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Buon
pomeriggio a tutti, come state? Chi mi conosce starà
dicendo"Oddio, ancora questa!? Ha finito una storia l'altro giorno e
già torna?" Eh purtroppo sì, però lo
sapevate ù.ù
Ma parliamo di cose importanti... Questa
fanfiction è interamente ispirata ad una trilogia che mi
è piaciuta moltissimo, di cui a breve uscirà il
volume conclusivo. Sto parlando de LA TRILOGIA DELLE GEMME, di
Kerstin Gier. Leggendo i primi due volume, molti mesi fa,
mi era venuta quest'idea e così - appena ho avuto un po' di
tempo, dato che avevo altre storie in corso - eccomi qui a proporvela.
La mia trama, però, non seguirà interamente tutte
le vicende. Mi piace molto ispirarmi e riadattare storie già
esistenti, ma ci metto dentro anche molto di mio, altrimenti non
avrebbe senso! Detto questo, bando alle ciance e leggete il prologo! Ci
si legge in fondo :)
« Se non
combatti per qualcosa,
ti ritroverai con niente. » Theodor Scott Glenn.
PROLOGO
Southampton, contea di Hampshire.
Inghilterra.
10 Aprile 1912
Era
mattina presto
e tutta la città era avvolta in un silenzio innaturale. Gli
unici rumori,
quella notte, provenivano dal porto. Tutto era quasi pronto per la
grande
partenza dell’indomani. Un rumore ricordò al
giovane di non essere solo, la
ragazza accanto a lui starnutì.
<< Credo di
essermi presa il raffreddore. >> disse, tastando le balze
del suo vestito,
senza trovare nemmeno l’ombra di una tasca. A quei tempi, gli
abiti, erano
molto differenti.
Il giovane sorrise,
porgendole un fazzoletto di stoffa. Era bianco, con incise due iniziali
rosse
sul bordo sinistro. La ragazza gli lanciò
un’occhiataccia.
<< Non fare
quella faccia, tesoro! >> disse il ragazzo, alzando le
mani << Non
l’ho rubato, me lo ha gentilmente concesso Renée.
Ti ha vista un po’ giù di
corda e ha pensato che non stessi bene… Ha occhio.
>> non appena finì di
parlare, la ragazza fece un altro starnuto e afferrò la
stoffa dalle mani del
giovane.
<< E così è
nata. >> parlò la ragazza, una volta tornata
in sé.
<< Già. È
molto carina, non trovi? >>
<<
Certamente. Che giorno era ieri, o due giorni fa? Ma quanto ci abbiamo
messo ad
arrivare in questo posto? >>
<< Una
giornata, mia regina. >> rispose il giovane, tastando
nella giacca
l’oggetto avvolto accuratamente in un panno, per impedire
qualunque graffio.
<< Perdilo e
ti uccido. >> disse la giovane, guardandolo torva. Il
ragazzo scoppiò a
ridere.
<< Così mi
offendi, principessa! >>
<< Con te non
si sa mai. >>
<< Avanti…
>> disse lui, cingendole le spalle con un braccio
<< A cosa stai
pensando? >>
<< Alla
ragazza. Che anno era? >>
<< 1994
>> rispose subito il ragazzo << Per
l’esattezza, era il 13
Settembre 1994 >>
<< Ho una
tale confusione in testa. >> ammise lei, appoggiandosi al
petto forte e
possente di lui.
<< Ce la
faremo. >> rispose, stringendola a sé
<< Siamo bravi, siamo
riusciti a scappare. Ora dobbiamo solo trovare il modo per impedire
quello che
i Guardiani vogliono fare, quello che lui
vuole fare. >>
<< Dobbiamo
nascondere il cronografo.
>>
<< Ci stavo
pensando. Serve un posto sicuro… >>
<< Hai
qualche idea? >>
<< Forse.
>> le rispose pensieroso, rafforzando la stretta su di
lei.
<< Credi che
se la berranno? >>
<< Presumo di
sì. Per tutti siamo morti in un tragico
incidente… >>
<< Ma si
chiederanno che fine abbiano fatto i nostri corpi o, molto
più probabilmente,
il cronografo. >> disse la ragazza. Il giovane ci
rifletté un secondo,
constatando quanto le sue parole fossero esatte. Ma ormai
ciò che era fatto era
fatto, non si poteva più tornare indietro.
<< Quando
capiranno il piano sarà tardi, ok? Ma era l’unica
cosa da fare. Non potevamo
restare, ci avrebbero uccisi. Ed è meglio essere finti morti che morti veri.
>>
<< Sì, credo
tu abbia ragione. >>
<< Io ho
sempre ragione, principessa. >> affermò lui
convinto, mentre la ragazza
scuoteva la testa, alzando gli occhi al cielo.
<< Cosa ci
facciamo qui? >> gli domandò, guardandosi
intorno. Quella non era Londra.
<< Siamo andati alla Loggia e abbiamo svuotato le casse
dell’associazione, ma adesso? Cosa vorresti farci con tutti
quei soldi?
>> di tutta risposta, lui, cominciò a
sghignazzare.
<< Non hai
capito dove siamo, principessa? >> le chiese e la vide
scrollare la
testa.
<< Credo di
essermi addormentata nella carrozza. Ero molto stanca…
>>
<<
Southampton. Ti porto a fare un bel viaggetto, ti va? >>
lei, scettica,
alzò un sopracciglio. Lo conosceva fin troppo bene ed era
quasi sicura che
avesse speso tutti i loro soldi per un “bel
viaggetto” senza ritorno.
<< Non avrai
mica comprato i biglietti per il viaggio inaugurale del Titanic,
vero? >> domandò lei, ma il suo sghignazzare
rispose
al suo posto << Me lo sentivo! >> disse,
sospirando esasperata.
<< Hai sempre
detto di andare pazza per quella nave! Ti ho accontentata, visto che
siamo
bloccati qui. Appena arrivati ho trovato questi due biglietti a prezzo
stracciato, prima classe! Erano gli ultimi. Non sono fantastico? Oh,
sì che lo
sono. >>
<< Ti fai i
complimenti da solo, adesso? >>
<< Mi ami
anche per questo, principessa! >> disse lui, portandola
dinanzi a sé. Lei
emise un gridolino per la sorpresa, che si spense subito quando
sentì le labbra
di lui sopra le sue. Erano calde, carnose e paradisiache… Si
sciolse tra le sue
braccia. Lui, dal canto suo, accarezzava avidamente il corpo di lei,
perdendosi
nelle sue forme e nella sua perfezione.
Il bacio durò
troppo poco e quando lui si allontanò lei sbuffò.
<< Con il
broncio sei ancora più carina, lo sai? >>
<< Smettila!
>> rispose, diventando rossa come un pomodoro maturo e
facendo scoppiare
a ridere il ragazzo.
<< Abbiamo
ancora diverse ore. >> disse lui, tornado serio
<< Possiamo
comprare qualche abito nuovo e mangiare qualcosa… La nave
salperà a mezzogiorno
in punto. >>
<< Va bene,
verrò con te. >> rispose lei, sorridendo
<< Ma ad una condizione!
Si sbarca a Cherbourg o, al più tardi, a Queenstown!
>>
<< Perché?
Non ti piace il ghiaccio,
principessa? >>
<< Non sei
spiritoso! >> urlò lei, pensando che
l’offerta di viaggiare sul Titanic
fosse la cosa più romantica che
qualcuno le avesse mai proposto – ovviamente, iceberg a parte.
<< E va bene!
>> si arrese il ragazzo, alzandosi in piedi. Porse il
braccio alla
ragazza, la quale lo afferrò senza esitazione, e si
avviarono verso la città
ancora addormentata.
<< Ti amo
tanto, principessa. >> disse lui, sorridendole
amorevolmente.
<< Ti amo
anche io. >> sussurrò lei, arrossendo.
Eccomi con il
prologo, cosa ne pensate? Per chi segue la trilogia, avrà
constatato che in questa pubblicazione le cose cambiate sono poche.
Spiego subito i motivi: 1. Ho voluto
lasciare la scena del Titanic
perché amo il Titanic
- non parlo del film, ma proprio della vicenda e della nave. 2. Amo il
mistero e un po' di mistero nel prologo andava messo! 3. La
conversazione può sembrare simile, ma non è
uguale.
La storia infatti, come già detto sopra, si ispira ad una
saga esistente, ma non la ripercorrerò completamente
identica.
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso, perciò, sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti! E un augurio
speciale a tutti i single! XD Per prima cosa ci tenevo
a ringraziarvi per il caloroso benvenuto che avete dato alla storia!
Undici recensioni con un solo prologo! Grazie mille, vi adoro! <3
Prima di lasciarvi al capitolo ci tenevo a dirvi personalmente che,
mentre lo leggerete, potrete notare che i personaggi non sono solamente
del fandom di Twilight.
Questa long, infatti, è la mia prima crossover e
ho unito i personaggi di questo fandom - che resteranno i protagonisti
assoluti - con quelli de Il
diario del vampiro - che faranno un po' da numero, quindi
da contorno.
Detto questo vi lascio al primo capitolo e buona lettura!
.
1.
« Se si
osserva attentamente la realtà, ci si
potrà accorgere che essa non è mai come sembra a
prima
vista. Può
palesarti elementi inaspettati e gradevoli. » Giuseppe
D'Oria.
Londra, Inghilterra.
3 Ottobre 2011
Era
da poco
iniziato l’ennesimo Lunedì mattina. Come ogni
inizio settimana, trovavo la mia
divisa scolastica, pulita e stirata, appesa all’anta del
grande armadio. Odiavo
quella stupida tradizione, ma frequentando un liceo privato non potevo
fare
altrimenti.
Avevo pregato per
anni, mia madre, di iscrivermi ad un liceo pubblico, ma non ottenni mai
nulla.
Tutta colpa di sua madre, Lady
Lillian, e di quell’arpia di sua sorella, zia Victoria. Tutto
sommato, però, la
divisa non era male: gonna a pieghe, blu e bianca; camicia color panna;
golfino
– maniche lunghe per l’inverno, gilet per
l’estate – blu. L’unica nota positiva
era che, avendo un abbigliamento predefinito, non dovevo impazzire per
cercare
qualcosa da mettere tutte le mattine; non ero una patita di moda o di
shopping.
<< Bella?!
>> urlò mia madre, dal piano di sotto
<< A che punto sei? La
colazione è pronta! >> sbuffai. Odiavo il
fatto di doverci sedere tutti
quanti a tavola.
<< Ho finito!
>> risposi, infilandomi gli stivaletti blu
<< Due secondi e scendo!
>>.
Quella fu la prima
volta che sentii la vertigine, alzandomi dal letto. Lo
stomacò cominciò a
contorcersi in modo innaturale, mentre la testa girava, distorcendo
qualsiasi
cosa fosse intorno a me. Come ebbe inizio, cessò. Devo essere affamata, pensai e mi
apprestai a raggiungere la sala
da pranzo.
Come al solito, ad
attendermi, c’era tutta l’allegra famigliola.
A capotavola, con
il suo sguardo da rapace, Lady Lillian padroneggiava in tutto il suo
splendore.
Nella parte sinistra del tavolo, la prozia Jenna, sedeva ridendo sotto
i baffi
– evidentemente, zia Victoria, aveva già avuto il
suo primo dibattito con mia
madre.
Renée, la mamma,
sedeva vicino alla prozia Jenna, accanto a Charlie, mio padre. Notai
che,
stranamente, mancava qualcuno all’appello.
<< Dov’è
Tanya? >> domandai, prendendo posto.
<< Isabella,
ti sembra il modo di dare il buongiorno? >> mi
ribeccò Lady Lillian.
<< Hai
ragione, nonna. >> risposi, timidamente. Quella donna mi
incuteva
terrore, e non lo dicevo tanto per dire! << Buongiorno a
tutti! >>
<< Renée, è
inutile, tua figlia non ha proprio modi educati. >>
sentenziò lei,
facendo alzare gli occhi al cielo a mia madre.
<< Adesso
posso chiedere dov’è Tanya? >>
domandai nuovamente, presi una fetta biscottata
e cominciai a spalmarvi sopra la marmellata di ciliegie.
<< Si sta
preparando, ovviamente. >> rispose zia Victoria
<< La mia Tanya
tiene molto al suo aspetto. Inoltre, poco fa, ha avuto un leggero
malessere.
>>
<< Di nuovo?
>> mormorò mio padre, Charlie <<
Sarebbe l’ennesimo, senza viaggio
incontrollato. >> vidi mia madre tirargli un calcio da
sotto il tavolo,
ma fu tutto inutile. Lady Lillian aveva sentito, perciò
cominciò ad urlare
contro di lui.
La nostra famiglia
aveva, da sempre, un particolare gene, nel sangue. Grazie a questa
diversità
nel nostro DNA, la prescelta,
avrebbe
avuto la capacità di viaggiare attraverso i secoli. Solo nel
passato,
ovviamente. Nessun viaggio nel futuro, questo non era concepito.
Viaggiare nel
passato, però, aveva i suoi pregi e i suoi difetti. Per
parlare degli ultimi,
fare un viaggio incontrollato,
poteva
essere molto pericoloso. Poteva succedere, per esempio, di scomparire
in mezzo
ad una folla di gente, in pieno giorno, per riapparire esattamente
nello stesso
punto, più di cento anni prima. Non avevo mai capito come
funzionasse, ma non
mi era mai nemmeno importato. Secondo i calcoli matematici di grandi
personaggi
illustri, quella che avrebbe ereditato il gene sarebbe stata Tanya. Non
la
invidiavo neanche un po’.
<< Buongiorno
a tutti. >> disse mia cugina Tanya, entrando nel grande
salone.
Come ogni mattina,
era impeccabile. Non aveva neppure un capello fuori posto. Essi,
infatti, le
ricadevano morbidi e lucenti sulle spalle, mentre gli occhi da
cerbiatta,
azzurri, facevano risaltare il suo viso pallido, ma perfetto.
<< Oh, Tanya!
>> cantilenò Lady Lillian, entrando in
adorazione << Che piacere
vederti! Come ti senti, cara? Tua madre ci ha detto che sei stata poco
bene,
prima. >>
<< Sì, nonna.
È vero. >> rispose lei, rispettosa,
accomodandosi di fronte a me <<
Ma ora mi sento molto meglio, grazie. >> tutta quella
gentilezza
nascondeva un demonio! Tanya era un vipera, specialmente con me.
<< Tu sei
bella nella tua semplicità, tesoro. >>
sussurrò la prozia Jenna, al mio
orecchio, facendomi arrossire. Forse aveva ragione.
Abbassai un po’ il
capo, guardandomi. La divisa, a differenza di quella di Tanya, era
molto meno
attillata – questo perché io non l’avevo
fatta modificare, lei sì –, i capelli
castani, quasi neri, ricadevano ondulati sulle mie spalle, tenuti
indietro solo
da un piccolo cerchietto. La mia pelle era chiara, forse più
pallida di quella
di mia cugina, e gli occhi erano di un particolare marrone scuro
– ricordavano
il colore del cioccolato fondente.
<< Allora,
possiamo andare, zio Charlie? >> domandò
Tanya, risvegliandomi dai miei
pensieri. Quanto tempo era passato? Tanto, a giudicare dal suo piatto
vuoto e
dal mio ancora pieno.
<< Ma Bella
non ha ancora finito di mangiare… >>
provò mio padre, ma senza troppo
successo. Lady Lillian lo fulminò; zia Victoria
alzò un sopracciglio,
accigliata; Tanya sbuffò.
<< D’accordo,
ho capito! >> dissi, alzandomi dalla sedia
<< Papà, possiamo
andare. Non avevo troppa fame, comunque. >>
<< Sei
sicura, tesoro? >> annuii decisa. Lui si alzò
da tavola, avviandosi verso
la porta d’ingresso.
<< Isabella.
>> mi chiamò Lady Lillian, mi voltai con un
sorriso stampato in faccia
<< Ti ricordi cosa devi fare, se Tanya si dovesse sentire
male? >>
<< Non sono
mica stupida, mi ripetete questa dannata cosa tutte le
mattine… >>
<< Come,
prego? >>
<< Sì!
>> mi affrettai a rispondere, mentre la prozia Jenna
rideva, avendo
sentito ciò che avevo appena detto << In caso
dovesse sentirsi male,
avviserò Mr. Saltzman. >> nonché
nostro professore di storia, nonché
membro della loggia.
<< E,
ovviamente, ricordati di non muoverti dal punto preciso
in cui è scomparsa! O ritrovarla sarà
impossibile! >>
<< Finché non
torna. >> aggiunsi, con un tono lamentoso
<< Voglio dire: lei fa il
salto, ma poi ritorna. Non vedo perché preoccuparsi
tanto… >> il suo
sguardo rapace, fisso su di me, mi fece venire i brividi. Forse avevo
parlato
un po’ troppo.
<< Va bene!
>> intervenne mia madre << Bella ha capito,
vero tesoro? Magnifico!
Charlie, puoi accompagnare le ragazze a scuola! Buona giornata!
>>.
La macchina di
Charlie – una berlina scura – era piuttosto grande
e lussuosa. Gli interni
erano di pelle nera, full optional e di ultima generazione. Lady
Lillian,
sosteneva sempre che, il marito di sua figlia, non potesse andare in
giro con
un veicolo scadente; ogni anno, quindi, gli regalava un’auto
nuova di zecca.
Questa volta era stato il turno della BMW M5.
Amavo
l’Inghilterra, Londra soprattutto. Era una bellissima
città. Antichità,
modernità e magia si univano in essa alla perfezione. Non
potevo negare, però,
che fosse stato un trauma – almeno all’inizio
– cambiare città, Stato,
abitudini, fuso orario…
Abitavamo a Forks,
fino ad otto anni prima.
Era una piccola
cittadina nello Stato di Washington, dove pioveva trecentosessanta
giorni
all’anno – non che qui le cose fossero diverse.
Londra, però, a differenza di
Forks era più grande. Molto più grande.
Il motivo
principale che ci spinse a trasferirci aveva un nome ed anche un volto:
Lady
Lillian. Secondo lei, la famiglia non poteva restare divisa.
Soprattutto se la
dolce Tanya, compiuti i fatidici diciassette anni, avrebbe compiuto il
salto
nel tempo che avrebbe reso la nostra famiglia molto importante. Che cavolate!, pensai. Come se bastasse
una cosa del genere a rendere importante qualcuno o qualcosa.
<< Bells?
>> chiamò mio padre << Siamo
arrivati. Che facevi, dormivi?
>>
<< Spiritoso!
Ero solo sovrappensiero. >>
<< Sbrigati,
cugina. >> disse Tanya, uscendo svelta
dall’auto << Non voglio fare
tardi per colpa tua! Zio Charlie. >> lo
salutò, cominciando ad avviarsi
all’interno del maestoso edificio.
<< La odio. >>
sussurrai, così a bassa voce che nemmeno mio padre
riuscì a sentirmi.
<< Buona
giornata, Bells! >>
<< Anche a
te, papà. >> gli diedi un bacio sulla guancia
e seguii Tanya. La Saint
Lennox High School era la scuola privata
più
grande e costosa di Londra. Entrarci, infatti, era un privilegio di cui
solo
pochi potevano vantarsi.
La struttura era
immensa ed anche molto antica. Gli esterni bianchi, ristrutturati,
davano
un’impressione moderna – e al quanto sbagliata
– del suo interno. Lunghi
corridoi; lampadari al centro del soffitto, nelle aule; biblioteche
super
fornite di qualsiasi libro –moderno
o
antico – esistente; sale relax; mensa pulita, con grandi
cuochi in cucina e
molto, molto altro.
<< Bella addormentata?
>> mi chiamò
Tanya << Cosa stai facendo lì, impalata?
Sembra che tu non abbia mai
visto questa scuola! Certo che potevi essere un po’
più sveglia… >> buongiorno
vipera! Ecco che, finalmente,
il suo lato demoniaco usciva allo scoperto.
<< Sempre
gentile, eh? >> chiesi, raggiungendola di corsa.
<< Dico solo
ciò che è giusto, Isabella. >>
<< Oh, certo…
>> mugugnai, sperando che non mi sentisse.
<< Ehi, Jess!
>> urlò mia cugina, raggiungendo la sua
più grande – ma anche unica,
credo – amica.
Jessica Stanley,
ricca figlia di papà, era l’arroganza fatta a
persona – un po’ come Tanya, ecco
perché si trovavano bene insieme. Ragazza piuttosto carina,
con splendenti
capelli castano chiaro; occhi di un insolito grigio antracite; e, per
concludere, un fisico da modella.
<< Bella!
>> mi voltai, direzionandomi verso quella voce.
<< Ciao Angy!
Finalmente una faccia amica… >>
<< È solo Lunedì
mattina e sei già così disperata? >>
<< Prova tu a
vivere insieme a Tanya. >>
<< Touché,
a questo non posso
controbattere! >> disse, alzando le mani in segno di resa
<< Entriamo
in classe? >> annuii, seguendola per quei maestosi
corridoi.
Un tempo, quella
scuola, era un’antica residenza di ricconi. Ma si parlava di
più di un secolo
prima… peccato che qualcuno non la pensasse così.
<< Miss
Isabella, ma che piacere rivederla anche oggi! >>
<< Ciao
James. >> lo salutai, facendo attenzione che nessuno mi
vedesse parlare
al nulla.
James Gordon-Lennox
II nato a Londra nell’anno 1678, morì a soli
vent’anni a causa di un’insolita
febbre alta. Quello che, però, James non riusciva a capire
era proprio questo
suo stato di morte. Secondo lui, era in quest’epoca a causa
di una magia
potente e diabolica che gli impediva di farlo interagire con quegli strani individui –
cioè gli studenti –
fatta eccezione, anche se non sapeva spiegarsi il motivo, per me.
<< Miss
Isabella, la vedo sempre vestita con questo strano
abbigliamento… Ma lei, o la
sua famiglia, non possiede denaro per cambiare vesti? >>
<< Oh,
miseria! >> sbottai esasperata da questa storia
<< James, se ti
guardassi intorno noteresti che qui tutti hanno questo abbigliamento!
Non sono
solo io a portarlo e comunque, non so neanche perché te lo
rispiego, siamo a
scuola e c’è l’obbligo della divisa.
È tutto chiaro? >>
<< Primo, gli
altri non interloquiscono con me, perciò io non intavolo
conversazioni con
loro; per seconda cosa, questa idea della divisa scolastica
è a dir poco
ridicola e anche piuttosto volgare. >> sospirai
esasperata. Far entrare
in testa un concetto a James era una lotta persa in partenza. Non
capiva,
oppure non voleva capire. Ma chi avrebbe mai potuto dire qual era
l’opzione
esatta?
<< Ma è
ancora qui? >> domandò Angela, cercando di
vedere quello che vedevo io.
Annuii, senza perdermi in chiacchiere.
Angela Weber, anche
nota come mia sola migliore amica, era l’unica a conoscenza
del mio segreto; di
tutti, i miei segreti. La conoscevo da quando c’eravamo
trasferiti qui, a
Londra, e da quel giorno non c’eravamo più
lasciate. Angy, diminutivo di
Angela, era una ragazza timida, ma molto intraprendente e decisa. Nel
suo metro
e sessantatre era una persona coraggiosa e molto, molto intuitiva. I
capelli
castani, un po’ più chiari dei miei, le ricadeva
lisci fino a metà schiena; gli
occhi nocciola erano grandi, con un leggero taglio orientale; fisico
asciutto e
slanciato.
<< James, ma
possibile che tu sia qui da centinai di anni e non abbia ancora visto
la luce?
>> domandai, ricordando uno dei miei telefilm preferiti.
<< Quale
luce, milady? >>
<< Che ne so,
sei tu quello morto! Dovresti vedere una luce, un tunnel, qualcosa!
>> la
mia affermazione gli procurò una sana risata, facendomi
sbuffare.
<< Io non
sono morto, Miss Isabella, dovrebbe saperlo. Ora, se le due giovani
fanciulle
volessero scusarmi, ho alcune cose da fare. >> fece un
regale inchino e
si dileguò, attraversando un muro.
<< Certo, non
è morto ma attraversa i muri. I pazzi tutti a me, mah!
>>
<< Andiamo
va! >> disse Angela, mi prese sottobraccio e ci
incamminammo verso la
nostra aula.
Riuscivo a parlare
e vedere i morti da sempre, almeno questo era quello che mi ricordavo.
Fin da
bambina percepivo le presenze, ovunque andassi. Ne ero terrorizzata,
prima;
ora, invece, lo trovavo in un certo senso divertente. Nessuno, nemmeno
i miei
genitori, erano a conoscenza di questo segreto. Eccetto la prozia
Jenna, lei lo
sapeva eccome!
Entrando in classe
avvertii un leggero capogiro, con tanto di morsa allo stomaco. Se non
fosse
stato per Angela, molto probabilmente, sarei caduta a terra.
<< Ehi,
Bella, stai bene? >>
<< Sì, ma
questa mattina non ho fatto colazione. Miss
Perfezione, come al solito, doveva arrivare puntuale a
scuola, eccetera,
eccetera… >>
<< Quanto la
detesto! >>
<< Non dirlo
a me. >> sussurrai, mentre Angela mi accompagnava al
banco. Avrei
sgranocchiato un pacchetto di cracker durante l’ora di
Biologia. Il professor
Molina era un tipo piuttosto alla mano, fortunatamente.
La
giornata passò
in fretta, azzarderei troppo in
fretta. Era come se tutto intorno a me fosse distorto, per niente
fermo. Non
avevo seguito attentamente nessuna lezione, nemmeno quella di
Letteratura che
mi piaceva tanto. Forse stavo covando l’influenza. Sbuffai,
aprendo il menù dello
Starbucks.
Io e Angela ci
trovavamo a South Lambeth Place, sedute ad un tavolino ovale accanto
alla
vetrata principale del locale.
<< Io prendo
mmm… >> sussurrò Angela, spulciando
la carta che aveva in mano << Un
iced caramel macchiato e un muffin al cioccolato! Tu, Bella?
>>
<< Credo che
prenderò un frappuccino semplice, ho lo stomaco chiuso.
>>
<< Devi
mangiare, Bella. >> disse la mia amica, chiamando il
cameriere <<
Oggi a mensa non hai toccato cibo, che ti prende? >>
<< Non ne ho
idea. >> risposi sincera << È da
questa mattina che ho lo stomaco
chiuso, forse sono raffreddata. >> conclusi, vedendo il
ragazzo arrivare
a prendere i nostri ordini.
Restammo allo Starbucks qualche
ora, dopo essere
uscite da scuola. Tanya e le sue amiche erano andate in centro a fare
shopping
e, ovviamente, io non potevo rincasare senza di lei.
