ruberò il cronografo né qualsiasi altra cosa vi passi per la mente. >>
<< Questo lo dice lei, però. >> replicò il dottor Black, alzando un sopracciglio. Non mi crede…, pensai. Nessuno mi crederà mai.
<< Billy, basta con questa storia. >> disse Carlisle, sbuffando leggermente.
<< Nemmeno a me piace saperla bendata, Isabella… >> si intromise Mr. Saltzman, parlando direttamente a me << Ma è una questione di sicurezza che, sono sicuro, si risolverà prima di quanto pensa. >> sospirai, capendo che non c’era nulla da fare.
Mi voltai, affinché Mr. Dwyer mi allacciasse la benda scura alla nuca. Tutto diventò scuro, come ogni volta. Venni trascinata attentamente lungo quegli infiniti corridoi e nei sotterranei che, a causa della mia procurata cecità, non sapevo dove fossero ubicati.
<< Io e Carlisle ci avviamo avanti. >> sentii dire a qualcuno che, dalla voce, mi sembrava Mr. Saltzman << Vi aspettiamo nella stanza del cronografo… No, Edward, tu verrai con Isabella. Phil potrebbe avere bisogno di te. >> qualcuno sbuffò, e poi calò il silenzio.
Non riuscivo ad orientarmi e la cosa mi procurava sempre non poca ansia. Insomma, cosa sarebbe successo se ci fosse stato un altro assalto e io sarei dovuta rientrare da sola, alla loggia? Nessuno sembrava esseri sposto questo domanda.
Dalla sala del drago avevamo compiuto due svolte a destra, poi una a sinistra; eravamo scesi per una lunga rampa di scale, per poi svoltare nuovamente a sinistra. Il mio orientamento, però, si fermava qui. Il vuoto e lo smarrimento era tutto ciò che ne seguiva.
<< Edward, gentilmente, può scortare Isabella lungo la scala a chiocciola? >> domandò Mr. Dwyer << Devo rispondere al mio cercapersone. >> Cercapersone?, mi chiesi mentalmente. Ma esistevano ancora quegli aggeggi?
Percepii la presa farsi più ferrea e capii che a sostenermi fosse Edward, adesso. Il cuore, come al solito, cominciò a battermi all’impazzata e cominciai a sudare freddo. Possibile che solo la sua vicinanza scaturisse in me tutte quelle emozioni? Non potei farmi altre domande, perché per poco non rotolai giù dalle scale.
<< Gradino, attenta. >>
<< Grazie mille, Edward! Dimmelo dopo essermi rotta l’osso del collo! >>
<< Non c’è di che! >> rispose, con la sua aria da sbruffone.
<< Non c’è di che? Mi stavo ammazzando, razza di imbecille! >> urlai, facendolo sghignazzare << Ti stai divertendo, vero? Perché è questo che ti piace tanto, no? Avere la situazione sempre sottocontrollo, con ragazze che tu possa manovrare come bambole di porcellana che… Ah! Ahia! >>
<< La colonna! >> mi urlò, dopo averla presa in piena.
<< Ti stai vendicando per prima, dico bene? >> domandai, massaggiandomi la fronte con la mano libera. Conscia che, nonostante la presenza di Edward al mio fianco, ero sola nel buoi di un luogo che non conoscevo per niente, decisi di procedere con cautela. Quando percepii un’ulteriore colonna mi tirai indietro, evitandola per un soffio.
<< Grazie, Edward, per le tue dritte sul percorso. Senza di te non so proprio cosa… Ah! >> urlai, non vedendo il gradino.
<< Santo cielo, Edward! >> lo rimproverò Mr. Dwyer << Così la ucciderà, buon Dio! >> concluse, riprendendo il suo posto come mia bussola personale.
Tirai un respiro di sollievo, consapevole che d’ora in avanti non avrei più rischiato di finire in ospedale.
Per tutto il resto del tragitto, nessuno parlò. Sentii Edward sghignazzare, ogni tanto, a causa della mia goffaggine, dovuta anche – se non soprattutto – alla benda sugli occhi.
Arrivati nella stanza del cronografo, finalmente, mi venne tolta quella cosa fastidiosa, lasciandomi libera di vedere. Tutto era già pronto: il cronografo in bella vista, la data già sistemata, la parola d’ordine già nella mente del mio accompagnatore.
Il 1912 ci stava aspettando, e con esso anche la mia prima e vera missione come dodicesima viaggiatrice del tempo.

Ed ecco il capitolo che ci fa entrare nel vivo della storia. Bella, dopo la brutta esperienza con il conte, decide di porre alcune domande a Renée, la quale non da troppe risposte, ma fa capire che dietro a tutta questa storia si nasconde qualcosa di pericoloso. Edward è sempre Edward ù.ù'' e devo ammettere che scrivere l'ultima parte mi ha fatto sbellicare dalle risate ahah. Già quando la lessi nella saga originale morii dalle risate! Io l'ho messa, scrivendola a modo mio, ovviamente, perché un po' di divertimento non guasta XD Cosa succederà nel 1912? E come fa Lady Gilbert a sapere che il corvo era Isabella e non Tanya? Beh, lo scoprirete alla prossima pubblicazione, che sarà fondamentale per la storia! ;)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti, e ricordo il mio blog:Violet Moon (Blog).

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Capitolo 14
*** #13. ***


Buon pomeriggio a tutti! Scusate il ritardo, ma oggi la mia connessione fa i capricci. Infatti, per evitare che vi lascio senza capitolo, evito di perdermi in chiacchiere e ve lo posto abbastanza velocemente! Buona lettura!
.
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13.

« Il mondo è fuor dei cardini;
ed è un dannato scherzo della sorte
ch'io sia nato per riportarlo in sesto. »
Amleto, atto I, scena V - William Shakespeare.
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L’anno 1912 sembrava uscito da quei meravigliosi film che mi piaceva tanto guardare.
Le strade erano piene di automobili d’epoca, e i marciapiedi pullulavano di coppiette a passeggio. Molte donne, vestite pressappoco come me, utilizzavano anche un piccolo ombrello para-sole. La maggior parte di esse, però, indossava un cappello piuttosto voluminoso, quasi identico al mio.
Eravamo saltati al giorno 12 Aprile 1912, intorno alle cinque del pomeriggio – anche in quest’epoca.
<< Direi che ti piace molto il Novecento. >> disse Edward, attirando la mia attenzione << Da quando siamo qui non hai ancora aperto bocca, e noto che ti guardi curiosa intorno. >>
<< Beh, sì. È tutto molto bello… È surreale! Un attimo fa eravamo nel XXI secolo e adesso guardaci! Da bambina avrei pagato oro per essere nata nel 1912. >>
<< Ah sì? E come mai? >> domandò, facendomi segno con il capo che avremmo dovuto attraversare.
Era una bella giornata, e la casa di Lady Gilbert non si trovava molto distante dalla loggia. Edward decise, così, di raggiungerla a piedi.
<< Le prime grandi navi, per esempio! Insomma, è l’epoca del Mauretania e della sua gemella Lusitania! Per non parlare dell’Olympic Class, e delle sue tre navi più grandi del mondo! Tutti conosco il Titanic, per la sua terribile vicenda, ma non dimentichiamoci che prima di essa venne costruita l’Olympic. >> parlai, senza prendere fiato nemmeno per un secondo << Navi fantastiche, quelle. >>
<< Deduco che allora qualche nozione di storia la conosci. >> rispose, sghignazzando << Ovviamente, sai ciò che piace a te. >> sbuffai, vedendomi sgretolare davanti agli occhi le mie passioni << Ehi, non ti sto criticando! È una bella cosa. In fin dei conti, anche io avrei voluto sapere solo le cose che mi piacevano di più… Tipo la Rivoluzione francese, quella sì che è una gran bella parte di storia! >>
<< Oh, sì! >> risposi, sarcastica << Incendi, decapitazioni… >>
<< Appunto, favoloso! >> disse, assumendo un’aria fiera. Mi scappò un leggero sorriso.
Perché adesso sembrava più rilassato, più gentile nei miei confronti? Era appurato: io, Edward Cullen, non riuscivo proprio a capirlo. Chi era il vero Edward? Quello simpatico e allegro, o quello scontroso e a tratti maleducato, arrogante? Ero arrivata a pensare che, molto probabilmente, non sarei mai giunta alla verità.
<< Quella è casa Gilbert. >> disse il ragazzo, indicando una piccola villetta verde chiaro, quasi pastello, nell’angolo della strada.
A differenza delle ville nel Settecento, questa era senza dubbio più sobria. Situata su tre piani – soppalco incluso – era davvero molto carina. Il tetto spiovente, marrone scuro, stava veramente bene abbinato al colore delle mura. Tutt’intorno alla villetta, era costruito un piccolo recinto bianco, colore che richiamava i tre piccoli gradini dell’ingresso e i dettagli della casa.
Raggiungemmo il punto indicato in un batter d’occhio. Edward, da vero gentiluomo, mi aprì il cancelletto, dopodiché suonò il campanello. Pochi minuti dopo, venne ad aprirci il maggiordomo.
<< Desiderate? >> domandò, aprendo la soglia.
Era un armadio! Alto, almeno il doppio di Edward; largo, almeno tre volte Edward. Indossava un abito nero, con guanti bianchi. La classica figura che si ritrovava nei film d’epoca. I capelli castano scuro, come i baffi, stonavano un po’ messi in contrasto con i suoi occhi di ghiaccio, quasi.
<< Sono Edward Cullen. >> rispose il mio accompagnatore, con serietà e fermezza << Ho incontrato Lady Gilbert poche ore fa e mi ha chiesto di ripresentarmi con la signorina Isabella Marie Swan. >> concluse, indicandomi << Eccola qui. La informi che siamo arrivati, sono sicuro che dirà di farci accomodare. >>
<< Non c’è bisogno. >> replicò il maggiordomo, spalancando la porta << Lady Gilbert mi ha dato ordine di scortarvi in giardino, non appena foste arrivati. >>
Lanciai un’occhiata interrogativa ad Edward, non sapendo se queste fossero le normali abitudini del Novecento. Insomma, era possibile che il maggiordomo facesse accomodare degli ospiti, senza avvisare la padrona di casa, prima? Certo, ci aveva spiegato che avevo l’ordine proprio da Lady Gilbert, però…
A differenza mia, Edward, mi accompagnò dentro, con eleganza e bon ton. Sembrava tranquillo, perciò mi convinsi di essere solo un po’ paranoica o, più semplicemente, ignara delle vecchie usanze. Cosa che mi ripetevano praticamente tutti.
Seguimmo l’armadio – cioè, l’uomo! – nel piccolo giardino situato dietro la villa, nella parte opposta alla strada.
L’ambiente era molto carino e accogliente. Poche piante, colorate tra l’altro, un grande albero che riparava dal sole e, al centro, un piccolo tavolino da tea in ferro battuto bianco, con sedie annesse del medesimo materiale e colore. Facevano bella mostra sul piccolo ovale, una grande teiera e diverse tazzine.
Probabilmente, aveva ragione il maggiordomo: ci stava aspettando.
<< Demestri? >> sentimmo chiamare. La voce proveniva dall’interno della casa, più precisamente dal piano superiore.
<< Scusatemi, aspettate pure qui. >> disse lui, dopodiché sparì.
Restai qualche istante a guardarmi intorno, mentre Edward si accomodò su una sedia. La voce che avevamo appena sentito, doveva essere di Elena Gilbert.
<< Sì, è lei che ha chiamato. >> disse Edward, capendo i miei pensieri << Quella che hai sentito era proprio la voce di Lady Gilbert. Probabilmente ha chiesto al suo domestico cosa stesse succedendo… Ora si sistemerà un attimo, dopodiché scenderà da noi. >>
<< Ma come accidenti fai? >> chiesi, avvicinandomi a lui << Insomma, sai sempre quello che penso! Cosa sei, un leggi pensieri? >>
<< Tu leggi troppi Fantasy, ragazzina! >> rispose, sghignazzando << Sei molto facile da leggere, tutto qui. Riesco a capire quello che provi, ciò che senti, o anche quello che stai pensando, semplicemente guardandoti in faccia. Sei un libro aperto, ecco. >> concluse, giocando con le tazzine.
Quella rivelazione mi lasciò un po’ di panico addosso. Che avesse anche capito quello che provavo per lui? Diamine, Bella!, urlò una vocina nella mia testa. Nemmeno tu sai cosa provi, e dovrebbe saperlo lui? Quanto sei ridicola. Non aveva tutti i torti.
<< Hai diciassette anni, giusto? >> domandò Edward, improvvisamente.
Colta alla sprovvista, mi voltai, tornando a fissarlo. Era incredibilmente bello… Con la sua giacca scura, i pantaloni – molto meno ridicoli rispetto alle calzamaglie – e i capelli fissati indietro, completamente, con il gel. Ricordava in modo impressionante, il famosissimo latin lover, Rodolfo Valentino. Assolutamente affascinante.
<< Sì. >> risposi, ricordandomi che mi aveva posto una domanda << Ma dovresti saperlo. Il primo salto si fa a diciassette anni, no? Ho la stessa età di Tanya. >>
<< Volevo chiedere. >>
<< Tu ne hai diciannove, dico bene? >> chiesi io, nonostante lo sapessi già. Se voleva fare conversazione, non mi sarei di certo tirata indietro.
Edward, dal canto suo, annuì soltanto, troncando bruscamente quella piccola parentesi di discorso civile. Sospirai pesantemente, capendo che con lui non dovevo aspettarmi nulla.
<< C’è qualcosa che non va, qui. >> sussurrò, guardando le tazzine sul tavolo << Dovrebbero esserci tre tazzine, non cinque. >>
<< Come? >> domandai, avvicinandomi a lui che, nel frattempo, si era alzato di scatto.
<< C’è qualcosa che non va. >> ripeté, guardandomi dritto negli occhi.
Notai preoccupazione, nel suo sguardo. E anche qualcos’altro, a cui purtroppo non riuscii a dare un nome.
<< Cosa intendi? >> chiesi, cominciando a guardarmi intorno << Forse Lady Gilbert stava aspettando anche qualcun altro. >>
Non feci in tempo a concludere la frase, che una voce femminile parlò alle mie spalle.
<< Isabella, che piacere vederti. >> disse la voce, costringendomi a voltarmi.
Dinanzi a me, c’era una donna di pressappoco trent’anni. Era alta e piuttosto magra, i capelli erano lunghi, di un biondo piuttosto acceso. Incorniciavano un viso pulito, leggermente truccato, sul quale erano incastonate due gemme celesti.
<< Salve, Lady Gilbert. >> disse Edward, che ora si trovava alla mia destra, leggermente più indietro rispetto a me.
<< Ben tornato, Edward. >> lo salutò lei, sorridendo amichevolmente << Vedo che ha esaudito il mio desiderio, mi ha portato il rubino. >>
<< Certamente, Lady Gilbert. >> rispose il mio accompagnatore, avvicinandosi di due passi << Ogni suo desiderio è un ordine, per me. >> lo fissai per qualche minuto, incurvando un sopracciglio. Ma ci sta provando, per caso?, pensai, percependo un moto di irritazione e gelosia.
Tutte le donne Hale, erano sempre state bionde con gli occhi chiari. Eccezion fatta, per quel poco che ne sapevo, della prima gemma, tale Katherine Pierce, l’opale. Lei era esattamente come me: occhi castani e capelli scuri, quasi neri. Elena Gilbert, invece, mi ricordava moltissimo mia cugina Tanya.
<< Isabella! >> mi chiamò Edward, risvegliandomi dai miei pensieri.
<< Sì, dimmi. >>
<< Vuoi chiedere a Lady Gilbert il suo sangue, cortesemente? >> domandò, cercando di mantenere un tono amichevole, mentre mi fulminava con lo sguardo.
<< Non così in fretta, giovanotto. >> ribatté Lady Gilbert, attirando su di sé la nostra attenzione.
<< Come, prego? >> domandò Edward, voltandomi le spalle << Avevamo un patto, Lady Gilbert. Io le avrei portato il rubino e lei ci avrebbe consegnato alcune gocce del suo sangue. >>
<< Questo era prima. >> rispose lei, varcando la soglia del giardino, e si accomodò ad una sedia << Potremmo parlare un po’, non crede, Edward? >>
<< Avremmo un po’ fretta, Lady Gilbert. >> replicò Edward, cingendomi con una mano la vita.
Quel contatto improvviso mi fece preoccupare. Cosa diavolo stava succedendo? Perché Edward si stava mettendo sulla difensiva? E, soprattutto, perché Lady Gilbert non voleva darci le gocce del suo sangue, nonostante Edward si fosse attenuto ai patti?
<< Suvvia, Edward! Non crede di esagerare? Siete coperti per qualche ora, presumo. >> replicò lei, come se ne sapesse quasi quanto noi << Tre, quattro ore? >>
<< Tre ore. >> rispose lui, mentendo.
Per essere sicuri che questa volta Lady Gilbert ci avesse dato il suo sangue, Mr. Saltzman, ordinò che il cronografo fosse impostato sulle quattro ore. Ci rimanevano molto più di tre ore, in questo tempo.
<< Mi conceda mezzora, allora. >> disse Lady Gilbert, versando tre tazze di tea << Qualche scambio di opinione con la qui presente Isabella, dopodiché vi darò il mio sangue e potrete andare via. >>
<< Come vuole, Lady Gilbert. >> rispose Edward, senza mollare la presa su di me << Ma non versi tea, per me. Non ne ho molta voglia, con tutto il rispetto. >> la donna annuì, sorridendo, ma non smise di riempire le tazzine.
<< Allora, Isabella, come ti trovi nel cerchio dei dodici? >> domandò Lady Gilbert, porgendomi la tazzina piena di liquido scuro.
<< Ehm, sto cercando di adattarmi, ecco. >> risposi, parlando per la prima volta da quando Lady Gilbert era arrivata.
<< Ho saputo che fino a poco tempo fa, tutti eravate convinti che il rubino fosse Tanya Denali, dico bene? Tua cugina, per l’appunto. >>
<< Già… >> risposi, ma Edward mi parlò sopra.
<< E lei come lo sa? >> domandò, in tono brusco << Come fa a sapere quello che succede nel 2011, Lady Gilbert? Mi sembra un po’ strano. >>
<< So parecchie cose, Edward. >> rispose lei, e uno strano scintillio si formò nei suoi occhi << Molte più cose di quello che credi. >>
<< E chi è il suo informatore? >> replicò Edward, perdendo sempre di più le buone maniere.
Notai la bocca di Elena Gilbert aprirsi, dopodiché si richiuse. Nessun suono uscì dalle sue labbra, ma un sorrisino le incurvò lentamente.
<< State parlando di me per caso, ragazzi? >> domandò qualcuno alle nostre spalle.
Edward si voltò di scatto, spingendomi dietro di lui. Lo sentii irrigidirsi, e sibilare parecchie imprecazioni.
<< Dovevo capirlo che era una trappola! >> urlò, quando fummo accerchiati da diversi uomini armati.
<< Avanti, nipotino, non fare così. >> parlò il ragazzo, dinanzi a noi << Nessuno vuole fare del male a nessuno, va bene? Sediamoci, prendiamo un po’ di tea, facciamo due chiacchiere e… Va bene, se devi guardarmi così, vai a farti un giro! Con Isabella parlerò senza di te. Posso farlo, sai? >>
<< Tu non la tocchi, stronzo! >> urlò Edward, cercando la mia mano << Non avrete il nostro sangue, te lo puoi anche scordare! >>
<< Il vostro… cosa? >> chiese il ragazzo, inclinando il collo verso sinistra.
In quell’attimo di silenzio mi fermai a guardarlo. Era davvero molto bello. Alto, spalle larghe, e fisico da rugbista. I capelli erano neri, corti; gli occhi azzurri, con leggeri riflessi più scuri. Indossava dei pantaloni a salopette, beige, e una maglietta nera, abbinata ai mocassini. Aveva un aspetto famigliare, ma al contempo totalmente estraneo.
<< Mio fratello non ti ha insegnato l’educazione, bambolino? >>
<< Non sei degno di nominare mio padre, Emmett. >> sputò Edward, facendomi sgranare gli occhi.
Non potevo crederci. Non riuscivo a crederci! Emmett? Emmett Cullen, era qui davanti a noi? Vivo?
<< Zio Emmett, al massimo. >> replicò, sospirando << Questi giovani d’oggi! All’inizio degli anni novanta le cose iniziavano a precipitare, ma non pensavo che nel XXI secolo i ragazzi fossero così maleducati! Non trova, Lady Gilbert? >> domandò alla padrona di casa, facendola scoppiare a ridere.
<< Lei lo sapeva! >> urlò Edward, voltandosi verso di lei << Per questo mi ha fatto portare qui Isabella, dico bene? Sapeva benissimo che Emmett Cullen e Rosalie Hale non era morti! Certamente, si sono rifugiati qui con il cronografo, ed ora vogliono finire il cerchio e lei li sta aiutando! >>
<< Non credi di essere scortese, Edward? >> chiese Lady Gilbert, afferrando un biscotto << Sei sempre in casa mia, ragazzino. >>
<< Isabella! >> urlò Emmett, facendomi voltare verso di lui << Allora, come stai? E Renée, tutto bene? E quel simpaticone di Charlie? >>
<< Ehm, tutti bene, grazie… >>
<< Isabella, ma che diavolo fai! >> urlò Edward, afferrandomi per le spalle << Non devi parlare con lui, mi hai capito? >>
<< Perché non lasci che sia lei a decide, Edward? >> domandò una voce femminile.
Una ragazza apparve lentamente di fianco ad Emmett. Era bellissima.
Come il suo compagno, che non dimostrava più di ventuno anni, la ragazza non ne dimostrava più di diciannove. Indossava un abito simile al mio, ma con le tonalità rosse, quasi bordeaux. I capelli biondi erano sciolti, abboccolati fino a metà schiena; gli occhi castano-verdi, erano davvero molto belli ed espressivi. Rosalie…, pensai.
<< Non nominare il mio nome, ladra. >>
<< Ehi, ehi, frena! >> lo ammonì Emmett << Porta rispetto alla mia compagna, mi hai capito, moccioso? >>
<< Moccioso? >> replicò Edward, scoppiando a ridere << Dimostri solo due anni in più di me! >>
L’aria che era venuta a crearsi, poteva benissimo essere tagliata con un coltello. Nonostante il sole battesse su di noi ancora caldo, cominciai a sentire freddo. Possibile che mia madre avesse sbagliato, aiutandoli? Possibile che Edward e tutta la loggia, avessero avuto sempre ragione su di loro? Emmett e Rosalie non mi sembravano molto amichevoli e, certamente, privi di buone intenzioni.
<< Isabella, ascoltaci! >> disse Rosalie, scattando in avanti, verso di me.
Il tutto successe molto in fretta: Edward si frappose tra me e i nostri avversari, portandomi la mano sulla stomaco affinché la mia schiena aderisse completamente al suo petto; Emmett afferrò Rosalie per il polso, impedendole di fare un ulteriore passo; Lady Gilbert scattò in piedi, nell’istante esatto in cui i tre uomini che ci circondavano estrassero le armi, puntandole contro me e il mio accompagnatore.
<< Siete impazziti? >> urlò Rosalie, sottraendosi alla morsa di Emmett << Giù le armi! Non voglio di certo far fuori mia cugina, imbecilli! >>
<< Ehm, principessa, non credi che… >>
<< E tu sta’ zitto! >> lo ammutolì lei, facendo tacere all’istante Emmett << Dovevamo parlare con loro, non arrivare a questo! >>
<< Beh, noi non vogliamo parlare con voi. >> ribatté Edward, senza mollare per un secondo la presa su di me.
<< Questa è una conversazione privata, ok? >> disse Emmett, non apprezzando l’intromissione di Edward.
<< Se vuoi parlare con la tua donna, parlaci! Ma noi ce ne andiamo, capito? >>
<< Edward, per favore! Non vogliamo il vostro sangue, davvero! Non abbiamo alcuna intenzione di far sì che il cerchio dei dodici si completi. Possiamo sederci e parlare da persone civili? Così vi spieghiamo tutto. >> tentò Rosalie, avvicinandosi a noi.
Notai l’impassibilità di Edward. Era strano. Non ribatté, non disse assolutamente nulla. Che ci stesse pensando? E se così fosse stato, perché cambiare idea, proprio adesso?
<< Ragazzo, perché non la lasci respirare? >> disse Emmett, indicandomi << Sembra un orsacchiotto di pezza, stritolato nell’abbraccio di un bambino geloso di ciò che è suo. >>
<< Emmett! Smettila di stuzzicarlo! >> lo ribeccò Rosalie, dandoci le spalle.
Fu allora che percepii le labbra di Edward sfiorarmi l’orecchio, con un movimento rapido e preciso.
<< Afferrala. >> sussurrò, a voce talmente bassa che lo sentii per pura fortuna << Adesso che ci sta dando le spalle, portala davanti a noi. Non posso lasciarti andare, e non posso fare tutto con una mano sola. Devi aiutarmi, Bella, ok? >> annuii, non essendo troppo sicura di quello che stavamo per fare. Insomma, quelli avevano le armi!
Presi un profondo respiro e, come mi aveva detto Edward, afferrai Rosalie con entrambe le mani, bloccandogliele dietro la schiena, e la attirai a noi. Solo allora capii quanto i miei calcoli fossero sbagliati.
Edward estrasse una piccola pistola nera, una revolver modello sessanta, e la puntò sulla tempia di Rosalie. Entrambe strillammo, con aspettandoci quella conclusione.
<< Cazzo! >> disse Emmett, sibilando tra i denti << Sei un fottuto stronzo! >>
<< Adesso, tu dici ai tuoi uomini di mettere giù le armi. >> parlò calmo Edward << Dopodiché vai ad accomodarti vicino alla nostra amichevole Lady Gilbert. Rosalie ci scorterà gentilmente alla porta, dove saremo liberi di tornare a Temple. Vero, Rosalie? >>
<< Edward, non fare così. >> sussurrò lei, rimanendo immobile come una statua << Abbiamo sbagliano noi a puntarvi le armi addosso, è vero, ma volevamo solo parlare del cerchio, del conte, del… >>
<< Sta’ zitta, capito?! >> urlò Edward, strattonandola.
<< Edward, così le fai male! >> urlai, essendo ancora bloccata tra il suo braccio e la schiena di Rosalie, adesso.
<< Non è un problema mio! >> mi sbraitò contro, terrorizzandomi. Non lo avevo mai visto tanto incavolato e spaventato, contemporaneamente.
Non risposi, evitando di perdere la visuale di mia cugina e dell’arma che Edward brandiva, premendogliela sulla tempia. Notai che il mio accompagnatore si stava dirigendo dentro casa, mentre gli uomini avevano buttato per terra le armi – adesso scariche – ed Emmett, con le mani in bella vista, si era fermato di fianco a Lady Gilbert, dietro il tavolino. Solo a quel punto, il braccio di Edward si allentò, lasciandomi libera di respirare. Afferrò i polsi di Rosalie, sostituendo le sue mani alle mie, e mi disse di precederlo.
<< Vai avanti tu, a me non possono fare niente. >>
<< Edward, non credi che… >> tentai, ma venni interrotta bruscamente.
<< Edward niente, Bella! Intesi? >> urlò ancora << Era una trappola, lo capisci o no? Ci hanno ingannati tutti. Hanno finto la loro morte! Loro hanno l’altro cronografo e se prendono il nostro sangue, completeranno il cerchio prima di noi! >>
<< Ma non vogliono completarlo! >> strillai, più forte di lui << Diamine, Edward, ma li hai sentiti? >>
<< Io le darei retta… >> tentò Emmett, ma venne zittiti subito da Edward.
<< Nessuno ha chiesto il tuo parere, bestione. >> disse e mi indicò con la testa l’uscita << Si fa come dico io, Isabella. Ora vai alla porta, Rosalie sarà la nostra garanzia. >> conscia che non avrei potuto fare altro, feci quello che Edward mi aveva detto.
Nessuno si mosse, evidentemente Emmett teneva troppo a Rosalie per metterla in pericolo in quel modo ridicolo.
<< Bella, ascoltami. >> disse Rosalie, una volta arrivati all’ingresso << Sei mia cugina, non potrei mai metterti in pericolo! Sono in debito con tua madre, è solo grazie a Renée se io ed Emmett siamo ancora vivi… Ahi! >> urlò, per il brutto strattone che le diede Edward.
<< Cosa sai del conte? >> le chiesi, ignorando le urla di Edward e le sue ammonizioni.
<< Non fidarti del conte, Bella! Non fidarti mai. E non finite il cerchio… Per nessun motivo, intesi? >>
<< Quante stronzate! >> disse Edward, spalancando la porta.
<< Perché non dobbiamo finire il cerchio? >> le domandai, nonostante Edward mi stesse spingendo fuori, all’aria aperta.
<< Non posso spiegartelo così, ma non finirlo! Non finite quel maledetto cerchio! >> urlò un’ultima volta, prima che Edward la spinse a terra, dentro casa.
Richiuse la porta e, afferrando la mia mano, mi trascinò via da quel posto.
Corremmo senza sosta finché non raggiungemmo il cancello nero della loggia. A quel punto, Edward mi lasciò andare e si piegò sulle ginocchia. Avevamo entrambi il fiatone.
<< Sei forse impazzita? >> sbraitò, alzandosi di scatto.
Mi spaventai e barcollai, fin quando non percepii il muro dietro la mia schiena. Feci un grosso errore, perché Edward si parò dinanzi a me, bloccandomi le via di fuga con le mani.
<< Calmati adesso, Edward… >>
<< Ma cosa diavolo ti è preso? Non vorrai davvero dar loro ascolto, spero! >>
<< Sembra che sappiano quello che fanno. >> risposi, con voce tremante << Potremmo anche ascoltarli… Sì, insomma, parlare non ha mai ucciso nessuno. >>
<< Toc-toc! >> disse, picchiettandomi in testa << C’è qualcuno qui dentro? Pronto! “Parlare non ha mai ucciso nessuno”. >> proseguì, cinguettando la mia voce << Apri gli occhi, Isabella, ci hanno puntato le armi addosso. >>
<< Sì, ma… Ehi, e la tua da dove usciva fuori? >> gli domandai, ricordando ciò che mi aveva detto sugli oggetti del futuro << Non è contro le regole? >>
<< Ho preso questa dalla collezione di mio padre. >> rispose, impugnando ancora la piccola pistola nera << È antica, quindi non va contro nessuna regola. >> spiegò, dopodiché si allontanò da me.
Restammo in silenzio per diversi minuti. Edward si trovava di fronte a me, di profilo; si passò la mano tra i capelli diverse volte, segno che era nervoso. Io, invece, restai con le spalle al muro, perché mi reggesse. Sentivo le gambe molli e la voglia spasmodica di tornare indietro, per scoprire cosa sapessero Emmett e Rosalie di questa storia.
<< Non provarci nemmeno, Bella. >> parlò Edward, e mi trovai due fari verdi puntati addosso. Mi sentii agitata all’istante. Le mani cominciarono a sudarmi e, almeno per quella volta, il cuore cominciò a battermi per paura.
<< F…fare cosa? >> domandai, balbettando. Cazzo, brutto segno!, mi ammonii mentalmente.
<< Non andrai a parlare con loro. Sono dei ladri e dei bugiardi, mi hai capito? Non farti influenzare dalle loro idee assurde! Sai cosa faremo, adesso? Aspetteremo pazientemente l’ora del ritorno a casa, dopodiché riferiremo tutto a mio padre e a Mr. Dwyer. Infine, andrò ad avvisare il conte stesso. >>
<< Cosa!? >> strillai, scattando verso di lui << No, Edward, aspetta! Loro sanno qualcosa anche sul conte di Saint Germain! Non puoi andare a dirgli che… Che cosa, poi? Pensaci, per favore. >> non mi ero nemmeno accorta di essergli piombata completamente addosso.
Avevo il colletto della giacca di Edward tra le mani, mentre le sue erano ferree sul mio bacino. Non c’eravamo mai trovati così vicini… Il suo viso era ad una spanna dal mio, mentre il suo guardo si spostava dai miei occhi alle mie labbra.
Cominciai a sentire milioni di brividi lungo la schiena, e la mia salivazione divenne totalmente assente. Le mani di Edward si ancorarono più saldamente ai miei fianchi, attirandomi a lui. Riuscivo a percepire le sue cosce, coperte, aderire alle mie, nascoste sotto la veste; il suo cuore battere forte, mentre il suo respiro diventava sempre più debole.
La razionalità lasciò il posto alla voglia. Volevo baciarlo da quando lo avevo conosciuto; da quando avevo visto quella me stessa baciarlo in quella stanza, di tanto tempo prima. Ma lui? Non si era mai dimostrato interessato a me. Quindi, perché adesso sembrava provato? Come se avesse aspettato quel momento da una vita e, al tempo stesso, ne fosse spaventato?
<< Cosa devo fare con te? >> sussurrò con voce roca, e il suo respiro fresco mi colpì le labbra. Gemetti, provando sensazioni mai provate prima di quel momento.
Le mani di Edward cominciarono a muoversi, seguendo la linea della mia spina dorsale. Chiusi gli occhi, inarcando leggermente la testa.
<< Tu sei qualcosa che non mi aspettavo. >> disse ancora, seguendo le linee del mio corpo << Sei imprevedibile e non so mai come andranno le cose se mi sei vicino. Non sono abituato a non avere il controllo delle situazioni, a passare del tempo con qualcuno che agisce di testa propria… >> aprii gli occhi, trovandomi i suoi fin troppo vicini << Sei speciale. Oggi come oggi, direi che potresti persino essere l’unica persona sulla faccia della terra che segue le proprie idee. >>
<< Edward, cosa… >>
<< Non chiedere. >> mi interruppe, posandomi due dita sulle labbra << Non so cosa sto facendo, non voglio pormi domande. Voglio solo bac… >>
<< Signori! >> ci chiamò qualcuno, dall’interno della loggia.
Colti di sorpresa, ci staccammo all’istante. Edward si passò la mano tra i capelli, ed io cercai di ridarmi un contegno. Il cuore mi batteva all’impazzata e avevo assolutamente bisogno di una doccia fredda. Possibile che quest’imbecille doveva arrivare proprio adesso!, urlai mentalmente.
<< Stavamo per entrare. >> rispose Edward ad una qualche domanda che, molto probabilmente, mi era sfuggita. Proseguì, parlando in codice, affinché l’uomo capisse chi eravamo davvero.
Venimmo scortati nella stanza degli archivi che, nel nostro tempo, aveva preso la nuova mansione di stanca del cronografo. Da quello che ero riuscita a capire, nel 1912, il cronografo veniva tenuto in un cassetto della sala del drago. Ovvio…, pensai mentalmente, a quel tempo non era ancora stato rubato.
Attendemmo che le ore passassero nel silenzio più assoluto.
Edward prese le distanze e io, anche se avrei dovuto aspettarmelo, ci rimasi più che male. Insomma, c’eravamo avvicinati parecchio fuori da questa loggia! Le sue mani avevano toccato il mio corpo, avide di sentire ancora di più. Mi stava per baciare! E adesso? Cos’era successo, adesso?
Quando mi decisi a chiederglielo, capii che era troppo tardi. Una vertigine mi colse impreparata, facendomi torcere lo stomaco e, in men che non si dica, mi ritrovai nel 2011, circondata dalle solite persone.

Posso dire che questo tredicesimo capitolo è molto ricco. Scopriamo che Emmett e Rosalie non sono morti, ma qual è la loro vera "missione"? Edward non si fida per niente, ma farà bene? E succederà, adesso? In compenso l'aria si è riscaldata molto alla fine del capitolo tra i due giovani viaggiatori del tempo... Edward ammette che non sa gestire Bella, e tra tutte le cose che ha sempre sostenuto, è proprio questa quella che lo fa più impazzire. Come cambiarà il loro rapporto - sempre se cambierà davvero qualcosa - dopo il quasi bacio? Lo scoprirete la prossima volta, forse... :P
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì prossimo! Adesso sta' a voi... ;)

Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 15
*** #14. ***


Buon pomeriggio a tutti! Chiedo scusa per questi due giorni di ritardo, ma non ho avuto tempo per postare il capitolo, anche se era già pronto.
Comunque, bando alle ciance, e buona lettura!
Solo una cosa... LEGGETE LE NOTE DOPO IL CAPITOLO, PERCHE' DEVO COMUNICARVI UNA COSA IMPORTANTE!
.
.

14.

« Queste gioie violente hanno fine violenta.
Muoiono nel giorno del loro trionfo,
come il fuoco e la polvere da sparo,
che si consumano al loro primo bacio. »
William Shakespeare, Romeo e Giulietta. Atto II, scena VI.
.

Era passata una settimana dal salto nel 1912, e le cose erano notevolmente cambiate. Non sapevo dire, però, se fossero mutate in meglio o in peggio.
I soliti battibecchi con Edward erano finiti, non per nostra scelta. Lui aveva deciso di ignorarmi del tutto. Se ci incontravamo nel corridoio della loggia, faceva finta di guardare altrove, leggere o mandare un messaggio, cambiare la playlist del suo iPod… Inventò addirittura miliardi di modi nuovi per eludere me, le mie domande o, anche più semplicemente, il mio sguardo.
Mi sentivo ferita, dovevo ammetterlo. Non lo capivo e, sinceramente, stavo anche perdendo la voglia di capirlo. Era solo un ragazzino viziato e arrogante che, senza troppi scrupoli, aveva deciso di trattare le persone come immondizia – di trattare me come tale, almeno.
I giorni continuavano a passare in fretta, nella monotonia più assoluta. La mattina mi alzavo, per dirigermi a scuola; a casa era sempre il finimondo tra mia zia Victoria e mia madre, per non parlare della tensione tra me e Tanya – ovviamente, voluta da quest’ultima. Conclusa la mattinata alla Saint Lennox, passavo qualche ora con Angela – sempre se eravamo fortunate, ovviamente –, dopodiché veniva un autista della loggia a prendermi, per portarmi a trasmigrare qualche ora in uno sgabuzzino pieno di ragnatele e topi, di qualche anno passato. Mi rifugiavo lì a pensare, mentre studiavo per il giorno seguente.
Finita la mia piccola sosta, tornavo a casa – se ero fortuna, naturalmente –, altrimenti rimanevo ancora qualche ora a Temple per allenarmi o apprendere le nozioni base delle diverse discipline ritenute fondamentali per un viaggiatore.
Io ed Edward non facemmo più viaggi insieme. Il conte di Saint Germain, in una missiva indirizzata al Gran Maestro di questo tempo, aveva vivamente espresso il suo volere che fosse Edward, unico e solo, a portare a termine gli ultimi viaggi; io ero troppo indisciplinata e inesperta per aiutarlo. Ridicolo…, pensai. La verità era che Edward non mi voleva tra i piedi.
<< Bella! >> urlò qualcuno, parandosi davanti a me.
Indietreggiai per lo spavento e sgranai gli occhi. A fissarmi, con uno sguardo a cuoricino, c’era il piccolo volto di Alice.
<< Ohi, ciao. >> dissi, notando Jasper accanto a lei << Ciao anche a te. >>
<< ‘Sera a te, Bella. >> rispose Jasper, accennando un sorriso.
<< Bella, stasera andiamo a farci una pizza! Vieni anche tu? >> propose Alice, saltellando come una bambina.
<< Ehm, non so… >> risposi titubante << Solo noi tre? >> chiesi, non avendo alcuna intenzione di trasformarmi in una candelina.
<< No. >> rispose Jasper, attirando la mia attenzione << Oggi, a pranzo, stavo parlando con Eric. Pare si sia deciso a dare una possibilità al suo interesse per Angela… Lei, però, non gli ha ancora dato una risposta, inventando che doveva vedere se poteva disdire un impegno con te. >> spiegò pazientemente << Credo che se accendi il telefono, troverai parecchie sue telefonate. >>
<< Quindi mi state proponendo un’uscita a cinque, dove io dovrei fare la candelina? >> domandai, senza pensare all’uragano Alice.
Il piccolo folletto, infatti, mi pestò un piede, facendomi urlare come un pazza. La rimproverai e lei, per allontanarci da Jasper, mi spinse qualche metro più lontana.
<< Sei pazza, Bella? Lui non lo sa che mi piace, ricordi? >>
<< Oddio, Alice, scusa. >> sussurrai, appoggiandomi al muro << Ho appena finito una lezione di scherma con Carlisle, sono distrutta. >>
<< Va bene, ti perdono. >> disse, piegandosi sulle ginocchia << In effetti sei piuttosto malandata oggi, ti senti bene? >>
<< Sì, è solo stanchezza. Ma dimmi di questa pizza, dai. >>
Sapevo di aver detto quello che voleva sentirsi dire. Infatti, l’aria preoccupata che le invadeva il viso, lasciò immediatamente posto all’eccitazione.
<< È presto detto: Jasper mi ha chiesto se mi andava di accompagnarlo, stasera. Ovviamente, ho detto subito di sì! Solo che poi ci ho ripensato… Nel senso, non che non volessi più andarci, ma sarei stata da sola con il ragazzo che mi piace e due sconosciuti. Sono venuta a sapere che la ragazza che ha invitato Eric – ok, proprio sconosciuto non è, ogni tanto lo trovo che gironzola in casa, ma non ci ho mai scambiato mezza parola! – è Angela Weber, nonché tua migliore amica. Perciò ho pensato che, nella tua immensa generosità, avresti potuto aiutare non solo la tua best friend di sempre, ma anche la tua nuova e bellissima amica! >> concluse, facendo gli occhioni languidi del gatto con gli stivali di Shrek.
<< Oh, Alice… >> mugugnai, non avendo proprio voglia di uscire.
<< Ti prego, Bella! Poi farò tutto quello che vuoi, ma aiutami! >>
<< Potrebbe essere lo slogan per creare il tuo post sul forum “alfemminile.com”. >> dissi seria, assumendo un’aria pensierosa << Sì, ce lo vedo. >>
<< Eh? >> chiese Alice, alzando un sopracciglio.
La sua espressione mi fece scoppiare a ridere. In effetti, quel forum poteva anche essere utile, solo che io e Angela trovavamo sempre post assurdi! Donna lesbica che va con un uomo, scambiandolo per la sua ragazza; sesso più ridicolo, che realmente sadomaso. E molto, molto altro.
<< Scusa, Alice! >> dissi, ricomponendomi << D’accordo, ti aiuto. Usufruirò di questa uscita per passare qualche ora anche con Angie, la vedo sempre meno in questo periodo. >>
<< Grazie, Bella! >> urlò Alice, gettandomi le braccia al collo, e cademmo tutte e due per terra << Non te ne pentirai, promesso! >>
Ricambiai l’abbraccio, alzando gli occhi al cielo. Ma quando ci alzammo, conscia di stare forse diventando un po’ paranoica, mi sembrò di notare la mia piccola amica fare un gesto di “ok” al suo Jasper.

* * *

Venerdì sera arrivò in un batter d’occhio.
Mi trovavo di fronte allo specchio, al momento, a fissare il mio trucco con la cipria. Nulla di troppo appariscente, comunque: un ombretto sfumato, che andava dal beige al marrone; eyeliner nero, come la matita sotto e il maschera; per dare un tocco di luce, in conclusione, un leggero gloss color pesca.
<< Bella, è arrivata Angela! >> urlò mia madre, dal piano di sotto.
Percepii il mormorio di Lady Lillian, che rimproverava Renée per aver strillare in casa.
<< Scendo tra un minuto! >> urlai di rimando, sia perché mi sentisse, ma anche perché stuzzicare la nonna era un gran bel passatempo.
<< Ehi, Bella, posso? >> bussò Angie, entrando nella stanza.
<< Certo… Wow, tesoro, sei fantastica! >> dissi, abbracciandola.
Indossava un fantastico abito grigio piombo, con scollatura a cuore. Era semplice e arrivava poco sopra il ginocchio. Sulle spalle, faceva bella mostra un copri-spalle nero, abbinato alle scarpe e alla piccola borsetta.
<< Stai molto bene anche tu! >> rispose lei, sorridendomi << Pensavo di doverti infilare in un vestito, invece hai fatto tu da sola. Complimenti, Bella! Ma a cosa devo il cambiamento? >> domandò infine, alzando un sopracciglio.
<< Che vuoi dire? >> chiesi, infilando le mie decolté.
<< Andiamo, sei sempre stata una ragazza semplice. Per te la moda è solo una parola troppo ingombrante. Non voglio insinuare che non ti sai vestire, eh! Il tuo discorso vale lo stesso per me, però non hai mai apprezzato i vestiti, i tacchi… >>
<< Si cambia a volte, no? >>
<< È per Edward che vuoi cambiare? >> chiese a bruciapelo.
Quella domanda mi lasciò interdetta, immobilizzandomi come una statua di cera. Non sapevo come risponderle o, più semplicemente, avevo paura che avesse ragione.
Non volevo far colpo su Edward – nemmeno ci sarebbe stato stasera, tra l’altro –, però volevo andare avanti; volevo smetterla di piangermi addosso o sperare in qualcosa che, alla fin fine, era solo una mera illusione.
<< Sono semplicemente stufa. >> ammisi, mettendomi compostamente seduta << Insomma, quando siamo negli altri tempi è perfetto, o quasi, è un vero gentiluomo. Oppure è solo un bravissimo attore, che indossa una maschera ben costruita! >> alzai di qualche nota la voce, per poi riabbassarla subito << Mi stava per baciare, te l’ho perfino raccontato. E poi? Sono diventata più trasparente di James ai tuoi occhi, per lui. Sai come sono fatta… Non sono mai stata il tipo che si piange addosso, e lui è riuscito perfino a farmi diventare così. Io ho chiuso con lui e i suoi stupidi giochetti! È solo un ragazzino arrogante, troppo codardo per far trasparire ciò che prova o potrebbe provare, per me. Ed io non sono una bambolina, un’oca come quasi la maggior parte delle ragazze della mia età, che cade sempre ai piedi del primo bello arrivato sulla sua strada. Non esiste, Angie, non esiste proprio. Non sono la sua ragazza, non sono innamorata di lui né lui lo è di me. Noi non siamo niente. Quindi, perché devo farmi trattare in questo modo? >> domandai, infine, dopo aver concluso il mio monologo.
Per la prima volta, dopo più di un mese, mi sentii leggera. Finalmente mi ero tolta un masso gigantesco dal cuore.
<< Hai ragione tu, Bella. >> disse Angela, venendo a sedersi accanto a me << E poi chissà, magari tutto andrà bene e si aggiusterà da solo. >>

Erano le nove in punto, quando arrivammo al Trafalgar Tavern di Greenwich.
Il locale era situato sul lungomare, ed era stato costruito intorno al 1837. Come molti pub della zona, divenne famoso per le sue cene a base di bianchetti – il pesce.
L’architettura era semplice, ma molto elegante: parquet scuro, colonne in marmo bianche, come gli infissi e il soffitto; i muri erano di un bel rosso scuro. Le sale erano piuttosto grandi, e l’intera struttura era allestita a zone. C’era quella ristorante, quella da ballo – con ampio spazio e, perfino, un pianoforte a due code – e, per concludere, i piani predisposti interamente a bar e pub. L’intero locale si affacciava sul mare.
<< Perché siamo venuti proprio qui? >> domandai, seguendo il cameriere che ci stava scortando al nostro tavolo.
<< Non ti piace? >> domandò Jasper, spostando la sedia prima a me e poi ad Alice.
<< No, no, affatto. Ci venni una volta con mia madre e mio padre, per pranzo. È un gran bel locale, soprattutto di sera. Ma non potevamo andare in un pizza-pub del centro? >>
<< Non fare la guastafeste, Bella! >> mi ammonì Alice, prendendo la carta del menù << L’ho scelto io questo posto, se continui mi sentirò offesa! >>
<< Ma il posto è molto bello, scema! >> la ripresi, quando finalmente fummo tutti seduti a tavola << Non capisco perché hai scelto Greenwich come meta, ecco. >>
<< Forse perché ci abita, Bella. >> rispose Eric, alzando un sopracciglio.
Angela sghignazzò ed io mi sentii avvampare. Ok, potevo smetterla di fare la guastafeste, per una sera almeno.
<< Voi cosa prendete? >> domandò Angie, sfogliando anch’ella il menù.
<< Non so, sto decidendo. >> rispose Alice, per poi spostare il suo sguardo su Jasper << Jazz, che ore sono? >>
<< Nove e venti, quasi. >> rispose lui, guardando l’ingresso.
Una strana sensazione mi salì lungo la schiena, portandosi uno strano presentimento. Guardai i miei amici, uno ad uno, notando un fatto curioso: i posti al tavolo erano sei, non cinque.
<< State aspettando qualcuno, per caso? >> domandai, puntando gli occhi su Alice e poi su Jasper.
La loro risposta, anche se non fu verbale, non tardò ad arrivare. Jasper si voltò di scatto verso Alice, che sgranò gli occhi; Angela spostò lo sguardo altrove; Eric sussurrò qualcosa del tipo “Ma perché non lo sa?”. E, a quel punto, tutto mi fu chiaro.
Non pensai, ma scattai in piedi di colpo, attirando su di me lo sguardo di tutti gli altri clienti del locale.
<< Non state aspettando chi credo che state aspettando, vero? >>
Notai Alice ed Angela scambiarsi un’occhiata complice, che mi fece capire tutto. Non eravamo lì per l’appuntamento galante di Eric e Angela né, tanto meno, per supportare Alice e la sua uscita con Jasper! Quella era una trappola in piena regola. Ed era per me.
<< Diavolo, mi avete imbrogliata! >> quasi urlai, facendo qualche passo indietro << Io prendo un taxi e me ne torno a casa. Questa me la pagate tutti quanti! >>
Non feci in tempo a fare un altro passo, che andai a sbattere contro qualcuno. Mi voltai leggermente, alzando lo sguardo – dopo aver notato un elegante giubbotto marrone scuro.
Incrociai due occhi verdi che, belli come sempre, mi fissavano indispettiti, con un sopracciglio alzato.
<< Già te ne vai, Isabella? >>
<< Edward. >> sussurrai in risposta, elaborando che quelle fossero le prime due frasi scambiate in quasi dieci giorni.
<< Ma sì, Eddy, lasciala andare. Non credo sia un posto che faccia per lei. >>
Girai il capo verso sinistra, solo per notare mia cugina avvinghiata al braccio destro del ragazzo che, non riuscivo a spiegarmi il motivo, mi teneva le mani ancorate ai fianchi.
<< Tanya? >> dissi, con voce isterica << Cosa diavolo ci fai qui? >>
<< Dovrei essere io a chiederti questo, Bells, non tu. >> rispose, con la sua solita voce da oca giuliva << Come ho detto prima, non è un posto per te. Troppo elegante, non trovi? >>
<< Ti avevo detto di venire da solo. >> disse gelida, Alice.
Io, nel frattempo – e senza non poca fatica! –, mi sottrassi alla stretta di Edward, indietreggiando di qualche passo. Ero imbarazzata. Non solo perché lui mi stava facendo una radiografia completa, ma anche perché tutto il locale stava assistendo alla scena. Che vergogna!, pensai, avvolgendomi le braccia intorno alla vita.
Dovevo ammettere, comunque, che quei due formassero proprio una bella coppia. Lui stronzo, arrogante e con un ego sproporzionato di se stesso; lei bella, bionda, ma oca. Un’accoppiata vincente, insomma.
<< Non ho portato con me Tanya. >> rispose Edward, senza smettere di fissarmi << Ho incontrato lei e Jessica qua fuori, così hanno pensato di fare un’unica tavolata. >>
<< Se non ti andava potevi sempre dire di no, non trovi? >> domandò mia cugina, lasciva come una perfetta pornostar.
<< Già, Edward, potevi sempre dire di no. >> mormorai, sorridendogli falsamente a trentadue denti. Lui, dal canto suo, sbuffò.
<< Il tavolo, comunque, è per quattro. >> si intromise Jasper, notando l’irritazione di Alice.
<< Fossero solo questi i problemi! >> squittì, in modo irritante, Jessica << Mi scusi, cameriere! >>
<< Jess, lascia stare, ok? >> dissi, afferrando il cappotto e la borsa << Io me ne stavo andando, quindi Tanya può prendere il mio posto e tu fai aggiungere un coperto. Direi che è la soluzione migliore. >>
<< Per una volta sarò io a prendere il tuo posto. Giusto, Bells? >> controbatté mia cugina, guardandomi con uno sguardo rapace.
Cercai di non far trasparire la mia frustrazione e il mio disagio. Ancora con quella storia? Era possibile che, Tanya, non avesse ancora capito che di quella loggia non me ne importava assolutamente niente? L’unica cosa di cui mi interessava qualcosa, al momento, era Edward, ma su quel fronte, purtroppo, lei aveva già vinto.
<< Perché non ci sediamo tutti e la smettiamo di dare spettacolo? >> disse Edward, in tono duro. Dopodiché si allontanò per andare a parlare con un cameriere.
Tornò nel giro di cinque minuti e, senza sapere bene come, riuscì a farci spostare ad un tavolo da sei – nonostante il Travel fosse quasi del tutto pieno.
<< Tutto è bene quel che finisce bene, vero? >> disse Eric, ignaro del vero problema che aleggiava sulle nostre teste.
Senza farmi vedere, lanciai un’occhiata agli abbigliamenti dei miei due “migliori amici”.
Tanya sfoggiava un abito rosso, piuttosto scollato – sia sul davanti che sul di dietro –, corto, abbinato ad un paio di stivaletti bianchi, in tinta col suo soprabito e la pochette.
Edward, invece, era vestito in modo più casual: jeans scuri, da sera; Vans marroni, abbinate al gilet – sopra la camicia nera – e al giaccone.
La serata passò abbastanza tranquillamente. Io non parlai molto, a quello ci pensarono Tanya e Jessica. Alice era visibilmente infervorata, nonostante Jasper cercasse di calmarla. Erano molto carini insieme. Quel particolare, tuttavia, non mi avrebbe impedito di mandarli nella tomba. Insieme, ovviamente!
Spostai lo sguardo su Angela, giusto il tempo per vedere Eric accarezzarle il dorso della mano. Lei, in risposta a quel gesto, sorrise leggermente e le sue guance si colorarono di un leggero color porpora.
<< Edward, guarda, c’è un pianoforte! >> disse Tanya, di punto in bianco << Perché non ci suoni qualcosa? Dai, ti prego! Mi mancano le cose che mi suonavi a… ehm, prima. >> si corresse in tempo, ricordandosi che seduti con noi c’erano anche Angela ed Eric.
A quella richiesta rimasi ammutolita. Edward sapeva suonare il piano? E, cosa ancora più sconvolgente, lo suonava per lei?
Vidi Edward girarsi di scatto, verso di me. Io, dal canto mio, abbassai lo sguardo, giocherellando nervosamente con la tovaglia.
Perché era così difficile seguire ciò che stabilivamo per noi stessi? Perché, nonostante il bel discorso fatto ad Angela, non riuscivo a mandare Edward al diavolo, una volta per tutte?
La risposta era semplice: non puoi imporre niente al tuo cuore. Lui prenderà sempre la sua strada, che a te piaccia oppure no.
Persa nei miei pensieri, non mi resi conto che Edward era già davanti allo strumento. Tutti lo guardavo curiosi, stupiti di vedere un ragazzo così giovane in quel luogo, al posto del solito pianista.
Quando la musica partì rimasi spiazzata. Non era solamente bravo, Edward era un pianista eccellente. Le lunghe dita, scorrevano sui tasti neri e avorio con una velocità ed un’eleganza che riusciva, perfino, ad ipnotizzarti.
Quella calma apparente, però, durò troppo poco.
<< Fantastica melodia… >> sospirò Jessica, all’orecchio di Tanya << Ma non la conosco, di chi è? >>
<< Non l’ho mai sentita. >> rispose Angela, che di musica se ne intendeva.
In effetti, quella composizione era stupenda, ma non mi ricordava nulla. Sembrava nuova.
<< Perché l’ha composta Edward. >> rispose mia cugina, senza smettere di guardarlo << Si chiama For you, e l’ha creata per me. >>
Passarono secondi, minuti… Forse perfino ore. Mi immobilizzai sul posto, prendendo le sembianze di una statua. Lui, Edward – il mio Edward! – aveva composto una melodia per lei?
Il mondo si era ribaltato. Sentii lo stomaco contorcersi e cominciai a sudare freddo, tremando. Che senso aveva avuto tutto, allora? Il suo quasi bacio nel 1912, le sue carezze, le sue attenzioni per me, degli ultimi tempi? Ti ha presa in giro, Bella.
<< Scusatemi. >> sussurrai, alzandomi.
Notai Angie fare lo stesso e Alice scattare su, ma le bloccai con le mani. Non volevo nessuno. L’unica cosa che desideravo era stare da sola, prendere un po’ d’aria, magari.

Non so quanto rimasi là fuori, ma l’aria stava diventando un po’ troppo fredda, adesso.
Mi ero fatta il giro del porto, perlustrando un po’ la zona, tanto per schiarirmi le idee. Quando, però, notai di essermi allontanata troppo, e senza nemmeno giacca e telefono, decisi di rientrare.
Stavo aprendo la porta dell’ingresso del locale, quando mi sentii strattonare ferocemente.
<< Dove diavolo eri finita?! >> urlò Edward, a pochi millimetri dalla mia faccia << Io e Jasper ti abbiamo cercata ovunque! Sono passate dure ore da quando sei uscita, ti rendi conto di quanto ci hai fatto preoccupare? Angela era in preda all’angoscia e mia sorella stava dando fuori di matto! >>
Non so bene perché lo feci, ma scoppiai a ridergli in faccia.
La mia ilarità era isterica, ovviamente, ma bastò a far calmare Edward che, per la sorpresa, rimase a bocca aperta. Capii che stava ritornando in sé, quando mi riafferrò il braccio e mi trascinò nel parcheggio, per prendere la sua auto.
<< Edward! Lasciami andare! >> strillai, cercando di divincolarmi dalla sua presa.
<< Sono l’unico tuo mezzo di trasporto. >> disse duro, quasi gelido << Eric ha accompagnato Angela a casa, Jasper è tornato con Alice, mentre Tanya… >>
<< Quanto mi dispiace che tu non abbia potuto accompagnare la tua fiamma a casa, per colpa mia! >> urlai, riuscendo a farmi mollare, con uno scatto deciso << Sono sempre la solita bambina, vero? Dai, dillo! “Per colpa tua, Betty, non ho potuto passare del tempo con Tanya. E le avevo perfino scritto un pezzo! Sei proprio una ragazzina! Sei…“ >> mi interruppe, ma non come faceva di solito.
Edward mi stava baciando. Riuscivo a percepire tutto: le sue mani sulla mia schiena, che mi attiravano a lui sempre di più; le sue labbra, calde, morbide e inaspettate, premute sulle mie.
Rimasi immobile per alcuni secondi, non aspettandomi di certo un gesto simile. Da quanto tempo stavo aspettando quel momento? Edward mi stava baciando. Mi stava baciando sul serio!
Mi avvinghiai a lui, con ferocia, lasciando che le mie dita sparissero tra i suoi capelli. Le nostre labbra si muovevano all’unisono, sembrano pezzi perfetti di un unico puzzle. Percepii le sue mani muoversi, arrivando ad accarezzarmi le cosce. Gemetti sulle sue labbra, che aprii, per permettere alle nostre lingue di giocare insieme.
Edward mi stringeva a lui sempre di più. Stavo cominciando a perdere la cognizione del tempo e del mio corpo. Dove finivo io? Dove cominciava lui?
Quel momento era perfetto così com’era. Mi sorpresi perfino di me stessa. Quando avevo imparato a baciare? Ma, soprattutto, quando avevo imparato a baciare in quel modo?
Con uno scatto che non compresi, Edward mi schiacciò sulla portiera della sua macchina, premendo il suo bacino contro il mio. Sgrani gli occhi, gemendo in modo indecente. Era eccitato.
<< Sto correndo troppo… >> sussurrò sulle mia labbra, poggiando la fronte sulla mia.
<< Era il mio primo bacio. >> dissi scioccamente, senza sapere il perché.
Lo vidi sorridere e mi accarezzò la guancia, dolcemente.
<< Te la sei cagava molto bene, novellina. >> scherzò, baciandomi la punta del naso.
Lo spinsi via, facendolo indietreggiare lentamente. Lui stava scherzando, io no.
<< Che hai fatto? >>
<< Cosa abbiamo fatto, Bella. >> rispose, tornando più vicino a me << Ti ho baciata e tu hai ricambiato il bacio. >>
<< Tu stai con mia cugina. >> affermai, mettendomi a posto la gonna del vestito << Io non sono il tipo di persona che punta il ragazzo altrui. >>
<< Bella, Bella, io non sto con tua cugina. >> disse, prendendomi il viso tra le mani << Dico davvero. Inoltre, non ha nemmeno molta inventiva. Tornato al tavolo ho chiesto che fine avessi fatto e quando Alice mi ha trascinato via, per parlarmi, mi ha spiegato tutto. Non era per lei quella melodia, Bella, è per te. >> proseguì, porgendomi uno spartito << Leggi cosa c’è scritto in alto. >>
<< Bella’s lullaby. >> risposi, sentendomi gli occhi pungere << L’hai scritta per me? Perché? >>
<< Perché forse non mi sei indifferente come voglio credere. >> rispose, avvicinandosi ulteriormente << Ma c’è domani per le domande, ora pensiamo a questo. >> e mi baciò ancora. Ma quello fu solo il primo di tanti altri.
Passammo la notte a baciarmi e parlare, come non avevamo mai fatto fino a quel momento.

Finalmente si sono baciati! Lo so, questo bacio ve l'ho fatto attendere parecchio XD solo che volevo che fosse speciale, ma soprattutto mio. Come ben sapete, questa storia è la riadattazione della trilogia omonima dell'autrice Kerstin Gier, ma sto cercando di metterci molta me stessa, senza perdere di vista la trama di base. Spero di essere riuscita nel mio intento...
Vi AVVISO che la pubblicazione della settimana prossima, salterà. Il motivo è che tra il lavoro e alcune questioni nel mondo reale, ho avuto poco tempo di stare al pc e quindi di scrivere i capitoli. Inoltre, la creazione della pagina facebook sulla grafica, mi ha preso parecchio, in quanto c'erano molte richieste recentemente - soprattutto di video, che è il lavoro più grosso da fare. Non temete, però! La storia avrà solo un leggero ritardo, ma tornerà come prima da Mercoledì 30 Maggio. Impegni permettendo, utilizzero la prossima settimana per scrivere qualche capitolo, così da non lasciarvi più senza :)
Spero di riavervi tutti qui a fine mese! Per il momento, come dico sempre, ora sta a voi dirmi cosa pensate del capitolo... ;) ma ci rilegge prestissimo! :*

Un bacione a tutti! E se voleste rimanere in contatto con me, visto il mio blog:Violet Moon (Blog).

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Capitolo 16
*** #15. ***


Buon Mercoledì a tutti! Come state?
Lo so, sono leggermente in ritardo, però ho messo l'avviso! Direi che non sono tanto cattiva, no?
Come già detto nell'avviso - che ho cancellato, per non far sballare i capitoli -, ho avuto alcuni problemi di salute nella "settimana sabatica" che mi ero presa per portarmi avanti con "Edelstein" – come vi avevo detto a fine capitolo scorso – e quindi non sono riuscita a scrivere nulla, se non mezzo capitolo. Il 26 Maggio, poi, ho festeggiato il mio compleanno, e sono stata praticamente due giorni fuori casa a svagarmi e divertirmi, cercando anche di evadere dai miei problemi quotidiani – che chi mi conosce bene, sa. Il lavoro, inoltre, è abbastanza frenetico in questo periodo. Finisco abbastanza tardi e, tornando a casa, la voglia di scrivere è quella che è. Per staccare un po' dalla quotidianità decido di rilassarmi un po' ed entrare su internet, per scrivere – sperando che la voglia arrivi! – o godermi un po' di pace. La gente, però, deve rompere le palle *scusate il francesismo* anche sui social network, rendendo una persona già nervosa per la propria vita di tutti i giorni, ancora più nervosa. Per questi motivi, er e sono indietro con la storia.
Sono riuscita a concludere il capitolo e ho pensato di postarvelo appena corretto, sperando di tenere viva in voi la curiosità di proseguire la lettura di questa piccola long.
Adesso, giuro!, la smetto di ciarlare e vi lascio alla lettura, ma mi raccomando, leggete le note che lascerò in fondo perché sono importanti per quanto riguarda i capitoli successivi.

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15.

« Non basta guardare,
occorre guardare con occhi che vogliono vedere,
che credono in quello che vedono. »
Galileo Galilei.
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La settimana cominciò che avevo ancora la testa tra le nuvole.
Avevo passato il week end riempiendo Angela di chiacchiere su Edward. Quanto fosse bello, quanto baciasse bene, quanto toccasse bene… Ovviamente mi stoppò quasi subito, evitandomi il racconto dei dettagli più piccanti. Scoppiai a ridere al pensiero. Dettagli piccanti? Il massimo che Edward aveva fatto, era stato toccarmi una coscia.
<< Non dirmi che ci stai ancora pensando, Bella. >> sussurrò Angela, alla pausa pranzo.
<< A cosa? >> domandai, senza togliermi quel sorriso ebete dalla faccia.
<< Misericordia, ci stai ancora pensando! >>
<< Dai, Angie… >> dissi, sbuffando un po’ << Non me lo aspettavo. >>
<< E te ne volevi perfino andare! Ti rendi conto che a me e ad Alice devi, come minimo, una statua placcata d’oro? >>
<< E va bene, sono stata azzardata. Ma dopo tutta quella sua abilità nell’evitarmi, avevo pensato… >>
<< Bella! >> mi interruppe la mia migliore amica << Questo è il tuo guaio. Ma sai cosa ti dico sempre, no? Non pensare! >> scoppiai a ridere, ma aveva assolutamente ragione.
I problemi li avevo avuti a casa, però.
Quell’arpia di Tanya, capendo l’interesse che Edward nutriva per me – dopo averla piantata lì per venire a cercarmi –, aveva riferito a Lady Lillian che fatto una sceneggiata indegna per una Hale, in un locale pubblico, e non solo! Aveva perfino detto a mia madre della mia fuga in piega notte. Ero stata messa, così, in castigo.
Niente iPhone, niente computer e internet – se non serviva per scuola –, ma soprattutto, niente uscite. Ovviamente, i viaggi nel tempo e i pomeriggio alla loggia erano esclusi.
<< E dimmi, il principe azzurro si è fatto sentire? >> chiese Angela, mangiando una mela verde.
Quella domanda mi lasciò perplessa. Quale sarebbe stata la risposta più giusta? Poco importava, in fin dei conti. Edward non aveva chiamato, ma non era per forza colpa sua. Nella foga del momento avevamo dimenticato di scambiarci i numeri. E anche se l’aveste fatto, svegliona? Sei in punizione, avrebbe trovato un telefono spento!, urlò una voce nella mia testa. Touché…, pensai, mordendomi il labbro inferiore.
<< Veramente non ci siamo… >>
<< Oh, andiamo! Suo padre avrà certamente il tuo numero. >> ribatté subito Angela, impettita.
<< Sì, ma… Non posso usare il cellulare, lo sai. Mia madre me l’ha confiscato, grazie a quell’arpia di mia cugina. >> sibilai, lanciandole un’occhiata dall’altra parte della mensa.
A differenza del nostro piccolo e modesto tavolino, il loro era enorme e strapieno di gente. Circondata da tutti gli studenti più ricci, belli e popolari della Saint Lennox, c’era mia cugina. Sedeva al centro, insieme a Jessica, Lauren, Mike, Riley, e tutte le altre cheerleaders e atleti dell’istituto. Aveva una bella vita, Tanya – anche se non gliela invidiavo per niente, era un ambiente troppo fasullo per me –, per questo non riuscivo a capire perché invidiasse così tanto la mia.
<< Per me sono solo scuse. >> sentii dire ad Angela, conscia di aver perso quasi tutto il suo discorso.
<< Oggi si vedrà. >> dissi, tagliando corto << E tu ed Eric? Cos’è successo? >>
<< Ma niente… >>
<< Avanti, tesoro. Stai ripetendo la stessa cosa da due giorni, ma non ci credo per niente! >> le dissi, notando che all’appello della pausa pranzo mancasse proprio Eric, ed anche Jasper in effetti << Guardati, ti sei vestita anche tutta in tiro… >>
<< Ma cosa dici! >> urlò, alzando un po’ troppo la voce. Colta in flagrante!
<< Questa bella camicina traslucida rosa e che scollatura! >>
<< Isabella! >> mi ribeccò lei, facendomi scoppiare a ridere.
<< Va bene, va bene. Quando vorrai dirmi com’è andata, sarò qui ad ascoltarti. >> le dissi, dandole un bacio sulla guancia.
Passammo gli ultimi minuti del pranzo a ripassare la lezione di storia. Quel Lunedì, Mr. Saltzman, avrebbe fatto un compito in classe su tutto il programma dell’anno precedente.

* * *

Londra, Hyde Park.
29 Maggio 1912

Il sole splendeva alto nel cielo, quel giorno. Gli uccellini cantavano, e la gente passeggiava per quel piccolo paradiso terrestre in tutta tranquillità.
A differenza di tutte le persone a modo che, con eleganza e nobiltà, si coprivano il volto con delicati ombrelli parasole, due giovani erano stesi sul prato verde ad impadronirsi di tutti i suoi raggi.
<< Non credi di esagerare, principessa? >>
<< Perché mai? >> chiese la giovane, in risposta alla domanda del suo compagno.
Era stesa sull’erba, sostenendosi sui gomiti; la veste spostata di poco, lasciava scoperti il collo e le spalle. Teneva gli occhi chiusi, il viso piegato all’indietro e i capelli, sciolti, lasciati liberi al vento.
<< Sembri più una libertina che una nobildonna. >> sghignazzò il ragazzo, mettendosi su un fianco.
Indossava una camicia bianca, lui, sotto un paio di pantaloni marroni con le bretelle. Entrambi erano scalzi, particolare che attirava parecchia attenzione in quell’epoca.
<< Parlando di cose più serie… >> lo ribeccò la ragazza, guardandolo truce << Cosa ne pensi di quei due? >>
<< Bel quesito. Tua cugina ha il tuo sguardo… Fiero e combattivo, oltre che curioso. Edward… >>
<< Edward è una testa calda. >> lo interruppe << Proprio come lo eri tu, Emmett. >>
<< Ehi, dovrei sentirmi offeso, lo sai? >> disse il ragazzo, posandosi una mano sul cuore << Io ero molto più sveglio! E anche molto più affascinante. >>
<< Non so… >> parlò Rosalie, facendosi pensierosa << Quella capigliatura sbarazzina, quelli occhi verdi, mmm… >>
<< Rosalie Lillian Hale! Ma cosa dici?! >> strillò Emmett, facendo voltare l’intero Hyde Park. Rosalie, dal canto suo, scoppiò in una fragorosa risata.
Era bella quando rideva, pensava spesso Emmett. La verità, però, era che Rosalie era sempre bellissima.
<< Quando fai il geloso sei da riempire di baci! >> disse la ragazza, dandogli un rumoroso bacio a stampo << Adesso, però, torniamo al nostro discorso iniziale. Isabella ed Edward. Cosa dovremmo fare con loro? >>
<< Non lo so, Rose. >> rispose Emmett, strappando un filo d’erba << Il conte di Saint Germain ha plagiato parecchio la mente di mio nipote e, di conseguenza, quella di mio fratello. >>
<< E di tutta la loggia, presumo. >>
<< Credi che abbiamo aspettato troppo tempo? >>
<< Aspettato? >> chiese Rosalie, confusa da quella domanda << Emmett, noi abbiamo dovuto avvalorare la nostra tesi! Dovevamo capire se quello che sospettavano era veritiero… Inoltre, noi siamo bloccati qui, nel passato. Non saremmo potuti andare ad avvertirli prima. Isabella doveva compiere il primo salto… Sapevamo che li avrebbero mandati da Lady Gilbert, per il suo sangue. Dovevamo solo aspettare un segno che, fortunatamente, è arrivato. >>
<< Quindi ora che si fa? >>
<< Ci prepariamo per la prossima mossa. >>
<< Allora sei pronta, principessa? >>
<< Quando vuoi. >>

* * *

L’atmosfera alla loggia era più caotica del solito.
Da quando io ed Edward eravamo rientrati dal viaggio del 1912, non c’era stato un attimo di pace.
Tutti i Guardiani stavano cercando di capire com’era stato possibile che, Emmett e Rosalie, non solo fossero ancora vivi, ma ci avessero intercettati e teso un’imboscata, con l’aiuto di Elena Gilbert oltretutto!
<< Le sto dicendo che credo sia impossibile che la ragazza c’entri qualcosa! >> sentii urlare, dalla sala del drago.
<< Non abbiamo avuto problemi in due anni, Carlisle. In due anni! >> controbatté qualcuno che, senza esserne troppo sicura, riconobbi come essere il dottor Black.
<< È solo una ragazzina, Billy! Per l’amor del cielo! >>
<< Una ragazzina che ha i geni di una traditrice. >>
<< Se è per questo, Alaric, anche Edward ha gli stessi geni di Emmett ed anche Carlisle. >> parlò Mr. Dwyer << Non crede che sia un movente troppo impreciso per considerare la giovane Isabella come un potenziale pericolo per tutti noi? >>
Quel dibattito non avrebbe dovuto sorprendermi. In fin dei conti, non era la prima volta che mi accusavano di tradimento o, addirittura, di essere stata la causa dell’imboscata di Lady Gilbert.
Cominciava ad infastidirmi, però. Insomma, non ero di certo una viaggiatrice impeccabile, lo sapevo anche io, ma arrivare a pensare che potesse essere colpa mia era… era ridicolo!
<< Non ti ha mai detto nessuno che spiare le conversazioni altrui è peccato? >> sussurrò una voce, vicinissima al mio orecchio sinistro.
Saltai per aria, a causa dello spavento. Se Edward non mi avesse tappato la bocca, avrei perfino urlato.
<< Shh! Che ti salta in mente! Poi passeremmo un pessimo quarto d’ora. >> disse, allontanandosi un po’ per farmi respirare. Era splendido, come al solito.
Quel pomeriggio, indossava un paio di jeans stretti, una camicia verde militare – che gli faceva risaltare gli occhi – e un paio di Converse nere. I capelli, come ogni volta che lo vedevo, erano disordinati, donando al suo viso un’aria estremamente sexy.
<< Sei tu che mi sei sbucato alle spalle! >> sussurrai impettita, ricordandomi che mi aveva rivolto la parola.
<< Ovvio, stai origliando da più di dieci minuti. >>
<< Non stavo origliando… >> cominciai, interrompendomi subito, notando il suo sopracciglio alzato << Oh, va bene! Stavo andando nella sala del drago a cercare Mr. Dwyer per il solito salto nello scantinato, ma sentendo che era impegnato… >>
<< Ti sei fermata ad origliare. >> concluse al mio posto, facendo un sorriso sornione.
Di tutta risposta, ridussi gli occhi a due fessure e incrociai le braccia sotto il seno. Inaspettatamente, Edward, si avvicinò a me con uno strano scintillio negli occhi. Mi portò una ciocca si capelli dietro l’orecchio, guidando le sue labbra vicine al mio collo. Riuscivo a percepire il suo fiato, e la cosa mi stava procurando una marea di brividi lungo la schiena.
<< Quando sei arrabbiata sei ancora più carina, lo sai? >>
<< Uhm… Ah sì? >> chiesi, con voce tremante.
Edward non rispose, ma cominciò ad accarezzarmi la guancia. Con un gesto rapido, mi spinse dietro ad una colonna, facendo aderire la mia schiena al muro freddo.
<< L’uniforme scolastica, poi, ti sta proprio bene… >> sussurrò, mentre con la mano libera tracciava delle linee immaginarie sul mio braccio.
Non riuscii a dire nulla. La lingua era diventata di cemento e, molto probabilmente, ero andata in iperventilazione.
Quando le labbra di Edward tornarono sulle mie, ci volle tutta la forza che avevo per non saltargli addosso – dopo aver fatto svariati urli di gioia, ovviamente.
Non pensavo che mi avrebbe baciata di nuovo così presto. Anzi, se proprio dovevo dirla tutta, ero convinta che se ne fosse pentito. Come aveva detto Angela, se avesse voluto sentirmi o vedermi, avrebbe saputo come fare; in quel week end, però, tutto aveva taciuto.
<< Sono due giorni che aspetto di rifarlo… >> sussurrò il ragazzo dagli occhi verdi, sulle mie labbra.
<< Davvero? >> domandai, non sapendo dove avevo trovato il fiato.
<< Ne dubiti? >> chiese lui, appoggiando le sue grandi mani sui miei fianchi e mi attirò ancora di più a sé.
Stare così vicina ad Edward, mi procurava emozioni che non avevo mai conosciuto prima. Il cuore batteva all’impazzata, le mani sudavano e le gambe tremavano. Lo stomaco, infine, si contorceva in modo inspiegabile. Era un dolore dolce, quasi confortevole.
<< Terra chiama Bella! Ehi, ci sei? >>
<< Cosa? Oh, sì! Sì, scusa, sono qui. >>
<< Tutto bene? Ho detto qualcosa di sbagliato? >>
<< No, davvero! Pensavo di essere solo io quella che stava aspettando che questo momento tornasse… >> sussurrai, mordendomi la lingua. Cazzo, l’ho detto a voce alta!, pensai.
<< Ero convinto che la notte passata insieme fosse stata molto chiarificatrice. >> disse Edward, allontanandosi un po’ per guardarmi negli occhi.
<< Sì, lo è stata. Ma forse è successo tutto troppo in fretta, insomma… >>
<< Troppo in fretta? >> domandò, interrompendomi << Ti ho solo baciata, Bella. >>
<< Non mi sto riferendo a quello. >> sibilai, spingendolo via << Non sono una bambina. So cos’è un bacio e cosa vuol dire “andare troppo di fretta”. Intendevo che pochi giorni fa nemmeno mi consideravi e poi, tutto d’un tratto, ti preoccupi per me e mi baci. Ma se per te è stato solo un bacio, va bene. >> conclusi, allontanandomi in fretta.
<< Aspetta un attimo! >> disse, afferrandomi un polso << Hai frainteso. O meglio, io ho frainteso le tue parole. Non è stato solo un bacio, va bene? Adesso torna qui. >> finì, trascinandomi nuovamente dietro la colonna.
<< E allora perché non mi hai cercata? Nemmeno un messaggio! E tuo padre ha il mio numero. >>
<< Magari mi vergognavo di chiedere il numero a mio padre, non credi? >> rispose, cominciando ad alterarsi.
<< Come se a te servisse chiedere, Edward. >>
<< Va bene, non ci ho pensato! Sei contenta? Avevo altre cose da fare! Come, ad esempio, cercare le prove che ti scagionino dall’essere la prima indiziata dell’assalto di Emmett e Rosalie. >>
<< Non crederai sia davvero colpa mia, spero. >> dissi, aspettandomi qualcosa che non arrivò.
Edward voltò il viso dall’altra parte e si allontanò da me, lasciandomi andare il polso.
<< Non ci credo! Tu pensi che sia colpa mia! >> urlai, fregandomene che tutti ci sentissero.
<< Ammetterai anche tu che sia strano. >> disse, puntanomi addosso i suoi occhi verdi che, a differenza di poco prima, erano diventati arroganti e privi di qualsiasi emozioni.
<< Come puoi pensare che sia stata io?! >> strillai, cercando di trattenermi dal prenderlo a pugni << Diamine, Edward, ragiona! Non so nemmeno come avrei potuto fare! >>
<< Usando il cronografo saresti potuta tornare indietro nel tempo, avvisare qualcuno – se non proprio loro – del nostro arrivo da Lady Gilbert. >>
<< Cosa? Ma di cosa stai parlando? Nemmeno lo sapevo di quel viaggio! >>
<< Prima, ma adesso sì. >> rispose freddo, con un tono quasi calcolatore.
<< Di cosa diavolo stai parlando? >>
<< Ora sei solo ingenua e innocua… Ma cosa ne sappiamo di come sarai tra tre mesi? Potresti… >>
<< Beh, potresti anche tu! >>
<< No! Io non lo farei mai. >>
<< Ma come ho fatto a fidarmi di te anche solo per un momento? >> domandai, voltandogli le spalle.
<< Bella, aspetta! Questo non c’entra nulla con noi due. >>
<< Non c’entra? >> ero costernata dai suoi assurdi ragionamenti << Non c’entra?! Dio, Edward, non so proprio come ragioni e… I tuoi cambiamenti d’umore mi fanno girare la testa. >> scappai dalla sua presa e mi avviai verso la sala del drago.
<< Bella, fermati! >>
<< Perché mi hai baciata, se adesso ti comporti in questo modo? >> domandai, senza riflettere oltre. Senza pensare che, forse, la sua risposta avrebbe potuto ferirmi. Farmi molto, troppo, male.
<< Io ti ho baciata perché… perché… >>
Restai a fissarlo per alcuni minuti, speranzosa che dicesse qualcosa di quello che mi aspettavo. “Perché mi fido di te” o anche “Perché mi piaci, e non mi importa di tutta questa storia del cronografo”. Invece restò lì, muto, senza sapere cosa dire.
Mi ero fatta male. Mi aveva fatto male. Di nuovo.
<< Se non sai tu il perché, di certo non posso dirtelo io. >> e con uno scatto deciso, entrai in quella stanza.

Bendata, come sempre, Mr. Dwyer mi scortò alla stanza del cronografo.
Nessuno dei due aprì bocca, fortunatamente. Non ero in vena di parlare; non volevo parlare.
L’unica cosa che mi faceva sentire bene, in quel momento, era la consapevolezza che avrei potuto evadere – andare via, lontano da tutto e tutti – per un po’, ma soprattutto nel vero senso della parola.
Essere una viaggiatrice, una volta ogni tanto, non era un’eredità tanto malvagia. Insomma, poteva andarmi peggio! Avrei potuto essere la prossima generazione a dover indossare l’orribile medaglione di Lady Lillian che, addosso a chiunque altro eccetto lei, era orrendo. Il gene-portatore, visto da quest’ottica, non era niente male.
<< È pronta, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, dopo aver regolato il cronografo.
<< Certo! >>
<< Ha preso tutto? >>
<< Direi di sì. >> risposi, controllando comunque.
Nello zaino c’erano: penne, foglie, libri di scuola, un lume ad olio e, per finire, qualche muffin, in caso di appetito, con una bottiglietta d’acqua.
<< Si ricordi di non lasciare nulla in giro, Isabella. >> disse, per la milionesima volta, ed io annuii << Sono le quattro, tornerà da noi per le sette e mezza. Ha l’orologio? >>
<< Certamente, Mr. Dwyer! >>
<< Bene, allora mi dia il dito e buona permanenza nel 1889. >>
Con un passo lento mi portai dinanzi a quell’oggetto interamente ornato di gemme. Inserii il dito indice nel piccolo spazio e, come di consueto, una luce rossa si sprigionò per tutta la stanza. Mi sentii sollevare in aria e, nel giro di pochi istanti, tutto intorno a me si fece buio.

IMPORTANTE:
Come vi avevo già avvisato nell'avviso, ma anche ad inizio capitolo, vorrei dirvi una cosa importante per quanto riguarda la futura pubblicazione dei capitoli.
Chi mi conosce sa che sono sempre stata parecchio puntuale nel postare. Se davo la mia parola che ogni settimana, a quel determinato giorno, avreste avuto il capitolo beh, rispettavo la parola. La vita reale, però, mi sta impegnando parecchio, quindi non ho mai molto tempo per scrivere, nonostante l'ispirazione. Inoltre, come già ripetuto più volte, sono particolarmente nervosa in questo periodo, e la scrittura ne risente. Non so quindi, con precisione, quando verrà pubblicato il nuovo capitolo. Vi prometto, comunque, che cercherò di non farvi aspettare troppo. Da ora in avanti, fin quando non riprenderò il mio solito ritmo, le pubblicazioni saranno saltuarie... Appena avrò pronto un capitolo, il tempo di correggerlo, verrà pubblicato.
Detto questo, alla prossima! :*

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Capitolo 17
*** #16. ***


Buon inizio settimana a tutti voi! Come va?
Finalmente sono riuscita a trovare un po' di tempo, ma soprattutto voglia, per scrivere. Come avevo preannunciato, i capitoli verranno pubblicati appena finit, perciò - anche se è solo Lunedì e non Mercoledì - eccomi qui!
Non sto a blaterare molto, perciò vi lascio al capitolo, che spero sia all'altezza dei precedenti.

..
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16.

« Ogni epoca è una sfinge, che si precipita nell'abisso
non appena il suo enigma è stato risolto. »
Heinrich Heine.
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Arrivata nell’anno 1889, brancolai nel buio per qualche secondo.
Finivo in questo sotterraneo tutti i giorni – o quasi –, perciò non avevo più bisogno della torcia, che era comunque nello zaino, per orientarmi.
Quando le mie mani toccarono il piano del tavolo, che per quelle ore sarebbe diventato il mio migliore amico, depositai su di esso la mia roba. Non feci in tempo ad estrarre la torcia, però. Improvvisamente, l’intera stanza venne illuminata da una lanterna ad olio.
Mi voltai di scatto, urlando. Per poco il cuore non mi uscì dal petto!
<< Bella, non urlare! >> disse il ragazzo che avevo davanti, facendo qualche passo verso di me << Voglio solo parlare. >>
<< Cosa ci fai tu qui? >> sussurrai, percependo la mia voce tremare.
No, non dovevo farmi vedere agitata o, peggio ancora, spaventata. In fin dei conti, voleva solo parlare. Ma dovevo credergli? È la domanda sbagliata, sciocca! Dovresti chiederti se puoi credergli!, disse una voce nella mia testa. Non aveva tutti i torti.
<< Sono arrivato qui come ci sei arrivata tu, Bella. >>
<< Isabella. >> puntualizzai, cercando di far trasparire la mia autorità.
<< D’accordo, gattina! >> disse, alzando le mani a mo’ di difesa << Ritira gli artigli, sono davvero qui solo per parlare. Per spiegarti, anzi. >>
Emmett Cullen si trovava a pochi centimetri da me. Indossava gli stessi abiti della volta precedente, eccezion fatta per la camicia. Lo scintillio nei suoi occhi, però, era lo stesso: fiero e testardo. Dal suo corpo, poi, trasudavano determinazione e coraggio.
Per certi aspetti mi ricordava Edward. Entrambi avrebbero fatto qualsiasi cosa per far valere le loro convinzioni.
Peccato che le loro idee fossero collocate in due poli totalmente opposti.
<< D’accordo, allora parla. >> dissi, non sapendo cos’altro fare.
Ero bloccata lì, con lui, senza avere la minima via d’uscita. Non c’era possibilità di invertire il processo; il cronografo doveva fare il suo corso, ciò significava che non sarei ritornata nel 2011 tanto facilmente.
Perché non do mai ascolto a nessuno?, mi domandai inconsciamente. Perché quando Edward rompeva le pal… Pardon, insisteva tanto affinché prendessi lezioni di corpo a corpo, lo mandai a quel paese?
<< Perché non andiamo a fare un giro? >> domandò Emmett, di punto in bianco.
<< Un… Cosa? >>
<< Sì, sono un po’ nervoso e vorrei fumarmi una sigaretta. >> disse serio, tastandosi le tasche << Rose non ama molto che fumi, così uso questi momenti in cui lei non c’è. E fidati, sono molto pochi! >>
Rimasi a fissarlo per alcuni minuti. Possibile che stesse dicendo sul serio?
<< Non posso allontanarmi da qui. >> affermai << Potrebbe raggiungermi Edward, oppure… >>
<< Non succederà nulla. >> controbatté Emmett, assumendo un’espressione più che seria << Lo so, fidati. Non avremmo scelto questo giorno altrimenti, non credi? >> domandò, e si diresse verso la porta.
<< Non puoi aprirla. È chiusa a… >> tentai, notando Emmett “litigare” con un mattone in rilievo, dal quale estrasse una piccola chiave argentata.
<< Non è un problema, Bella. >> rispose, inserendo il piccolo oggetto nella toppa e fece scattare la serratura << Prima le signore… >>

Mi ritrovai a camminare per Londra, senza saperne esattamente il motivo.
Insomma, Emmett Cullen non era di certo il mio migliore amico né, tanto meno, una persona affidabile. Come se non bastasse, suo nipote – noto a tutti come Edward Cullen –, mi avrebbe uccisa, letteralmente, se fosse venuto a sapere di questa “amichevole” passeggiata. “Non ci posso credere, Bella! Ti sta imbrogliando, e tu ci stai cadendo con tutte le scarpe!” Riuscivo ad immaginare, senza troppo sforzo, perfino le parole che mi avrebbe rivolto. “Sei proprio una bambina!”
<< E tu un codardo! >> sibilai, senza rendermi conto di parlare a voce un po’ troppo alta.
Ma brava, Bella! Adesso parli anche da sola?, chiese la voce nella mia testa. La ignorai.
<< Come, scusa? >> domandò Emmett, voltandosi dalla mia parte.
Non risposi, più per la figura di merda che per altro. Lui, ovviamente, pensò che non lo facessi per non fiducia. Beh, non aveva tutti i torti; non mi fidavo molto di Emmett.
<< Bella, non voglio farti alcun male. Credimi. >>
<< Disse il ragazzo che sgraffignò il cronografo. >>
<< Non pensi che se fossi venuto qui per il tuo sangue, a quest’ora lo avrei già preso? >>
A quella domanda non risposi. Touché.
Nonostante la diffidenza che provavo verso di lui – verso di loro –, dovevo ammettere che la curiosità mi spingeva ad essere spavalda, rischiando di farmi male, certo, ma non per questo motivo mi sarei tirata indietro. Io volevo sapere. Volevo conoscere la verità, una volta per tutte.
<< D’accordo, Emmett. >> dissi, bloccandomi in mezzo alla strada << Volevi parlare? Allora parliamo. Dimmi cosa accidenti è successo diciassette anni fa! >>
<< Wow, wow, wow! >> gesticolò, dirigendosi all’interno di una locanda che, in tutta onestà, non avevo neppure visto << Dritta al sodo, eh? Ti offro qualcosa da bere, mi fumo una sigaretta, e poi parliamo. >> sbuffai, ma lo seguii.
Ci trovavamo a quella che riconobbi a fatica come Fleet Street. Era proprio qui, infatti, che si trovava il pub più antico di tutta Londra: lo Ye Olde Cheshire Cheese.
Da quel poco che mi era rimasto impresso, leggendo tutto il manuale della perfetta viaggiatrice del tempo, il locale fu costruito nel 1667, dopo il Grande Incendio di Londra, per sostituire un edificio molto più vecchio. La cantina, inoltre, risaliva al XIII secolo e rappresentava, ancora oggi, i resti di un antico monastero.
<< Una kuppers kolsch, grazie. >> ordinò Emmett, sedendosi al bancone << Ne vuoi una anche tu? >> domandò a me, poi.
Lo guardai per diversi istanti, senza capire di cosa stesse parlando. Cosa avrei potuto volere?
<< Non capisco. >> ammisi, prendendo posto accanto a lui – sulla sinistra.
<< È la bionda, baby. >>
Di tutta risposta, ridussi gli occhi a due fessure, non capendoci assolutamente niente. Chi era bionda? Storsi il naso, scuotendo la testa in senso negativo.
<< Birra, Bella. La kuppers kolsch è la birra per eccellenza! Buona e bionda. Ed io ho sempre avuto un debole per le bionde… >> alzai gli occhi al cielo, quando mi fece l’occhiolino.
<< Adesso che hai la tua birra… >> dissi, non appena il signore gliela porse << …e la tua sigaretta, potresti dirmi cosa vuoi da me? >>
<< Tutto a suo tempo, Bellina. >>
<< Non ho tempo, Emmett! >> dissi decisa, costringendolo a voltarsi << Devi dirmi cosa vuoi da me, hai capito? E poi devi convincermi anche a non dire nulla alla loggia, al mio ritorno. >> capii di aver attirato completamente la sua attenzione, quando i suoi occhi si spalancarono.
<< Bella, non dovrai dire a nessuno del nostro incontro! >>
<< E perché? >> chiesi, pronta a non darmi per vinta << Non si sa come, ma tu e Rosalie ci avete trovato da Lady Gilbert! Ed adesso sei qui, a tenere un’altra imboscata a me. Come hai fatto a sapere dove mi avrebbero fatto trasmigrare? Mr. Dwyer cambia ubicazione ad ogni salto! Solo l’anno è identico, i giorni li varia sempre, avendo paura che possa incontrare me stessa. Quindi la domanda che ti sto ponendo da quando ti ho visto, Emmet, è ancora la stessa: come hai fatto ad arrivare qui? >>
<< Non fidarti del conte di Saint Germain. >> sussurrò, fissandomi serio. Aveva ignorato completamente la mia domanda.
<< Io me ne vado. >>
<< Bella, devi credermi. >> affermò, afferrandomi un braccio per trattenermi << Non si parla per antipatia, il conte non è quello che sostiene di essere. Non fidarti di lui, Bella, e non permettere che il cerchio di sangue venga chiuso. >>
<< Dimmi cosa sai. >>
<< Non posso. >> rispose, lasciando la presa << Ne va della tua vita, Bella, e anche delle nostre. >>
<< Ma cosa stai dicendo? >>
<< Il conte di Saint Germain ha un dono, può entrarti nella testa. >> quelle parole catturarono tutta la mia attenzione << Lui ha il potere di manipolare le menti, gli eventi… Se tu sapessi troppo sarebbe pericoloso, e non solo per te. Io e Rose abbiamo perso tutto per questo missione; siamo bloccati in un tempo non nostro senza alcuna possibilità di ritornare indietro, nel presente. Abbiamo sacrificato tutto quello che avevamo per un bene più grande. Io non rivedrò più mio fratello, e credi che mi piaccia? Amavo Carlisle, adoravo la mia vita. Certo, il 1994 non era stato un grande anno, ma era certamente migliore di quello in cui viviamo adesso. >>
<< Io non so cosa dire… >>
<< Non devi dire niente, Bella. Devi solo credermi. >>
<< Ho bisogno di qualcos’altro per crederti, Emmett. >> ammisi, consapevole che se li avessi aiutati non sarei stata più accusata ingiustamente di tradimento. Sarei stata, a tutti gli effetti, una traditrice.
<< Ho una cosa per te. >> disse, estraendo un pezzo di carta giallastra, dalla tasta del pantaloni << Non farlo vedere a nessuno, per favore. >>
Il corvo, nel suo rubino volteggiare, tra i mondi sente i morti cantare, non conosce la forza, il prezzo ignora, si leva il potere, chiuso il cerchio è allora. ¹
Cercai di capire cosa volessero dire quei versi, ma senza troppo successo. Decisi, quindi, di proseguire con la lettura.
Il leone – fiero volto di diamante, incantesimo che offusca la luce folgorante – al calar del sole arreca il mutamento, la morte del corvo palesa il compimento. ¹
<< Cosa?! >> urlai, scattando in piedi.
Tutti gli occhi delle persone sedute a bere una birra o, più semplicemente, intente a fare una partita a carte, saettarono su di me. Non me ne badai.
<< Che cos’è? E che significa? >>
<< Usciamo. >> disse Emmett, lasciando una banconota sul bancone e la sua fantastica birra a metà.
Lo seguii silenziosamente, provando una strana agitazione. Quelle parole, quella filastrocca… Continuavano a vorticarmi nel cervello. La morte del corvo
La mia morte.
<< Bella, respira. >> disse Emmett, bloccandosi di colpo dinanzi a me << Non stai respirando. >>
<< Cos’è… Che cos’è questo?! >>
<< Un estratto dei veri scritti del conte di Saint Germain. >>
<< Cosa significa quel “veri”? >>
<< Che mio fratello e tutti quelli della loggia – da decenni, ormai – hanno degli scritti incompleti! >> spiegò esasperato << E prima che tu lo dica no, non è uno sbaglio. Il conte lo ha fatto apposta. >>
Non riuscivo a pensare né, tanto meno, ad elaborare le sue parole. Prima sosteneva di non potermi dire troppo e poi sganciava una bomba come quella?
<< Cos’altro sai? >> domandai, ma quando percepii la mia voce mi agghiacciai.
Era senza emozione.
<< So altro, Bella, molto altro. Io e Rosalie abbiamo trovato un diario che tuo nonno scoprì, e riuscì a tenerlo nascosto. Lo diede tua cugina perché lei potesse metterti in guarda, ma le cose sono andate diversamente. Sono andate male, troppo male. Non posso dirti altro, per il momento, ma devi convincere Edward che tutta questa storia del cerchio è una follia! L’ultima pagina del diario del conte è strappata, quindi non sappiamo a cosa serve realmente il completamente del cerchio, ma ti prego, ti prego, impedisci ad Edward di concluderlo! >>
<< E come potrei fare? Edward si fida ciecamente del conte! Non mi ascolterà mai. >>
<< Lo farà, invece. >>
<< Come puoi esserne certo? >>
<< Perché ti guarda nello stesso modo in cui io ho sempre guardato Rosalie. >>
Non seppi cosa rispondere, ma in quell’istante il mio cuore riprese a battere furioso nel petto. Emmett sosteneva che a Edward importasse di me, ma era davvero una cosa possibile? Mi aveva baciata – due volte! –, ma alla fine non aveva saputo giustificare i suoi comportamenti. Il mio compagno di viaggi nel tempo, era un ragazzo complicato – troppo complicato, sarebbe bene aggiungere. L’essere cresciuto troppo in fretta non aveva di certo contribuito a farlo essere meno introverso.
<< E dal modo in cui stai sorridendo direi che il mio nipotino è corrisposto… >> sghignazzò Emmett, facendomi tornare alla realtà.
<< Ma… Non sono affari tuoi! >>
<< Certo, certo… >> rispose, senza troppa convinzione << Ora sarà meglio andare, tra poco dovrai tornare a casa. >>
<< E cosa dovrei fare, una volta lì? >> domandai, senza muovermi di un centimetro << Mentire a tutti? Mi credono già una traditrice, qualcuno di cui non potersi fidare. >>
<< Non è questione di fiducia, qui. >> rispose lui, avendo sempre qualcosa da dire.
Una cosa che avevo notato di Emmett – e che, non potevo negarlo, mi piaceva –, era la sua abilità a non rimanere mai senza parole.
<< E allora di cosa parliamo? >>
<< Di salvezza, Bella. E del futuro. Del futuro di tutti noi. >>
Nessuno dei due parlò durante il tragitto di ritorno a Temple. Eravamo troppo assorti nei nostri pensieri per condividerli o, più semplicemente, per pensare a quelli dell’altro.
Una parte di me non voleva entrare in questa faccenda. Credere ad Emmett, aiutare lui e Rosalie, sarebbe stata la strada più sicura per diventare realmente una traditrice, nei confronti della loggia e soprattutto di Edward.
Già, Edward.
Lui odiava tutto questo. Detestava le menzogne, i tradimenti… Nonostante il suo carattere ribelle, era un ragazzo con sani principi. Forse un po’ troppo arrogante, duro e spigoloso… Ma tutti hanno i propri difetti, no?
Con l’aiuto di Emmett, riuscii a reintrodurmi all’interno della loggia – arrivando nella stanza degli archivi – senza troppa fatica.
Mancavano pochi minuti al mio salto, ma era arrivato il momento di salutarci. Di decidere, soprattutto; di scegliere da che parte stare.
<< Cos’hai deciso, Isabella? >> domandò lui, rivolgendosi a me – per la prima volta, di sua spontanea volontà – con il mio nome di battesimo.
<< Devo rifletterci bene, con calma… >> risposi, un po’ troppo insicura << È una decisione importante e non voglio mettermi fretta. >>
<< Ma valuterai con coscienza ciò che ti ho rivelato? >>
<< Sì. >>
<< Per il momento mi basta. >> disse, avviandosi alla porta << Alla prossima, Bella. >>
<< Aspetta! >> quasi urlai, facendo qualche passo verso di lui << Dimmi come hai fatto a sapere dove sarei stata oggi. >>
Notai un sorrisino beffardo crearsi sulle sule labbra – lo stesso che, a volte, mi propinava Edward. È un marchio di famiglia, ho capito.
<< Sei stata tu a dirmelo, Bella. >> disse, e le sue parole mi arrivarono addosso come lame << O, per meglio dire, lo hai detto a Lady Gilbert perché lei potesse dirlo a noi. >> mi salutò con la mano ed uscì, lasciandomi lì, impalata, come una statua.

<< Ma di cosa stai parlando? Nemmeno lo sapevo di quel viaggio! >>
<< Prima, ma adesso sì. >> rispose freddo, con un tono quasi calcolatore.
<< Di cosa diavolo stai parlando? >>
<< Ora sei solo ingenua e innocua… Ma cosa ne sappiamo di come sarai tra tre mesi? Potresti… >>
<< Beh, potresti anche tu! >>
<< No! Io non lo farei mai. >>
<< Ma come ho fatto a fidarmi di te anche solo per un momento? >>

Le parole di Edward mi si infransero addosso come una doccia ghiacciata in pieno Gennaio. Possibile che avesse ragione? Che tutti avessero ragione? Possibile che sarei potuta davvero essere io la talpa all’interno della loggia?
Arrivata a quel punto, mi resi conto di una realtà agghiacciante: non dovevo decidere se schierarmi da una parte o dall’altra, il destino, il fato, il futuro, aveva già scelto per me.
Quando percepii la vergine, lo stomaco cominciò a contorcersi e la testa iniziò a farmi male. Mi sentii sollevare in aria e, nel giro di pochi attimi, mi ritrovai a casa.
<< Sei tornata. >> disse Edward, appoggiato allo stipite della porta.
Sì, ero tornata.
La traditrice era tornata ad aggirarsi tra di voi.

¹. La filastrocca che Emmett da a Isabella è presa dall'intermezzo nove del libro Blue, di Kerstin Gier.

Ciao a tutti! Eccomi finalmente a pubblicare il nuovo capitolo che, devo dire, si allontana un po' dalla storia originale - chi ha letto la saga, capirà. Comunque, vi sono parecchie novità in questo capitolo che spero siano state descritte in modo chiaro... Vi comunico, inoltre, che facendo una piccola panoramica della storia, sono giunta alla conclusione che essa verrà terminata durante l'estate. Penso, infatti, di pubblicare l'epilogo non oltre la fine di Agosto o gli inizi di Settembre, per poi cominciare la pubblicazione di un altro progetto. Lo spero, più che altro - sempre a causa della poca voglia di scrivere, nonostante una buona ispirazione, e la mancanza di tempo.
Adesso non so davvero cos'altro dirvi XD spero che il capitolo vi sia piaciuto! E ci leggiamo appena concluderò il prossimo! Ah, ancora una cosa: risponderò alle vostre recensioni entro sera, promesso :) Un bacione a tutti!

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Capitolo 18
*** #17. ***


Buona sera, bella gente! Come state?
Avevo detto che non appena avrei finito un capitolo lo avrei corretto e postato, perciò eccomi qui! Nelle recensioni avevo scritto che, molto probabilmente, lo avrei pubblicato domani, ma poi mi sono detta "Perché aspettare?" in fin dei conti, non credo che in ventiquattro ore sarei andata normemente avanti, quindi le questioni erano due: aspettare di scrivere altri capitoli, portandomi avanti il più possibile - rimandando la pubblicazione di qualche settimana - oppure pubblicare è "vivere alla giornata".
Ma adesso, bando alle ciance! E buona lettura :)

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17.

« Meet the time as it seeks us.
Andiamo a far fronte agli eventi che ci si parano davanti. »
La tragedia di Cimbellino, William Shakespeare.

<< Sei tornata. >>
La voce di Edward mi fece quasi saltare per aria. Non mi ero accorta che non vi fosse nessuno, eccetto lui, ad attendermi. Era appoggiato allo stipite della porta, con le braccia incrociate e indossava gli stessi abiti di qualche ora prima: jeans stretti, una camicia verde militare e un paio di Converse nere.
Non riuscivo a emettere un suono. Mi sentivo stralunata, quasi spenta, persa; come se avessi corso mille miglia sotto il sole cocente di metà Agosto.
Mi guardai in giro, cercando di riprendere padronanza della mia mente e del mio corpo, ma non ottenni l’effetto desiderato. Quella stanza, inoltre, era davvero deprimente.
<< Bella, ti senti bene? >> domandò Edward, entrando lentamente.
Notai che stringeva in mano la solita benda nera.
<< Te ne frega sul serio qualcosa di come sto? >> chiesi, appoggiando per terra il pesante zaino che avevo ancora sulle spalle << Oppure sei qui solo per bendarmi? >> la mia voce aveva un tono strano, lo percepivo anche io.
Ero arrabbiata. Più con me stessa che con lui, ma trovarmelo lì con quel pezzo di stoffa tra le mani… mi mandava in bestia!
<< È la procedura, lo sai. >> avanzò un po’ incerto << Volevo parlare, anche. Così ho chiesto a Mr. Dwyer se potevo aspettarti io e… eccomi qui. >>
<< Non c’è granché da dire, Edward. >> dissi, afferrando nuovamente il mio piccolo “bagaglio” << Inoltre, sono davvero molto stanca e vorrei tornarmene a casa. >> stranamente non mi fermò, né cercò di farmi ragionare né insistette, come era suo solito fare.
Lo guardai per diversi minuti, sperando che non sentisse il mio cuore battere furioso.
Conoscevo quella sensazione, ormai. Era lui a causarmela. Era colpa di Edward se, ogni volta che me lo trovavo davanti, cominciavo a sudare e a percepire un groviglio nello stomaco. L’attrazione che provavo per lui era travolgente, disarmante quasi; mi sentivo come una calamita che veniva richiamata dal suo magnete. La cosa che mi faceva infuriare, però, era che lui non faceva assolutamente nulla di sbagliato. Non mi aveva nemmeno mai incoraggiata in qualche modo. Lo sapevo, sia a livello cosciente che incosciente. Eppure quello che provavo per lui, dalla prima volta in cui lo avevo visto, era potente. Era vero, assolutamente unico.
Non ti aveva mai incoraggiata?, domandò la vocina nella mia testa. Ti ha baciata, svegliona. Due volte! Questo a casa mia si chiama proprio incoraggiare.
<< Oh, ma sta’ zitta! >> sibilai, rendendomi conto troppo tardi di aver parlato a voce alta.
<< Come, prego? >> domandò Edward, con un sopracciglio alzato.
<< Devo andare, Edward. >> dissi, superandolo in fretta e furia << Ci vediamo domani, ciao. >> non riuscii a varcare la soglia, però.
La mano ferrea di Edward si arpionò al mio braccio destro. Strillai, mi stava facendo male.
<< Dove credi andare? Se non ti va di parlarmi, va bene, ma dovrai ascoltarmi! Inoltre, non sei mai uscita di qui senza la benda, credi davvero che ti farò vagare per questi corridoi… >> la sua voce si affievolì e fece un gesto che non mi sarei mai aspettata: mi annusò i capelli.
Passarono diversi secondi, nei quali nessuno emise un fiato. L’unico rumore che percepivo erano i battiti del mio cuore, che martellava furioso.
<< Puzzi di fumo. >>
Oh, merda!, pensai, sgranando gli occhi.
<< C’era una candela e… e l’ho accesa. >> parlai in fretta, dicendo la prima cosa che mi passava per la testa << Ho preferito la sua luce a quella della torcia, si legge meglio. >>
Edward mi guardava serio, senza dire o fare niente. I suoi occhi sembravano aver perso quella luce vitale e serena di qualche istante prima; la mascella era tesa; i muscoli contratti.
Non lo avevo affatto convinto.
<< Questo, non è odore di bruciato, è odore di tabacco. >>
<< Di cosa mi stai accusando, questa volta, Edward? >> chiesi, cercando di divincolarmi dalla sua stretta. Non ci riuscii.
<< Non sono idiota, Isabella. >> sibilò, facendomi capire chiaramente che il suo non chiamarmi Bella era stato intenzionale << Cos’è successo? Cos’hai fatto? >>
<< Perché dovrei aver fatto per forza qualcosa?! >> urlai, esasperata.
<< Dimmi cos’hai fatto nel 1889! >>
<< Niente, dannazione! E lasciami, mi stai facendo male! >>
<< Non mi farò prendere in giro come un pollo, Isabella, dimmi cosa cazzo è successo. >> disse calmo, ma con un tono gelido << Lo voglio sapere ora. >> concluse, facendomi quasi paura.
<< Io… Edward lasciami andare, per favore. >>
<< Parla! >> mi urlò in faccia, spingendomi contro il muro.
<< Edward, calmati… >>
<< Isabella, parla prima che perda totalmente la pazienza. >>
Nei suoi occhi verdi non c’era alcuna traccia di razionalità; era determinato, quasi spietato. Per Edward arrivare alla verità, era da sempre la cosa più importante di tutte. Ed io ero una bugiarda. Ma cosa avrei potuto fare? Emmett mi aveva espressamente chiesto di non parlare a nessuno di questo incontro, almeno non adesso. Le vicende delle ultime ore, mi avevano fatto capire che io non dovevo scegliere da che parte stare, perché in un futuro – non sapevo ancora quanto prossimo – la scelta era già stata presa, per me.
Un’altra consapevolezza mi invase tutto il corpo, facendomi percepire un’ondata di brividi dietro la schiena: Edward non avrebbe mai creduto a dei traditori. Ero sola.
<< Cosa succede qui? >> domandò Mr. Saltzman, sbucando dal nulla.
Oh, sia ringraziato il cielo!, dissi mentalmente.
Non appena Edward vide il mio professore di storia, mi lasciò andare. Si allontanò da me in un unico ampio passo, senza evitare di lanciarmi un’occhiata di puro fuoco. Era incazzato. Incazzato nero!
<< Nulla, Mr. Saltzman, i nostri soliti battibecchi… >> risposi, senza sapere per quale motivo lo stessi comprendo. Mi aveva quasi aggredita, che diamine!
La risata cristallina di Mr. Saltzman mi fece voltare verso di lui, fissandolo sconcertata.
<< Ho capito, ho capito! >> disse, senza smettere di ridere << Il signor Cullen voleva metterle la benda e lei, ovviamente, non voleva. Dico bene, Isabella? >> annuii, incapace di parlare << Sa come funziona, se evitasse di fare sceneggiate renderebbe il lavoro di tutti più semplice. >>
<< Ha ragione, Mr. Saltzman, mi scusi. >> dissi, accennando un leggero sorriso di scuse.
Lanciai uno sguardo ad Edward, e notai che mi stava fissando con un’aria confusa stampata in faccia. “Perché mi hai coperto?”, sembrava dire. Perché ci tengo a te, razza di stupido!, avrei voluto rispondere. Ma non lo feci. Mi limitai a voltare la faccia, in modo che Mr. Saltzman potesse legarmi quella assurda benda nera attorno agli occhi, portandomi finalmente fuori di qui.

* * *

Erano passati diversi giorni dal mio incontro con Emmett e dalla sfuriata, quasi da pazzo, di Edward.
Come mi era stato chiesto, non parlai a nessuno della loggia di quello che era accaduto in quella stanza del 1889.
<< Bella, dobbiamo infiltrarci nella loggia e scoprire cosa ha stilato il conte nei suoi scritti! >> ovviamente, Angela non rientrava nelle mie promesse.
<< Ti ho già detto che è impossibile. >> dissi, per la milionesima volta << Non conosco tutti i passaggi, non passaggi, quelli che sono! L’unico che sa muoversi in quel labirinto storico è Edward, ma non posso chiedere di certo a lui. >>
<< E non puoi parlare nemmeno con Mr. Cullen, sicuramente anche lui la penserà come suo figlio. >> disse pensierosa.
<< Tutti la pensano come Edward, Angie. >>
Passammo un altro pomeriggio nella biblioteca del centro della città di Londra, cercando di capire cosa fosse giusto fare.
Angela, mi fece creare una specie di albergo genealogico dei viaggiatori del tempo, per elaborare meglio la filastrocca che Emmett mi aveva consegnato nel passato. Era diventata perentoria, super concentrata e sicura di quello che avremmo dovuto fare – trovando i mezzi per farlo, ovviamente.
<< Ricapitoliamo, quindi… >> sussurrò, prendendo la lista, redatta poco prima, tra le mani.
In quel foglio bianco, senza non troppa fatica, avevo scritto tutta la gerarchia della cerchia dei dodici: in prima posizione si trovava Jeremy Cullen – nato nel 1560 e deceduto nel 1607 – la sua pietra era l’ambra, l’animale il rospo; si accostava Katherine Pierce – anno: 1562 - 1580 – pietra l’opale, animale la civetta; seguiva Tayler Cullen – 1636 - 1689 – pietra l’agata, animale l’orso; compagna di viaggio Caroline Forbes – 1628 - 1684 – pietra l’acquamarina, animale il cavallo; Aro Leopold Cooper, noto meglio a tutti come conte di Saint Germain, nacque nel 1703 e morì nel 1784, la sua pietra era lo smeraldo, l’animale l’aquila; faceva coppia con Madame d’Urfé, ossia Bonnie Bennett, 1705 - 1775, pietra era il quarzo citrino, animale il serpente; i due gemelli Stefan e Damon Cullen, collocabili nelle date del 1875 - 1944/1875 - 1930, possedevano la corniola, come pietra di riferimento, e il falco, come animale; era con loro che si collocava la mia “amica” Elena Gilbert, anno di nascita 1877 e di morte 1944, la cui pietra era la giada e l’animale la volpe.
<< E poi ci siete voi quattro. >> disse Angie, giocherellando con la biro blu << Emmett Cullen, nato nel 1974, tormalina nera e lupo; affiancato da Rosalie Hale – tua cugina – nata due anni dopo, cioè 1976, zaffiro e lince. Entrambi ancora in vita, bloccati nel passato. >>
<< E poi ci siamo noi. >> le dissi, prendendo la parola << Edward Cullen, nato il 17 Giugno 1992, la cui pietra è il diamante e l’animale il leone; ed io, nata il 13 Settembre 1994, sono il rubino e il mio animale è il corvo. >>
<< Hai messo insieme le rime che, di tanto intanto, cantilena tua madre? >> annuii, passandoci un’intera notte. Alla fine, più per disperazione che per altro, andai a chiedere direttamente a lei.
“A cosa ti servono?”, aveva chiesto con sguardo furbo.
“Ehm, nulla di che…”, avevo risposto, cercando di non dare troppe spiegazioni “Vorrei capirci solo qualcosa in più. È un problema?”, scosse la testa e mi seguì in camera mia.
<< Questa dice poco o niente. >> affermò Angie, rigirandosi il secondo foglietto tra le dita << Opale e ambra, la prima coppia s’avanza…, bla-bla. Questo è solo una descrizione di tutte le dodici pietre, con i rispettivi animali e quant’altro. Non ci interessa. >>
<< E questa? >> domandai, leggendo a voce alta << Rosso rubino, che ha la magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore. ¹ >>
<< La magia del corvo… >> ripeté Angie, sovrappensiero << Non è la prima volta che viene detto del rubino. Come già ti dissi, se ti ricordi, penso che questa “magia” sia il tuo dono di vedere i fantasmi. Sai le leggende sui corvi? >> scossi la testa, in segno di negazione << Oh, andiamo! Non hai mai visto il film Il corvo, con il mitico Brandon Lee? >> annuii con vigore, amando spasmodicamente quel film << Ecco, il fumetto dal quale è stato tratto, si basava un po’ sulle leggende popolari: il corvo, forse per il suo manto nero, colore del principio delle cose – il buio del ventre materno e quello della terra dove germina il seme –, ma anche della fine – la notte, la morte, bla-bla –, ha sempre fornito una simbologia dagli opposti significati. C’è chi lo considera un animale della preveggenza, chi un messaggero di esseri soprannaturali o, ancora, un portatore di malasorte… Altri, invece, pensano che il corvo sia un animale mistico – al pari delle civette o dei gufi, per esempio – e sostengono sia un filo conduttore tra il mondo dei vivi e quello dei morti; se ci fai caso, infatti, molte immagini della Morte vengono realizzate in paesaggi lugubri e, indovina un po’, cosa vola sulla sua scheletrica testa? >>
<< Uhm, un corvo? >>
<< Esattamente! >>
Rimasi a pensare alle parole di Angela ancora a lungo, quel pomeriggio – nonostante lei continuasse ininterrottamente a parlare.
I suoi ragionamenti non faceva alcuna piega. Angela Weber, era in assoluto la migliore investigatrice che si potesse desiderare; sognava di inscriversi a criminologia, infatti. Di sicuro avrebbe un lauto futuro!, pensai, sospirando un po’.
Stanca, infreddolita, affamata, presi per la centesima volta il foglietto che Emmett mi aveva consegnato. Lo lessi, più e più volte, ma l’interpretazione non mutava di un millimetro.

Il corvo, nel suo rubino volteggiare,
tra i mondi sente i morti cantare,
non conosce la forza, il prezzo ignora,
si leva il potere, chiuso il cerchio è allora.

Il leone – fiero volto di diamante,
incantesimo che offusca la luce folgorante –
al calar del sole arreca il mutamento,
la morte del corvo palesa il compimento
.

Un sogno, che feci molto tempo prima, riaffiorò nella mia mente.
Ero sull’orologio di Londra, di notte; c’era un corvo con me, pioveva – o almeno, così credevo di ricordare. Ad un certo punto, un leone, balzò in avanti; il corvo si frappose tra me e l’animale e venne sbranato. Il rubino, rosso come il sangue, al centro del petto del volatine, era in mille pezzi. Era il leone a causare la morte del corvo, così come Edward avrebbe dovuto causare la mia.
Quella certezza mi fece percepire una miriade di brividi freddi lungo la schiena. Possibile che mi fossi innamorata di qualcuno che avrebbe dovuto causare la mia morte?
Un momento, innamorata?, mi domandai mentalmente. Non poteva essere, giusto? Era impossibile che mi fossi innamorata di Edward Cullen. Insomma, non aveva mai fatto nulla per incoraggiarmi… Ancora con questa storia?, mi domandò la vocina nella mia testa. Te l’ho già detto, zuccona! Baciare – e in quel modo, vorrei aggiungere – è senz’altro un incoraggiamento! Non volevo darle retta, era questa la verità.
Di Edward conoscevo sì e no poche cose, alla fine. Era possibile innamorarsi di qualcuno che non si conosceva profondamente? Per le capriole che il mio cuore faceva, ogni volta che lo vedevo, la risposta non poteva essere altre che sì.
Il problema, ora, era un altro. Ero innamorata di un amico o di un nemico? E, questione ancora più importante, potevo fidarmi di lui?
Avevo preso la mia decisione, ormai: avrei aiutato Emmett e Rosalie. Più che per loro, lo avrei fatto per me. Il conte di Saint Germain non mi era mai piaciuto particolarmente, nemmeno al nostro primo incontro – quando si dimostrò estremamente cordiale. Dovevo scoprire se Emmett e Rosalie dicessero la verità; se il loro furto – commesso diciassette anni prima – era stato ideato e commesso da cattive intenzioni o da buoni propositi. Ma tutto questo, lo sapevo bene, avrei dovuto farlo da sola. Non avrei chiesto a Edward di schierarsi da una parte avvolta ancora nel mistero, nell’inganno. Se quello che avessi saputo sarebbe stato sufficiente a scagionarli, allora avrei informato anche lui.
<< Angi, io devo andare. >> dissi, alzandomi di scatto dalla sedia.
<< Dove vai? >>
<< Dobbiamo cercare di capirci qualcosa, no? >> le dissi, mentre chiudevo la borsa e afferravo la giacca << E l’unico posto che ha le risposte è Temple, ma tu non puoi venire con me. Cercherò di intrufolarmi nella sala del drago – sperando che Edward sia a fare la sua trasmigrazione – e cercherò gli Annali; dopodiché, confronterò le scritture. Se sono identiche, senza alcun dubbio di sbaglio, allora aiuterò Emmett e Rosalie. >> mi chinai per darle un bacio sulla guancia, e uscii spedita da quell’enorme – quanto antica – struttura.
<< Fa’ attenzione! >> sentii urlare ad Angie, una volta chiusa la porta alle mie spalle.