<< Allora,
tua cugina ha fatto questo benedetto salto? >>
domandò Angela, mentre
camminavamo per Lambeth Place, aspettando pazientemente che Jessica e
Tanya
tornassero a prenderci. Jessica e Angela abitavano a pochi metri di
distanza
l’una dall’altra, così – a
differenza mia e di Tanya, che avevamo l’autista –
si alternavano alla guida delle proprie auto. Quanto avrei voluto che
quella
settimana fosse stato il turno di Angela! Ci saremmo risparmiate tutto
questo
via vai.
<< No.
>> risposi secca, ricordandomi che mi aveva posto una
domanda <<
Non ancora, almeno. Ha capogiri, nausee, male allo stomaco, ma ancora
nulla.
>> ovviamente, Angela, era a conoscenza anche del segreto
della mia
famiglia e lo trovava – parole sue – fighissimo!
<< Ma non è
strano? >> domandò, scettica <<
Insomma, da quello che sai – e mi
hai detto – compiuti i diciassette anni, per un anno,
cioè fino al compimento
dei diciotto, vi sono questi salti temporali incontrollati.
Tua cugina ha compiuto diciassette anni il mese
scorso, non dovrebbe cominciare a… ehm scomparire?
>>
<< Mica è una
maga, Angy. >> le dissi, provando un certo piacere nel
pensare a Tanya
associata alla parola “scomparire”.
<< Sai cosa
intendo! >>
<< Va bene,
va bene! >> risposi, scoppiando a ridere <<
Non so davvero cosa
dirti, amica mia. Lady Lillian è isterica, ma quando non lo
è? Zia Victoria è
parecchio agitata, anche più del solito… Se Tanya
non si deciderà a fare questo
salto, credo che a tutti i membri della famiglia verrà un
esaurimento nervoso!
>>
<< Ma perché
dovrebbe essere per forza Tanya? >> domandò,
ma vedendo il mio
sopracciglio incurvato si affrettò a spiegare
<< Voglio dire, tutti date
per scontato che la dodicesima viaggiatrice debba essere Tanya Denali,
ma se
così non fosse? Mai pensato che potresti essere tu? >> la fissai per
qualche minuti, poi… scoppiai in una
fragorosa risata, facendo voltare tutti i passanti della piazza.
<< Hai
umorismo, Angela! Devo ammetterlo! >>
<< Ma perché
no, scusa? >> domandò lei, sbuffando.
<< Perché
grandi nomi hanno stabilito che l’ultima viaggiatrice sarebbe
nata il 13
Settembre 1994, al calar del sole! È Tanya quella nata il 13
Settembre, io sono
venuta al mondo solo il giorno dopo – il 14 Settembre
– e, per giunta, a
mezzogiorno! >>
<< Tutti
sbagliano, Bella. >>
<< Oh, certo,
dillo a Newton! >>
<< Cosa
c’entra Mike? >> ridussi gli occhi a due
fessure, colpendola sulla nuca.
<< Isaac
Newton! >> precisai, riscoppiando a ridere.
Un clacson
interruppe la nostra ilarità, facendoci voltare di scatto.
Finalmente quelle
due arpie erano arrivate!
<< Ciao
ragazze, come avete passato il pomeriggio? >>
cinguettò Jessica, mentre
salivamo in auto << Io e Tanya abbiamo fatto un sacco di
shopping! Bella,
ogni tanto potresti venire anche tu, il tuo stile ti ringrazierebbe!
>>
<< Non
perdere tempo, Jess. >> rispose Tanya, al mio posto
<< Rendere
presentabile mia cugina è come fare sei secco al
superenalotto! >>
concluse, scoppiando a ridere.
Alzai gli occhi al
cielo, pensando che ero superiore a loro e alle loro battutine
scadenti. Non
rispondendo avrei fatto più bella figura.
* * *
Era
da una
settimana, ormai, che avvertivo queste vertigini e la cosa cominciava a
rendermi nervosa. Detestavo stare male, senza contare il fatto che
dovevo
vedermela da sola. Mia madre era un tantino apprensiva, con me, e se le
avessi
detto che non mi sentivo in forma mi avrebbe fatto prescrivere
chissà quali
analisi di controllo. Ed io odiavo gli ospedali, più di
quanto odiassi Tanya.
Era notte quando il
senso di nausea mi costrinse a scendere al piano di sotto, per
prepararmi una
tisana. La casa era buia e silenziosa, tutti dormivano.
Raggiunsi la cucina
con la massima attenzione, se avessi svegliato Lady Lillian avrei
passato una
terribile mezzora – figurarsi se fosse stata Tanya a
destarsi! L’aria fresca della
notte entrò con una folata, dalla finestra aperta.
Rabbrividii, ma
quell’innaturale gelo mi fece sentire meglio. Decisi,
così, di lasciar perdere
la tisana e uscire in giardino. Mi avvolsi nella mia vestaglia lilla e,
circondandomi
le braccia intorno al corpo per stare più al caldo, varcai
la soglia della
porta sul retro.
La notte era quasi
spettrale; la luna piena rendeva il paesaggio magico, ma inquietante al
tempo
stesso. Mi voltai, per guardare l’enorme villa che, in quel
preciso momento,
sembrava più un castello dei Carpazi. Metteva paura, per la
sua maestosità.
Quando tentai di rientrare
in casa una vertigine, più accesa e potente delle altre, mi
colpì in pieno
stomaco, facendomi girare la testa come mai prima. Tutto, intorno a me,
perse
colore e forma. Mi sentii sollevare in aria, per poi vedere il buio
avvolgermi.
Chiusi gli occhi, sperando che la paura cessasse e, quando li riaprii,
mi resi
conto che qualcosa era cambiato. La vertigine, per prima cosa, era
sparita. Mi
sentivo bene, molto bene. Ma
c’era
qualcosa che non andava. In primis, la casa era troppo nuova; in
secundis, il cespuglio
di rose rosse – che cresceva al centro del giardino
– era stato estirpato
molto, molto tempo prima della mia nascita.
Non riuscivo a
capire quello che stava succedendo. Forse, supposi, ero svenuta e
adesso stavo
sognando. Decisi, comunque, di rientrare in casa. Pessima idea! La
cucina era
diversa, completamente. Mi diressi in salotto, ma anche quello era
totalmente
cambiato. Vecchie fotografie; tappezzeria antiquata;
candelabri…
<< Oddio!
>> sussurrai, ma subito mi tappai la bocca con la mano.
Possibile che
Angela potesse avere ragione?
<< E tu chi
saresti? >> saltai per aria, quando percepii una voce
alle mie spalle.
Non ebbi il tempo
di rispondere che, nuovamente, il senso di vertigine – e poi
di vuoto – si
impadronì di me. Ripiombai nel mio vero salotto che era
ancora notte fonda.
Oh, oh,
pensai. E poi corsi
come una razzo in camera mia, sperando
che quello fosse stato solo un brutto sogno. .
Eccomi con il primo
capitolo, cosa ne pensate? Alcune delle vostre domande avranno
sicuramente trovato risposta, almeno lo spero. Come vi ho accennato
prima - e come vi è scritto nelle note - questa long
è una crossover. Avete potuto vedere, infatti, che la prozia
Jenna altri non è che la zia di Elena Gilbert nel telefilm
TVD, così come Mr. Saltzman. Altri personaggi si
aggiungeranno alla nostra avventura... Ma per scoprire chi saranno
dovrete solo continuare a leggere! ;)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso, perciò, sta' a voi... ;)
Buongiorno
a tutti! E' vero, per me quest'orario è insolito, ma oggi
lavoro di pomeriggio e non volevo far saltare la pubblicazione del
capitolo o postarlo in orari impensabili! Perciò eccomi qui
:) non avendo troppo tempo non mi perdo in chiacchiere. L'unica cosa che vi dico
è di stare molto attente alle frasi che metto prima di
cominciare ogni capitolo, perché sono fondamentali per la
storia... Detto questo, ecco il capitolo! Buona lettura!
.
2.
« Dodici
colonne sostengono del tempo il maniero,
Dodici bestie reggono l'impero.
Il falco è pronto a ergersi fiero.
Il cinque è chiave e fondamento vero.
Nel cerchio dei dodici, il dodici è il due invero.
L'aquila spunta per settima, ma è terza davvero. »
Dagli scritti segreti
del conte di Saint Germain [ Tratto da Red, di Kerstin
Gier. ]
La mattina dopo mi
svegliai con due borse impressionanti sotto gli occhi. Avevo dormito a
fatica,
scossa e agitata, a causa di quello che era successo al piano di sotto,
poche
ore prima. Percepivo ancora il senso di nausea. Mi alzai a fatica,
anticipando
di mezzora la sveglia. Avevo bisogno di una doccia fredda!
Mi diressi in bagno
e girai il pomello del doccione perché l’acqua
uscisse velocemente. Solo quando
cominciai a spogliarmi una domanda si fece strada nella mia
mente… Oddio! E se dovessi
scomparire sotto la
doccia?, arretrai spaventata e rivoluzionai i miei programmi
post-sveglia.
Misi la mia tuta
preferita – quella viola e grigia, della Freddy
– e mi stesi a terra per fare un po’ di ginnastica:
flessioni, addominali,
esercizi per i glutei.
Le ore passarono in
fretta, non senza che la mia mente ripercorresse per
l’ennesima volta quello
che mi era successo: non riuscendo a dormire, scesi di sotto per farmi
una
tisana rilassante; avevo crampi allo stomaco e forti mal di testa,
così presi
la decisione di uscire in cortile, per prendere un po’
d’aria. Dopodiché
accadde tutto velocemente: giramento di testa, stomaco sottosopra e,
ciliegina
sulla torta, il mio primo salto
temporale incontrollato!
<< Diamine,
sono proprio sfortunata, però! >> sussurrai,
finendo la mia terza serie
di addominali.
<< Bella?
>> chiamò mia madre, intrufolandosi lentamente
nella mia stanza <<
Sei già sveglia? A quest’ora? >>
domandò, strabuzzando gli occhi. Per
poco la tazza di caffè non le cadde dalle mani.
<< Ehi, non
guardarmi così! Qualcuno potrebbe pensare che sia una
dormigliona senza
speranza!
<< Anche una
ritardataria senza speranza, tesoro. >>
replicò, sorridendomi
calorosamente.
<< Ma quanto
amore materno… >> la canzonai, tirandomi su.
<< Sciocca!
>> disse Renée, dandomi una spallata
<< Sai che ti voglio un mondo
di bene. >> e mi avvolse in un caldo abbraccio.
<< Anche io,
mamma. >> risposi, ricambiando il suo gesto.
Restammo così – io
in tuta, anche piuttosto sudata, e lei in vestaglia da notte
– per un tempo che
mi parve infinito. Forse dovrei
parlargliene…, pensai. Ma cosa potevo dirle?
“Ehi, mamma! Prima che mi dimentichi,
credo che questa notte abbia fatto un salto incontrollato nel tempo!
Uh, cosa
c’è per colazione?”. No, meglio di no.
Avrebbe sicuramente pensato che, a causa
delle pressioni a cui ero sottoposta per via di Tanya, stessi cercando
attenzioni.
<< Ti vedo
pensierosa questa mattina, Bella. >> sussurrò
mia madre, scostandosi un
po’ per vedermi in viso << Sicura di star bene?
>>
<< Sì.
>> affermai, ma l’insicurezza si fece strada
dentro di me. È tua madre, idiota!,
disse quella che
doveva essere la voce della mia coscienza. Non
ti prenderà di certo per una pazza o, peggio, per una bimba
capricciosa! Apri
quella bocca, avanti! << Mamma, io dovrei dirti
una cosa. >>
stavo per riaprire bocca, quando la sveglia sul mio comodino
cominciò a
suonare.
Mi staccai da mia
madre e corsi a spegnerla. Faceva un frastuono unico! Mi sedetti sul
letto e
sospirai angosciata; forse quello era un segno, dovevo tenere la bocca
chiusa.
<< Allora?
>> domandò mia madre, raggiungendomi sul letto
<< Di cosa volevi
parlarmi? Abbiamo ancora qualche minuto, prima che tu ti prepari per la
colazione. >> non risposi subito. Fissai mia madre a
lungo, chiedendomi
come mai non avessi preso lo splendido azzurro dei suoi occhi oppure,
per dirne
un’altra, i fantastici riflessi dorati dei suoi capelli.
Avevo preso
completamente da mio padre, invece. Charlie, infatti, era un uomo molto
bello
e, a tratti, affascinante. Aveva i capelli corvini e gli occhi di un
nocciola
molto scuro. Fisicamente erano due persone totalmente diverse! Mia
madre, infatti,
poteva benissimo passare per una modella in pensione – a
causa della sua adulta
età. Charlie, dal canto suo, era un ottimo avvocato,
nell’ambito della tutela
dei minori.
<< No, nulla.
Era una cavolata a dire il vero! >>
<< Dimmela
comunque, questa cavolata. >>
<< Alla prima
ora c’è Trigonometria e…
>>
<< Non
pensarci neanche, Isabella Swan! >> disse mia madre,
scattando in piedi
<< Già la odi, quella materia, e questo ti
impedisce di applicarti a
dovere! Non otterrai un permesso per entrare l’ora dopo.
Scordatelo, tesoro!
>>
<< Beh, ehm…
Ci ho provato! >> sussurrai, mordendomi il labbro
inferiore.
<< Muoviti a
cambiarti, tesoro, o la nonna si infurierà di nuovo.
>>
<< E quando
non si infuria? >> sussurrai, camminando verso
l’armadio, per recuperare
la mia solita divisa scolastica.
<< Ti ho
sentito, Bella! >> urlò mia madre,
direzionandosi verso le scale. Ops!, pensai, ma subito dopo stavo
già ridendo.
* * *
Il
Martedì era il
giorno più noioso e assolutamente meno producente di tutta
la settimana.
Alla prima ora
c’era il professor Snyder con la sua dannata Trigonometria
– di cui capivo sì e
no la metà della metà della lezione –,
seguivano due ore di Educazione fisica –
che detestavo con tutta me stessa, a causa della mia poca coordinazione
cervello/arti –, spagnolo e inglese. Una pausa pranzo di
quaranta minuti,
dopodiché l’una lezione che aspettavo di buon
grado: Letteratura.
<< Bella, sei
strana oggi. >> sussurra Angela, seduta al mio fianco
<< Va tutto
bene? >>
<<
Certamente, perché me lo chiedi? >> risposi,
senza smettere di prendere
appunti.
Mi trovavo
all’ultimo anno di liceo, ciò significava che
dovevo mettermi sotto a seguire
le lezioni. Dopodiché avrei conseguito il mio onorato
diploma e me ne sarei
andata via da questa città, ma – soprattutto
– dalla pazzia della mia
“famiglia”.
Adoravo mia madre e
mio padre, volevo molto bene anche alla prozia Jenna, ma non avrei
tollerato
ancora a lungo mia cugina, insieme alla sua odiosa mamma e a nostra
nonna –
ribattezzata da me come Hitler in gonnella, alias Lady Lillian.
<< Bella, ma
mi stai ascoltando? >> domandò ancora Angela,
sbuffando.
<< Scusa,
oggi sono un po’ distratta. >> risposi,
passandomi una mano tra i capelli
sciolti.
<< Me ne sono
accorta… Anche a pranzo non hai mangiato nulla e, scusami se
te lo dico, amica
mia, hai un aspetto di merda. >> mi voltai di scatto,
alzando un
sopracciglio.
<< Oh,
grazie, Angy! Ma ti prego, contieniti con tutti questi complimenti,
potrei
montarmi la testa! >> di tutta risposta,
soffocò una risatina.
<< Dopo scuola
vengo da te e mi racconti tutto ciò che affligge la tua
anima! >>
<< Affligge
la mia… cosa?
>> chiesi,
abbastanza confusa << Da quand’è che
parli in questi termini? >>
<< Questa
notte non riuscivo a dormire, così ho acceso la tv e ho
guardato un documentario,
molto interessante tra l’altro, sui problemi umani. Beh,
Bella, non ci
crederai! Ma i problemi della nostra società affliggono
più la nostra anima che
il nostro corpo! Roba da non crederci. >>
<< Già.
>> risposi ancora più confusa <<
Roba da pazzi, direi. >>
<< Signorina
Weber e signorina Swan! >> chiamò la
professoressa Montrose << Vi
sto forse annoiando? >>
<< No, Miss.
>> rispondendo in coro io e Angela << Ci
scusi. >> aggiunsi,
volendo sprofondare nel banco.
<< Volete
deliziarci delle vostre chiacchiere, ragazze? >> di tutta
risposta, io e
Angy, facemmo di no con la testa.
<< Stavano
organizzando il loro pomeriggio, Miss Montrose. >>
parlò Tanya, che
sedeva dietro di noi, insieme all’inseparabile Jessica
Stanley.
<< Grazie
mille, signorina Denali, ma nessuno l’aveva chiamata in
causa. >>
<< Ho
semplicemente pensato di fare la cosa giusta, Miss. >>
incalzò mia
cugina, costringendomi a voltarmi per fulminarla. Lei, spavalda come
sempre, mi
sorrise gentile, ma dietro quel gesto si nascondeva la pura
malvagità. Anche
Lucifero – che credevo seriamente essere il suo vero padre
– sarebbe scappato
terrorizzato al suo cospetto.
<< Swan e
Weber, >> ci chiamò la professoressa
<< vi tratterrete un’ora in
più alla fine delle lezioni. >>
<< Come
vuole, Miss. >> rispondemmo, e percepii un
ghignò proveniente dalle mie
spalle. Questa me la paghi, cugina!,
pensai digrignando i denti.
<< Aprite il
libro a pagina 467. >> disse la professoressa
<< Newton, leggi il
sonetto ad alta voce e poi fammi una parafrasi corretta.
>> aprii il
volume di letteratura alla pagina indicata e sperai che quella giornata
finisse
in fretta. Molto in fretta.
<<
Che palle!
>> sbottò improvvisamente Angela
<< Non ce la faccio più! Avrebbe
potuto darci anche una punizione un po’ più
impegnativa! Che fine hanno fatto
le fustigazioni corporali? >>
<< Ma sei
forse impazzita, oggi? >> chiesi, alzando un sopracciglio
e rimettendo
sul tavolo della biblioteca il mio libro di Chimica <<
Davvero, tesoro,
sono seria! Ti fa male non dormire la notte. >>
<< Siamo
chiuse qui dentro perché quella stronza di tua cugina non sa
farsi i fatti
propri! >>
<< Dimmi
qualcosa che non so… >> risposi distratta,
mentre scrivevo qualche
formula utile per il compito di domani.
<< Bella,
smettila di fare la secchiona! E dimmi qual è il problema.
>>
<< Credo di
aver fatto un salto incontrollato, questa notte. >>
sputai fuori, senza
neanche alzare lo sguardo. Un tonfo mi fece sollevare il capo, ma di
fronte a
me non c’era più, la mia amica <<
Angela! >>
<< Sono qui!
>> disse, con voce stridula << Per terra,
Bella. Credo di essermi
ribaltata per lo stupore. >> scattai in piedi,
raggiungendola.
<< Oh,
miseria! >> urlai e l’aiutai ad alzarsi
<< Ma stai bene? Hai
battuto la testa, ti sei fatta male? >>
<< No, ma
dico io… Come accidenti ti viene in mente di dire una cosa
simile come se mi
stessi enunciando la formula chimica dell’ossigeno!?
>>
<< E come
avrei dovuto dirtelo, scusa? >>
<< Che ne so,
potevi prepararmi psicologicamente, prima! >> alzai gli
occhi al cielo,
rimettendola in piedi, e tornai al mio posto.
<< Non ne
sono nemmeno sicura, Angy. >> mi affrettai a spiegare
<< Voglio
dire, potrebbe anche essere stato solo un incubo.
>>
<< Incubo?
Bella, dannazione, ma sarebbe una figata assurda! >>
strillò, fortuna che
in biblioteca non c’era nessuno << Sai come
roderebbe quella serpe di
Tanya? >>
<< Angela, al
momento non mi interessa nulla di Tanya, ok? Sai cosa significa entrare
a far
parte del cerchio dei dodici?
>>
<< No,
perché, tu sì? >>
<< No.
>> risposi all’istante << Non del
tutto almeno, ma so che non
sarebbe una “figata” come dici tu. Inoltre, la mia
vita cambierebbe
radicalmente, più di quanto sia cambiata in questi
anni… E sinceramente non mi
va, capisci? Non voglio diventare un fenomeno da baraccone.
>> sentii Angela
sbuffare e il mio stomaco svuotarsi.
Mi appoggiai allo
schienale della sedia, premendo una mano lì dove sentivo il
fastidio. Era come
se non mangiassi da mesi. Stavo davvero cominciando a stufarmi.
<< Bella,
tutto ok? >>
<< Non molto,
mi gira la testa e mi fa male lo stomaco. >>
<< E sei
ancora convinta di aver solo “fatto un incubo”?
>> domandò, facendo le
virgolette con le dita. La fulminai all’istante, forse
– e volevo sottolineare
il “forse” – era solo un po’ di
influenza. Qualche medicinale e sarebbe passato
tutto.
La mezzora
seguente, grazie al cielo, passò alla svelta. Angela, dopo
il mio breve
malessere, insistette per accompagnarmi a casa – anche se la
sua era nel
quartiere completamente opposto al mio.
Ci trovavamo sulla King’s Road,
la strada che passava al
centro del quartiere di Chelsea.
Era
qui che, negli anni Sessanta, la famosa Mary Quant inventò
la minigonna; era
sempre qui che, ancora oggi, risiedevano i più importanti
colossi della moda,
affiancati da piccoli negozi tipicamente inglesi, dove si potevano
trovare capi
di altissima qualità.
<< Oh, no!
>> annaspai, sentendo nuovamente quella strana vertigine.
Lo stomaco si
contorse in modo atroce e la testa cominciò a girarmi come
una trottola; tutto
intorno a me si fece scuro e incolore e, esattamente come era comparsa,
la
vertigine scomparve nel nulla. Ed io, purtroppo, sparii con lei.
Evitai, a primo
acchito, di aprire gli occhi. Se non li avessi aperti, forse, tutto
questo
sarebbe sparito nel giro di poco tempo. È
tutto un sogno, Isabella, pensai, evidentemente
sei svenuta. Sei crollata in mezzo alla strada e hai battuto la testa.
Sicuramente è successo questo… Spiegherebbe anche
perché non sento più dolore,
sono svenuta.
Il suono di un
vecchio clacson mi fece spaventare, costringendomi ad aprire gli occhi.
Ero in
mezzo alla strada e un’auto d’epoca per poco non mi
venne addosso.
<< Le sembra
modo di aggirarsi così in mezzo alla strada, signorina?
>> urlò il
guidatore.
<< Oh, merda!
>> strillai, togliendomi dalla strada <<
No, non può essere. Sto
sognando! Maledizione, maledizione! >> cercai di
respirare e mi guardai
un po’ intorno.
Tutto era molto
antico. Mi trovano ancora sulla King’s
Road, ma aveva un’aria più nuova e
pulita, che a me sembrava, però, vecchio
stile. I vestiti e le persone sembravano uscire da qualche film
storico; mi
vennero in mente libri come La caduta dei
giganti, di Ken Follett, Quattro
inglesi aristocratiche – Le vite inquiete delle sorelle Lennox,
di Stella
Tillyard, o il film di James Cameron, Titanic.
<< Tutti
ambientati nel Novecento. >> parlai a voce alta, senza
volerlo realmente
fare. Sospirai pesantemente, ma all’improvviso venni
catapultata da dove ero
venuta.
Ad accogliermi,
trovai un’eccitata Angela.
<< Oh. Mio.
Dio! >> disse, guardandomi con occhi brillanti
<< Sei sparita,
Bella! Sei sparita! Per… >>
continuò, guardando l’orologio <<
…otto
minuti e venti secondi! Eri qui e un attimo dopo, puff! Che
gran… >>
<< Angela!
>> la interruppi all’istante <<
Non ti azzardare a dire “che gran
figata!”. >>
<< Bella, sei
tu la dodicesima viaggiatrice. Ecco perché Tanya non ha
ancora fatto il salto,
non potrà mai farlo! >>
<< Se ci
stessimo sbagliando? >>
<< Oh,
andiamo! >> strillò, mettendosi le mani sui
fianchi << Tu stai solo
negando l’evidenza! Non vuoi accettare il tuo grande e
meraviglioso nuovo
futuro! >>
<<
Meraviglioso? >> stavo cominciando a perdere la pazienza
<< Angela,
ti ricordi quello che ti ho raccontato, vero? Sai quanto tempo ha
passato mia
cugina dietro… dietro a qualunque cosa! Essere a conoscenza
di ogni minimo modo
di fare, conoscere cinque lingue, sapersi muovere in ogni epoca, tutte
quelle
lezioni di storia per sapere con precisione tutto ciò che
serve sapere! Le
lezioni di danza, di equitazione! E la boxe e la scherma?
>> conclusi,
riprendendo fiato << Se tu avessi ragione, se questi
salti fossero reali, allora sei
nella merda fino al
collo! >>
<< Bella, non
sei inferiore a tua cugina. Potresti imparare tutte queste cose anche
tu.
>>
<< Lei ci ha
messo diciasette anni per impararle, Angela! >>
<< D’accordo,
d’accordo. >> rispose lei, tentando di calmarmi
<< Andiamo a casa
tua e per il momento non diciamo niente a nessuno. Andiamo su Internet
e
vediamo dove sei capitata – sempre se sei davvero andata da
qualche parte.
>>
<< Io opto
per la pazzia! Potrei dichiararmi malata mentale. >>
<< Isabella!
>> urlò Angela, dandomi uno scappellotto
dietro la nuca << Prima
andiamo da te, facciamo qualche ricerca e poi decidiamo il dafarsi,
chiaro?
>> annuii decisa, pregando che non mi desse un altro
scappellotto, e ci
dirigemmo verso casa mia.
* * *
<<
Eccola!
>> urlai all’improvviso, facendo spaventare
Angela.
Era da più di
un’ora che stavamo cercando l’auto che avevo visto,
dopo aver fatto il mio secondo
salto incontrollato. Ci
trovavamo in camera mia, adesso, e Renée ci aveva preparato
qualcosa da
sgranocchiare con due bicchieri di succo di ciliegia.
<< Il mio
timpano ti sta ringraziando, Bella. >>
<< Scusa!
>> dissi, baciandole una guancia << Allora,
cosa dice? >>
<< Il nome Mercedes Simplex
identifica una
famiglia di autovetture di lusso prodotta dalla fine del 1901 al 1909
dalla
Casa automobilistica tedesca Daimler per essere inserita nella gamma
Mercedes.