* * *

Quando varcai l’ingresso della loggia, mi accorsi che Esme non era al suo posto. Strano, pensai, ma proseguii per la mia strada.
I corridoio erano stranamente tranquilli; la Vergine doveva essere sotto una buona stella, questo mese.
Arrivai alla stanza del drago nel giro di pochi minuti. Come di consueto era più che splendente, ordinata in un modo quasi maniacale. Da quel poco che avevo capito, in quei mesi da viaggiatrice, una volta – prima che Emmett e Rosalie lo rubassero – era qui che veniva custodito il cronografo.
Come la prima volta che la vidi, anche ora venni colpita dalla sua bellezza: era un misto perfetto di modernità e antichità, ornato in oro pregiato. Al centro di essa, come di consueto, vi era un grande tavolo, di legno scuro, posto su un vistoso tappeto persiano; alle pareti era appesi diversi dipinti e, tutt’intorno alla stanza, svariati divanetti e poltrone.
Dopo essermi accertata che non vi fosse nessuno, al suo interno, spalancai l’enorme porta – dove vi era inciso un enorme drago – ed entrai; mi affrettai a raggiungere la piccola libreria, che conservava gli archivi più antichi e pregiati, e cominciai a spulciarli tutti – sperando di trovare quello che stavo cercando, alla svelta.
Dopo mezzora, mi resi conto che trovare gli Annali del conte era più complicato di quanto sia io che Angela credessimo.
<< Cosa ci fai qui dentro, Bella? >> domandò qualcuno, aprendo di colpo la porta.
Saltai per aria, riconoscendo la voce. Ero stata sorpresa con le mani nel sacco! E non da qualcuno di poco conto, ma da un Cullen! Miseria, la stella fortunata doveva essere uscita dal segno della Vergine!
<< Ehm… Io non… >> come diamine me ne sarei uscita, adesso?
<< Stavi cercando qualcosa, forse? >> disse il ragazzo dagli occhi verdi, avvicinandosi a me.
<< Uhm, sì… >> risposi, senza pensare realmente.
<< E cosa? Magari posso aiutarti. >>
<< No! Ehm, grazie, Jasper, ma non importa! >> mi affrettai a dire, mettendo via un volume stratosferico nella libreria.
<< Dammi qui, ti do una mano. >> si propose, aiutandomi.
<< Grazie, ora però devo andare! >> quasi urlai, afferrando la mia giacca e la borsa << Potresti, ehm, evitare di dire che… sì, insomma… >>
<< Che stavi ficcanasando nei più antichi archivi privati della loggia? >> domandò, stampandosi un sorrisetto sulla faccia << Tranquilla, io non ti ho vista! >> concluse poi, facendomi uno sfacciato occhiolino.
Non sapendo cosa dirgli, lo salutai velocemente con la mano e sfrecciai fuori dalla stanza del drago. Nel corridoio, per poco non andai a sbattere addosso a Mr. Dwyer.
<< Isabella, tutto bene? >>
<< Sì, scusi. La stavo cercando! >> mi affrettai a spiegare, prima che mi domandasse come mai uscissi proprio dalla sala del drago.
<< Mi hai trovato, allora. Vuoi una tazza di tea? Sono le cinque, stavo giusto andando a prenderne uno. >>
<< No, la ringrazio Mr. Dwyer. >> risposi, non accettando il suo invito << Pensavo di trasmigrare, ecco. >>
<< Trasmigrare? >> domandò il signore, alzando un sopracciglio << Ma non lo hai già fatto questa mattina, con il dottor Black e Mr. Saltzman? >>
Oh, merda! E adesso cosa diavolo avrei risposto? Me n’ero dimenticata.
<< Uhm, già! Che sbadata… Mi era passato di mente. >> dissi, optando per la mezza verità.
<< La troppa pressione comincia a giocarti brutti scherzi, vero, Isabella? >> annuii, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Distolsi lo sguardo sentendomi in colpa. Mr. Dwyer era molto protettivo con me, e mentirgli mi faceva sentire una cacca. Ma cos’altro avrei dovuto – o meglio ancora, potuto – fare?
<< Phil, potresti venire un attimo? >> lo chiamò Carlisle, spuntando dal nulla << Ciao, Bella. >> alzai una mano, in segno di saluto, visto che Mr. Dwyer mi anticipò.
<< Cos’è successo, Carlisle? >>
<< Edward. >> solo il sentir pronunciare il suo nome mi fece dimenticare tutto il resto << È appena rientrato dall’appuntamento col conte, per far reintegrare Isabella nella missione, ma è successo un imprevisto. >>
<< Come sarebbe a dire “è successo un imprevisto”? >> chiesi, fregandomene delle gerarchie o altro.
<< Venite con me. >> disse Carlisle, conducendoci nello studio medico del dottor Black.
Quando varcammo la piccola porticina bianca, per poco non mi venne un colpo.
Edward era steso sul lettino, con la camicia strappata e una sacca di ghiaccio sulla testa.
<< Sto bene! >> continuava a ripetere, quasi ringhiando, mentre il dotto Black cercava altre ferite << La botta è solo alla testa, dotto Black. La camicia è strappata solo perché mi hanno trascinato, ma sto bene! >> disse per l’ennesima volta, sbuffando.
Quando i suoi occhi verdi si posarono su di me, tutto il mondo si congelò. Nello sguardo di Edward c’era solo disprezzo e odio, come se la colpa del suo male fosse mia.
<< Si può sapere cos’è successo? >> domandò Carlisle, ma Edward non mi toglieva gli occhi di dosso. Non distolse lo sguardo nemmeno quando rispose a suo padre.
<< Non lo so, ma sono intenzionato a scoprirlo. >> sibilò, come se mi stesse dando un avvertimento che non riuscivo a capire << Puoi starne certo. >>
Seguirono minuti di interminabile gelo, finché non costrinsi i miei piedi a muoversi, per portarmi fuori da quella stanza.
<< Secondo me è arrabbiato con te… Ehi, stai bene? >> domandò il piccolo Jacob, davanti a me.
Aveva la testa alzata e mi fissava sconcertato, come se non avesse mai visto qualcuno tremare più per la paura che per il freddo. Negli occhi di Jake, vidi un’ombra che non riuscii ad identificare. Era come se stesse guardando qualcuno che non conosceva; che lo spaventava. E allora capii.
Mi guardava come se, tra i due, il fantasma fossi io.

¹. La filastrocca, come già detto in precedenza, è presa dal libro Red, di Kerstin Gier.

Ciao a tutti! Ecco postato anche il diciassettesimo capitolo di questa storia. Ci tenevo davvero a dirvi grazie! Siete dei lettori favolosi ** è la prima ff che mi regalata così tante recensioni a capitolo e davvero, non siete tenuti a lasciarle, perciò sapere che lo fate perché vi piace come scrivo e ciò che scrivo è davvero bellissimo ç.ç *me commossa*
Tornando seri e alla storia. Qualcosa si sta smuovendo - anche più di qualcosa. Bella ha preso la sua decisione: aiuterà Emmett e Rosalie. Ha cominciato a voler mettere insieme i pezzi, e se non fosse stato per Jasper - forse - avrebbe trovato qualcosa. Edward... Un nome un problema XD cosa passerà mai per la testa di questo ragazzo? Un giorno è dolce e romantico, quello dopo sembra quasi "pericoloso". Chi è il vero Edward? Ed Emmett ci avrà preso? Davvero il ragazzo dagli occhi verdi è innamorato di Bella? Se ì così, perché l'ha guardata con odio tornato a casa dopo l'aggressione? Per scoprirlo, dovrete solo aspettare il prossimo capitolo... XD Un bacione a tutti!

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Capitolo 19
*** #18. ***


Buon pomeriggio! Stranamente puntuale, eccomi qui col capitolo :)
Non sto ad annoiarvi troppo, anche perché è abbastanza tardi rispetto al solito - abbiate pietà, lavoravo! -, perciò vi lascio alla lettura e vi chiedo solo di leggere le note finali!
Risponderò alle recensioni entro sera, promesso! Non ho proprio avuto tempo in questi giorni :(
Buona lettura!

.
.

18.

« Le verità nascoste o taciute per comodo o paura di dire,
sono le menzogne che racconti ogni giorno alla tua anima. »
Ornella Casini.
.

Decisi di salutare in fretta Carlisle e Mr. Dwyer e mi affrettai a raggiungere, nel più breve tempo possibile, l’ingresso della loggia. Nonostante le continue chiamate del piccolo Jake, non avevo alcuna voglia di rimanere in quel posto un minuto di più.
Potevo capire tutto, davvero. Il sospetto negli occhi di Edward, appena rientrata dall’incontro con Emmett, ma ora si superava di gran lunga il limite!
<< Isabella! >> sentii chiamarmi, riconoscendo la sua voce.
Lo ignorai, aumentando il passo.
<< Fermati! Mi hanno dato un colpo in testa e tutta questa agitazione non mi fa bene! >> No, non attacca! << Oddio, mi sento svenire! >> disse di colpo e, senza pensarci, tornai velocemente indietro.
Edward era appoggiato alla parete, con gli occhi chiusi, e si faceva aria con la mano destra.
<< Non dovresti stare steso, tu? >> gli domandai, facendolo appoggiare a me.
Quello che successe di lì a poco mi lasciò senza parole. Era un bleffe! Edward stava benissimo, e adesso mi aveva bloccata tra lui e il muro.
<< Prima di tornare a casa, Miss Swan, dobbiamo fare due chiacchiere. >>
<< Sei proprio uno stronzo. >> sputai fuori, buttando le buone maniere fuori dalla finestra.
<< Che finezza, complimenti. >>
<< Che cosa vuoi, Edward? >> domandai, volendo chiudere questa storia.
Non avrei parlato; non avrei rivelato della conversazione tra me e Emmett né, tanto meno, della mia intenzione di aiutarli, per arrivare in fondo a tutta quella oscura faccenda.
<< Come hai fatto? >> chiese, guardandomi dritto negli occhi.
<< Come… Cosa? >>
<< Non fare la finta tonta, Isabella. Dimmi come hai fatto. >>
<< Ma a fare cosa? >>
<< D’accordo, vuoi fare l’innocentina? Essia! >> disse, togliendomi le mani di dosso << Ero andato dal conte, poco fa, perché voleva parlarmi di nuovo dello spiacevole incontro avvenuto con Emmett e Rosalie da Lady Gilbert. Inoltre, abbiamo parlato di te. Vuole incontrarti, parlarti… E invitarti alla soirée che si terrà a casa di Lord e Lady Masen, tra qualche settimana. >> caddi dalle nuvole. Cosa c’entrava tutto questo con il suo odio per me? << Mentre stavo tornando con l’invito di un pre-incontro, tra te e il conte, sono stato colpito alla testa. E indovina chi mi ha teso l’aguato, attirandomi in un vicolo cieco? >> sgranai gli occhi. Possibile che mi fossi sbagliata? Possibile che Edward avesse già capito tutto? Il mio incontro con Emmett, la mia decisione di aiutarli… E si fosse incazzato così tanto perché, dietro alla sua aggressione, si celavano proprio loro due?
<< Sei stata tu, Isabella. >> a quelle parole, le mie orecchie cominciarono a fischiare.
Come, prego?, avrei voluto chiedere, ma avevo la gola completamente secca.
Questo era il colmo! Che lui fosse malato mentale, ormai era abbastanza palese; che fosse un maniaco del controllo, anche. Ma che addirittura, ora, soffrisse di manie di persecuzione era davvero troppo! Mi aveva baciata – due volte! – e ancora mi considerava l’artefice di tutti i crimini del mondo!
<< Vai all’inferno, Edward! >> sbraitai, spingendolo fino a farlo cadere a terra << Sei ridicolo! Di cosa mi accuserai, più avanti? Che anche la fame nel mondo è causa mia? Che lo sbarco sulla luna è un avvenimento messo in dubbio da milioni di scienziati perché io ho detto qualcosa di sbagliato? Che il Parlamento va male perché sono anche una spia del Governo? O, peggio ancora, l’Inghilterra fino a otto anni fa era un paese stupendo ma io l’ho contaminato con la mia presenza?! >> conclusi, sovrastandolo con la mia figura.
In quel momento, Edward mi parve tanto un bambino; un pulcino fuor d’acqua. Mi guardava sinceramente sconvolto, con i suoi occhioni verdi totalmente sgranati.
Non mi lascerò impietosire da te, mi dissi mentalmente, me ne hai fatte troppe.
<< Io non ho fatto assolutamente niente. E se ancora non hai capito che sono inn… che… che non permetterei a niente e nessuno di torcerti un capello, mi dispiace! Ma io non posso aiutarti. >> restai a fissarlo per diversi minuti, dopodiché scossi il capo e mi diressi all’uscita.
<< Che cos’è successo? >> mi chiese Jasper, sbucando da un corridoio, seguito a ruota da Alice ed Esme.
<< Tuo fratello è un cretino. >> risposi, senza guardarlo e senza fermarmi.

Arrivai a casa più nera del solito.
Edward stava davvero mettendo a dura prova la mia pazienza. Possibile che non avesse ancora capito quanto realmente tenessi a lui? Forse, non vuole capirlo…, mi rispose la solita vocina interiore. Non aveva torto.
<< Ciao, Bella. >> disse una voce, quando passai davanti alla sua stanza.
Oh, no, ti prego. Lei no! Non oggi, almeno.
<< Ehi, Miss Maleducazione! Ti ho salutata! >>
<< Ciao, Tanya. Cosa vuoi, Tanya? >>
<< Speravo che me lo chiedessi! >> disse, parandosi davanti a me << Indovina chi mi ha telefonata un’ora fa? >> alzai un sopracciglio, per farle capire che non avevo alcuna intenzione di stare ai suoi giochetti << Oh, va bene! Mr. Saltzman! Mi ha detto che la mia esperienza sarà preziosa per la loggia, per la missione, soprattutto in questo momento. Perciò… Per la soirée che si terrà in tuo onore, laverò fianco a fianco con Mr. Salvatore, per istruirti a dovere! Non sei felice, Bella? >> domandò, con un sorrisetto maligno sulle labbra.
<< Oh, sì! >> risposi, parlando in falsetto << Non ho mai desiderato di meglio, mia dolce cugina! Lavorare con te, fianco a fianco! Come se non ti vedessi già abbastanza tra scuola e casa. >>
<< Suvvia, Bella. Non essere sfacciata… >> sfacciata? Io? << Potresti imparare molto, da me. >> evitai di prolungare quella insulsa conversazione e, senza prima aver alzato gli occhi al cielo, girai i tacchi e mi diressi in camera mia.
Entrata in quello che consideravo il mio regno, mi buttai sul letto – senza nemmeno togliermi jeans e giacca – e nascosi la testa sotto il cuscino.
Non avevo tempo per auto commiserarmi, piangere o fare qualsiasi altra cosa che un’altra ragazza, un diciassettenne senza strani geni nel DNA, avrebbe fatto.
Sentivo le palpebre pensanti, però. Quanto tempo era che non dormivo? Non dormivo come si deve, intendevo? La pressione, la fatica, il nervosismo… e tutte le pesanti emozioni di quei lunghi giorni senza sosta, mi premevano addosso come un bagaglio troppo pesante perché riuscissi a farne fronte da sola. Così, non senza oppormi, cedetti al peso e mi addormentai, qualche istante dopo.

* * *

Era tutto buio, intorno a me; non riuscivo a capire dove mi trovassi, esattamente. Decisi di guardarmi attorno e quello che riuscii a percepire fu straordinario.
Il corridoio che mi si parava davanti era bellissimo: vetrate enormi, alte e antiche, alla mia sinistra; la moquette bordeaux, piuttosto scura, sotto i miei piedi; alla mia destra, invece, c’era una fila di candelabri, appesi al muro, che donavano al posto una luce soffusa.
Sapevo dove mi trovavo, ma non riuscivo a far emergere quella consapevolezza in superficie. Era una sensazione veramente frustrante.
<< Finalmente sei arrivata, dolce Isabella. >> sussurrò una voce alle mie spalle.
Mi voltai di scatto, ritrovandomi davanti due occhi scuri. I capelli, neri anch’essi, erano lunghi; la mascella era dritta e squadrata; la pelle sembrava fatta di carta velina, per quanto dava l’impressione di essere pallida e sottile.
<< Conte. >> dissi, ingoiando la mia stessa saliva.
Ero agitata, come mai prima di allora. Riuscivo a percepire il mio cuore battere senza sosta; sentivo il suo suono sparato in testa, come se avessi avuto uno stetoscopio nelle orecchie. Le mani sudavano, le gambe tremavano.
<< Vuoi unirti a noi, Isabella? >> domandò lui, porgendomi il braccio.
Non teneva gli occhi fissi su di me, ma oltre la mia spalla. Quando afferrai il braccio del conte, lentamente, mi voltai, sprofondando in due pozze di smeraldo fuso.
<< Edward. >> sussurrai, vedendolo avvicinarsi a me.
Indossava una giacca blu scuro, da sera, elegante; i suoi capelli castani, erano talmente scompigliati da mettere ancora più in risalto i suoi strani riflessi color bronzo.
Quando arrivò dinanzi a me si bloccò. Riuscivo a sentire il suo corpo a pochi centimetri dal mio, caldo e scolpito. Quando mi accarezzò le braccia, lentamente, mi persi in quei tocchi. Chiusi gli occhi, sentendo le mie labbra aprirsi leggermente, e rotei la testa. Dovevo smetterla di pensare razionalmente, perché quello che provavo per Edward – quando lo avevo davanti, quando mi sfiorava o baciava – non era per nulla razionale. Il sentimento che mi spingeva verso di lui era irrazionale, istintivo, passionale… Era amore, niente più e niente meno. Solo ed esclusivamente amore.
<< Lasciati andare, mio bel rubino. >> disse Edward, con voce suadente. E quando le sue labbra toccarono le mie, mi arresi.
Mi abbandonai a lui e ai miei sentimenti, per lui.
Mi abbandonai a me stessa, a quello che il mio cuore voleva davvero.
Mi abbandonai alla realtà, conscia che non avrei desiderato fare altro per il resto della mia vita. Baciare Edward, al momento, era l’unica cosa che mi interessasse fare.
L’idillio durò poco, però. L’estasi, infatti, mutò in un dolore lancinante, in punto preciso della schiena.
<< Ed… Edward… >> cercai di dire, aprendo gli occhi. Lui, di tutta risposta, si allontanò da me.
Impugnava un coltello antico, cerimoniale; il maniaco era intarsiato di gemme e la lama, dalla quale colava il mio sangue, era lunga e incurvata verso la punta.

Mi svegliai in una pozza di sudore, urlando.
Per diversi minuti mi tastai completamente il corpo, la schiena soprattutto, per accertarmi che non vi fosse alcuna ferita. Ero ridicola, me ne rendevo conto.
<< Bells! >>
<< Isabella! >>
Charlie e Renée entrano, chiamandomi in coro, nella mia stanza. Dai loro volti, potevo capire quanto fossero terrorizzati. Evidentemente, ho urlato troppo forte.
<< Scusatemi, ho fatto solo un incubo. >>
<< Va tutto bene, tesoro? >> domandò mio padre, mentre mia madre si venne a sedere accanto a me. Annuii, senza fiatare.
<< Stavamo salendo per dirti che hai ospiti, ma se non te la senti… >>
<< Ospiti? >> domandai, interrompendo Renée.
<< Sì. >> disse lei, legandomi i capelli in una coda di cavallo alta << Sono arrivati pochi minuti fa. Si tratta di Alice e Jasper Cullen. >>
<< Alice e Jasper sono qui? >> chiesi, non sapendo il motivo di quella visita.
<< Già, non è un po’ tardi per ricevere i tuoi amici, Bells? >> domandò Charlie, sistemandosi i baffi.
Mi spostai poco, per poter visualizzare l’ora della radiosveglia. Erano le dieci e mezza di sera.
<< Non sapevo sarebbero venuti, papà. >>
<< Orsù, Charlie! >> lo sgridò mia madre, tornando al suo fianco << La nostra Bella non è più una bambina, e nonostante ti dia fastidio che uno degli ospiti sia un ragazzo, non credo sia il suo ragazzo! Dico bene, tesoro? >>
<< Cosa? >> chiesi, scendendo dalle nuvole << Jasper il mio ragazzo? No, no e no! È solo un buon amico, tutto qui. >> non appena conclusi la frase, notai Charlie trarre un respiro di sollievo.
<< Vai a farti una doccia veloce, tesoro. >> disse mia madre, avviandosi con papà alla porta << Avviso i tuoi amici che tra poco scendi, ma non metterci troppo! Mi raccomando. >> annuii, e mi diressi velocemente in bagno. Optai per una rapida doccia fredda.
Nonostante le temperature rigide di un Novembre da poco iniziato, avevo bisogno di svegliarmi; di lavarmi di dosso quella sensazione di pace e di terrore, mischiate insieme.
Quando il getto d’acqua mi colpii mi ritrassi un po’. Riuscivo a percepire la contrazione, quasi immediata, dei vasi sanguigni cutanei; la pelle si tese, i muscoli si contrassero. Sarei rimasta in quello stato per ore, ma non potevo crogiolarmi troppo nella doccia, al piano di sotto c’erano visite per me.
Chiusi l’acqua e mi avvolsi in una piccola asciugamani celeste. Avvertivo i vasi sanguigni che si dilatavano, aumentando il flusso del sangue; la temperatura della pelle che aumentava, a causa del riempimento dei vasi.
Sapevo che l’acqua fredda faceva bene alla pelle ma, prima di allora, non mi ero mai fermata ad ascoltare veramente il mio corpo.
Quando scesi di sotto, mi resi conto di essere più rilassata e tranquilla – nonostante il sogno di poco prima. Indossavo una semplice tuta da jogging, color prugna.
<< Bella, scusaci per l’orario. >> disse Jasper, alzandosi dal divano non appena mi vide.
<< Tranquillo, non c’è problema. >> risposi, notando la strana serietà e compostezza di Alice << C’è qualcosa che non va? Sembrate così… >> non riuscii a trovare un aggettivo per descriverli; strani, di certo, non rendeva l’idea.
<< Diversi da solito? >> domandò Alice, sorridendo leggermente << So dosare la mia pazzia, mettiamola così. >>
<< C’è un posto tranquillo per parlare? >> domandò Jasper, notando Tanya sulla soglia.
<< Certo, salite in camera mia. >> risposi, dirigendomi con loro verso le scale << In questa casa anche i muri hanno le orecchie. >>
<< Hai saputo che Mr. Saltzman ha chiesto a tua cugina di aiutarti per la soirée? >> chiese Alice, affiancandomi lungo le scale.
<< Sì, purtroppo. Mi ha dato la bella notizia appena tornata a casa. Gentile, no? >> dissi, cercando di sdrammatizzare.
Solo allora mi accorsi dell’enorme ingombro che Jasper portava sotto il braccio.
<< Cosa c’è là dentro, Jazz? >>
<< Appena arriviamo in camera tua, ti faccio vedere. >> rispose, mentre Alice gli accarezzava il braccio. Un momento! Stava facendo cosa?
<< Poi ti racconto. >> mi disse lei a bassa voce, notando il mio dilemma interiore.
Evidentemente mi ero persa qualcosa, in quelle settimane.
Quando arrivammo in cima alle scale, li scortai verso la mia stanza che, fortunatamente, era in pieno ordine. Il piumone nuovo, lilla e nero, sul grande letto; la scrivania pulita e senza nemmeno un appunto in giro; la libreria perfetta, con tutti i libri al loro posto.
<< Carina la tua stanza, Bella! >>
<< Grazie, Alice. >>
<< Una sera di queste ti invito per un pigiama party a casa nostra, così vedrai la mia. >>
<< Bella, posso chiudere a chiave? >> domandò Jasper, a metà frase di Alice.
<< Uhm, sì. Ma perché? >>
<< Devo mostrarti qualcosa di molto prezioso e non vorrei che qualcuno ci sorprendesse, ecco. >> il suo atteggiamento furtivo, mi fece pensare a qualcosa di illegale.
Mi avviai alla porta, comunque, e diedi tre mandate alla serratura.
<< Bene, grazie. >> disse Jasper, posando la borsa/zaino sul mio letto. Dire che pesava era un eufemismo. Il materasso, appena i due oggetti entrarono in contatto, sprofondò sotto il suo peso.
<< Miseria, Jasper! Ma cos’hai portato? Mattoni, lingotti d’oro, cemento? >>
<< Molto meglio. >> rispose, tirando fuori un raccoglitore marrone piuttosto voluminoso << Stavi cercando questo, oggi pomeriggio, non è vero? >> domandò, incitandomi di avvicinarmi.
Gli Scritti di Aro Leopold Cooper, conte di Saint Germain, lessi sgranando gli occhi. Come faceva Jasper a sapere che ero alla ricerca proprio di quei volumi e, cosa ancora più importante, come facevo ad essere certa che quella non fosse una trappola? No. Alice e Jasper erano dalla mia parte. Erano gli unici, al di fuori di Mr. Dwyer, a considerarmi una persona e non una traditrice.
<< Respira, Bella. >> disse Jasper, posandomi una mano sulla spalla << So cosa stai provando. Pensi che sia una trappola, ma sta’ calma! Nessuno vuole incastrarti, vogliamo solo sapere quello che sai. >>
<< Quello che so? >>
<< Noi non ci fidiamo del conte, Bella. >> mi informò Alice, prendendo posto davanti alla scrivania << Jasper è dalla parte di suo zio, dalla parte di Emmett. >>
<< Che cosa?! >> quasi urlai, non capendoci più niente.
<< Mio zio ha lasciato una scia di indizi prima di andarsene; una scia di indizi per me, per la precisione. >> spiegò Jasper, estraendo un blocchetto dalla tasca della sua giacca nera << Emmett sapeva che io sarei stato quello più lucido, non avendo nulla a che fare direttamente con la loggia e quindi con il conte. Quando sparì lasciò questo per me, ma era trovabile solo con alcuni indizi che egli stesso disseminò qua e là, per tutta Londra. >>
<< Crediamo li abbia lasciati da quando è saltato con Rosalie, nel 1912. >> proseguì Alice, lasciandomi ancora più confusa << Emmett, da quello che si sa, era scaltro e molto intelligente, oltre che in gamba, sapeva quello che faceva. Avrà calcolato tutto, in questi anni, affinché Jasper avesse trovato tutto quello di cui aveva bisogno; ma soprattutto, che avesse trovato tutto quello di cui aveva bisogno una volta trovata te. >>
<< Me? >>
<< Esatto. >> fu Jasper a rispondere, questa volta << Emmett e Rosalie, da quello che si intuisce dai biglietti o dalle ricerche che hanno portato avanti, erano quasi ossessionati dal rubino: tu sei il rubino. >> mi porse il vecchio taccuino, affinché lo accettassi << Leggi tu stessa, Bella. >> afferrai il blocco e cominciai a sfogliarlo.
Sembrava un diario di bordo. La dicitura era del 1992 e arriva al 1994, per poi riprendere nel 1912 e continuare con date altalenanti. In quelle pagine, erano state racchiuse tutte le scoperte di mia cugina e del suo amante.
<< Cosa sono queste cifre? >> chiesi, trovando alcune pagine scritte solamente in numeri romani.
<< È un codice. >> rispose Jasper, porgendomi un altro foglio dal fondo del taccuino << Emmett ha usato un gioco di famiglia, che veniva usato per la caccia al tesoro, affinché venisse composto il messaggio, così solo qualcuno che poteva tradurlo avrebbe capito. >>
<< Il conte è un bravo giocatore, Bella. Bisogna stare attenti con lui o con Edward. >>
<< Scommetto che lui non sa nulla di tutto questo, dico bene? >> chiesi, nonostante sapessi già la risposta.
<< Già. >> rispose Jasper, sedendosi sul bordo del letto << Ho provato a introdurre l’argomento diverse volte, ma non ho mai ottenuto niente. >>
<< Edward si fida ciecamente del conte. >> dissi, sentendo le gambe nuovamente pesanti << Con lui è una battaglia persa in partenza. >>
<< Ma con te no, dico bene? >> chiese Alice, alzandosi per venire da me << Bella, non sappiamo cosa c’entri tu con la chiusura del cerchio, ma siamo quasi certi che c’entri. >>
<< Emmett è stato piuttosto chiaro. >> si intromise Jasper << Tutto ruota intorno al rubino, ma non sappiamo perché. Ci sono due pagine strappate e non siamo ancora riusciti a capire cosa vi era scritto. In questo taccuino, lui e Rosalie, hanno racchiuso tutte le profezie che il conte ha taciuto. >>
<< Forse ho quello che cercate. >> dissi senza pensare e raggiunsi il comodino << Ecco, prova a vedere se questo pezzo di carta combacia. >>
Quando Jasper lo prese tra le mani, inserendolo tra quei due fogli mancanti, il bigliettino che Emmett mi aveva donato nel 1889 ritrovò la sua giusto locazione.
<< Come… >> tentò Jasper, ma gli mancarono le parole.
<< Come fai ad averlo tu, Bella? >> concluse Alice, al suo posto.
<< Me lo ha dato Emmett, qualche giorno fa. >> ammisi, sedendomi sul letto.
Ero stufa di tenere segreti su segreti; stufa di non trovare un appiglio in questo mare di paura e di menzogna. Alice e Jasper si stavano fidando di me, anche io dovevo fare la mia parte. Raccontai loro tutto, esponendo ogni singola parola che Emmett Cullen mi aveva detto, in quella lontana Londra del 1889.
<< …la morte del corvo palesa il compimento. >> finì di leggere, Jasper.
<< Che cosa? >> quasi strillò Alice << Non vorrà mica dire che… >>
<< Rubino è principio e fine del movimento. >> sussurrò Jasper, cominciando ad andare avanti e indietro per tutta la stanza << La magia del corvoChiude il cerchio dei dodici in sol maggiore… >> parlava senza tregua, rendendo me ed Alice ancora più nervose << Così comincia e così finisce. Il sangue della prima viaggiatrice diede il via a tutto, e il sangue dell’ultima discendente chiuderà il cerchio. >> concluse, girandosi verso di noi << Tu sei la degna erede di Caterina Petrova. >>
<< Di chi? >> chiesi, non rammentando nessuno con quel nome.
<< Katherine Pierce in realtà si chiamava Caterina Petrova, è tutto scritto negli appunti di mio zio. Il cerchio deve essere chiuso come’è iniziato! Non credo sia un caso che tu e Caterina siate le uniche gene-portatrici ad avere capelli scuri e occhi castani. >>
<< E come dovrebbe chiudersi questo cerchio, Jazz? >> domandò Alice, avvicinandosi a lui, ma lo precedetti nella risposta.
<< Con la mia morte, Alice. È la morte del corvo che chiude realmente il cerchio, non basta solo il sangue dei dodici all’interno del cronografo. >>

Bene, bene, bene... Questo capitolo è ricco di novità! Molte cose cominciano a trovare la giusta ubicazione, e tutto ciò ci porta pian piano a svelare il mistero che si nasconde dietro al conte, al cerchio dei dodici e, quindi, a tutta questa ingarbugliata storia XD Jasper e Alice sono totalmente dalla parte di Bella; qualcuno se lo aspettava? :P il piccolo Jazz - fratello minore di Edward - ha sempre creduto allo zio "ladro" continuando la strada che Emmett gli ha lasciato. Direi che le mie spiegazioni servono a poco, ora; nel capitolo ho cercato di spiegare nel miglior modo possibile :) ma se avete domande, fate pure!
Prima di lasciarvi voglio dirvi ciò che ho già comunicato su Facebook, qualche sera fa: ho redatto, nuovamente, una piccola scaletta della storia e sono giunta alla conclusa che sì, riuscirò a concludere "Edelstein" entro Agosto; alla storia mancano solo quattro/cinque capitoli, più l'epilogo. In conclusione, altre cinque o sei pubblicazioni e anche questa fan fiction troverà il suo punto finale.
Detto questo, vi saluto! E vi do appuntamento alla prossima pubblicazione :)

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Capitolo 20
*** #19. ***


Buon pomeriggio, lettori! Come state?
Lo so, vi ho fatto aspettare un po' per questo capitolo, ma giuro che ne è valsa la pena! Ma come al solito, lascio la parola a voi XD così mi saprete dire ù.ù
L'unica cosa che vi chiedo è di ascoltare la canzone che metterò come incipit del capitolo - invece della solita frase -, da metà capitolo. Saprete quando dovete far andare play, perché sarà proprio Bella a farvelo capire! Non dico più niente, quindi, e vi lascio al capitolo! Come al solito, risponderò alle recensioni entro sera!
Buona lettura a tutti! :*

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19.



« Forse sono già stato qui,
ho visto questa stanza e ho camminato su questo pavimento;
ero solito vivere da solo prima di conoscerti.
Ho visto il tuo vessillo sull'arco di marmo,
ma l'amore non è una marcia di vittoria
è un freddo e un grave Hallelujah. »
Hallelujah - Rufus Wainwright.

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Era passata una settimana da quando Alice e Jasper erano venuti a trovarmi, quella sera. Le cose, se possibile, erano peggiorate in modo catastrofico negli ultimi sette giorni. Non solo vedevo Tanya a casa e a scuola, ma ora anche a Temple; era sempre così disgustosamente sfacciata. Ronzava intorno a Edward che, stranamente, se ne teneva alla larga – non senza lanciarle qualche fastidiosissimo sorrisetto, però. Di cosa ti lamenti? Non è il tuo ragazzo, non è niente per te. Nonostante quella vocetta nella mia testa fosse irritante, a volte, non potevo che darle ragione. La mia gelosia era stupida e insensata; in fin dei conti, Edward era libero di fare quel che voleva. Dopo la mia “quasi aggressione” nei corridoi della loggia, però, il suo comportamento nei miei confronti era cambiato.
Meno sfacciato, più cortese, equamente arrogante.
Non dovresti, forse, preoccuparti maggiormente del fatto che qualcuno voglia ucciderti, invece che crogiolarti nelle pene d’amore, Bella?
Dannata coscienza!
Sapevo di dovermene preoccupare, ma cercavo di non pensarci costantemente. Insomma, tutti, prima o poi, dovremmo morire… Ma quando sei a conoscenza di chi sarà il tuo carnefice e del tempo che hai a disposizione, cosa fai?
Era vero, non sapevo con esattezza quando il cerchio si sarebbe chiuso, ma sapevo con certezza che la mia morte sarebbe avvenuta in quel momento. Il problema era anche un altro: come fai ad opporti, quando il tuo carnefice è anche colui che ami?
Se gli scritti di Jasper erano corretti – e lo erano, senza alcuna ombra di dubbio –, sarebbe stato Edward a causare la mia morte.
Il leone – fiero volto di diamante, incantesimo che offusca la luce folgorante – al calar del sole arreca il mutamento, la morte del corvo palesa il compimento. Come lo avrebbe fatto? Sarebbe stato doloroso? E lui, Edward, avrebbe avuto qualche rimorso nel togliermi la vita?
Non lo sapevo.
Non volevo saperlo.
<< Sacrement! >> urlò qualcuno, risvegliandomi dai miei pensieri << Miss Swan, è possibile che all’iniziare della nuova settimana lei non abbia ancora compreso i passi? >> sbraitò Mr. Salvatore, allontanandosi da me bruscamente.
<< Mi scusi… >> tentai di dire, ma lui mi precedette.
<< Non voglio le sue misere scuse, Mademoiselle! Voglio che lei impari questi passi di danza! Per il portamento ci ho rinunciato, exactement comme il suo modo di fare, così grottesco! Ma in una soirée che si rispetti vi sarà un ballo e lei dovrà danzare! >>
<< A casa le ho detto di esercitarsi, Mr. Salvatore, ma non mi ascolta. >> ribatté prontamente quell’oca di mia cugina.
Una gran coppia, non c’è che dire. Mr. Giuseppe, lei-non-sa-fare-nulla, Salvatore e Tanya, sono-una-vipera, Denali. Sì, i loro nomi suonano perfettamente insieme!, pensai, sbuffando.
<< Dolce Tanya, il rubino doveva essere lei! È un gioiello di eleganza e buone maniere! >>
<< La ringrazio, Mr. Salvatore… Ma a quanto pare non era il mio destino. >> rispose lei, schioccandomi un’occhiata micidiale. Se gli sguardi potessero uccidere…
Giuseppe Salvatore, era un uomo di circa cinquant’anni; era alto, ben piazzato, con capelli scuri – molto corti – tendenti al castano, e due piccoli occhi verdi. Indossava sempre mocassini e tenute formali, giacche e cravatte. Era nato a Londra, ma aveva passato gran parte della sua vita in Francia, ecco il perché dell’accento francese o delle parole in lingua inserite in quasi tutte le frasi.
<< Miss Swan, si svegli! >> disse Mr. Salvatore, battendo le sue mani dinanzi alla mia faccia << Riprendiamo! E si ricordi: quando io muovo il piede destro in avanti, lei deve muovere quello sinistro indietro! >> annuii, lasciando perdere il suo tono poco cortese.
Passò, così, un’altra ora.
Era inutile, il ballo per me era una tortura – a prescindere che esso fosse stato una danza del Settecento o del giorno d’oggi. Caddi a terra, inciampai nei miei stessi piedi, pestai quelli di Mr. Salvatore… Una vera tragedia.
<< Devi guardarlo negli occhi, Bells! >> urlò Tanya, girandomi intorno come un rapace affamato << Non esiste niente e nessuno, solo il tuo partner! E sta’ dritta con la schiena! La gamba sinistra, non la destra! No, no! Non devi partire adesso! >>
<< Senti, perché non lo fai tu e chiudi quella dannata bocca?! >> sbottai, bloccandomi improvvisamente.
<< Come hai detto, ragazzina? >> sibilò mia cugina, avvicinandosi a me.
<< Se tu continui ad urlare, mi spieghi come cavolo faccio a concentrarmi? >>
<< Non ti devi concentrare! Deve venire naturale! >>
<< Se mi hanno affibbiato un insegnato forse è perché a me non viene naturale! >>
<< Affibbiato? >> sentii dire a Mr. Salvatore << Oh, mon Dieu! Non ci siamo proprio! >>
<< E comunque… >> ripresi, abbassando un po’ la voce << è inutile che tu mi chiami “ragazzina”, Tanya. Abbiamo la stessa età, identica! Quindi non pensare di essere superiore a me. >>
<< Ma io non lo penso, mia cara. Io lo sono. >> a quelle parole sentii il bisogno di saltarle addosso, picchiandola di santa ragione.
<< Cosa sta succedendo, qui? >> domandò Mr. Saltzman, entrando nella stanza.
Il suo tono era serio, perentorio; il viso contratto e la mascella tesa, erano in netto contrasto con i suoi occhi calmi ed espressivi. Indossava un paio di jeans scuri, una camicia bianca e una giacca grigia – come le scarpe lucide che portava ai piedi.
<< Miss Swan è un disastro. >> rispose Mr. Salvatore, avvicinandosi al mio professore di storia << Non sa comportarsi, non sa parlare, e nella danza è un disastro! Siete sicuri di volere che partecipi a questa soirée? Potrebbe far cadere l’intera loggia nel ridicolo. >>
<< Come? >> domandai, scattando in avanti, ma tutti mi ignorarono.
<< Non è questione di volere, Mr. Salvatore. >> parlò Mr. Saltzman, addolcendo un po’ i lineamenti << Il conte ha ordinato che la ragazza, insieme ad Edward, partecipi alla soirée che si terrà in onore di Lord Masen. E così sarà. >> concluse deciso.
Mr. Salvatore sbuffò, andando a pulirsi i suoi piccoli occhiali sferici. Mi ricordava un po’ il signor Giles, l’osservatore di Buffy, l’ammazzavampiri – un telefilm che seguivo quotidianamente tempo addietro –, solo che uno era simpatico e gradevole, l’altro non lo era per niente.
<< Ciao, Edward! >> squittì Tanya, dirigendosi verso la porta.
Quando mi voltai, notai due fari verdi che mi fissavano. Il cuore prese ad accelerare i battiti e percepii il sangue affluirmi nelle guance. Era sempre splendido.
Indossava un paio di jeans scoloriti, una polo a maniche corte blu scura – con il colletto a righe azzurre, bianche e blu – e un paio di Converse dello stesso colore della maglietta.
<< Ciao, Tanya. >> rispose lui, senza staccarmi per un secondo gli occhi di dosso.
Lo feci io, però.
Odiavo il modo in cui mi faceva sentire guardarlo. Era come se diventassi di creta nelle sue mani… Una bambolina, che lui avrebbe potuto manovrare come meglio credeva. Che fosse stato amore, attrazione, infatuazione, dovevo liberarmi di quel sentimento al più presto. Prima che il tempo a mia disposizione sarebbe finito; prima di farmi ammazzare.
<< Allora, come va la nostra preziosa Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, sbucando dal corridoio.
Vestiva sempre molto formale: giacca e pantaloni marroni, camicia color panna e cravatta nera – come le scarpe a punta lucide.
<< Giuseppe mi stava appunto dicendo che la ragazza ha giusto qualche problema di comprendonio. >> rispose Mr. Saltzman, appoggiandosi alla parete e incrociando le braccia al petto.
<< Non ci siamo, Mr. Dwyer. >> borbottò Mr. Salvatore << Questa ragazza è un’incapace. >>
<< Certo, perché secondo lei dirmi quanto faccio schifo ogni secondo mi aiuterà a migliorare? >> domandai, non riuscendo più a trattenermi.
<< Vede? È un’insolente! >> rispose lui, borbottando poi qualcosa di incomprensibile in francese.
<< Forse Bella ha solo bisogno di un po’ di risposo. >> disse Edward, avvicinandosi a me.
Vidi Tanya sbuffare, venendo messa da parte proprio dal suo adorato. La scena lasciò basita anche me. Stranamente, Edward, la superò senza degnarla di uno sguardo – mentre lei stava ancora parlando! – e si diresse verso di me, con un sorriso sornione sulle labbra.
Il suo sorriso sghembo…, pensai. Diamine, Bella! Datti una controllata e non sbavare!
<< Credo che Edward abbia ragione. >> parlò Mr. Dwyer, accennandomi un sorriso paterno << Isabella, cosa ne dici di seguirmi? Fai il tuo salto giornaliero e poi torni a casa. Domani andrai dal conte, quindi hai bisogno di riposare. >>
<< Certo. >> risposi, ricambiando il sorriso.
<< Posso fare compagnia io ad Isabella, se non è un problema. >> disse Edward, facendomi voltare di scatto.
<< Cosa? Come? Perché? >> domandai, sentendomi molto una giornalista nel pieno di un’intervista.
<< Edward, hai già fatto le tue ore. Non vedo il bisogno di trasmigrare ancora. >> disse Mr. Saltzman, staccandosi dalla parete.
<< Inoltre, io dovrò fare i compiti per domani. >> dissi, cercando di dissuaderlo << Non sarei di grande compagnia. >>
<< Oh, poco importa. >> ribatté Edward << Ne approfitterò per fare un sonnellino. D’altro canto, se tu dovessi finire i tuoi esercizi in meno di tre ore, potremmo usare il tempo che ci resta per farti sembrare un po’ più, come dire, mmm… >>
<< Una donzella a modo? >> domandò Mr. Salvatore, speranzoso che l’idea di Edward fosse quella.
<< Più adatta di ora per una soirée che si rispetti. >>
<< Hai ragione, giovanotto. Farla diventare una ragazza rispettabile è un’impresa impossibile. >> a quelle parole, Tanya scoppiò a ridere.
Come sarebbe a dire?, avrei voluto chiedere, ma ero troppo sbigottita per parlare.
<< Adesso basta. >> si intromise Mt. Dwyer << Isabella non ha bisogno di tutto ciò, ma la proposta di Edward mi sembra sensata. >>
<< Grazie, Mr. Dwyer. >> rispose il ragazzo che, ora, si trovava alla mia sinistra.
<< È proprio necessario? >> chiesi, sperando che Mr. Dwyer non mi spedisse in chissà quale tempo con Edward, alias il mio presunto assassino.
<< L’idea di Edward è buona, Isabella. >> replicò lui, scortandomi fuori dalla sala di danza << Se i compiti finiscono prima del previsto, non è un male che vi esercitiate un po’ voi due. In fin dei conti, alla soirée andrete insieme. >> annuii lentamente, conscia che nulla avrebbe impedito ad Edward di venire con me.

Mi trovavo nello scantinato del 1889.
Edward aveva insistito che tornassimo in quell’anno, spiegando che era un tempo in cui tenevano particolarmente alla pulizia. Mr. Dwyer, ingenuamente, lo assecondò, facendoci trasmigrare a qualche giorno dopo il mio incontro con Emmett – per evitare un incontro con la mia me stessa del futuro che, comunque, in quel tempo sarebbe stato il mio passato.
<< Mi sta venendo mal di testa. >> sussurrai, buttando via la biro nero.
Ero seduta ad un piccolo tavolo, cercando di scrivere una relazione decente su Sogno di una notte di mezza estate, commedia del celebre William Shakespeare. Non ero abbastanza concentrata, però. Non riuscivo a non pensare alla loggia, alla mia morte, e a tutto quello che stava succedendo di recente. Se mettevo anche in conto le stranezze che tutto ciò ne creava, ero proprio a cavallo.
<< Qual è il problema? >> domandò Edward, facendomi spaventare << Ernia e Lisandro sono troppo per te? >> concluse, mettendosi a sedere; si tolse gli auricolari dalle orecchie e mi fissò, attendendo una risposta.
<< Non c’entra nulla l’opera. >> mi affrettai a spiegare << E tu non stavi dormendo, comunque? >>
<< Questo divanetto non è il massimo. Inoltre, non vorrei mai che tu approfittando del mio momento di relax prendessi la decisione di andare a farti un giretto fuori. >>
<< La porta è chiusa a chiave, Edward. >>
<< Oh, sì, lo so. >> rispose, alzandosi << Ma sono quasi certo che tu sai come aprire quella porta. >>
<< Ancora con questa storia? >> dissi, alzando un po’ il capo per guardarlo negli occhi << Qualcuno ti ha mai detto che sei un po’ paranoico? >>
<< Nah! Perché non lo sono. La mia si chiama previdenza, Bella. >> affermò tranquillo, accomodandosi sul piccolo tavolo ovale << Dammi qua! >> disse, afferrando il mio libro di letteratura.
<< Quel libro mi serve, Edward. Domani devo portare una relazione sull’opera, quindi… >> dissi, cercando di riprendermi il libro.
<< E qual è il problema, allora? È un’opera facile. >>
<< Il problema è la concentrazione! Ho troppe cose in testa. >> risposi, allungando la mano destra << Potrei riavere il mio libro? >>
<< Per finire in fretta a sgattaiolare a fumarti un sigaro? >>
<< Come? Edward, diamine! Ti ho già detto che non è come pensi; non riesci proprio a fidarti di me? >> domandai, e lo vidi assumere la sua solita aria pensierosa.
<< Vediamo, mmm… >> disse, chiudendo il libro e grattandosi il mento con l’indice << Perché no? >> domandò e i miei occhi si allargarono per l’emozione << Mi stai solo raccontando un sacco di stronzate e, come se non bastasse, mi hai dato una botta in testa! >> concluse, gettando il libro sul tavolo e sgretolando le mie speranze << Sì, già, hai ragione, perché non fidarmi? >>
<< Oh, vattene al diavolo, Edward! >> urlai, afferrai il libro e lo riaprii, decisa a non farmi più distrarre da niente e da nessuno. Soprattutto, da Edward Cullen.
Passarono diversi di minuti, in cui feci finta di concentrarmi. Notai che il mio accompagnatore non si era mosso di un millimetro, anzi, tutto il contrario. Era esattamente immobile, cementato come una statua, e mi fissava. La situazione stava davvero cominciando ad essere imbarazzante.
<< Andiamo, non hai solo qualche pensiero. >> parlò lui, qualche istante dopo << Cos’ha quest’opera che non ti piace? >>
<< Come fai a sapere che non mi piace? >> chiesi, e domandai a me stessa se mi avesse sentito, a causa del tono basso che avevo usato.
<< Da quello che so di te, la letteratura ti piace molto. Quindi non credo sia la materia ad essere complicata, bensì l’opera. >> a quella risposta mi arresi. D’altro canto, cosa avrei potuto fare? Rimanevano ancora più di due ore e se non volevo passarle a discutere, dovevo almeno provare a fare conversazione.
<< D’accordo. >> dissi, sospirando << Solitamente le commedie di Shakespeare sono romantiche, parlano di amore romantico appunto, ma qui c’è qualcos’altro. In quest’opera lui lo sbeffeggia, lo deride. >>
<< Ma non perde mai di significato. >> parlò Edward, interrompendomi e si accomodò sulla sedia di fronte alla mia, all’altro capo del piccolo tavolo << Come tutte le opere di Shakespeare, come hai detto, il tema principale è l'amore romantico. E questa commedia un po’, mmm, fiabesca, non fa eccezione. In Sogno di una notte di mezza estate viene quasi sbeffeggiato, deriso, è vero, ma non per questo motivo perde di suo forte significato. Prendi come esempio il liquido del fiore che, buttato sugli occhi di chi dorme, permetterà alla persona di innamorarsi del primo che vedrà quando si sveglierà. Ci fa capire come l'innamoramento nasconda le qualità fisiche e morali della persona amata, per poi rivelarle una volta svanito l'incanto. >> più parlava e più le sue labbra diventavano ipnotiche, per me << Nell’opera di fondo le vicende degli umani e degli Dei, i quali non si intrometteranno realmente nelle vicende dei primi, se non silenziosamente… A volte soffriranno con loro, altre si divertiranno. Il tutto parte dall’annuncio del matrimonio tra Teseo e Ippolita che scatenerà una sorta di reazione a catena. Egeo, padre di Ermia, si lamenta che sua figlia non vuole sposare Demetrio, in quando ama – ed è amata a sua volta – da Lisandro. I due innamorati decidono, quindi, di scappare. Entra in scena Elena che, innamorata fin da piccola di Demetrio, decide di avvisarlo della fuga di Ermia, così… Ehi, ma mi stai ascoltando? >>
<< Cosa? Sì! >> dissi, riprendendo un certo contegno << Va’ pure avanti, ti ascolto. >>
<< Non ti serve il riassunto dell’opera, credo tu la conosca. >>
<< Oh… >> risposi lamentosa << Sì, hai ragione. >>
<< Ti serve altro? >> domandò Edward, sorridendo leggermente – forse, proprio a causa della mia figura da ebete.
<< No, credo sia tutto. Devo solo scegliere una frase che mi ha colpito maggiormente. >>
<< E quale sarebbe, questa frase? >> domandò lui, allungandosi sul tavolo.
<< L'amore può dar forma e dignità a cose basse e vili, e senza pregio; ché non per gli occhi Amore guarda il mondo, ma per sua propria rappresentazione, ed è per ciò che l'alato Cupido viene dipinto col volto bendato. ¹ >> risposi, leggendo dal mio blocco per gli appunti << Atto primo e scena prima… Un po’ banale, forse. >>
<< Carina. Molto da te. >> replicò Edward, tornando ad appoggiarsi sullo schienale della sedia.
<< E se fossi tu a dover scegliere una frase? >> domandai, porgendogli il piccolo libro tascabile della commedia << Quale sceglieresti? >>
Edward mi fissò a lungo e per interi minuti, ma quando cominciò a parlare non afferrò il libro dalle mie mani. Recitò tutto perfettamente a memoria – forse, fin troppo perfettamente.
<< La tua virtù mi rassicura: non è mai notte quando vedo il tuo volto; perciò ora a me non sembra che sia notte, né che il bosco sia spopolato e solitario, perché tu per me sei il mondo intero; chi potrà dunque dire che io sono solo se il mondo è qui a guardarmi? ¹ >> sorrise leggermente, senza staccare gli occhi dai miei << Mi sono preso una licenza poetica, per così dire. La versione originale è al femminile… >> distolsi lo guardo, e cominciai a mordicchiarmi il labbro inferiore.
Ero all’apice dell’imbarazzo. Come poteva, Edward, con una sola e semplice frase, rendermi così agitata, così nervosa? Non lo capivo, eppure ci riusciva.
<< Va tutto bene, Bella? >> domandò lui, alzandosi per venire al mio fianco.
<< Sì, sì. Sto solo mettendo via i libri, così non rischio di dimenticare nulla. >> dissi, cercando di apparire calma.
<< Molto saggio da parte tua. >> rispose, con aria sbigottita << Ci resta ancora un’ora e mezza, da passare qui. Direi che in questo tempo possiamo provare i passi per la soirée, non trovi? >> a quella domanda mi bloccai all’istante.
<< Cosa? Come? >> chiesi allarmata << Oh, no, Edward! Ti prego. Perché vuoi torturarmi? >>
<< Ma non è una tortura! Inoltre, dovrai ballare con me, e gradirei che tu non mi pestassi i piedi. >>
<< Su questo non ci conterei, fossi in te. >> risposi, chiudendo la cerniera dello zaino << Secondo Mr. Salvatore sono la scoordinazione fatta a persona. >>
<< Perché non hai mai ballato con me, Isabella. >> sussurrò, avvicinandosi lentamente.
Sentii le mani di Edward che, senza fretta, scivolavano sui miei fianchi, per attirarmi a sé. Posizionò la mia mano sinistra nella sua destra, fino a fondere i nostri corpi in un’unione quasi perfetta. Percepivo il suo respiro infrangersi sul mio; era fresco, aveva l’odore della menta piperita. Prese la mia mano destra e l’adagiò sul suo bicipite. Il muscolo, che si nascondeva sotto la maglietta, vibrò al mio tocco. Edward era sempre stato molto attraente. Un viso quasi perfetto; un fisico atletico, muscoloso, ma non troppo; un carattere spinoso, ma non indomabile.
Quando la sua mano sinistra si posò sulla mia schiena, trasalii. Da quanto tempo non stavamo così vicini? Da quanto tempo non mi baciava? Da quanto tempo stavo desiderando che tornasse a farlo?
<< Non… Non si può ballare senza musica. >> dissi, cercando di allontanarmi da lui.
La sua vicinanza, il suo profumo… Tutto quello era sufficiente per farmi vacillare.
Avevo decido di dimenticarlo, di togliermelo dalla testa; perché, allora, non ci riuscivo? Perché, in quel momento, non desideravo nient’altro se non prendere il suo viso tra le mani e baciarlo, anche se avesse potuto uccidermi?
<< Non c’è bisogno della musica, Bella. >> sussurrò Edward, evitando di lasciarmi andare << Ma se ti senti più a tuo agio, ecco. >> concluse, tirando fuori il suo iPod.
Senza chiedermi il permesso, Edward, inserì il piccolo auricolare bianco nel mio orecchio sinistro, facendo lo stesso col suo destro.
Non riconobbi la musica, sapevo solo che sembrava un valzer.
<< Muoviti lentamente. E non staccare mai gli occhi dai miei. >> disse perentorio, alzandomi il viso con un dito << Devi ballare con me e per me, solo per me. Non importa se nella stanza ci sarà un ragazzo più attraente, non devi mai – e dico proprio mai – distogliere lo sguardo dal mio, hai capito? >>
<< Non credo esisterà qualcuno più bello di te, a quella soirée. >> sussurrai, continuando a fissarlo negli occhi.
<< Ti capisco. >>
<< Il vostro ego è a dir poco sproporzionato, Mr. Cullen! >>
<< Parlavo di voi, Miss Swan. >> sussurrò lui, avvicinando le sue labbra al mio orecchio.
Quanto può durare un cuore, prima di esplodere?, mi chiesi. Non avevo risposta, però.
Continuammo a muoverci lentamente, sotto la dolce melodia di quella musica. Doveva essere Mozart, ma non ne ero del tutto certa.
<< Hai visto che non è poi così difficile? >> domandò Edward, dolcemente, mentre stavamo per ricominciare da capo.
<< È vero, sto ballando! >> urlai gioiosa, rendendomi conto di quella verità << Sto ballando davvero! >> ripetei, scoppiando a ridere.
<< Lo so! >> disse Edward, venendo scosso da un’onda di ilarità.
Era la prima volta che lo vedevo realmente allegro, sereno. In quel momento, in quello scantinato del 1889, Edward sembrò un ragazzo del tutto normale. Privo di arroganza, di obblighi; privo di cattiveria o di astio, verso di me.
Troppo presi dalle nostre risa, non ci rendemmo conto che la canzone era finita. Al suo posto, adesso, suonava un altro tipo di pianoforte e una voce cantava dolcemente su quelle note.
<< No, aspetta! >> dissi, notando Edward estrarre l’iPod dal taschino della sua maglietta << Lasciala, per favore. Adoro questa canzone, anche se non capisco chi la canta. Non è Bon Jovi, vero? >>
<< No. >> rispose, riponendo via il piccolo oggetto nero << È la versione di Rufus Wainwright. >>
Hallelujah, hallelujah, hallelujah, hallelujah
<< Io preferisco la versione di Alexandra Burke. >> dissi, cominciando ad apprezzare anche quella di Wainwright.
<< Lo sospettavo… Anche Alice ascolta sempre quella. >> rispose, attirandomi a sé.
Ora non avevamo più il portamento di due reali del Settecento, anzi. Sembravamo più due adolescenti al ballo di fine anno. Edward teneva entrambe le mani sui miei fianchi io, invece, le avevo allacciate dietro al suo collo.
Il cambiamento era avvenuto in modo così naturale che, sinceramente, non me n’ero nemmeno accorta.
I secondi passarono, e con essi anche le parole della canzone mutarono, mentre la melodia cambiò intensità, restando sempre piacevole e delicata.
<< Maybe I have been here before, I know this room; I have walked this floor, I used to live alone before I knew you… >> canticchiava Edward al mio orecchio. La sua voce era calma, dolce e assolutamente intonata << I've seen your flag on the marble arch, love is not a victory march, it's a cold and it’s a broken Hallelujah² >>
Forse sono già stato qui, ho visto questa stanza e ho camminato su questo pavimento; ero solito vivere da solo prima di conoscerti ― perché quelle parole mi sembravano tanto una dichiarazione di qualcosa? Come se dietro di esse si celasse un sentimento più vero e profondo, ― Ho visto il tuo vessillo sull'arco di marmo, ma l'amore non è una marcia di vittoria è un freddo e un grave Hallelujah… ― un urlo che non aspettava altro che venire fuori.
<< Non pensavo sarebbe potuto davvero succedere. >> sussurrò Edward, catturando la mia attenzione.
<< Cosa? >> chiesi titubante.
Lui, di tutta risposta, mi catturò una ciocca di capelli e l’aggiustò dietro l’orecchio. Dopodiché, afferrò le mie mani e mi scortò sul piccolo divanetto, posizionato a sinistra della grande porta in legno.
<< Voglio dirti una cosa, Bella. E voglio che tu l’ascolti attentamente, ok? >> annuii, non essendo certa del tono che avrei avuto << Io non ho mai avuto una vera infanzia, lo sai; te l’ho rinfacciato più di una volta, e di questo mi dispiaccio. Non conosco l’innocenza che hanno i bambini, tanto meno la parvenza che dovremmo continuare ad avere nel corso degli anni. Non ho mai conosciuto l’amore, semplicemente perché non mi hanno mai spiegato che importasse nella vita. Vedevo i miei genitori così innamorati… Ma pensavo che questo fosse un privilegio solo per la gente normale; ed io non ero normale. Non mi sono mai sentito una persona anonima, mi sono sempre considerato migliore degli altri. Diavolo, io sono un gene-portatore! Ho la capacità di viaggiare nel tempo, ho un grande compito da portare a termine! Chi può credere di essere alla mia altezza? >> non riuscivo a seguire il suo discorso. Possibile che mi fossi realmente sbagliata? Possibile che mi fossi innamorata di qualcuno che avrebbe calpestato gli altri senza alcun rimorso? In Edward Cullen, non vi era davvero alcuna traccia di umanità? Non ci credevo. Eppure lui me lo stava confermando, qui, adesso; proprio davanti a me.
<< Ho vissuto da solo, per molto tempo. Non avevo amici, e come poteva essere altrimenti? Dovevo studiare, prendere lezioni di scherma, di bon ton. Nessuno ha tempo per te, quando tu non lo hai per loro. Avevo solo Jasper, quando lui non era impegnato a vivere una vita reale, ovviamente. Una volta effettuato il primo salto nel tempo, alla tua stessa età, ho cominciato a sentirmi intrappolato in questa vita… Come se non avessi mai vissuto nel mondo reale. E in un certo senso, era così. Mi sono fatto degli amici, allora. Insomma, non ero più un bambino! Ero un ragazzo, e come tale avrei saputo coordinare i miei impegni e miei piaceri. Ho conosciuto parecchie ragazze, soprattutto al college, ma mai nessuna mi ha preso davvero – soprattutto, a livello mentale. Ci sono andato a letto, lo ammetto. Ho perso la verginità il primo giorno di college, di sera, ad un party di una confraternita di cui non ricordo nemmeno il nome. E mi è anche piaciuto! Così ho continuato a farlo… >> d’accordo, la conversazione stava prendendo una brutta piega.
Per chi mi aveva presa? Per la sua confidente? La sua best friend forever? Non riusciva realmente a capire che mi faceva male saperlo, immaginarlo, a letto con qualcun’altra?
<< Ma poi ho conosciuto te. >> disse serio, stringendo maggiormente le mie mani << Tu mi hai fatto capire quanto stessi sbagliando, Bella, in tutto. Il mio complesso di superiorità, la mia arroganza… Ti ho ferito più di una volta e ti giuro, ti giuro, se potessi tornare indietro cambierei tutto. E sì, posso… Ma non posso cambiare il presente. >>
<< Edward, io non voglio cambiare niente! >> dissi, interrompendolo << Non sei sempre stato gentile con me, è vero. Anzi, a volte ti avrei persino voluto prendere a schiaffi, darti fuoco oppure, perché no, strozzarti con… >>
<< D’accordo, Bella! Ho capito! >> mi interruppe lui, stavolta, sorridendo di sbieco << Non ti avrei biasimata, se lo avessi fatto davvero. >> a quelle parole mi morsi il labbro, abbassando un po’ il capo << No, continua a guardarmi. Per favore. >>
<< Va’ avanti. >> lo incitai, tornando ad immergermi nei suoi occhi verdi.
<< Tu sei riuscita a tenermi testa, e la cosa mi innervosiva e stuzzicava al tempo stesso. Eri diversa dalle altre, soprattutto da Tanya. Un mio gesto e lei scattava, nemmeno fossi stato il suo capo. Tu no. Non abbassavi la testa se eri convinta di avere ragione – per dirla tutta, non l’abbassavi nemmeno quando avevi torto. >>
<< Ehm, io non… >>
<< Lasciami finire! >>
<< D’accordo, scusa. >>
<< Non pensavo di potermi innamorare di qualcuno, Bella. Ma è successo. >> sentendo quelle parole, il mio cuore esplose nel petto, mentre il mio stomaco cominciò a torcersi per l’agitazione << Mi sono innamorato di te, Isabella Marie Swan. >>
Le mani sudavano e le orecchie stavano fischiando. Avevo capito bene? Lui, Edward Cullen, era innamorato di me? Come poteva essere successo? Mi aveva sempre trattata una merda!
<< Potresti ripetere? >> sussurrai, sentendo la salivazione inesistente.
<< Ti amo, Bella. >> sussurrò lui di rimando, avvicinandosi a me << Ti amo davvero. >> e posò le sue labbra sulle mie.
Il bacio fu passionale, lento. Edward mi attirò ancora di più a sé, facendomi appoggiare la schiena sul piccolo divano, che era davvero scomodo. Si teneva leggermente sollevato, appoggiando una mano sul bracciolo e l’altra sullo schienale, per non gravarmi addosso. Quando sentii la sua lingua giocare con le mie labbra e battere sui miei denti, capii che stava chiedendo il permesso. Dischiusi le labbra e concessi alla mia lingua di giocare con la sua. Erano coordinate, briose, come se avessero fatto quella danza cento, mille, altre volte… Gli accarezzai il petto, da sopra la maglietta, e allacciai una gamba alla sua vita. Edward spinse un po’, facendomi reclinare il capo e gemere. Quando la sua lingua sfiorò il mio collo, credetti di impazzire. Non avevo mai, mai, provato sensazioni simili. Il suo corpo, poi, aderiva al mio perfettamente, come se fossimo stati due pezzi vicini di uno stesso puzzle.
<< Ti amo anche io, Edward. >> riuscii solamente a dire, ad un certo punto << Ti amo da molto tempo, ormai. >>
<< Lo so, lo so. E mi dispiace di essere stato così sciocco. >>
<< Non ha importanza, adesso. >>
<< Hai ragione. Non ha importanza, adesso. >> e riprendemmo a baciarmi e a sfiorarci.
Passammo così il resto del tempo. E tra i nostri infiniti baci, e i nostri piccoli gemiti, nella stanza si riusciva a udire solamente un altro dolce rumore: la canzone.
La nostra canzone.