>> disse Angela, leggendo direttamente Wikipedia
<< Credo che sia un’automobile di importazione,
quello
che hai visto doveva essere senza ombra di dubbio un riccone! Fatto sta
che,
secondo quello che leggo, sei saltata agli inizi del secolo scorso.
>>
non parlai per qualche minuto. Possibile che fossi realmente io, quella a possedere il gene dei
Viaggiatori?
<< Secondo me
dovresti dirlo a tua madre. >> riprese Angela, finendo il
suo succo
<< Voglio dire, Bella qui non stiamo giocando e tu hai
bisogno di aiuto.
Dei salti temporali sai poco e niente perché non te ne sei
mai interessata
molto. Ma rispondiamo ad alcune domande: un salto quando
può, ma soprattutto,
deve durare? Ci sono rischi che tu possa restare intrappolata in
quell’epoca?
E, ancora, quanto indietro puoi andare? >>
<< In che
senso, scusa? >>
<< Mettiamo
il caso che vai indietro di miliardi di anni, quando Londra non
esisteva
ancora. Cosa potresti fare? >>.
Non avevo ancora
pensato a tutto questo. I quesiti di Angela erano sensati, dovevo
assolutamente
arrivare in fondo a questa questione.
<< Bella, mi
stai ascoltando? >>
<< Sì,
pensavo solo che hai ragione. >>
<< Come
sempre. >> le diedi una spinta amichevole e scoppiammo a
ridere <<
Quanto tempo è passato tra il primo e il secondo salto?
>> domandò, una
volta tornata seria.
<< Non lo so,
credo poco più di dodici ore. >>
<< Quindi,
almeno per il momento, dovresti stare tranquilla. >>
parlò, grattandosi
il mento con fare pensieroso << Dico bene?
>>
<< Presumo di
sì. >> risposi, anche se abbastanza incerta.
Avrei dovuto fare delle
domande, ma con chi potevo parlarne? I miei genitori erano esclusi.
Tanya e sua
madre, figuriamoci! Lady Lillian? Certo, se volevo farmi rinchiudere in
un
manicomio o diventare il giullare di casa, avevo la strada libera.
<< La prozia
Jenna! >> strillai, all’improvviso
<< Posso chiedere a lei, senza
darle molte spiegazioni. È una donna di larghe vedute, lo
sai. Non chiederà, ma
mi dirà quello che sa. >>
<< E quando
avresti intenzione di parlarle? >> chiese Angela, che
annuiva
soddisfatta.
<< Dopo cena,
quando tutti saranno andati nelle loro stanze. >>
<< Va bene.
>> rispose Angy, afferrando la sua roba <<
Io ora vado a casa,
Bella. Devo ripassare un po’ per il compito di domani, ma non
appena hai
parlato con tua zia fammi sapere! Intesi? Io cercherò
qualcosa su Internet, non
si sa mai che riesca a trovare qualcosa di interessante.
>>
<< D’accordo,
Angy. >> dissi, accompagnandola al piano di sotto
<< E grazie
mille. >>
<< Lo faccio
perché ti voglio bene. >> rispose,
abbracciandomi << E poi sai come
la penso, per me è una gran figata! >>
concluse, scoppiando a ridere, e
scomparve, uscendo dal maestoso cancello.
Stavo per chiudere
la porta d’ingresso, quando un piede – fasciato da
un paio di stivali molto
costosi – si frappose tra me ed essa.
<< Non vorrai
davvero lasciarmi fuori, Isabella. >> disse Tanya,
stracolma di borse piene
di vestiti << Anzi, renditi utile! >> e mi
ritrovai tra le braccia
tutte le sue compere.
<< Ma non
dovevi essere alla Loggia con tua madre? >>
<< Sì, ma non
è saltata nemmeno oggi. >> rispose zia
Victoria, entrando in casa
<< Mr. Dwyer ha detto che potevamo andare, che
evidentemente non era
ancora pronta. >>
<< Ma… Mamma!
>> la richiamò Tanya, rossa in viso.
<< Cosa c’è?
Ho solo detto ciò che comunque avrebbe saputo da mia
sorella. >> alzai
gli occhi al cielo, portando le borse in salotto. Non
sono di certo un facchino!, pensai. In
camera sua, se le porta da sola!
<< Ben
tornate a casa, mie care. >> esordì Lady
Lillian, entrando nella stanza.
Con le sue due preferite era sempre garbata e gentile, il Diavolo in
lei taceva
con loro. Con me, invece… << Isabella, cosa
fai lì impalata? >>
appunto.
<< Nulla
nonna, stavo solo dando una mano a Tanya. Ora che ho finito tolgo le
tende!
>> dissi e salii in camera mia, mentre attendevo la cena.
Avrei posto molte
domande alla prozia Jenna, sperando che lei mi avrebbe dato tutte le
risposte
che cercavo. Per tenere la mente
occupata, almeno per un po’, ripresi le formule di Chimica e
mi misi a
ripassare ancora per qualche ora.
.
Eccoci qua con il
nuovo capitolo! Bella ha compiuto un altro salto, questa volta sotto lo
sguardo della sua carissima amica Angela, che cerca in ogni modo di
farle capire che non è pazza e che deve accettare il suo
nuovo destino. Lo so che vorrete uccidermi per come è finito
:P anche io mi ucciderei se fossi in voi! Ma questa storia è
davvero piena di concetti, che devono essere appresi poco per volta,
altrimenti non ci capireste niente! Perciò, pian piano,
tutto verrà capito e svelato... Nel prossimo capitolo
Isabella farà una bella chiacchierata con la sua prozia
Jenna, ma quando si deciderà ad informare tutti del fatto
che è lei - e non Tanya - la dodicesima viaggiatrice?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso, perciò, sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti, come state?
Io non sono di molte parole, perché sono davvero molto
stanca! La giornata è già stata fin troppo lunga,
per me XD Prima di lasciarvi al
capitolo, però, ci tenevo molto a dirvi una cosa:in questi giorni, se
riesco a finire una cosa - nei momenti buchi della mia preparazione per
la laurea - vorrei fare una piccola sorpresa a tutti voi, lettori di
questa storia. Per chi mi segue anche su facebook o sul mio blog
personale (Violet Moon), è possibile che vedrà la
sorpresa a breve, tutti gli altri la vedranno Mercoledì
prossimo! Siete curiosi di sapere cos'è? XD
Adesso vi lascio al capitolo! Buona lettura :) .
3.
« Sappiamo
chi noi siamo,
ma non sappiamo cosa potremmo essere. » William Shakespeare.
Erano
da poco
passate le dieci di sera e la rutine di casa Hale non deludeva le mie
aspettative.
Mamma e papà erano andati in camera loro, a guardarsi un
po’ di televisione;
zia Victoria era nello studio del nonno, insieme a Lady Lillian; Tanya
era
attaccata al telefono, con Jessica; per finire, la prozia Jenna, era
nella sua
stanza a sorseggiare una calda tisana, seduta davanti al camino.
<< Isabella.
>> disse, senza nemmeno voltarsi << Sei
lì impalata da dieci
minuti, vuoi entrare o resti sulla soglia? >> stava
fissando il fuoco
scoppiettare.
<< Oh, sì.
>> risposi, incerta. Mi affrettai a chiudere la porta e
la raggiunsi. Mi
accomodai sulla poltrona di pelle scura, alla sua sinistra.
Jenna Hale, sorella
di Royce Hale – nonché marito di Lady Lillian
– era una tipa tosta. Aveva
passato la mezza età già da diverso tempo, ma non
aveva mai perso la sua
freschezza e vitalità. Gli sbarazzini capelli castani,
mechati di biondo
cenere, incorniciavano un grazioso viso a cuore – che
ricordava il mio – ornato
da due occhi castano/azzurri.
<< Cosa ti ha
portata qui, tesoro? >>
<< Volevo
chiederti ehm… delle cose. >> risposi,
giocherellando con le mie dita.
Indossavo il
pigiama pesante, quella sera tirava un vento piuttosto freddo.
<< Chiedi,
nipote! >> rispose sprezzante la prozia <<
Chiedi e ti sarà dato.
>> concluse, facendomi scappare un leggero sorriso.
<< Come
funziona questa… questa storia dei viaggi nel tempo?
>>
<< Isabella,
sai che non ne posso parlare. Non hai altre cose da chiedere alla tua
bellissima, quanto dolcissima, prozia Jenna? >>
domandò, sbattendo le sue
lunga ciglia.
<< Ehm no!
>> risposi, vedendola sbuffare.
<< Da quando
ti interessano questo genere di questioni? >> chiese,
sorseggiando la sua
tisana. Da quel poco che riuscivo a sentire, doveva essere un infuso al
finocchio e… forse tiglio.
<< N… no,
così. >> dissi balbettando. Cazzo,
Bella! Sei un genio nell’arte del “non dare
nell’occhio”!, mi dissi
mentalmente.
<< Tutto
bene, cara? >> domandò la prozia, poggiandomi
una mano sul ginocchio
tremante.
<< Sì, tutto
bene. Vorrei solo saperne di più, ecco tutto. Insomma, in
questa casa si parla sempre
di questo dannato viaggio incontrollato di Tanya, ma io di questa
storia so
poco e niente! Sono della famiglia, no? Vorrei solo essere un
po’ più… preparata.
>> lo buttai lì,
sperando di far vacillare un po’ la prozia. Lei, dal canto
suo, mi stava
fissando di sottecchi; mi studiava, cercando di capire cosa ci fosse di
vero
nelle mie parole. Quando la vidi fare un lungo sospiro, seppi di aver
vinto.
<< Cosa vuoi
sapere, di preciso? >>
<< Quanto
tempo intercorre tra un salto e l’altro? E perché
viene definito
“incontrollato”? Si può controllare? E
questo periodo di assestamento del gene,
dura davvero un anno? E quanto indietro si può andare?
Insomma, Londra quand’è
stata costruita? E se il salto ti portasse a prima, cosa succederebbe?
E i dinosauri?
Voglio dire: mettiamo il caso che… >>
<< Isabella!
>> mi interruppe la prozia Jenna << Una
domanda alla volta,
cortesemente! Mai pensato di laurearti in giornalismo, cara? Sono
sicura che
faresti moltissima strada. >>
<< Scusa.
>> risposi, mordendomi il labbro inferiore. Non era mia
intenzione
assalirla, ma tutta questa storia mi stava portando sulla soglia di un
esaurimento nervoso.
<< Partiamo
dall’inizio, ok? >> domandò lei,
sorseggiando un altro sorso di tisana
<< Ti dirò tutto quello che so, ma soprattutto
tutto ciò che posso
dirti, mi hai capita? >>
annuii, pensando che quello fosse meglio di niente <<
Partiamo dal
presupposto che il primo salto non supera mai i
centocinquant’anni. Come puoi
vedere, Tanya, ogni pomeriggio passa qualche ora a Temple, e quella
residenza
fu costruita nel 1741. Quando compirà il salto, infatti,
potrà aggiungere il
suo sangue al cronografo e, proprio
grazie a quello, eviterà di saltare in qualsiasi momento
della giornata, visto
che potrà essere mandata in qualsiasi epoca passata!
Ovviamente non siamo
maghi, tesoro, ci sono limiti di tempo; non si può saltare
troppo in là… Per
adesso, comunque, non c’è una scadenza. Ma
sta’ tranquilla, nessuno ha mai
incontrato i dinosauri! >> concluse, strizzandomi
l’occhio. Dal canto
mio, però, ero più confusa di prima.
<< E quanto
tempo passa tra il primo salto e quello dopo? >>
<< Nessuno lo
sa con precisione. >> rispose la prozia, posando sul
piccolo tavolino di
legno massello la tazza ormai vuota << Ma se un
gene-portatore dovesse
compiere il primo salto, i seguente si conseguiranno a intervalli di
tempo
sempre minori. >>
<< E cosa
sarebbe questo cronometro? >>
<<
Cronografo, Bella. >> mi sorresse sogghignando
<< È un oggetto
molto antico, con il quale i gene-portatori possono essere spediti in
epoche precise. Ovviamente funziona
solo con
loro, io – tanto per farti un esempio – non potrei
usarlo. >>
<< E cos’è
questa storia del sangue? >> chiesi e per poco non mi
venne la nausea. Sangue…,
pensai, che cosa macabra!
<< Non ne so
molto. >> rispose, facendo spallucce << I
dodici viaggiatori devono
inserire il loro sangue all’interno del cronografo,
affinché esso li riconosca.
Ma non finisce qui… >> sussurrò,
avvicinandosi a me << Una volta
che il sangue dei dodici viaggiatori verrà inserito
all’interno dell’aggeggio,
qualcosa di molto potente si rivelerà. >>
<< E cioè?
>>
<< Questo non
lo so! >> rispose, scoppiando a ridere. Cavolo!,
pensai. Proprio quando la storia si stava facendo
interessante! << Nella nostra famiglia il gene
è associato alle donne,
mentre nei Cullen agli uomini. >>
<< Nei chi?
>> domandai, sentendo per la
prima volta quel nome.
<< L’altra
famiglia che ha il gene-portatore. >> rispose la prozia
Jenna, storcendo
il naso << Non hai mai sentito tua cugina parlare del suo
affascinante compagno di avventura,
nonché Edward Cullen? >> scossi il capo, in
segno di negazione <<
Non ti perdi poi molto, cara. I Cullen sono tutti degli spocchiosi
arroganti.
>>
<< Buono a
sapersi. >> dissi << Quindi Tanya si
troverà a suo agio con questo…
Ma, aspetta! Questo tipo ha già compiuto il salto?
>>
<< Edward lo
ha compiuto quasi due anni fa. È più grande di
tua cugina. >>
<< E perché
tutti voi siete sicuri che sia proprio Tanya, quella che ha gene?
>>
<< Il gene
viene tramandato per generazioni. Prima di Tanya lo possedeva una certa
Elena
Gilbert, nonché la nonna di tua nonna Lillian.
Dopodiché passò a Rosalie.
>>
<< Rosalie,
mia cugina? La figlia dello zio Laurent? >> domandai e la
prozia annuì
<< Che strano. Non lo sapevo, come mai non ne parla mai
nessuno? >>
<< Perché la
storia di tua cugina Rose è molto, molto triste.
>>
Sapevo poco e
niente di Rosalie, se non che fosse considerata la pecora nera della
famiglia
Hale. Come lo squinternato di suo padre, che si sposò
all’età di diciotto anni,
mia cugina scappò di casa che ne aveva diciassette, e da
allora non se ne seppe
più niente. Nessuno, però, aveva mai fatto
riferimento al fatto che anche
Rosalie fosse una gene-portatrice.
<< Un attimo!
Ma se il gene si sviluppa all’età di diciassette,
vuol dire che… >>
<< Già.
Rosalie è scappata poco dopo aver fatto qualche salto.
È tutta colpa di quel
giovane! Non era fatto per lei. Quando tua nonna scoprì che
sua nipote non era
più nelle sue stanze, puoi benissimo immaginare come
uscì di testa. >> annuii
lentamente.
<< Per tutti
i numi! Isabella, mi hai fatto parlare anche troppo, inoltre
è tardi… Credo che
sia il caso che tu vada a dormire, domani hai scuola. >>
concluse,
sorridendomi calorosa.
<< Sì. Ehm,
grazie mille, zia Jenna. >> la salutai, dandole un bacio
sulla guancia e
mi apprestai a raggiungere la mia stanza. Se un gene-portatore dovesse compiere il
primo salto, i seguente si conseguiranno a intervalli di tempo sempre
minori. Non riuscivo a togliermi questa maledetta
frase dalla testa.
Avevo già compiuto
due salti a distanza, tra loro, di dodici ore. Quando sarei saltata di
nuovo,
adesso? Sospirai rassegnata, aprendo la porta della mia camera e mi
buttai sul
letto. Dovevo prendere una decisione… La faccenda stava
diventando troppo assurda
e pericolosa, per me.
Mi sistemai meglio,
infilandomi sotto il caldo piumone, e ci riflettei bene: prima avrei
parlato
con Angela, dopodiché lo avrei detto a mia madre.
* * *
<<
Fammi
capire! Quindi, se ti decidessi ad aprire quella cavolo di bocca che ti
ritrovi, non avresti più problemi di salti incontrollati?
>> domandò
Angela, mentre aspettavamo che Mr. Saltzman raggiungesse
l’aula di storia.
<< Potresti
abbassare la voce, cortesemente? >> chiesi, abbassando la
mia.
Tanya e Jessica,
sedute dall’altra parte della classe, insieme a Mike e gli
altri loro amici, ci
guardavano come se volessero capire di cosa stessimo parlando. Se mia
cugina
avesse saputo che Angela – che lei detestava, tra le altre
cose – era a
conoscenza del segreto della nostra famiglia… Beh, avrei
passato il momento
peggiore di tutta la mia giovane vita.
<< Scusa, non
volevo parlare a voce troppo alta. >> disse, tirando
fuori dallo zaino un
pacco di fogli << Ieri sera, comunque, ho cercato su Wikipedia qualcosa. >>
<< E…?
Trovato nulla di interessante? >>
<< Non so. In
base a quello che mi hai appena raccontato sembrano tutte stronzate!
Ecco,
leggi qua. >> rispose, indicandomi un foglio.
<< Il viaggio nel tempo
è l'ipotetico
spostamento tra diverse epoche temporali, verso il passato o il futuro.
Per
"visualizzarlo" si usa comunemente l'analogia dello spostamento su un
filo, una linea che rappresenta il tempo nella sua totalità.
>> lessi
e mi interruppi quasi subito << Beh, sappiamo che i
geni-portatori
possono viaggiare solo a ritroso nel tempo. Il futuro non è
concepito, da
quello che so. >>
<< Esatto!
Dopo dice: Alcune teorie scientifiche
ammettono la possibilità del viaggio nel tempo, ma solamente
attraverso
condizioni estreme impossibili da realizzare con le tecnologie
disponibili. La
teoria della relatività ristretta prende in esame il
fenomeno della dilatazione
del tempo, registrabile soprattutto da osservatori che si spostino a
velocità
prossime a quella della luce, fenomeno verificato da numerosi
esperimenti e che
sembrerebbe lasciare la porta aperta all'ipotesi dello spostamento nel
futuro.
Tale spostamento, tuttavia, non ha probabilmente nulla in comune con
l'idea dei
viaggi nel tempo usata nella fantascienza. >>
<< Quindi la
mia famiglia sarebbe fantascientifica? >> domandai
abbastanza confusa.
<< Secondo Wikipedia
sì! >> rispose Angela,
scoppiando a ridere.
<< Buongiorno
a tutti! >> salutò il professor Saltzman,
entrando in classe <<
Come state oggi, ragazzi? >>
<< Molto
bene, Mr. Saltzman. E lei? >> rispose Tanya, facendo la
solita civetta.
Alaric Saltzman era
un uomo sulla trentina, molto affascinante. I capelli castani erano
corti,
sempre molto curati, mentre gli occhi erano di un nero impenetrabile
– si
faceva perfino fatica a distinguere l’iride dal cristallino.
Era alto, su per
giù un metro e ottantacinque, e aveva un fisico atletico.
Single, devoto al suo
ruolo d’insegnante e, ciliegina sulla torta, membro della
loggia – il che gli
donava un’aria misteriosa e accattivante.
<< Mio Dio,
vorrei essere una gene-portatrice solo per restare qualche ora a Temple
con
lui, da sola, in qualche sotterraneo sperduto. >>
sussurrò Angela,
costringendomi a voltarmi dalla sua parte.
<< Stai
sbavando, Angy. >> dissi, alzando gli occhi al cielo.
<< Di cosa
stavamo parlando, la scorsa volta? >> domandò
Mr. Saltzman, rivolgendosi
a noi.
<< Del grande
incendio di Londra! >> risposero prontamente, in coro
– come due
pappagalli –, Jessica e Tanya.
<< Giusto.
Grazie, ragazze! E cos’avevamo detto a riguardo?
>> chiese, scegliendo la
sua preda << Isabella, vuoi illuminarci tu?
>>
<< Certo.
>> risposi titubante, alzandomi in piedi <<
L’incendio si propagò
nella City di Londra e ne distrusse la gran parte. L’incendio
scoppiò a Pudding Lane,
nella casa di Thomas
Farrinor, un fornaio del re Carlo II… >>
<< In che
anno? >> domandò Mr. Saltzman.
<< Ehm, era
il… >> ci pensai su un attimo, sperando di non
fare la mia solita figura
di merda. Odiavo la storia, era più forte di me
<< Il 2 Settembre 1664
>>
<< 1666!
>> mi corresse immediatamente mia cugina, meglio
conosciuta come “La serpe”.
<< Vuoi
proseguire tu, Tanya? >> le propose Mr. Saltzman,
sorridendo. Io tornai a
sedermi, mentre mia cugina si alzò in piedi.
<< L’incendio
ebbe un forte impatto sulla società londinese. Si
iniziò, poi, a pensare che
tutto il disastro facesse parte di complotti cattolici o che, perfino!,
esso
fosse stato annunciato da innumerevoli profezie richiamate dalla
satanicità
della data dell’incidente. >>
Scollegai il
cervello alla seconda frase. Sentivo parlare Tanya già
abbastanza a casa, anche
a scuola era davvero troppo.
La
lezione stava
andando per le lunghe, trasformandosi in un tête-à-tête
tra professore e allieva. Stavo cominciando a snervarmi.
<< Bella, ti
vuoi calmare? >> mi chiese Angela, improvvisamente
<< Sono dieci
minuti che sembri un elefante, su quella sedia! Se non ce la fai
più chiedi di
andare in bagno. >> ci pensai su qualche minuti, poi
decisi di accettare
il consiglio della mia amica.
<< Mr.
Saltzman? >> chiamai, interrompendo mia cugina. Queste sì che sono soddisfazioni!,
pensai tra me e me.
<< Sì,
Isabella? >>
<< Non mi
sento molto bene, potrei assentarmi qualche minuto? >>
<<
Certamente, hai bisogno di aiuto? >> propose lui,
facendomi lanciando
sguardi ai miei compagni << Vuoi che qualcuna venga con
te, per
precauzione? >>
<< Ah, ehm…
>> mi voltai verso Angela, che aveva lo sguardo che
urlava “Provaci a
dire il mio nome e ti uccido! Devo restare qui a rifarmi gli occhi col
professorino sexy, hai capito?” << No, grazie,
Mr. Saltzman. Vado da
sola! >> mi sorrise, annuendo, e uscii
dall’aula.
Erano le due e
mezza di pomeriggio, tra poco più di mezzora saremmo potuti
tornarcene a casa. Ero
ancora molto confusa, non avevo preso alcuna decisione riguardante il
mio caso
di gene-portatrice – sempre se non fossi impazzita,
immaginandomi tutto quanto.
Mi ricordai, però, di essere saltata davanti ad Angela,
ciò significava che non
ero pazza, ma peggio. Come sarebbe cambiata la mia vita, da ora in
avanti? Come
l’avrebbe presa mia madre o mio padre? E Lady Lillian, mi
avrebbe considerata
all’altezza? Avrei dovuto dimostrare di essere capace di fare
questi salti e,
dopo aver fatto tutto questo, avrei dovuto dare il mio sangue a degli
sconosciuti? E di quanto sangue si parlava?
Una vertigine
interruppe i miei pensieri, facendomi venire un gran mal di stomaco.
<< Oh, no.
>> sussurrai, prima di sentirmi leggera e compiere
l’ennesimo salto. Il
terzo.
Chiusi gli occhi,
questa volta, comprendoni il viso con le mani. Quando percepii
nuovamente il
pavimento sotto i piedi li riaprii. Avevo compiuto il salto nel
corridoio della
scuola, perciò… Perché mi ritrovavo in
un castello?
Mi guardai intorno,
cercando di capire dove mi trovassi, ed infine capii: la Saint Lennox
High
School non era sempre stata una scuola. Nel 1678, infatti, era il
palazzo in
cui abitava James – il fantasma che vedevo tutti i giorni, al
liceo – e la sua
famiglia. E rimase tale per diverso tempo. Capire che anno fosse,
sarebbe stato
impossibile.
I soffitti erano
alti, i corridoio lunghi. C’erano molte vetrate, che facevano
entrare il
riflesso della luna. È
notte…,
pensai. Me n’ero accorta solo in quel momento. Sentii in
lontananza una musica
leggera, un valzer forse, provenire da qualche salone. La mia
curiosità arrivò
alle stelle e cominciai a correre, sperando di scoprire da dove
venisse, con
precisione. La mia corsa durò poco, perché alcune
voci catturarono la mia
attenzione.
Quando una porta,
sul lato destro del corridoio, si aprì mi infilai
prontamente in una stanza a
caso. La sfortuna, però, non mi abbandonava mai.
<< Cosa stai
facendo? >> domandò una voce maschile.
<< Io? Razza
di idiota, siamo qui per una cosa importante! E tu stai corteggiando
tutto il
plotone di belle donne che c’è là
dentro! >> rispose una voce femminile,
che mi sembrava famigliare.
Ero nascosta dietro
ad una grossa tenda, anche piuttosto spessa, ad origliare una
conversazione che
non mi riguardava. Ma c’era qualcosa che mi spingeva verso
quei due individui.
<< Sei forse
gelosa? >> domandò lui, con malizia nella voce.
<< Ma sei
completamente impazzito? Se lasciassi a casa il tuo ego, ogni tanto,
sarebbe
meglio, non credi? >>
<< Oh, sì. Tu
sei supergelosa. >>
<< E
piantala… >> replicò la ragazza,
sbuffando.
Mi affacciai un
po’, per vederli. Lui era di spalle. Indossava una giacca blu
scuro, da sera,
elegante; i capelli erano castani, con strani riflessi che ricordavano
il
bronzo. Non riuscivo a vederlo in faccia, ma dal fisico sembrava
promettere
proprio bene. Quando guardai lei sfiorai, per poco,
l’infarto. Aveva una
parrucca bianca sul capo e un sontuoso abito azzurro pastello, con
pizzi molto
appariscenti. Il suo viso, però, era assolutamente
riconoscibile. Lo vedevo
tutti i giorni dappertutto: a casa, a scuola, per strada. Dovunque ci
fosse una
sorgente riflettente, quel viso era lì. Sono
io quella!, strillai nella mia mente.
Ma com’era
possibile? Stavo osservando una qualche me stessa del passato? La
confusione mi
fece quasi inciampare, provocando un fastidioso rumore.
Fu in quel momento
che sprofondai nei suoi occhi scuri – che altri non erano che
i miei occhi scuri. Mi
fissò a lungo, con
sguardo sconvolto.
<< Che
succede? >> domandò il ragazzo, ma la me
stessa gli bloccò il viso con le
mani e posò le sue labbra su quelle di lui.
Non avevo mai baciato
nessuno in tutta la mia vita, e vedermi avvinghiata a qualcuno mi
procurò una
strana sensazione. Le braccia del ragazzo, da prima rigide, si
rilassarono e
cinsero la vita di quella giovane.
Il tutto si
dissolse davanti ai miei occhi, in un batter d’occhio. Mi
ritrovai nell’aula di
inglese che, per fortuna, era vuota. Ero disorientata e mi sentivo
completamente sottosopra. Com’era possibile quello che avevo
appena visto?
Il suono della
campanella mi risvegliò dai pensieri. Cazzo!,
pensai. Com’era possibile? Ero stata via per mezzora? Come
avrei potuto
spiegarlo a Mr. Saltzman? Presi un respiro profondo e corsi
nell’aula di
storia.
<< Isabella!
>> mi chiamò Mr. Saltzman, venendomi incontro
<< Ma dov’era finita?
Ho mandato la sua amica Angela a cercarla e mi ha detto che era uscita
in
giardino a prendere un po’ d’aria, che sarebbe
tornata a momenti, ma è passata
l’intera ora. >>
<< Mi scusi!
>> dissi completamente senza fiato << Ho
perso la cognizione del
tempo e sì ero… ero fuori, mi sentivo mancare.
>>
<< Adesso
sta’ meglio? >> domandò ed io annuii
energicamente << D’accordo,
allora ci vediamo domani, Isabella. >> mi sorrise e si
diresse
all’uscita.
Entrai in classe,
per recuperare la mia roba, e sprofondai al mio posto. C’era
un silenzio
rilassante, in quel momento.
<< Bella!
>> urlò qualcuno, facendomi saltare in aria.
<< Angela,
sei forse impazzita? >>
<< Scusa, ma
mi stavo preoccupando. Cos’è successo? Hai fatto
un altro salto, vero? >>
annuii sconsolata, risprofondando nel banco << Bene,
allora raccontami
tutto! Voglio sapere ogni dettaglio più insignificante.
>> disse,
accomodandosi di fianco a me. Cercai la bottiglietta d’acqua
che tenevo sempre
nella borsa e, dopo aver fatto diversi sorsi, le raccontai tutto.
.
Questo capitolo
spiega un po' di cosucce, soprattutto sui viaggi nel tempo. Saltano
fuori anche nuovi personaggi - anche se solo per nome -, queli: Rosalie
Hale, la cugina, pecora nera, della famiglia; e i Cullen, soprattutto
Edward Cullen, nonché altro viaggiatore del tempo da ormai
due anni.
Bella, inoltre, compie un altro salto incontrollato! E vede se stessa
ed un ragazzo... Come si può spiegare?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Vi lascio di seguito il mio
blog, un bacione a tutti!
Eccolo qui: Violet Moon (Blog).
Buon
pomeriggio a tutti, come state?
Purtroppo oggi non sto troppo bene, per varie ragioni - sia fisiche che
emotive -, perciò evito di dilungarmi troppo nel parlare e
vi lascio al capitolo tanto atteso. Ci tengo moltissimo a
dirvi quanto vi adoro, davvero! Questa storia è stata
accolta benissimo e il merito è tutto vostro :) proprio per
questo motivo, ecco a voi laSORPRESAdi cui ho parlato nel
precedente capitolo. Spero vi piaccia!
Come
già scritto nel mio blog, il video è stato
realizzato con il programma Sony
Vegas Pro 10 e rappresenta un po’ la storia di Edelstein –
L’amore attraverso i secoli.
Nel video, infatti, ho voluto far trasparire quello che, nel corso
della storia, si potrà leggere: l’iniziale
confusione di Bella, per la sua nuova vita; il rapporto conflittuale
con il suo partner di viaggi nel tempo – che nella storia
ancora non è apparso, ma presto farà la sua
comparsa portando moltissime sorprese.
Come già ho detto, credo almeno un milione di volte, questa
storia è una riadattazione della trilogia delle gemme di
Kerstin Gier, e sto lavorando parecchio per dare ad essa una sfumatura
personale.
Spero che il video sia stato di vostro gradimento :) fatemi sapere cosa
ne pensate, se vi va!
E adesso... BUONA LETTURA! .
4.
« Noi non
scegliamo affatto.
Il nostro destino sceglie.
Ed è saggezza mostrarci degni della sua scelta, qualunque
essa sia. » Romain Rolland, Il viaggio interiore,
1942.
Erano
le cinque di
pomeriggio e mi trovavo a casa Weber. Angela aveva fortemente insistito
perché
andassi da lei, per tenermi sotto controllo e farmi entrare un
po’ di sale in
zucca.
La casa di Angela –
un’accogliente villetta a schiera, bianca e marrone
– era situata nel quartiere
di Tower Hamlets. Esso si trovava
nella parte Est della città e faceva parte della Londra
interna.
<< Non riesco
a credere che non hai ancora informato tua madre! >>
disse Angy,
addentando un plum cake al cioccolato.
<< Sta
lavorando. >> risposi, mettendo via il mio succo di
frutta all’arancia.
Non avevo per niente fame. Inoltre, l’ultimo salto nel tempo,
mi aveva lasciato
addosso una strana sensazione. Chi era
quel ragazzo? E perché lo stavo baciando?
<< La tua è
solo una scusa, e lo sai! >> urlò Angela,
attirando tutta la mia attenzione
<< Ora basta, Bella. Prendi il telefono e chiama tua
madre, adesso!
>>
<< Ma…
>> non terminai la frase, ritrovandomi due occhi nocciola
a fissarmi come
se volessero incenerirmi. Sbuffai, ed estrassi il mio fidato iPhone
nero – un
regalo di compleanno pensato dai miei genitori, sotto suggerimento di
Lady
Lillian.
Il suono del
telefono aumentava i battiti nel mio cuore. Ero in ansia, e se mamma
non avesse
risposto da lì a pochi minuti avrei messo sicuramente
giù.
<< Pronto,
Bella? >> domandò Renée, leggendo
il mio nume sul display.
<< Ehm sì,
ciao mamma. Ti disturbo? >>
<< Sto
lavorando, ma è un momento morto. Tutto bene? Volevi dirmi
qualcosa? >>
<< Sì, vorrei
parlarti di una cosa, ma… beh, sei impegnata! Magari
rimandiamo… >>
<< Non ci
provare, Isabella Marie Swan! >> strillò
Angela, richiamando l’attenzione
anche di mia madre. La fulminai con lo sguardo, ma lei
sghignazzò.
<< Bella,
cosa sta succedendo? Dove sei? >> domandò
Renée, cominciando ad agitarsi.
<< Sono da
Angela, mamma. >> risposi e presi un lungo respiro prima
di far esplodere
la bomba << Mamma, credo di aver fatto un salto nel
tempo! Anzi, se sono
sicura, purtroppo. È successo tre
volte! Sono come Tanya? Come è possibile? >>
silenzio.
Passarono diversi
minuti, ma mia madre non rispose subito. Sospirai rassegnata. Ecco, non mi ha creduta! Lo sapevo!,
pensai.
<< Ma cosa
sta dicendo? >> chiese Angela, a voce bassa.
<< Niente,
l’ho seccata. >> risposi, cercando di non
scoppiare a piangere <<
Te lo avevo detto che non mi avrebbe creduta! >>
<< Bella,
dove sei? >> chiese mia madre, nuovamente. Finalmente
parlava!
<< Certo che
anche tu però, eh! >> disse la mia migliore
amica, alzandosi dal letto
<< Se dovessi mai dare una notizia tragica non farlo,
chiama me! >>
<< Sono da Angela.
>> risposi, ignorando il suo monologo.
<< Non ti
muovere da lì, chiamo tuo padre e arriviamo. >>
<< Sai come…
>> tentai, ma mi bloccò all’istante.
<< Sì, so
come arrivare a casa Weber. Fatti trovare fuori tra venti minuti!
>>
disse e riagganciò.
Restai per diversi
minuti a fissare il mio cellulare di ultima generazione, senza
guardarlo
davvero. Mia madre non mi credeva, si capiva benissimo. Mi avrebbe
sicuramente
accompagnata al manicomio più vicino. Miseria, ero spacciata!
<< Angy, tu
mi verrai a trovare, vero? >> mugugnai sconsolata.
<< Dove,
scusa? >>
<< Al
manicomio. >>
<< Ma per
favore, Bella! Adesso alza il culo e va’ fuori ad aspettare i
tuoi genitori!
Vuoi che ti faccia compagnia? >> scossi la testa in senso
negativo, lei
aveva altro da fare.
<< No, stai
qui e cerca tutto quello di cui abbiamo parlato. >>
dissi, afferrando la
mia borsa e la giacca scura.
<< Certo,
capo! Cronografo, famiglia Cullen – soprattutto, Edward
Cullen. >>
concluse, facendomi l’occhiolino. Alzai gli occhi al cielo,
attorcigliandomi la
piccola sciarpa lilla al collo.
<< Non deve
essere un tipo molto interessante se si trova bene con Tanya.
>> dissi,
prima di uscire dalla stanza e dirigermi verso la porta.
<< Stasera
chiamami, hai capito? >> domandò Angela,
mettendo la testa fuori dalla
soglia << Voglio tutti i dettagli! >> mi
mandò un bacio e tornò nel
suo studio – o almeno,
come chiamava
lei la sua stanza.
La
macchina di mio
padre arrivò subito. Frenò come un pazzo davanti
al cancello bianco di villa
Weber, facendo stridere i freni. Balzai indietro per lo spavento e
sgranai gli
occhi per la sorpresa. Da quando mio padre guidava in quel modo?
<< Bella!
Salta su, veloce! >> disse Charlie, aprendo la portiera
del passeggero.
Quando salii
sull’auto, mi accorsi che mia madre era seduta sul sedile
posteriore.
<< Bella,
piccola mia, stai bene? >> chiese Renée,
accarezzandomi il viso e
baciandomi i capelli.
<< Sì, mamma,
ma vorrei capirci qualcosa! È possibile? Sto diventando
pazza? Mi credete
pazza? >>
<< Cosa?
>> domandò mio padre, lanciandomi un veloce
sguardo << Bambina mia,
ma come fai a dire una cosa del genere? >>
<< Non lo so!
È tutto così assurdo. >> risposi,
incrociando le braccia, e sprofondai
nel sedile di pelle nera.
<< Quante
volte sei saltata? >> domandò mia madre,
sbucando alla mia sinistra.
<< Tre volte.
>>
<< A che
intervalli? >> chiese mio padre. Da
quando sono così interessati ai salti temporali?
<< Non lo so
con precisione. >> risposi, sospirando <<
La prima volta è stata
Lunedì notte, ero scesa in cucina a prendere qualcosa da
bere. Sono uscita in
giardino e sono saltata! Il secondo riguarda il giorno dopo,
cioè ieri, mentre
stavo tornando a casa da scuola. L’ultimo risale a qualche
ora fa, alla Saint
Lennox. >>
<< Gli
intervalli si stanno accorciando. >> disse
papà, trovando l’assenso di mamma.
<< Lo penso
anche io. >>
<< Cosa ti
hanno detto alla loggia?
>>
<< Niente, ho
parlato con un’incompetente che non ha voluto passarmi
Carlisle per niente al
mondo. >>
<< Chi è
Carlisle? >> domandai, ma nessuno rispose alla mia
domanda.
<< Dovranno
farci entrare comunque. >> disse Charlie, con un tono che
mi fece venire
i brividi << Il rubino
lo
abbiamo noi. >>
<< Qualcuno
può spiegarmi?! >> strillai, andando verso una
crisi di nervi <<
Chi sarebbe il rubino, e cosa significa? E perché sembra che
ne sappiate molto
più di me? E dove stiamo andando? Chi è questo
Carlisle? >>
<< Tesoro,
calmati. >> mi sussurrò Renée,
baciandomi una guancia << Il signor Cullen
è il Gran Maestro della loggia. >>
<< Stiamo
andando a Temple? >> domandai, percependo un misto di
nervosismo e paura.
Cosa sarebbe successo da ora in avanti? La mia vita, quanto sarebbe
cambiata?
<< Sì.
>> rispose Renée << Dovrebbero
esserci ancora Victoria e Tanya.
>>
<< A tua
sorella e a tua madre prenderà un infarto! >>
disse Charlie, scoppiando a
ridere.
<< Papà!
>> lo ammonii. Sua figlia stava per avere una crisi di
nervi e lui faceva
ironia?
<< Scusa,
Bells! Ma è vero, pensaci. Hanno sempre pensato che fosse
Tanya la prescelta,
l’hanno educata e cresciuta in questo modo… Lady
Lillian, poi, ha sempre
osteggiato il suo amore incondizionato per la sua secondo genita e sua
figlia!
E adesso? >> domandò, scoppiando nuovamente a
ridere.
<< Non è
carino da parte tua, Charlie. >> disse mia madre,
trattenendo la sua
ilarità. Ero circondata da pazzi, assurdo!
<< La state
prendendo fin troppo bene. >> dissi, improvvisamente
<< Nemmeno
foste al corrente che questa assurdità potesse accadere!
>> li vidi
scambiarsi un’occhiata e mi venne una terribile intuizione
<< Non ditemi
che lo sapevate! >>
<< Bella,
tesoro… >> tentò mia madre, la
fermai.
<< Tesoro un
corno! >> urlai << Lo sapevate e non mi
avete mai detto niente!
Perché? >>
<< Perché
volevamo darti un’infanzia serena e tranquilla, senza
pericoli. >>
<< Beh, sì
certo, l’infanzia è stata splendida! Ma adesso?
Quando Lady Lillian ci chiese,
anzi ordinò, di trasferirci qui potevate dirmelo! Adesso
cosa dovrei fare? Passare
il resto della mia vita a saltellare allegramente nel tempo?
>> nessuno
rispose. Afferrai gli auricolari del mio iPhone e li premetti nelle
orecchie,
lasciando che un po’ di musica mi tranquillizzasse prima
dell’arrivo a Temple.
Temple era un’area ubicata
tra Fleet Street e il Tamigi, nella
City. Zona preferita dai turisti che, quasi ogni giorni, si ammassavano
davanti
all’enorme Temple Church – la Chiesa
del Tempio. Papà la superò, oltrepassando anche
Inner
Temple e Middle Temple, svoltò a sinistra e si
fermò davanti ad una gigantesca
casa, fatta interamente di mattoni.
Era un’abitazione
sontuosa e molto antica, lo stile – da quel poco che ne
capivo – doveva essere
gotico o vittoriano.
Mamma scese dalla
macchina e citofonò. Un istante dopo il grande cancello nero
si aprì,
permettendoci di entrare e parcheggiare.
<< Andiamo.
>> sussurrò papà, scendendo. Lo
imitai, ma sentii un brivido percorrermi
la schiena.
<< Cosa
stiamo facendo qui? >> chiesi a mia madre, ma non mi
rispose.
Entrammo tutti e
tre, e ci trovammo davanti un maestoso corridoio. Sembrava
l’entrata di un
museo.
<< Stiamo
cercando il signor Cullen, abbiamo molta urgenza di parlare di lui.
>>
disse mia madre, rivolgendosi ad una donna molto bella. Era alta,
capelli di
uno strano colore castano-bronzeo e gli occhi di un accecante verde
smeraldo.
<< Mio marito
al momento non può ricevere, è in riunione.
>> rispose la donna <<
Ma se vuole, può lasciare un messaggio. Cosa dovrei dirgli?
>>
<< Che
abbiamo portato il rubino. >> rispose secca mia madre,
facendo sgranare
gli occhi della donna << Rosso
rubino,
per la precisione. >>
<< Come,
scusi? >> domandò la donna <<
Non vorrei essere indiscreta, ma… Sei
Renée, vero? >>
<< Sì, Esme.
Sono proprio io. >> rispose mia madre, sorridendo appena
<< Allora,
potremmo parlare con Carlisle e con mia madre? >>
<< Aspettate
qui, vedo cosa posso fare. >> rispose Esme, e si
avviò a destra del lungo
corridoio.
<< Perché
continuate a ripete rubino, rosso rubino? Cosa significa?
>> domandai
esasperate.
<< Ogni
viaggiatore del tempo ha una pietra di riferimento. >>
rispose mio padre
<< Tu sei la dodicesima viaggiatrice, perciò
sei il rubino. >>
<< Rosso rubino…
>> sussurrai, annuendo lentamente << Ok, ho
afferrato! >>
<< Rosso rubino, che ha la
magia del corvo nel
cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore…
>> recitò mia
madre, facendomi venire la pelle d’oca.
<< E questa
cosa sarebbe? >> domandai, con voce roca.
<< Una
vecchia filastrocca. >> rispose lei, sorridendomi
<< Non credevo di
ricordarla ancora. >>
<< Se io sono
il rubino, Tanya che pietra è? >>
<< Nessuna,
tesoro. >> rispose mio padre << I
viaggiatori sono dodici, e ne
manca solo uno all’appello: tu. >> Che
fortuna…, pensai.
<< Ma perché
proprio dodici? Sicuri che non siano tredici o, che ne so, undici?
>>
<< Dodici cifre, dodici
viaggiatori nel tempo,
dodici pietre preziose, dodici tonalità musicali, dodici
ascendenti, dodici
passi per trovare la pietra filosofale…
>>
<< Va bene,
va bene, ho capito! >> dissi, sbuffando <<
Un momento! Pietra
filosofale? State scherzando? >> domandai, ma entrambi
fecero “no” con il
capo.
<< Mi è stato
detto che la più giovane delle sorelle Hale mi ha portato il
rubino. >>
disse un uomo, seguito da Esme.
Era anziano, ma non
troppo, su per giù sui sessanta, sessantacinque anni. I
capelli erano grigi,
corti, e due simpatici occhi azzurro-grigi facevano bella mostra su un
viso
paffuto, incorniciato da una leggera barba.
<< Salve, Mr.
Dwyer. >>
<< Salve a
lei, giovane Hale. >> rispose il signor Dwyer.
<< Mi chiamo
Renée, la prego. Sono sposata, adesso, non uso
più il cognome da nubile.
>>
<< Mi
perdoni! >> rispose Mr. Dwyer <<
Sarà l’età… E
così, questa è sua
figlia. >>
<< Sì, questa
è Isabella. >> rispose mia madre, dandomi un
colpetto sulla schiena
<< Isabella, questo e Phil Dwyer e fa parte della loggia.
>>
<< Oh, ehm…
Piacere di conoscerla, signore. >>
<< Tu!
>> urlò zia Victoria, raggiungendoci come una
pazza << Cosa ti è
saltato in mente, Renée? Adesso tua figlia sarebbe il rubino! Ti piacerebbe! >>
<< Mi
piacerebbe? >> domandò mia madre, alzando un
sopracciglio.
<< Oh, oh!
>> sentii dire a mio padre.
<< Victoria,
tu non hai capito niente della mia vita! Ma cosa dico? Tu non capisci
mai
niente delle vite altrui, perché sei troppo egoista per
pensare a qualcuno o
qualcosa che non riguardi te stessa! >> urlò
mia madre, facendo
sghignazzare mio padre << Quindi se non sai cosa dire fai
un favore alla
comunità: chiudi la bocca! >>
<< Ma come
osi! >>
<< Su, su,
ragazze. >> le ammonì Mr. Dwyer
<< Risolveremo la faccenda al più
presto, non vedo perché fare tutte queste scene.
>>
<< Pensi che
ha casa è anche peggio… >> disse
Charlie, facendo scoppiare Mr. Dwyer in
una fragorosa risata. Mia madre si voltò e pestò
il piede a suo marito, il
quale cominciò a saltellare per il dolore.
<< Allora,
Isabella… >> disse Mr. Dwyer, rivolgendosi a
me << I tuoi genitori
credono che tu sia il rubino. Hai fatto qualche salto nel tempo, di
recente?
>>
<< Ne ho
fatti tre. >> risposi, mordicchiandomi il labbro
inferiore.
<< Parlamene
un po’, cosa ne dici? >> domandò
l’uomo, sorridendomi. Presi un gran
respiro e annuii, raccontando per l’ennesima volta quello che
mi era successo.
<< Direi che
è incredibile. >> disse Mr. Dwyer, quando
finii di parlare <<
Questo spiegherebbe perché la nostra Tanya non ha compiuto
nemmeno un misero
salto. >>
<< Mr. Dwyer!
>> lo chiamò zia Victoria, accigliata per la
situazione << Non le
crederà, spero! È Tanya il rubino, non questa
insulsa ragazzina che mi trovo
come nipote! >> Insulsa
ragazzina?,
mi domandai sconvolta. Ma come si permetteva? << Non
è nemmeno nata il 13
Settembre! Non ci sono i calcoli matematici per pensare realmente
che… >>
<< Isabella è
nata il 13 Settembre. >> disse mia madre, improvvisamente
<< È nata
di sette mesi, lo sapete tutti. Ma non è nata realmente il
14 Settembre, come
vi ho fatto sempre credere. >>
<< Io e Renée
sapevamo della “profezia”…
>> continuò mio padre, facendo le virgolette
con le dita << E avevamo paura che anche nostra figlia
sarebbe stata
costretta ad intraprendere la vita di Tanya. Non volevamo rovinarle
l’infanzia,
ecco. Così abbiamo deciso di insabbiare tutto, sperando che
fosse realmente
Tanya la gene-portatrice. >>
<< Vi rendete
conto di quello che avete fatto? >> domandò
Mr. Dwyer, passandosi una
mano tra i capelli, disperato.
<< Sei una
bugiarda! >> urlò zia Victoria contro mia
madre.
<< Oh, ma
piantala! Tu sei una vipera. >>
<< Ora basta!
>> urlò Mr. Dwyer << Seguitemi,
andiamo nella Stanza del Drago.
>>
Ci incamminammo per
il lungo corridoio e poi svoltammo a sinistra, esattamente come aveva
fatto la
signora Cullen, poco prima.
L’interno era un
misto perfetto di modernità e antichità, ornato
in oro pregiato. I grandi
lampadari in cristallo, al centro degli enormi soffitti; i quadri
appesi alla
pareti; la tappezzeria e i grandi archi, donavano al posto
un’aria arcaica.
Dopo pochi minuti
ci fermammo davanti ad una grande porta in legno massello, totalmente
intagliata
da pregiati decori. Mr. Dwyer l’aprì, mostrando
un’enorme sala.
Al centro di essa
vi era un grande tavolo, di legno scuro, posto su un vistoso tappeto
persiano;
alle pareti diversi dipinti e, tutt’intorno alla stanza,
svariati divanetti e
poltrone.
<< Renée,
Charlie… Isabella? Cosa ci fate qui? >>
domandò Lady Lillian, venendo
nella nostra direzione.
<< Tua figlia
è impazzita, mamma! >> urlò zia
Victoria, raggiungendo Tanya che,
completamente a suo agio, era educatamente seduta sul divano
più piccolo a
leggere un libro.
<< Cosa sta
dicendo tua sorella, Renée? >>
<< La giovane
Renée, Lady Lillian, sostiene che sua figlia sia il rubino.
>> rispose
Mr. Dwyer.
<< Cosa? Ma è
una pazzia! >> urlò un uomo in fondo alla
stanza.
Non sembrava
inglese. Aveva un viso orientale, ricordava un po’ gli
indiani di Las Push.
Aveva i capelli neri, cortissimi, intonati ai suoi occhi scuri.
Fisicamente era
ben piazzato, come se avesse fatto per anni la box. Dietro di lui si
nascondeva
un adorabile bambino. Non doveva avere poco più di sei anni.
Era identico
all’uomo, eccezion fatta per i denti bianchissimi messi in
evidenza dal un
caloroso sorriso.
<< Cerchiamo
di non agitarci, che ne dite? >> domandò un
altro uomo.
Era più giovane del
primo e senza dubbio più affascinante. Per certi aspetti
ricordava Mr.
Saltzman. I capelli neri corti, incorniciavano un viso perfetto. Gli
occhi
erano azzurri e possedeva un fisico degno del miglior nuotare.
<< Carlisle!
>> strillò mio padre, precipitandosi verso di
lui.
<< Charlie!
Da quanto tempo, come stai? >> domandò
Carlisle, abbracciandolo.
<< Potrebbe
andare meglio. >> rispose mio padre, staccandosi
lentamente << Ti
ricordi Renée? Adesso è mia moglie…
>>
<< Una bella
donna non si dimentica mai. >> disse Carlisle, facendole
in baciamano
<< Piacere di rivederla, signora Swan. >>
<< Piacere
mio, signor Cullen. >> Cullen. Ecco perché quel
nome non mi era nuovo! La prozia Jenna mi
aveva parlato della loro famiglia. Edward Cullen era l’altro
gene-portatore,
quello che saltellava nel tempo già da due anni. Che il
signore e la signora
Cullen fossero i suoi genitori?
<< Tu devi
essere Isabella, dico bene? >> domandò il
signor Cullen, porgendomi la
mano.
<< Sì,
piacere di conoscerla. >> arrossii leggermente.
Quell’uomo era davvero
affascinante.
<< Hai finito
con tutti i convenevoli, Carlisle? >> domandò
l’uomo-indiano.
<< Quanto sei
burbero, Billy. >>
<< Gradirei
ascoltare questa fantomatica storia e sapere perché, questa
donna, afferma che
sua figlia – che noi non abbiamo mai visto, vorrei
sottolineare – sia il
rubino. >>
<< Non farci
troppo caso, Isabella. >> mi sussurrò
all’orecchio Mr. Dwyer << Il
dottor Black non è così cattivo come sembra.
>> stentavo a crederlo.
Nella Stanza del
Drago scoppiò il finimondo. Mamma urlava contro zia
Victoria, la quale
ricambiava gli insulti a gran voce. Lady Lillian cercava di mantenere
la calma,
si vedeva benissimo quanto fosse furente. Il dottor Black scherniva sia
mia
madre che mio padre, i quali continuavano a spiegare educatamente e lui
e al
signor Cullen la storia sulla mia nascita. Io, dal canto mio, non
riuscivo
quasi a respirare. Perché era successo a me? Cosa avevo
fatto di male? Non
riuscivo a credere che i miei genitori avessero mentito sulla mia data
di
nascita. Potevo capirlo, certo, ma ero loro figlia! Potevano dirmi la
verità.
<< Come può
credere che potremmo mai prendere in considerazione anche una sola
singola
parola di quello che sta dicendo! >> urlò il
dottor Black, facendo
spaventare il bambino, che gli stava sempre dietro << Ci
ricordiamo tutti
come ha mentito per proteggere quella pazza di sua nipote Rosalie e
quello
screanzato di Emmett! >>
<< Billy!
>> lo ammonì il signor Cullen.
<< Emmett?