…and every breath you drew was Hallelujah. ²
…e ogni nostro respiro era un Hallelujah.
.

¹. Le frasi sono prese dalla commedia di William Shakespeare, citata nel capitolo, Sogno di una notte di mezza estate.
². Testo e traduzione sono della canzone, citata nel capitolo, Hallelujah.

Et voilà! Allora, cosa ve ne pare? Finalmente Edward ha gettato la maschera e si è perfino dichiarato. Chi è iscritto al gruppo su Facebook mi avrà odiata, ne sono certa XD ho disseminato indizi che facevano risultare Edward un vero stronzo, senza dar modo di leggere i blocchi prima o dopo ai mezzi copiati. Ma i colpi di scena sono sempre ben pensati e ben accettati, soprattutto quando sono così piacevoli.
Cosa succederà ora? Beh, stiamo arrivando alla fine dei giochi, gente. Nei capitoli successivi si vedrà parecchio il conte - sia alla visita pre soirée, sia alla soirée vera e proprio -, dove farà anche la sua mossa. Ma vincerà o perderà? Ed Edward, crederà a Bella o, nonostante l'amore che nutre per lei, non metterà in dubbio il suo credo?
Il prossimo capitolo non arriverà prima di Venerdì prossimo, e forse anche di Lunedì XD i tempi sono stretti, e purtroppo non riesco a scrivere assiduamente perché ho altre cose da fare che mi rubano molto tempo - il lavoro vero e poi il lavoro con la mia pagina grafica, su Facebook. Un bacione grande a tutti! :*

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Capitolo 21
*** #20. ***


Eccomi qui, dopo tanto tempo! Lo so, per questo capitolo vi ho fatto aspettare parecchio, vi chiedo scusa. Per questo motivo non sto a ciarlare troppo, voglio solo dirvi che risponderò alle recensioni dello scorso capitolo appena possibile XD
Grazie a tutti coloro che mi aspettano pazientemente, vi adoro! E ora...
BUONA LETTURA!

.
.

20.

« Siamo in grado di vedere una tazza che cade da un tavolo
e va in frantumi, ma non riusciremo mai a vedere una tazza
ricomporsi e tornare sul tavolo. Questo incremento del caos,
o entropia, è ciò che distingue il passato dal futuro
e che dà una direzione al tempo. »
Stephen Hawking.
.

Fissavo la mia immagine riflessa nello specchio, da più di mezzora. Non ero nervosa, ero completamente terrorizzata! Le gambe tremavano, la gola era secca, le mani sudavano… Ma chi me lo ha fatto fare!, pensai maledicendomi. Continuai ad osservarmi per un po’, pensando che Alice fosse realmente una maga.
Il blu era, senza alcuna ombra di dubbio, il colore che più si intonava alla mia carnagione; esaltava il tono dei miei occhi e, perfino, dei miei capelli. Essi, in quel momento, erano totalmente abboccolati e raccolti, lasciati un po’ su e un po’ giù. A tenere il tutto vi era un piccolo fermaglio con dei fiori, nei quali erano incastonati degli zaffiri. L’abito poi, nel dettaglio, era stupendo. Un modello stile impero che, sotto il seno, sfoggiava un piccolo ricamo intarsiato di brillantini; la gonna arrivava poco sopra il ginocchio, era a sbuffo. Ai piedi sfoggiavo un elegante paio di decolté, non troppo alte.
<< Forse è troppo. >> sussurrai, poco prima di sentire il mio cellulare squillare.
Sobbalzai per lo spavento, ma mi diedi subito della stupida. È un messaggio, svegliona!
Mi affrettai, quindi, a raggiungere il letto – sul quale era stato precedentemente lanciato l’iPhone. Lo presi e quando lessi il nome sul display per poco non mi venne un infarto.
― Credo che al primo appuntamento arrivare in ritardo non sia una gran cosa, ma ho dovuto accompagnare Jazz in centro. Macchina dal meccanico ed Alice non si trova. Arrivo tra mezzora, promesso! Non vedo l’ora… E. ― Edward, pensai.
Risposi al messaggio con un semplice “Ok” e mi focalizzai sull’ora. In effetti, mancavano pochi minuti alle sette. Meglio per me, forse. Avrei avuto più tempo per risultare presentabile. Sorrisi pensando al riferimento su Alice… Era andata via da casa mia poco meno di dieci minuti prima dell’arrivo di quell’SMS, ovvio che non si trovava da nessuna parte.
All’ennesima controllata allo specchio, decisi che dovevo calmarmi. Non era la pria volta che io ed Edward andavamo da soli da qualche parte. Certo, erano altre epoche e quella sarebbe stata la nostra vera e prima uscita ufficiale come… coppia? Presi un profondo respiro e mi sedetti sul letto.
Non sapevo se io ed Edward eravamo una coppia, non ne avevamo ancora parlato. C’eravamo baciati e, forse, spinti poco più oltre i baci su quello scomodo divanetto del 1889; avevamo ammesso di amarci… Ma potevo considerarmi la sua ragazza? E, cosa ancora più importante, mi interessava realmente così tanto questa stupida etichetta? Fidanzata, compagna… Era davvero solo questo è determinare un rapporto? Avevo sempre pensato di no. Ero sempre stata convinta che le parole e i ruoli che interpretavamo nella società fossero solo dei marchi e che la vera essenza delle persone, i loro veri sentimenti, fossero celati in ben altre cose. Il modo di porsi, per esempio. Era così importante sapere se potevo considerarmi la ragazza di Edward Cullen, quando lui era stato il primo a dire “ti amo”? I miei sproloqui mentali vennero interrotti dal suono del campanello.
Schizzai in piedi, portandomi anche il cuore in gola. Possibile che fossi realmente così agitata? Non mi ero mai sentita in quel modo.
<< Bella! Scendi, è arrivato Edward! >> urlò mia madre dal piano do sotto.

Che classe…, pensai. Presi l’ennesimo respiro profondo, afferrai la giacca e la borsa, e mi apprestai a raggiungere il salotto. In corridoio, però, trovai Tanya, la serpe.
<< E così esci con Edward. >> disse, senza perdere la sua posizione.
Era appoggiata allo stipite della porta di camera sua; mani incrociate sotto il seno, camicia da notte piuttosto corta e provocante, capelli avvolti in un morbido chignon scombinato.
Potevo dire tutto di mia cugina, tranne che non fosse maledettamente bella. Era perfetta, oltre che impeccabilmente proporzionata: seno piccolo, ma giusto per la sua corporatura snella e slanciata; gambe toniche e lunghe; misure da fotomodella. Ogni ragazzo le sarebbe caduto volentieri ai piedi. Tranne Edward…, pensai con un po’ di soddisfazione.
<< Già. Esco con Edward. >> parlai, rendendomi conto di fissarla senza aver risposto alla sua domanda.
<< Stai attenta a lui, Bells. >>
<< Come, scusa? >>
<< Ha qualcosa che non mi piace. >> disse, avvicinandosi un po’ << Insomma, ricordo quando faceva il filo a me e, ammettiamolo, non è passato poi molto tempo. >>
<< Ricordo anche che ci stavi, Tanya. >> ribattei quasi furiosa. Perché voleva rovinarmi l’umore?
<< Edward è indubbiamente un ragazzo che sa quello che vuole e, cosa ancora più affascinante, sa come ottenerla. Per questo ti dico di stare attenta, non mi sembra un ragazzo che cambia facilmente idea. Sempre se capisci cosa intendo. >>
<< Oh, sì. Capisco benissimo! >> sbottai, totalmente inviperita << Non ti va giù che un ragazzo come Edward abbia preferito me a te! Prima ti faceva la corte poi però, chissà perché, ha dato a me le sue attenzione e questo non ti sta bene! >>
<< Non mi sta bene che tu pian piano mi abbia portando via tutto quello a cui tenevo, a cui mi stavo realmente affezionando. Ma non parlo per gelosia, Bells. Apri gli occhi o finirai molto male, me lo sento. >>
<< Sei anche diventata una sensitiva, adesso? >>
<< Sai cosa, cugina? Fa’ quello che vuoi. Ma se dovessi avere ragione, non venire a piangere da me. Sei solo una mocciosa. >> concluse, tornando in camera sua e sbattendo la porta. Io, dal canto mio, girai i tacchi e raggiunsi il mio accompagnatore.
<< Finalmente, tesoro. >> parlò mia madre, alzandosi dal divano << Ti stavamo dando per dispersa, tutto a posto? >>
<< Sì, ho solo incontrato Tanya mentre scendevo. >>
<< Va tutto bene? >> domandò Renée, avvicinandosi a grandi falcate.
<< Sì, mamma. Sappiamo tutti com’è Tanya… >>
<< Divertiti, pulcino. >> disse lei, baciandomi la fronte << E mi raccomando, non fare sciocchezze! >>
<< Ma mamma! >> mi lamentai, diventando rossa come un pomodoro maturo.
Solo in quel momento mi resi conto di non vedere Edward.
<< È con tuo padre, in cucina. >>
<< Oddio! >> scattai, cercando di non inciampare nei miei stessi piedi.
<< L’Arsenal è una buona squadra, ma tifo Chelsea. Inoltre, ci sono giocatori ottimi. >> diceva Edward, giocherellando con un bicchiere d’acqua mezzo vuoto.
<< Preferisco il Liverpool. >> rispose Charlie << Il mio cuore è rimasto in America, però. >> affermò sospirando << Che grandi partite di football o di basket! >>
<< Ma come, signor Swan? Abita nel quartieri di Chelsea e tifa Liverpool? >> domandò Edward, scoppiando a ridere.
<< Chiamami pure Charlie, ragazzo! >>
<< Ehm, scusate se vi interrompo, ma… >>
<< Bella, sei stupenda. >> disse Edward, alzandosi lentamente.
Sentii il sangue confluirmi nelle guance. Mi aveva fatto un complimento, e di fronte a mio padre! Che imbarazzo!
<< Grazie… >> risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore.
<< Scusa, Bells. Ho monopolizzato il tuo amico. >>
<< Non fa nulla, papà. Andiamo, Edward? >> conclusi, rivolgendomi a lui.
<< Certamente. Signor Swan, oh ehm, Charlie… Spero di rivederla presto. >>
<< Vale anche per me, ragazzo. >> disse papà, stringendogli la mano << E mi raccomando, tratta bene mia figlia e non fare nulla di cui potresti pentirti. >>
<< Papà! >> urlai, afferrando il braccio di Edward per spingerlo via << Ma che dici? >> sibilai, spingendo Edward verso l’ingresso.
<< Cosa? >> sussurrò mio padre, con aria innocente << Non ho detto niente di male. >>
<< Tu e la mamma mi state facendo impazzire, stasera! >>
<< Ti ho messo il Taser* in borsa. >>
<< Oh, santissimi numi. >> sbottai esasperata. Fortuna che Edward gli era piaciuto, altrimenti cosa avrebbe fatto?
<< La tratterò bene, Charlie. Non si preoccupi. >> parlò Edward, bloccandosi e voltandosi improvvisamente, per guardare mio padre.
Salutammo per l’ennesima volta i miei genitori e ci apprestammo a raggiungere la sua macchina. La Volvo era parcheggiata parallela al marciapiede, proprio davanti al cancello di casa mia.
<< Prego. >> disse lui, aprendomi la portiera, con fare da gentiluomo.
<< Grazie. >> sussurrai, prendendomi i secondi che gli sarebbero serviti per arrivare al suo posto di guida per guardarlo bene.
Indossava una giacca nera, abbinata al suo jeans elegante del medesimo colore. La camicia era blu Cina, e si intonava perfettamente al suo corpo. Ai piedi ostentava un paio di scarpe classiche, ma non di quelle lucide. Meno male, pensai, odio le scarpe lucide!
<< Tutto bene, Bella? >> domandò il mio accompagnatore, ingranando la prima.
<< Oh, ehm, sì… Non ti stavo fissando a bocca aperta, vero? >>
<< Un po’ sì. >> rispose, scoppiando a ridere << In effetti, hai anche un po’ di bava! >>
<< Cosa? Ma che scemo! Non è vero. >>
<< No, hai ragione, non è vero. Mi diverte farti arrossire, però. >> ammise, ottenendo quello che voleva.
Le mie guance si infiammarono nel giro di pochi secondi, il cuore palpitava come mai prima di allora… Riuscivo, perfino, a sentire le famigerate farfalle nello stomaco. Era questo che significava essere innamorati? Perdere totalmente il controllo del proprio corpo e dei propri pensieri? Beh, dovevo ammettere che mi piaceva molto.
<< Dove stiamo andando? >> domandai improvvisamente, per rompere quell’imbarazzante silenzio che era venuto a crearsi.
<< È una sorpresa. >> rispose Edward, sghignazzando sotto i baffi.
<< Odio le sorprese… Dai, dimmelo! >>
<< No! Adoro vedere i tuoi occhi allargarsi quando vedi qualcosa che ti piace. >> disse, cambiando espressione << Oddio, spero ti piaccia il posto. >>
<< Mi sembra un po’ agitato, signor Cullen. >>
<< In effetti un po’ lo sono, signorina Swan. >>
Passai i minuti successivi a cercare, invano, di estrapolare qualche informazione Edward. Dopodiché mi arresi e mi godetti il viaggio in auto, accompagnata da una melodia di sottofondo molto dolce. Sonata al chiaro di luna, di Beethoven.
Passando per Westminster Bridge, mi resi conto dell’enorme distesa del Tamigi che, libero come il vento, brillava sotto le luci della città. Senza avvertire Edward, abbassai in fretta il finestrino, per godermi la meravigliosa vista…
Il Tamigi era un fiume dell'Inghilterra meridionale che attraversava Londra, sfociando nel Mare del Nord. Nonostante non si potesse definire il maggiore per lunghezza e portata, era da considerarsi di gran lunga il primo fiume del Regno Unito per importanza storica ed economica.
<< Tra poco arriveremo. >> parlò Edward, dopo un po’.
<< Non vuoi ancora dirmi dove siamo diretti? >> tentai per l’ennesima volta e, proprio per l’ennesima volta, fallii miseramente.
Rimasi concentrata sul volto di Edward, per quasi tutta la durata del viaggio. Le sue labbra incurvate nel suo solito sorrisetto sghembo, un po’ da cattivo ragazzo; la mascella dritta e spigolosa; il naso dritto, perfettamente proporzionato al suo viso.
Distolsi lo sguardo sbuffando, per evitare che mi prendesse ancora in giro. Quando all’improvviso le note della canzone mutarono, diventando lente e cominciarono a suonare Hallelujah.

La nostra canzone…, pensai, senza però parlare a voce alta. Ero ancora incerta su quello che potevo dire e non.
<< Mi sono innamorato di te, Isabella Marie Swan. >>
Il ricordo delle parole di Edward si insinuarono tra la voce del cantante… Lui mi amava, aveva detto. Quindi perché dovevo vivere tutto in questo modo? Con agitazione, tensione… E sì, anche con un po’ di paura. Non era quello che avevo sempre voluto, in fin dei conti? Che Edward ricambiasse i miei sentimenti, che mi amasse, come io amavo lui? Allora cos’era quella sensazione? Una voce squillante, un verso profondo e acuto, che riecheggiava dentro di me e che, senza chiedere il permesso, mi insinuava un enorme dubbio nella testa e nel cuore.
<< Siamo arrivati, Aurora. >> disse Edward, risvegliandomi dai miei pensieri.
<< Come… Come mi hai chiamata? >>
<< Aurora. >> disse serio, slacciandosi la cintura di sicurezza << Hai mai visto la Bella Addormentata? >>
<< Divertente! E tu hai mai visto Shrek? >> domandai, fintamente irritata, copiando il suo gesto.
<< Mi stai forse dando del brutto orco? >>
<< Esattamente! >> risposi, facendo ridere entrambi.
Edward, con uno scatto deciso, scese dall’auto e mi venne ad aprire la portiera. Quando scesi mi guardai intorno.
Ci trovavamo in un parcheggio molto grande. Tutto intorno c’era un recinto scuro, che affacciava sul Tamigi. Non appena mi voltai, imponente come un grattacelo newyorkese, vidi un locale di tonalità grigio scuro, composto quasi interamente di vetrate.

Ubon by Nobu, lessi a lettere cubitali in cima alla facciata.
<< Andiamo? Ho spostato la prenotazione alle otto, dovendo accompagnare Jasper in centro. >> spiegò, porgendomi il braccio. Lo afferrai senza remore.
L’interno, se era possibile, era ancora più incredibile dell’esterno. Il pavimento di marmo scuro, sembrava perfino legno lavorato; i tavoli – disposti in molteplici modi – erano di legno chiaro, con le sedie – meglio dire poltrone – in pelle nera. Le pareti erano bianche, con diverse colonne del medesimo colore sparse per la stanza. Il ristorante si affacciava sul Tamigi, proprio come avevo immaginato uscendo dal parcheggio.
<< Wow! >> fu la prima e unica cose che riuscii a dire, varcando l’entrata.
<< Deduco che ti piace. >> sussurrò Edward al mio orecchio.
<< Mi piace? Edward, è favoloso! Anzi, stupendo. Non so neppure che termine usare… >>
<< Ne sono lieto. >> replicò sorridendo, fino a raggiungere la hall.
<< Desiderate? >> ci domandò il ragazzo, che doveva avere all’incirca trent’anni.
<< Ho una prenotazione per le otto. Il nome è Cullen. >>
<< Controllo. >> rispose il ragazzo, spostando il mouse del computer << Cullen, Cullen… Sì, ecco qui. Seguitemi pure, prego. >> concluse, afferrando due piccoli menù rilegati in pelle nera.
Il tavolo si trovava all’esterno del primo piano – nonostante fosse una zona coperta da una cupoletta di vetro. Era tonto e affacciava proprio sul grande fiume. Le sedie, in legno questa volta, erano piccole e disposte una di fronte all’altra.
<< Spero che la cucina giapponese ti piaccia. >> esordì Edward, non appena fummo lasciati da soli << Forse avrei dovuto dirtelo prima, dopotutto. >>
<< Mi piace. Cine e giapponese mi piacciono molto, anche la cucina messicana se è per questo. >> confessai, mordicchiandomi il labbro inferiore.
<< Davvero? Anche io adoro il messicano! >> quasi urlò come un bambino << Ogni tanto, il Sabato sera, quando resto solo con Jasper e Alice, invece della solita pizza ordiniamo messicano. >>
<< Quanto ti invidio. Con Lady Lillian non si può assolutamente fare… Una volta ordinai la pizza, per poco non mi lasciò senza cena per due settimane. >>
<< Cavolo, che mastino! >>
<< Puoi dirlo forte. >>
Continuammo a chiacchierare del più e del meno, mentre sfogliavamo i nostri menù. Non sapevo cosa ordinare… Anzi, per essere precisa, lo sapevo eccome. I prezzi, però, erano più che eccessivi! Non volevo far spendere ad Edward un patrimonio.
<< Che antipasto preferisci? >> domandò Edward, di punto in bianco, senza staccare gli occhi dal menù.
<< Antipasto? Edward, ma hai visto i prezzi? >>
<< Certo. >> rispose tranquillo, nemmeno gli avessi chiesto se voleva da bere << Non farti problemi, Bella. Se ti ho portato in questo posto è perché posso permettermelo, ok? >>
<< Sì, ma io… >>
<< Niente “ma”. Se vuoi l’antipasto lo dividiamo, so per esperienza che qui abbondano con le po5rzioni… Ti va bene la tartar di salmone? >>
<< Sì, ma senza caviale. >> rispose, un po’ titubante << Non mi è mai piaciuto molto… >>
<< Andata! >> rispose allegro.
Nel giro di dieci minuti decidemmo la nostra cena. Filetto di salmone con salsa teriyaki e un contorno di asparagi, per me; filetto di manzo con salsa wasabi piccante e un contorno di insalata mista, per lui. Edward ordinò per sé un bicchiere di pinot nero, visto che io avevo preferito una Cola alla ciliegia. Lo sapevo che il pesce si sposava col vino bianco ma, non reggendo l’alcool, volevo evitare figuracce.
<< Allora, sei agitata per domani? >> chiese Edward, tagliando il suo filetto.
<< Un po’. >> ammisi, ingoiando una forchettata di asparagi << Non vedo il conte da settimane e l’ultima volta… >> Attenta, Bella. Ricordati: non fidarti di nessuno…
<< L’ultima volta, cosa? >> mi incitò Edward, notando il mio brusco silenzio.
<< Beh, niente. Se non mi ha più voluta vedere o affiancarmi a te per la missione, molto probabilmente non gli avrò fatto una buona impressione. >> risposi, cercando di non far trasparire il mio disagio.
<< Il conte è fatto a modo suo. >> disse Edward, spostando il suo sguardo sul Tamigi << Non è cattivo, ha solo idee un po’… antiquate, per così dire. >>
<< Vive nel 1700, cosa potevamo aspettarci? >>
<< Hai perfettamente ragione! >>
<< Edward, posso… posso farti una domanda? >>
<< Certo, Bella. >> disse, posò le posate sul tavolo e appoggiò il mento sulle sue mani congiunte.
<< Ti fidi ciecamente di Aro? >>
<< Sì. >> disse d’istinto, senza pensarci un secondo. La sua fretta mi lasciò spiazzata << Il conte è della nostra parte. Te l’ho detto, a volte ha idee e comportamenti antiquati, per noi ragazzi del ventunesimo secolo, però è lui che ha scoperto questo gene, è lui che vuole creare questa medicina miracolosa… Il conte può sembrare duro, ma sì, mi fido ciecamente di lui. >>
<< Non ti ha mai sfiorato l’idea che, forse, Rosalie ed Emmett potrebbero aver rubato il vecchio cronografo per giusta causa? >>
<< Giusta causa? >> domandò, ridendo amaramente << E qualche sarebbe questa “giusta causa”? Sono ladri, Isabella. >> proseguì duramente << Ladri e traditori. >>
<< Forse è meglio cambiare discorso. >> azzardai, non volendo rovinare la serata << Mi spiace aver tirato fuori questa questione. Insomma, va bene avere pareri differenti. Inoltre, io non conosco nemmeno bene tutta la storia, quindi… >> mentii ancora, sentendomi un verme.
Era lui, Edward, a non conoscere tutta la storia. Ed io stavo proteggendo quelli che lui considerava dei traditori. Non mi avrebbe mai creduta, non avrebbe mai creduto a loro… Cosa sarebbe successo se avesse dovuto uccidermi davvero, per completare il cerchio? Non lo sapevo. E la cosa mi terrorizzava più di avere una certezza, anche se negativa.
<< Bella? Terra chiama Bella! >>
<< Come? >>
<< Dov’eri finita? >> chiese Edward, tornato sereno.
<< Qui. Scusami, mi sono lasciata prendere dai pensieri… >>
<< Resta con me, ok? >> disse, prendendo la mia mani sul tavolino << Voglio solo pensare a te, a noi, questa sera. Niente conte, niente viaggi nel tempo, niente tradimenti… Solo noi due. >>
<< Mi trovi d’accordo… >>
<< Allora lo vuoi il dolce? >> domandò, stringendo ancora di più la mia mano << Oppure usciamo e andiamo a prendere un frappé in centro? >>
<< Vada per il frappé! >>
<< Sapevo avresti risposto così. >>
<< Vuoi dire che sono prevedibile? >> chiesi, con un finto broncio.
<< No. >> rispose lui, avvicinando il suo viso al mio, da sopra il tavolo << Voglio dire che ti conosco fin troppo bene. >> concluse, soffiandomi quasi sulle labbra.
Uscimmo dal ristorante mezzora dopo e, in base alla proposta di Edward, risalimmo in macchina in direzione di Russull Street, nel centro di Londra. Proprio lì, infatti, si trovava la migliore gelateria del paese: Gelatorino.
Come si poteva capire dal nome, il locale richiamava l’artigianeria italiana. Era, infatti, una delle migliori di Londra. Il gelato – ma anche frappé, granite e molto altro – veniva fatto davanti ai tuoi occhi, usando le tecniche e i macchinari di più grande prestigio. La piccola bottega, poi, era davvero molto graziosa. Architettura semplice, bianca come il latte più fresco, e un ambiente molto accogliente.
<< Un frappé nocciola e fragola, per me. Per la signorina, invece, menta e cioccolato. >>
<< Ve li preparo subito! >> disse in tono squillante il proprietario, dietro il bancone << Se volete accomodarvi fuori, ve li porto anche al tavolino. >>
<< Che dici, ci sediamo? >> mi domandò Edward, con un viso rilassato e spensierato.
<< Certo, perché no! >> risposi euforica, seguendo il mio accompagnatore.
Con Edward, nonostante tutti i problemi che erano venuti a crearsi, mi sentivo bene. Se non fossimo stati dei geni-portatori, ma dei ragazzi assolutamente normali, niente avrebbe potuto scalfire la nostra affinità; la nostra complicità. Avevo ovviamente letto troppi libri romantici.
<< Non ti ho ancora salutata come si deve, stasera. >> disse Edward, improvvisamente.
Si trovava sulla piccola sedia di metallo posizionata alla mia destra. Mi voltai di scatto, trovando i suoi occhi a pochi centimetri dai miei. Erano di un verde intenso, brillante… Riuscivo a leggere in loro tutta l’eccitazione che Edward, in quel momento, stava provando.

È eccitato perché vuole baciarmi… Perché vuole baciare me.
<< Può perdonarmi per questo terribile disguido, signorina Swan? >> sussurrò roco, quasi sulle mie labbra.
<< Solo se fa tutto quello che può per rimediare, signor Cullen. >>
<< Può scommetterci, Milady. >> concluse, prima di baciarmi.
Afferrò il mio viso tra le sue mani, posando le sue labbra sulle mie. Le nostre bocche erano due pezzi perfetti di un puzzle, che si incastravano l’un l’altro senza fatica. Era come se fossero state create per toccarsi, per giocare tra di loro… Troppo presa dai miei assurdi pensieri, sussultai quando avvertii la calda lingua di Edward passare sui miei denti. Dischiusi le labbra, assecondando i suoi movimenti. Essa trovò la mia, trascinandola in una danza che non sarei mai riuscita a spiegare.
C’era tutto in quel bacio: passione, voglia, desiderio, erotismo, intimità. Era nostro.
Quando sentii la mano di Edward sulla schiena, percepii anche un calore diffondersi all’altezza del basso ventre. Quel ragazzo risvegliava in me voglie che mai, prima di allora, avevo provato. Con uno scatto rapido mi portò a cavalcioni sulle sue gambe, facendo voltare qualche altra coppia che, come noi, stava aspettando il proprio gelato.
<< Però… >> fischiò un ragazzo.
<< Tu non sei mai così passionale! Ti odio. >> controbatté la sua ragazza – o almeno, credevo lo fosse.
Non ci badai troppo, comunque. Allacciai le braccia attorno al collo di Edward, mentre sentivo le sue mani muoversi fameliche sulle mia schiena, sfiorandomi persino le natiche. Istintivamente, mossi un po’ troppo il bacino, inducendo Edward a mordermi dolorosamente il labbro inferiore.
<< Scusa, Bella… >> sussurrò affannoso. Percepivo il rigonfiamento dei suoi pantaloni…
<< N…no, scusa tu. Credo di aver esagerato. >>
<< Non hai per niente esagerato… >> rispose, baciandomi il collo << Solo che dovremmo darci una calmata e magari continuare in camera mia… Non vorrei ci arrestassero per atti osceni in luogo pubblico! >> concluse, scoppiando a ridere. Mi sistemò una ciocca di capelli – scappata dallo chignon – dietro l’orecchio e, come se nulla fosse successo, cominciò a parlare di sciocchezze.
Nella mia testa, però, rimbombavano assordantemente le sue parole: “dovremmo darci una calmata e magari continuare in camera mia”. Era una frase detta così, oppure realmente voleva portare il nostro rapporto su un altro livello? Non era forse troppo presto? Insomma, ci giravamo intorno da settimane, ormai, era vero. Ma era il nostro primo appuntamento! Ed io non avevo mai…
<< …non lo prendi? >>
<< Come? Cosa devo prendere, scusa? >> chiesi allarmata, non avendo seguito il suo discorso.
<< Il frappé, Bella. >> rispose Edward, sghignazzando << Girati. >> ordinò e feci come aveva detto lui.
In effetti, il proprietario era dietro di me e teneva in mano il mio frappé, con un sorrisone stampato sulla sua faccia paffuta. Mi ricordava un po’ Buddy – il pasticcere di un programma che, a volte, seguivo in tv.
<< Grazie. >> dissi a bassa voce, prendendo il bicchiere.
La serata trascorse nell’imbarazzo più totale. Edward, capendomi al volo, si scusò per la frase, detta in un momento di poco autocontrollo. Non voleva spingermi a fare qualcosa di cui non mi sentivo pronta e, cosa che non compresi quasi per niente, non voleva portare il nostro rapporto a quel livello se prima non avesse risolto una cosa molto importante. Quale fosse questa cosa, non lo capii assolutamente.
Mi accompagnò a casa a mezzanotte in punto, facendomi sentire molto Cenerentola.
<< Ci vediamo domani. >> mi salutò, baciandomi dolcemente la fronte << Buona notte, mio bel rubino. >> non sapendo cosa dire, rimasi a fissarlo mentre raggiungeva la sua Volvo.
Era indubbiamente chiaro: io, Isabella Swan, ero totalmente e incondizionatamente innamorata di quel ragazzo.

* * *

<< Bella, devi stare ferma! >>
<< Sono ferma da venti minuti! Ti stai divertendo, di’ la verità! >>
<< Così mi offendi! >>
<< Offenditi pure, ma è solo ciò che penso! >> replicai sbuffando, mentre Alice se la rideva sotto i baffi.
Mi trovavo alla loggia, nella sartoria. Alice mi stava preparando per l’incontro con il conte di Saint Germain. Saremmo saltati nuovamente nel 1755, solamente ad alcuni mesi di distanza dal mio ultimo incontro.
<< Al conte piace avere sempre tutto sotto controllo. >> aveva detto Mr. Saltzman, qualche ora prima << Per questo motivo stabilisce gli incontri in modo da sapere sempre tutto quello che è successo tra lui e noi. >>

Eh certo!, avevo pensato sarcasticamente. Il fatto che lo facesse perché stava prendendo tutti per il culo non era contemplato.
<< Siete pronte? >> domandò Edward, entrando senza bussare.
<< Screanzato! >> lo ammonì la sorella << Ti sembrano modi, questi? E se non avevo ancora finito? Se Bella fosse stata in biancheria intima? >>
<< Chi ti dice che non l’abbia mai vista in biancheria intima? >> ribatté Edward, alzando un sopracciglio e stampandosi in faccia il suo sorrisetto da stronzo.
<< Oh… Beh, io non… cioè… >>
<< Alice, ti sta prendendo in giro. >> dissi, avvicinandomi a quei due pazzi << Non mi ha mai vista senza vestiti addosso! >>
<< Non ancora. >> sussurrò malizioso.
Alzai gli occhi al cielo e lasciai che Alice finisse il suo capolavoro.

Come di consueto, venni scortata nella stanza del cronografo bendata. Nonostante Edward, ora, non mi facesse più inciampare nei miei piedi, sbattere contro colonne avvisate all’ultimo minuto o, peggio ancora, stramazzare a terra con il rischio di rompermi l’osso del collo, quella situazione risultava sempre molto fastidiosa.
<< Quando cominceremo a non bendare più Isabella, Mr. Dwyer? >> chiese Edward, lasciandomi piacevolmente sorpresa.
<< Una richiesta strana detta da lei, giovanotto. >> rispose l’uomo << Comunque, penso quando tutti i membri interni della cerchia decideranno che non è più necessario bendarla. >>
<< E le votazioni sono…? >> lo incitò Edward, tenendomi saldamente per la vita.
<< Favorevoli a sbendarla, solo io e suo padre. >> rispose Mr. Dwyer desolato.
Le mie speranze si erano sgretolate in un secondo. Se continuavamo così, molto probabilmente, sarei arrivata a trent’anni con questa dannata benda sugli occhi! Sempre che il conte non ti uccida prima, mia cara. Mi ricordò la mia solita vocina interiore.
<< Siamo arrivati. >> sussurrò Edward al mio orecchio, ridandomi la facoltà di vedere.
Ad attenderci, come sempre, c’erano Carlisle, Mr. Saltzman e il dottor Black con il piccolo Jake.
<< Siete pronti, ragazzi? >> domandò Carlisle, fornendoci anche la parola d’ordine di quel giorno.
<< Pronta, Bella? >> domandò Edward, posizionandosi alla mia sinistra.
<< Quando vuoi. >> risposi, contraccambiando il suo sorriso.
Quando il cronografo si mise in moto, la stanza venne inondata da due bagliori accecanti: un bianco acceso e un rosso splendente. La solita vertigine fece capolino nel mio stomaco, provocandomi quella sensazione di galleggiamento in aria… Poi il buio mi circondò e, come per magia, mi ritrovai in un’epoca passata.
<< Edward? >> chiamai, ancora circondata dalle tenebre.
<< Sono qui, dammi la mano. >> rispose, afferrando velocemente il mio polso << Non trovo la torcia, ah eccola! >> e pochi minuti dopo l’accese.
<< Il buio non mi piace granché. >>
<< Tranquilla, ci sono io con te. >> sussurrò sulle mie labbra e mi attirò a lui, stringendomi tra le sue braccia << Non permetterò che ti faccia male in questa missione. Non permetterò mai a niente e a nessuno di farti male, Isabella. >>
<< Vale lo stesso per me, Edward… >> riuscii a dire, prima che le nostre bocche tornassero a sfiorarsi.
Avevamo solo un’ora e mezza, quel giorno. A differenza delle volte precedenti, il conte, ci aveva fatto espressamente sapere che ci avrebbe ricevuti nella stanza del drago, alla loggia.
<< Sei nervosa? >> domandò Edward, stringendomi dolcemente la mano.
<< Un po’… >>
<< Vedrai che andrà bene, Bella. >>
<< Parli bene tu. >> risposi senza pensare << Non ha mica strangolato te l’ultima volta. >> sputai, senza rendermene conto. Compresi ciò che avevo detto solo quando Edward si immobilizzò improvvisamente al mio fianco.
<< Cosa? >> domandò allarmato << Cosa hai detto? >>
<< Niente, Edward. È una sciocchezza. >> tagliai corto, aprendo l’ultima porta delle “segrete”, affinché entrassimo nel grande e arieggiato corridoio.
<< Cosa significa che ti ha strangolata? >> continuò imperterrito << È per questo che hai cominciato a fare tutte quelle domande su Emmett e Rosalie? È questo il motivo per cui… per cui ti ha sollevata dall’incarico? >> la sua voce era un sussurro << Isabella, rispondi! Quando è successo? Sono sempre stato con te, l’ultima volta. >>
<< Forse è successo proprio davanti ai tuoi occhi, Edward. >> sbottai spazientita << O, per meglio dire, nella mia testa. Lui… lui e i suoi poteri da strapazzo! >>
<< Ma di cosa diavolo stai parlando? >> chiese ancora, afferrandomi per le spalle << Non è che ti sei immaginata tutto quanto? La stanchezza magari… >>
<< Non finire la frase, razza di idiota! >> urlai, facendo voltare qualche guardia << Non puoi baciarmi e trattarmi come la cosa più preziosa che hai, prima, e credermi completamente fuori di testa pochi minuti dopo! >>
<< Cosa succede, qui? >> chiese Caius, il biondino cugino del conte.
<< Niente. >> mi affrettai a rispondere.
<< Proprio niente non direi… >> disse Edward, senza staccarmi gli occhi di dosso.
<< Possiamo parlarne dopo. >>
<< Screzi tra innamorati, per caso? >> sghignazzò Caius, indicandoci di seguirlo.
La stanza del drago non era molto diversa da quella del 2011. Forse un po’ più nuova, ma sostanzialmente era identica. Erano stati sostituiti solo i mobili che, molto probabilmente, si erano rovinati nel tempo.
<< Aro, ecco i tuoi ospiti. >>
<< Oh, eccovi finalmente! >> disse il conte, alzando la testa da un voluminoso libro << Vi stavo aspettando, ragazzi. >> era esattamente come lo ricordavo.
<< Conte. >> salutò Edward, inchinandosi appena. Io non parlai, replicai soltanto il gesto del mio compagno di viaggio.
<< Come state, mie cari viaggiatori? >> chiese il conte, con un caloroso sorriso stampato in faccia.
<< Molto bene, grazie. Lei, conte? Sta bene? >>
<< Molto bene, Edward. Ti ringrazio. >> rispose, per poi spostare il suo sguardo su di me << E tu, mio inesperto rubino, come stai? >>
<< Bene, conte. È gentile da parte sua interessarsi del mio stato di salute. >> dissi, cercando di mantenere freddezza e distacco.
<< Noto con piacere che qualcuno ha imparato qualcosa. >> controbatté allegro, scoppiando in una modesta risata << Edward, perché non segui Caius? Io devo parlare da solo con Isabella. >> a quella richiesta mi immobilizzai, percependo i brividi percorrermi la schiena.
Stranamente, anche Edward parve contrariato e titubante a quella richiesta.
<< Sarebbe meglio se restassi, conte. >> rispose lui << Isabella non si sente molto bene, oggi. Preferirei restare con lei. >> mentì spudoratamente.
<< La giovane è malata? >> domandò Caius << Che strano, non mi sembrava molto malaticcia mentre vi urlava contro nel corridoio centrale, Sir. >>
<< Ora va’, Edward. Non la mangio. >> parlò il conte, facendo un sorriso.
Controvoglia, Edward seguì Caius, lasciandomi ancora una volta in balia di quello sguardo nero come il petrolio.
<< Accomodati, Isabella. >> disse e feci come mi aveva chiesto.
Non volevo dargli additi per farlo arrabbiare.
<< Ho notato un cambiamento in te, oggi. Hai studiato di più, per caso? >>
<< Sì. Mi sto preparando per la soirée alla quale ci ha invitati, conte. >>
<< I frutti si stanno vedendo, bambina. Me ne compiaccio! >>
Passammo quasi mezzora a parlare del più e del meno. Il conte mi fece molte domande sulla missione e sull’andamento della loggia nel mio tempo; volle sapere, perfino, cosa ne pensassi io della cerchia interna. Quando gli parlai della benda, poi, mi assicurò che avrebbe mandato una missiva dove ordinava che essa mi venisse tolta.
Tutta quella gentilezza mi puzzava.
<< Ti vedo strana, Isabella. Questo comportamento così formale ha, per caso, a che fare con il nostro ultimo incontro? >> domandò sorseggiando un goccio di tea << Prendo la tua espressione come un sì. Devi scusarmi, piccolo rubino. Ma sono solito prendere le decisioni di petto. Mi spiace averti spaventata, mia cara, non era assolutamente mia intenzione. >>
<< Allora perché lo ha fatto? >>
<< Per farti capire chi comanda, qui. >> rispose duramente, senza perdere però il sorriso << Mi sono reso conto, comunque, che il messaggio è arrivato forte e chiaro. Sono sicuro che alla soirée, tu ed Edward, farete scintille. >>
<< Dove lo ha mandato? >> domandai, senza rifletterci troppo.
<< A fare un saluto ad una mia cara amica. La piccola Jane. >> repressi l’istinto di inarcare un sopracciglio. E ora chi diamine era questa? << Lady Jane è la figlia di un vecchio amico. È stata molto malata ed è ancora in vita per un semplice miracolo… Non esce molto e non ha molte conoscenze, così quando Edward viene a trovarmi lo mando da lei. Lo ritiene un giovane molto attraente. >> il discorso stava cominciando ad irritarmi.
Ecco perché Edward era sempre così felice di andare a parlare con il conte. Già che c’era, andava a fare una scappatella con Lady Jane. Che stronzo epocale!
<< Ho l’impressione che la cosa non ti aggradi molto. >>
La cosa non mi aggradava molto? Gli avrei spezzato le gambe non appena lo avrei visto!
<< Tesoro mio, temo che i tuoi sentimenti per il giovane Edward stiano prendendo il sopravvento sul tuo cuore. Ma bada bene, le donne non possono pretendere di avere diritti sugli uomini, in quanto essi sono liberi. Se pensi di poter possedere un uomo, uno come Edward poi, finirai per restare da sola. >> ma quante stronzate << Mi sembri una ragazza intelligente, dopotutto. Forse è solo la prima volta che ti sei innamorata. >>
Come eravamo finiti a parlare del mio amore per Edward, quando lui se la spassava non solo con Tanya nel presente, ma anche con questa Jane nel passato?
<< In fondo è molto semplice capire se sei realmente innamorata. >> continuò imperturbabile << Daresti la tua vita per Edward? >>
<< Forse. Non ho mai pensato ad un’eventualità simile. >>
<< Dal luccichio che hai negli occhi si vede lontano mille miglia che la risposta sarebbe sì! >> disse allegro, poi sospirò irrequieto << D’altronde, non c’è niente di più prevedibile della reazione di una donna innamorata. Lo spiegai ad Edward fin dal nostro primo incontro e, da bravo discepolo, prese alla lettera le mie parole! La questione con Tanya mi è dispiaciuta molto… Povero ragazzo, ha sprecato così tante energie per niente! >> cominciavo a non seguire più il suo discorso << Bisogna comunque ammettere che Madre Natura è stata fin troppo gentile con lui, non credi? Un bel viso, un fisico da Adone, notevoli abilità in ogni campo. Non deve muovere neppure un dito perché le fanciulle cadano ai suoi piedi. >>
La verità mi crollò addosso come una doccia fredda in pieno inverno. Tutto quello che Edward aveva fatto, tutte le sue parole, i suoi gesti, i suoi baci… Era tutto calcolato, premeditato. Tutto elaborato perché io e, prima di me, Tanya, fossimo giocattoli nelle sue mani; bambole, che lui poteva facilmente e abilmente controllare.
Cominciai a sentirmi terribilmente male; esausta. Era come se stessi per svenire, da un momento all’altro. Lui mi aveva usata. Sentivo le orecchie fischiarmi forte, troppo forte; le gambe tremarmi; lo stomaco cominciò a torcersi, facendo salire fino alla bocca il senso di nausea. Volevo vomitare. Avevo bisogno di vomitare tutto quello schifo. Le sue mani sul mio corpo, le sue parole… Quale persona poteva essere così viscida?

Come hai fatto ad essere così stupida!, urlò una voce dentro di me. Aveva ragione. Edward mi aveva ingannata perché io mi ero lasciata ingannare da lui. Dai suoi dannati occhi, dai suoi gesti d’altri tempi. Colpa della mia poca intelligenze e del mio cuore così infantile da innamorarsi di un principe che, alla fin fine, si era solo rivelato essere un orco cattivo.
Non riuscivo più a concentrarmi sulle parole del conte, nonostante sapevo bene stesse ancora parlando.
<< Conte! >> urlò Caius, spalancando la porta << Edward è stato ferito. >>
Quattro lettere. Una frase. Bastò solo quello per rimettermi in piedi e correre come una pazza fuori dalla stanza del drago.
Non appena vidi Edward, per un attimo, mi diedi della stupida. Più che un ragazzo ferito, mi sembrava un ragazzo scombinato. I capelli in disordine, la camicia fuori dai pantaloni, le guance rosse, il sudore… Poteva benissimo essere un camuffamento per me, dopo essersela spassata con Lady Jane. Poi, però, vidi il sangue sgorgargli dal fianco sinistro.
<< Cos’è successo? >>
<< Dobbiamo andare, Bella. >>
<< Ma forse hai bisogno di aiuto, forse… >>
<< Ho solo bisogno di andarmene da qui! Coraggio, vieni. >> disse, prendendomi la mano e trascinandomi verso i sotterranei << Abbiamo dieci minuti prima del salto. Sai com’è, mi hanno trattenuto contro la mia volontà. >> recitò la parola d’ordine e mi trascinò con lui nella penombra di quelle segrete.
Non emisi parola per tutto il breve tragitto, nonostante Edward sembrava essere diventato stranamente logorroico.
<< Bella, tutto bene? >> chiese, una volta raggiunto il posto del salto.
<< Strano che tu me lo domandi. >> risposi, voltandogli le spalle << Anzi no, mi correggo. È ovvio che tu me lo chieda. Devi sembrava interessato, giusto? Ma la domanda non è se io sto bene, ma è se a te frega davvero qualcosa. >>
<< Ma cosa stai dicendo? >>
<< La chiacchierata con il conte è stata… interessante. Sì. >> ero distaccata, come se fossi in un lontano pianeta sconosciuto << Il conte mi ha raccontato tutto. Le vostre comuni passioni e idee sulle donne; la tua bravura nella manipolazione. Dimmi, Edward, è vero? È vero che hai manipolato Tanya perché si innamorasse di te, solo perché pensavi che fosse il rubino? >>
<< Bella, aspetta… Il salto arriverà a breve. Potremmo… potremmo riparlarne più tardi, quando ti sarai calmata? >>
<< Deve essere stato un brutto colpo, per te. >> continuai, fingendo di non aver sentito le sue parole << Dopo tutto il tempo che hai passato a farla cadere ai tuoi piedi, hai scoperto che tutto il tuo lavoro era stato inutile. Ero io il vero rubino, avresti dovuto ricominciare tutto da capo, con me. Ma io ti ho reso le cose facili, giusto? Dio! Che stupida. Stupida, stupida! >>
<< Bella, per favore… >>
<< Dimmi solo se quello che ha detto il conte è vero. >> lo bloccai, non volendo ascoltare altro << Dimmi se mi hai davvero preso in giro. >>
<< Non è il momento di parlare di questo. >> rispose Edward, avvicinandosi a me << Quando torneremo risponderò a tutte le tue domande, ma… >>
<< No, Edward! Adesso, ora! Dimmi solo sì o no! >>
<< Bella, per favore… >>
<< Sì o no! >>
<< Sì, dannazione! Sì! >> urlò più forte di me, frantumando definitivamente il mio cuore in mille pezzi << Però, Bella, lasciami spiegare. >>
<< Non ce n’è bisogno. È tutto molto chiaro, adesso. >> parlai con voce atona << Grazie per la sincerità, comunque. >>
Il mio sguardo cadde sulla sua ferita e, per un attimo, mi sentii io quella accoltellata, tra i due. Gli occhi mi pungevano ed ogni punto del mio corpo era inesistente. Non percepivo più le gambe né le braccia né, tanto meno, la testa. Tutto il dolore si era concentrato in un unico punto: il petto. Un petto vuoto, adesso.
<< Bella… >> tentò Edward, ma io indietreggiai.
Proprio in quel momento, la vecchia camera scomparve sotto i miei occhi e al suo posto comparve la stanza del cronografo. Eravamo tornati nel 2011.
<< Per tutti i santi, Edward! >> urlò il dottor Black, accorrendo in suo aiuto << Ma cos’è successo? >>
<< Sto bene, non ho bisogno di niente. >> rispose Edward, venendo accerchiato da tutti gli altri << Bella, aspetta, per favore! >> non lo ascoltai.
Improvvisamente sentii le mani di Mr. Dwyer afferrarmi per la vita.
<< Isabella è incolume. >>
<< Ho solo un graffio! >> si lamentò Edward, cercando di venire da me << Papà, puoi lasciarmi un minuto? >>
<< Non se ne parla nemmeno! Guarda come sei ridotto! >>
<< Mr. Dwyer, potrebbe accompagnarmi di sopra? Vorrei andare a casa. >> sussurrai, sperando che il mio amico percepisse le mie parole.
<< No, Bella, aspetta! >>
<< Edward, stai fermo! >> urlò il dotto Black, sbuffando.
<< Vieni, cara. >>
<< Mr. Dwyer, aspetti! Devo parlare con Isabella! >>
<< Non è necessario, Edward! >> urlai, facendo calare un innaturale silenzio in tutta la stanza << Ho già ascoltato abbastanza e so già tutto quello che dovevo sapere. Voglio solo andare a casa mia. >>
Fu allora che Mr. Dwyer mi afferrò per le spalle e, facendo tacere Edward con un gesto secco e autoritario, mi scortò fuori da quelle mura che, nonostante fossero alte e spaziose, stavano cominciando a starmi strette.
<< Ne vuoi parlare? >> domandò l’uomo, durante il tragitto verso casa.
<< No. >> riuscii semplicemente a rispondere.
Arrivata a casa non mangiai né salutai nessuno. Mi rifugiai velocemente in camera mia, chiudendo la porta a chiave. Non volevo sguardi preoccupati, domande imbarazzanti a cui dover dare risposte troppo dolorose. Volevo solamente piangere, piangere e piangere ancora.
Presi l’Ipod e mi sparai la musica melense nelle orecchie, cercando qualcosa che rispecchiasse il mio stato d’animo. Ma quando percepii le note dell’Hallelujah di Rufus Wainwright, allontanai le dita dall’oggetto, lasciandomi cullare da quella melodia.
I ricordi riaffiorarono prepotentemente nella mia mente e le lacrime non ci misero molto a scendere, sgorgando con impeto ed irruenza dai miei occhi pungenti.
Well, maybe there's a god above, but all I've ever learned from love was how to shoot somebody who outdrew you. It's not a cry that you hear at night, It's not somebody who's seen the light, It's a cold and it's a broken hallelujah
¹
― Beh, forse c'è un Dio lassù ma tutto quello che ho imparato dall'amore è come colpire qualcuno che ha sguainato la spada prima di te. Non è un pianto quello che senti di notte, non è qualcuno che ha visto la luce, è un freddo e un grave Hallelujah.

*Con il termine TASER si identifica un marchio depositato dalla TASER International, Inc. ed è l'acronimo di Thomas A. Swift's Electronic Rifle, dove Tom Swift è il nome del personaggio di un fumetto. Questo termine è usato per riferirsi a dei dispositivi classificati come armi da difesa "meno che letali" che fanno uso dell'elettricità per far contrarre i muscoli del soggetto colpito. ― Fonte: Wikipedia.
¹. Testo e traduzione sono della canzone Hallelujah, già menzionata nel capitolo precedente.

Edward è una grandissima testa di c***o! Lo so, lo so. Il conte ha lavorato molto bene con lui... Sono sicura che la prima cosa che avrete pensate appena letto tutte le assurdità di Aro sia stata "Che estronzate!" esattamente come Bella XD beh, lo penso anche io. E' anche vero, però, che l'amore è molto irrazionale; rende folli e assolutamente incontrollabili. Quando si è innamorati non sempre si ragiona con la testa, ma si è molto istintivi. Edward ha fatto bene i suoi calcoli. L'appuntamento era andato bene... E adesso la nostra Isabella si ritrova in lcarime e con il cuore pezzi. *dannati uomini!*
Cosa succederà, adesso? E dov'è la verità? Chi è stato ferire Edward? Tante risposte che, in questi ultimi capitoli, troveranno risposta. I nodi stanno man mano venendo al pettine, ma chi ne uscirà vincitore?
Il prossimo capitolo non arriverà prima della conclusione privata della storia. Ho deciso, infatti, di riprendere la pubblicazione una volta finiti gli ultimi capitoli - che sono davvero pochi, non temete! -, semplicemente perché non voglio più lasciarvi con la curiosità per troppo tempo. Questo è stato solo il primo capitolo schock, di questa lunga conclusione di storia. Per essere aggiornate basta che seguirmi da qualche parte oltre Efp XD non ho solo Facebook, quindi avete un'ampia scelta :) se non vi va, è lo stesso! Tranquilli, tanto vi prometto che in questa settimana mi alzerò le maniche e concluderò a breve la storia. Sentirete molto presto riparlare di me e di "Edelstein"! Ora sta a voi dirmi cosa ne pensate...
Alla prossima! Un bacio a tutti :*

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Capitolo 22
*** #21. ***


Buon pomeriggio a tutti! Lo so che pensavate mi fossi data alla macchia, ma fortunatamente non è così. Purtroppo ho avuto diversi problemi - salute, impegni lavorativi, casini privati - e non ho potuto scrivere con regolarità. Vi ribadisco, quindi, ciò che ho detto nelle recensioni e nel mio gruppo di Facebook per quanto riguardava la nuova pubblicazione: notando che, a causa di problemi vari, ci ho messo fin troppo tempo a concludere un capitolo, ho comunque pensato di postarlo - nonostante avessi detto che prima di riprendere a pubblicare la storia avrei finito tutti i capitoli. Non mi andava di farvi stare troppo con l'acqua alla gola, perciò... Spero di riuscire a concludere a breve la storia, lasciandovela leggere con tranquillità.
Per adesso, vi lascio al capitolo e buona lettura!
.

21.

« Non si può fermare il tempo,
ma per l'amore a volte il tempo si ferma da solo. »
Pearl S. Buck.

.

Quella mattina non avevo alcuna voglia di alzarmi, nonostante le continue riprese di mia madre, che provenivano dal corridoio. Non avevo ancora aperto a nessuno.
Odiavo apparire fragile, a pezzi e con gli occhi rossi, gonfi di lacrime. Odiavo essere commiserata, ecco. Quindi, perché aprire quella porta e lasciare che tutto il mondo, con la loro compassione, mi piombasse addosso? Sospirai pesantemente, rimettendomi il piumone colorato fin sopra la testa e precipitai nelle profondità del mio sonno senza sogni.
Erano le tre del pomeriggio quando mi svegliai. Non avevo fame. Anzi, a dirla tutta, non sentivo più neppure la presenza del mio stomaco.
Mi sembri una ragazza intelligente, dopotutto. Forse è solo la prima volta che ti sei innamorata…, le parole del conte mi svegliarono del tutto. D’altronde, non c’è niente di più prevedibile della reazione di una donna innamorata… Non deve muovere neppure un dito perché le fanciulle cadano ai suoi piedi.
Come aveva potuto farlo? Come aveva potuto prendersi gioco di me? Gli avevo confessato il mio amore… E lui il suo! Guardandomi perfino negli occhi. Con quale coraggio aveva infangato un sentimento così puro e nobile?
<< Ti amo, Isabella Marie Swan. >>
Cinque lettere, cinque parole, una frase.
Una frase che non era altro che una gigantesca menzogna. Perché gli avevo creduto? Fin da piccola ero sempre stata etichettata come la “signorina diffidente”. Non credevo mai ciecamente a nessuno, per il semplice fatto che la gente mente. Sempre.
Avevo sempre pensato che le persone fossero – nella maggior parte dei casi, ovviamente – fondamentalmente egoiste; interessate solo ai loro tornaconti. Lo avevo imparato a Forks, quando le ragazze mi diventavano amiche non tanto per la mia bella presenza, ma solo per la posizione rilevante dei miei genitori.
<< Dimmi se mi hai davvero preso in giro. >>
Quella conversazione mi aveva torturata tutta la notte.
<< Non è il momento di parlare di questo. >>
<< No, Edward! Adesso, ora! Dimmi solo sì o no! >>

Perché voleva rimandare? Credeva davvero che, una volta tornati al presente, la mia reazione sarebbe stata diversa?
<< Bella, per favore… >>
<< Sì o no! >>

Perché avevo insistito così tanto? Non sarebbe stato meglio continuare a vivere quel sogno anche se, appunto, non era altro che qualcosa frutto della mia immaginazione? No, io dovevo sapere. Io volevo sapere.
<< Sì, dannazione! Sì! >>
Da quel momento, non avevo sentito più niente.
Dopotutto, quante lacerazioni poteva sopportare, un cuore, prima di cessare di battere? Da quando ero diventata una gene-portatrice, avevo incassato un’infinità di coltellate e, a quanto sembrava, non sarebbe finita molto presto, quella situazione. Non ero il tipo di persona che si lasciava schiacciare, comunque. Certo, avevo bisogno anche io del mio momento di crisi ma, una volta superato, sarei tornata in campo più forte di prima. Quello che non ti uccide ti fortifica, dicevano in molti. Ed era proprio quello che capitava a me.
Sospirai pesantemente, trovando la forza di uscire da sotto le coperte. Quanto tempo sarebbe passato prima che la mia mente e, soprattutto, il mio cuore, si sarebbero arresi all’evidenza? Quanto ancora avrei sofferto per Edward? Si poteva smettere di amare a comando? Sapevo che la risposta era no, ma in fondo al cuore ci speravo. Desideravo alzarmi, l’indomani mattina ormai, e non provare più niente per quel mostro che, senza far neppure troppo, era riuscito a farmi cadere nella sua ben congeniata rete di bugie. Ma ci sarei davvero riuscita? Nonostante Edward mi avesse mostrato chi era in realtà, sarei mai riuscita a smettere di amarlo? L’amore è irrazionale. Più ami qualcuno, più perdi il senso delle cose. La frase di un libro che avevo letto più di dieci volte, riecheggiò nella mia testa, facendomi sentire completamente nuda; esposta a quella vera, quanto fastidiosa, verità. Poco importava che l’oggetto del tuo amore fosse uno stronzo, un mostro e, perfino, un calcolatore di bassa lega, quando amavi quel sentimenti si insinuava in te, fin dentro le tue ossa. E per quanto desiderassi abbandonarlo, dimenticarlo o liberartene, solo il tempo – forse – avrebbe segnato la sua fine.
Con forza e coraggio mi alzai definitivamente, afferrai la mia tuta – del color della glicine –, e mi fiondai in bagno. Quando mi fermai dinanzi allo specchio, per poco non mi venne un infarto. In neanche ventiquattro ore, mi ero davvero ridotta in quello stato? Le borse sotto gli occhi, gonfi come due palline da ping pong e rossi come quelli di un vampiro affamato, arrivavano quasi alle labbra; i capelli, di un insolito colore castano fin troppo scuro, erano un groviglio senza inizio né fine; per completare, la pelle era di un bianco innaturale. Sembravo malata.
<< Non esiste, mio caro Edward. >> dissi decisa, con tono duro << Non mi vedrai ridotta un straccio. >>
Chiusi la porta del bagno e aprii il getto della doccia, dopodiché passai lì sotto una buona mezzora.

Stavo bussando alla porta dei Weber da dieci minuti. Quando mi vennero ad aprire, restai ammutolita.
<< Oh, mio Dio! Bella! Ma cosa ci fai qui? >> urlò il folletto, buttandomi le braccia al collo << Angie mi ha detto tutto! Come stai? Edward è un idiota! >> continuò, peggio di una macchinetta rotta, stritolandomi nelle sue magroline braccia.
<< Alice, non respiro! >> dissi, con voce strozzata.
<< Oh, scusa… >> rispose lei, facendomi un sorrisetto buffo.
<< Ma fai palestra, Alice? No perché hai una stretta che uccide. >>
<< Palestra, kickboxing e, ogni tanto, vado a qualche corso di autodifesa! >> urlò, con voce squillante << Non fare quella faccia. Prima di mettermi con Jazz ero una fanciulla indifesa, dovevo tutelarmi dai maniaci! >> sorrisi leggermente, alzando poi gli occhi al cielo.
<< Non mi fai entrare, Alice? >>
<< Sì, certo, ma… Cosa ci fai qui? Dico davvero. >> domandò ancora, spostandosi un po’ di lato per lasciare libero l’accesso.
<< Non avevamo deciso di incontrarci prima della mia trasmigrazione per sapere cosa avevate scoperto? >> domandi confusa. Che ricordassi male?
<< Sì, ma non pensavamo saresti venuta… Insomma, Angela ci ha perfino detto che non ti sei presentata a scuola, questa mattina. >>
<< Già. >> mi rabbuiai, non avevo alcuna intenzione di parlare di Edward << Deve solo passare, Alice. Ho avuto il mio momento di sfogo e autocommiserazione… Adesso vorrei almeno salvarmi la vita, visto che il mio cuore è già totalmente a pezzi. >>
<< Mi dispiace, Bella. Jasper ha parlato con Edward, questa notte, e anche lui sta uno schifo… >>
<< Stop! Alice, non voglio saperne niente. >> risposi duramente << Non mi interessa quanto stia male Edward, lui mi ha usata. Fine della storia. >>
<< D’accordo, scusa, hai ragione. >>
E, senza più proferire parole, raggiungemmo la stanza di Angela.
Come poco prima, sia lei che Jasper, mi fecero il terzo grado. Si stavano domandando tutti come fosse possibile che, dopo tutto quello che era successo tra me e il diamante, fossi in piedi e proprio lì davanti a loro. Diedi le stesse motivazioni date ad Alice e, dopo un abbraccio da parte di Angie, ci rimettemmo subito tutti a lavoro.
Non vi erano molte novità, comunque. Jasper aveva cercato dappertutto la pagina mancante, senza troppo successo.
<< C’è poco da dire. >> parlò proprio quest’ultimo << Il rubino è la chiave di tutto e, grazie alla sua magia del corvo, è il principio e la fine del cerchio dei dodici – essendo una diretta discendente di Caterina Petrova. La magia nel corvo consiste nel creare un punto di incontro tra i morti e i vivi, credo che sia per questo che tu, Bella, riesci a vederli e a parlare con loro. >> quella rivelazione mi lasciò spiazzata. Da quando Jasper era a conoscenza di quella stranezza? Mi bastò guardare mezzo secondo Angela per capire chi gliene aveva parlato << Credo che la chiave per evitare che tu muoia sia proprio nella tua morte. >>
<< Cioè? Dovrei morire per poi farvi sapere come mi ammazzano? >> domandai, forse un po’ troppo tagliente.
<< Certo che no, idiota! >> mi ammonì Angie, lanciandomi un cuscino << Jasper sta solo cercando di dire che il come dovrebbe celarsi nella pagina che a noi manca. >>
<< E che forse un vostro amico fantasma potrebbe aiutarci. >> spiegò Alice, guardando fuori dalla finestra.
<< Come? Che amico fantasma? >> chiesi, non comprendendo le loro parole.
Il primo fantasma che mi venne in mente, subito dopo aver fatto la domanda, fu Jacob Black. In fin dei conti, era anche il più ovvio. Suo padre, Billy, era il medico ufficiale della loggia… Come avevo fatto a non pensarci?
<< James Gordon-Lennox II. >> rispose Jasper << Sarà sicuramente alla soirée indetta del conte, visto che la sua famiglia era la più facoltosa in quel periodo. Non dovrai fare altro che convincerlo a rubare l’ultima pagina degli scritti del conte di Saint Germain e nasconderla. Dopodiché, una volta tornata nel presente, ti farai dire dal suo fantasma dov’è stata messa. >> rimasi a bocca aperta. Diamine, il suo piano era geniale!
James, però, a quei tempi, non mi avrebbe riconosciuta. Come avrei fatto a convincerlo?
<< Era lo scapolo d’oro per eccellenza, Bella. >> rispose Alice, guardandomi sorridente << Non dovrai fare altro che dargli qualche attenzione. >>
<< Cosa?! >> urlai, scioccata e anche un po’ schifata. Per carità, James era anche un bellissimo ragazzo ma… << Mi stai dicendo che dovrei flirtare con lui? >>
<< Avrai, come si dice, due piccioni con un fava: Edward marcio di gelosia e noi le informazioni che ci interessano. >>
<< Non dovrai spingerti troppo oltre, comunque. >> mi rassicurò Jasper << A quei tempi, anche un sorriso era una prova d’amore. Puoi stare tranquilla. >> sbuffai, non piacendomi più troppo, quel piano.
Persa nei miei pensieri, quasi non percepii la vibrazione del cellulare che proveniva dai miei jeans. Mi riscossi in fretta, afferrando il piccolo oggetto nero, e accettai la chiamata senza leggere il nome sul display.
<< Bella? Bella! Sono io, finalmente. >> quella voce mi fece risprofondare nel baratro.
<< Cosa vuoi? >> domandai duramente, con totale indifferenza.
<< Devo parlarti, per favore. Mr. Saltzman mi ha detto che devi trasmigrare fra poco e pensavo di raggiungerti così… >>
<< No, Edward! Non venire a Temple. Non voglio vederti, non voglio sentirti. Hai finito di giocare con me, ok? Hai finito! >> strillai, riagganciando il telefono.
La stanza sprofondò in un innaturale silenzio. Quasi non mi accorsi di Alice che, lentamente, raggiunse Jasper o di Angela, che tentò di avvicinarsi a me, ma poi lasciò perdere.
Come faceva una voce a mandarmi così in confusione? A far riprendere a battere un cuore ormai morto, distrutto in mille pezzi? La verità era che non riusciva ad importarmi ciò che mi aveva fatto, io ero perdutamente innamorata di Edward.
<< Tutto bene, tesoro? >> chiese Angela, titubante. Annuii rapida, cercando di riprendere un barlume di contegno.
<< Sì, ora però devo andare alla loggia. >> dissi, ricacciando indietro le lacrime << Per caso sapete quale autobus devo prendere per…? >>
<< Ma che sciocchezze stai dicendo, Bella! >> urlò Jasper, facendomi quasi saltare per aria << Ti accompagno io mentre loro continuano ad indagare. >>
<< Torna presto, eh. >> sussurrò Alice, baciandogli dolcemente le labbra. Jasper, dal canto suo, le accarezzò i capelli e le sorrise.

In macchina, almeno per i primi minuti, nessuno parlò. Decisi, così, di aprire il primo argomento che mi passava per la testa.
<< Così, tu ed Alice…? >> domandai, lasciando la frase in sospeso.
<< Sì. Già da un po’. >> rispose, sorridendo << Sai, anche a me è sempre piaciuta. Ma non sapevo se lei ricambiasse, così me ne sono sempre stato zitto. >>
<< Insomma, due deficienti. >> dissi, senza rendermene conto << Oddio, ehm… >>
<< No, non scusarti! Hai ragione. Siamo stati davvero due deficienti. >>
<< L’importante è capirlo, no? >> replicai, cercando di dimenticare la mia gaffe << E com’è successo? >>
<< A casa nostra. >> rispose subito, senza imbarazzo << Eravamo rimasti da soli e, tra una cosa e l’altra, siamo finiti per baciarci in cucina. >>
<< Wow! >> sussurrai, sperando di risultare interessata, invece mi sentii molto stupida.
<< È stato così naturale… >> proseguì, fortunatamente evitando il mio “wow” << Era lì, davanti a me, nel suo dolcissimo pigiama all’ultima moda, ovviamente. Ci ho messo poco a perdermi nei suoi occhi azzurri, come il cielo d’estate… >> Diamine, è così dolce! << E poi è successo. Quel bacio era così… >>
<< Giusto. >> mi sentii dire all’improvviso.
<< Bella, ascoltami, so che non vuoi sentir parlare di mio fratello. Credimi, lo capisco. Ma lascialo spiegare, è davvero mortificato. >>
<< Cosa dovrei farmene delle sue spiegazioni, Jasper? Mi ha mentito, mi ha usato. >>
<< Sì, ma… >>
<< Nessun “ma”. >> lo azzittii in fretta << Comprendo il tuo interesse, è tuo fratello. Ma stanne fuori, Jasper, dico davvero. >>
Fortunatamente, arrivammo a Temple proprio in quell’istante.
Senza pensarci troppo, slacciai la cintura di sicurezza e spalancai la portiera.
<< Grazie del passaggio, Jazz. >> e, senza aspettare di aver sentito la sua risposta, sfrecciai come un fulmine all’interno della grande loggia.

<< Buon pomeriggio, Isabella. >> mi salutò Esme, una volta entrata << Come stai, oggi? >>
<< Molto bene, grazie, Esme. >> risposi, cercando di stamparmi in faccia il migliore tra i sorrisi più falsi, sulla faccia della terra.
Notai una piccola rughetta formarsi sulla fronte di Esme, probabilmente a recitare facevo davvero schifo. Decisi di non badarci, comunque. La salutai con un cenno della mano e mi diressi nella sala del drago. Ad aspettarmi, stranamente, vi era solo Mr. Saltzman.
<< Buon pomeriggio, Isabella, è qui per la trasmigrazione? >> domandò, alzando lo sguardo dal grande libro – rilegato con una custodia anticata, di colore verde marcio – che stava leggendo.
Alaric Saltzman era indubbiamente un uomo affascinante. Misterioso, certo, e con un temperamento e carattere fuori dal comune. Nulla, però, avrebbe potuto offuscare la sua bellezza o il suo charme.
<< Sì, Mr. Saltzman, sono qui per il mio solito salto giornaliero. >> risposi, guardandomi intorno << Non c’è Mr. Dwyer? >>
<< Purtroppo è fuori città, oggi. >> spiegò lui, alzandosi dal grande tavolo << Spero non ti dispiaccia farti scortare da me, quest’oggi, per la tua trasmigrazione. >>
<< Certo che no. >> risposi, cercando di sorridere.
Avevo una brutta sensazione, ma non riuscivo a spiegarla. Quando Mr. Saltzman mi indicò la porta, tirando fuori la solita benda nera, decisi di accantonare le mie fantasie. Ci avrei pensato più avanti.
<< Rilassati, Isabella. Oggi i signori Cullen – eccezion fatta per la bella Esme – sono rimasti a casa. Ho sentito dire che il giovane Cullen ti ha tirato un brutto tiro mancino. >> avrei voluto non rispondere, ma il mugugno lo fece per me << Deduco che tu non sia propensa a parlarne. Lo capisco, non preoccuparti. >> e detto quello, nessuno parlò più per l’intero tragitto.
Arrivammo nella sala del cronografo in poco tempo, almeno così mi era sembrato. Mi ero resa conto di aver svuotato completamente la testa, dalla sera prima. Cercavo di non provare niente, di non pensare a niente, di non sentire niente. A volte ci riuscivo, altre…
<< Isabella, il dito. >> parlò Mr. Saltzman, risvegliandomi dai miei pensieri.
Quella era una di quelle volte in cui non ci riuscivo.
Come ogni volta, le lancette del cronografo cominciarono a muoversi velocemente; l’ago pizzicò il mio polpastrello, facendo sgorgare una goccia del mio sangue all’interno dell’aggetto; tutto, intorno a me, si accese e la stanza venne inondata da una luce rossa. Era il bagliore della dodicesima viaggiatrice: il rubino.
Quando arrivai nell’oscuro sotterraneo, mi resi conto di non sapere nemmeno in che epoca, Mr. Saltzman, mi aveva spedita. Oh, beh, poco male, pensai.
Estrassi dallo zaino la torca e l’accesi, cercando di orientarmi in quello sporco scantinato.
Di certo non era il 1889. In quell’anno era tutto molto più pulito. Che fossi andata più indietro? Più avanti? Non riuscivo proprio a capirlo. Rinunciai, così, alla mia impresa e iniziai a fare i compiti per scuola.
<< Isabella! >> mi sentii chiamare e, per poco, non tirai un urlo non molto femminile << Diamine, ti stiamo cercando da ore! Fortuna che abbiamo avuto una soffiata sull’anno in cui sei stata mandata. Ma cosa ci fai nel 1750? Non è troppo indietro? >>
<< Forse non volevano che la trovassimo. >>
<< Emmett, Rosalie… >> li chiamai un po’ confusa << Cosa ci fate voi qui? >>
<< Dobbiamo parlare con te. >> rispose il primo che, stranamente, nemmeno si reggeva in piedi.
<< Vogliamo sapere se Edward è con noi o meno. >> continuò la seconda, sorreggendo il suo compagno.
<< Non ho avuto modo, tempo e voglia di parlare con Edward di questa storia. >> mi porsi in modo molto brusco << Comunque, inutile girarci intorno, lui è fedele al conte. Non ci aiuterà mai. >> conclusi, ricordando quello che aveva fatto a me. Notai, però, grande delusione sui loro volti.
<< Pensavo di averlo convinto. >> sussurrò Emmett, accarezzando il viso di Rosalie.
<< Ci hai provato, tesoro. >> rispose lei, facendo un sorriso amaro << Le abbiamo provate tutte, adesso. >>
<< Che significa? >> chiesi loro, alzandomi. Presi l’unica sedia presente in quel posto e la offrii all’orso ferito.
<< Grazie… >> rispose Emmett, sedendosi << Edward non ti ha detto nulla? >> scossi il capo.
<< Non ci parliamo. >>
<< Cos’è successo? >> domandò Rosalie, mia cugina, avvicinandosi preoccupata.
<< Nulla. Ho solo scoperto che Edward Cullen è un fottuto bastardo senza spina dorsale, un coglione e un maledetto giocare, calcolatore che… >>
<< Ehi! È mio nipote che stai offendo! Calmina, bambolina! >> mi bloccò Emmett, alzando un sopracciglio.
<< Beh, tuo nipote è uno squallido calcolatore. E fa tutto ciò che il conte gli dice di fare! Nemmeno fosse un robot sotto il suo controllo. >>
<< Mi sembra strano. >> disse Emmett, assumendo un’aria seria << Quando l’ho visto, alla vostra passata trasmigrazione – mentre tu eri al colloquio privato con Aro –, ci ho parlato e… >>
<< Aspetta un minuto! Vi siete picchiati? Ecco perché tu sei conciato così e lui… Emmett! Ti prenderei a calci! >>
<< E questo è il tuo non interesse, eh cugina? >> domandò Rosalie, scoppiando a ridere di gusto.
Sentii le guance incendiarsi e l’imbarazzo crescere. Dannato sentimento, ma devi comunque rompere nonostante quello che mi ha fatto?!
<< Comunque no, Bella. Non sono stato io a picchiarlo, anzi. Sapevamo che sareste andati dal conte e volevo provare a raggiungervi, purtroppo, però, le guardie del conte mi hanno intercettato e mi hanno aggredito. Stavano per farmi fuori… Fortunatamente, Edward passava di là e mi ha salvato la vita. Questo gli è costato una ferita superficiale, però. >> non seppi cosa rispondere.
Perché Edward, nonostante l’avversione che osteggiava verso i nostri nemici, si era fatto infilzare come un tacchino pur di evitare l’uccisione di Emmett?
<< E cosa vi siete detti? >>
<< Ho cercato di spiegargli a grandi linee le mie perplessità, le nostre perplessità. >> rispose, afferrando la mano di Rosalie << Di primo acchito non sembrava crederci molto, ma quando gli ho detto che la tua vita era in pericolo, beh, mi ha ascoltato. >>
<< Dici sul serio? >> domandai con troppa curiosità e sorpresa.
<< Gli ho chiesto se ti amava, Bella. E lui ha risposto di sì. >>
<< È un bravo attore. >> risposi fredda, cercando di non scoppiare a piangere.
<< Non stava recitando, Bella, te lo assicuro. Nei suoi occhi c’era serietà e determinazione. Lui ti ama, Bella, e so per certo che anche tu sei innamorata di lui. >>
<< Mi ha ingannato, Emmett. Non posso perdonarlo per aver mandato il mio cuore in mille pezzi. >>
<< D’accordo, ma dobbiamo scoprire se i documenti che gli abbiamo dato sono ancora nelle sue mani. >> si intromise Rosalie, guardando Emmett.
<< Che documenti? >> chiesi, non riuscendo più a capirci niente.
<< Una copia di quelli che ho lasciato a Jasper. >> rispose lui, gemendo di dolore. La ferita doveva essersi riaperta.
<< In quei testi non c’è la parte saliente, Emmett. >> lo informai, sospirando amaramente.
<< Come? >> domandarono all’unisono.
<< Manca l’ultima profezia. Io, Jasper, Alice e perfino Angela, una mia amica che è a conoscenza dell’ intera questione, stiamo provando a cercarla da quando ci siamo incontrati la prima volta. Senza risultati, ovviamente. >>
<< Nemmeno nel cronografo c’è? >> chiese Rosalie, ma la domanda mi lasciò perplessa.
<< Che cronografo? >>
<< Quello rubato. >> rispose lei << Non posso spiegarti, anche perché non saprei come fare e abbiamo solo dieci minuti. Il tempo scorre in modo diverso da come lo pensiamo o immaginiamo. Noi, ora, nel nostro nuovo tempo – il 1912 – siamo ancora in possesso del cronografo, ma abbiamo scoperto che più avanti, quando non ci servirà più, lo nasconderemo nelle fondamenta di casa Cullen, sotto la stanza di Jasper. Per te. >> rimasi senza parole, un’altra volta.
Il cronografo che tutti stavano cercando era nelle mani dei Cullen e loro, ovviamente, non lo sapevamo.
<< Non ho nascosto nulla lì, principessa. >> replicò Emmett, rimettendosi in piedi << Non so perché quella pagina è andata persa, ma so che nei fascicoli che ho dato ad Edward c’è tutto, compresa l’ultima profezia. >>
<< Come!? >> quasi urlai, sentendomi spaccata in due. Ero agitata – perché questo significava incontrare per forza Edward –, ma anche sollevata. C’era una speranza, forse.
<< Edward ha la chiave di tutto, Bella! >> urlò Emmett, cominciando a svanire << Va’ da lui e sono certo che ti aiuterà! Fidati di noi, ma soprattutto di lui! >>
<< Trova il cronografo, cugina! E vieni con Edward da Lady Gilbert, prima che sia troppo tardi! >> e detto quello, svanirono davanti ai miei occhi.

Rimasta sola, non sapevo cosa pensare. Potevo davvero fidarmi di Edward? Il mio cuore a pezzi avrebbe retto un confronto con lui? Non lo sapevo. Ma se c’era anche solo una lontana possibilità di salvarmi dal conte, dovevo provare.

Sono un po' di fretta, quindi non riesco a commentarvi bene il capitolo XD l'unica cosa che mi sento, comunque, di dirvi è: che gran casino! Ora è tutto nelle mani di Edward, ma lui cosa farà? Vi anticipo che nel prossimo capitolo si terrà la moltissima sentita nominare soirée. Cosa succederà? Spero di postare il capitolo il più presto possibile :(
Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 23
*** #22. ***


'Sera a tutti! No, non sono una visione, sono davvero io! Come ho già detto nelle risposte alle recensioni, non mi sono data alla macchia e non ho preso il "periodo sabatico" senza aver prima finito la storia; ho avuto parecchi rallentamenti, e di questo mi dispiaccio molto. Per le domande che ho letto qua e là nelle vostre recensioni - ma anche per mp su Facebook e quant'altro, qui su Efp - e per sapere quando verrà pubblicato il prossimo capitolo vi invito a leggere le note autore a fine capitolo.
Detto questo, non mi perdo a tergiversare e vi lascio alla lettura! :)

.

22.



« Il cerchio di sangue giunge a conclusione,
la pietra è dell'eterno realizzazione.
La veste della gioventù si accresce di nuova energia,
che dà potere immortale a colui che porta la magia.
Ma, attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà
il destino di quanto è terreno si compirà.
La gioventù si scioglie, la quercia è condannata
a decomporsi in quest'epoca buia e odiata.
Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella,
l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta più bella.
Sappi dunque, una stella si consuma per amore,
se sceglie liberamente di struggersi il cuore. »
Dagli scritti segreti del conte di Saint Germain.
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Quando feci il salto di ritorno, quasi non percepii la superficie sotto i miei piedi. Tutte quelle novità mi aveva lasciata senza parole e senza pensieri. Sentivo la mente svuotata, così come lo stomaco e il cuore. Possibile che la mia rovina era diventata anche la mia unica fonte di salvezza? Edward aveva già letto i documenti che Emmett gli aveva consegnato? Se la risposta a quella domanda era sì, cosa avrebbe fatto adesso? Sarebbe andato dal conte? Ci avrebbe traditi? Avrebbe davvero lasciato che la profezia si compiesse e che io, nonostante tutte le bugie che mi aveva rifilato, morissi? Sapevo di importagli poco – nonostante Emmett fosse convinto che Edward mi amasse –, ma era così minimo il suo interesse per me?
Quando Mr. Saltzman mi sbendò, la luce tenue dei corridoi mi abbagliò, costringendomi a richiudere gli occhi.
<< È fastidioso, vero? >> domandò l’uomo accanto a me << Mi dispiace per questa incresciosa situazione, Isabella, ma dobbiamo essere sicuri della sua totale devozione. >>
<< Quando ho parlato con il conte, mi ha detto che avrebbe dato ordine che la benda mi venisse tolta. Lui, a quanto pare, si fida di me. >> Certo, perché gli servo per concludere il suo maledetto cerchio, pensai soltanto. Vidi l’espressione di Mr. Saltzman cambiare.
<< Già, è vero. Quando avremmo l’ordine non verrà più bendata, Isabella. Ora vada a casa, è tardi. La macchina l’attende. >> e detto quello, mi fece un leggero inchino e tornò nella sala del drago.
Lo guardai scomparire dietro a quell’enorme porta che, ormai, era diventata famigliare; tutta Temple, in fondo, lo era diventata. Mi sembrava passata un’eternità da quando avevo messo piede in questa sorta di tempio per fanatici per la prima volta. Erano davvero successe molte cose da allora, troppe forse; troppe cose per una persona sola.
<< Bella. >> quella voce mi fece schizzare sull’attenti.
La rabbia che provavo per lui si volatilizzò in un nano secondo. Com’era possibile che solo la sua presenza riusciva a scacciare via le urla del mio dolore? Perché la sua voce fungeva come balsamo lenitivo a tutte le mie ferite? Quelle ferite che, quasi mi ero dimenticata, aveva aperto proprio lui.
<< Ti avevo detto di non venire qui, Edward. >> parlai freddamente, afferrando la giacca per poi sfrecciare fuori dall’edificio.
<< Aspetta, per favore! Devo parlarti… >>
<< Devi parlarmi! Ridicolo. >> sussurrai, bloccandomi improvvisamente << Forse avresti dovuto pensarci prima, non credi? Dimmi una cosa, Edward, sei un uomo o un burattino? Ma fai tutto quello che il conte ti dice di fare? Se ti avesse detto che per plagiarmi avresti dovuto gettarti da un ponte, lo avresti fatto? >>
<< Ho sbagliato, Bella, lo so. Ma ti prego… >>
<< I santi si pregano, Edward! Con me puoi perfino supplicare, ma non otterrai niente! È finita, Edward, anche perché non è mai iniziata! >> urlai, voltandomi per raggiungere l’auto che, come di consueto, la loggia metteva a disposizione per riaccompagnarmi a casa.
<< Mi dispiace! >> strillò improvvisamente, un attimo prima che un tuono squarciasse il cielo di Londra. Di lì a poco sarebbe scoppiato un temporale.
Non mi mossi, comunque. Non mi voltai nemmeno. Sentivo i passi di Edward che, lentamente, si avvicinavano.
<< Mi dispiace, Bella, e tu hai tutto il diritto di considerarmi uno stronzo… >> mi voltai, senza interromperlo << Ok, forse “stronzo” è troppo poco. Non dovevo mentirti, avrei dovuto fidarmi di te come tu facevi con me. Ti ho trattata uno schifo, eppure quando avevo bisogno tu c’eri. Ti ho ingannata e di questo ti giuro, te lo giuro davvero, mi dispiace da morire. >> rimasi a fissarlo per minuti interminabili.
I suoi occhi verdi erano due pozzi di smeraldo liquido; trapelavano di sincerità, però. Lui era davanti a me, senza scudi e senza maschere, ed era sincero. Forse, come non lo era mai stato fino a quel momento.
Ti sta chiedendo scusa, idiota! Lui ti ama, fai qualcosa!, la mia vocina interiore poteva anche risultare fastidiosa ma, molto spesso, ragionava più di me.
<< Edward, io non so cosa dire… >> sussurrai, facendo un passo verso di lui.
Un lampo, seguito da un gran boato, fece risplendere il cielo sopra di lui. Osservai una goccia d’acqua posarsi sui suoi capelli color del bronzo e un’altra sulla sua guancia, lentamente… E poi, improvvisamente, la pioggia cominciò a cadere imperterrita sopra di noi.
<< Non dire niente, allora. >> riprese lui, fregandosene dei vestiti che, poco a poco, si impregnavano d’acqua piovana << Dimmi che capisci e che mi perdoni. Ti prego, Bella, ho bisogno di sapere che ti fidi ancora di me. >> concluse, imprigionando una mia mano nelle sue.
Il cuore cominciò a battere furioso nel petto; la voragine che il suo tradimento aveva scavato si era chiusa, il mio cuore si era ricostruito. Edward era pentito, davvero, ed io non desideravo altro che stare con lui.
<< Mi fido, Edward. >> ammisi, avvicinandomi ancora di più << Forse è sciocco da parte mia, ma vedo sincerità nei tuoi occhi. Io ti amo e mi fido. >> quando tentai di baciarlo, però, cambiò tutto.
<< Aspetta, Bella. >> replicò Edward, quasi spaventato dal mio gesto << Non è come pensi, forse… forse mi sono spiegato male. >> lo guardai confusa, non capendo cosa volesse dire << Il conte mi ha chiesto di imbrogliarti e l’ho fatto. Ma ho mentito, Bella. Io ti rispetto e provo qualcosa per te, ma non è amore… È rispetto e stima, è amicizia. Vuoi essere mia amica, Isabella Swan? >> a quella richiesta impallidii.
Indietreggiai non sentendo più le gambe. La pioggia non aveva bagnato solo i miei abiti, ma era penetrata fin dentro le ossa, lasciando solo un profondo gelo. Il cuore si frantumò nuovamente nel mio petto e la voragine tornò prepotente al suo posto.
<< Bella… >>
<< Zitto! >> urlai, sentendo la mia voce distorta << Sta’ zitto. >>
<< Perché… perché stai piangendo, adesso? >> alzai di scatto la testa e mi toccai la guancia.
Aveva ragione, stavo piangendo. Sei ridicola, Bella. Assolutamente stupida e patetica!
<< Lasciami stare, Edward. >>
<< Aspetta, io… >>
<< Non aspetto niente! >> urlai, aprendo la portiera dell’automobile << Volevi il mio perdono, Edward? Bene, ce l’hai. Ma è l’ultima cosa che avrai da me. >> e, senza aspettare la sua risposta, salii sulla vettura, pregando il conducente di portarmi dritta a casa.

* * *

I giorni erano trascorsi lenti, monotoni e incolore. Non provavo niente. Nemmeno i continui rimproveri di Mr. Salvatore e Tanya riuscivano a scalfire la mia corazza.
“Attenzione al mento! Cura il portamento. Devi partire con la destra, Isabella, non la sinistra! Sacrebleu, è un caso perso!”.
Avevo spento tutto. D’altronde, se non sentivi niente, nulla avrebbe potuto farti male.
<< Ahia! >> urlai, dimenticando gli aghi medici.
<< Scusi, Isabella, ma questo genere di vaccino è un po’ doloroso. >> rispose il dottor Black che, stranamente, aveva abbassato la guardia con me.
<< Se deve essere fatto… >>
<< È una precauzione. >> rispose lui, estraendo l’ago dal mio braccio << Non credo prenderete qualche malattia in una sola soirée, ma come si suol dire “prevenire è meglio che curare”. >> il suo ragionamento non faceva una piega.
<< Ora dovrei andare da Alice per le misure dell’abito. >> dissi alzandomi, ma sentii le gambe tremarmi e riprecipitai sulla sedia.
<< Tutto bene, Isabella? >> domandò il dottore, mentre – nello stesso istante – il piccolo Jake mi chiese: << Ti senti male? >>.
<< Tutto apposto, dottor Black. >> risposi, notando che la stanza stava tornando in asse << Forse è il vaccino, ha detto che è forte. >>
<< Ma non così forte, Isabella. Che sia debilitata, per caso? Ma, con tutto il rispetto, mangia e dorme a sufficienza? >>
Quella domanda mi lasciò spaesata per diversi minuti.
Da quanto tempo non dormivo bene? E, forse cosa più importante, da quanto non mangiavo decentemente? Erano giorni, o almeno così credevo.
<< Ho qualche difficoltà a prendere sonno, in effetti. >> ammisi, sospirando << E il cibo mi da la nausea; mangio poco, solo per accontentare i miei genitori. >>
<< Non è un bene, Isabella. >> rispose il dottore, avvicinandosi ad un mobile fatto interamente di la lastre di vetro << Le darò degli integratori e per piacere, per piacere, li prenda. Due compresse al giorno: una la mattina, dopo la colazione, una la sera, dopo cena. >> storsi il naso. Non mi era mai piaciuto prendere quel genere di “cose”.
<< Non so se… >>
<< Isabella! >>
<< D’accordo, d’accordo! >> dissi alzandomi e afferrai il flaconcino bianco << Prenderò questi integratori. La ringrazio, dottor Black. >>
<< Ora vada da Miss Brandon. È tardi, la starà aspettando. >> non me lo feci ripetere due volte.
Mi avviai alla porta, sorridendo al piccolo Jake che, con sguardo preoccupato, mi salutava con la sua piccola mano.
<< Non ti preoccupare, Jake. >> sussurrai, aprendo la porta << Sono solo questioni da grandi, sto bene. >> di tutta risposta, il bambino fece un sorrisone a trentadue denti e annuì con convinzione.
Quando arrivai davanti alla porta della sartoria, notai che essa era aperta.
Sapevo che sbirciare od origliare erano gesti poco carini da fare, ma la curiosità era donna – almeno, così si diceva – ed io ero curiosa per natura.
Quando vidi chi vi era all’interno, però, tutta l’adrenalina accumulata in quei pochi secondi scemò. Cominciavo a sentirmi una voyeurista… Non avendo più una vita sentimentale – se mai l’avessi davvero avuta, poi – adesso, mi mettevo a guardare le coppie che si baciavano? E che bacio… Alice era stesa sul tavolo del cucito; intanto, le mani esperte di Jasper, vagavano sul suo corpo – sotto i vestiti! – mentre le sue labbra e la sua lingua, realizzavano giochi che non si vedevano di certo tutti i giorni.
I gemiti di Alice, uniti ai sospiri di Jasper, riempivano la stanza; le sue gambe, avvolte al bacino del ragazzo, lo spingevano sempre di più verso di lei – non che lui avesse bisogno di aiuto.
Isabella Marie Swan!, urlò il mio buon senso. Cosa stai facendo? Smettila di guardare, è inconcepibile!
<< Potevano anche chiudersi dentro, eh. >> sussurrai, rendendomi conto solo dopo di star parlando da sola.
<< Oltre che guardona, cosa che non ti fa di certo onore, parli anche da sola. Non ti ha mai detto nessuno che il sentire voci e il colloquiare tra sé come se vi fossero più persone è sintomo di duplice personalità, problema che porta al ricovero presso il manicomio più vicino? >>
<< Ah! >> urlai, spalancando la porta della sartoria.
<< Bella! >> urlò a sua volta Alice, spingendo via Jasper che, nel disordine venuto a crearsi, stava tentando di tirare su la cerniera dei jeans.
<< Edward! >> lo rimproverò il fratello, comprendo Alice che, nel frattempo, si stava riabbottonando la camicetta.
<< Non guardate me. >> disse Edward, alzando le mani << Non ero io che vi stavo studiando come in una lezione di Educazione sessuale. >> a quelle parole avvampai in modo vergognoso.
<< C…che… No! Non è vero, i…io stavo entrando, cioè non nel senso, nel modo… >> Che qualcuno mi fulmini, adesso!, urlai mentalmente.
<< Respira, Bella, non è successo niente. >> disse Alice, avvicinandosi a me << Colpa nostra, pensavamo di aver chiuso a chiave. >>
<< Non per essere il solito guastafeste, ma non credete che questo sia il posto meno consono per fare certe… ehm “attività”? >> chiese Edward, che era la tranquillità fatta a persona.
Dopo un momento di imbarazzo e di domande – con annesse risposte – totalmente idiote, tornammo a concentrarci sul vero motivo della visita: la prova abiti.
<< Credo di avervi dato lo stesso orario, scusate. >> disse Alice, visibilmente dispiaciuta << Ho la testa altrove, recentemente. >>
<< Non chiedo dove… >> commentò Edward, facendomi fare una smorfia.
<< D’accordo, io vado via. >> si intromise Jasper, dando un delicato bacio sulla tempia di Alice << Ti aspetto a casa. Ciao, ragazzi! >> detto quello, si volatilizzò.
Solo allora mi resi conto degli occhi di Edward puntati su di me. Senza volerlo, profondai nel suo sguardo cristallino e il cuore cominciò a battermi furioso nel petto. Sembrava dispiaciuto… Nonostante provasse a fare lo sbruffone, c’era qualcos’altro. Qualcosa che si celava dietro la sua falsa calma.
<< Cosa vuoi? >> domandai, cercando di non perdermi in quell’abisso << Cos’hai da guardare? >>
<< Non posso guardarti? >> domandò, alzando un sopracciglio.
<< No. >> risposi gelida, levandogli il suo solito sorrisetto dalla faccia.
<< D’accordo, ragazzi… >> disse Alice, prendendo il metro << Edward, perché non vai a prenderti un caffè? Inizio da Bella, così può tornarsene a casa e riposare. Domani sarà una giornata difficile per lei. >>
Senza proferire parola, il ragazzo dagli occhi verdi, lasciò la stanza; non si voltò indietro nemmeno un secondo.
Quando chiuse la porta, sprofondai nella poltrona color crema e chiusi gli occhi.
Ero stanca.
Stanca di non dormire; di non mangiare più come dovevo.
Stanca di queste tensioni; di questo stress.
Stanca di una vita che non mi ero scelta, ma che mi era stata imposta.
Stanca. Semplicemente, stanca di tutto quanto.
<< Bella, tutto bene? >>
<< Sì. >> risposi meccanicamente.
Sapevo quanto Alice fosse diversa dalla gente, ma ero anche pienamente cosciente che le persone non si aspettavano mai una tua risposta reale e sincera. Nella nostra società, alla domanda “Come stai?” tutti volevano come responso la parola “Bene”, a prescindere che essa fosse la verità o meno.
Avevo imparato, perciò, a rispondere automaticamente a quella domanda, per diverse ragione: non far preoccupare i miei genitori, non essere di peso ai miei amici, non far torto a chi chiede solo per educazione.
Quando incrociai gli occhi azzurri del folletto, però, mi ricordai chi avevo davanti. Presi un profondo respiro e mi misi a sedere più composta.
<< Va bene, Alice. >> ammisi infine << Devo solo farci l’abitudine, ma va bene… Piuttosto, avete cercato in camera di Jasper? >>
<< Sì, ma non abbiamo trovato niente. >> rispose Alice, afflitta << Abbiamo scoperto, però, che la planimetria della villa è cambiata. Quindici anni fa, infatti, Carlisle fece buttare giù diversi muri, per rifare tutto il piano superiore. Se Rosalie ed Emmett hanno nascosto il cronografo prima di allora, è possibile che sia altrove adesso. >>
<< Quel era la stanza di Jasper, prima della ristrutturazione? >> domandai, sperando di riuscire a trovare il cronografo nel minor tempo possibile.
<< Ci stiamo lavorando. L’unico che potrebbe saperlo è Edward, ma… >>
<< Chiederlo a lui, ora come ora, è un azzardo. >> conclusi io al suo posto.
<< Lo troveremo, Bella. E troveremo anche i documenti che gli hanno dato Rose ed Emmett. A meno che tu non abbia cambiato idea e… >>
<< No, Alice. >> affermai decisa << Non possiamo fidarci di Edward. Mi ha ingannata, usata… Solo perché il conte gli aveva detto che così avrebbe avuto il controllo del rubino. Chiedere a lui sarebbe una condanna a morte, per me. Non deve sospettare che noi sappiamo; che io so. >>
<< Come preferisci. >> disse, prima di sollevarsi << Ora alza il culo da quella poltrona, Miss! Devi provare l’abito! La soirée è domani e tu dovrai essere impeccabile. >> concluse, facendomi un occhiolino.
Scoppiai a ridere, ma la seguii nel separé. Quel folletto, dopotutto, riusciva sempre a strapparmi un sorriso.

* * *

L’atmosfera che si percepiva in macchina era soffocante.
Nonostante la limousine fosse spaziosa e ricca di confort, l’aria al suo interno era pesante, rendendo il tutto molto scomodo. Come se non bastasse, poi, il mio abito stava cominciando a darmi suoi nervi.
<< Tutto bene, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, sorridendomi mesto.
<< Stia dritta, Milady! >> urlò Mr. Salvatore, impedendomi di rispondere << Spero vada tutto bene, questa sera. >>
<< Andrà bene, ma lei non aiuta di certo la signorina a rilassarsi. >> disse il dottor Black, facendo sbuffare l’orco e sghignazzare Edward che, sfortunatamente, sedeva proprio davanti a me.
<< E tu cos’hai da ridere? >> domandai, incrociando le braccia sotto al seno.
Il corpetto stava diventando davvero fastidioso ed io dovevo trattenermi dal compiere gesti poco consoni. Perché sono donna? Dannazione!
<< Non posso ridere, Gwenny? >> domandò sfacciato, riuscendo a ridicolizzare anche il mio falso nome.
<< Gwendolyn! >> quasi ringhiai << Gwendolyn de Villiers, prego. >>
<< I tuoi nomi sono sempre molto buffi. >> commentò, ridendo di nuovo.
<< Ah, i miei? >> domandai, sporgendomi un po’ verso di lui << Passi per Edward, ma Gideon! Che razza di nome sarebbe Gideon de Villiers? >>
Non rispose. Alzò un sopracciglio e tornò a guardare fuori, impettito.
Uno a zero per Bella, stronzo.
Continuai a fissarlo con la coda dell’occhio, conscia che non potesse vedermi e che, da brava deficiente, avrei dovuto evitare. La sua bellezza non solo era un dolore per gli occhi ma, dopo tutto quello che avevamo passato, era un dolore lacerante anche per il mio cuore.
Indossava una giacca di colore blu scuro; i capelli, tirati indietro, erano predisposti per la parrucca che, a quei tempi, era obbligatoria. I calzoni neri, abbinati agli stivali da sera, eleganti, mettevano in risalto la camicia azzurra che, quasi sfacciata come il suo padrone, lasciava uscire i pizzi sui polsi e intorno al colletto.
Alice aveva pensato a tutto. Il mio vestito, infatti, era abbinato a quello di Edward.
L’abito era azzurro pastello, composto da un corpetto aderente, terminante a punta, e una doppia gonna esageratamente larga sui fianchi, sostenuta dal panier. Le maniche, al gomito, terminavano in una cascata di pizzi blu di diverse lunghezze.
L’ansia cominciava a farsi sentire, anche troppo, forse; il silenzio del grande abitacolo, poi, mi rendeva cento volte più nervosa.
Cosa sarebbe successo alla soirée? Il conte avrebbe fatto qualcosa? Ed io, ero pronta per quell’evento o aveva ragione Mr. Salvatore nel dire che ero fuori posto?
Quando l’auto si fermò, davanti alla Saint Lennox High School, capii che era davvero arrivato il momento di entrare in scena.
La soirée, in onore di Lord Masen, infatti, si sarebbe tenuta alla residenza Gordon-Lennox: attuale istituto privato superiore di Londra e, nel Settecento, casa della famiglia di James.
<< Andiamo, Isabella. >> mi incitò Mr. Dwyer, porgendomi la mano e tenendo la portiera aperta. Accettai il gesto, lieta di non dover litigare completamente da sola con quell’ingombrante gonna.
<< E così ci siamo. >> parlò Edward, più a se stesso che a me, fissando il grande e antico edificio bianco, che si ergeva possente dinanzi ai nostri occhi.
<< Procediamo. >> disse Mr. Saltzman, affiancato dal dottor Black e figlio – che nessuno poteva venere, eccetto me. Mr. Salvatore ci seguiva mesto.
Varcammo la soglia in silenzio, avanzando per i lunghi corridoio della mia scuola, in cerca del posto giusto per impostare il cronografo.
Non sapevo perché, ma un leggero vento gelido mi ghiacciò il sangue nelle vene, come a preannunciarmi che la resa dei conti era vicina. Forse, anche troppo.

Ciao a chi è arrivato fin qui XD a chi ha letto il capitolo ma a chi, soprattutto, non ha perso la speranza e la voglia di seguire questa storia nonostante i miei innumerevoli ritardi! Come ho già detto sul mio gruppo di Facebook - per chi non ne facesse parte - questo capitolo doveva essere più lungo; nettamente più lungo. A causa di problemi vari (lavoro vero, lavoro di grafica - in quanto sto gestendo una pagina di grafica, sempre su Facebook - e problemi personali) non riuscivo a finirlo. Ho deciso, quindi, di spezzarlo, visto che la seconda metà non era nemmeno a metà - scusate il gioco di parole. Rileggendolo e facendolo leggere in anteprima alla mia fantastica socia e migliore amica, il capitolo c'è parso buono, completo ed essenziale anche così. Per non farvi attendere troppo, allora, ho deciso di spezzarlo e allungare di qualche capitolo la storia (cosa che, molto probabilmente, farà piacere a qualcuno).
Passando alle domande che mi avete posto in giro, quindi: avevo detto che alla storia mancavano solo due capitoli, beh... penso proprio che ne mancherà qualcuno in più, quattro a questo punto; "Edward ha la pagina mancante, l'ultima profezia; Bella dovrebbe fare meno la cocciuta!", vorrei ricordare che qui il "cattivo" è Edward XD certo, Bella, forse, dovrebbe affrontarlo a brutto muso, ma più che testarda lei è ferita... Insomma, lui l'ha presa in giro (credo, comunque, che in questo capitolo alcune cose si siano chiarite già!); per quanto riguarda, invece, il perché negli scritti che ha Bella non c'è la profezia che, invece, è nelle mani di Edward... Beh, a questo non posso rispondere! Lo scoprirete, però... E spero anche molto presto! :)
Non so quando pubblicherò il nuovo capitolo, che narrerà della tanto attesa soirée, ma spero davvero presto, gente. Già da stasera mi metterò a scriverlo e spero di potervelo "consegnare" Mercoledì prossimo. Entro Dicembre vorrei davvero concludere questa storia che, nonostante sia molto seguita e accolta stupendamente, in effetti - tra ritardi e problemi - si sta trascinando un po' troppo! Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti, allora. A presto!
Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 24
*** #23. ***


Buon pomeriggio, ma soprattutto BUON ANNO A TUTTI!
Ebbene sì, non sono un miraggio XD sono proprio io e con me porto il nuovo capitolo di questa storia! Prima di lasciarvi alla lettura, volevo davvero ringraziarvi tutti. Nonostante i miei ritardi di pubblicazione - di cui mi scuso, ma gli impegni sono troppi per star dietro a tutto! - sento il vostro sostegno e di questo vi dico grazie!
Detto ciò, mi eclisso :P e buona lettura! Ci sentiamo a fondo pagina :)

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23.