>> domandai più a me stessa che a Mr. Dwyer
<< Chi sarebbe questo
Emmett? >>
<< Emmett
Cullen, il fratello maggiore di Carlisle Cullen. >>
rispose
lui, però.
<< Billy
cosa, eh? >> domandò il dottor Black,
rivolgendosi a Carlisle Cullen
<< Tutti sanno quello che è successo! Rosalie
Hale ed Emmett Cullen
tentarono di fare un salto da soli, senza alcuna supervisione! E la qui
presente Renée li aiutò, combinando un macello!
>>
<< Erano
innamorati! >> obiettò mia madre
<< Ho fatto solo quello che
credevo fosse giusto! Erano così giovani…
>>
<< E cosa
abbiamo ottenuto tutti, signora Swan?! >>
strillò ancora il dottor Black
<< Un cronografo rubato
e due presunti morti!
>>
<< Morti?!
>> urlai, indietreggiando spaventata.
<< Sta’
calma, piccina. >> mi tranquillizzò Mr. Dwyer,
porgendomi una sedia
<< Adesso possiamo calmarci tutti, per piacere?
>>
Nella stanza calò
un silenzio innaturale, ed io cercai di riordinare le idee.
Mia cugina, Rosalie
Hale, aveva una relazione con il suo compagno di viaggi nel tempo,
Emmett
Cullen, che altri non era il fratello minore di Carlisle. Ma non era
tutto…
Tutte queste persone sostenevano che entrambi fossero morti, e che il
cronografo fosse andato perduto. Una lieve fitta mi colpì al
cuore. Non
conoscevo mia cugina, né tanto meno questo Emmett, ma
pensarli morti era… era
tremendo. Cazzo!, mi ritrovai a pensare. E
adesso come facciamo? Se il cronografo era l’unico
aggeggio in grado di
tenere i nostri piedi saldi a terra, cosa avremmo fatto, adesso? Cosa
avrei
fatto io, adesso?
<< Le
chiacchiere stanno a zero. >> intervenne Mr. Dwyer
<< Credo che
dovremmo solo aspettare che la giovane Isabella faccia
l’ennesimo salto, così
da costatare se Mrs. Swan stia dicendo la verità.
>>
<< Concordo
con Mr. Dwyer. >> disse il signor Cullen, appoggiandosi
al tavolo
<< Potremmo accompagnarla nella stanza
degli archivi. >> propose, cercando il consenso
di tutti gli altri
membri.
<< Secondo me
è un’ottima idea. >> lo
spalleggiò Mr. Dwyer.
<< È una
perdita di tempo! >> disse zia Victoria, facendo roteare
gli occhi ai
miei genitori.
<< Fosse per
me non l’avrei nemmeno fatta entrate. >>
borbottò il dottor Black.
<< Santo
cielo, Billy! >> disse esasperato, Carlisle
<< Non ha microspie o
una bomba ad orologeria sotto la divisa scolastica! Datti una calmata,
ok?
>>
<< Vieni
pure, Isabella. >> disse Mr. Dwyer, porgendomi la mano.
Prima di afferrarla
guardai mia madre e mio padre, i quali fecero un silenzioso cenno di
assenso
col capo. Afferrai la grande mano di quell’uomo e mi
apprestai ad andare
incontro al mio destino. . *Le frasi scritte in corsivo sono
prese dal primo libro della saga originale, ossia da Red. .
Finalmente Bella ha
trovato il coraggio di dire ai suoi genitori che è una
gene-portatrice, ma... Charlie e Renée erano già
a conoscenza di tutto! Come spiegano nel capitolo, lei e Tanya, sono
nate lo stesso giorno, ma non volendo che la figlia vivesse le stesse
esperienze poco infantili della cugina, hanno preferito insabbiare ogni
cosa. Come si può biasimarli? Hanno agito da genitori
protettivi. E' anche vero, però, che così facendo
hanno complicato, adesso, la vita di loro figlia.
Finalmente si svela anche, se non propriamente nei minimi dettagli, la
storia della cugina Rosalie e del suo partner di viaggi nel tempo -
nonché compagno di vita - Emmett Cullen, nonché
fratello di Carlisle. Le carte adesso sono sul tavolo; cosa
succederà ora?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio! Sono da poco tornata dal lavoro e, come promesso ad una mia
carissima lettrice, eccomi qui a pubblicare. Non mi dilungo moltissimo
perché devo ancora pranzare XD Ci tenevo, comunque, a
ribadire quanto ti adori! Ho raggiunto più di SESSANTA
RECENSIONI con soli cinque capitoli! Siete lettori fantastici, grazie
mille a tutti!
Adesso la smetto di parlare, anche perché il mio stomaco
brontola :P posto e vado a pappare! Perciò... Buona lettura!
.
5.
« Opale e
ambra, la prima coppia, s'avanza, canta agata, che
del lupo ha sembianza, con acquamarina
in si bemolle - solutio! Seguono smeraldo
e citrino - coagulatio! - le due corniole gemelle in scorpione, e giada, numero
otto, digestione. In mi maggiore:
tormalina nera, zaffiro in fa, rischiara la sera. E subito appresso
ecco diamante, undici e sette, leone rampante. Projectio! Scorre il tempo
così lento, rubino è principio e fine del
movimento. » Intermezzo
quattro, Red.
Kerstin Gier.
. .
Ci muovevamo per la
loggia in silenzio, girando per svariati corridoio. Alle pareti vi
erano
ritratti di ogni tipo ed epoca, divisi da antichi candelabri. Il
pavimento,
poi, era interamente ricoperto con una moquette scura.
Avevo perso la
cognizione del tempo già da un pezzo, qualche svolta e scala
precedente. Queste
mura erano un enorme labirinto! Ero grata che Mr. Dwyer – se
pur in totale
silenzio – fosse al mio fianco.
<< Siamo
quasi arrivati, Isabella. >> sussurrò, qualche
istante dopo il mio
pensiero.
<< Ma come fa
a sapere che non ci siamo persi? >> domandai, vedendolo
sorridere
<< Insomma, questo posto è gigantesco!
>>
<< Dopo un
po’ ci fai l’abitudine. >> rispose,
tornando serio << Mi aggiro per
questi corridoi da quando sono piccolo, perciò è
tutto ben stampato nella mia
testa. >> concluse, picchiettandosi una tempia con la
mano libera.
Finalmente ci
fermammo davanti ad una grande porta in legno, anch’essa
molto antica. Quando
Mr. Dwyer mi fece entrare, capii perché aveva quel nome.
La stanza degli archivi sembrava
un’enorme
biblioteca. Ricordava, facendo perfino invidia, a quella che vedevo da
piccola
nel cartone Disney La Bella e la Bestia. Negli scaffali, però, non
vi erano solo un mucchio di
libri, ma anche dozzine di raccoglitori stracolmi di fogli bianchi o
ingialliti
dal tempo. Al centro della sala era posto un grande tavolo rotondo e
– come
nella sala del drago –, sparsi per tutto lo spazio, alcuni
divanetti di pelle
marrone.
<< Edward,
cosa ci fai qui? >> domandò Mr. Dwyer,
rivolgendosi ad un ragazzo
stravaccato comodamente sull’ultimo divano, in fondo alla
sala.
<< Salve, Mr.
Dwyer. >> rispose lui, alzandosi, e venne davanti a noi
<< Mio
padre mi ha mandato ad aggiornare la lista dei viaggiatori. Caroline
Forbes, l’acquamarina, e
il giovane Cullen suo
collega, Tyler – l’agata
–, sono… ops,
e lei chi sarebbe? >> domandò
Edward, incrociando il mio sguardo.
Per poco non mi
cedettero le ginocchia. E non perché il ragazzo dinanzi a me
fosse
indubbiamente bello – con quei due profondi occhi verde
smeraldo, quel viso
perfetto, quei capelli di un insolito colore e il fisico più
sexy che avessi
mai visto –, ma perché la sua voce, ne ero sicura,
era la stessa del ragazzo
che aveva baciato la me stessa del passato.
<< Isabella
Swan, ti presento Edward Cullen. >>
<< Ciao.
>> disse lui, ed io alzai una mano impacciata. Che gran figura, Bella! Complimenti!,
pensai a mossa fatta.
<< Lei è la
nuova Tanya, a quanto sembra. >> rispose Mr. Dwyer,
scrollando le spalle.
<< Cosa?
>> domandò Edward, visibilmente sconvolto.
<< Vai nella
sala del drago, c’è anche tuo padre. Ti
spiegheranno tutto. >> gli
propose Mr. Dwyer.
<< Vado
subito. >> rispose Edward, salutandolo con un cenno del
capo <<
Elisabetta. >> mi disse e si volatilizzò nel
corridoio.
<< Isabella!
>> gli urlai, ma era già scomparso. Sbuffai,
incrociando le braccia al
petto.
Solo dopo qualche
istante il mio cervello si mise in moto. Edward
Cullen! Era lui, l’altro viaggiatore nel tempo.
Adesso capivo perché Tanya
era sempre impaziente di andare alla loggia, a Temple.
<< Vuoi
qualcosa, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer,
versandosi una tazza di tea.
<< No, grazie
comunque. >> risposi, andando ad accomodarmi vicino a
lui, sul divano più
grande << Posso farle una domanda? >>
domandai, sperando nella sua
gentilezza.
<< Certo, se
è qualcosa a cui posso rispondere, volentieri.
>>
<< Chi è quel
bambino che sta sempre dietro al dottor Black? >> tentai,
non riuscendo a
capire perché non potesse rispondermi ad una domanda simile.
<< Quale
bambino? >> chiese Mr. Dwyer, e la sua domanda mi
spiazzò. Oh, oh!,
pensai. Forse era un fantasma. Diamine,
Bella, li vedi da tutta una vita e non
hai ancora imparato a riconoscerli? Sbuffai, sapendo che la
mia coscienza
avesse ragione.
<< Oh, no!
Scusi, intendevo dire mmm… ecco, sì…
>> e adesso come diavolo me ne sarei
uscita? << Il dottor Black è mai stato
giovane? Insomma, è sempre così
burbero? >>
<< Purtroppo
sì. >> rispose, sospirando <<
Non è sempre stato così, però. Era
solare e allegro, una volta, prima che suo figlio morì.
>> annuii,
cercando di comprendere il comportamento di quell’uomo. Non
ero madre, ma
sicuramente perdere un figlio avrebbe cambiato chiunque.
<< Quanti
anni aveva? E come si chiamava? >>
<< Jacob.
>> rispose Mr. Dwyer << È morto
alla festa del suo sesto
compleanno. Povero piccolo, una terribile disgrazia! Adesso dovrebbe
avere
pressappoco la tua età. >> annuii comprensiva,
capendo perché Jacob fosse
ancora qui. Magari, come James, non lo aveva capito; oppure, essendo
così
piccolo, aveva paura di lasciare suo padre.
Restammo in
silenzio per un po’, finché Mr. Dwyer non riprese
a parlare.
<< Era solo
questo che volevi chiedermi? >>
<< No, ma non
so se risponderebbe. >> ammisi, mordicchiandomi il labbro
per
l’agitazione.
<< Prova, non
hai nulla da perdere. >> disse lui, sorridendomi.
<< Cos’è
questo cronografo? E come facciamo noi, adesso, a controllare i nostri
viaggi
nel tempo se mia cugina Rosalie e quel ragazzo mmm, Emmett Cullen, sono
morti, rubando
prima il suddetto cronografo? >> mi risultava ancora
difficile usare la
parola “morte” e tutte quelle a lei annesse. Ero
sempre stata convinta che
Rosalie Hale fosse in giro per il mondo, chissà dove. Non
avrei mai minimamente
immaginato che fosse morta.
<< È una
storia complessa, Isabella. >> disse Mr. Dwyer, qualche
secondo dopo
<< Non so nemmeno se potrei parlartene. >>
<< Ma non lo
direi a nessuno! >> mi affrettai a dire <<
Lo giuro! >>
<< Se farai
il salto diventerai di diritto un membro di questa loggia, di
conseguenza
potrai sapere tutto quello che vuoi. >> annuii
tristemente, e sprofondai
sul divano << Oh, al diavolo! Mi sembri una ragazza tanto
a modo e non
credo proprio che andrai a parlare di queste cose in giro!
>> a quelle
parole, i miei occhi si illuminarono ed io scattai a sedermi.
<< È una
storia molto triste e per certi versi bizzarra. >>
cominciò a dire Mr.
Dwyer << Il fatto è antecedente alla tua
nascita. Rosalie ed Emmett erano
i viaggiatori di quella fascia temporale – rispettivamente zaffiro e tormalina
nera,
nel cerchio dei dodici. La prima aveva la tua età, mentre
Emmett era più grande
di lei di qualche anno, ma nonostante ciò tra loro
sbocciò subito l’amore. Non
si capisce bene cosa successe, ma una notte si intrufolarono qui, nella
loggia,
e fecero un salto nel tempo senza supervisione e, cosa ancora
più bizzarra e
senza alcun precedente, portarono con loro il cronografo. In base agli Annali, dopo qualche tempo, venimmo a
conoscenza del fatto che due giovani, apparentemente due pesci fuor
d’acqua per
quel periodo storico, erano stati ritrovati morti sulla riva del
Tamigi. La
descrizione corrispondeva in tutto e per tutto a tua cugina e ad Emmett
Cullen.
Del cronografo rubato, però, non ci fu alcuna traccia.
>>
<< E cosa
c’entra mia madre, in tutta questa storia? >>
domandai, non riuscendo
ancora a capire perché il dottor Black la ritenesse
responsabile.
<< Si venne a
sapere che fu Renée, tua madre, a fornire ai due sciagurati
il passepartout per accedere a
tutte le
stanze della loggia, qui a Temple. >> a quella
rivelazione non seppi che
dire. Perché mia madre avrebbe fatto una cosa del genere?
Era per questo
motivo, forse, che non mi aveva mai rivelato di poter essere una
gene-portatrice? Credeva che il mio destino potesse coincidere con
quello della
sua nipote preferita, Rosalie Hale?
<< Per quanto
riguarda il cronografo… >> mormorò
Mr. Dwyer << Ne abbiamo un
altro. >> la cosa mi lasciò spiazzata.
Esistevano due cronografi? Ma come
era possibile?
In quanto oggetto speciale, magico, non doveva essere unico e
inimitabile?
Chiunque, allora, avrebbe potuto realizzare un cronografo-macchina del
tempo?
Stavo per porre le
mie domande, quando una vertigine e una botta allo stomaco mi fecero
girare la
testa. Tutto intorno a me perse forma e mi ritrovai completamente al
buio. È successo un’altra volta!,
pensai, sentendomi subito molto meglio.
Afferrai la pila elettrica che Mr. Dwyer mi aveva messo in mano
– evidentemente
quando aveva intuito che sarei sparita da lì a pochi nano
secondi – e l’accesi.
Mi trovavo ancora
nella stanza degli archivi, solo che era tutto molto diverso da poco
prima. Gli
scaffali, tanto per fare un esempio, erano totalmente impolverati e da
fuori
non filtrava nemmeno un po’ di luce. Il tavolo circolare era
sparito, così come
tutti i divani e l’arredamento moderno che abbellivano quel
posto.
Presi a camminare,
facendomi luce con la torcia, e per poco non saltai in aria quando
sentii lo
squittio di un topo. Evidentemente, a quel tempo, questa stanza veniva
usata
come un vero e proprio archivio sotterraneo; quelli che si vedevano in
televisione, bui e pieni di polvere, che si venivano a consultare solo
in casi
straordinari.
Quando percepii
nuovamente la vertigine, mi sentii sollevare in aria e…
<< Isabella,
il tavolo! >> ma era troppo tardi. Atterrai sul bordo di
quel grande
ovale di legno, di sedere, e caddi rovinosamente a terra.
<< Cominciamo
bene. >> disse una voce alle spalle, proveniva dalla
soglia.
<< Isabella,
come ti senti? >> domandò Mr. Dwyer,
aiutandomi ad alzarmi.
<< Direi
bene… Forse un po’ dolorante, ecco.
>> risposi, guardandomi intorno.
Non eravamo più
soli, nella stanza. Attorno a noi c’erano: Carlisle ed Esme
Cullen e loro
figlio, lo smemorato Edward
–
appoggiato alla porta semiaperta.
<< Direi che
Renée aveva ragione, no? >> domandò
Esme, rivolgendosi a suo marito.
Carlisle annuì pensieroso, dopodiché si rivolse a
tutti noi.
<< Esme,
cara, vai ad avvertire i signori Swan che Isabella è andata
dal dottor Black.
Le farò dare una controllata, dopodiché ci
donerò qualche goccia del suo
sangue, così da poterla mettere all’interno del
cronografo. >> quella
direttiva mi fece venire la pelle d’oca! <<
Phil, accompagni lei la
giovane Isabella nello studio medico. Io andrò a comunicare
a Miss Brandon i
cambiamenti, dopodiché, cortesemente, le faccia vedere la
strada per giungere
da Miss Brandon e mi raggiunga nella stanza del drago. >>
<< Certo,
Carlisle. >> risposero in coro
Mrs. Cullen e Mr. Dwyer.
<< Edward, tu
vieni con me? >> domandò la signora Cullen a
suo figlio, il quale annuì.
Non mi aveva staccato gli occhi di dosso nemmeno per un istante.
<< Che c’è?
>> gli domandai, irritata << Ho qualcosa
fuori posto? O
semplicemente non ti piace la mia faccia? >>
<< Per il
momento non mi piaci tu.
>>
rispose Edward, impassibile.
<< Non mi
conosci nemmeno. >>
<< E non
voglio conoscerti, infatti. >> rispose, avvicinandosi di
poco a me.
<< Edward,
figliolo, per favore non ricominciare. >> lo
ammonì suo padre, ma lui non
gli diede retta. Ricominciare?
Ricominciare cosa?, mi domandai.
<< Oh,
andiamo, papà. Questa ragazzina
sarà
solo un intralcio alla missione. >> sputò
fuori con tranquillità
assoluta, nemmeno avesse ordinato un panino e delle patatine fritte!
<<
Non ci serve, posso fare tutto da solo, esattamente come ho fatto in
questi due
anni. Tanya era preparata, ma lei?
Scommetto che non sa niente né di viaggi nel tempo
né di qualsiasi altra cosa
collegata a questo argomento! Probabilmente avrà passato la
sua vita a
smaltarsi le unghie, uscire a fare shopping e al telefono o, tanto per
farla un
po’ più acculturata, a sfogliare qualche rivista
di gossip! >> sentivo la
mia bocca completamente aperta, la gola secca e il sopracciglio
sinistro
alzato. Ma come diavolo si permetteva!?
<< Edward!
>> lo ammonì sua madre, ma non
sortì l’effetto desiderato.
<< Non ci
serve! >> rispose lui, voltandosi appena per guardarla in
faccia <<
Può darci il suo sangue e venire qui tutti i pomeriggi, per
un anno, per
trasmigrare da qualche parte… >> il mio
cervello di disconnetté.
Primo, cosa voleva
dire trasmigrare? E secondo, ma
cosa
credeva che fossi, un pacco postale!?
<< Senti un
po’ tu, damerino da quattro soldi! >> urlai,
parandomi di fronte a lui
<< Io non so quale Tanya tu abbia conosciuto, ma quella
che va a fare
shopping e si smalta le unghie è lei, non di certo io!
Inoltre, credo di poter
imparare abbastanza in fretta tutto quello che il tuo cervellino da
essere di
sesso maschile sottosviluppato ha imparato, mi sono spiegata bene?
>>
<< Quanto hai
in storia, a scuola? >> domandò, ignorando
completamente le mie urla di
poco prima << E quante lingue conosci? Cosa sai delle
buone maniere, di
ippica, scherma e tutte queste cose? Ti rispondo io: niente!
>>
<< Non ti
permetto di parlarmi in questo modo! >>
<< Va bene,
allora rispondi a qualche nozione base! >> disse,
incrociando le braccia
al petto << Quant’è durato il trono
di Enrico VIII? Dov’è nato e quando è
morto? >>
<< Fu il Re
d’Inghilterra dall’Aprile del 1509, fino al giorno
della sua morte! >>
risposi, ringraziando mentalmente Jonathan Rhys-Meyers. Dalla sua
espressione,
notai quanto fosse deluso dalla mia corretta risposta. Ghignai
beffarda, lieta
di averlo messo con le spalle al muro.
<< E cosa sai
dirmi della casata degli Stuart? >> domandò,
avvicinandosi di un passo,
mentre io indietreggiai di uno. Cazzo, questa non la sapevo!
<< Chi li
sostituì, perché e quando? >>
ingoiai la saliva, ma continuai a sostenere
il suo sguardo. Questa volta mi aveva fregata << Appunto,
se si pongono
questioni che non vengono trattate da telefilm storici da quattro soldi
, non
sa niente di niente! >> urlò, parlando agli
altri piuttosto che a me.
<< Adesso
basta, Edward. >> lo ammonì il signor Cullen
<< Vai con tua madre e
chiudi il becco. Per oggi hai detto abbastanza. >>
<< D’accordo,
papà. >> disse Edward, incamminandosi verso la
porta << Mr. Dwyer, Betty.
>>
<< Isabella!
>> urlai, nell’istante preciso in cui chiuse la
porta, con un tonfo
assordante. Odioso!
<< Andiamo,
Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, porgendomi il
braccio << Ti porto
dal dottor Black. >> accettai il sostegno e, con un cenno
del capo,
salutai il signor Cullen. Esme aveva seguito, poco prima, il figlio.
La
visita dal dottor
Black fu veloce e meno dolorosa di quanto mi aspettassi.
Mi aveva prelevato
un po’ di sangue – da aggiungere al cronografo
– e mi aveva fatto diversi
vaccini. Per tutto il tempo, cercando di non attirare troppo
l’attenzione,
avevo conversato con il piccolo Jacob, anzi Jake – come
preferiva essere
chiamato lui. Era un bambino molto educato e simpatico… Era
un peccato pensare
che fosse morto. Mi spiazzò molto la sua innocente
rivelazione: “Io so di essere morto,
sono annegato in
piscina per la precisione. Però papà da quando
sono andavo via è così triste e
diverso… Non voglio lasciarlo finché non
ricomincerà a sorridere.” Aveva
detto lui, peccato non sapesse che, molto probabilmente, il suo
papà non
avrebbe mai più sorriso e lui sarebbe rimasto legato a
questa dimensione per
molto, molto tempo.
<< Tutto
bene, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, mentre
ci aggiravamo per quei
maestosi corridoio.
<< Sì, tutto
bene. Grazie. >>
<< Se stai
pensando a quello che ti ha detto Edward… >>
<< Oh, no!
>> dissi, interrompendolo << Non stavo
affatto pensando a
quell’arrogante! >> esplosi, facendo ridere Mr.
Dwyer.
<< Edward ha
un brutto carattere, ma è un ottimo viaggiatore.
>> disse, una volta
tornato serio << Con tua cugina non si è mai
comportato in questo modo,
perciò ti chiedo scusa da parte sua. >>
annuii, senza proferire parola. Eh certo…, pensai, con Tanya non
si è mai comportato così, lo stronzo. Ovvio, lei
è bella, bionda… Tutto il
contrario di me, insomma.
<< Siamo
arrivati! >> disse Mr. Dwyer, interrompendo il mio flusso
di pensieri.
<< Dove
siamo, Mr. Dwyer? >>
<< Stai per
conoscere la nostra sarta. Sarà lei a cucire i tuoi abiti,
quando dovrai fare i
salti temporali su commissione. >> rispose, facendomi
l’occhiolino. Salti su commissione?
Che diavolo
significava?
<< Miss
Brandon? >> chiamò Mr. Dwyer, bussando alla
porta << Ti ho portato
il vero rubino, mia cara.
>>
<< Entri
pure, Mr. Dwyer! >> urlò una voce melodiosa e
cristallina.
La ragazza che mi
ritrovai davanti sembrava un folletto. Ma non fu il suo aspetto a
colpirmi, bensì
la sua giovane età. Non avrà avuto poco
più di diciotto anni. Era molto bassa,
anche più di me – il che risultava essere un
evento! –, i capelli erano corti,
neri; gli occhi, invece, brillavano di un intenso azzurro, anche
più luminoso di
quello di Tanya. Era indubbiamente la ragazza più bella che
avessi mai visto.
<< Quindi tu
sei il rubino! >> squittì, mettendo via il
metro da cucito che aveva in mano
<< Cavolo, però tu sei scura di capelli e
anche di occhi! Potrei anche
riadattare tutti gli abiti fatti alla precedente ragazza, ma i colori
stonerebbero. Mmm… cosa posso fare? >>
<< Cosa ne
dici di presentarti prima, cara? >> le suggerì
Mr. Dwyer.
Alice, dal canto
suo, scoppiò in una fragorosa risata. Dopo pochi istante
saltellò verso di noi.
<< Ha
ragione, Mr. Dwyer, chiedo scusa. >> poi si rivolse a me
<< Piacere
di conoscerti, io sono Alice Brandon, sarta ufficiale della loggia. Tu
sei il
rubino, dico bene? >> concluse, porgendomi la sua mano.
L’afferrai
lentamente, quella ragazza mi sembrava suonata!
<< Puoi
chiamarmi Bella. >> le risposi, stringendogliela
<< Mi chiamo
Isabella Swan, ma Bella basta. >> lei sorrise e mi
abbracciò di slancio.
<< Ti creerò
abiti mozzafiato, Bella! Ovviamente per te sono solo Alice, niente Miss
Brandon!
Credo di poter affermare che abbiamo la stessa età.
>> concluse
staccandosi e mi sorrise, mettendo in mostra la sua perfetta dentatura
bianchissima.
<< Bene,
allora vi lascio, io avrei delle cose da fare. >> disse
Mr. Dwyer,
avviandosi alla porta << Isabella, la sala del drago,
dove ti aspettano i
tuoi genitori, è la prima porta in fondo al corridoio. Devi
solo andare sempre
dritta, va bene? >>
<< Certo.
Grazie di tutto, Mr. Dwyer. >>
<< Ci vediamo
domani, cara. >> disse << Miss Brandon.
>> salutò e poi
scomparve.
<< Bene,
Bella, adesso sali su quel cubo rosso. Devo prenderti le misure.
>> e
detto ciò, passò così mezzora.
<< Non sembri
molto contenta. >> sussurrò Alice, una volta
appuntata anche l’ultima
misura.
<< Non lo
sono molto, infatti. >> affermai, sospirando
<< Ho scoperto di
essere una gene-portatrice solo da pochi giorno e…
sì, insomma, nessuno mi
aveva mai accennato la cosa. Ho paura di come cambierà, da
ora in avanti, la
mia vita. >>
<< Posso
immaginare. >> sorrise comprensiva, ma non aggiunse altro.