« Più volte muoiono i vili prima di morir veramente,
il forte la morte conosce una sola volta.
Di tutti i prodigi che ho udito raccontare il più strano mi sembra
che gli uomini abbiano paura dato che la morte,
necessaria fine, verrà quando verrà. »
William Shakespeare, Giulio Cesare, atto II, scena 2.
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Quando arrivammo dinanzi all’aula di Biologia, Mr. Dywer ci fece cenno di entrare. Era lì che avremmo compiuto il salto, a quanto sembrava.
Non avevo mai visto la scuola così vuota e silenziosa… Quell’atmosfera era davvero lugubre; la mia sensazione, inoltre, non mi aveva abbandonata un attimo. A dire la verità, essa cresceva ogni secondo di più in cui il cronografo veniva montato e adagiato sulla cattedra. Se fossi dovuta andare al patibolo, molto probabilmente, sarei stata più serena.
<< Questa stanza è un collegamento diretto allo studio del signor Gordon. >> spiegò Mr. Saltzman << Durante la soirée, infatti, è vietato accedere alle stanze della casa. Ricordatevi, dunque, dove sarà ubicata e cercate di non sparire chissà dove. L’istituto è stato rivisitato, dopo l’incendio che ne distrusse la proprietà, perciò è possibile che alcune stanze non esistano più, oggi. >>
<< Va bene. >> rispondemmo in coro, io ed Edward.
Voltai il viso verso di lui, a destra, e lo vidi sorridermi sprezzante. Di tutta risposta, alzai il mento e gli voltai la faccia. Non riuscivo proprio a capire il suo comportamento! Un malato di mente, molto probabilmente, sarebbe stato meno bipolare.
<< Ancora qualche minuto e il cronografo sarà pronto a partire. >> ci informò Mr. Dywer, col solito tono paterno.
Non riuscivo a stare ferma un minuto, nonostante l’ingombrante abito celeste riducesse di molto i miei movimenti. Se solitamente ero goffa, in quel preciso momento, ero goffa al cubo.
<< E tu chi sei? >> sentii domandare al piccolo Jake.
<< Chi sono, io? >> rispose il suo austero interlocutore << Ragazzino, siete in casa mia. Come osate voi porre domande a me? >>
<< Ma come parla questo? >> chiese Jake, rivolgendosi a me.
Non potei fare a meno di ridere. La sua innocenza mi disarmava. Jacob Black, quell’adorabile bambino a cui era stata strappata la vita troppo presto, mi guardava goffamente; gli occhioni neri spalancati, il nasino arricciato, le labbra semiaperte per lasciare al dito indice la possibilità di toccarsi i denti.
<< È un po’ vecchio, Jake. >> sussurrai tra le risate, sperando che nessuno mi sentisse.
<< Isabella, ma sta bene? >> chiese sbigottito il dottor Black.
<< No, dottor Black, Isabella è un po’… >> rispose Edward, portando il dito verso le tempie, facendo poi movimenti circolari << Mi ha capito, no? >>
Alzai un sopracciglio, smettendo di ridere. Mi aveva dato dalla pazza?
Con un’eleganza degna di una dama posata, mi avvicinai al lui, gli sorrisi e, con un colpo netto, gli pestai il piede sinistro. Edward, attirando su di sé gli occhi di tutti, cominciò a saltellare per la stanza, urlando come uno squilibrato.
<< Edward, Dio mio, si dia un tono! >> lo rimproverò Mr. Saltzman, scuotendo la testa.
<< Come? Cosa? >>
<< Ha ragione, Edward, datti un tono. >> lo sbeffeggiai << Sembri un tacchino. >>
<< Per tutti gli Dei, Miss! >> urlò James, facendomi sobbalzare << Quando vi ho vista vestita così ho pensato che foste graziosa, veramente una visione splendida. Stavo dubitando perfino di voi, sapete? Ma ora, sentendovi parlare, siete proprio Miss Isabella! >> drizzò le spalle e si voltò, uscendo in corridoio << Che pessima educazione. Pessima, pessima! >> non lo vedevo, ma immaginavo che stesse scuotendo il capo.
<< È proprio antipatico! >> disse deciso Jake, facendogli la linguaccia.
<< Ragazzi, siamo pronti. >> affermò Mr. Dywer, chiedendoci di avvicinarci al cronografo.
Come da routine, io ed Edward, ci avvicinammo a quella macchina tanto potente quanto misteriosa. Il mio compagno di viaggio, inserì il dito indice all’interno della piccola fessura ellittica e, nel giro di pochi secondi, una luce abbagliante bianca inondò l’intera aula. Quando il bagliore si spense, e potemmo riaprire gli occhi, il ragazzo non c’era più.
<< Prodigioso. >> sussurrò Mr. Saltzman, come ipnotizzato da quella magia.
<< Isabella, tocca a lei. >> mi ricordò Mr. Dywer, allungando la sua mano verso di me.
L’afferrai, replicando i gesti che aveva fatto Edward, qualche istante prima. Quando gli ingranaggi del cronografo si misero in moto e la luce del rubino riempì completamente la stanza, percepii il famigliare fastidio allo stomaco. Dopodiché, una forza mi portò via il pavimento da sotto i piedi e scomparsi anche io.
<< Attenta a dove metti i piedi, Gwenny. >> sussurrò Edward, essendogli finita quasi completamente in braccio.
Lo scansai con forza, sentendo il mio cuore battere all’impazzata.
<< E sentiamo, chi ti ha detto di impalarti proprio dove sarei atterrata io, Gideon? >>
<< Atterrata? >> chiese con un barlume divertito negli occhi << In effetti, quell’abito ricorda un po’ un paracadute per quanto è gonfio. >>
<< Ma come osi? >> domandai stizzita.
<< Ora basta con queste sciocchezze. >> parlò serio, forse troppo << Ricordati: mento alto, portamento e modi. Si va in scena! Sei pronta? >> chiese infine, porgendomi il braccio.
<< Quando vuoi. >> risposi risoluta, cercando di mettere in atto tutti gli insegnamenti di Mr. Salvatore, e afferrai il suo braccio.
Gideon de Villiers e la sua consorte, Gwendolyn – da poche settimane, Gwendolyn de Villiers, sua moglie – erano pronti ad entrare in scena.
Solo quando le porte del grande salone si aprirono per accoglierci, mi resi conto di cosa fosse realmente una soirée.
<< Accidenti. >> sussurrai, a corto di fiato.
<< Io eliminerei questo vocabolo dal tuo parlato per le prossime tre ore e cinquantotto minuti. >> ribatté Edward, fingendo un sorriso.
<< Sei sicuro di essere inglese? Perché mi sembri più svizzero. >>
<< Adesso piantala, Isabella. >> quasi ringhiò, digrignando i denti.
Sbuffai, di tutta risposta, ma preferii troncare subito quella discussione. Gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di noi; ci stavano aspettando.
La mia attenzione, però – nonostante l’agitazione, in quanto avevo sempre odiato essere al centro dell’attenzione –, si concentrò sul salone: era regale. Ancorati al soffitto, c’erano tre lampadari in cristallo; uno era grande, al centro esatto, gli altri due più piccoli e decentrati di parecchio. L’atmosfera, resa sobria ed elegante dalle piccole candele e dai vasi pieni di fiori bianchi che circondavano la stanza, era magica; in fondo, poi, l’orchestra suonava musica lenta.
<< Chiudi la bocca. >> sussurrò Edward, trascinandomi affinché camminassi << Sembra che tu non sia mai stata ad una soirée in vita tua. >>
<< Beh, in effetti… >>
<< Devi fingere! Non sei Isabella in questo momento, ma la mia novella sposa. Questi tipi di ricevimenti sono il tuo cibo quotidiano, mi hai capito? >> annuii senza emettere un suono. L’inizio non prometteva nulla di buono.
<< Ecco, finalmente, gli ospiti che tutti noi stavamo aspettando con ansia! >> disse un uomo, sorprendendoci alle spalle << Lord e Lady de Villiers. >>
<< Vi porgo i miei saluti, Lord Masen. >> disse Edward, prima ancora di voltarsi.
<< Che udito impeccabile, mi lasciate sempre piacevolmente sorpreso. >>
Non sapevo come muovermi. La maestria e l’eleganza di Edward mi intimorivano. Lui era perfetto in quel mondo: elegante, a modo. Tutto il contrario di me, insomma.
<< Vi faccio i complimenti per la sposa. È una fanciulla davvero deliziosa. >> disse Lord Masen, facendomi il baciamano. Fu in quel momento che notai il veloce occhiolino che lanciò ad Edward << Allora, come sto andando? >> domandò in fine.
<< Direi molto bene, Lord Masen. >>
<< Vi ringrazio, Edw… Gideon. >> si corresse velocemente << Aro mi ha chiesto di vegliare su di voi, finché non farà il suo ingresso. >>
<< Quindi il conte non è ancora arrivato? >> domandai, agendo prima di pensare.
<< No, Milady. Al mio caro amico Aro piacciono le entrate d’effetto. >> rispose, scoppiando in una fragorosa risata.
E non solo le entrate, purtroppo, ma lo pensai solamente, ovviamente.
<< Venite con me. >> ci invitò Lord Masen << Vi presento un po’ di gente. >>
Gran parte della serata la passammo in quel modo. Quasi tutte le persone in sala erano più interessate a noi, i cugini del grande conte di Saint Germain, più che ai padroni di casa o a Lord Masen, il motivo per il quale – agli occhi di tutti, almeno – era stata indetta quella soirée.
<< Non vedo James. >> dissi ad alta voce, maledicendomi mentalmente in tutte le lingue del mondo. Fa’ che nessuno abbia sentito, fa’ che nessuno abbia sentito…
<< James? >> domandò una delle tante Lady che si erano presentate << Parlate di James Gordon-Lennox, il figlio dei proprietari di questa residenza? >>
Mi hanno sentito, accidenti!, pensai infuriata. Possibile che il mio karma facesse così schifo anche nel Settecento?
<< Sì, più o meno, diciamo. >> risposi, sempre se quella poteva definirsi tale.
<< Come? >> chiese la donna, visibilmente confusa.
<< Scusatela! >> si intromise Edward, spingendomi via << Mia moglie non regge molto gli alcoolici. >>
<< Mi stai facendo male e non sono ubriaca! >> mi lamentai, cercando di fargli mollare la presa.
<< Lo so benissimo, sciocca. Ma questa non è di certo l’epoca per “sì, più o meno, diciamo”! Inoltre, come accidenti fai a conoscere questo James? >>
Oh, cavolo!, pensai. E adesso come me ne sarei tirata fuori? Alla loggia, nessuno mi aveva parlato dei padroni di casa. Per lo meno, non in modo così approfondito. In quest’epoca, infatti, la moglie veniva trattata più come un oggetto che il marito sfoggiava con orgoglio. Che io parlassi, quindi, era fuori discussione. Non era contemplato, dunque, che io conoscessi realmente il figlio dei Gordon-Lennox.
<< Isabella! Allora? >> insistette Edward, risvegliandomi dai miei pensieri.
<< Gwendolyn, idiota! >> lo ripresi, guardandomi intorno << E poi sono io quella che non sa comportarsi? E adesso andiamo, ci stanno fissando tutti. Fai un sorriso, porgimi il braccio e andiamo a ballare. >> conclusi, evitando di spiegargli che conoscevo il fantasma di James.
Edward mi guardò accigliato, mentre il mio piccolo orgoglio di donna stappava lo Champagne. Due a zero per me, mio caro!
Lord Masen che, evidentemente, aveva ascoltato tutta la discussione, fece un sorrisetto ad Edward, sussurrandogli poi: << È una fanciulla con carattere, ragazzo. >>
Quando Edward mi trascinò al centro del salone, pensai che fosse impazzito. Io stavo scherzando! Non avevo alcuna intenzione di ballare, men che meno con lui.
<< Non è obbligatorio ballare. >> sussurrai, pietrificandomi sul posto << Non ero seria. In verità, volevo solo chiudere il discorso, lasciandoti di merda, magari. >>
<< Oh, beh… Direi che ci sei riuscita, allora. >> rispose, facendomi il suo dannatissimo – quanto bellissimo – sorrisetto sghembo.
In quell’esatto momento, il mio cuore iniziò a battere veloce; riuscii a percepire, perfino, le farfalle nello stomaco. Perché devi sempre comportarti così, Isabella? Possibile che tu non riesca a non risultare patetica? Stavo cominciando a detestare la mia vocina interiore.
<< Sì, beh, penso che andrò a prendere qualcosa da bere. >> comunicai, cercando di non apparire scossa. Edward, però, aveva altre idee per noi.
<< Aspetta, siamo qui… Perché non approfittarne? >> domandò con voce suadente, al mio orecchio.
<< Perché non so ballare. >> risposi, dicendo la prima cosa che mi passò in mente << Su questo Mr. Salvatore non si sbagliava; faccio pena. >>
<< Devi solo affidarti a me. >>
<< E a tutti gli altri, visto che in questo tipo di valzer c’è lo scambio di coppia. >>
<< Non ci avevo pensato. >> rispose, creando la rughetta sul mento e poco sopra il naso, sulla fronte, suo tipico segno di concentrazione.
<< Lasciamo stare, Gideon. >> dissi seria, voltandogli le spalle.
Quando avvertii la sua mano stringere la mia, mi voltai di scatto. Era da molto tempo che non percepivo la sua pelle, il suo calore, a contatto con la mia.
<< Dovrai ballare, lo sai anche tu. Il conte… >>
<< Il conte, il conte, il conte! Possibile che tu non pensi ad altro? >> domandai di getto, senza pensare << Insomma, ci ordina di presenziare a questa soirée, e lui? Dov’è il tuo conte, Edward? >>
Di primo acchito, Edward rimase perplesso dalla mia reazione. Poi, non sapevo spiegarlo bene, qualcosa nel suo sguardo cambiò; una luce nuova si accesa nei suoi occhi. Forse mi ero sbilanciata troppo; forse gli avevo fatto capire qualcosa.
<< Tu lo sai. >> sussurrò serio, coprendo la distanza tra di noi.
<< Cosa? >> domandai, cercando di sorridere. Come qualche minuto prima, tutti gli occhi dei presenti erano puntati su di noi.
<< Come hai fatto a scoprirlo? Era impossibile che tu… Aspetta, lo sai da prima del nostro bacio o dopo? Lo sapevi quando hai detto di amarmi? >>
<< Non so di cosa tu stia parlando, dico davvero. >> potevo immaginarlo, però.
<< Non è il luogo più consono per parlarne. Vieni con me, dobbiamo chiarire questa faccenda. >>
<< Quale faccenda? Edw… >>
<< Sorridi, non dobbiamo dare nell’occhio, specialmente a Lord Masen. >>
<< Non possiamo allontanarci da qui. >> risposi, scoppiando in una risata mesta << Mr. Saltzman è stato molto chiaro. Inoltre, cosa penserebbe il conte arrivando e non trovando i suoi due pupilli? >> Edward sorrise, accarezzandomi amorevolmente la guancia.
<< Penserò a qualcosa, ma devo capire se ciò che penso è reale. >>
<< Sai… >> iniziai, portando la mano sulla sua, che era sul mio viso << Io per settimane ho cercato di capire determinate cose. Purtroppo, da parte tua, non c’è mai stato volere di spiegarmele. >>
<< Bella… >> rispose, sorridendo prima di poggiare le sue labbra sulla mia fronte << Non fare la bambina capricciosa. Seguimi e basta! >>
Alzai un sopracciglio, pronta a controbattere con classe, ma in quel momento la porta del grande salone si aprì.
Il conte di Saint Germain, accompagnato da una ragazzina minuta, fasciata da un abito rosso cremisi, entrò in tutta la sua magnificenza. Tutta la sala cominciò a bisbigliare; era arrivato l’ospite più atteso e temuto.
<< Ne riparleremo. >> sussurrò Edward, afferrandomi il braccio in modo brusco. Tutta la dolcezza e la compostezza di poco prima dov’erano finite?
<< Conte, che onore averla in casa mia! >> quasi strillò il padrone di casa, affinché tutti lo sentissero.
<< Mio caro Aro, finalmente sei arrivato. >> scherzò Lord Masen.
<< Com’è affascinante… >> sussurrò qualcuno.
<< Ha un’aura inquietate. >> controbatté qualcun altro.
Più Edward avanzava verso di lui, più sentivo tornare su il pranzo. Il conte di Saint Germain era davvero un uomo inquietante.
Non pensare, Bella. Non pensare, non pensare…, continuavo a ripetere quel mantra, sperando servisse a qualcosa.
<< Ecco qui i miei ragazzi preferiti! >> urlò il conte, quando gli fummo davanti << Mi hanno comunicato la lieta notizia. Congratulazioni, giovanotto. >>
<< Vi ringrazio, conte. >>
<< Salve, Lord de Villiers. È un piacere rivedervi. >> sussurrò la ragazzina.
<< Il piacere è mio, Lady Jane. >>
Lady Jane… Quel nome rievocò un ricordo, di qualche tempo prima.
<< Lady Jane è la figlia di un vecchio amico. È stata molto malata ed è ancora in vita per un semplice miracolo… Non esce molto e non ha molte conoscenze, così quando Edward viene a trovarmi, lo mando da lei. Lo ritiene un giovane molto attraente. >>
L’amica del conte, ma certo! La ragazza che Edward conosceva bene – fin troppo bene.
<< Non stiamo qui in piedi, ragazzi. >> disse il conte, risvegliandomi da quel fastidioso pensiero << Venite, vi scorto alla mia postazione privata. >>
<< Non vi andrebbe di scortare una vecchia amica? >> parlò l’ochetta bionda, rivolgendosi ad Edward, ammiccandogli vergognosamente.
<< Non vi è alcun problema. >> rispose il conte, porgendomi il braccio << Gideon, accompagnate Lady Jane, penserò io alla vostro bellissima sposa. >>
Maledetti! Maledetti tutti e tre! Avrei voluto dare un calcio alle parti basse di Edward, prendere a schiaffi il conte ma, soprattutto, strappare uno per uno i capelli biondi, nascosti in modo mediocre, dalla parrucca di quella piccola stronza!
<< Come vi va la vita, Lady de Villiers? >>
<< Bene! >> risposi troppo rapidamente << Ehm, molto bene. Vi ringrazio dell’interessamento, conte. >> di tutta risposta, il conte scoppiò a ridere.
Dopo circa un’ora, mi sentivo un po’ sbronza. Non riuscivo a capire bene cosa il conte mi stesse versando nel bicchiere, ma qualunque cosa fosse non era di certo analcolica. Edward, nel frattempo, se ne stava sulla pista da ballo – sempre se così si poteva chiamare in questo periodo – a cambiare ragazza ad ogni minima giravolta. E come se la rideva, lo stronzo!
<< È gelosia quella che vedo nei vostri occhi, Isabella? >> domandò il conte, che sedeva alla mia destra.
<< Come? No, certo che no! >> affermai sicura, certa di star mentendo anche a me stessa.
<< Eppure dai vostri occhi vedo sprigionarsi le fiamme dell’inferno, mia cara. Possibile che proviate qualcosa per il giovane Edward? >>
<< Non credete che sia un po’ inopportuno usare i nostri veri nome, conte? >> domandai, cercando di cambiare argomento << Qualcuno potrebbe sentirci. >>
<< Non vi preoccupate, Isabella. Ho sempre delle postazioni speciali e ben riservate… Inoltre, nessuno osa sfidare me o le mie guardie; nessuno osa provare ad origliare i miei discorsi. Può stare tranquilla, Isabella, ma ora torniamo a noi. Prova, forse, ancora qualcosa per il giovane Cullen? >>
<< Non provo nulla per Edward. >> affermai, guardandolo ridere assieme ad una ragazza dai capelli rossi << Gradirei non parlarne, comunque. Non mi è mai piaciuto parlare del mio privato. >>
<< Oh, certo, certo! Vi porgo le mie scuse, Milady. >>
Non risposi, troppo concentrata a fulminare quel viscido di Edward con gli occhi. Io ero qui, con un uomo che voleva farmi fuori – letteralmente – e lui era lì, circondato dalle ragazze più belle e affascinanti presenti a quella maledetta soirée. Edward non era davvero mio marito, ma agli occhi di tutti lo era eccome! Non sapevo come veniva considerato il matrimonio, in questo periodo, ma cominciavo a sentirmi davvero presa in giro; umiliata, soprattutto. Lui era il mio sposo e ballava con decine di donne diverse? La rabbia stava cominciando a farmi vedere nero.
<< Isabella, mi avete sentito? >> domandò il conte; mi costrinsi a voltarmi << Come vanno le ricerche dei due traditori? Edward è finalmente riuscito a mettere le mani su qualche goccia del loro sangue? >>
<< Non posso rispondervi, conte. Purtroppo alla loggia non si fidavo di me, perciò non mi viene mai detto nulla di questo tipo di faccende. >>
<< Capisco. >> rispose, poi lo sentii parlottare con Lord Masen.
Tornai a guardare il centro della sala. Questa volta, Edward, non stava ballando; era accanto al banco delle bevande e ne offriva una ad una ragazza dal prestigioso abito verde pastello. Questo è troppo!, urlai mentalmente.
<< Con permesso. >> sussurrai, alzandomi, decisa ad uscire da quella sala.
Fortunatamente, nessuno mi impedì il passaggio.
Arrivata alla grande porta centrale, andai a sbattere contro qualcuno.
<< State più attenta! >>
<< Chiedo scusa, non vi avevo proprio… >> le parole, però, mi si gelarono in gola << Oddio, James! >> urlai per la gioia, cominciando a tastargli petto e braccia << Cavolo, sei vero! Posso toccarti! >>
<< Milady, Milady! Ma cosa fate? >> urlò, col suo solito accento e la sua solita aria arrogante << Non vi conosco e non comprendo perché vi stiate prendendo queste libertà! >> si ripulì con un fazzolettino di seta bianca e mi superò, sparendo tra la folla.
<< Per la miseria, è identico al James fantasma. >> sussurrai, scuotendo il capo.
Quando notai due occhi verdi intenti a fissarmi, spalancai la porta e uscii di fretta. Avevo bisogno d’aria e di un po’ di spazio. Mancava solo un’ora… Un’ora e tutto questo sarebbe finito, finalmente.
Iniziai a camminare avanti e indietro: i soffitti erano alti, i corridoio lunghi. C’erano molte vetrate, che facevano entrare il riflesso della luna. Dovevo essermi allontanata parecchio dalla sala centrale, perché udivo la musica del valzer solo come un sussurro; come una debole melodia in lontananza.
<< Finalmente ti ho trovata! >> strillò Edward, sbucandomi alle spalle.
<< Dio mio, mi hai fatto prendere un colpo! Sei pazzo? >>
<< Cosa stai facendo? >> domandò, ignorando la mia di domanda.
<< Io? >> tutta la rabbia provata fino a quel momento sentì il bisogno di uscire << Razza di idiota, siamo qui per una cosa importante! E tu stai corteggiando tutto il plotone di belle donne che c’è là dentro! >> risposi urlando. Di tutta risposta, Edward alzò un sopracciglio.
<< Sei forse gelosa? >> domandò lui, con malizia.
<< Ma sei completamente impazzito? Se lasciassi a casa il tuo ego, ogni tanto, sarebbe meglio, non credi? >>
<< Oh, sì. Tu sei supergelosa. >> affermò sicuro, scoppiando a ridere.
<< E piantala… >> replicai, sbuffando.
Non riuscivo a capire il perché, ma quella conversazione mi sembrava al quanto famigliare, come se l’avessi già vissuta. A disagio, soprattutto dal silenzio che era sceso, cominciai a guardarmi intorno. Non mi ero nemmeno accorta di essermi imbucata in una stanza aperta… Alle finestre c’erano tende pesanti e… Oh, santissimi numi!, pensai, ricordando quel giorno.
Dietro alla tenda, in quella stanza, c’era una ragazza spaventata, terrorizzata dal suo terzo salto incontrollato nel tempo. Dietro alla tenda c’ero io.
Fu in quel momento che sprofondai nei suoi occhi scuri – che altri non erano che i miei occhi scuri. Mi fissò a lungo, con sguardo sconvolto, esattamente come il mio. Per sbaglio, la Bella del mio passato, si mosse, facendo rumore.
<< Che succede? >> domandò Edward, cominciando a voltarsi nel punto esatto in cui stavo guardando io.
Sapevo cosa sarebbe successe di lì a poco, ma non avevo altra scelta. Le cose dovevano seguire il loro ordine ed io dovevo impedire ad Edward di vedere la me stessa del passato, esattamente come avevo visto fare alla me stessa del futuro. Tutta questa storia mi farà venire il mal di testa!, pensai.
Senza preavviso, mi avventai su di lui. Gli bloccai il viso con le mani e posai le mie labbra sulle sue. Dapprima restò immobile, poi le sue braccia si rilassarono e cinsero la mia vita con forza e disperazione. Avevo la sensazione che, dall’ultimo bacio scambiatoci, stesse aspetto che il momento di ricreasse.
Edward era passionale, veemente; mi stava baciando con un’intensità che non aveva mai usato prima. Riuscivo a sentire le sue mani sulla mia vita e sulla schiena, adesso; salivano e scendevano lasciando una marea di brividi sulla mia pelle – nonostante la stoffa troppo spessa e pesante. Le nostre labbra erano un puzzle. Perfette, le une sulle altre. Il suo respiro caldo e affannoso si mescolava con il mio che, troppo fastidiosamente, implorava ossigeno.
<< Edw… Edward… >> gemetti, cercando di allontanarlo. Lui non mi ascoltò, però.
Spostò le labbra sul collo, affinché io riuscissi a respirare. Chiusi gli occhi, beandomi di quel contatto che, in modo fin troppo illecito, scendeva sul mio decolté, facendomi eccitare in modo indecente. Le mie dita erano finite tra i suoi capelli che, non sapevo come e quando, si erano liberati della fastidiosissima parrucca bianca.
<< Oh, mio… Oddio… >> sussurrai, ansante. Dovetti sfregare le gambe tra loro, poiché la situazione mi stava sfuggendo di mano.
<< Bella… >> sussurrò Edward, con voce roca << Dobbiamo parlare… >>
<< Dici? >> domandai, facendolo sorridere.
<< Direi proprio di sì. >> rispose più serio, intrecciando il mio sguardo al suo.
Anche con i capelli disfatti, le labbra arrossate e i gli occhi più lucidi – ed eccitati – del normale era indefinitamente bello.
<< Mi hai assalita! >> dissi, spingendolo via.
<< Come, scusa? Sei stata tu a baciare me, Bella. >>
<< Perché eri bello sotto il chiarore della luna… Sì, ma non è questo il punto! Io ti avrò anche baciato, ma tu ti sei spalmato addosso. >>
<< Oh, non mi sembra che ti sia dispiaciuta, la situazione… >> aprii la bocca per ribattere, ma non potei farlo. D'altronde, aveva perfettamente ragione.
Un applauso fin troppo acuto, si alzò alle spalle di Edward. Non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi completamente che un coltello, piuttosto piccolo e affilato, quasi gli squarciò il torace. Urlai, spaventata, e feci qualche passo indietro, sbattendo contro un tavolino di legno lucido.
<< E voi chi accidenti siete? >> urlò Edward che, con uno scatto veloce, schivò il colpo rotolando davanti a me, sul pavimento.
<< Non vi è dato saperlo, abominio! >> rispose l’uomo, vestito completamente di nero << Voi siete amici del conte, perciò siete marci come lui! >> urlò furente, cercando di colpire nuovamente il mio compagno.
<< Se non vuoi morire, bello, ti conviene voltare i tacchi e andartene! >> ribatté Edward, lasciando il linguaggio del Settecento nel Settecento, appunto.
<< Come osate, voi, rivolgervi a me in questo modo? >> strillò; sembrava totalmente pazzo.
Edward afferrò la mia mano, trascinandomi verso la porta.
<< Vattene da qui! >>
<< Non ti lascio da solo! >> risposi, spingendolo da una parte mentre la lama tagliente squarciò l’aria tra di noi.
<< Uccido prima la ragazzina o il moccioso? >>
<< Tu non uccidi proprio nessuno! >> rispose Edward, avventandosi contro l’uomo.
<< Edward! >> urlai terrorizzata.
<< Bella, va’ via! Tra dieci minuti abbiamo il salto, corri nella stanza dov’è situato il cronografo! >>
<< Non me ne vado senza di te! >>
<< Devi, Bella! >> urlò, spingendo via l’uomo con un calcio nello stomaco << Posso tenerlo a bada per dieci minuti, non mi accadrà niente. >>
<< Non ti stanchi mai di dare ordini, vero? >>
<< E tu non ti stanchi mai di non fare quello che ti dico! >>
<< Cosa succede qui? >> domandò il conte, entrando nella stanza, scortato da Lord Masen << E voi chi siete, maledetto? >> domandò all’uomo in nero che, alzatosi da terra, colpì Lord Masen che, per difendere il suo amico, si era frapposto tra egli e il pugnale.
<< Amico mio! >>
<< Brutto bastardo! >> sibilò Edward, colpendolo alle spalle.
La colluttazione non portò a nulla di buono. L’uomo, totalmente fuori di testa, colpì Edward in piena di faccia, con il gomito sinistro; quest’ultimò barcollò all’indietro, cadendo a terra. Non vidi nemmeno l’individuo che, inaspettatamente, si era piazzato davanti a me con un ghigno in faccia. La sua carnagione era scura, gli occhi erano due pozze nera; non vi era anima in quel corpo, nemmeno clemenza o coscienza. Era vuoto.
<< Seguirai il tuo compagno a breve. >>
<< No! >> urlò il conte, ancora chinato a piangere Lord Masen.
<< Non la toccherai! >> strillò Edward che, pieno di sangue in volto, cercò di rimettersi in piedi.
Quando cercò di accoltellarmi, feci un salto indietro, schivando il colpo per un soffio. Non avevo niente a portata di mano per difendermi; ero spacciata.
<< La morte viene a prenderti. >> disse senza emozione nella voce, avventandosi su di me. Cercai di schivarlo, nuovamente, ma non riuscii ad andare molto lontano; mi aveva intrappolata contro un muro.
<< Vi prego… >> implorai << Non fatelo… >> la paura mi aveva immobilizzata. Avrei voluto possedere qualsiasi cosa: un coltello, un fioretto, una pistola.
Quando tentai di colpirlo a mani libere, quasi mi ruppe un polso, strisciando la lama sul mio collo. Era gelida. Esattamente come avevo sempre immaginato la morte: buia e gelida.
<< Mors tua, vita mea. >> sussurrò, prima di accoltellarmi.
Successo tutto in fretta; troppo in fretta perché ne capissi esattamente la dinamica: Edward si trovava dietro allo sconosciuto e lo stava trafiggendo con il pugnale del conte. Vidi i suoi occhi inferociti, mentre quelli del sicario, man mano, perdevano vita.
Quando caddero a terra, restai i piedi, ferma, per diversi minuti. Qualcosa era andando storto, lo sentivo.
<< Edward… >> sussurrai, non riuscendo più a stare in piedi.
<< È tutto apposto, è… >> quando lo vidi spalancare gli occhi, la mia paura si tramutò in realtà << Oh, santo cielo. >> pronunciò quelle parole a stento.
Non sentivo più le gambe; il coltello – conficcato esattamente all’altezza del cuore – faceva troppo male. Caddi tra le braccia di Edward che, con un colpo deciso, estrasse l’oggetto, facendomi urlare di dolore.
<< Non morire… Ti prego, ti prego, non morire… >>
Non riuscivo a sentire né vedere niente. Il viso di Edward era sfocato e lontano, così come la sua voce. Non capivo dove mi trovassi né, soprattutto, dove si trovasse il mio corpo; non lo sentivo più.
<< Ho… Ho freddo. >>
<< Bella! Ti prego, Bella… >>
Non avevo mai visto Edward piangere. Eppure, lui ora stava piangendo. Per me.
Riuscivo a sentire la vita scivolare via, lontano da me. L’oscurità era troppo profonda per risalire…
<< Isabella, no! Ti prego, no! Io ti amo davvero. Mi senti? Sono innamorato di te, Isabella. Ti prego, non lasciarmi. >>
Ma dal fondo non riemersi.
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N.B.: I nomi fittizi che usano Edward e Bella, ovvero Gideon e Gwendolyn, sono i nomi dei personaggi della trilogia originale, scritta da Kerstin Gier.

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Eccomi di nuovo qui! Giù i forconi -.-' Bella è morta, va bene, ma la storia non è finita... Non so cosa dire su questo capitolo, anche perché non posso parlare troppo o rischierei di anticiparvi quello nuovo. Rileggendolo a me sembra anche abbastanza chiaro XD ma se avete delle domande, dite pure!
Passando alle cose più noise, vi inoformo che la storia sta davvero giungendo al termine. MANCANO SOLO DUE CAPITOLI, prima dell'epilogo; dopodiché, la storia, troverà scritto la parola "fine". Avverto già da ora che non ci saranno sequel o capitolo extra... Questa storia, come già detto fino alla nausea, è il riadattamento di una trilogia già esistenza, scritta dalla bravissima Kerstin Gier. Proprio per questo, avengo già inglobato tre libri in un racconto solo, direi che essa - con i riadattamenti, cambiamenti, ect - può benissimo chiudersi così. Gli extra non credo li farò utilizzando Edward e Bella, in caso; piuttosto utilizzerò Gideon e Gwenny, ma è solo un'idea campata in aria, per adesso.
Cos'altro dirvi? Spero cha il capitolo vi sia piaciuto! E spero vivamente di non metterci troppo a scrivere i prossimi... A presto! E grazie ancora del sostegno che mi date seguendo la mia storia :)
Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 25
*** #24. ***


Buona sera a tutti! No, non sono un miraggio, sono puntuale, lo so! In questi giorni - nonostante i grossi impegni - ho avuto davvero molta voglia di scrivere, cosa che non mi accadeva da un pezzo! In pochi giorni, quindi, sono riuscita a buttar giù il capitolo e non prolungare la vostra agonia - specialmente per il finale di capitolo.
Prima di lasciarvi alla lettura, comunque, volevo avvisare che non mi sono dimenticata di rispondere alle recensioni XD solo che ieri l'adsl ha fatto i capricci, quindi entro sera vi rispondo, tranquilli! Ma bando alle ciance, adesso, vi lascio al capitolo e BUONA LETTURA! Spero di non deludere le vostre aspettative :)
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24.

« L'amore non conosce ostacoli;
né porta né serratura, a passare sempre riuscirà.
L'amore non ha principio,
batte le ali per sua natura, e per sempre le batterà. »
Matthias Claudius.

Ero morta.
Percepivo la verità del mio pensiero come se fosse assoluta, reale. Irreversibile.
Riuscivo a vedere il mio corpo, steso sul pavimento, tra le braccia di un Edward in lacrime.
Edward…, pensai tristemente. Possibile che avessi sentito realmente quelle parole? Lui mi amava, aveva detto. Oppure avevo sentito solo ciò che volevo sentire, a pochi istanti dalla mia morte?
Mi sentivo leggera, come se non ci fosse più niente a gravarmi addosso. I miei problemi, il mio essere, i miei sentimenti, la mia sofferenza… Tutto quel fardello era improvvisamente sparito, lasciando nel cuore solo una grande pace.
Ti prego, non lasciarmi.
Quella supplica mi rimbombò nel mio cervello. Come avrei fatto senza di lui, adesso? Come potevo morire quando, finalmente, avevo qualcosa per continuare a vivere? Qualcosa che avrebbe cambiato in meglio la mia vita.
<< Edward… >> sussurrai, senza rinoscere la mia voce.
Era diversa. Più che una voce, assomigliava ad un canto angelico. Non potevo morire. Non volevo morire. Ma quale altra scelta avevo?
L’uomo mi aveva colpita al centro esatto del cuore. Era un miracolo che, addirittura, fossi riuscita a sentire Edward piangere per me; dichiararmi il suo amore.
Più il tempo passava, più vedevo i corpi sotto di me farsi piccoli e scuri. Che stessi trapassando? Funzionava così, la morte? Restavi per qualche istante a vedere il tuo corpo senza vita su un pavimento pieno di sangue, mentre le persone che ami piangono la tua morte, per poi scomparire, lentamente, lasciando il mondo che conoscevi da sempre, per… per sempre?
Quando il buio mi oscurò la vista e non percepii più niente intorno a me, capii che era davvero tutto finito. Era finito per sempre.

<< Che cos’è successo? >>
<< Oh, santo cielo! >>
<< L’hanno uccisa… >>
<< Edward, per l’amor di Dio, riprenditi! >>
<< Ci hanno attaccati alle spalle e non ho fatto in tempo! >>
Voci su voci. E ancora… Solo ed esclusivamente voci. Non percepivo altro intorno a me.
<< È sotto shock. >> disse qualcuno che, se non avevo capito male, doveva essere Mr. Saltzman. Era il più tranquillo, per nulla agitato.
<< Edward, spostati! >> urlò il dottor Black – o almeno, mi sembrava.
<< È ghiacciata. >> sussurrò Edward al mio orecchio << Devo… Devo riscaldarla, sì. >>
<< Avvertite Carlisle, fatelo venire qui subito. >> parlò perentorio, Mr. Saltzman.
Non riuscivo a capire cosa stesse accadendo; non riuscivo a vedere nulla. Avvertivo spostamenti, panico, agitazione… E tutte quelle voci stavano diventando fastidiose e assordanti. Come fantasma o entità, o qualunque cosa fossi diventata, non avrei dovuto assistere a tutto dall’alto? Come se fossi all’Opera a guardare uno spettacolo?
Evidentemente no…, mi risposi da sola.
<< Giuseppe, prenda il ragazzo e lo medichi! Mr. Dywer, mi aiuti a spostarlo in modo che il dottor Black si occupi di Isabella. >>
Fu in quel momento che qualcosa cambiò. Ero morta… E allora perché avevo percepito fortemente le braccia di Edward che, senza non poca lotta, abbandonavano il mio corpo dolorante?
Dolore?, mi chiesi mentalmente. Da quando uno spirito prova dolore?
<< Alzatele i piedi, è svenuta. >> ordinò il dottor Black << La ferita deve averla spaventata più del dovuto, ma è superficiale. Fate spazio, santo cielo! >>
Svenuta? Ferita superficiale?
<< Si sta riprendendo… >> sussurrò Mr. Saltzman << Isabella? Mi sente? >>
<< C…cosa? >> riuscii a sentire la mia voce. Era ovattata, incrinata, ma era la mia.
<< Faccia respiri profondi. >> mi disse il dottor Black << Le devo aprire il corsetto… Con permesso, figliola. >> non obiettati, anche se quella situazione era piuttosto imbarazzante.
<< Bella, ho avuto tanta paura! >> disse la voce di Jake << Quando occhioni verdi ti ha portata in braccio eri bianchissima! Sembravi un lenzuolo! Bella, mi senti? Bella, apri gli occhi! >> e lo feci.
Mi trovavo sul pavimento dell’aula di Biologia. Tre volti erano piegati sopra di me: quello di Jake che, vedendomi sveglia, sorrideva; quello del dottor Black, che analizzava accuratamente la ferita al mio petto; quello di Mr. Saltzman, infine, rigido e serio, ai miei piedi.
<< Cosa… Che cos’è successo? >> domandai, cercando di alzarmi.
Pessima mossa, Bella! Pessima.
Tutta l’aula cominciò a vorticare in modo pazzesco. Vedevo tre cattedre, quattro lavagne…
<< Isabella, stia giù. >> mi incitò – anche se sembrava più un ordine – Mr. Saltzman.
<< Come sta, cara? Edward ci ha fatto invecchiare di dieci anni! >> disse Mr. Dywer, avvicinandosi a me << L’ha portata qui dal giardino in uno stato pietoso e continuava a dire che era morta! Sarò sincero, mi sono spaventato oltre mondo! Sua madre non mi avrebbe fatto arrivare alla pensione, lo sa? >> concluse sorridendo, per alleggerire l’atmosfera.
<< Sono felice di star bene, allora, Mr. Dywer. >> dissi flebilmente, cercando Edward con gli occhi.
Quando lo vidi mi resi conto che mi stava fissando, scioccato. Gli occhi verdi erano più grandi del normale – assomigliava ad un manga giapponese. La sua espressione, poi, sembrava chiedere: “Come puoi essere viva? Ti ho visto morire!”.
Anche io mi ero vista morire. O, meglio ancora, avevo provato sulla mia stessa pelle cosa significasse morire. L’anima che abbandona il corpo, il trapasso, il cuore che, lentamente, si fermava. E allora perché sono ancora qui?
<< Dottor Black, se la situazione di Miss Swan si è stabilizzata, il ragazzo avrebbe bisogno di punti. >> intervenne Mr. Salvatore, interrompendo il nostro contatto visivo.
<< Certo, arrivo. >> rispose il dottore, chiudendo la sua borsa dopo avermi applicato una benda impregnata di qualcosa << La sua ferita era solo superficiale, Isabella, non ha bisogno nemmeno di punti. >> mi sorrise, lasciandomi sconvolta, e andò da Edward.
<< È stata molto fortunata, Isabella. >> commentò Mr. Saltzman, fissandomi ancora seriamente. Mi stava mettendo a disagio.
<< Già… >> sussurrai, coprendomi il seno con i brandelli del vestito.
<< Quello non mi piace per niente. >> commentò Jake, sedendosi accanto a me.
<< Che significa? Perché non ti piace? >> domandai, una volta che il mio insegnante di Storia si fu allontanato.
<< Non lo so… Da quando sono morto non ho bisogno di mangiare o dormire, quindi seguo mio papà dappertutto! A volte guardo quello che fanno gli altri, tanto per non annoiarmi. Inoltre… Ti confido un segreto, ma non dirlo a papà: io ho purissima degli aghi! >> sorrisi, avendo la necessità di spupazzare un po’ quel dolce bambino.
Non potevo, però.
<< E mentre guardi quello che fanno gli altri, cosa vedi? >>
<< Boh! Però quel tipo non mi piace. Sembra uscito da uno di quei telefilm gialli che guarda sempre papà. >>
Cominciai a fare come Jake, allora. Studiai i movimenti di Mr. Saltzman, che si trovava di fronte ad Edward, al momento. Non notai nulla di strano, però. Certo, Alaric Saltzman non era di certo il classico professore di Storia – lo avevo detto e pensato un miliardo di volte –, ma dire o pensare che addirittura nascondesse qualcosa, era troppo. Oppure no?
<< Edward! >> urlò Carlisle, entrando come un fulmine nell’aula << Figlio mio, che ti è successo? >>
<< Ci hanno attaccati alla soirée. Non so altro, papà. >> rispose, con voce atona.
Era sconvolto, potevo capirlo benissimo.
<< In quanti erano? Chi erano? >> insistette Carlisle, tastando Edward – forse per assicurarsi che suo figlio fosse tutto intero.
<< Uno. >> risposi io, notando la poca partecipazione di Edward << Era solo uno, ma sapeva il fatto suo. Era vestito completamente di nero, ho potuto vedere solo gli occhi prima che mi… che mi pugnalasse. >>
<< Ti ha pugnalata?! >> domandò Carlisle scioccato, sgranando anch’egli gli occhi.
<< Sì, ma superficialmente. >> risposi senza pensarci troppo << Tutto quel sangue e l’adrenalina, l’agitazione… Ho perso i sensi per lo spavento e… e Edward mi ha portata fin qui in braccio, da quello che ho capito. Ho idee abbastanza confuse al momento. >>
<< È entrato urlando alla morta! >> disse Mr. Salvatore, scoppiando a ridere << Ammetto che quando li ho visti arrivare avevo pensato anche io ad Isabella come un cadavere, ma quando il dottor Black l’ha visitata, ha constatato che respirava. >> concluse, scuotendo il capo << Povero ragazzo, deve essersi spaventato moltissimo per arrivare ad ostentare una diceria simile. >>
<< Io non sono pazzo, Mr. Salvatore! >> urlò Edward, scattando ferocemente in piedi << Ho visto quello che ho visto! Di certo non mi metterei mai a scherzare su una cosa del genere, non crede?! >>
<< Edward, nessuno pensa che tu sia pazzo. >> disse Carlisle, appoggiandogli una mano sulla spalla << La situazione deve averti spaventato, è normale. >>
Prima di rispondere, Edward, mi guardò intensamente. Era come se volesse accertarsi, per l’ennesima volta, che fossi realmente viva.
<< Sì, sì… Sarà come dici tu, papà. >> disse infine, accomodandosi nuovamente sulla sedia.
<< Forse è meglio farli tornare a casa, non credete? >> domandò Mr. Dywer.
<< Mi trovi d’accordo, Phil. >> rispose Carlisle, seguito da un assenso silenzioso di Mr. Saltzman.
<< Edward può tornare a casa con te, Carlisle. Per quanto riguarda Isabella, credo sia meglio che la riaccompagnino a casa Phil e Billy, in caso Renée e Charlie vogliano qualche delucidazione. >>
<< Concordo con te, Alaric. >> assentò Carlisle; dopodiché, ognuno si diresse alla propria automobile.
Non vedevo l’ora di tornarmene a casa. Volevo dormire un po’, capire cosa realmente fosse accaduto. Dovevo chiamare Angela e dire ai miei genitori che li amavo, abbracciare la prozia Jenna… Se ero ancora viva, non poteva essere stato altro che un miracolo. Qualunque cosa fosse stata, comunque, ero grata di aver ricevuto una seconda possibilità.

* * *

Mi svegliai lentamente, quel giorno. La voglia di alzarmi dal letto, però, era inesistente. Decisi di voltarmi, dando le spalle al balcone che, comunque, era coperto con le solite tende spesse in modo che la luce non filtrasse all’interno della stanza.
Non la smettevo di pensare a quello che era successo.
Com’era possibile che fossi ancora viva? Il dottor Black aveva detto chiaramente che la ferita era stata superficiale, non avevo avuto nemmeno bisogno dei punti. Non era vero, però. Edward non era pazzo, e l’adrenalina – per quanto potente potesse essere – non avrebbe mai distorco la realtà in quel modo. Io ero morta e ora… ora, invece, ero qui.
<< Bella? >> chiamò mia madre, entrando lentamente in camera mia << Sei sveglia? >>
<< Mamma… Certo, entra pure. >> risposi, mettendomi a sedere.
<< Come ti senti? Hai riposato bene? >> domandò, appoggiando una tisana sul comodino.
<< Ho dormito molto bene, grazie. >> dissi, sorridendole << Era tanto che non mi capitava. >>
<< Quando ieri sera ti hanno riportata a casa, mi hai terrorizzata. >> ammise, accarezzandomi il viso << Eri molto pallida e disidratata… >>
<< Mi spiace averti spaventata, mamma. >> dissi, buttandomi tra le sue braccia << Ma sto bene, adesso, e sono qui! E ti voglio un bene immenso. >>
<< Anche io, Bella. >>
Restammo abbracciate per minuti interi. Tra le braccia di Renée, riuscivo a sentirmi una bambina. Era come se tornassi indietro nel tempo – metaforicamente parlando, in questo caso –, a quando ero piccola e mi sbucciavo le ginocchia giocando al parco. Lei era la prima a venirmi in soccorso, con i suoi “rimedi magici”; mi accarezzava la ferita, la bagnava e poi, con estrema grazia, mi dava un lieve bacio. E il dolore spariva davvero.
Tra le braccia di mia madre, adesso, mi sentivo bene, protetta. Era la sensazione più bella del mondo.
<< Che ne dici di cambiarti e scendere? >> disse lei, staccandosi un po’ << Non hai cenato, quando sei rientrata, ieri, e nemmeno oggi a pranzo. Dormivi così bene che… >>
<< Ma che ore sono? >> domandai, fiondandomi sul comodino.
<< Sono le otto di sera, tesoro. Hai dormito quasi ventiquattro ore. >>
<< Oh… Però! >>
<< Cambiati, ti aspettiamo giù. È anche arrivata Angela, ti sta aspettando. >> mi donò un bacio sulla fronte e scese, lasciandomi sola.
In effetti, era strano che non fosse venuta prima, Angela. La sera prima, appena messa a letto, le avevo mandato un messaggio: “Credo di essere morta, ma adesso sono viva. Non ci ho capito niente, nemmeno Edward ha capito qualcosa… È successo qualcosa alla soirée, ma non riesco a capire cosa. Mi si chiudono gli occhi, adesso. Domani ti chiamo. Ti voglio bene, un bacio. B.

Quando scesi di sotto, trovai tutto il plotone di casa ad attendermi. C’era perfino Lady Lillian, col volto livido dalla preoccupazione.
<< Stai bene, adesso, cara? >> aveva domandato, alzandosi addirittura per venirmi incontro.
<< È sempre tutta scena quando si tratta di mia sorella e di quella sottospecie di figlia. >> borbottò zia Victoria, accarezzando la fluente chioma di Tanya.
<< Adesso smettila, Vic! >> la ammonì Lady Lillian << Non tollero questo tipo di dicerie in questa casa! Sono stata chiara? >>
<< Sì, mamma. >> rispose lei, alzandosi impettita << Chiarissima. >> affermò flebilmente, dirigendosi verso la sala da pranzo.
Lady Lillian non disse nient’altro; scosse la testa e seguì figlia e nipote, mentre la prozia Jenna si precipitò a stritolarmi tra le sue ossute braccia.
<< Il mio piccolo corvo! Stai bene, tesoro? >>
<< Sì, zia Jenna, tutto bene. >> risposi, contraccambiando all’abbraccio.
<< Angela, ti fermi con noi a cena? >> domandò mio padre.
<< Se non disturbo… >>
<< Ma figurati! >> urlò mia madre, prendendola a braccetto << Sei la migliore amica di Bella, quindi per noi sei una di famiglia! Dico bene, zia Jenna? >>
<< Benissimo, dolce Renée! >>
<< Zia Jenna, per l’amor del cielo, così la soffocherai. >> intervenne mio padre, liberandomi da quella “stretta mortale”.
<< Oh, scusami, cara! >> parlò preoccupata e mi lasciò andare.
Raggiunsi Angela che, per quanto fosse rigida, sembrava stesse andando al patibolo.
<< Che ti prende? >>
<< Non sono mai rimasta qui a cena. >> rispose sottovoce << Insomma, abbiamo preso il Mc e abbiamo mangiato in camera tua, oppure ordinato del cinese, ma cena-cena, mai! Sai che tua nonna mi terrorizza! >>
<< Oh, andiamo! Non ti mangia mica. >>
<< Su questo non ne sarei troppo sicura. >> borbottò, prendendo posto accanto a me << Comunque, dopo dovrai raccontarmi tutto. Quel messaggio disconnesso sembrava Ai confini della realtà, te ne rendi conto? Come dovrei chiamarti, adesso? Lazzara? >>
<< Sh! >> la ammonii decisa << Nessuno sa questa faccenda, te ne parlo dopo. Ora mangia, prima che Lady Lillian mangi te. >>
<< Ho sempre sospettato che quella donna fosse una cannibale. >>
Mi portai un tovagliolo davanti alla bocca, per coprire la mia risata. Fu in quel momento che notai lo sguardo assassino di Tanya. Cosa diavolo avevo fatto, adesso?
Scossi il capo, decisa a non pensarci. Per Tanya, purtroppo, anche solo il sentirmi nominare era un problema. È un suo problema, però, che cavolo!, urlò la mia vocina interiore. Non potevo che darle ragione.
La cena passò tranquilla – e silenziosa, come di consueto. Mamma aveva cucinato i miei piatti preferiti, trovando scontentezza in zia Victoria e Tanya. Stranamente, Lady Lillian, non obbiettò, né fece i soliti comizi su quanto il pollo fritto fosse un cibo poco prelibato per una famiglia come la nostra. Dovevo essere stata proprio in uno stato pietoso, la sera prima, per trasformare così tanto mia nonna.
<< Se abbiamo finito, vorrei alzarmi. >> parlò Tanya, aprendo bocca per la prima volta da quando mi ero svegliata.
<< Hai il permesso, Tanya. >> rispose lady Lillian, senza neppure guardarla in faccia. Era troppo presa ad affettare la sua panna cotta.
<< Possiamo andare anche noi? >> domandai, con tono mesto.
<< Certo, cara. >> rispose nuovamente, senza alzare la testa.
Con molto garbo, io ed Angela, abbondammo il grande tavolo e ci dirigemmo verso la scalinata. Raggiunta essa, corremmo come delle pazze per giungere in camera mia.
<< D’accordo, adesso spara! >> ordinò Angie, sedendosi sul mio letto << Cosa significa che credi di essere morta? >>
<< Io non lo credo. >> risposi, accomodandomi sul baule-divanetto posto dinanzi al mio letto << Io sono morta, Angie. Sono morta tra le braccia di Edward, a quella dannata soirée. >>
<< Ma non è possibile! Insomma, sei qui e sei viva. >>
<< Lo so… Non riesco a spiegarmelo. >> ammisi, finalmente a voce alta << Ma ho sentito il pugnale, Angela. La sua lama era fredda e ha penetrato la mia carne come fosse burro… Ho sentito i miei battiti accelerare e poi scemare lentamente, dopo che era stato colpito il mio cuore. Non era una ferita superficiale, era una pugnalata mortale! Eppure, quando siamo saltati, non era rimasto che un graffio rosso. Il dottor Black non mi ha nemmeno dato i punti! >>
<< Davvero molto strano. >> disse, assumendo un’aria pensierosa << Non può essere che, essendo morta in un anno in cui non esistevi, tornata al presente non sei trapassata? >>
<< Ci avevo pensato io, all’inizio. >> risposi, sospirando << Una sorta di esperienza extracorporea. Magari è questa la magia del corvo, mi sono detta, morire senza lasciare le persone che amo. Un po’ come James, insomma. >>
<< Con la particolarità che tutti possono vederti, però. >>
<< Già. >> risposi tristemente, conscia che quella spiegazione faceva acqua da tutte le parti.
Io non ero un fantasma, ero corporea, viva. Il sangue scorreva nelle mie vene e il cuore batteva forte nel mio petto. Respiravo, sentivo… E quella lieve ferita faceva male. La pelle era calda, di un colore salutare se pur pallido. Provavo paura e dolore. Sensazioni troppo reali per un fantasma.
<< Ho parlato con Jasper ed Alice, questo pomeriggio. >> disse Angie, risvegliandomi dai miei pensieri << Erano scioccati da quello che era successo. Edward è stato fuori casa tutto il giorno e quando rientrava, si barricava in camera sua, chiuso dentro. Era davvero in uno stato pietoso, secondo suo fratello. Quest’esperienza deve averlo segnato particolarmente. Io non so se sei morta davvero, Bella, ma qualunque cosa sia successa in quella soirée, lo ha segnato. >> non risposi, ma quelle parole mi fecero tornare in mente qualcosa.
Io ti amo davvero. Mi senti? Sono innamorato di te, Isabella. Ti prego, non lasciarmi.
<< Oh, porca miseria! >> urlai, scattando in piedi, sotto lo sguardo sbigottito di Angela.
<< Cosa? Che è successo? >>
<< Edward. >> risposi, non trovando le giuste parole << Lui… lui mi ha detto una cosa mentre stavo morendo, ma… ma non so se è reale. Insomma, non sono morta davvero, quindi tutto quello che ho sentito potrebbe essere stato solo frutto della mia immaginazione, non trovi? >>
<< Bella, per l’amor del cielo, respira! >> disse Angie, avvicinandosi << Di cosa diavolo stai parlando, adesso? >> non feci in tempo a rispondere.
Il capello di casa cominciò a suonare, rimbombando per tutta la casa.
<< Chi può essere? >> chiesi, avviandomi alla vetrata del balcone.
<< Non so. >> rispose Angela, copiando le mie mosse << Sapevo che Alice voleva venire a trovarti, ma aspettava un mio messaggio che, come avrai ben visto, non ho ancora avuto modo di mandare. >>
Quando i miei occhi si posarono su una capigliatura sbarazzina castana, con riflessi bronzei, per poco non svenni. Cosa diavolo ci fa lui, qui? A quest’ora, poi!
Non attesi oltre. Afferrai Angela e mi precipitai giù per le scale, diretta al piano inferiore.
<< Edward, che piacere rivederti. >> squittì zia Victoria, accompagnandolo in salotto << Sei venuto qui per Tanya, immagino. Viene, prego, te la chiamo subito. >>
<< Veramente no, Mrs Denali. >> rispose lui, inchiodando il suo sguardo al mio << Sono venuto per Isabella, onestamente. >> a quelle parole, stomaco e cuore fecero mille capriole.
<< Ah. >> disse mia zia, con una nota di delusione e anche un velo di ribrezzo nella voce << Lavoro, immagino. Cerco mia sorella perché possa andare a chiam… Oh, ma vedo che non ce n’è bisogno. >> disse con malizia << La nostra cara Isabella è un asso nell’origliale le conversazioni altrui. >>
Stavo per ribattere, ma Edward mi batté sul tempo.
<< Non è una visita di lavoro. Direi proprio che è più una visita di cortesia, Mrs Denali. >> disse serio, facendo un fugace inchino << Con permesso. >> concluse da gentiluomo, dirigendosi verso di me.
<< Quando mette ad azzittire tua zia non è niente male. >>
<< Shh! Angie, potrebbe sentirti! >> la ammonii, con un tono di voce molto basso.
<< Ciao, Bella, come ti senti? >> chiese il ragazzo dagli occhi verdi che, in tutto il suo splendore, si trovava in piedi davanti a me.
<< Credo bene. >> risposi, dopo diversi minuti.
<< Dovrei parlarti di una cosa… >> sussurrò, facendo capire che era personale.
<< D’accordo, ho capito, me ne vado. >> parlò Angela, baciandomi una guancia << Sei hai bisogno chiama. Edward, piacere di averti conosciuto! Fai un’altra volta lo stronzo e ti castro. >> sorrise a trentadue denti e si diresse verso la porta.
Avrei voluto sotterrarmi.
<< Carina. >> commentò Edward, precedendomi sulle scale << Non sali? >>
<< Sì, sì. Certo, vieni. >> risposi, dopo un attimo di confusione.
<< Tieni la porta aperta, Bells! >>
<< Papà! >> lo ammonii, sentendo Edward sghignazzare dietro di me.
Dio, che imbarazzo!
Quando raggiungemmo la mia stanza, rimasi impietrita sulla soglia. Nessun ragazzo era mai entrato in quel luogo… Pensare che Edward fosse stato il primo, mi mandava il cervello in pappa.
<< Carina la tua stanza. >> parlò, mentre si guardava intorno << Molto carina. >>
<< Grazie. >> risposi imbarazzata, chiudendo la porta.
<< Tuo padre ha detto di non chiudere… Devo pensare che tu voglia abusare di me, per caso? >> domandò, alzando un sopracciglio malizioso.
<< C…cosa? No, certo che no, ma… ma non diceva sul serio. >>
<< Bella, respira. >> sussurrò sul mio viso, girando la chiave << Io di te abuserei volentieri. >> diventai rossa come un pomodoro maturo.
<< Sei… sei sempre il solito maniaco! >> affermai accaldata, prendendo le distanze.
Edward mi aveva bloccato tra lui e la porta; sentire il suo fiato sul mio viso, era una tentazione troppo forte alla quale resistere. Dovevo uscire di lì!
Non feci neanche due passi. La mano di Edward mi afferrò il braccio sinistro, facendomi voltare verso di lui e, con forza, premette le sue labbra sulle mie.
Rimasi immobile per diversi secondi, gli occhi aperti e granati, nonostante Edward se ne stava fermo lì. L’altra mano appoggiata sul mio fianco, gli occhi chiusi… Era in attesa. Stava aspettando una mia reazione.
Non appena la sorpresa svanì, mi ritrovai a baciarlo con veemenza. Le mie braccia si arpionarono attorno al suo collo, le mie dita si tuffarono nei suoi capelli. I nostri corpi erano totalmente schiacciato l’uno sull’altro, percepivo il suo calore da sotto i vestiti. La sua lingua, avida, cercava la mia, mentre i miei denti brandivano la sua carne. Non mi accorsi nemmeno che c’eravamo mossi, finché non percepii l’ostacolo del letto dietro le ginocchia.
Non ci interessava granché.
Cademmo sul letto come due pesi morti, troppo presi l’uno dall’altra perché ci importasse qualcosa dei modi da tenere.
Le nostre gambe si intrecciarono davvero per la prima volta, e le mani di Edward – calde ed esperte – accarezzavano la mia pelle nuda, sotto la maglietta. Inclinai la testa, in cerca d’aria. Edward, di tutta risposta, non si staccò… Al contrario, scese a baciarmi il collo; lo morse e lo leccò, facendomi provare una sensazione sconosciuta. Avevo caldo – troppo caldo. Quando le dita di Edward sfiorarono il mio seno non riuscii più a trattenere i gemiti.
<< Così ci sentiranno… >> sussurrò a fatica, mentre mi mordicchiava il lobo destro.
<< E… e allora smetti… smettila… >>
<< So che dovrei, ma non riesco. >> disse, tornando a baciarmi le labbra.
Presa da un’irruenza che non mi apparteneva, lo spinsi sotto di me, salendogli a cavalcioni. In risposta al mio gesto, Edward portò le mani sulla mia schiena accarezzandomi le natiche con bramosia. Spinta dall’eccitazione, strusciai il bacino contro il suo… Era dannatamente eccitato! Ed io con lui.
<< Cazzo, Bella… Fermati tu, adesso. >> disse ansante, sconvolto dalle mie spinte << Non rispondo delle mie azioni se continui e… e non voglio fare l’amore con te mentre ci sono i tuoi genitori al piano di sotto. >> quella frase mi gelò.
Oh, cazzo. I miei genitori sono al piano di sotto!, pensai, fermandomi di colpo.
Edward si alzò un po’, mettendosi a sedere al centro esatto del letto – ovviamente, io gli ero ancora addosso.
<< Mi hai fatto prendere un colpo, Bella, te ne rendi conto? >> domandò piano, appoggiando la testa sul mio petto.
<< Io… Mi dispiace. >> riuscii a dire, imbarazzata dal suo gesto così dolce e intimo.
Adesso ti imbarazzi?, domandò la solita vocina. Fino a due minuti fa vi stavate strusciando come due conigli in calore e adesso ti imbarazzi? La ignorai.
Edward stringeva le sue braccia intorno al mio corpo, come per constatare realmente che fossi lì, viva e in carne e ossa. Non eravamo mai stati così vicini – non in una situazione del genere, almeno. Non sapendo bene come agire, appoggiai il mento sulla sua testa e iniziai ad accarezzargli i capelli.
<< Se stringi ancora un po’ mi soffocherai, Edward. >> dissi, sorridendo.
<< Ho avuto paura di perderti, Bella. Io ti avevo persa… Tutto quello che avevo fatto non era servito a niente, tu eri morta. >>
<< Ma adesso sono qui. >> ribattei, dandogli un leggero bacio sulle labbra.
C’era una cosa, però, che dovevo sapere. Avevo bisogno di capire se quello che avevo sentito era vero.
<< Edward, tu… Quando stavo morendo, hai detto qualcosa… >>
<< Ho detto che ti amo. >> rispose serio, senza nemmeno farmi finire la frase << Perché ti amo, Isabella Marie Swan. Ti amo davvero. >>
<< Non capisco. >> ammisi, cercando di placare le urla del mio cuore in festa << Avevi detto che… >>
<< Ho mentito, Bella. >> rispose, come se quella verità avesse dovuto essere ovvia anche a me << Ho dovuto farlo. Da quando ti ho conosciuta, ho scoperto un modo totalmente nuovo di vedere le cose. Un modo migliore, che va oltre gli ordini o la razionalità. Mi hai sempre incuriosito… Fin da quando fu annunciato lo scambio con Tanya. Eri così diversa, testarda soprattutto, ed io non capivo perché non mi sopportassi. Il problema non ero io, però, era il mio modo di agire. Chi diavolo eri tu? Era come se ti credessi migliore, speciale, nonostante io avessi sacrificato tutta la mia vita per essere il diamante. Non ti tolleravo, nonostante provassi curiosità nei tuoi confronti. Però avevo un ordine da rispettare… Il conte mi aveva detto che l’unico modo per assicurarmi la chiusura del cerchio sarebbe stato piegare il tuo volere al mio, e come uno stupido gli ho dato retta! >>
<< Quando ti ho chiesto di spiegarmi hai ammesso tutto questo, ma non capisco perché hai negato quello che sentivi per me. >> era giunto il tempo della verità.
<< Perché tornando dal palazzo di Lady Jane, mi hanno attaccato. Se non fosse stato per Emmett, molto probabilmente, non sarei qui a parlare con te. >>
<< Emmett?! >> domandai confusa, allontanandomi un po’ per guardarlo in faccia.
<< Sì. >> rispose, facendomi scivolare sul letto, affinché potesse alzarsi << Stavo tornando dalla casa di Lady Jane e un uomo mi ha assalito. Credo facesse parte dello stesso giro di quello che abbiamo incontrato alla soirée. >> al ricordo raggelai << Comunque, non me lo aspettavo e mi aveva disarmato, quando improvvisamente è saltato fuori Emmett e lo ha ucciso. >>
<< Come? Cosa? >>
<< Gli ha sparato alle spalle, poco prima che mi pugnalasse. Di primo acchito, ho pensato di battermi, ma aveva qualcosa da dirmi e così l’ho ascoltato. >> si avvicinò alla giacca, che aveva precedentemente appoggiato sulla sedia della scrivania << E mi ha dato una cosa. Non avevo mai capito niente, Bella. Pensavo davvero che il conte di Saint Germain volesse chiudere il cerchio per trovare una medicina miracolosa, invece… >>
<< Invece? >> lo spronai a continuare.
<< Invece vuole solo qualcosa per se stesso ed anche a caro prezzo. >>
<< Il prezzo è la mia morte, dico bene? >> domandai, e il suo silenzio mi bastò per capire che avevamo avuto sempre ragione << Il cerchio si chiuderà davvero solo dopo che io sarò morta. Ma cosa genererà questa chiusura? >>
<< Non lo so. Ma Emmett e Rosalie lo sanno, ed io so che tu li hai visti! >> aumentò di poco il tono della voce, parandosi davanti a me << Cosa sanno, Bella? >>
<< Non me lo hanno mai detto. >> sospirai, sedendomi sul baule << Non volevano che il cerchio si chiudesse, questo l’hanno detto più volte. Mi hanno dato anche degli scritti segreti del conte, ma manca la conclusione – l’ultima profezia, insomma. >>
<< Questa, forse? >> chiese lui, porgendomi un pezzo di carta ingiallito dal tempo.

« Il cerchio di sangue giunge a conclusione,
la pietra è dell'eterno realizzazione.
La veste della gioventù si accresce di nuova energia,
che dà potere immortale a colui che porta la magia.
Ma, attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà
il destino di quanto è terreno si compirà.
La gioventù si scioglie, la quercia è condannata
a decomporsi in quest'epoca buia e odiata.
Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella,
l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta più bella.
Sappi dunque, una stella si consuma per amore,
se sceglie liberamente di struggersi il cuore
. » ¹

Come accadeva di consueto, quando leggevo le filastrocche dell’orrore del conte, la pelle mi si accapponò e cominciai a percepire brividi lungo la schiena.
<< La dodicesima stella sono io. >>
<< Prima non riuscivo a capirla! >> urlò, cominciando a camminare come un pazzo avanti e indietro per tutta la stanza << Ma adesso è tutto chiaro! La chiusura del cerchio dipende da te! La magia di cui parla è quella del corvo, tu hai la magia del corvo. Rosso rubino, che ha la magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore! Tu sei immortale, Bella, è questa la tua magia del corvo. >>
Sgranai gli occhi, aprii la bocca sconvolta e il cuore cessò i suoi battiti. Era forse impazzito? Io immortale? Avevo accettato tutto, qualsiasi cosa. Ma questo era troppo. La gente non era immortale… La gente nasceva, cresceva e poi moriva. Era così che andava. Non esisteva l’elisir di lunga vita, non…
<< So che sei sotto shock, adesso, ma è l’unica spiegazione, Bella. >> parlò Edward, sedendosi accanto a me << Questo è il motivo per cui sei qui. Tu non puoi morire. >>
<< È così assurdo… Come può essere possibile, una cosa del genere? >>
<< C’è qualcosa di normale nella nostra vita? >> chiese lui, accarezzandomi il viso << Siamo delle gemme con un potere straordinario, riusciamo a viaggiare nel tempo! >>
<< Ma l’immortalità è un’altra cosa, Edward, non trovi? >>
<< La veste della gioventù si accresce di nuova energia, che dà potere immortale a colui che porta la magia. Gli scritti non mentono, Bella, o il conte non si sarebbe accertato di farli sparire. Tu possiedi il potere dell’immortalità e lui… >>
<< E lui lo vuole. >> affermai certa, interrompendolo << Ecco a cosa serve il cerchio. Io discendo direttamente da Caterina Petrona! La prima gemma della dinastia femminile, l’opale. Lei aveva il mio stesso dono, ma qualcuno glielo ha tolto. Io concludo il cerchio, la linea di sangue torna ad essere dove doveva stare. È questo che il conte vuole: la mia immortalità. >>
<< Ma non può averla. >> affermò Edward, notevolmente pensieroso << Abbiamo appurato che nessuno può ucciderti! >>
<< Ci sarà un trabocchetto, qualcosa che negli scritti è ben nascosto, un cavillo… >>
<< Dobbiamo introdurci nella loggia. >>
<< Cosa? Sei pazzo? >> chiesi, pensando realmente che si fosse ammattito.
<< No, ma dobbiamo parlare con mio zio e tua cugina e l’unico modo per farlo è tornare da Lady Gilbert! Lei li sta nascondendo, perciò lei saprà come e dove trovarli. E una volta saputo tutto dovremmo far sparire il cronografo, esattamente come fecero loro due diciassette anni fa. >>
<< E come vorresti farlo? Saltare indietro, come hanno fatto loro, e rimanere bloccato lì senza possibilità di ritorno? >>
<< Sì! >> urlò di getto, quasi spaventandomi. Non lo avevo mai visto così deciso e padrone di qualcosa.
<< Ma cosa stai dicendo? >>
<< Farò tutto ciò che è in mio potere per salvarti la vita, Bella. >> disse infine, facendomi scoppiare il cuore di gioia.
Edward Cullen era innamorato di me. Mi amava davvero, sopra ogni ordine ed ogni regola. Si sarebbe perfino sacrificato, pur di non farmi correre rischi. Ed io amavo lui. In modo incondizionato e totalizzante. Proprio per questo motivo non posso permettertelo.
<< Cercheremo un’altra strada, Edward, mi hai capito? >> domandai decisa, prendendo il suo volto tra le mie mani << Non so se ciò che abbiamo capito sia vero o meno, e non m’importa neanche. Non riesco ad immaginarmi un’eternità senza avverti accanto, ma per adesso so per certo che voglio te per il resto della mia vita. >>
<< E allora cosa facciamo? >> domandò, premendo la fronte contro la mia e sfiorando le mie labbra con le sue.
<< Andiamo a casa tua e cerchiamo il vecchio cronografo. >>
<< Come? >> domandò, evidentemente confuso.
<< Emmett e Rosalie hanno nascosto il vecchio cronografo nella stanza di Jasper, o almeno, in quella che era la vecchia stanza di Jasper, prima della ristrutturazione. Possiamo cercarlo e aggiungere il nostro sangue a quello e concludere il cerchio prima del conte! Devi solo dirmi che sai dove si trova, Edward. >>
<< So dove potrebbe essere. >> rispose, sorridendo sghembo.
Restammo in camera mia a baciarci a lungo, evitando di parlare di cose che non riuscivamo a comprendere. Quando si fece troppo tardi, mio padre salì per invitare Edward a tornare a casa.
Lo accompagnai di sotto, lasciando che mi baciasse con passione e amore davanti a tutti quanti – Tanya compresa. Lui era mio ed io ero sua, contava solo questo adesso.
<< Complimenti, campagnola. >> ringhiò Tanya alle mie spalle.
<< Sono stanca, Tanya, voglio dormire. >> mi lamentai, non avendo alcuna intenzione di discutere, quella sera.
<< Non ti senti in colpa neanche un po’, vero? >>
<< In colpa per cosa? >> domandai, voltandomi contro voglia.
Era la personificazione dell’ira.
Indossava dei jeans stretti e una camicia color cipria, che definire attillata sarebbe stato un insulto per i veri capi attillati. I capelli erano legati, avvolti in una crocchia leggera alla base della testa, mentre il ciuffo e alcune ciocche mosse le ricadevano sul viso perfettamente truccato. Le braccia erano incrociate sotto il seno, mentre gli occhi azzurri spruzzavano fuoco vivo.
<< Hai rubato la mia missione, il mio scopo nella vita, mi hai rubato Edward! Mi hai rubato il rispetto di Lady Lillian! E per te sembra non contare niente! Io ti detesto, Isabella. La mia vita era migliore prima del tuo arrivo qui! Non… non potevi rimanere dove stavi? >> non ci vidi più, così la schiaffeggiai.
<< Primo, piantala con questa storia del furto: io non ti ho rubato niente! Per quanto mi riguarda, potevi tenerti tutto! Il tuo stupido dono, la tua stupida missione, il tuo stupido cerchio! E per quanto riguarda Edward, mi dispiace! Non avevo calcolato di innamorarmi di lui! E mi dispiace che lui si sia innamorato di me! E puoi anche non crederci, brutta vipera che non sei altro, ma a me dispiace che tu stia soffrendo così tanto! E secondo, anche io stavo meglio a Forks, ma il mio destino era qui. Come il tuo, evidentemente, ti aspetta altrove. Perciò, piantala di fare la vittima e la ragazzina incompresa, perché non lo sei. Sei la regina delle stronze, Tanya, e la cosa peggiore è che sei la prima a vantartene. >> conclusi furente, entrando in camera mia.
Sbattei la porta con forza e la chiusi a chiave, onde evitare che in un momento di raptus le venisse la brillante idea di soffocarmi con un cuscino nel sonno. Certo, ero immortale, ma con Tanya era sempre meglio prevenire anziché curare.
Decisi di farmi una doccia, prima di sprofondare tra le calde coperte. Avevo bisogno di togliermi di dosso tutte le novità delle ultime ore. L’unica cosa che mi dispiaceva era lavarmi via l’odore di Edward… Sorrisi come una sciocca, conscia che ci sarebbero stare altre volte – mille altre volte.
Quando il getto caldo mi colpì, penetrandomi fin dentro le ossa, mi sentii notevolmente meglio. Il conte di Saint Germain aveva giocato con le nostre vite fin dal principio e noi, ingenuamente, glielo avevamo permesso. Con Edward dalla mia parte, però, mi sentivo più forte; più sicura e più battagliera che mai. Lui non avrebbe vinto, non glielo avremmo mai permesso.
Quando raggiunsi il letto, vidi il display del mio iPhone accendersi. Era un messaggio: “Questa notte penserò a te, a ciò che è successo in camera tua e immaginerò ciò che accadrà davvero tra noi, quando tutta questa storia sarà finita. Dormi bene, mia Bella, tu sei l’unica che mi abbia mai rapito veramente il cuore. Ti amo. E.
Con il sorriso di poco prima, mi infilai sotto le coperte, stritolando il cuscino. Quando questa storia sarà finita…, mi fermai a pensare. Non aspettavo altro.
Mi addormentai così, consapevole che l’indomani avremmo girato l’ultimo atto di questa assurda commedia. L’atto più duro, ma anche quello decisivo, finalmente.

¹. La filastrocca fa parte del terzo volume della trilogia ufficiale di Kerstin Gier, Green.

Eccomi di nuovo qui! Sono stata brava questa volta, vero? XD io dico di sì ù.ù comunque... I nodi stanno arrivando al pettine, a quanto pare. Finalmente è venuta fuori la vera magia del corvo e finalmente si è capito perché il conte vuole la morte di Bella... Ma c'è ancora un piccolo cavillo: come uccidere chi non può essere ucciso? Per chi conosce la trilogia originale, il finale sarà molto mio. Quindi se credete di sapere come farà il conte e tutto il resto, beh... aspettate a cantare vittoria XD Per chi non ha letto la trilogia, vi comunico che il PROSSIMO CAPITOLO sarà anche l'ULTIMO CAPITOLO! Ebbene sì, la storia avrà - con certezza - venticinque capitolo + un DOPPIO EPILOGO. Questa è la novità di questa storia XD e poi capirete in cosa consiste e cosa si intenderà per "doppio epilogo".
Cos'altro dirvi? Spero che il capitolo vi sia piaciuto! E spero di essere puntuale anche la prossima settimana per l'ultimo atto di questa storia.
Grazie ancora per il sostegno che mi date seguendomi! :) lo apprezzo davvero, davvero, davvero tanto.
Un bacione a tutti! :*

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Capitolo 26
*** #25. ***


Un saluto a tutti i lettori! Oggi non mi dilungo molto, ma ci tenevo ad informarmi che questo capitolo - l'ULTIMO CAPITOLO, per esattezza - sarà piuttosto lungo. Nel mio gruppo su Facebook, infatti, ho chiesto se era preferibile tagliarlo o no; la risposta è stata "Assolutamente no!". Segue, quindi, un capitolo di 26 pagine Word XD e spero vivamente che tutti abbiate la voglia di leggerlo, anche - e soprattutto - perché in questa ultima scena sono state concentrate parecchie cose: i nodi vengono finalmente al pettine, tutte le domande avranno una risposta.
Per quanto riguarda le recensioni, in serata risponderò a tutte, promesso! Detto questo, quindi, vi lascio alla lettura! Dopo il capitolo, comunque, ci sarà un chiarimento sul doppio epilogo che vi pregherei di leggere :)

.

25.

« L’amore è vita,
e la vita ha qualcosa di immortale. »
Emily Dickinson.

<< Giù dal letto, ragazza immortale! >> urlò qualcuno, facendomi saltare per aria.
La sera prima mi ero addormentata senza troppa fatica. Mi sentivo riposata, adesso, come non lo ero da molto tempo. Tutti i tasselli del puzzle erano andati finalmente al loro posto; il rapporto con Edward si era evoluto parecchio. In conclusione, mi sentivo la ragazza più felice del mondo, quella mattina.
Meno felice, invece, era stato il mio traumatico risveglio.
<< Alice, cosa diavolo ci fai qui? >> domandai, comprendoni la testa col cuscino.
<< Che domande, sono venuta a prenderti! >> rispose, urlando di gioia << Edward mi ha spiegato tutto, ieri sera! Cavolo, immortale, ma ti rendi conto? Potrei spararti, accoltellarti, spingerti sotto un autobus, toglierti la pelle, estrarre le tue budella… >>
<< Dio mio, Alice, ma che razza di film guardi? >> chiesi, stando per vomitare.
Non era di certo una cosa da immaginare di prima mattina.
<< Non è questo il punto! >> rispose il pazzo elfo << Il punto è che non puoi morire. La trovo una cosa grandiosa! >>
<< Oh, Alice. >> l’ammonii, provando il bisogno di tornare a dormire. Stavo anche sognando Edward, che cavolo.
<< Avanti, poltrona, alzati. >> insistette lei, scoprendomi completamente << Non hai bisogno di sognare Edward nudo, tanto lo vedrai presto senza vestiti. >> continuò seria, facendomi scattare in piedi per l’imbarazzo << Preparati, io e Jasper ti aspettiamo di sotto. >>
<< Ma… Ma tu come fai a sapere che… >>
<< Che lo stavi sognando o che presto lo vedrai nudo? >> chiese, aprendo la porta della mia stanza per uscire.
<< Entrambe, direi. >>
<< Io ho uno spiccato senso nel prevedere le cose, Bella. >> rispose, facendomi l’occhiolino << Posso dire di aver visto il tuo futuro! Ed esso è molto… piacevole. >> concluse, lasciandomi in piedi, in mezzo alla stanza, come una perfetta imbecille.

La colazione e tutta la preparazione per uscire di casa – doccia, vestiario, piega, trucco – passarono in fretta. Poco più di un’ora dopo, infatti, mi trovavo nell’auto di Jasper – che non era affatto quella della volta precedente.
In questa occasione, sfoggiava una Land Rover nera lucente. Era tutto di quel colore, compresi gli interni, le rifiniture e le cinture di sicurezza.
<< Cosa vi ha detto Edward di preciso? >> chiesi, dopo qualche minuto di viaggio.
<< Un po’ di tutto. >> rispose Jasper, svoltando con maestria << Quando è rientrato a casa ha iniziato a rivoltarla come un pazzo. Se non ci fossimo stati io ed Alice, molto probabilmente, avrebbe fatto uscire mamma e papà dalla loro stanza. >>
<< Cercava il cronografo. >> sussurrai, forse un po’ troppo ad alta voce.
<< E l’ha trovato! >> squittì Alice, voltandosi verso di me.
<< Cosa? Come? Dici sul serio? >> domandai, travolta da una scarica di adrenalina.
<< Sta aspettando te per decidere cosa fare adesso. >> rispose Jazz, sempre fin troppo tranquillo.
Risprofondai nel sedile posteriore, lasciando che la mia mente vorticasse chissà dove.
Emmett e Rosalie dicevano la verità. Non erano i traditori che tutti avevano sempre pensato; loro sapevano tutto, avevano scoperto tutto, e volevano davvero salvarmi, salvare tutti quanti.
Se solo li avessimo ascoltati prima…, pensai amaramente.
Ma quando sarebbe dovuto essere questo prima? Mia cugina e il suo compagno avevano fatto quel salto, che era costato loro tutto, poco dopo la mia nascita. Come avrei mai potuto impedire questo?
<< Siamo arrivati, Bella. >> sentii dire da Jasper.
Quando alzai gli occhi, mi trovai in un enorme garage.
Ero già stata a casa Cullen, ma quella visita mi costò cara. Non avevo comunque visto molto, se non la gigantesca palestra privata, dove Edward mi gettò addosso tutto il suo disprezzo.
<< Ma non c’è nessuno. >> dissi, guardandomi intorno.
Il salotto era immenso, così come tutta l’enorme villa. Aveva un’aria antica e moderna al tempo stesso; gli ampi muri bianchissimi, le grandi colonne che univano le spettacolari arcate, le vetrate cristalline e sparse ovunque. Ai Cullen, potevo dirlo, piaceva lo spazio.
<< Se qualcuno soffre di claustrofobia, qui da voi, non corre rischi. >>
<< Finalmente, vi stavo aspettando! >> mi voltai verso quella voce.
Edward stava scendendo la grande scalinata centrale, per correre da me. Indossava una tuta grigio piombo, con bordi neri; la felpa era di quelle con la cerniera e il cappuccio. La cosa che mi colpii maggiormente, però, era che fosse scalzo.
<< Ciao… >> mormorò a pochi centimetri da me.
<< Ciao… >> risposi nello stesso modo, mordicchiandomi il labbro inferiore.
<< Interessante questo scambio di saluti, ma ci muoviamo? >> intervenne Alice, spingendoci con troppa forza << Esme e Carlisle non ci sono, ma vi aspettano alla loggia intorno alle due e mezza. Nessuno ha fatto domande sul fatto che Bella oggi saltasse la scuola, Renée ha chiamato per dire che non ci sarebbe andare a causa dello shock preso alla soirèe, quindi avete tutta la mattina. Però dobbiamo muoverci, Jasper non può assentarsi, e sta già perdendo tutta la prima ora! >>
<< Da quando sei così organizzata, mostriciattolo? >> chiese Edward, prendendomi la mano, mentre salivamo le scale.
<< Da quando il tuo misero cervellino sa partorire solo la parola “ciao”, idiota. >>
<< Questo mi ferisce. >> parlò sofferente, mettendosi la mano libera sul cuore.
<< Oh, sono sicura che Bella curerà tutte le tue ferite. >> rispose lei, sorridendo maliziosa << Ora, però, muoviamoci! >>
<< Vedete perché la amo? E pensate che è così anche a letto. >> ci informò Jasper.
<< Jasper! >> urlammo tutti e tre all’unisono, sperando di non sentire più determinate cose – per lo meno, io ed Edward.
Quando raggiungemmo la camera di Edward per poco non mi cadde la mascella a terra. Non era una stanza, era un mini appartamento! Gli mancava solo la cucina.
Le pareti erano bianche, come quelle di tutta la casa, in fondo – a sinistra dell’ampio balcone – c’era un letto matrimoniale con la testiera nera; tutta la parete destra era ricoperta da un vistoso armadio che, tanto per non farsi mancare nulla, diventava una gigantesca libreria – piena di libri e CD. Accanto alla porta, invece, sulla sinistra, si apriva un piccolo angolo-salotto, composto da due divani neri in pelle e un tavolino, al centro di essi, bianco. Per concludere, al centro esatto della parete sinistra, era situata la porta per il suo bagno privato.
<< Miseria, ecco perché hai definito la mia stanza “carina”. >>
<< Io sono il fratello maggiore, quindi papà mi ha lasciato arredare la stanza come volevo. >> rispose lui, sghignazzando, mentre mi tirava dentro con lui.
<< Io sono figlia unica. >> dissi, guardandomi ancora intorno << Penso, quindi, che tu abbia la scusa del “primogenito” io avrei la nomina della “viziata” se sfoggiassi una stanza del genere. >> scoppiò a ridere, ma non rispose.
Edward lasciò le mie mani, dandomi un leggere un bacio sul naso, e si diresse nell’armadio. Si inginocchio davanti ad esso e, sparendo al suo interno, estrasse una cassa di legno molto vecchia.
<< Ecco quello che stavamo cercando. >> mormorò Jasper, al mio fianco.
Il cronografo…,pensai, fissando i movimenti di Edward come se ne fossi ipnotizzata.
Come la prima volta che vidi quello della loggia, ne rimasi delusa. Erano identici.
Un orologio da taschino, di dimensioni tre o quattro volte più grandi, posizionano su una scatoletta quadrata – marrone scuro – dove vi era intagliata una piccola fessura. Le dodici ore, all’interno del quadrante, erano fissate interamente con pietre preziose, che seguivano un cerchio cronologico perfetto: un opale bianco, l’ambra, un’agata multicolore, l’acquamarina, lo smeraldo di un verde intenso, un quarzo citrino giallastro, due corniole aranciastre, una giada sull’azzurro/verde pastello, la tormalina nera, uno zaffiro completamente blu, il diamante e, infine, un rubino rosso come il sangue.
<< Wow, è la prima volta che vedo un cronografo. >> disse Alice, rivolgendosi a Jasper.
<< Non dirlo a me, tesoro. >> rispose << Tu almeno lavori nella loggia, io sono quello anormale. >>
<< Normale, vorrai dire. >> replicai, voltandomi per guardarlo in faccia.
<< In una famiglia dove tutti sono speciali, l’essere normale è un fattore anormale. >>
Rimasi ferma e in silenzio, cercando di rielaborare le sue parole. Forse, non aveva tutti i torti.
<< Cosa si fa, adesso? >> chiesi, decisa ad andare fino in fondo.
<< Per usarlo tu ed Edward dovrete mischiare il vostro sangue. >> rispose Jasper, estraendo il taccuino di Emmett.
<< Ma se lo fanno il cerchio sarà completo. >> disse Alice, guardando tutti noi.
<< Ma se non lo mischiamo, sarà tutto inutile. >> ribatté Edward, pulendosi le mani sui pantaloni << L’unico modo per tornare indietro e parlare con Rosalie ed Emmett è attraverso un cronografo. Quello della loggia è fuori discussione: troppo sorvegliato, sarebbe un suicidio. L’unica nostra possibilità è questa. >>
<< Ha ragione lui. >> risposi, compiendo qualche passi verso l’oggetto.
<< Ma non potete chiudere il cerchio! >> strillò Alice sull’orlo di una crisi isterica << Il cerchio si chiude e il rubino muore! >>
<< Forse no. >> risposi << Sono immortale, per avere la mia immortalità non basta chiudere il cerchio. Ricordate la profezia? >> domandai, prima di citarla << Il cerchio di sangue giunge a conclusione, la pietra è dell'eterno realizzazione. La veste della gioventù si accresce di nuova energia, che dà potere immortale a colui che porta la magia. ¹ >>
<< La chiusura del cerchio fa in modo che chiunque possa ottenere l’immortalità di Bella. >> spiegò Edward, catturando l’attenzione di tutti noi << Quindi non è il cerchio che stabilisce la sua morte, ma è quello che succede dopo. >>
<< Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella, l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta più bella. ¹ >> recitò Jasper, questa volta << Credo tu abbia ragione. Una volta chiuso il cerchio, l’aquila – che è l’animale corrispondente allo smeraldo, ossia il conte – deve uccidere l’immortale. >>
<< Ma se non sa che il cerchio è stato chiuso, non potrà fare nulla. >> concluse Alice, sospirando più sollevata.
<< Allora che facciamo? >> domandai ad Edward << Chiudiamo questo maledetto cerchio? >> mi guardò intensamente, ma non rispose.
Si allontanò, poco dopo, estraendo un coltellino svizzero e una piccola ampolla da uno dei cassetti dell’armadio.
<< Che diavolo vorresti fare con quello? >> chiesi allarmata, sgranando gli occhi.
<< Dobbiamo farci un piccolo taglietto sul dito, dopodiché metteremo una goccia di sangue nell’ampolla e la dovremo inserire sotto le nostre pietre. >>
<< Perché non mi sorprende che tu sappia farlo? >>
<< Ho assistito all’aggiunta del mio sangue ed anche del tuo. >> rispose, sorridendo sghembo << Il tuo ragazzo è un pozzo di scienza, piccolina. >>
Il coltello, l’ampolla, il sangue… Tutto passò in secondo, ma anche in terzo o quarto, piano. Aveva detto che era il mio ragazzo? Il cuore esplose di gioia!
Non cogliendo il mio momento di shock, Edward si scheggiò il dito indice, premendo leggermente il polpastrello affinché uscisse una goccia di liquidi rosso cremisi.
Dovetti distogliere lo sguardo.
L’odore metallico del sangue mi nauseava sempre, fin da quando ero piccola. Tutti sostenevano che il sangue fosse inodore, ma per me era una stronzata colossale. Quel coso odorava, e anche tanto!
<< Bella, tutto bene? >> domandò Jasper, vedendomi pallida.
<< Non sopporto la vista e l’odore del sangue, tutto qui. >>
<< Ho quasi fatto, ora lo aggiungo. >> mi informò Edward, camminando verso il cronografo.
Quello che successe, non appena il diamante inserì la goccia del suo sangue in un cassettino rettangolare nascosto sotto l’undicesima ora, attirò la mia attenzione. Le lancette dell’orologio, posizionato in alto, cominciarono a roteare furiose; una luce abbagliante – simile a quella dei salti – si propagò per tutta la stanza: un suono, simile al trillo di una vecchia sveglia, ci vibrò nelle orecchie. Poi, come tutto era cominciato, finì.
<< Wow. >> sussurrò Jasper, con un tono meravigliato.
<< Hai detto bene, tesoro. >> replicò a sua volta Alice, che si strofinava gli occhi.
Edward, dal canto suo, era la tranquillità fatta a persona.
<< Tocca a te, Bella. >> disse, infine, guardandomi intensamente negli occhi << Siediti sul letto, Dio non voglia che tu possa svenire. >> impettita mi avvicinai.
<< Non ci allarghiamo. >> dissi, accomodandomi << Sono sensibile al sangue, ma non sono mica una pappamolla! >>
<< D’accordo, d’accordo! >> rispose, sghignazzando << Dammi la mano. >> disse, poi, tornando serio. Lo feci.
Quando la lama mi taglio la pelle, trasalii. Era un taglio molto piccolo, ma piuttosto doloroso. Voltai il viso, quando le dita di Edward strinsero la mia ferita per far sgorgare il liquido rosso nella seconda ampollina.
Quando anche il mio sangue venne aggiunto, quello che era successo qualche attimo prima sembrò nulla a confronto.
Le dodici pietre sprigionarono una luce meravigliosa. Il primo da accendersi fu il rubino, che spinse anche tutte le altre gemme a lampeggiare. Un arcobaleno di colori – troppo intensi per occhi umani – si sprigionò, trapassando perfino i muri della casa. Le lancette si misero in moto e, quando entrambe si fermarono sul numero dodici – la cui gemma era proprio il rubino – si alzò una rintocco di campane. Suonarono dodici volte. Quando finirono, però, la cassa inferiore del cronografo si aprì, scoprendo una boccetta di vetro trasparente che, al suo interno, celava un liquido cangiante.
<< Cosa diavolo è, quella? >> domandai, tirandola fuori.
<< L’elisir di lunga vita? >> disse per scherzo Alice, anche se molto probabilmente non aveva tutti i torti.
<< Cosa dobbiamo farne? >> chiese Jasper, avvicinandosi mesto.
<< Non lo so, forse dovremmo portarlo ad Emmett e Rosalie. >> propose Edward, facendosi passare la boccetta << Loro sapranno sicuramente cos’è di preciso, ma soprattutto sapranno cosa farne. >>
<< D’accordo, quindi andiamo? >> domandai, alzandomi in piedi.
<< Vi servono questi! >> squittì Alice, tirando fuori due sacche nere.
<< Hai ucciso qualcuno, per caso? >>
<< Non essere sciocca, Bella. >> rispose, liquidandomi con una mano << Non potete andare nel 1912 senza un vestiario impeccabile, dareste troppo nell’occhio. Li ho cucini tutta la notte, con quel poco di materiale che mi rimaneva in casa. Non è nulla di vistoso, ma rispecchia lo stile del periodo. >>
<< Alice, ricordami di farti un’enorme regalo, quando tutta questa storia sarà finita. >> disse Edward, baciandole sonoramente una guancia.
<< Me ne ricorderò, tranquillo. Ho visto giusto un abito di Gucci che è spettacolare! >> a quella rivelazione, Edward alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
<< Io devo andare. >> si intromise Jasper, stampando un bacio sulle labbra del folletto << E tu farai meglio ad andare alla loggia, sei in ritardo di dieci minuti. >>
<< Accidenti! >> urlò lei, scattando fuori dalla stanza << D’accordo, vestitevi e saltate! Sono le nove e venti, perciò dovrete rientrate per l’una massimo! Alle due vi aspettavo a Temple. >> lanciò baci con le mani e sparì, insieme a Jasper, giù per le scale.
Senza proferire parola, mi avvicinai all’armadio per vedere gli abiti. Alice aveva ragione, non erano pomposi o raffinati come al solito, ma io li preferivo così.
Il mio era di un color panna tendente al lilla; stretto il corpetto e ampia la gonna, ma non troppo. Le scarpe, che ricordavano un po’ le francesine che vedevo al centro commerciale, erano panna, in tinta col cappellino e il fiocco sotto il collo. Edward, invece, aveva una giacca verde bottiglia, con sotto una camicia beige abbinata ai pantaloni. Le scarpe riprendevano il colore della giacca.
<< Alice è un portento. >> sussurrai, staccando i vestiti dalle grucce.
<< Lo so. >> sentii rispondermi.
Edward era dietro di me; riuscivo a sentire il suo fiato sul mio collo. Quando accarezzò i miei fianchi, lascivamente, dovetti resistere alla tentazione di voltarmi e spingerlo su quel letto grande, che aspettava solo noi.
<< Edward… Dobbiamo andare, non c’è tempo. >>
<< So anche questo. >> rispose, portando le sue labbra sul mio collo.
Lo baciò, lentamente, alternando anche un po’ di lingua. La sua mano sinistra si insinuò sotto la maglietta, fino a raggiungere il mio reggiseno di pizzo, mentre l’altra…
Non era la prima volta le sue dita sfioravano la mia intimità coperta, ma quello non era il momento. Nonostante la mia verginità, avevo pulsioni, ormoni, desideri… L’inesperienza non mi proteggeva dalla voglia di sentirlo completamente in me, in ogni senso e modo.
<< Ok… >> sussurrò, poco dopo, con voce pesante << È meglio prepararci e andare. Sono mesi che reprimo le mie pulsioni e… e non so fino a quanto terrò duro. >>
Sospirai, un po’ contrariata, ma lo potevo capire. Prima la missione, poi tutto il resto.
Ci cambiammo in poco tempo. Edward mi aiutò ad allacciare l’abito ed io gli sistemai il colletto della camicia. Fortunatamente, nel 1912, non c’erano assurde parrucche bianche; tutto era più alla mano.
<< Sei pronta? >> domandò, una volta impostato il cronografo.
<< Quando vuoi. >>

Come la prima volta, quell’anno mi colpii positivamente. Era tutto surreale, magico quasi.
Le strade erano piene di automobili d’epoca, mentre i marciapiedi pullulavano di coppiette a passeggio – esattamente come la volta precedente.
Eravamo saltati al giorno 13 Aprile 1912 – scrupolosamente il giorno seguente al salto che facemmo molti mesi prima.
<< Non avremmo calcolato male i tempi? >> domandai, stringendo il braccio di Edward.
<< Cosa intendi? >>
<< Abbiamo deciso di tornare al giorno dopo il primo incontro con Emmett e Rosalie, non credi che avremmo dovuto saltare più avanti? >>
<< No. >> rispose deciso << Se Emmett mi assomiglia anche solo un po’, tutti i viaggi che ha compiuto sono stati realizzati nelle quarantotto ore successive a quell’incontro. Ragion per cui, l’unica cosa che dobbiamo sperare è di non essere saltati in un orario sbagliato. >>
<< Che intendi per orario sbagliato? >> domandai, fermandoci per far passare un’automobile.
<< Nel mentre stanno facendo un salto o, peggio ancora, sono già saltati. >>
<< Non ci avevo pensato. >>
Tra una chiacchiera e l’altra, arrivammo finalmente alla piccola villetta verde pastello, situata all’angolo della strada.
Era esattamente come l’ultima volta che l’avevo vista: sobria, situata su tre piani; il tetto spiovente, marrone scuro, si intonava perfettamente alle mura; tutt’intorno alla villetta, poi, era costruito un piccolo recinto bianco, colore che richiamava i tre piccoli gradini dell’ingresso e i dettagli della casa.
Quando Edward suonò, venne ad aprirci un ragazzo bello da mozzare il fiato. Era alto, su per giù un metro e ottantacinque, capelli neri – come gli occhi. Il fisico era slanciato; muscoloso, ma senza esagerare.
<< Desiderate? >> chiese, dopo averci squadrati da capo a piede.
<< Stiamo cercando Lady Gilbert. >>
<< Avete un appuntamento, per caso? >> domandò, con aria arrogante.
Bello era bello, anzi era proprio un gran figo, ma quell’atteggiamento era da prendere a schiaffoni.
<< Sono sicuro che se la informa che Edward Cullen ed Isabella Swan sono tornati per parlare, ci farà entrare. >>
<< Cullen, eh? >> domandò, alzando un sopracciglio.
<< Fratello, chi è alla porta? >> sentimmo chiedere ad una voce maschile – un’altra – all’interno della casa.
<< Credo siano il diamante e il rubino. >> rispose l’arrogante, senza staccarci gli occhi di dosso << Vogliono parlare con Elena. >>
<< E tu falli entrare. >> disse il secondo ragazzo, sbucandogli alle spalle.
A differenza del primo, questo aveva gli occhi di un verde acceso – anche se non come quelli di Edward – e i capelli di un castano chiaro, ma non troppo. Fisico e altezza, erano quasi identici.
<< Mi stavo solo divertendo un po’, non è ancora un crimine, Stefan. >>
<< Scusatelo, entrate pure. >> disse Stefan sorridendoci mesto << Mio fratello maggiore ha un modo tutto suo di farsi conoscere. >>
<< E che modo. >> mormorò Edward, facendomi scappare una risatina.
Arrivati nel salone, trovammo Lady Gilbert intenta a dipingere.
<< Sapevo che sareste tornati… >> disse, senza nemmeno alzare lo sguardo.
<< Non vorrei mancarle di rispetto, ma perché il ragazzo qui sa chi siamo? >> chiese Edward, visibilmente infastidito.
<< Con calma, giovanotto. >> rispose la padrona di casa, alzandosi.
Elena Gilbert era davvero bellissima. Era alta e piuttosto magra, i capelli erano lunghi, di un biondo piuttosto acceso. Incorniciavano un viso pulito, leggermente truccato, sul quale erano incastonate due gemme celesti. Non dimostrava affatto i suoi trent’anni.
<< Stefan, Damon, ci vediamo più tardi. >> disse lei, rivolgendosi ai due ragazzi << Verrò a farvi visita a casa, va bene? >>
<< Certo, Elena, ti aspettiamo per cena. >> rispose Damon, facendole il baciamano << Con permesso. >> aggiunse guardando noi, prima di avviarsi alla porta.
<< Fa’ attenzione. >> parlò, invece, Stefan, prima di donarle un casto bacio sulle labbra. Ci salutò anch’egli, dopodiché se ne andò.
<< Prima che chiediate, sono compagni fidati. Loro sono le due corniole gemelle. >> disse lei, scortandoci nel giardino – proprio come la prima volta.
<< Non le sembra un po’ azzardato, Lady Gilbert, che qualcun altro sappia di noi? >> domandò Edward, cercando di mantenere il controllo.
<< Stefan e Damon sono innamorati di me, mio caro Edward. >> rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo << Non farebbero mai nulla che mettesse in pericolo la mia vita. Stefan, soprattutto. >>
<< E Damon? >> domandai, senza volerlo.
<< Damon mi ama a modo suo, ma ascolta sempre suo fratello. È una testa calda, lo ammetto, ma ha un buon cuore. >> non risposi. Li conosceva di certo meglio di me.
Raggiungemmo il giardino in silenzio e quando vi mettemmo piede, con gran sorpresa, trovammo Emmett e Rosalie.
<< Mi stai facendo male! >> urlò il primo.
<< Se tu sei un emerito deficiente, non è colpa mia! >> controbatté la seconda.
<< Scusami, tesoro? Deficiente? Sono un eroe! >>
<< Gli eroi non urlano come bambini, scimmione! >>
<< E questo chi te lo dice? >> domandò Emmett, visibilmente infastidito.
Quando si accorsero di noi, si diedero un tono.
Io ed Edward ci scambiammo un’occhiata perplessa, ma non chiedemmo nulla. Dovevano essere loro a parlare, o no?
<< Questo è colpa tua, nipote. >> disse Emmett, indicando la ferita al braccio.
<< Come? >> chiese Edward, notevolmente confuso.
<< Ti ho appena salvato da quell’uomo in nero, ricordi? >>
<< Oh, sì. Ehm, grazie… >>
<< Quanto tempo è passato per voi? >> chiese Rosalie, continuando a medicare il suo compagno.
<< Qualche settimana. >> risposi.
<< Deduco che i documenti che ti ho dato hanno svolto il loro compito. >> disse Emmett, rimettendosi la giacca scura << Ora ci credi? >>
<< Sì. >> rispose sincero Edward << Mi dispiace non aver capito tutto molto prima. >>
<< L’importante è che lo abbiaa capito adesso, Edward. >> replicò Rosalie, sorridendo gentile.
<< Come siete arrivati fin qui? >>
<< Abbiamo usato il vostro cronografo. >>
<< Quindi un cerchio è un chiuso. >> mormorò Rosalie, voltandosi verso Emmett.
<< Ma il conte non lo sa! >> si affrettò a spiegare Edward << Potete stare tranquilli. >>
<< Siamo tranquilli, ci fidiamo. >> rispose Rosalie.
<< Quando abbiamo chiuso il cerchio… >> cominciai, estraendo dal corpetto la piccola boccetta di vetro << Abbiamo trovato questa. >>
<< Per l’amor di Dio. >> disse Emmett, sgranando gli occhi << Sapevamo quello che sarebbe accaduto in teoria, ma questo è… >>
<< Prodigioso. >> concluse Rosalie.
<< Cosa succederà, adesso? >> chiese Edward, stringendomi la mano.
<< Raccontateci tutto quello che è successo. >> ci incitò Emmett, e lo accontentammo.
Parlammo di tutto, senza censure o riassunti; dicemmo tutto nel più misero e, forse, inutile dettaglio. Dall’idea del conte di manipolarmi affinché mi innamorassi di Edward, fino alla mia morte con tanto di resurrezione miracolosa. Non ne furono sorpresi, anzi. Emmett e Rosalie sapevano davvero più di quello che credevamo. Fare questo salto, a quanto sembrava, era risultata la scelta più saggia che avessimo potuto fare.
<< Il conte vuole l’immortalità del corvo, ma finché il cerchio di sangue non verrà chiuso, l’elisir non potrà manifestarsi. >> spiegò Rosalie.
<< È anche vero che, ora come ora, quell’elisir è solo acqua colorata. >> aggiunse Emmett << Finché la portatrice della magia del corvo resterà viva, quella bevanda sarà inutilizzabile. >>
<< Ecco perché voleva uccidermi. >> mormorai a voce piuttosto alta.
<< Ma non può ucciderla. >> replicò Edward, parlando ad Emmett e Rosalie << Alla soirée è morta, eppure è ancora viva. Bella non può morire. >>
<< Deve esserci un cavillo. >> parlò Emmett, più a se stesso che a noi << Qualcosa che ci sfugge, che non abbiamo mai colto o pensato. Ci deve essere un modo per ucciderla. >>
Quella frase mi fece trasalire. Stavano parlando come se io non fossi là con loro, come se non era la mia vita ad essere in pericolo. Mi vennero improvvisamente in mente le Parche.
Queste figure leggendarie della mitologia romana, corrispondenti alle Moire greche, tessevano le fila del destino di ogni uomo. Erano in tre, a svolgere questo compito: la prima filava il filo della vita; la seconda dispensava i destini, assegnandone uno a ogni individuo stabilendone anche la durata; la terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito. Le loro decisioni erano immutabili, neppure gli Dei potevano cambiarle.
<< Ehi… >> sussurrò Edward, risvegliandomi dai miei pensieri << Tutto bene? >>
<< Sì, sì… Ero solo un po’ sovrappensiero. >> risposi, sorridendogli mesta.
<< Quindi ci ho visto giusto. >> sghignazzò Emmett, gonfiamo il petto come un pettirosso << Siete proprio nella fase che si chiama “tubiamo come piccioni”! >> non feci in tempo nemmeno ad arrossire. Rosalie, con un colpo netto, lo spinse giù dalla sedia.
<< Principessa, sei pazza? Sono ferito! >>
<< Peccato che non ti abbiano colpito in bocca, tesoro. >>
Quando Lady Gilbert ci portò un vassoio con tea e biscotti, li accettammo volentieri. Parlammo ancora un po’ della faccenda del cerchio e dell’immortalità, ma nessuno ne venne a capo. Se c’era un modo per uccidermi, l’unico a conoscerlo era il conte di Saint Germain.
Quando Edward si rese conto che mancava poco al nostro salto di ritornò, salutò tutti velocemente trascinandomi per tutta Londra come un sacco di patate.
<< Edward, non riesco a correre con questo abito! >>
<< Resisti, ancora due svolte e raggiungiamo la posizione della villa! >>
Col fiato corto tenni duro, sperando di arrivare in fretta alla destinazione.
Atterrammo sul pavimento, al centro esatto della camera di Edward. Lui sotto ed io sopra. In effetti, quella posizione era ambigua oltre che imbarazzante.
<< Scusa, tutto intero? >>
<< Mai stato meglio in vita mia, Bella. >> rispose, facendo il suo solito sorriso sghembo, che mandava in brodo di giuggiole il mio stomaco e il mio cuore.
Dopo qualche minuto, mi alzai, offrendogli una mano in aiuto. Edward l’accettò, rimettendoci così in piedi.
<< Abbiamo ancora due ore, prima di essere alla loggia. >> disse Edward, guardando il grande orologio posto sopra la porta << Ti va di mangiare qualcosa? >>
<< Sinceramente no. >> risposi, sedendomi sul letto.
<< Abbiamo fatto bene a saltare, Bella. >> disse, raggiungendomi << Abbiamo messo insieme ancora più pezzi, tutto si risolverà per il meglio. >>
<< Ne sei sicuro? >> domandai, guardandolo in faccia << Pensaci… Lui conosce il modo per uccidere un immortale e prendere la sua immortalità. Sembra che, qualsiasi cosa facciamo, il conte sia sempre qualche passo avanti a noi. >>
<< Isabella, io non permetterò mai a niente e a nessuno di farti del male. >> parlò deciso, con un’intensità nuova che gli lampeggiava negli occhi << Sei la mia vita. Se dovessi morire pur di saperti in salvo, lo farei. Io morirei per te, Bella, anche mille volte. >>
<< Edward… >> non riuscii a controbattere, perché una cosa a cui non avevo mai pensato prima si materializzò prepotente nel mio cervello.
Non può essere!, pensai. Eppure, sembrava non esserci significato più giusto di quello.
<< Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella, l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta più bella. ¹ >> iniziai a recitare, alzandomi in piedi.
<< Bella, ma cosa… >>
<< Sappi dunque, una stella si consuma per amore, se sceglie liberamente di struggersi il cuore. ¹ >> conclusi, voltandomi per guardarlo in faccia << Non capisci? È quello il modo, Edward! E noi lo abbiamo avuto davanti agli occhi senza saper leggere tra le righe! >>
<< Calmati, di cosa stai parlando? >>
<< Devo essere io a togliermi la vita! >> urlai, facendolo indietreggiare << Se sceglie liberamente di distruggersi il cuore, non capisci? >>
<< Il suicidio. >> mormorò Edward, quasi privo di respirazione << Quando il rubino muore lui potrà cogliere la sua immortalità, ma non può rubarla. Devi essere tu a dargliela, liberamente. >>
<< L’unico modo per uccidere un immortale è che egli stesso decida di rinunciare alla sua immortalità. >> affermai, orgogliosa – e spaventata, al tempo stesso – di aver inserito l’ultimo tassello di quel maledetto puzzle.
<< Ma perché dovresti toglierti la vita volutamente? Non ha senso. >> disse Edward << Non c‘è motivo perché tu… >> si interruppe, arrivando a ciò che avevo già visualizzato io, qualche attimo primo << No, è impossibile. >>
<< Lo hai detto tu, Edward! >> urlai, sperando che capisse davvero quanto contava per me << Lo hai detto trenta secondi fa! Era tutto calcolato, tutto! Dovevi farmi innamorare di te, sì, ma non per plagiarmi. >>
<< Lui avrebbe cercato di uccidermi e tu ti saresti mezza in mezzo per salvarmi la vita. >>
<< Mi sarei fatta uccidere, per te. >> sussurrai, vedendo lo schifo di tutta quella ignobile macchinazione << E lo avrei deciso liberamente, per amore. Io avrei perso la mia vita per salvare la tua. Questo è pari al suicidio. >>
<< Tutti quegli assalti… >> cominciò Edward, tastando il letto per sedersici sopra.
<< Era tutto calcolato, organizzato, per non dare nell’occhio. >> proseguii, inginocchiandomi davanti a lui << Il conte voleva ucciderci fin dall’inizio. Nessuno avrebbe fatto domande se in un assalto avessimo perso la vita… In fin dei conti, non era di certo la prima volta che capitava. >>
<< Maledetto… >> quasi ringhiò << Maledetto bastardo! >>
<< Edward, calmati! Per favore… >> lo supplicai, accarezzandogli il viso << Non può farci niente, adesso. Non può più farci niente. >>
<< Può eccome, invece. >> rispose amaramente << Non capisci? Siamo innamorati, Bella. Lui è riuscito a spingerti tra le mie braccia. >>
<< Lui non mi ha spinto tra le tue braccia, razza di idiota. >> parlai dolcemente << Io sono tua perché voglio esserlo, perché mi sono innamorata di te. >>
Quando ci baciammo, capii che niente sarebbe andato storto. Certo, sarei potuta morire, ma se fosse successo, lo avrei fatto per salvare qualcuno che amavo davvero e che meritava il mio sacrificio.
Era un concetto assurdo, lo sapevo. Era del tutto irrazionale. Ma l’amore è irrazionale, pensai. Più ami qualcuno, più perdi il senso delle cose ².
Il bacio durò più del dovuto, e forse anche più del lecito. Era disperato, passionale, e in alcuni tratti perfino erotico. Percepivo sulla lingua il sapore di Edward che, dovevo ammetterlo, era afrodisiaco; una tentazione costante. La verità era che ero stanca di aspettare. Io volevo lui e volevo essere sua completamente. I giochetti del conte ci avevano fatto aspettare fin troppo tempo; ci avevano fatto soffrire più del dovuto. Era tempo di essere felici, insieme.
<< Sei sicura? >> domandò Edward, portatosi sopra di me sul suo letto.
<< Sì… Sì, sono sicura. >> tremai, conscia di quella rivelazione.
Non avevo nulla da temere con Edward. Lui aveva tutte le precauzioni che servivano ed era esperto… Oh, porca miseria!, pensai.
<< Aspetta! >> urlai, mentre lui stava abbassando il corsetto del mio abito novecentesco.
<< Cosa? Ci hai ripensato? >> chiese, e la mia attenzione fu catturata dal suo petto.
La camicia era ormai aperta, si vedeva tutto. Era chiaro che Edward facesse palestra tutti i giorni: i pettorali e gli addominali erano scolpiti. Il suo corpo – almeno la parte superiore, per il momento – ricordava in tutto e per tutto quello di un surfista professionista.
<< Io sono… Sì, insomma, non ho mai… Ma con quante ragazze sei stato, per capirci? >>
La mia domanda lo colse alla sprovvista, perché sgranò gli occhi verdi provocandomi brividi di terrore. Possibile che fossero così tante?
<< Che razza di domanda è? >> chiese, poi ci ripensò << D’accordo, capisco l’impellente bisogno, ma magari in un altro contesto, non credi? >>
In effetti, la situazione era imbarazzante. Edward si trovava semi nudo, sopra di me, ad armeggiare con il mio abito affinché ce ne liberassimo; io, sotto di lui, avevo tra le mani la sua camicia e stavo per togliergliela.
<< Dici? Secondo me è il momento adatto. Insomma, così saprò il tuo grado di esperienza. >> Edward scoppiò a ridere di gusto.
<< Sarò alla tua altezza, non preoccuparti! >> rispose, stampandomi un bacio sulle labbra << Non credo sia un dato da conoscere in questa situazione… Anche io vorrei sapere chi ti ha tenuta tra le braccia prima di me, ma… >>
<< Nessuno! >> urlai, coprendomi il viso con le mani per la vergogna. Che poi, quale vergogna? Ero orgogliosa di essere ancora vergine.
<< Non hai mai… >>
<< No. >> sussurrai << Per questo sono agitata, non capisci? Tu avrai avuto chissà quante ragazze e io sono totalmente inesperta! >>
<< Bella… >> sussurrò Edward, accarezzandomi il viso e scivolò sul letto << Fare l’amore con te sarebbe qualcosa di unico e speciale, una cosa che non ho mai condiviso con nessuno. >>
<< Ma tu hai detto che… >>
<< Era solo sesso. >> precisò, sorridendo leggermente << Ascoltami: quando sei coinvolto emotivamente il desiderio, l’attrazione, la prestazione… Tutto cambia, muta. Diventa qualcosa di più viscerale, non solo fisico. Ho fatto sesso con parecchie donne, ma non ho mai fatto l’amore con nessuna di loro. >>
<< Oh… >> sussurrai, sentendomi molto stupida.
<< Se non te la senti… >>
<< Io voglio! >> mi affrettai a mettere in chiaro la questione << Ma non so come si fa. Nel senso, so come si fa! Oh, santi numi! >>
Di tutta risposta, Edward scoppiò a ridere. Sembrava un bambino che aveva appena assistito alla scena più divertente di tutta la sua vita. Non sapevo se sentirmi offesa o meno, però.
<< Ti amo tantissimo, Isabella! E la tua innocenza è qualcosa che non si vede tutti i giorni. >> sussurrò, baciandomi con passione e amore, mentre le sue mani ripresero possesso del mio corpo.
Con maestria, Edward mi tolse l’abito, lasciandomi in intimo. Non avevo quello novecentesco, grazie al cielo! Avevamo pensato, infatti, di mettere solo ciò che era visibile per il salto nel 1912. E meno male!, pensai sollevata.
<< Sei stupenda… >> sussurrò, scendendo a baciarmi il collo, la gola e poi il decolté.
Avevo caldo. Molto caldo, troppo caldo.
Nonostante i nostri precedenti momenti intimi, non avevo mai sentito le sue labbra o le sue mani in quel modo sul mio corpo.
La sua lingua lambiva la mia carne come se fosse la pietanza più invitante a questo mondo. Lasciva, scendeva sul mio corpo appropiandosene avidamente. Quando percepii le sue labbra sul mio ombelico inclinai la schiena, urlando di piacere. Lo sentii sorridere, mentre lentamente mi faceva impazzire.
Piano, poi, mi accarezzò le cosce, mentre scivolava tra esse. Non mi ero mai sentita così eccitata. Lo slip che avevo indosso, oramai, era da buttare. Il tessuto, a contatto con la mia femminilità, cominciava seriamente a darmi fastidio… Sentivo un leggero bruciore, come se avessi l’impellente bisogno di sfregare le gambe.
Edward, molto probabilmente, se ne accorse.
Lentamente portò la sua mano sinistra sul mio centro. Lo accarezzò piano, ma con bramosia. I miei ansiti crebbero ed io continuai a gemere il suo nome.
<< Ed…ward… >> cercai di urlare, stritolando un cuscino che avevo adocchiato qualche attimo prima.
<< Sto cercando di controllarmi… >> parlò rauco, riportando il viso all’altezza del mio << Ma non riesco… Vorrei… Dio, vorrei divorarti, Bella… >> quelle parole mi fecero contorcere lo stomaco per l’eccitazione.
Capivo quel bisogno, e anche se era solo la mia prima volta riuscivo a percepire le voglie del mio corpo. È naturale…, pensai.
Con decisione, accarezzai le sue spalle, tracciando una linea lungo il suo braccio fino alla punta del dito medio. Afferrai la sua mano, già intrisa dei miei umori, e la lasciai scivolare sulla mia femminilità, sotto lo slip. Lo sentii irrigidirsi.
<< Io lo voglio… Ti prego, accarezzami… >> dovevo essere stata parecchio convincente.
Le dita di Edward cominciarono a muoversi esperte, ed io capii cosa significava rimanere davvero senza fiato. Raggiunsi l’apice, per la prima volta in tutta la mia vita, in quel modo.
Quando rimasi nuda, non provai vergogna. Edward aveva toccato una parte di me a cui mai nessuno si era mai avvicinato prima… Se non avevo avuto vergogna in quel momento, che senso aveva averla ora?
Ci ritrovammo in ginocchio l’uno di fronte all’altra e fu il mio turno di spogliarlo completamente.
Armeggiai con i suoi boxer scuri con goffaggine, ma l’atmosfera era troppo eccitata perché ridessimo. Quando lo librerai dall’ultimo indumento, arrossii.
Non ero una ragazzina di Chiesa, pura e totalmente immacolata. Non avevo esperienza, ma avevo visto, sentito e parlato di determinate cose. Sapevo cosa si nascondesse sotto l’intimo di un uomo… Vedere Edward così, però, mi fermò il respiro.
Baciai il suo corpo nudo, lasciandomi trasportare dal mio amore per lui. Quando lo sentii ansimare, però, un moto di soddisfazione mi pervase: gli stava piacendo ciò che gli stavo facendo.
Con un movimento deciso, Edward mi riportò sotto di lui, facendo toccare i nostri sessi. Sgranai gli occhi e aprii la bocca a causa dell’eccitazione. L’unica cosa a coprire i nostri corpi era il copriletto nero, intonato alla sua stanza.
<< Sentirai un po’ di dolore… >> sussurrò guardandomi negli occhi << Cercherò di fare il più piano possibile, te lo promesso. >> annuii, non sapendo come sarebbe uscita la mia voce e mi ancorai del tutto a lui.
<< Ti amo, Isabella. >> disse, prima di scivolare dentro di me.
La calma iniziale, lasciò posto ad una spinta decisa.
Urlai, più per il dolore che per altro. Ma quando quello cessò ed Edward riprese a muoversi, tutto ciò che sentii fu piacere, puro e semplice.
Eravamo diventati una cosa sola. Niente e nessuno ci avrebbe più divisi.

* * *

Era passato qualche giorno dalla mia prima volta con Edward, e tutto sembrava andare magnificamente.
Alla loggia niente e nessuno sospettava quanto in realtà, io ed Edward, sapessi sul conte di Saint Germain. Non ci furono più missioni, comunque. Almeno per il momento, come diceva spesso Mr. Saltzman. Non mi lamentavo.
Io e Edward passavamo i nostri pomeriggio ad amoreggiare in un scantinato di chissà quale epoca. Non potevamo sconfiggere qualcuno che era già morto e, a meno che non avesse concluso il cerchio, il conte era un pericolo che al momento non ci interessava.
<< Io comprendo che il sesso con Edward sia stellare, ma oltre ad amoreggiare e lasciare la vostra traccia erotica dappertutto, potreste anche cercare di capire cosa fare adesso, non ti pare? >> chiese Angela, prima di mangiare una forchettata di insalata.
<< Ci pensiamo, Angie. Ma non sappiamo cosa fare… Insomma, il conte vuole la mia immortalità, ma finché il cerchio non verrà chiuso non potrà averla. >>
Mi trovavo nella mensa della Saint Lennox High School, era ora di pranzo.
Nonostante il mio unico volere fosse quello di stare tra le braccia di Edward, avevo perso fin troppi giorni di scuola. Ragion per cui non potevo assentarmi oltre.
<< Un cerchio è chiuso, Bella. >> parlò Angela, risvegliandomi dai miei pensieri << Quello che avete trovato a casa dei Cullen. >>
<< Ma il conte non lo sa. Per lui quel cronografo è disperso chissà dove. >>
<< Il conte sembra essere sempre un passo avanti a tutti. Fossi in voi non mi siederei così tanto sugli allori. >>
Non potevo darle torto. Ma come avrebbe fatto una persona morta anni prima, anzi decenni prima, a scovare un oggetto che al momento era in mano nostra?
Le vie del tempo sono infinte, Bella, dovresti averlo capito.
<< Hai ragione, forse è meglio prendere delle precauzioni. >> dissi, alzandomi di colpo << Cerca Jasper, io vado a telefonare ad Edward! >> e corsi via.
Non mi resi conto, però, che Mr. Saltzman stava entrando in mensa, così gli finii completamente addosso. Il suo vassoio cadde, ma la zuppa di lenticchie non si rovesciò in testa a lui, bensì a me.
<< Oh, santo cielo! Isabella, mi perdoni! Non l’avevo proprio vista. >>
<< Colpa mia, Mr. Saltzman. Dovevo camminare non correre. >>
Solo in quel momento mi resi conto che tutta la scuola stava ridendo di me. Che stronzi!
<< Su questo non posso darle torto, Isabella. Questo è un istituto non un parco giochi. Ora vada a togliersi la zucca dai capelli, se tarderà alla lezione saprò dove si trova. >>
Lo ringraziai e mi incamminai verso i bagni.
Come tutto l’edificio anch’essi erano pregiati: marmo grigio piombo sia per terra che lungo i muri laterali; il soffitto era di un bianco splendente, esattamente come i sanitari di porcellana pregiata.
Lasciai scorrere l’acqua e afferrai il telefono, attivandone il vivavoce.
<< Pronto? >>
<< Pensi che ti piacerò ancora, interamente ricoperta di zuppa di lenticchie? >>
<< Non saprei. Non amo molto i legumi, però per te potrei fare un eccezione e leccarti tutta ugualmente. >>
<< Sei il solito maniaco, Edward! Prima o poi penserò che stai con me solo perché a letto sono una bomba. >> scherzai, arrossendo. Fortuna che non poteva vedermi.
<< Miss Swan, che passi avanti! Complimenti. >>
<< Grazie… >> risposi, cercando di ripulirmi al meglio.
<< Come ha fatto a finirti addosso una zuppa di legumi? >> domandò, qualche attimo dopo.
<< Stavo uscendo dalla mensa, ma non ho guardavo dove mettevo i piedi. Mr. Saltzman stava entrando ed eccomi diventata una lenticchia. >> risposi, storcendo le labbra.
Avevo un aspetto orribile! I capelli, quella mattina lisci e setosi, avevano una poltiglia verde ovunque; la mia uniforme, poi, era più sporca del bavaglino di un bambino pasticcione. Come avrei ripulito tutto quel casino con semplice acqua e sapone? L’odore, poi, era disgustoso!
<< Vuoi che ti porti qualcosa? >> chiese il mio interlocutore, spiazzandomi.
<< Come? >>
<< Hai capito. >> rispose e mi parve di vederlo sorridere << Avevo già in mente di passare a prenderti, così facciamo quel salto che volevi fare – di cui ancora non mi hai spiegato nulla. >> specificò << E poi andiamo alla loggia, per non destare sospetti. >>
<< Giusto, il solito salto. >>
<< Già. Non che tu ne abbia bisogno, ormai. Praticamente stiamo viaggiando nel tempo anche più del dovuto. >>
<< Credi sia per questo che ho sempre mal di testa? >> domandai, cercando di togliermi qualche dubbio.
<< Sì. Anche io ho forti emicranie di recenti… So che il massimo consentito dei salti giornalieri è di cinque ora per i portatori maschi, più o meno, e tre e mezza per le portatrici femmine. >>
<< Noi quanto viaggeremo? Sei, sette ore al giorno? >>
<< Anche di più. >> rispose, tirando un sospiro esausto.
<< Accetto l’offerta, comunque. >> dissi di punto in bianco, avevo una voglia di vederlo indescrivibile! << Tra quanto pensi di essere qui? >>
<< Il tempo di passare da casa tua e venire all’istituto, mmm… Una ventina di minuti. >>
<< La pausa pranzo finisce tra esattamente tredici minuti e quaranta secondi. Il signor Saltzman ha detto che mi concede un po’ di tempo per riparare al danno-lenticchie. >>
<< Schiaccerò un po’ di più sull’acceleratore, allora! Arrivo, ti amo. >>
<< Ti amo anche io. >> risposi, mandando un bacio volante.
L’amore cominciava a farmi diventare stupida. Sorrisi, però, non avendo mai provato niente di più bello.

Esattamente quindici minuti dopo, qualcuno bussò alla porta del bagno.
<< Occupato! >> urlai, ma non avevo alcuna intenzione di uscire conciata in quel modo.
<< C’è una consegnata per te. >>
<< Edward!? >> squittii eccitata, rivalutando la questione di “uscire conciata in quel modo”.
Dovetti frenare l’impellente bisogno di buttarmi tra le sue braccia.
<< Ehi, sei proprio un disastro. >>
<< Sempre gentile, vedo. >> risposi, facendogli una linguaccia.
<< Ma sei sempre stupenda. >>
<< Ruffiano! >> lo presi in giro, socchiudendo gli occhi << Cos’hai per me, allora? >>
<< Tua zia Jenna mi ha dato la tua divisa di riserva, lo shampoo e anche un phon portatile. >> alzai un sopracciglio, pensando mi stesse prendendo in giro.
Quando tirò fuori tutto da un borsone piuttosto grande, capii che era serio.
<< Wow. Mia zia Jenna è veramente pazza! >>
<< Dai, metti la testa nel lavandino, ti aiuto. >>
<< So lavarmi da sola! >>
<< Non mi sembra di aver sentito lamenti ieri nella doccia… >> la buttò lì, fischiettando tranquillo.
<< Edward Cullen, sei… >>
<< Un figo da paura? Sì, lo so. Ora piegati. >>
Ci fissammo per alcuni secondi, consci del doppio senso dell’ultima frase. Stare con Edward mi stava trasformando una persona maliziosa.
Dopo qualche discussione, vinse lui.
La situazione, però, era parecchio ambigua: mi ritrovavo piegata, con le mani ancorate alla porcellana bianca, la testa sotto il getto di acqua bollente, mentre Edward massaggiava la mia cute, stando dietro di me. La gonnellina dell’uniforme scolastica, ci avrei giurato, stava sicuramente mettendo in mostra qualcosa.
<< Hai finito? >>
<< No, aspetta un attimo. >>
<< Cosa, scusa? >> domandai, non trovando motivi validi per i quali restare ancora piegata in un lavandino.
<< Sto cercando di capire se lo slip è color glicine o un panna-rosata. >>
<< Edward! >> strillai, alzandomi di colpo.
Il ragazzo di fronte a me, di tutta risposta, scoppiò a ridere di gusto, orgoglioso della sua poca sanità mentale. Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi in che relazione fossi andata a cacciarmi.
<< Dammi il resto della roba, mi cambio. >>
Edward tirò fuori la divisa e me la passò, cercando una presa accessibile nel bagno. Dubitavo ce ne fossero. In fin dei conti, era un bagno di scuola.
<< Credo che tu non possa utilizzare il phon, Bella. >>
<< Lo sospettavo… >> risposi, infilandomi in uno dei veri e proprio bagni << Non credo sia concesso alle studentesse portare piastre o phon… Quindi non servono nemmeno gli attacchi. Li lascerò asciugare così. >>
<< La giornata è fredda, Bella, rischi di prenderti un raffreddore. >>
<< Non posso farci molto. >> risposi, rinchiusa nel mio angolino << Non posso di certo tornare a casa, ho perso troppi giorni. >> mi allacciai anche l’ultimo bottone della camicia e uscii, infilandomi la giacca.
<< Forse dovremmo riscaldare un po’ l’atmosfera… >> propose, facendo scivolare le mani sui miei fianchi e le labbra sul mio collo << Cosa ne dici? >>
<< Mmm… >> mugugnai, sentendo lo stomaco già contorcersi.
<< Lo prendo per un sì. >> disse, leccandomi fin dietro all’orecchio, mentre indietreggiai – con lui al seguito – fino a sbattere contro il muro.
Portai le mani sulle sue spalle, ora libere dal pesante giubbotto di pelle beige, e lo accarezzai avidamente. Edward, più che bramoso, cominciò a sbottonare la mia camicetta, lasciando baci lascivi sul mio decolté.
Il respiro si stava facendo affannoso, e per una frazione di secondo mi dimenticai di essere in piedi, in un bagno, ma soprattutto a scuola.
Le mani del mio ragazzo, ad un certo punto, lasciarono perdere i bottoncini della mia camicia e si spostarono sulle mie cosce, risalendo vertiginosamente sotto la gonna a scacchi. Nel frattempo, le mie, cominciarono ad armeggiare con la cintura dei suoi jeans.
<< Isabella, volevo sapere se aveva bisogno di… >> parlò qualcuno, entrando nel bagno delle ragazze.
<< Oddio, professor Saltzman! >> urlai, spingendo via Edward e coprendomi alla bene e meglio con la camicia aperta.
<< Isabella, noto che sta bene. Edward, che piacere vederla. >>
<< Mr. Saltzman. >> lo salutò, appoggiandosi al lavandino.
<< Cosa ci fa qui? >>
<< La zuppa di lenticchie! >> urlai, cercando di non apparire troppo imbarazzata.
<< Come? >>
<< Le serviva un cambio e sono passato da casa sua per prenderglielo. >> spiegò Edward, strofinandosi il mento.
<< Non le ha dato solo un cambio, da quel poco che sono riuscito a scorgere entrando. >>
<< Con tutto il rispetto, Mr. Saltzman, ma non credo che questi siano affari suoi. >> ribatté Edward, scattando di qualche passo.
<< Infatti, mio caro. Ma siete comunque nella mia scuola, e vi stavate intrattenendo nella mia ora di lezione. Fuori di qui sarete anche dei viaggiatori del tempo, ma qui dentro e in questo momento, siete solo due ragazzini irresponsabili di cui uno non dovrebbe nemmeno esserci e l’altra dovrebbe essere, invece, presente alla mia lezione. >>
Notai le nocche di Edward serrarsi, fino a formare un pugno. Quello era il suo problema: quando si sentiva messo con le spalle al muro, attaccava per non essere attaccato.
<< Ha ragione. >> intervenni, raggiungendo Edward per bloccargli la mano << Ci scusi. Sono davvero imbarazzata. Anzi, lo siamo. Il nostro comportamento è stato inqualificabile, ci scusi. >>
<< Farò finta di niente, per questa volta. >> spiegò il professore << Ora, però, ricomponetevi. Isabella, la aspetto in classe tra cinque minuti, se tarderà anche solo di mezzo minuto andrò dal preside. Edward, lei vada a casa! Non ha il permesso di stare qui. Ci vediamo alla loggia più tardi. >> e senza darci il tempo di rispondere, girò i tacchi e se ne andò.
<< Credo che dovremmo dargli retta. >> sussurrai, un po’ imbarazzata.
<< Sì, forse hai ragione. >> rispose Edward, prendendo la mia divisa sporca e rimettendo tutto nel borsone << Non volevo metterti nei casini, scusami. >> proseguì, baciandomi velocemente << Va’ in classe, ci vediamo tra un’ora. >> concluse, poi, afferrando la giacca e sparì.
Decisi di ricompormi anche io. Mi riabbottonai la camicia, infilai la giaccia e sistemai i capelli in una crocchia alta, ben stretta. Mi sciacquai la faccia, sperando di togliermi di dosso l’accaldamento di poco prima, e mi diressi velocemente nella’aula di Storia.