<< Beh, ora
vado. Sperando di tornare subito a casa, sono stanchissima.
>>
<< Ci
vediamo, Bella! >> mi salutò Alice, mentre mi
avviavo alla porta.
Ricambiai il saluto e mi avventurai per quel lungo corridoio.
Tirai un sospiro di
sollievo, quando vidi apparire in lontananza la stanza del drago. Prima
non ci
avevo fatto caso, ma stavo cominciando a pensare che si chiamasse in
quel modo
a causa dell’incisione in oro che vi era in alto: un grosso
grado arrotolato su
se stesso.
Stavo per entrare
quando delle voci attirarono la mia attenzione.
<< Sintomi-fantasma!
Ti rendi conto?
>> diceva mia cugina << Non sai che
vergogna! >>
<< Ehi,
guardami! Non prenderla in questo modo… >>
rispose Edward << Adesso
hai una vita da vivere, Tanya, capisci? Non sai quanto ti invidio.
>>
<<
Invidiarmi? >> domandò Tanya, con voce rotta.
Mi nascosi dietro una
colonna, per vederli meglio << Sono diventata una ragazza
normale, Edward, ti rendi conto?
>>
<< Tanya, tu sei
speciale. Ognuno di noi lo è, basta
che trovi ciò per cui è nato. >> le
sorrise, accarezzandole la guancia.
Fu allora che capii
tutto. Edward era stracotto di mia cugina, ecco perché non
poteva sopportarmi!
Ero entrata in un territorio che non era mio. Di
certo non l’ho chiesto, pensai.
<< Ci siamo divertiti
insieme, vero? >> civettò lei, sorridendo in
modo malizioso.
<<
Moltissimo! Da ora in poi le cose saranno molto diverse, qui.
>>
<< Già, mia
cugina non è sicuramente adatta a questo posto.
>> rispose Tanya. Ma che
gentile! Era un’arpia, ecco cos’era!
<< Sai, tua
cugina mi fa pena. >> sussurrò Edward,
raccogliendole una ciocca di
capelli e la rimise dietro al suo orecchio << Insomma,
non sa nulla di
viaggi nel tempo, non è assolutamente preparata per entrare
a far parte della
cerchia dei dodici. Sua madre, per proteggerla, le ha fatto vivere una
vita
assolutamente priva di una preparazione adeguata per questo posto. Mi
chiedo
come riuscirà a cavarsela. >>
<< Avrà te…
>>
<<
Sinceramente, non voglio averci nulla a che fare. >>
disse Edward, in
tono glaciale.
Stavano così le
cose? Gli facevo pena? Non voleva avere nulla a che fare con me? Per me
andava
benissimo! E allora perché diavolo
ti
danno fastidio le sue attenzioni verso quella civetta di tua cugina?,
mi
chiese la mia coscienza. Sbuffai, decisa ad entrare nella sala e tanti
saluti.
La porta, però, si
aprì da sola ed io caddi a terra.
<< Ahia!
>> urlai, implorando pietà per il mio povero
sedere.
<< Cosa ci
fai là per terra, Isabella? E dov’è mia
figlia? >> domandò zia Victoria,
senza degnarsi di darmi una mano << Oh, eccoti, Tanya!
Andiamo via,
subito! La macchina è pronta. >>
<< Vi
accompagno. >> si propose Edward. E, in men che non si
dica, sparirono
tutti e tre.
Mi alzai a fatica
ed entrai nella stanza. Ad aspettarmi c’erano mio padre e
Lady Lillian.
<< Tutto
bene, tesoro? >> domandò mio padre, venendomi
incontro. Accorciai le
distante e mi tuffai tra le sue braccia.
Ero stanchissima e
volevo solo tornarmene a casa.
<< Dov’è la
mamma? >>
<< Sta
parlando con Carlisle. >> rispose Lady Lillian, venendo
verso di me
<< Cara, credo tu abbia bisogno di una bella dormita, hai
delle occhiaie
tremende. >> sospirai rassegnata, sperando che quella
giornata finisse al
più presto.
Eccoci qui, ad
entrare ancora di più nel vivo della storia.
Bella ha conosciuto due nuovi volti_ il famoso - e tanto atteso, da
tutte voi - Edward Cullen, e la piccola, quanto pazza, Alice Brandon.
Per quanto riguarda il primo, beh, è totalmente diverso
dall'Edward della Meyer e vi dirò, non avete ancora visto
niente ù.ù''... Per quanto riguarda Alice, direi
che il ruolo di sarta della loggia le calza a pennelo, no? Spero che
anche questo capitolo sia stato di vostro gradimento! Adesso vi saluto
e vado a pranzare XD
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Salve a tutti! Come state? Magari non frega a
nessuno, ma ci tenevo a comunicarvi che finalmente posso tornare sulle
mie storie, riprendendo a scrivere quotidianamente
perché, finalmente, MI SONO LAUREATA!
Addio ai libri, gente! Adesso ho solo il mio lavoretto part-time :)
quindi, impegni di lavoro permettendo, sono tutta vostra XD Ci tenevo, prima di
lasciarvi al capitolo - se vi va - di dare un'occhiata ad una mia
vecchia flash, sempre sul fandom Twilight,
di due capitoli. Il titolo di questa mini-storia èE
PENSO A TE. Mi venne in mente una
mattina, dopo aver ascoltato appunto l'omonima canzone. Se volete farci
un salto, ne sarei felice :) Adess
però, bando alle ciance! Godetevi il capitolo e buona
lettura! .
6.
« Tutti
gli uomini sognano. Non però allo stesso modo. Quelli che
sognano di notte nei polverosi recessi della mente si svegliano al
mattino per scoprire che il sogno è vano. Ma quelli che
sognano di giorno sono uomini pericolosi, giacché
ad essi è dato vivere i sogni ad occhi aperti e far
sì che essi si avverino. » Thomas
Edward Lawrence.
.
Ritornammo a casa
che era ormai ora di cena. Il signor Cullen mi aveva comunicato, prima
di lasciarci
andare via, che l’indomani sarei dovuta tornare alla loggia
per trasmigrare – termine
piuttosto pomposo
che indicava lo spostamento corporeo del viaggiatore, dal presente al
passato.
Da quel poco che
avevo compreso, infatti, era molto pericoloso per un gene-portatore
affrontare
viaggi incontrollati. Il cronografo
–
o come diavolo si chiamava! – era molto utile in questo
campo: riusciva a far
combaciare perfettamente il gene nel viaggiatore del tempo con il suo
organismo, impedendo che esso interferisse con la sua vita. Ero
arrivata a
capire, perfino, che una gene-portatrice doveva saltare, al giorno, un
minimo
di due ore e mezza; un gene-portatore, invece, aveva un minimo di tre
ore.
Questi accorgimenti impedivano, ai mal capitati, di scomparire
improvvisamente
nel bel mezzo di una lezione scolastica o, peggio ancora, sotto la
doccia. Mi
era stato anche detto, da mia madre – in macchina, al ritorno
–, che il signor
Cullen e tutti gli altri, erano chiamati Guardiani.
Si suddividevano in cerchia interna e cerchia esterna,
all’interno della loggia
di Temple. Fu il conte di Saint Germain a instituire quella setta segreta, nel lontano 1741. Una
volta compresa la grandiosità delle sue doti,
tornò indietro nel tempo per
prelevare il sangue dei suoi predecessori e lo inserì nel
cronografo, così che
esso fosse pronto – una volta completato il cerchio dei
dodici – a svelare il
segreto del segreto. Quale fosse, questo segreto, nessuno lo sapeva.
<< Edward
andrà ad informare il conte che anche il rubino si
è unito a noi, domattina.
>> aveva annunciato Mr. Cullen, prima che andassimo via
da Temple. << No!
>> aveva urlato mia madre, colta da
un’improvvisa isteria che il dottor
Black non aveva evitato di commentare << Dal conte no! Ti
supplico,
Carlisle, lascia perdere! >>
<< Mia moglie
ha ragione. >> l’aveva spalleggiata mio padre
<< Avete il suo
sangue, il cerchio è completo. Al resto può
pensarci il giovane Cullen, non
vedo perché Isabella debba andare ad incontrare il conte di
Sant Germain.
>>
<< Io
concordo col baffetto.
>> disse
Edward, attirando su di sé il mormorio della sala
<< Questa ragazzina non
ci serve. Con tutto il rispetto per i genitori, ma l’hanno
fatta crescere allo
scuro di tutto! Cosa potrebbe mai fare? Come potrebbe mai essermi anche
lontanamente utile? Una palla al piede, ecco cosa sarebbe. Io concordo
con i
signori Swan: non alcun senso presentarla al conte. >>
<< Edward,
comando io qui. >> lo aveva ribeccato suo padre
<< Non tu. È tutto
chiaro? >> avevo adorato quell’uomo solo
perché era riuscito a zittire
quell’arrogante viziato!
Alla fine la
situazione degenerò all’inverosimile.
Tutti cominciarono
ad accusarsi a vicenda, sostenendo che la mia totale inadeguatezza
avrebbe
ostacolato la missione. È proprio
questo
che voleva! Non è vero, Renée?, aveva
urlato il dottor Black, risollevando
il polverone “Rosalie-Emmett”.
<< Se non
fosse stato per quella Hale dagli occhi celesti, il cronografo sarebbe
ancora
qui! >>
<< Rosalie
non c’entra nulla! >> aveva urlato Lady Lillian
<< È stato Emmett
a rubarlo e traviare la mia
povera e ingenua nipote! >>
<< Ma per
favore! >> era intervenuto Carlisle, alzando di qualche
nota il suo tono
di voce << Non crederà realmente che sia tutta
colpa di mio fratello,
Lady Lillian! >>
<< Le
relazioni tra Hale e Cullen non portano mai niente di buono.
>> aveva
borbottato il dottor Black << Spero che tu lo capisca,
giovanotto.
>>
<< Stia
tranquillo, dottor Black. >> aveva risposto Edward, in
modo che lo
sentissi chiaramente << Questa ragazzina non è
proprio il mio tipo.
>>
<< Oh, sta’
tranquillo! >> avevo urlato, per la prima volta dopo un
tempo che mi
sembrava interminabile << Miro ad avere una relazione con
qualcuno che
abbia più classe e cervello di te! >>
dopodiché detti il mio benestare
alla trasmigrazione del giorno dopo e trascinai via da lì i
miei genitori.
Mi riscossi dai
miei pensieri solo quando il sonno cominciò a farsi largo in
me. Chiusi gli
occhi e lasciai che le braccia di Morfeo mi accompagnassero in un mondo
più
normale e tranquillo.
* * *
<<
Bella, hai
un’aria orribile. >> disse Angela, per la
centesima volta in poche ore.
<< Lo hai già
detto. >> le feci notare, abbandonando la testa sul
tavolo della mensa
<< Non ho dormito affatto bene e ho usato il correttore
per le occhiaie.
>>
<< E te lo
sei spalmata per tutta la faccia? >> chiese e la
fulminai. Di tutta
risposta, lei alzò le mani in segno di resa e
continuò il suo monologo <<
Non fare quella faccia! Ho aspettato tutta la sera una tua telefonata,
ma
niente. Per sapere quello che è successo ieri a Temple ho
dovuto aspettare fino
a questa mattina, ti sembra giusto? Beh, per come la vedo io non lo
è affatto!
Cosa ti costava farmi una telefonata? >>
<< Scusa,
Angy. >> dissi, per la milionesima volta, quella mattina
<< Ero
molto stanca. >>
<< Però hai
dormito male e poco… >> mugugnò
<< D’accordo, d’accordo! La smetto.
Comunque, pensiamo alle nuove informazioni che abbiamo!
>> disse,
eccitata come una bambina dentro ad un negozio di caramelle
<< Tu sei il
rubino, rosso rubino per la precisione, e sei la dodicesima
viaggiatrice! Ciò
ti da il privilegio di sedere alla tavola di quelli di
Temple… E queste stanze
con i nomi fighissimi? Sala del drago, degli archivi… Tu non
sai quanto ti
invidio, Bella! Per non parlare di Edw… >>
<< Non
nominarmelo, quello stronzo! >> sbottai, interrompendola
<< Edward
so-tutto-io Cullen, è solo un pidocchio! Lui e il suo
cervello sottosviluppato,
insieme al suo ego sovrasviluppato! Dovevi vedere come si atteggiava a
grande
uomo della loggia! Sì, uomo di ‘sto ca…
>>
<< Bella!
>> mi interruppe Angela, facendomi mantenere un certo
decoro << Ce
la farete a collaborare oppure vi ammazzerete a vicenda? Promette bene.
>> le tirai una foglia di insalata e lei mi
infilò una patatina fritta in
bocca. Scoppiammo a ridere qualche istante dopo, anche se
l’idea di ammazzare
Edward stava diventando molto, molto allettante.
La
giornata
sembrava non passare mai. Mentre Mr. Saltzman spiegava “Dio
solo sa cosa”, ero
intenta a scarabocchiare sul blocco per gli appunti. Ero
così concentrata a
guardare fuori dalla finestra, che non mi resi conto di ciò
che stavo disegnando:
un corvo nero, con un cuore rosso – che ricordava in modo
imbarazzante un
rubino – era riverso a terra, morto. Fu in quel momento che
compresi perché non
ero riuscita a chiudere occhio. Per la precisione li avevo chiusi, gli
occhi,
solo che dopo un terribile incubo avevo deciso di aver dormito a
sufficienza. Chissà
perché non me lo ricordavo…,
pensai distrattamente, riordinandomi le idee.
Ero a Londra, di
notte. Mi trovavo su una torre, forse quella dell’orologio, e
le lancette
segnavano la mezzanotte. Un corvo volò sopra di me; percepii
un ringhio alle mie
spalle e mi voltai impaurita. Un leone.
Era lì, di fronte a me e al mio pennuto amico nero, che ci
fissava con due
occhi talmente lucenti che ricordavano il diamante più
splendente. Erano
cattivi, spietati… L’animale balzò in
avanti, facendomi perdere l’equilibrio,
ma il corvo cercò di proteggermi. Fu in quel preciso istante
che il leone, con
una zampata, squartò il petto dell’uccello, dal
quale fuoriuscì un grande
rubino rosso.
<< Isabella!
>> tuonò una voce, di fianco a me. Urlai
spaventata, ma poi riconobbi Mr.
Saltzman << Bentornata tra di noi. Per
curiosità, ha sentito anche una
sola parola di quello che le ho chiesto? >> mi morsi il
labbro, sentendo
le risatine dei miei compagni di classe. Cazzo!,
pensai. Possibile che doveva succedere sempre tutto a me?
<< Mi scusi,
Mr. Saltzman. >> sussurrai, mettendo via il foglietto
<< Ero persa
nei miei pensieri e… Mi scusi, davvero. >>
sospirò pesantemente e tornò
alla cattedra.
<< Non si
preoccupi, Isabella. >> sorrise comprensivo
<< Per domani voglio un
resoconto dettaglio dell’incendio di Londra. Dieci pagine di Word, dimensione del carattere dieci,
interlinea uno. D’accordo? >> comprensivo un
cavolo!
<< Certo, Mr.
Saltzman. >>
<< A cosa
stavi pensando? >> domandò Angy, sussurrandomi
all’orecchio.
<< Te lo dico
dopo. Una relazione di dieci pagine basta e avanza, per oggi.
>>
<< Oh,
andiamo, il lavoro extra lo hai già beccato! Cosa credi, che
ti aggiunga
qualcos’altro? >>
<< Signorina
Weber, vuole fare compagnia alla sua amica per quanto riguarda la
relazione?
>> domandò Mr. Saltzman, sorridendo
sgargiante.
<< Ehm no,
grazie… >> rispose Angela. Chissà
se, da ora in avanti, avesse smesso di
sbavare dove camminava.
L’ultima mezzora di
lezione la passammo interamente in silenzio. Due relazioni per il
giorno dopo
erano più che sufficienti!
Quando sentimmo la
campanella annunciare il nostro via libera, mi trattenni dal saltare
per la
gioia. Mr. Saltzman ci salutò calorosamente, ricordando a me
e ad Angela la
relazione per il giorno seguente, raccolse le sue carte e
uscì di corsa.
Evidentemente aveva qualche affare da sbrigare a Temple. Mi vennero i
brividi
quando mi ricordai che la mia prossima tappa non sarebbe stata la mia
camera –
con tanto di letto e atmosfera famigliare –, ma
bensì la loggia. Sbuffai,
ricadendo sulla sedia.
<< Che c’è?
>> domandò Angela, rendendosi conto che non la
stavo seguendo.
<< Devo
andare a Temple, adesso. >> risposi, come se mi fosse
appena morto il
pesciolino rosso, che tenevo nella palla di vetro fin da bambina.
<< Oh…
>> sussurrò Angela, sedendosi su una sedia
vicina << Quindi niente Starbucks.
>> scossi il capo,
cominciando a vedere quali fossero i cambiamenti della mia vita.
<< Mi
dispiace, Angy. Non posso proprio. >>
<< Non
importa, Bella, prima la tua incolumità! >>
disse raggiante <<
Però, se devi andare a Temple, non ti converrebbe sbrigarti?
>>
<< In teoria
sì, ma non ne ho troppa voglia. >> dissi in
tono piagnucoloso.
<< Isabella
Marie Swan, alza il culo e vai a trasmi… ehm, qualcosa del
genere. >>
<<
Trasmigrare, Angela. >> l’aiutai, alzandomi di
malavoglia.
Uscimmo da scuola
velocemente, ma fummo bloccate da Mike, Jessica, Lauren, Riley ed Eric.
Stavano
parlottando all’ingresso, impedendoci il passaggio.
<< Tanya ha
fatto proprio un bell’acquisto. >> disse,
maligna, Lauren << È uno
spettacolo! >>
<< Secondo me
è il cugino. >> ribatté Jessica,
incrociando le dita dietro alla schiena
<< Non potrebbe essere il cugino? >>
<< Ma di cosa
state parlando? >> le interruppe Angela, evitando di
prestare attenzione
ai ragazzi che, a differenza di quelle due pettegole, stavano
illustrando la
bellezza di un macchina che, a detta loro, era assolutamente
fantastica.
<< Bella,
dicci un po’… >> Jessica mi
tirò verso di lei, indicandomi un punto
preciso << Quello è un vostro cugino di cui,
per pura sbadataggine, vi
siete dimenticate di parlarci? >> guardai dove mi aveva
indicato e… Oh, santissimi numi!
<< Bella,
quello non sarà mica… >> disse
Angela, ed io conclusi la sua frase.
<< … Edward
so-tutto-io Cullen! Sì, è lui. >>
<< Lo
conosci? >> domandò Lauren, avvicinandosi
ancora di più.
<< Cullen?
>> chiese, invece, Jessica
<< Perché questo cognome non mi è
nuovo? >>
<< Forse te
ne ha parlato mia cugina. >> risposi, alzando gli occhi
al cielo. Quanto sono oche!,
pensai. Se lo
avessero conosciuto avrebbero capito quanto odioso – oltre
che bello – fosse.
<< Come
Jasper Cullen? >> chiese Riley, rivolgendosi verso di
noi.
<< E chi
sarebbe? >> domandò Angela, lanciandomi
un’occhiata interrogativa. Alzai
le spalle, facendo capire che non me importava chissà
quanto.
Cosa assolutamente
falsa!
Me ne stavo lì,
impalata a fissare come Edward sorridesse a mia cugina, la quale
ricambiava
ogni sguardo, sorriso o carezza. E tutto ciò, anche se non
ne capivo il motivo,
mi infastidiva. Per essere precisa, mi infastidiva maggiormente il
fatto che
con me fosse un grandissimo stronzo, mentre con lei un gattino
ammaestrato!
<< Sì, il
ragazzo castano che gioca nella squadra di football. >>
parlò Mike
<< Ce l’ho in qualche lezione di storia
contemporanea e di trigonometria.
>>
<< Come me
segue spagnolo. >> si intromise Eric, sorridendo ad
Angela, la quale
arrossì.
<<
Guardatelo! >> urlò Riley, attirando la nostra
attenzione << È
quello lì! Cazzo, credo siano fratelli! E chi lo
sapeva… >> già, chi lo
sapeva! Non avevamo solo una gene-portatrice a scuola, ma anche il
fratello di
un gene-portatore! Com’era piccolo il mondo.
Jasper, nel
frattempo, superò Tanya battendo un cinque ad Edward; si
sorrisero complici,
dopodiché presero strade diverse. Edward aprì la
portiera della luccicante
Mercedes nera, Jasper si diresse verso il parcheggio della scuola.
<< Secondo me
stanno insieme. >> disse improvvisamente Mike.
<< Chi?
>> mi lasciai scappare, ancora prima di rendermene conto.
<< Come chi?
Tua cugina e quel tipo, tontolona.
>> sbuffai, erano quattro anni che mi era stato
affibbiato quel nomignolo
e cominciavo a non sopportarlo più.
Stavo per replicare
sgarbata, ma gli occhi di Edward incrociarono i miei. Erano
sorprendentemente
verdi, anche a quell’inaudita distanza. Tanya si
allontanò di poco,
irrigidendosi; Edward, invece, mi indicò con
l’indice sinistro e mi fece segno
di avvicinarmi. Mi ricordò in modo imbarazzante Patrick
Swayze, quando
interpretava Johnny Castle in Dirty
Dancing.
<< Ma sta
chiamando… te?
>> chiese
Lauren, con incredulità. Alzai gli occhi al cielo e,
sbuffando, mi feci largo
tra di loro e scesi i gradini – salutando con uno sguardo
Angela.
<< Non
capisco, se le fa tutte e due? >> domandò Mike
e fu Jessica a rispondere.
<< Non credo,
non sarebbe da Tanya dividere uno ragazzo del genere. Con Bella, poi!
>>
evitai di ascoltare il resto e accelerai il passo.
<<
Finalmente! Ti sto aspettando da più di dieci minuti.
>> disse Edward,
dandomi il suo buon pomeriggio.
<< Cavolo,
quanto mi dispiace! >> risposi ironica <<
Se avessi saputo che
saresti venuto tu a prendermi avrei fatto tutto molto più in
fretta! Non sai
come mi duole il cuore, in questo momento. >> Edward
alzò un
sopracciglio, mentre Tanya mi ribeccò ferocemente.
<< Come
diamine ti salta in mente di rispondergli in quel modo!
>> disse lei
<< Ti sembra il caso di comportarti così,
davanti ad un Cullen? >>
sbuffai, incrociando le braccia al petto. Lo sguardo divertito di
Edward mi
fece ancora più infuriare. Se solo avessi potuto, lo avrei
preso a schiaffi!
<< Dobbiamo
andare, Swan. >>
disse Edward,
indicandomi i sedili posteriori << Ci aspettano a Temple
e siamo già
abbastanza in ritardo. >> senza ribattere, entrai in
auto.
<< Ci si
vede, Tanya! >> la salutò lui, dandole un
veloce bacio sulla guancia.
Dopodiché si infilò anch’egli sui
sedili posteriori della Mercedes nera e disse
all’autista di partire.
Il silenzio che
piombò fu imbarazzante. Edward era totalmente stravaccato ed
il suo ginocchio
batteva contro mio; io, dal canto mio, mi allontanai un po’,
guardando fuori
dal finestrino. Si stava preparando un temporale.
<< Non ti
mangio mica. >> gli sentii dire, perciò mi
voltai, guardandolo
interrogativa << Ti sei allontana come un razzo. Volevo
solo farti capire
che non ho alcun interesse nel saltarti addosso. >>
<< Oh,
tranquillo, il mio sogno proibito non è di certo quello di
finire sui sedili
posteriori con un idiota patentato! >>
<< Sei
proprio una bambina.
>> disse,
scuotendo il capo.
Dopo circa venti
minuti, l’auto arrivò a Temple. Entrammo nel
grande cancello nero, che
racchiudeva dentro di sé la loggia, e parcheggiammo. Ad
attenderci c’erano Mr.
Cullen e Mr. Dwyer.
<< Finalmente,
ragazzi! >> disse quest’ultimo <<
Vi aspettavamo da un pezzo, cos’è
successo? >>
<< Betty ha avuto
alcuni problemi a scuola,
presumo. >> rispose Edward, parlando come se io non ci
fossi << È
uscita tardi, poi il traffico ha fatto il resto. >>
<< Bella, ok?
>> gli dissi, piuttosto irritata << Non
Elisabetta né, tanto meno,
Betty! Mi chiamo Isabella! Vuoi che ti faccia lo spelling?
>>
<< Per
l’amore del cielo, ragazzi! >> ci interruppe
Carlisle << Edward,
Isabella non è un nome molto complicato. Potresti
cortesemente ficcartelo in
testa? >> di tutta risposta, lui scrollò le
spalle ed entrò nella loggia.
Carlisle mi offrì il braccio, che accettai sorridendo, e lo
seguimmo anche
noi.
<< Oggi
pomeriggio andrete a trovare il conte di Saint Germain.
>> ci annunciò
Mr. Dwyer. Dall’espressione rilassata di Edward, capii che
dovevo essere io
l’unica ad esserne allo scuro. Ricordavo ancora la ferrea
decisione di mia
madre nel non volere che il conte sapesse di me o che, peggio ancora,
potesse
pretendere la mia conoscenza.
<< Ma mia
madre ha detto… >>
<< Lo so,
cara. >> disse Carlisle, interrompendomi <<
C’è voluto un po’ per
convincerla, ma alla fine ci siamo riusciti. >> non avrei
voluto sapere,
per alcuna ragione al mondo, in chemodo l’avessero convinta.
<< Miss
Brandon ti sta aspettando per vestirti. >> mi
informò Mr. Dwyer <<
Oggi, tu ed Edward, trasmigrerete nel 1745. Il conte era da poco
arrivato a
Londra, in quell’epoca, abbiamo pensato di evitarvi viaggi in
carrozza per
arrivare alla sua residenza. La loggia era già stata creata,
quindi dovrete
solo raggiungere la sala del drago. >>
<< Ma se
resta tutto in ehm famiglia,
perché
dovremmo cambiarci d’abito? >> domandai,
confusa. Se non saremmo usciti
dalla loggia, ed essa era da sempre stata sede dei viaggi nel tempo,
nessuno si
sarebbe spaventato nel vedere due giovani vestiti in modo strano.
<< L’autenticità
prima di tutto, Isabella.
>> mi rispose Carlisle << Non vogliamo
correre alcun rischio, tutto
qui. >> sospirai pesantemente e mi lasciai scortare nella
stanza di
Alice.
Era tutto
sottosopra! Stoffe da una parte, pizzi e merletti
dall’altra… La piccola Alice
risaltava tra quella montagna di roba solo grazie ai suoi sbarazzini
capelli
corvini.