Finalmente, anche quella giornata scolastica era giunta al termine. Edward, come aveva promesso, era passato a prendermi per andare da lui. Prima della solita trasmigrazione di routine, infatti, c’era una cosa che desideravo fare.
<< Allora, vuoi dirmi in cosa consiste questo salto? >> domandò il mio compagno, buttandosi supino sul letto.
<< No, perché se te lo dicessi non me lo lasceresti fare. >>
<< Questo sì che è incoraggiante, Bella. >> rispose, alzando un sopracciglio.
Sapevo che era vietato cambiare il corso degli eventi. Una delle regole del conte era che nessuno, mai, avrebbe dovuto usare i viaggi nel tempo per cambiare un evento già accaduto. Ma se lui poteva farlo, anzi aveva organizzato proprio tutto per farlo, perché io non avrei potuto?
<< Edward, come si sistema il cronografo? >>
<< Dimmi, faccio io. >> propose, alzandosi, ma lo bloccai.
<< No! Conoscendoti appena scopri la data parti in quinta con la paternale. >> dissi, facendolo sbuffare.
Dopo più di mezzora, finalmente, riuscii a sistemare il cronografo alla data interessata: 14 Gennaio 2002. Avevo impostato il salto affinché non durasse più di un’ora. Avevo tutto il tempo del mondo, comunque. Speravo solo che il mio piano funzionasse. Insomma, quanto sarebbe potuto essere complicato introdursi ad una festa di bambini?
<< Allora, sei pronta? >> domandò Edward, dietro di me.
<< Quando vuoi. >>
Come di consueto, le lancette dell’orologio incastonato in cima alla cassa di legno, cominciarono a girare. La stanza venne inondata prima da un bagliore bianco e poi da uno rosso. La solita vertigine mi comunicò che c’eravamo quasi, e quando non percepii più niente attorno a me, compresi che il salto era effettivo.
Stavo per cambiare il passato.
Atterrammo nella stanza di Edward, che era pressappoco come adesso. Forse c’era qualche poster in più.
<< Ma dove… >> parlò, guardandosi intorno << Fortuna che non ero in camera mia. >>
<< Perché ti sorprendi? Hai sempre detto che avevi mille impegni. >>
<< Già… >> assentì, assumendo un’aria non molto felice.
<< Ehi… >> gli dissi, accarezzandogli una guancia << Ora sarà tutto diverso, non temere. >> alzò lo sguardo, incatenandolo al mio, e mi sorrise.
<< Non c’è tempo, Edward. Dobbiamo sbrigarci! Ho impostato il salto a un’ora, ciò significa che abbiamo venti minuti per arrivare alla casa del dottor Black. >>
<< Del dottor Black? Ma cosa… >> stava per domandò, prima di capire << Tu sei fuori di testa! Non sai cosa porterebbe il salvataggio di Jacob! >>
<< Billy Black è stato l’unico a cambiare idea su di me, Edward! Ho conosciuto Jake e… >>
<< Cosa? Come? >>
<< Ti spiegherò un’altra volta questo piccolo particolare, ma il punto è che il dottor Black nell’ultimo periodo è stato gentile con me. Ha cambiato opinione su di me, senza che nessuno gliela facesse cambiare o gli imponesse di farlo, e mi ha aiutato nei miei momenti bui! Io glielo devo, Edward. >>
<< Non si può cambiare così tanto il passato, Bella. >>
<< Era un bambino, santo cielo! Cosa credi che potrebbe comportare il salvataggio di un bambino? Forse renderà il dottor Black una persona più serena e tranquilla. Edward, ti supplico, aiutami a salvare Jacob. >>
I secondi passarono come se fossero minuti, e questi ultimi come se fossero state ore. Edward mi fissava negli occhi, ma percepivo il suo conflitto interiore. Aiutarmi o no? Nonostante tutte le macchinazioni del conte, il mio ragazzo, aveva ancora a cuore le regole che vigevano sulla loggia.
<< D’accordo. >> disse infine, chiudendo gli occhi << Ma è la prima e ultima volta. Mi hai capito, Bella? >>
<< Grazie, grazie, grazie! >> urlai, gettandogli le braccia al collo << Ti amo, grazie! >>
<< Ti amo anche io, ma non te ne approfittare troppo. >> mi baciò e ci calammo dal balcone, cercando di fare il più in fretta possibile.
La villetta del dottor Black non era immensa come pensavo. Era una casa piuttosto sobria, di un colore rosso-aranciato, realizzata su due piani. Il giardino, in compenso, era smisurato.
<< Non ero mai stato a casa Black. >>
<< Figurati io. >> risposi, sentendo le grida dei bambini.
Attorno alla grande piscina, tutta ricoperta di palloncini colorati, una dozzina di bimbi di sei anni urlavano come pazzi. Non ci volle molto a scorgere Jacob.
Era esattamente come lo vedevo adesso, anche gli abiti. Capelli neri, proprio come gli occhi, e un sorriso da dieci decibel. L’allegria fatta a persona, insomma.
Poco dopo, mi accorsi di una donna accanto a Billy Black.
<< Chi è quella? >> domandai.
<< Quella è la moglie del dottor Black, Sue. >>
<< Il dottor Black ha una moglie? >> chiesi, non sapendone niente.
<< L’aveva. >> rispose Edward, sottolineando il verbo << Dopo la morte del loro unico figlio lo lasciò. Non riusciva a sopportare la perdita del suo piccolo Jake… Credo sia stato anche questo ad indurire così tanto il dottore. In fin dei conti, chi non cambierebbe con un passato del genere? >>
Non risposi. Soprattutto perché la risposta era ovvia: era stato un miracolo che non si fosse impiccato o chissà cos’altro, quell’uomo. Non solo la morte gli aveva portato via un figlio in tenera età, ma aveva anche perso l’amore della sua vita.
<< Bella, sei sicura di volerlo fare? >>
<< Sì, Edward, sono più che sicura. >>
<< Pensaci ancora un attimo, fallo per me. >> supplicò, afferrandomi per le spalle e mi costrinse a voltarmi verso di lui << Questa storia fa schifo, lo so anche io. È ingiusta e dannatamente triste. Ma è un fatto. È qualcosa che è successo, che ha reso il dottor Black chi è adesso. Capisci la potenza delle nostre azioni? Se salvi quel bambino, potremmo tornare ad un futuro che non riconosceremo, perché le esperienze influenzano le persone. E questa disgrazia ha influenzato l’intera vita di Billy. >>
Quando sentii le urla proveniente dalla giardino, però, capii che non me ne fregava assolutamente niente del futuro. Quello era il mio presente e dovevo salvare Jacob prima che fosse troppo tardi.
Scavalcai il cancello, seguita da Edward, e mi catapultai in acqua. Non ero una provetta nuotatrice, anzi, si poteva benissimo dire che ero una frana a nuotare, ma non c’era tempo di pensare allo stile. Mi gettai per afferrare Jake e poi lo passai ad Edward, afferrandomi ad un materassino gonfiato appena.
<< Non respira, Bella. >> sentii dire ad Edward, cercando battiti che non sentiva.
<< Fagli il massaggio cardiaco! Tu sai farlo! >>
Non me lo fece ripetere due volte.
Mentre Edward cercava di rianimare Jacob, le urla dei bambini, spaventati, stavano diventando insopportabili. Sue cercò di calmarmi, ma si vedeva dagli occhi che l’unico suo desiderio era quello di stare rannicchiata vicino al suo bambino.
Quando tutto sembrava ormai perso, Jacob tossì, sputando fuori acqua e cloro. Fu in quel momento che arrivò Billy. Raggiunse il giardino giusto in tempo per fissarmi negli occhi e ringraziarmi in silenzio.
<< Papà, mamma? >> parlò il piccolo Jake, scoppiando a piangere.
<< Tesoro mio! >> urlarono entrambi, stringendolo forte a loro.
<< Dobbiamo andare via, Bella! >> mi strattonò Edward, affinché mi alzassi << Bella? Dobbiamo andare via! >>
Afferrai la mano di Edward e lo seguii, lasciandomi tirare a più non posso. Dovevamo raggiungere casa Cullen prima del salto.
Tutto andò a buon fine, fortunatamente. Io ed Edward – a causa mia, ovviamente – avevamo già infranto fin troppe regole, quel giorno. Ero contenta di non essere sparita in mezzo ad una strada gremita di gente.

* * *

I giorni passavano lenti, a volte; altre volte, invece, trascorrevano così velocemente che mi domandavo se qualcuno non si fosse messo a giocare col tempo.
Quando Edward aveva parlavo di cambiamenti non scherzava, però. Billy Black, da quando eravamo tornati del 2002 per salvare Jacob, era un’altra persona. Più sorridente, più accomodante, meno burbero… Mi aveva presa sotto la sua ala, e quando chiesi perché mi trattasse come una figlia, rispose che il motivo era che lui sapeva. Non aveva mai dimenticano il volto della ragazza dai capelli nocciola che, al sesto compleanno di suo figlio, aveva sventato una tragedia. Quando la vide entrare nella loggia, in un tempo e modo che non potevo ricordare, capì subito quel che era accaduto. Il rubino aveva fatto qualcosa per lui, e lui avrebbe fatto qualcosa per il rubino.
<< Ti ha detto altro il dottor Black? >> chiese Edward, svegliandomi dai miei pensieri.
<< Non proprio. Ha detto che sta indagando ancora, comunque. >>
Eravamo appena tornati al presente. Causa: solita trasmigrazione pomeridiana. Cominciavo a non poterne più.
Tutte le sere, o quasi, andavamo da Lady Gilbert affinché incontrassimo Emmett e Rosalie. Molto spesso Edward vi andava da solo, ma mi dispiaceva. Aumentavamo notevolmente le nostre ore di trasmigrazione e questo, purtroppo, affaticava considerevolmente i nostri corpi.
<< Bella, Edward! >> ci sentimmo chiamare, passando davanti allo studio di Billy.
<< Sì? >> dicemmo entrambi, voltandoci.
Davanti a noi c’era un ragazzo di quasi sedici anni. Era alto, molto per la sua età, muscoloso e parecchio bello. I capelli, tenuti a spazzola, erano di un nero innaturale, così come gli occhi; la pelle era ambrata, gli donava un look sempre abbronzato.
<< Papà vuole parlarvi, mi ha detto di chiamarvi. Sta parlando con Esme, adesso, ma mi ha pregato di “sequestrarvi” non appena vi avessi visto. >> concluse, sorridendo.
Jacob Black, diventato ormai un adolescente, era la mia soddisfazione più grande.
<< Come va, Jake? >> domandò il mio ragazzo, stritolandogli il collo sotto l’ascella.
<< Ora direi male, Eddy! Mi prendi sempre alla sprovvista! >>
Non riuscivo a capire chi dei due fosse davvero l’adolescente, però.
<< Scusate il ritardo, ragazzi! >> disse il dottor Black, urlando e chiudendo la porta.
<< Non preoccuparti, Billy. >> risposi, visto che non voleva più essere chiamato dottor Black – perlomeno da me.
<< Ci porti buone nuove? >> domandò Edward che, dopo lo scetticismo iniziale, gli diede completa fiducia.
A perseguire la nostra causa, ora, non c’erano più solo Angela, Alice e Jasper, ma anche la famiglia Black.
<< Più che buone, Edward! >> parlò eccitato, porgendoci un foglio << All’interno c’è l’indirizzo di Madame d’Urfé! >>
<< La compagna di viaggio del conte? >> chiese Edward, afferrando il foglio.
<< Esattamente. Ho scoperto, grazie a Jacob che ha fatto qualche ricerca, che la cara Bonnie Bennett non amava particolarmente il conte. Tra loro, infatti, c’era molto astio. Pare, perfino, che la giovane donna venne a conoscenza di un particolare importante, riguardante il segreto del segreto. >>
<< Ma questo già lo sappiamo. >> intervenni << Il segreto del segreto è la mia immortalità, che il conte vuole rubarmi uccidendomi. >>
<< Il conte spera che tu ti uccida, più che altro. >> precisò Jake << Essendo immortale non può toglierti la vita, a meno che non sia tu stessa a volerlo. >>
<< Questo lo sappiamo, ma stiamo cercando di scoprire come intenda agire, no? E quale persona meglio della compagna dello smeraldo potrebbe aiutarci? >>
Scambiai una veloce occhiata con Edward, il quale assentì impercettibilmente. Capii al volo le sue intenzioni: 1700, stiamo arrivando!, pensai.
Salutammo di gran fretta, chiamando Alice di volata. Avevamo bisogno di un travestimento, e anche alla svelta.
La piccola Brandon, come veniva sempre chiamata da Edward, non ci deluse. Riuscì a recuperare due abiti – neanche tanto sfarzosi – e li portò a casa Cullen. Molto probabilmente, ci mettemmo più tempo noi a cambiarci che lei a portare lì tutto.
Le strade della Londra settecentesca erano notevolmente diverse da quelle di oggi. Non c’erano automobili, ma carrozze, e la gente andava in giro come se fosse sempre pronta per una grande soirée. I bambini giocavano allegri nelle piazze della città, e il loro grande cuore – nonostante la grande povertà che li accompagnava quotidianamente – li ripagava di tutto. Storia diversa riguardava i ricchi, purtroppo.
<< La casa di Madame d’Urfé è qualche traversa più avanti della loggia. >> disse Edward, tagliando per un vicoletto buio.
<< Che fortuna. La prossima volta che facciamo questi salti, perché non andiamo direttamente nel posto interessato con la tua macchina e saltiamo da lì dentro? >>
<< Tesoro, in macchina salterei addosso più a te che ad altro. >>
<< Sei… >> non riuscii a finire la frase che qualcuno mi chiamò alle spalle.
<< Bella? Cosa ci fai tu qui? >>
Quando vidi chi era il mio interlocutore, per poco non mi venne un infarto.
<< Oh, cazzo. >> disse Edward, accanto a me << Ecco perché mi sembrava famigliare questo posto! >>
<< Come? Ma cosa stai dicendo? >> chiesi, prima che l’altro ragazzo cercò di raggiungermi.
<< Bella? Cosa stai facendo? Come hai fatto a venire fin qui? >>
Quello che successo dopo mi lasciò senza fiato.
Il ragazzo, che riconoscendomi aveva provato a raggiungermi, era stato colpito alla testa da Edward. Facendo il punto della situazione, quindi, mi ritrovavo in mezzo a due Edward Cullen: uno steso a terra, ferito, l’altro in piedi, davanti a me.
<< Ma sei completamento impazzito? >> gli domandai, accasciandomi a terra.
<< Non poteva vederci. >>
<< Oh, santo cielo! Ti sei colpito da solo! >> urlai, ricordandomi quell’assurda discussione avvenuta alla loggia, mesi prima << Hai accusato me e invece ti sei colpito da solo! >>
<< A quanto pare… >>
<< Prepara delle scuse epiche, Cullen. >> gli comunicai, facendolo sorridere.
<< Coraggio, andiamo. >>
<< Ma non possiamo lasciarlo così. >>
<< Si riprenderà, era solo un colpo in testa. >> affermò, trascinandomi via, mentre l’Edward del passato giaceva a terra privo di sensi.
Raggiungemmo la casa di Lady Bennett subito dopo. Non persi tempo a guardarla, però. In quel preciso momento, l’architettura Settecentesca non rientrava nei miei interessi.
Come al solito, ad aprirci venne un maggiordomo. Differentemente dalle altre volte, però, questo non fece troppe storie. Tutto il contrario: ci invitò ad entrare, facendoci aspettare nel salotto, dopodiché scomparve per chiamare Madame d’Urfé.
<< Speriamo si sbrighi. >> mormorò Edward, guardando l’orologio da taschino.
<< Quanto tempo abbiamo? >>
<< Poco più di un’ora e mezza. >> rispose, guardandomi preoccupato.
Iniziai a pregare che la padrona di casa si sbrigasse a fare la sua entrata in scena.
Nemmeno finii di elaborare il pensiero che Bonnie Bennett, nota a tutti come Madame d’Urfé, ci raggiunse.
<< Mi hanno avvisato di avere ospiti. >> parlò, avvolgendosi uno scialle di organza intorno alle spalle << Chi siete? >>
<< Mi chiamo Anthony Roberts e questa è la mia sposa, Marie Stewart. >>
<< Molto lieta. >> dissi, facendo un leggero inchino.
<< E cosa ha portato due giovani così a modo in casa mia? >>
<< Vorremmo parlarvi dello smeraldo. >> rispose Edward, senza troppe cerimonie.
<< Il mio caro amico Aro… >> parlò la donna, assumendo un’aria pensierosa, indicandoci una stanza più spartana e accogliente << Cos’ha fatto questa volta? >>
La seguimmo, e mentre Edward narrava la storia a grandi linee, io ne approfittai per studiarla un po’.
Era di una bellezza sopraffina, più elegante di quella di Lady Gilbert sicuramente. I capelli, lunghi e lucenti, erano biondi – esattamente come tutti quelli della discendenza femminile – gli occhi, avevano un acceso color verde mare, tendente al celeste. Era magra e slanciata, indubbiamente bellissima.
<< Vorremmo sapere come farà ad uccidere il rubino, essendo egli immortale. >>
<< E perché, se lo sapessi s’intende, dovrei dirlo a voi, giovanotto? >> domandò Madame d’Urfé, sorridendo gentile << Non fate parte del cerchio, o c’è qualcosa che state omettendo? >>
<< Con tutto il rispetto che meritate, Madame d’Urfé, non vi conosciamo abbastanza per dirvi tutto. >> ribatté Edward, facendola sorridere nuovamente.
<< Ed io non conosco voi abbastanza per dire ciò che so. >>
<< Avete ragione. >> intervenni, cercando di salvare il salvabile << Non vi conosciamo e voi non conoscete noi. Ma sappiamo che tra voi e lo smeraldo non corre buon sangue, anzi. Noi abbiamo le prove che le azioni di quell’uomo sono deplorevoli, perciò le parole stanno a zero! Avete due strade davanti a voi: essere fedele ad un uomo abbietto, oppure fidarvi di noi e dirci ciò che sapete. >>
I minuti passarono, ed io speravo che parlarle a cuore aperto fosse servito a qualcosa. Bonnie Bennett mi fissava con i suoi occhi da felino in modo quasi viscerale, era come se riuscisse ad oltrepassare le barriere del corpo e riuscisse a leggermi nella mente. Sperai che quello che stava cercando, qualsiasi cosa fosse, l’avrebbe portata a fidarsi di noi.
<< Aro userò suo figlio per arrivare al rubino. >> parlò la donna, dopo aver fatto un profondo respiro.
<< Come? >>
<< Suo figlio? >> domandò Edward, invece.
<< Ha messo incinta una donna, qualche mese fa. Il suo intento è quello di mandare il suo erede nel nuovo mondo. Il bambino sarà speciale, esattamente come suo padre. Avrà il gene del viaggio nel tempo… Quando il cerchio verrà chiuso e il rubino verrà ucciso, il figlio di Aro farà la sua comparsa. Prenderà il cronografo, una volta liberato il segreto del segreto, dopodiché tornerà indietro da suo padre, affinché egli diventi immortali. >>
Restammo in silenzio. Per la prima volta, da quando questa storia era iniziata, né io né Edward sapevamo cosa dire. Un figlio…, pensai. Possibile che il figlio del conte ci stesse controllando e nessuno di noi se ne fosse mai accorto?
<< Il rubino non può essere ucciso, come già sapete. In esso si racchiude il dono più potente di tutti: l’immortalità. Colui che lo possiede deve rinunciarvene spontaneamente, è l’unico modo per ucciderlo realmente. Ciò che Aro ignora, ed io ho scoperto per puro caso, è che non importa uccidere realmente il portatore dell’immortalità in quanto mentre egli è nel confino tra i vivi e i morti essa può essergli sottratta. >>
<< Cosa? State scherzando? >>
<< Come vi permettete?! >> chiese la donna ad Edward, scattando i piedi << Pensate realmente che mi metterei a scherzare su argomenti così importanti?! >>
<< No, il mio compagno ha sempre questi scatti un po’ imbecilli. >> sussurrai, dandogli una gomitata << Vorremo ringraziarvi di cuore, Madame. Questa chiacchierata c’è stata davvero molto, molto utile. >>
Salutammo Madame d’Urfé in fretta e ci dirigemmo di corsa verso la loggia. Il tempo era passato più in fretta del previsto, non saremmo mai riusciti a tornare a casa di Edward in tempo.
<< Poteva sapere altro! >> urlò Edward, mentre correvamo tra le vie di Londra.
<< Anche se fosse, non ci avrebbe detto molto dopo la tua sparata! >>
<< Mi sono solo spaventato, Bella! Forse dovremmo tornare là. >>
<< Per fare cosa? Sparirle davanti agli occhi? Se abbiamo cinque minuti di tempo per raggiungere Temple è tanto! >>
<< Da quando sei diventata così attenta? >> domandò, sghignazzando.
<< Ho imparato tutto da te! E ora muoviamoci! >>
Entrammo dal retro, sperando che nessuno ci vedesse. Dovevamo raggiungere una delle stanze al più presto.
<< Perché non c’è il solito via vai? >> domandai a bassa voce, mentre ci aggiravamo tra i corridoi della loggia.
<< L’edificio è stato avviato da poco meno di un anno, la sicurezza non è ancora come quella del 2011. >> rispose, nel mio stesso modo, guardandosi guardingo intorno << Quella dovrebbe essere l’attuale sartoria. Presto, vieni! Il massimo che succederà sarà saltare in una stanza vuota. >>
<< E se c’è qualcuno? >> chiesi, afferrando la sua mano.
<< Alice chiude sempre la porta a chiave. >> spiegò << È gelosa delle sue creazione e non vuole correre il rischio che vengano rovinate. >>
Senza più proferire parola, lo seguii. Mancava meno di un minuto al salto e già avevo lo stomaco sottosopra.
Puntuale come un orologio svizzero, la vertigine ci colpì a pochi secondi di distanza l’uno dall’altra. Il pavimento scomparve da sotto i miei piedi e mi sentii sollevare in aria.
<< Bentornati, ragazzi. >> disse qualcuno, quando la trasmigrazione incontrò la sua fine.
Ci voltammo in fretta, riconoscendo la voce che ci aveva sorpresi alle spalle. Era fredda, più gelida del normale; trasudava divertimento e senso di vittoria.
<< Ho cominciato a capire che c’era qualcosa che non andava qualche giorno fa, e il vostro tête-à-tête ha confermato i miei sospetti. >> disse, standosene comodamente seduto in poltrona a fumarsi un sigaro << Ho, quindi, fatto un saltino dal mio vecchio… Tanto per capire se fosse tutto apposto. Ho saputo, così, che una coppia bizzarra era andata a parlare con la compagna di viaggio di mio padre, qualche mese antecedente alla mia nascita. Ho fatto due più due, e una volta intercettati Emmett e Rosalie, sotto l’ala protettrice di Lady Gilbert, sono venuto a capo di tutto: loro vi hanno dato il primo cronografo e voi lo avete utilizzato per viaggiare nel tempo a mia insaputa. Mio padre è stato molto stupido… Insomma, credeva davvero che una volta venuto a conoscenza del dono immortale ti avrei uccisa per darlo a lui? Che sciocco bigotto. >> continuò, scoppiando in una risata assordante << Emmett non aveva alcuna intenzione di collaborare, così ho dovuto ricattarlo con tua cugina. È esattamente come il tuo giovane amante… Toccagli la ragazza e canta come un uccellino. >>
<< Cosa diavolo hai fatto a Rosalie?! >> urlai, morendo di paura.
<< No, no, no… La domanda non è cosa ho fatto a lei, ma cosa sto per fare a te. >>
<< Non ti azzardare a toccarla, bastardo. >> lo minacciò Edward, nascondendomi dietro al suo corpo.
<< Siete così patetici. Tutti a difendere tutti… Quando capirete che dovete difendere solo voi stessi? Emmett vi ha sacrificati, vi ha venduti! Dicendomi tutto quello che volevo sapere. Mi ha perfino dato il suo sangue, e tutto perché? Perché non piantassi un coltello nel cuore della sua amata Rosalie. >> si alzò, brandendo una pistola nera con silenziatore << Che idiota. >>
<< Lo avrei fatto anche io. >> sibilò Edward << Se avessi dovuto scegliere tra Isabella e una parola data avrei scelto la prima, sapendo che avrebbero capito. >>
<< E mio padre confidava davvero in te? >> chiese, inclinando la testa di lato << Sei proprio un perdente, Edward Cullen. >> concluse, sparando un colpo.
Quando Edward cadde a terra urlai, certa che qualcuno mi avrebbe sentita. Sbagliavo, però. Nessuno venne ad aiutarci.
<< Edward? >> lo chiamai, assicurandomi che il proiettile fosse uscito.
Fortunatamente, gli aveva sparato nella spalla destra. Il suo intento era chiaro: non voleva ucciderlo, voleva solo che io mi uccidessi per salvare chi amavo.
<< Non accorrerà nessuno, Isabella. Ho messo il silenziatore solo perché non mi piace il rumore… Sono tutti indaffarati o addormentati. >> e riprese a sorridere trionfante << Qui alla loggia sono stati sempre tutti così accomodanti con me. Come se mi conoscessero da una vita! Invece sono qui solo da diciassette anni. Fu proprio Emmett a portarmi qui, sai? Quando conobbe mio padre, al loro primo incontro, gli venni affidato io: un giovane che doveva scappare da quell’epoca. Il povero Emmett, che era così devoto, fece ciò che mio padre gli aveva suggerito e quando saltò nel presente, io – un gene-portatore come mio padre! – saltai con lui. Il dopo fu ancora più facile… Ipnotizzai tutta la loggia, chiunque fosse a conoscenza del segreto dei salti nel tempo, e organizzai il mio finto passato. Menti fragili sono facili da plagiare, non lo sai? Lo stesso Emmett non si ricordò mai di me. Crebbi così in questo nuovo mondo… Era il 1994 quando arrivai qui. L’anno d’oro, l’anno della tua nascita. >> mi raggelai a quella rivelazione.
Tutto quello che sapevamo sul conto di quell’uomo era inventato. La sua vita, il suo passato… Tutto era stato macchinato ancora prima della mia nascita.
<< Bella, te ne devi andare… >> sussurrò Edward, attirando la mia attenzione.
<< Non ti lascio qui, non esiste. >>
<< Oh, l’amore! Un apostrofo rosa tra le parole t’amo. ³ >>
<< Credevo fosse un professore di Storia, non di Letteratura. >> dissi, alzandomi in piedi per frappormi tra Edward ed Alaric Saltzman.
<< Sono molte cose, ragazzina. >> rispose Mr. Saltzman, tornando serio.
<< Cosa vuole da me? >>
<< Non è chiaro? La tua morte. >> rispose, estraendo una boccetta simile a quella che avevamo noi << Mentre vi aspettavo sono sceso nella stanza del cronografo e ho aggiunto il sangue di Emmett e Rosalie all’oggetto. Dopo qualche numero pirotecnico davvero carino si è manifestato l’elisir di cui mio padre mi aveva sempre parlato. Ora tu dovrai morire, ma visto che entrambi sappiamo che questo accadrà solo quando lo deciderai tu hai due scelte: io uccido il tuo ragazzo e tu ti butti in mezzo per salvarlo, rischiando di non fare in tempo o sbagliare traiettoria; io non uccido nessuno, tu ti pugnali o ti spari, hai libera scelta s’intende, io bevo l’elisir e me ne vado per la mia strada. Certo, tu sarai morta, ma il tuo amato vivrà. Ehi, non guardarmi come se fossi pazzo! Non si può avere tutto dalla vita. >>
<< Tu… Tu sei malato! >> parlò Edward << Bella, vattene via. >> non feci in tempo a rispondere.
Alaric Saltzman impugnò nuovamente la pistola e gli sparò ad una gamba, facendolo urlare di dolore.
<< La smetta! >> strillai, inginocchiandomi accanto ad Edward << Se continua così lo ucciderà, allora non avrà più niente con cui ricattarmi! >>
<< Conosco l’anatomia, Isabella. Sai quanti colpi posso sparare prima di ucciderlo veramente? E tu non potrai fare niente, se non prendere il colpo al posto suo, ovviamente. >>
<< Bella, mi ucciderà lo stesso! >> disse Edward, digrignando i denti << Vattene via. >>
<< Non lo farò, lo sai. >>
<< Quindi cosa scegli? >> domandò Mr. Saltzman, come se mi stesse chiedendo se preferivo la pizza margherita o quella al salame piccante.
<< Mi dia un coltello e facciamola finita. >>
<< No! >> sentii urlare Edward, disperato << Isabella, no! >>
<< Sospettavo fossi un’aspirante Giulietta. >> disse il professore, estraendo un pugnale antico dalla cintura di pelle.
Lo afferrai, con mani tremanti, cercando di non sbagliare il colpo. La mia vita non avrebbe avuto senso senza Edward. Dovevo proteggerlo; lui per me lo avrebbe fatto, lo aveva fatto.
Chiusi gli occhi, puntandomi la lama al petto. Ripensai a tutto quello che era successo da quando avevo compiuto il mio primo salto, a tutto quello che era cambiato. Ripensai alla mia famiglia, ai miei amici… La vita era un filo così sottile. Bastava un attimo per tagliarlo via. D’altronde, non potevo lamentarmi troppo: tutto aveva da sempre un inizio ed una fine, e quella era la mia. Non avevo mai pensato molto alla mia morte, ma morire per qualcuno che ami, era senz’altro un buon modo per andarsene ².
<< Bella… >> sussurrò Edward, con voce incrinata.
Non risposi.
Non mi voltai.
Non lo guardai.
Non potevo farlo. Dovevo solo concentrarmi su quel dannato pugnale.
<< Coraggio, Isabella. La pazienza non è il mio forte e ho ancora un bel po’ di colpi in canna pronti per il fiero leone. >>
Quelle parole mi penetrarono più della lama che, comunque, con decisione mi affondai nella carne, mozzandomi il respiro.
Il dolore, quella volta, era nettamente superiore rispetto alla notte della soirée. Non avevo mai, mai in tutta la mia vita, provato un dolore simile. Era dilaniante, intenso. Indescrivibile. Sentivo il freddo delle lama corrodermi le ossa, mentre la carne bruciava terribilmente.
Le ginocchia mi cedettero, facendomi cadere a terra.
<< Finalmente! >> urlò trionfante Mr. Saltzman, mentre il mio respiro si faceva sempre più corto e la mia vista più annebbiata.
<< Ed…ward… >> gemetti di dolore, cominciando davvero ad avere paura.
<< Sono qui… >> rispose tra le lacrime.
Era un pianto soffocato, di dolore e rabbia.
Edward era il classico ragazzo tutto d’un pezzo. Se c’era una cosa che detestava con tutte le sue forze era farsi vedere fragile. Il pianto era l’azione più fragile che si potesse far trasparire.
<< Giovanotto, la lama la estrai tu per accelerare il processo o devo farlo io? >>
<< Toccala anche solo un dito, dannato bastardo, e giuro che se vado all’inferno ti trascino con me. >>
<< Mmm, anche da ferito non perdi la tua arroganza, vedo. >>
Le voci cominciavano a farsi ovattate e lontane. Come se stessi sognando e il sogno, purtroppo, venisse strappato via senza la mia volontà. Non era un sogno, però, quella era la mia vita. O meglio, ciò ne restava.
<< Strappale il pugnale dal petto o ti sparo in testa e la sua morte sarà stata vana. E indovina di chi sarà la colpa, Edward? >>
Sapevo che non lo avrebbe mai fatto. Mi amava e sperava ancora di riuscire a salvarmi. Io, però, non avevo le forze adeguate per strapparmi quel pugnale. Doveva farlo Edward.
<< Fa…llo. >> cercai di dire, e ci riuscii per pura fortuna.
<< Bella, non puoi chiedermi… >>
<< Dannazione, Edward, fa’ quello che ti ha detto o ci penso io e per accelerare il processo le taglio la gola davanti ai tuoi occhi! >>
<< Non posso ucciderla! >>
<< È già morta! >>
<< Non lo è! >>
Non so dove trovai la forza, ma lo feci. Mi strappai il pugnale dal petto, urlando per il dolore. Caddi in avanti, ormai totalmente priva di forze, e trovai il petto di Edward ad accogliermi. Non c’era posto migliore per morire.
<< Dio, ti prego, no… >> sussurrò, stringendomi a sé.
<< Prendilo… >> sussurrai, conscia che forse nemmeno lui sarebbe riuscito a sentirmi << Ti… ti servirà per uscire vivo da qui. >> conclusi, passandogli attentamente il pugnale.
Quando percepii la mano sinistra di Edward sfiorare le mie dita, capii che mi aveva sentita.
<< Ti amo. >> disse, adagiandomi a terra e sfiorandomi le labbra con le sue.
Avrei voluto rispondergli. Desideravo poterlo fare, ma alcun suono uscì dalla mia bocca.
<< Credi che sia maleducato da parte mia bere alla sua morte? >> chiese Mr. Saltzman, alzando l’ampollina.
Nel momento esatto in cui il liquido scese nella sua gola, Edward – nonostante il corpo martoriato – si alzò leggermente lanciandogli il pugnale che gli avevo passato.
Lo centrò in gola, impedendo al liquido di scendere oltre. Il mio scarifico non sarebbe stato invano.
Vidi il mio professore di Storia cadere a terra a peso morto. La pistola sparò un altro colpo, l’ultimo, forando l’abito nuovo che Alice stava cucendo. Era tutto finito, adesso.
<< Bella, Bella, bevi. >> mi ordinò Edward, appoggiandomi qualcosa sulle labbra.
Non mi andava. Volevo solo lasciarmi andare.
<< Dannazione, Isabella! Non puoi morire, non puoi farmi questo, ok? Mi hai fatto innamorare di te e ti ho già persa una volta! So cosa si prova a vederti morire e so che questa volta non tornerai da me, quindi bevi! Dannazione, bevi! >>
Sentendolo così disperato lo accontentai. Aprii la bocca il più possibile e lasciai che il liquido caldo penetrasse nel mio corpo. Lo sentivo scendere lungo la gola, entrando nei miei muscoli. Mano a mano, tutte le mie percezioni si fecero più vigili; il respiro divenne più regolare; la ferita al petto non faceva più così male. E in quel momento capii: Edward aveva l’altra ampolla. Forse su un essere umano qualsiasi funzionava come un elisir di lunga vita, su di me – un’immortale che abbandonava la sua immortalità – si trasformava in una cura. Forse non sarei stata più immortale, ma per lo meno avrei vissuto.
<< Edward… >> riuscii a dire, gettandomi tra le sue braccia.
<< Piano, piano! Io sono ancora un po’ rotto… >>
Non lo ascoltai, continuai a stringere sempre più forte e lui, nonostante le sue ferite e il dolore, faceva lo stesso.
<< Sei una pazza. >>
<< Lo sei anche tu. >>
<< È finita, adesso, vero? >>
<< Sì, amore mio. >> rispose, accarezzandomi una guancia << È tutto finito, adesso. >>
E mi baciò, sigillando con quel gesto una velata e solenne promessa.

¹. Le profezie scritte in corsivo di questo capitolo, come in tutti gli altri, appartengono alla trilogia originale, scritta da Kerstin Gier.
². Queste frasi appartengono a Stephenie Meyer.
³.
Appartiene alla commedia Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand.

Per chi è arrivato in fondo, chiedo perdono per la lunghezza! Anche io a sistemarlo su Nvu ci ho messo davvero parecchio, ma spero che la lettura non sia stata faticosa.
Siamo arrivati all'ultimo capitolo e, come avrete potuto leggere, tutti i tasselli del puzzle sono stati finalmente collocati al loro posto. Il figlio del conte era l'ultima sorpresa... Molto inaspettata, sia per chi non ha letto la trilogia, sia per chi l'ha letta. Il finale della Gier, infatti, era moooolto diverso dal mio! Ma come dico sempre: un conto è rivisitare, un altro è copiare pari-pari.
Non voglio dilungarmi troppo, anche perché ho un sacco di cose da fare XD ma ci tenevo a ringraziare tutti quelli che mi hanno dato il loro sostegno; tutti quelli che hanno e, soprattutto, commentato ogni singolo capitolo. Per chi scrive, anche se non lo fa per questo, conta davvero moltissimo.
Per quanto riguarda il DOPPIO EPILOGO che attende questa storia, vi svelo i particolari. Come dice il nome sarà un doppio epilogo, ossia due pubblicazioni e due epiloghi diversi. Se riesco a finirli per Domenica, le pubblicazioni saranno per Lunedì 4 Febbraio e Venerdì 8 Febbraio. Se, invece, non dovessi riuscire a scriverli in tempo, le due pubblicazioni slitteranno a Mercoledì 6 Febbraio e Domenica 10 Febbraio. Ci sarà anche un piccolissima sorpresa sul mio blog, per questa storia XD che non è niente di che, ma l'ho trovata una cosa carina che ho già scritto ed è salvata in bozze :)
Cos'altro dirvi, quindi? Grazie di cuore a tutti e ci vediamo - anzi, leggiamo - al doppio epilogo di settimana prossima! Un bacione a tutti! :*

Vi ricordo il mio blog, in riferimento alla sorpresa:Violet Moon (Blog).

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Capitolo 27
*** EPILOGO #01 ***


Buon pomeriggio a tutti! Come avevo annunciato su Facebook e nelle risposte alle recensioni, ho anticipato la pubblicazione della prima parte del doppio epilogo.
Prima di lasciarvi alla lettura, volevo semplicemente dirvi GRAZIE! Per il benvenuto che avete dato alla storia, per come l'avete seguita, per il modo in cui mi avete aspettata e mai abbandonata e, soprattutto, per le recensioni che questa storia ha ricevuto. Come dico spesso, l'autore può anche saper scrivere e partorire un'ottima idea, un'ottima trama, ma è il lettore che fa di quella storia e di quell'autore qualcosa e qualcuno.
Ma bando alle ciance, adesso! Vi chiedo/prego soltanto di leggere le note finali, sono importanti!
Buona lettura! :)
.

EPILOGO
#01

Londra, Inghilterra.
8 Maggio 2012

Il 2011 era stato talmente intenso, soprattutto negli ultimi mesi, che trassi un sospiro di sollievo quando brindammo alla venuta nel nuovo anno.
Da quando venni a conoscenza di essere io il rubino e non Tanya, come tutti pensavamo, la mia vita venne sconvolta in modo impensabile. Non lo avevo scelto io, quel futuro. Ma come diceva sempre la prozia Jenna: nessuno può sfuggire al proprio destino.
Era vero. Io non ero riuscita a scampare al mio. Ero diventata la dodicesima viaggiatrice del tempo, e da quel giorno tutto era cambiato.
<< Tesoro, è arrivato Edward, sei pronta? >> domandò mia madre, entrando in camera mia.
Mi risvegliai da quei pensieri bruscamente, quasi come se ne fossi rimasta incastrata e qualcuno, senza permesso, mi avesse trascinata via.
<< Ho finito, mamma. Scendo subito… >> risposi, guardandomi allo specchio per l’ultima volta.
Indossavo un abito lungo in satin, blu elettrico. Era molto semplice, ma ricadeva sulla mia pelle come se fosse un liquido che andava a fondersi perfettamente con la persona che lo portava. La scollatura era a cuore, e sotto il seno si incastonava un decoro in strass argentei molto sottile; la gonna cadeva a cascata, slanciando parecchio la mia figura. Le spalline erano così sottile che quasi non si vedevano. Era lungo, quindi la gente avrebbe notato solo la punta delle mie decolté di colore argento, come il decoro del vestito.
I capelli erano raccolti parzialmente, lasciando cadere qualche onda lungo la schiena e le spalle. Erano nettamente più lunghi, più setosi e lucenti, nell’ultimo periodo. Il trucco, infine, era naturale: un marrone-bronzato metteva in risalto gli occhi, resi sexy da notevoli passate di mascara nero; sulle gote un leggero color pesca, simile al gloss che sfoggiavano le labbra.
Presi un profondo respiro e scesi di sotto. Edward mi stava aspettando.
<< Cavolo, Edward, grazie! >> sentii dire da mio padre << Sono da collezione, questi sigari! >>
<< Lo so. Mio padre ha portato qualche scatola in più, così ho pensato a lei. >>
<< Ancora con questo “lei”? >> parlò papà, impettito << Edward, sei il ragazzo di mia figlia, e spero che un giorno diventare mio genero! Perciò, smettila di darmi del lei e passa al tu. Mi offendo, ti avviso. >>
<< D’accordo, signor Swan, ehm volevo dire Charlie. >> dalla voce capii fosse imbarazzato << Va bene così? >>
<< Perfetto, giovanotto. Perfetto! >>
Quando percepirono i tacchi sugli ultimi scalini, saettarono entrambi verso di me.
Il mio viso andò a fuoco, Edward mi guardava come se fossi da mangiare. I suoi occhi verdi erano penetranti, mi stavano letteralmente divorando.
<< Sei bellissima, Bella. >>
Mi morsi il labbro, fissandolo attentamente. Indossava un completo grigio piombo, con camicia blu scura e cravatta abbinata. I capelli, come di consueto, erano un groviglio impazzito; nel loro disordine, c’era un ordine molto particolare.
<< Stai molto bene anche tu… >> sorrise a quelle parole, e mi tese la mano per aiutarmi a scendere gli ultimi gradini.
<< Isabella, sei proprio uno splendore. >> disse la prozia Jenna, apparendo dal nulla.
<< Grazie… Ma Tanya? >>
<< È già uscita. >> rispose zia Victoria, dal salotto << Non voleva farti sfigurare. >> alzai gli occhi al cielo, rassegnata. Molte cose erano cambiate; purtroppo per noi, però, Tanya e sua madre non rientravano in questa cerchia.
<< Victoria. >> la ammonì Lady Lillian << Stai molto bene, Isabella. Devo ammettere che da quando sei entrata a far parte dei gene-portatori sei cambiata molto, e in meglio. Ti ho sempre giudicata male, di questo me ne dispiaccio. >>
Le sorrisi di cuore, non sapendo bene cosa risponderle.
<< Andiamo, signorina? >> domandò Edward, facendomi tornare con i piedi per terra.
<< Certo. >> risposi, sorridendogli.
<< Divertitevi! >> urlarono mia madre e la prozia Jenna.
<< E non fate cosa stupide, soprattutto al dopo ballo! >>
<< Papà! >> lo rimproverai. Se solo sapesse quello che io e Edward già facciamo…, pensai, arrossendo.
Di tutta risposta, il mio ragazzo sghignazzò orgoglioso pensando alle sue prestazioni.
Arrivati alla limousine bianca, mi accorsi che non eravamo da soli. All’interno del mezzo di trasporto, infatti, c’erano altre due coppie: Alice e Jasper, Angela ed Eric.
<< Bella, sei strepitosa! >> squittì Alice, trascinandomi in mezzo a lei ed Angy.
<< Concordo, ragazza, sei una bomba! >> confermò la seconda.
<< Anche voi siete fantastiche, amiche. >> affermai sinceramente.
Alice sfoggiava un abito a stile impero celeste e panna, lungo fino al ginocchio; ai piedi aveva dei bellissimi sandali-gioiello che salivano fino al polpaccio, con lo stile da schiava. Angela, invece, era meno aggressiva: abito rosa cipria, monospalla, corto davanti e lungo dietro; decolté alte, ma dello stesso colore dell’abito, erano ben ferme ai suoi piedi.

Raggiungemmo la Saint Lennox High School nel giro di venti minuti.
L’intero istituto era addobbato a festa; quella sera si sarebbe tenuto l’annuale ballo di fine anno. Dopodiché avremmo svolto gli ultimi test e preso il diploma. College, stavo arrivando!
<< Ehi… Io non ti ho ancora salutata come si deve. >> mormorò Edward, afferrandomi per un braccio.
Le nostre labbra entrarono in collisione nel giro di un nano di secondo, poi mi ritrovai in paradiso.
Baciarlo era sempre eccitante, per me. Nonostante fossero passati mesi dal nostro primo bacio o dalla nostra prima volta, stare con Edward era un’esperienza unica. Irrinunciabile.
Le sue mani erano esperte, fin troppo, sapeva toccare i punti giusto, senza cadere in atteggiamenti volgari o inopportuni in pubblico. Ero creta nelle sue mani e la cosa, molto più di spesso, mi terrorizzava.
<< Non vedo l’ora di toglierti questo vestito di dosso, Miss Swan. >>
<< I tuoi baci mi uccidono. >>
<< Spero proprio di no. >> sussurrò, dandomi leggeri baci sulle labbra << Non ho altri elisir né cerchi da concludere, e tu non sei più immortale. >>
<< La cosa ti dispiace? >> domandai, certa di provocarlo.
<< Sinceramente? Un po’ sì. >> la sua risposta mi spiazzò << Non fraintendermi, sono entusiasta di poter trascorrere una vita lunga e normale con te, ma non riesco a non pensare al fatto che hai rinunciato ad una vita notevolmente più sicura per me. >>
<< Non mi interessa un’eternità in cui non ci sei. >> sussurrai, accarezzandogli il viso.
Era vero. Non mi importava di niente che non riguardasse Edward Cullen. Forse ero esagerata, estrema, totalmente pazza, ma volevo essere sincera con me stessa.
<< Entriamo? >> propose, porgendomi il braccio che afferrai con entusiasmo.
Non riuscii a non ripensare ad Alaric o al conte di Saint Germain, suo padre.
Quando Mr. Dywer ci trovò nella sartoria, quasi non credette ai suoi occhi. Come avrebbe potuto, in fondo? Nessuno avrebbe potuto sospettare di Mr. Saltzman. Lui, con quei trucchetti che condivideva con suo padre, era riuscito ad insinuarsi nella mente di tutti i membri della cerchia, facendogli credere di aver sempre fatto parte di quel mondo, fin da piccolo, fin da quando suo padre – qualcuno che, capii soltanto dopo, non era mai esistito realmente – ne faceva parte.
Una volta ripresi dall’accaduto, io ed Edward saltammo indietro dal conte, per informarlo che il suo piano era morto insieme a suo figlio; un figlio che non era nemmeno intenzionato a rispettare un patto fatto col sangue del suo sangue.
Per una frazione di secondo provai compassione e tristezza. Essere ingannato da qualcuno che conosci o che paghi è un discorso, ma quando a tradirti era tuo figlio la situazione era notevolmente più schifosa.
Adesso, nel presente, usavamo il cronografo solamente per impedirmi di trasmigrare improvvisamente nel bel mezzo della giornata. Quando quell’anno sarebbe finito, però, non ci sarebbero stati più doveri né obblighi. Io ed Edward eravamo liberi.
Assorta nei miei pensieri, non mi accorsi di andare a sbattere contro qualcuno.
<< Dio, Bells, stai attenta! Mi sgualcisci il vestito! >>
<< Scusa, Tanya, non ti avevo vista. >>
Mia cugina era sempre mia cugina. Era venuta a conoscenza di tutta la storia, come tutti, e invece di ringraziarmi per averle risparmiato tutto quello, si scagliò contro di me, accusandomi di essere stata una maledizione per la loggia e per il cerchio dei dodici.
<< Prova a capirla. >> aveva detto Edward, una sera << Tu hai avuto una bella infanzia, dei genitori che ti hanno sempre voluta bene. Lei no. Tanya si era identificata nel rubino, quella doveva essere la sua vita – bella o brutta che potesse essere – e poi qualcuno le dice, di punto in bianco, che non sarà più l’eroina di niente. Forse tu avresti reagito diversamente, ma per qualcuno che non ha mai avuto niente, che ha sacrificato ogni attimo di una vita mai vissuta appieno, anche uno schifo di destino è meglio del nulla. >>
Potevo capirla, ma non assolverla. Il passato fa di ogni persona qualcuno, nel bene o nel male, ma non può essere quel passato a giustificare ogni azione riprovevole o meschina. Io non le avevo mai fatto nulla, mentre lei mi aveva usata fin da subito come il capro espiatorio dei suoi problemi.
<< Ti va di ballare? >> domandò Edward, liberandomi la mente.
<< Certo. >>
Ballammo per quasi tutto il tempo, vivendo quella serata come due ragazzi normali, senza salti nel tempo e senza missioni. La vostra vita era cambiata in meglio.
<< Ti amo, Bella. >> sussurrò Edward, al mio orecchio, dopo avermi fatto fare una piroette.
<< Ti amo. >> risposi, dandogli uno svelto bacio a stampo.
Mi accorsi che qualcuno stava cercando un po’ di attenzione, così gliela diedi, specificando che volevo stare tranquilla con il mio ragazzo.
<< Volevo solo dirvi che il portamento è sbagliato. >> parlò solenne, come un insegnante bacchettone << Inoltre, per quale motivo state così vicini? Non è modo di ballare questo! >>
<< James, io ti voglio bene, ma adesso sparisci! >> gli dissi, facendolo tacere all’istante.
Se ne andò impettito, mormorando per l’ennesima volta quanto fossi maleducata.
<< Il fantasma di James? >>
<< Purtroppo. >> risposi, ormai Edward sapeva tutto di me << Ho un’idea, che ne dici di tornare a quando si è ammalato e fargli il vaccino? >>
<< Bella… >>
<< Andiamo, con Jake è andato tutto liscio, che ti costa? >> domandai, facendo gli occhioni da cucciola.
<< D’accordo, ci penserò. Va bene? >>
<< Per il momento può bastarmi! >> risposi, sorridendogli vittoriosa.
Okay, forse la nostra vita non era e né sarebbe propriamente normale, ma era un inizio. Un inizio che avrei intrapreso insieme ad Edward e a tutte le persone che amavo e che mi avevano aiutata in quella terribile situazione.
Tutte… O quasi.

FINE?
Non ancora...
.

Eccoci alla prima parte del doppio epilogo che vi avevo promesso. Cosa potrei aggiungere? Sinceramente, penso che le righe soprastanti bastino e avanzino XD Edward e Bella sono innamorati, felici... E per chi voleva sapere cosa sarebbe successo al conte, alla loggia, alla cerchia, ect, qualcosa è stato già detto. Il punto finale e le ultime delucidazioni verranno svelate nel prossimo - ed ultimo, soprattutto - aggiornamento, il quale (per i lettori più attenti) racchiuderà un enigma ed una piccola e ultisimissima sorpresa.
Per chi volesse vedere oltre che leggere Edelstein, sul mio blog (di cui trovate il link sotto) ho creato un post con i luoghi di questa storia! Potrete vedere Temple, Hyde Park, il fantastico locale di Greenwich - dove i nostri due protagonisti si sono dati il primo bacio! - e qualche altro piccolo approfondimento, tanto per farvi capire che a questa storia tenevo davvero molto e ho cercavo di rendere reale ogni più piccolo dettaglio. Spero di esserci riuscita! :)
Per chi non lo sapesse, poi, concludo dicendo che prenderò una pausa da Efp, adesso. La seconda parte dell'epilogo sarà la mia ultima pubblicazione, almeno per un po' di tempo. Per saperne di più, nel mio profilo di Efp c'è scritto tutto :)
Detto anche questo, ringrazio di cuore tutti voi! E vi ricordo che la seconda e ultima parte dell'epilogo verrà pubblicata Venerdì 8 Febbraio! :) Ringrazio nuovamente tutti di cuore e vi mando un bacio! :*

Ecco il mio blog: Violet Moon (Blog).

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Capitolo 28
*** EPILOGO #02 ***


Buon pomeriggio a tutti, eccomi con l'atto finale - purtroppo - di questa storia.
Sinceramente non voglio perdermi troppo nello scrivere note che neanche la metà leggono, soprattutto prima del capitolo, quindi taglio davvero corto ringraziando - sì, nuovamente, perché è giusto farlo - tutti coloro che hanno letto, amato e recensito questa mia pazza idea. Scrivere Edelstein, anche se era una rivisitazione, non è stato per niente facile, lo ammetto! Mi sono divertita, però. Ma ora, bando alle ciance! Vi lascio all'epilogo conclusivo :) Buona lettura a tutti!
.

EPILOGO
#02

Southampton, contea di Hampshire. Inghilterra.
18 Marzo 1914

Quella sera il vento soffiava forte, facendo sbattere le ante della finestra ben chiusa. Il calore della casa e lo scoppiettio del fuoco, proveniente dal camino del salotto, rendevano l’atmosfera calda e accogliente, nonostante il pessimo tempo.
<< Lady Gilbert è stata davvero gentile ad aiutarci con il trasloco. >> parlò la ragazza dalla fluente chioma bionda, mentre finiva di apparecchiare la tavola.
<< Aiutarci? Principessa, veramente abbiamo fatto tutto noi maschioni, voi avete solo dato ordini. >> rispose l’uomo, leggendo il giornale.
<< Stai dicendo che avrei dovuto alzare scatolini, valigie e tutto il resto? >>
<< Certo che no, principessa. La mia era solo una precisazione. >>
Emmett e Rosalie Hale, consci che non vi era alcun miracolo che potesse farli tornare nel loro tempo, avevano deciso di continuare a vivere in quel luogo che li aveva accolti molto tempo prima.
<< Non ho mai capito perché hai voluto prendere casa a Southampton anziché a Londra. >> parlò l’orso, avvicinandosi alla sua bellissima moglie.
<< Perché questo posto è magico. >> rispose Rosalie, guardandolo negli occhi << Siamo venuti qui appena saltati dal 1994, è un po’ come una seconda casa. >>
<< Ci pensi che è tutto finito? >> chiese Emmett, alzandosi per cingerle la vita da dietro e cullarla tra le sue forti braccia.
<< Quando Edward e Bella ci hanno dato la notizia non ci credevo, quasi. >> replicò Rosalie, sistemandosi meglio nell’abbraccio di suo marito.
<< Il conte è stato rinchiuso, non potrà più torcere un capello a nessuno. >> affermò Emmett, con durezza e dolcezza nella voce << Siamo liberi, principessa. >>
<< Non ti manca un po’? >> domandò Rosalie, quasi senza farlo finire di parlare.
<< Cosa? >>
<< Il 1994. >>
<< Forse un po’… Ma pensarci non fa altro che aprire ferite che non potranno mai essere chiuse. Cicatrizzate, forse, ma non chiuse. >>
<< Lo so, lo so. Non c’è modo di tornare, e anche se ci fosse, il presente non è più quello che conoscevamo. Il tempo è andato avanti, dovremmo saltare in un’epoca che non comprendiamo nemmeno… >> concluse tristemente, la ragazza.
<< Mi manca la mia famiglia. >> ammise Emmett, per non farla sentire in colpa. Non era l’unica, tra i due, a cui mancava la vita moderna e non solo << Lo ammetto, mi mancano i banchetti della Domenica mattina con Esme. Mi manca giocare con il piccolo Edward o sentire Carlisle suonare il pianoforte, ancora convinto di potermelo insegnare. Ma la nostra vita è qui, adesso, e per quanto mi piacerebbe tornare indietro, sono fiero di ciò che abbiamo fatto. Sono orgoglioso di aver salvato tua cugina; sono orgoglioso di aver fatto qualcosa di buono nella vita; sono orgoglioso di aver incontrato te, e non mi importa in quale epoca vivremo, mi interessa solo di vivere la mia vita con te, principessa. >>
<< Potremmo costruire la nostra, di famiglia… >> sussurrò Rosalie, spostando le grandi mani di Emmett sul suo ventre.
<< Vuoi dire che…? >>
<< Sì, sono incinta, Emmett. >> annunciò, sorridendo.
Il ragazzo, divenuto ormai uomo, la voltò per baciarla con passione.
Erano passati ormai due anni da quando la loggia non si prestava più agli affari del conte. Nel presente di Edward e Bella, infatti, tutto era mutato col trascorrere degli anni. La loggia non era più sotto le direttive del conte e il loro lavoro era cambiato. Nessuno si concentrava più sulla pratica, non avendo più viaggiatori da reclutare, ma per lo più sulle cause, sui motivi, sul come ed il perché questo era accaduto per secoli. La loggia si era trasformata in un ambiente scientifico più che pratico.
<< Signori Clearwater, i vostri ospiti sono arrivati. >> annunciò il maggiordomo, interrompendo il loro romantico momento.
<< Falli passare, grazie, Oscar. >> disse Rosalie, staccandosi da Emmett.
Posò il quarto ed ultimo piatto sulla tovaglia bianca, in attesa.
Quando i due giovani entrarono, mano nella mano, i coniugi Clearwater – nuovi nomi per una nuova vita – capirono che forse non avevano perso del tutto le loro famiglie. Certo, la giovane Rosalie non avrebbe più rivisto la sua adorata zia Renée ed Emmett non avrebbe più potuto abbracciare suo fratello Carlisle, ma sapevano che un po’ di magia era rimasta nelle loro vite. Un po’ di speranza per tenere con loro ciò che, per un’opera più grande, erano stati costretti ad abbandonare, c’era ancora.
<< Forse, le nostre famiglie, non le abbiamo perse completamente. >> sussurrò Emmett, baciando la guancia della sua consorte, che annuii nascondendo le lacrime di commozione.
Passarono una serata gradevole, insieme ai due viaggiatori venuti dal futuro.
Tra risate, chiacchiere e una cena che non poté durare più di quattro ore, il passato, il presente e il futuro si fusero in un solo tempo e in una sola epoca, facendo capire a tutti loro che niente era perduto. Non era il tempo, infatti, a far dimenticare le persone. Finché queste sarebbero rimaste nel cuore di ognuno di loro, niente e nessuno avrebbe potuto portargliele via.

FINE.
.

Ebbene sì, gente, Edelstein è ufficialmente finita.
Il cerchio si è chiuso, la vita di Edward è Bella è proseguita senza intoppi; Rosalie e Emmett, purtroppo, non sono potuti tornare a casa. Questo, onde evitare che qualcuno lo chieda, lo rispiego: il cronografo funzionava solo all'indietro, l'ho spiegato durante il corso della storia. Il suo potere, la sua magia, consentiva di viaggiare nel tempo, sì, ma solo nel passato. Sarebbe stato assurdo e anche un po' contro-storia che, magicamente, si fosse trovato il modo per invertire il processo. Il figlio del conte è un'altra storia. Il conte faceva le sue regole ed egli stesso ha saputo come eluderle. Inoltre, come spiega lo stesso Emmett, in che mondo sarebbero tornati? Loro sono saltati indietro nel 1994 e per tornare al presente sarebbero saltati nel 2014. Forse un po' troppo diversa la vita... All'interno di questo ultimo epilogo, comunque, ho lasciato un piccolo indizio su come la vita nei nuovi coniugi e quella dei nostri protagonisti si sarebbe riunita, un giorno. Solo un occhio attento avrebbe colto la sottiglezza XD sì, sono pessima fino alla fine!
Se c'è qualcosa che durante la storia vi è sfuggita, questo è il tempo delle domande, lettori! Ora posso finalmente rispondere a tutti i vostri questiti :)
Ringrazio nuovamente tutti di cuore e spero che quando tornerò su Efp sarete pronti ad accogliere me e le mie storie a braccia aperte! Vi mando un bacio! :*

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