<< Tutto
bene, Miss Brandon? >> domandò Mr. Dwyer.
<< Sì!
>> rispose lei, togliendosi una piuma lunga e bianca dai
capelli <<
Stavo riguardando gli abiti per Isabella, credo di aver fatto un
po’ di
confusione. >> constatò, guardandosi intorno.
Da quel poco che ne
sapevo il 1700 era l’epoca del Rococò,
formato dalla crinolina esasperata, delle parrucche, dei pizzi e dei cicisbei. Quando Alice ci
mostrò i
nostri abiti, mi dieci un cinque mentale. Purtroppo, ci avevo azzeccato!
<< Cosa ve ne
pare? Vi ho perfino abbinati! >> squittì
Alice, battendo le mani.
Appesi ad un
manichino facevano bella mostra i nostri “costumi
d’epoca”. Il mio abito era
blu scuro e bianco, composto da un corpetto aderente, terminante a
punta, e
doppia gonna esageratamente larga sui fianchi, sostenuta dal panier. Le maniche al gomito terminavano
in una cascata di pizzi di diverse lunghezze. L’abbigliamento
di Edward,
d’altronde, era molto più divertente: la giacca
era lunga a campana, ricamata e
decorata da passamanerie blu scuro
e,
sotto, un gilet di colore contrastante, di qualche tonalità
più chiara. I
pantaloni al ginocchio lasciavano scoperte le calze di seta e le
tipiche scarpe
con fibbie e gale. Ma ciò che mi fece ridere sfacciatamente,
fu la profusione
di pizzi alle maniche e al colletto.
<< Oddio! E
tu dovresti indossare quello?
>>
gli domandai tra le risate << Miseria, questa
trasmigrazione doveva
essere fatta solo per vederti conciato così! >>
<< Non che tu
starai messa meglio! >> mi ribeccò Edward,
sorridendo sornione <<
Sembrerai il circo russo! >>
<< Scusatemi,
ma state offendendo i miei
fantastici
abiti! >> si intromise Alice, urlando <<
Questi vestiti sono
perfetti per voi, perciò nessuno farò ridere o
sembrerà una tenda per il circo!
Sono stata abbastanza chiara?! >> restai ammutolita dalla
sua
determinazione.
<< Cristallina!
>> dicemmo all’unisono io ed Edward.
Durante la mezzora
successiva, Alice mi aiutò a cambiarmi, mentre Edward era
stato scortato
nell’altra stanza. Prima di andare, sarebbe dovuto passare
anche lui per le
mani di Miss Brandon.
<< Ecco
fatto! Acconciatura fantastica! >> disse e poi mi
concesse di
specchiarmi.
Per poco non
svenni. L’abito mi fasciava la vita in modo impeccabile,
facendo risaltare il
mio decolté – anche un po’ troppo,
rispetto ai miei gusti. I capelli erano
tirati completamente indietro e sulla nuca, facendo un po’ di
volume, e alcune
ciocche ricadevano ondose sulle spalle. Nel complesso era tutto
assolutamente
realistico. Sembravo uscita da qualche spettacolo teatrale se non,
addirittura,
da qualche film storico.
<< Dalla tua
faccia deduco che ti piace, il mio capolavoro. >>
sussurrò Alice,
passandomi un leggero strato di fard rosaceo sulle guance.
<< Sei
davvero fenomenale, Alice. >>
<< Grazie,
grazie! Lo so. >> disse e scoppiammo a ridere. Fu in quel
momento che
entrò Edward, nella stanza. Per poco non svenni.
Ero convinta che
vederlo così avrebbe messo in ombra il suo lato affascinante
e sensuale, ma
dovetti ricredermi. Edward, al contrario, risultava molto sexy!
<< Alice,
devo per forza mettere la parrucca? >> domandò
lui, dopo avermi fatto la
radiografia. Dovetti voltare il capo, per impedirgli di scorgere il
rossore
sulle mie guance.
<< Ovvio,
Edward! Lo chiedi tutte le volte e la risposta non cambia.
>>
<< Isabella
non ce l’ha però, la parrucca! >> si
lamentò e per la prima volta mi fece
tenerezza. Forse perché aveva azzeccato il mio nome!
<< Bella è
una ragazza giovane, Edward. E andrete dal conte nel primo pomeriggio,
ciò
implica che non è necessario per lei indossarla.
>> lo sentii sbuffare,
mentre si faceva sistemare quell’orribile affare bianco in
testa.
<< Allora,
ragazzi? >> domandò Carlisle, fermo sulla
soglia << Siete pronti?
>>
<< Sì, papà.
>>
<< Bene, io e
Phil vi scorteremo nella stanza del
cronografo. >>
<< Secondo il
dottor Black, per il momento, sarebbe più sicuro bendare la
ragazza. >>
disse, con noncuranza, Edward.
<< Cosa?
>> domandai, ma nessuno mi rispose.
<< Non è una
cattiva idea. >> lo spalleggiò Carlisle
<< Solo per il momento,
s’intende. >>
<< Cosa?!
>> domandai ancora, ma nessuno mi degnò di
attenzione.
<< Prendo una
benda! >> avvisò Mr. Dwyer. Sbuffai, evitando
di fare altre domande,
visto che nessuno sembrava in vena di darmi risposte.
Spostai lo sguardo
su Edward e notai che stava sghignazzando. Alzai gli occhi al cielo,
cosciente
che il suo scopo nella vita – oltre a viaggiare nel tempo
– era diventato
quello di farmi irritare a morte!
Quando Mr. Dwyer tornò
con
la benda, me la mise intorno agli occhi e, nel buio più
totale – almeno per me
–, ci dirigemmo nella stanza del cronografo, dove avremmo
compiuto il salto per
incontrare il fatidico conte di Saint Germain. .
Ha fatto la sua
entrata in scena, se pur indirettamente, anche il fratellino minore di
Edward, ossia Jasper. Chi lo avrebbe mai detto? Come dice Bella, non
solo alla Saint Lennox c'è una gene-portatrice, ma anche il
fratello di un gene-portatore! Beh, era ovvio, da un lato. Come avevo
spiegato nei capitoli precedenti la Saint Lennox è la High
School più importante e prestigiosa di tutta Londra, come
avrebbe potuto non trovarsi tra quelle mura un Cullen? Il rapporto tra
Bella e Edward non è proprio idilliaco, anzi tutto il
contrario! Un capitolo importante ci aspetta, però... Bella
ed Edward - nonostante le loro divergente - sono costretti a "stare
insieme", è proprio per questo motivo che - nonostante la
scetticità di Renée - sono chiamati al cospetto
del conte di Saint Germain. Ma chi è questo personaggio?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti, come state? Non voglio rubarvi moltissimo tempo,
solo chiedervi due minuti di attenzione!
Per prima cosa, in settimana creerò una pagina facebook -
con l'aiuto di altre ragazze che, gentilmente, si sono prestate a darmi
una mano - che avrà il nome di Graphics and Edit video.
Come ho scritto sul mio blog, so che in giro ce ne sono molte, ma
l'idea era quella di “insegnare”, dare consigli,
invece che realizzare soltanto. Ci sono molte persone che vorrebbero
imparare – almeno, questo è quello che ho visto in
diversi mesi in giro per il web – ad usare un programma di
grafica (che sia di video o di immagini) e volevo dare una mano, nel
mio piccolo, a queste persone. Nella pagina, ovviamente, si potranno
richiedere anche immagini fatte da me – e da chi, magari,
volesse aiutarmi a mandare avanti un'idea del genere, che nel suo
"dietro le quinte" porterebbe molto lavoro – e persino video
su commissioni, rispettando alcuni canoni che verranno inseriti
all'interno della pagina. Cosa ne dite? A qualcuno potrebbe
interessare? Appena creata, la pagina, verrà postata sul mio
profilo di facebook e nei miei vari punti di comunicazione (quali: il
mio blog personale, gruppo e pagina facebook che divido con la mia
socia, anche lei autrice di Efp, sulle storie), ma potrete trovarla
dalla prossima settimana anche qui, in questa storia, per chi volesse
mettere il "Mi piace".
Altra questione è, all'interno del gruppo - potete trovare
il link diretto a fondo pagina - sto facendo una sottospecie di domande
ad eliminazione. Vi spiego meglio: ho quattro flashfic, sempre sul
fandom di Twilight, impostate, ma non posso scriverle tutte e quattro!
Ho pensato, così, di dare a voi la possibilità di
scegliere quale leggere prima. La prima votazione c'è stata
settimana prossima, adesso è in atto la seconda. Settimana
prossima, le due storie più votate saranno mette "in sfida"
per scegliere la definitiva. Se volete partecipare, basterà
iscrivervi al gruppo :) ovviamente, è tutto facoltativo XD
ho solo voluto informarvi!
Adesso smetto di rompervi e vi lascio al capitolo. Buona lettura a
tutti! .
7.
«
Dubitate
di tutto, ma non dubitate
mai di voi stessi. » André Gide. .
La
stanza del
cronografo non era molto diversa dalle altre camere importanti.
L’unica
differenza era che non aveva finestre, in quanto ci trovavamo
chissà quanto in
profondità.
Eravamo scesi per
una marea di scale dritte, a chiocciola; girato una montagna di angoli
e
colonne… Insomma, avevo perso totalmente il senso
dell’orientamento! L’ultima
cosa che ricordavo con chiarezza, prima che Mr. Dwyer mi bendasse gli
occhi,
erano le urla di Alice nel cercare di mantenere perfetta la sua
meravigliosa
acconciatura, fatta sui miei capelli.
<< Tutto
bene, Isabella? >> mi domandò Mr. Dwyer,
vedendomi impalata sulla porta.
L’aria era
rarefatta, percepivo anche un leggero odore di vecchio. Proprio davanti
a me,
era situato un grosso tavolo di legno scuro, completamente sgombro.
Sopra di
esso vi era solamente un panno bianco – tendente al
giallognolo – che faceva da
fagotto a qualcosa. Un piccolo divano rosso, a destra, faceva bella
mostra
nell’angolo.
<< Sì, tutto
bene. >> risposi, facendo qualche passo avanti, cercando
di non
inciampare in quell’enorme vestito << Stavo
solo riprendendo il controllo
nei miei occhi, Mr. Dwyer. >>
<< Ti senti
pronta per andare, Isabella? >> domandò il
signor Cullen, sorridendomi.
<< Più o
meno. >>
<< Dobbiamo
rimanere ancora qui per molto? >> domandò
Edward, sbuffando << Non
vorrei rovinare i vostri meravigliosi preamboli, ma vorrei evitare di
passare
tutto il mio pomeriggio nell’Aprile 1745 con questa
qui. >> alzai un sopracciglio, scettica. Questa qui?
Avevo proprio capito bene?
<< Edward…
>> lo rimproverò suo padre, forse meno del
solito. Quell’uomo doveva
essere un santo, non c’erano altre spiegazioni. Come faceva a
sopportare
quell’insopportabile ragazzo? È
suo figlio…,
rispose la mia coscienza. Touché.
<< Se è per
questo, Cullen, anche io vorrei
evitare di passare tutto il mio pomeriggio in tua compagnia!
>> sbottai
irritata.
<<
Fantastico, siamo d’accordo su qualcosa! >>
disse lui, applaudendo, e poi
si rivolse ai due uomini che avevamo davanti << Siete
contenti, vero?
>>
<< Saranno
settimane difficili. >> disse Mr. Dwyer, sospirando.
<< D’accordo,
vi diamo la parola d’ordine. >>
mormorò Carlisle, aprendo un libro
piuttosto voluminoso << La parola d’ordine del
4 Aprile 1745 era…
>> mugugnò qualcosa, bloccando improvvisamente
il dito indice sulle righe
<< Qua redit nescitis.
>>
Per poco non mi
cedettero le gambe. Ma che lingua era mai quella?
<< Latino.
>> rispose Edward, evidentemente notando i miei occhi
sgranati << Voi non conoscete
l’ora del suo ritorno.
Non hai mai studiato latino in tutta la tua vita, dico bene?
>> di tutta
risposta, incrociai le braccia al petto assumendo un’aria
più risoluta.
<< D’accordo,
Isabella, vieni qui. >> disse il dottor Black
che… Ma quando cavolo era
entrato? << Il cronografo è pronto. Avanti,
dammi il tuo dito indice.
>>
<< Il dito
indice? >> chiesi confusa, avvicinandomi
all’oggetto.
Non era nulla di
speciale. Un orologio da taschino, di dimensioni tre o quattro volte
più grandi,
posizionano su una scatoletta quadrata – marrone scuro
– dove vi era intagliata
una piccola fessura. Le dodici ore, all’interno del
quadrante, erano fissate
interamente con pietre preziose, che seguivano un cerchio cronologico
perfetto:
un opale bianco, l’ambra, un’agata multicolore,
l’acquamarina, lo smeraldo di
un verde intenso, un quarzo citrino giallastro, due corniole
aranciastre, una giada
sull’azzurro/verde pastello, la tormalina nera, uno zaffiro
completamente blu, il
diamante e, infine, un rubino rosso come il sangue.
<< Isabella?
>> mi riscosse dai miei pensieri, il dottor Black.
<< Sì, scusi.
>> gli diedi la mano sinistra e l’uomo
inserì il mio dito nella piccola
fessura ovale del cronografo.
<< Adesso
sentirai una leggera puntura, ma non ti muovere. È molto
importa che resti
ferma, va bene? >> ero molto titubante. Che significava
“leggera
puntura”?
<< Oh, santo
cielo! >> disse esasperato Edward, scansandomi in malo
modo <<
Dottor Black, vado prima io. Poi se la qui presente Isabella decide di
raggiungermi bene, altrimenti mi farò una partita a poker
col conte! >>
detto ciò, inserì il dito nell’oggetto.
Il cronografo reagì
all’istante. Una luce bianca, accecante, si
sprigionò facendo illuminare il
diamante posizionato sul numero undici. Dovetti coprirmi gli occhi,
proteggendoli addirittura con le mani. Che diavolo era successo?
<< Edward è
il diamante. >> mi spiegò Carlisle
<< Il cronografo vi riconosce a
seconda del sangue; vi identifica. Quando lo userai tu, la luce che si
sprigionerà sarà quella del rubino, incastonato
nel numero dodici. >>
<< Opale e ambra, la prima
coppia, s’avanza,
canta agata, che del lupo ha sembianza, con acquamarina in si bemolle
–
solutio! Seguono smeraldo e citrino – coagulatio! –
le due corniole gemelle in
scorpione, e giada, numero otto, digestione. In mi maggiore: tormalina
nera,
zaffiro in fa, rischiara la sera. E subito appresso ecco diamante,
undici e
sette, leone rampante. Projectio! Scorre il tempo così
lento, rubino è
principio e fine del movimento. >>
recitò Mr. Dwyer, sorridendomi con
fare di incoraggiamento.
Per un attimo
restai incantata da quella strana filastrocca. Richiamava in
sé tutti i dodici
viaggiatori del tempo e, con essi, le loro pietre identificative.
Mi avvicinai
lentamente al tavolo, sul quale era appoggiato il cronografo, e
allungai la mia
mano verso l’oggetto. Quando infilai il dito nella fessura,
percepii tre
piccoli aghi forarmi il polpastrello. Evitai di urlare – per
dolore e spavento
– solo per mantenere un certo decoro, evitando che Edward mi
tormentasse anche
per questo.
Un fascio di luce
rosso intenso si sprigionò dal rubino, incastonato nel
numero dodici. Tutta la
stanza ne fu invasa, costringendomi nuovamente a chiudere gli occhi.
Quando li
riaprii, tutto intorno a me era buio. Non c’era neanche la
parvenza di una
candela.
<< Eccoti,
finalmente. >> sussurrò qualcuno alle mie
spalle. Saltai in aria per lo
spavento. Avrei persino urlato, se una mano non mi avesse tappato la
bocca
<< Sono io, Betty.
Datti una
calmata. >> parlò quella che era la voce di
Edward.
<< Razza di
idiota! Mi hai fatto prendere un colpo! >>
<< Lo so.
>> rispose sghignazzando. Una domanda mi venne spontanea
nella mente: ma
se lo avessi ucciso e lasciato qui, il corpo poi sarebbe tornato nel
presente?
Oppure avevo qualche possibilità di occultare le prove
dicendo, tanto per dirne
una, che lo avevo perso di vista nel 1745? Un fascio di luce mi
colpì in pieno
viso, riportandomi alla realtà.
<< Mi stai
accecando! >>
<< Pensavo
che il buio non ti piacesse granché. >>
rispose, scrollando le spalle
<< Avanti, vieni con me, dobbiamo andare dal conte e
abbiamo solo tre ore
e mezza di tempo! >> mi afferrò per il polso e
mi trascinò verso una
grande porta.
Sentire la sua mano
a contatto con la mia pelle mi provocò un brivido lungo la
schiena, come se
avessi preso una scossa elettrica. A giudicare dalla noncuranza di
Edward,
però, l’avevo percepita solo io. Stai
diventando totalmente pazza, Bella. Sbuffai, sapendo che la
voce della mia
coscienza non aveva tutti i torti.
Arrivati alla
soglia, Edward si guardò intorno attentamente.
Dopodiché spense la torcia e
afferrò un tizzone, porgendomelo.
<< Così vedi
dove mettere i piedi. >> disse, spegnendo la sua pila
elettrica <<
Non possiamo far vedere oggetti del futuro, i Guardiani potrebbero
rimanerne
sconvolti! Siamo comunque nel Settecento. Inoltre, non tutti quelli che
lavorano alla loggia hanno a che fare direttamente coi viaggi nel
tempo… Per
alcuni è solo pura teoria, mettiamola così.
>> spiegò, spingendomi
davanti a lui.
<< Non mi
bendi? >> chiesi, ancora indispettita <<
È pur sempre la stanza del
cronografo, no? Potrei memorizzare i corridoi, entrare di notte e
sgraffignarlo
come hanno tuo zio e mia cugina! >> gli sorrisi beffarda,
quando voltò di
scatto la testa << Non è quello che pensate
tutti? Sono un pericolo, no?
>>
<< Non sei
abbastanza sveglia per uscire da Temple inosservata col cronografo in
borsa,
inoltre questi corridoio sono leggermente diversi da quelli che abbiamo
oggi,
nel 2011. Le probabilità che tu riesca ad orientarti sono
pari a zero. >>
disse, sghignazzando. Sbuffai, camminando in silenzio.
I corridoi erano
così stretti che riuscivo a percepire il calore del corpo di
Edward, accanto al
mio. Il suo braccio poi, di tanto in tanto, si scontrava col mio. Non
riuscivo
a capire perché le mani mi sudassero tanto, ma soprattutto
perché il mio cuore
era totalmente impazzito. Batteva ad una velocità assurda,
fino a farmi venire
il mal di testa.
<< Chi siete?
>> domandò un ragazzo, armano di spada, uscito
da dietro una colonna.
<< Siamo
ospiti del conte di Saint Germain. >> rispose Edward,
mentre io feci
qualche passo indietro.
<< Ti
conosco. >> parlò un altro ragazzo, uscendo
dalla parte opposta <<
Ti ho visto anche questa mattina aggirarti da queste parti.
>>
<< Parola
d’ordine, prego. >> tornò a parlare
il primo.
<< Qua redit nescitis.
>> rispose
prontamente Edward. I due giovani si scostarono di poco e indicarono al
mio
accompagnare la porta nascosta nel muro. Egli
l’aprì e ci incamminammo per
quelle segrete.
Due
rampe infinite
di scale, tre parole d’ordine, un labirinto interminabile e
buio dopo, io ed
Edward ci ritrovammo nel cuore della loggia. Ci stavamo dirigendo verso
la
stanza del drago.
<< Milord!
>> disse qualcuno alle
nostre spalle << Cosa ci fa ancora da queste parti? Non
è forse venuto
questa mattina a trovare il conte? >>
<< Salve, Sir
Marcus. >> lo salutò Edward, facendo un
inchino << È stato Aro a
dirmi di tornare da lui, vuole conoscere il rubino.
>> concluse indicandomi.
Mi sentivo tanto
come un trofeo, una bambolina che tutti potessero vantare di avere o di
aver
trovato. Ero una persona parlante e pensante, e volevo essere trattata
come
tale.
<< Quindi è
questa graziosa fanciulla, il tanto atteso rubino. >>
disse Marcus,
avvicinandosi a me << Molto interessante… Mi
rincresce, però, darvi una
spiacevole notizia. Il conte si è sentito poco bene ed
è stato riaccompagnato
nella sua dimora. >>
<< Cosa?
>> domandò Edward, con una velata nota
isterica << Noi abbiamo poco
tempo e non vorrei sprecarlo, è possibile raggiungere il
conte a casa sua?
>> Marcus ci pensò qualche istante, ma poco
dopo ci fece strada.
Entrammo in una
sala piuttosto grande, che non avevo ancora visto alla loggia del 2011.
Odiavo
avere gli occhi puntati addosso, ma sembrava che quello fosse il
passatempo del
1745 – neanche avessi avuto la toppa dei jeans aperta.
L’abito di Alice, poi,
era piuttosto ingombrante e notavo che Edward non si trovava a suo agio
in quei
vestiti del Rococò. Continuava a toccarsi i pizzi del
colletto e delle maniche.
Marcus si diresse
ad una scrivania, dove vi era seduto un altro uomo. Li studiai
attentamente,
cercando di non farmi notare. Il primo era alto, ben piazzato; capelli
scuri e
occhi grigi. Il secondo, di cui non sapevo nemmeno il nome, era
più minuto. I
capelli erano biondi, piuttosto chiari; il viso più giovane
e gli occhi di un
sorprendente azzurro cielo.
<< Venga,
Edward. >> disse proprio quest’ultimo
<< La scorterò io, con la mia
carrozza, fino alla residenza di mio cugino Aro. >>
Edward annuì
lentamente, facendo un mezzo inchino. Dovrei
farlo anche io?, pensai. Evitai, comunque, di fare figuracce.
<< Grazie per
la sua disponibilità, Caius. >> disse Edward,
dandomi una leggera spinta
perché mi chinassi. Dannato!,
pensai.
Per poco non caddi rovinosamente a terra!
<< Se i
signori volessero seguirmi… >> disse Caius,
indicandoci la porta.
Stranamente,
Edward, mi porse il braccio. Lo fissai, alzando un sopracciglio; stava
facendo
sul serio? Il suo sguardo rispose alle mie mute domande: “Non
fare la bambina e
afferralo subito, Betty!”. Sbuffai contrariata, ma accettai
l’invito.
Ci avviammo,
scortati da innumerevoli guardie armate, fino alla carrozza.
Era molto bella,
proprio quelle che si vedevano nei film d’epoca, tipo Marie Antoinette.
<< Prego,
Miss. >> disse il cocchiere, porgendomi la mano, e mi
aiutò a salire. Il
vestito era davvero troppo ingombrante! Inciampai diverse volte,
finché non
caddi col sedere sul “sedile”.
<< Davvero di
gran stile. >> commentò Edward, accomodandosi
di fronte a me. Avrei
voluto picchiarlo, ma – almeno per questa volta –
non aveva tutti i torti.
Non riuscivo ancora
a capire cosa ci facessi qui, in questo tempo ma, soprattutto, con
questo dono,
che non avevo mai desiderato possedere. Nonostante odiassi il ragazzo
dagli
occhi verdi che mi sedava davanti, dovevo ammettere che su una cosa
aveva
ragione: io non ero tagliata per quel mondo.
<< È
pensierosa, Milady?
>> domandò
Caius, facendomi spaventare.
<< Oh, no.
Stavo solo… >> notai lo sguardo accigliato di
Edward, così mi morsi la
lingua << Nulla. Sì, avete ragione, Sir. Ero
solo molto pensierosa.
>>
<< Non
temete, Isabella. Sono sicuro che piacerete moltissimo a mio cugino.
>>
disse sorridendomi, e per una frazione di secondo mi sentii tranquilla.
Arrivammo
dal conte
di Saint Germain nel giro di quaranta minuti. Notavo che Edward
continuava a
guardare l’orologio, agitato. Mi avvicinai a lui, mentre
attendavamo il
permesso per raggiungere il conte nel suo studio.
<< Quindi è
permesso portare gli orologi? >> chiesi, indicandoglielo.
<< È un
orologio da taschino, quindi è permesso, sì.
>> rispose duro, come al
solito << Inoltre, se non lo avessi non potremmo sapere
con precisione
quanto tempo abbiamo, non ti pare? >>
<< Sì, hai
ragione. >> risposi, allontanandomi. Volevo solo fare
conversazione,
diamine!
<< Come mai
chiamate vostra nonna sempre Lady Lillian? >>
domandò Edward, fissandomi
attento.
<< Lei
preferisce così. Sono rare le volte in cui usiamo la parola
“nonna”, l’unica
che può farlo è Tanya. >>
<< Ma è sempre
così, mmm, come dire burbera?
>> domandò, alzando un sopracciglio. A quel
gesto il mio cuore cominciò a
fare le capriole. Come diavolo era possibile? Lo detestavo, ma al tempo
stesso
mi attraeva.
<< N… no.
>> dissi, balbettando << Cioè
sì, nel senso… >> Bella,
datti un contegno!
<< No o sì?
Sembri parecchio confusa. >>
<< Sì e no. È
sempre burbera, sì, però quello che hai visto tu
non è niente, te lo assicuro!
A casa è mille volte peggio, ecco quello che intendevo.
>> parlai, appena
ripresa un po’ di lucidità. Edward non
ribatté, annuì solamente.
Il nostro silenzio,
assolutamente imbarazzante, venne interrotto da Caius.
<< Venite,
ragazzi. >> disse << Il conte vi aspetta
nel suo studio, al secondo
piano. >> annuimmo e ci incamminammo dietro di lui.
La villa di Sir
Aro, più noto come il conte di Saint Germain, era costruita
su tre livelli; era
immensa e piena di stanze. Le rifiniture erano fatte in oro; i soffitti
erano
piuttosto alti, sulle pareti c’erano
un’infinità di ritratti; le scalinate
erano maestose.
Arrivati dinanzi ad
una grande porta, intarsiata d’oro, ci fermammo. Caius
bussò e una voce sicura
ci intimò di entrare.
Lo studio era
grande e arioso. La finestra a sinistra della stanza occupava quasi
tutta la
parete e si affacciava sul giardino, totalmente immerso nel verde.
L’aria era
pulita, per nulla inquinata dallo smog delle automobili. Seduto alla
scrivania,
su una poltrona di pelle marrone, c’era un uomo dai lunghi
capelli neri. La
mascella era dritta e squadrata; la pelle sembrava fatta di carta
velina,
quanto era pallida e sottile.
<< E così sei
tu il rubino. >> disse, puntando i suoi occhi, neri come
la notte, su di
me << Ti sto aspettando da tanto, tanto tempo.
>> rimasi a fissarlo
a lungo, senza proferire alcuna parola.
<< Buon
pomeriggio, conte. >> disse Edward, notando il mio
mutismo << Ci
hanno informati del suo malessere, sono terribilmente dispiaciuto.
>>
<< Oh,
Edward, non ti crucciare per queste piccolezze. >> disse,
alzandosi in
piedi << Sono un uomo molto forte, ragazzo!
>>
<< Lo vedo,
Sir. >> rispose Edward, sorridendogli. Provai,
inspiegabilmente, una
fitta di gelosia. Perché riusciva ad essere gentile con
tutti, tranne che con
me?
<< Edward,
vada con mio cugino a bere qualcosa. Io vorrei fare due chiacchiere con
la
giovane fanciulla. >>
<< Non so se
sia il caso di lasciarvi… >>
cominciò Edward, titubante, ma subito fu
fermato da un gesto della mano del conte.
<< Suvvia,
Edward! Voglio solo parlarle in privato, nulla di speciale. Poco
importa se non
sa le buone maniere, sarò comprensivo. Ho letto la lettera
che mi hai fatto
recapitare questa mattina, comprendo tutto, perciò non
infierirò su Isabella.
>>
<< Come
desiderate. >> disse Edward. Dopodiché, fece
un inchino vistoso, voltò le
spalle e uscì, insieme a Caius.
Il cuore riprese a
martellarmi nel petto, ma questa volta non era l’eccitazione,
ma l’agitazione e
la paura.
<< Vuole
qualcosa da bere, Isabella? >> domandò Aro,
indicandomi un piccolo
divanetto ocra. Il conte mi offrì la mano, che afferrai, e
ci dirigemmo verso
l’oggetto.
Era fredda come il
ghiaccio, come se nelle sue vene non ci fosse alcuna goccia di sangue.
<< Ho le mani
fredde, vero? >> domandò, sorridendo
<< Vi porgo le mie scuse,
Isabella, ma ho sempre avuto questa bizzarra
peculiarità. >>
<< Oh, no…
non si preoccupi! Anche io solitamente le ho fredde! >>
dissi, ma subito dopo
mi morsi la lingua. Era una cosa da dire ad un conte?
<< Mi è stato
detto dell’incresciosa situazione che si è venuta
a creare nel vostro tempo,
Isabella. Mi dica: è vero che sua madre e suo padre le hanno
tenuto nascosto il
fatto che lei sarebbe potuta essere la dodicesima viaggiatrice?
>>
annuii, non sapendo cos’altro fare << E come
mai hanno fatto questa
scelta? Mi dica. >>
<< Per
proteggermi, credo. >> risposi, ma parve una spiegazione
molto stupida
<< Loro pensavano che se fosse venuto fuori che ero nata
lo stesso giorno
che i grandi personaggi avevano stabilito come quello in cui il rubino
sarebbe
nato, la mia vita sarebbe stata molto diversa, più
travagliata. Volevano darmi
un’infanzia normale, ecco. Tutto qui. >>
<< È
ammirevole l’amore che i suoi genitori provano per lei,
Isabella. Ma capirà che
come fondatore della loggia e del cerchio dei dodici, non posso non
pensare
anche alla stupidità di una decisione simile. La nostra
missione è molto grande
e altruistica, potente anche… I suoi genitori avrebbero
dovuto pensare anche al
bene di tutti noi. >> stavo per ribattere qualcosa, ma la
voce di mia
madre mi rimbombò nella testa. Non
fidarti di nessuno, mai. Nemmeno del tuo istinto. Era una
frase che mi
ripeteva sempre, fin da piccola. Non l’avevo mai compresa
appieno, ma adesso
cominciavo a darle un senso.
<< Ha
ragione, conte. Chiedo scusa da parte loro. >>
<< Cosa sono
queste scuse! >> canticchiò, allontanandole
con la mano << Non mi
servono, Isabella. Adesso lei è qui, il rubino è
sorto e la profezia potrà
avverarsi! >>
<< Quale
sarebbe la profezia? >>
<< Non è
stata ancora informata? >> domandò scettico ed
io feci di no col capo
<< Mi rincresce, Milady!
Com’è
potuto accadere? >>
<< Sono la
cugina di Rosalie Hale, Sir. >> mi affrettai a spiegare
<< Non sono
neppure addestrata a dovere per questo incarico e… penso che
credano che io sia
una persona scomoda, oltre che inutile.
>>
<< Che
assurdità! E chi può pensare una cosa del genere?
>> proprio in
quell’istante Edward, insieme a Caius, bussò alla
porta. Quando il conte li
fece entrare, si affrettò a raggiungerci. Quando
parli del Diavolo…, pensai sghignazzando.
<< Non vorrei
disturbarvi, ma tra meno di un’ora dovremmo tornare indietro
e dobbiamo
raggiungere la loggia, prima che sia tardi. >> disse
Edward, parlando col
conte.
<< Oh, sì,
certo! >> rispose lui, alzandosi in piedi
<< Ho preparato un
biglietto per suo padre, Edward. Lo affido alle sue mani.
>> il mio
accompagnatore prese la busta e la nascose nell’interno della
giacca. Dopodiché
mi porse il braccio e ci incamminammo nuovamente verso la carrozza.
Il viaggio di
ritornò sembrò svolgersi più
lentamente rispetto a quello dell’andata. Nessuno
parlò, visto che Caius era rimasto a casa del cugino e
c’eravamo solo io ed
Edward a dividere la carrozza.
Arrivati a Temple
corremmo come pazzi, per raggiungere la stanza del cronografo. Non
capivo il
perché di tutta quell’agitazione. Insomma, eravamo
all’interno delle mura della
loggia, adesso, anche se fossimo riapparsi nella stanza del drago quale
sarebbe
stato il problema? Non osai chiederlo, però.
<< Ci siamo.
>> disse Edward, poggiandosi una mano sullo stomaco.
Scomparve, davanti
ai miei occhi, qualche secondo dopo.
Al buio di quel sotterraneo
restai sola, attendendo che la vertigine colpisse anche a me. Accadde,
diversi
secondi dopo Edward, e come ero arrivata me ne andai, riapparendo nella
stanza
del cronografo circondata da diverse persone – tra cui mia
madre. Era
il 2011.
Finalmente ero ritornata a casa.
* La filastrocca in
corsivo, come già detto nel Capitolo 5, è presa
dal libro Red,
di Kerstin Gier.
Scusate il ritardo
nel postare, ma oggi è stata una giornata da pazzi! Allora,
di rubo solo altri due minuti. Finalmente abbiamo conosciuto il conte
di Saint Germain che altri non era il nostro buon vecchio Aro. Vi dico
subito che nel prossimo capitolo ci saranno interessanti spiegazioni e
scoperte, proprio su Sir. Aro, meglio noto come conte di Saint Germain.
Edward e Bella non riescono proprio a stare tranquilli, anche se si
può dire che in questo capitolo hanno avuto una
semi-conversazione normale XD
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti! Come state?
Come detto nelle risposte alle recensioni e nel gruppo/pagina di
Facebook, questa settimana - a causa di impegni di famiglia - ho
anticipato eccezionalmente la pubblicazione di "Edelstein". Spero non
vi dispiaccia XD
Prima di lasciarvi al capitolo, per chi ha Facebook, voglio fare un po'
di autopubblicità alla mia nuova paginetta. Essa
è gestita da me, in quanto titolare, e altre tre
gentilissime ragazze che si sono prestate a darmi una mano in questa
idea folle. Graphics
adn Edit video, è stata pensata per
tutti coloro che, non solo hanno bisogno di qualcuno a cui rivolgersi
per avere un aiuto - richiedendo, perciò, lavori grafici o
anche video vero e propri, attenendosi ad alcuni punti che diamo noi -,
ma anche per chi ha voglia di imparare.
Se siete interessati a darci un'occhiata o anche a iscrivervi, cliccate
su il banner che segue:
Adesso
vi lascio al capitolo e buona lettura! . .
8.
«
Le due
principali regole che stanno alla base della vita stessa sono:
1. il cambiamento è inevitabile.
2. tutti cercano di resistere al cambiamento. » Deming William Edwards. .
Erano
trascorsi
diversi giorni dall’incontro con Aro, più noto
come il conte di Saint Germain.
L’impressione che
mi aveva dato era quella di una persona cortese e disponibile. Inoltre,
eccezion fatta per Angela e i miei genitori, nessuno si era fatto in
quattro
per darmi man forte. Nessuno si fidava di me, specialmente i membri
della
loggia. A casa, poi, regnava un’atmosfera molto pesante. Lady
Lillian mi
guardava come se le facessi pena, e in un certo senso sì, le
facevo proprio
pena; zia Victoria e Tanya cambiavano stanza non appena entravo io,
nemmeno
avessi rubato loro chissà cosa! L’unica che era
contenta, anche se molto
preoccupata, di questa nuova situazione era la prozia Jenna. Si era
infuriata
moltissimo con mia madre e mio padre, quando venne a sapere che avevano
mentito
sulla mia data di nascita.
<< Renée, sei
stata un’imprudente! >> aveva urlato la prozia
a mia madre, una sera
<< Ti rendi conto che adesso Isabella passerà
un periodo infernale? Non è
preparata per trasmigrare in epoche differenti da questa, neppure a
compiere la
missione insieme a quel piccolo arrogante di un Cullen! Non
fraintendermi,
nipote cara, sono contentissima che la dodicesima viaggiatrice sia
Bella,
anziché Tanya, ma avresti dovuto farle affrontare un minimo
di preparazione.
>>
<< Lo so,
zia. >> aveva risposto mia madre, sospirando angosciata,
mentre stringeva
le mani di mio padre << Volevamo solo darle
un’infanzia serena, senza
tutto questo fardello. Speravamo sul serio che fosse Tanya il rubino.
>>
<< Oh, certo!
Come no. >> intervenne nel discorso zia Victoria.
<< Cosa
vorresti dire, Vic? >> le aveva chiesto mia madre,
alzando un
sopracciglio.
<< Che non ci
crede nessuno. Come al solito hai voluto attirare
l’attenzione su di te e su
tua figlia! La giovane ragazza incompresa che non sapeva di essere una
gene-portatrice! >> schioccò la lingua
<< Brava, Renée, come al
solito sei riuscita a manipolare tutto! Sei tale e quale a tua nipote!
>>
<< Non
capisco perché dobbiate sempre tirar fuori la povera
Rosalie. >> aveva
mormorato mio padre, affinché tutti sentimmo.
<< Concordo
con lui, Victoria. >> aveva detto Lady Lillian
<< E ci tengo a dire
che questa conversazione è assolutamente insensata. Jenna ha
detto chiaramente
come stanno le cose, Renée ha capito; perciò,
Victoria, ti prego di smetterla.
>> quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Zia Victoria
cominciò ad inveire contro tutto e tutti e mia madre,
ovviamente, non si tirò
indietro. La prozia Jenna, capendo che non era più aria,
prese un libro dalla
libreria e andò a leggere in camera sua; stessa cosa fece la
nonna. Tanya si
alzò improvvisamente, e con il suo fare elegante e
silenzioso scomparve su per
le scale.
<< Ehi,
Bella! >> urlò Angela, spaccandomi il timpano
destro << Ma ci sei?
Ti sto chiamando da almeno dieci minuti! >>
<< Scusa,
Angy. >> risposi, rivolgendole un sorriso
<< Mi ero persa nei miei
pensieri. >>
Era Sabato
pomeriggio, ed io e la mia migliore amica, ci trovavamo nella
più grande
biblioteca comunale, nel centro di Londra. Eravamo passate prima da Starbucks per prendere qualche muffin
alla vaniglia e alla nocciola, e due milkshakes: uno alla fragola, per
lei, e
uno alla mente e cioccolato, per me.
<< Guarda
cos’ho trovato su quel simpaticone del conte!
>> disse Angela, indicando
lo schermo del computer bianco che avevamo davanti.
Era proprio lui. Il
ritratto che capeggiava di fronte a noi era identico a quello che avevo
visto
molte volte, nella loggia. Inoltre, dopo averlo conosciuto realmente,
non
potevo sbagliarmi. Aro Leopold Cooper,
conte di Saint Germain (1703 – 1784), recitava la
scritta sotto l’immagine
del suo ritratto.
<< Questo
sito sostiene che il conte di San Germano, o di Saint Germain,
è nato nel 1703
– non si sa dove! –, vissuto nel XVIII secolo in
Europa. Era un personaggio molto
importante in Francia, soprattutto quando era molto giovane, ma
compiuti i quarant’anni
ha deciso di trasferirsi a Londra. >> mi
spiegò Angela, rielaborando ciò
che aveva da poco letto.
Avevamo deciso di
usufruire dei computer della biblioteca per sicurezza.
Casa mia era troppo trafficata e nessuno doveva sapere che Angela fosse
a
conoscenza del nostro segreto di famiglia. Gli unici che sospettavano
qualcosa,
ma che non avevano mai detto o accennato nulla a riguardo, erano i miei
genitori. Fare questo tipo di ricerche a casa mia, però,
poteva risultare
pericoloso – oltre che molto stupido. Se Tanya avesse
sospettato qualcosa
sarebbe corsa a dirlo a sua madre che, a sua volta, avrebbe avvertito
Lady
Lillian… E a quel punto sarebbero stati guai!
<< Avventuriero, alchimista e personaggio di rilievo…
>>
lessi ad alta voce, per capire meglio << Le
origini del conte, forse nato ad Asti, rimangono avvolte nel
mistero: per alcuni si suppone che sia stato figlio illegittimo di
Francesco II
Rákóczi, principe di Transilvania e della
principessa Violante Beatrice di
Baviera, appartenente alla dinastia dei Wittelsbach e granduchessa di
Toscana.
Secondo questa teoria, sarebbe stato educato a Firenze da Gian Gastone
de'
Medici, cognato di Violante. Altre leggende lo vogliono figlio naturale
della
regina di Spagna, Maria Anna del Palatinato-Neuburg – vedova
di Carlo II di
Spagna –, e di un aristocratico, il conte di Melgar. Le sue
attività erano
quelle di cortigiano in viaggio tra Inghilterra, Francia, Olanda,
Russia,
Germania. Compare per la prima volta verso il 1740 esule
dalla Francia
introdotto alla corte di Inghilterra.
Famoso per la sua grande cultura, abile musicista, conoscitore di molte
lingue,
pittore e soprattutto grande alchimista, produttore di portentosi
cosmetici.
Ebbe anche incarichi diplomatici e fu affiliato ad una
società segreta
dell'ordine dei Rosacroce. Viene citato nelle memorie di Giacomo
Casanova ma
anche Voltaire, Mozart, Madame de Pompadour e Cagliostro lo
incontrarono.
Alcune sue caratteristiche più stravaganti, come quella di
sparire
all'improvviso e di riapparire contemporaneamente in più
luoghi, insieme alla
sua attività protratta per molti anni, se non per secoli,
indussero addirittura
alcuni a pensare che non si trattasse di un'unica persona, ma di un di
gruppo
di individui con lo stesso aspetto e la stessa identità
esterna introdotte
presso le corti europee. >> il fischio di
Angela mi costrinse ad
interrompere la lettura.
<< Non sapeva
tutelarsi bene, direi. >> disse, pensierosa
<< Insomma, non era
molto furbo. >>
<< Non credo
volesse esserlo, Angy. >> risposi, per poi riprendere la
lettura <<
Tutto ciò che riguarda il conte di
Saint
Germain sembra indissolubilmente legato al mistero, e forse un po'
anche alla
fantasia, o piuttosto provenire da più arcani poteri e
segreti iniziatici.
Secondo la leggenda egli avrebbe trovato il segreto della pietra
filosofale, per cui, a detta di molti, non
invecchiava
mai e poteva trasformare il piombo in oro e ingrandire le gemme. Per
dare
un'idea del fascino e del magnetismo che la figura di Saint Germain
sembra aver
esercitato sulla mente e sul cuore di tanti, si narra che alcuni lo
abbiano
incontrato molti anni dopo la sua morte ufficiale, e ancora oggi
c'è chi dice
che lo si possa incontrare a Roma, nel giorno di Natale, seduto nei
giardini
del Pincio. >> mi interruppi, riflettendo un
attimo. Quello che vi
era scritto sul conto del conte era troppo dettagliato e vicino alla
verità, ma
c’era un “ma” grosso come una casa: lui non
aveva la pietra filosofale, in quanto la sua apparizione – o
quello che doveva
succedere – sarebbe avvenuta una volta completato il cerchio
di sangue.
<< Bella,
stai bene? >> domandò Angela, sventolandomi
una mano davanti alla faccia.
<< Sì,
pensavo una cosa… >> stavo per esporgliela, ma
una voce alle nostre
spalle mi interruppe.
<< Finalmente
ti ho trovata! >> mi voltai di scatto e per poco non mi
venne un infarto.
Era la prima volta
che lo vedevo vestito in maniera meno formale: jeans a vita bassa
stretti,
infilati in un paio di Vans grigie,
bordate di bianco, che si abbinavamo perfettamente alla sua felpa con
cappuccio
color antracite. I capelli erano sempre scompigliati, di quel
castano-bronzeo
molto strano, ma assolutamente attraente.
Scattai in piedi,
frapponendomi tra me e lo schermo del computer, per evitare che
leggesse la
ricerca che io, insieme alla mia migliore amica –
un’estranea alla loggia e
alla famiglia –, stavo facendo.
<< Edward!
>> strillai, producendo una voce stridula.
<< Isabella.
>> salutò lui, togliendosi gli occhiali da
sole. L’infarto di poco tempo
prima stava per manifestarsi con effetti ancora più gravi. I
suoi occhi erano
di un verde molto intenso, troppo intenso. Avrebbe dovuto essere
bandito, un
colore così!
<< Edward?
>> domandò Angela, fissandolo ad occhi
sgranati.
<< Già,
piacere. E tu sei…? >>
<< Angela!
>> dissi, sembrando una cornacchia.
<< Bella!
>> mi ammonì la mia amica, cercando di capire
cosa stessi facendo.
<< Edward!
>> le dissi, sperando che capisse che doveva chiudere la
pagina di Google.
<< È forse un
gioco? >> chiese lui, alzando un sopracciglio.
<< No. Ehm,
cosa ci fai qui? >> domandai, spingendolo lontano dallo
schermo. Con la
coda dell’occhio notai Angela armeggiare con la tastiera e il
mouse, così potei
tirare un sospiro di sollievo.
<< Sono
passato a casa tua, ma non c’eri. Così tua nonna
ha chiesto a tua madre dove
avrei potuto trovarti, ed eccomi qui! >>
<< E mi stavi
cercando perché…? >>
<< Oh, non
pensare male. >> disse subito, togliendosi dalla faccia
ogni traccia di
mezzo sorriso << Avrei altri piani per il Sabato
pomeriggio, purtroppo
però, secondo mio padre e Mr. Dwyer, dovrei darti qualche
lezione di scherma e
quant’altro. >>
<< Che cosa?
>> domandai, contrariata. Perché lui
doveva diventare il mio professore? Non era chiaro che mi detestava?
<< Lo so,
sono sconcertato quanto te. >>
<< Non c’è
nessun altro disponibile? >> tentai, sperando che mi
dicesse di “sì”.
<< Purtroppo
no. Ho fatto la tua stessa richiesta anche io, prima di prendermi
questa responsabilità
con tanto di rischio.
>>
<< Rischio?
>> domandai, inclinando il collo a destra
<< Oh, andiamo! Sei tu
che potresti uccidermi “per sbaglio” mentre mi
insegni a usare la spada.
>>
<< Appunto.
Poi, però, rischierei di
andare in
galera. >> sicuramente la sua risposta mi fece rimanere
con la bocca
spalancata, perché lo vidi trattenere una risata piuttosto
rumorosa.
<< Posso
rifiutarmi. >> risposi voltandomi, ma lui mi
afferrò per il braccio.
<< No, non
puoi. >> disse, ad un soffio dalla mia faccia
<< Senti, forse siamo
partiti con il piede sbagliato… >> gli lanciai
un’occhiataccia <<
D’accordo, sono partito
col piede
sbagliato, ma non ho nulla di personale contro di te. Non ti conosco
nemmeno!
Non devi piacermi, dobbiamo solo lavorare insieme. Oltretutto, se non
ti
convinco, passerò dei guai con mio padre…
>>
<< In
sostanza mi stai supplicando di salvarti il culo. >>
parlai, senza
accorgermi della finezza usata, se non dopo aver aperto bocca. Maledizione!
<< In altri
termini, però sì. Credo che tu abbia anche
bisogno di un corso accelerato con
Giuseppe Salvatore. >> concluse pensieroso.
<< Con chi, scusa?
>>
<< Una cosa
alla volta. Avanti, prendi le tue cose. Ti aspetto in macchina.
>> si
rimise gli occhiali da sole, mi voltò le spalle e si diresse
all’uscita.
<< Che
succede? >> chiese Angela, una volta raggiunta. Sbuffai,
scivolando sulla
poltrona blu notte, posta davanti alla scrivania del computer.
<< Devo
andare con lui. >>
<< Ma non sei
già trasmigrata questa mattina? Mr. Dwyer ti ha fatto il
favore proprio perché
tu passassi un po’ di tempo con me. >>
<<
Evidentemente ha cambiato idea. >> dissi, alzandomi.
Afferrai la borsa e
mi infilai la giacca << Hanno chiesto a Mr.
Io so fare tutto meglio di te di impartirmi lezioni di
scherma
e non so che altro. >>
<< Quindi
devi andare per forza. >> sussurrò,
intristendosi.
<< Lo so,
tesoro. >> dissi, abbracciandola << Odio
anche io tutto questo,
vorrei solo passare un po’ di tempo con te,
invece… >>
<< Non ti
preoccupare. Vai pure, però questa sera andiamo a
divertirci, ci stai? >>
domandò, allungando il mignolo destro affinché io
intrecciassi il mio.
<< Ci sto!
>> dissi e lo feci << Ti chiamo quando
rientro, va bene? >>
<< D’accordo!
Buon pomeriggio, allora, Bella. >> le baciai una guancia
e corsi fuori.
Dopo
dieci minuti
non ero ancora riuscita a trovare Edward. Dove diavolo poteva essersi
cacciato?
Non avevo idea di come fosse venuto qui. La limousine della loggia?
L’autobus?
Possedeva una macchina, e se sì, quale?
Il clacson di un
automobile argento metallizzato mi fece saltare per aria.
<< Allora? Ti
muovi, Betty? >>
<< Cosa ti
costa chiamarmi Bella? >> gli chiesi, voltandomi e
appoggiai le mani sui
fianchi << Insomma, sappiamo entrambi che sai come mi
chiamo. >>
<< Betty ti
si addice di più. Allora, vuoi salire o no? >>
sbuffai, ma feci ciò che
mi avevo detto.
L’auto non era
affatto male. Una Volvo xc60, con
interni totalmente neri, di pelle. L’abitacolo era caldo e
molto accogliente,
atmosfera assai curiosa visto il proprietario. La radio era accesa, a
volume
basso, e riproduceva una melodia classica.
Nonostante Edward
non mi piacesse per niente, dovevo ammettere che fosse un ragazzo per
bene; che
dava molta importanza ai particolari. Sapeva muoversi e destreggiarsi
in
qualsiasi situazione. Lo avevo visto molto spesso in quei giorni, alla
loggia,
e non lo avevo mai beccato in situazioni imbarazzanti o stupide
né, tanto meno,
con un capello fuori posto. Era il classico tipo curato e pulito.
<< Ti sto
aspettando da dieci minuti. >> aprì bocca e
ruppe il mio idillio
personale. Ben educato, sì; tipo curato e pulito,
assolutamente; grandissimo
stronzo, vogliamo dimenticarcelo?
<< Scusa, non
trovavo la macchina. >>
<< Lo so, ti
ho vista uscire. >> disse, ingranando la terza, dopo aver
sorpassato un
motorino << Volevo vedere quanto ci mettevi a capire dove
fossi. Ahimé,
ti ho sopravalutata! >> restai senza parole. Anzi, una
l’avevo! Stronzo, stronzo, stronzo!
Il silenzio,
eccezion fatta per la radio accesa, regnava all’interno
dell’auto. Nessuno dei
due proferì più parola, per tutto il resto del
tragitto.
Il viaggiò,
comunque, durò poco. In poco meno di trenta minuti avevamo
parcheggiato all’interno
di una grande residenza, che riconobbi essere – dalla
targhetta d’oro posta
sulla cassetta della posta – la residenza Cullen. Greenwich era il borgo di Londra
più importante e conosciuto,
soprattutto per il fatto che, nel XIX secolo, fu convenuto di far
passare
proprio qui il meridiano avente longitudine zero, cioè il meridiano fondamentale o meridiano
di Greenwich, per l’appunto. Il “borgo
verde” era situato poche miglia ad Est
della City, sulla sponda meridionale del fiume Tamigi.
<< Perché
siamo qui? >> chiesi, vedendolo uscire dalla macchina.
<< Perché
possediamo una palestra nel seminterrato e intendo usarla.
>> rispose,
dopodiché mi aprì la portiera affinché
scendessi e lo seguissi.
Non entrammo in
casa, ma scendemmo presso una scala – piuttosto stretta
– del cortile. La villa
era enorme, immersa nel verde del giardino, che si estendeva per
diversi ettari
di terreno. Era una costruzione bianca, con svariate
tonalità di marrone. Non
riuscii a vedere altro, però.
Persa nella mia
poco umile contemplazione, non mi resi conto che Edward si era fermato
per
inserire la chiave nella toppa, così gli finii addosso,
facendolo incavolare.
<< Stai più
attenta! Ma non vedi dove metti i piedi? >>
<< Io?
>> domandai irritata, anche se sapevo di essere in torto
<< Ti sei
fermato di colpo, cosa pretendi? >> sbuffò, ma
non rispose. Partiamo benissimo!,
pensai sarcastica.
<< Vieni.
>> disse lui, accendendo la luce e… rimasi
senza fiato.
Quella palestra era
di sicuro la più fica che avessi mai visto! Ovviamente, mi
riferivo a quelle
“fatte in casa”. La stanza era spaziosa e molto
arieggiata, nonostante
ricordasse un bunker, visto che non c’era neppure mezza
finestra. Al soffitto,
però, c’erano diverse ventole e sulle pareti, in
basso, dei climatizzatori. Al
centro vi era qualsiasi attrezzo potessi cercare o sperare di
possedere: tapis roulant, panca per
i pesi,
tappetini per lo stretching,
addominali, flessioni, e persino diverse spalliere al muro.
<< Sembra che
tu non abbia mai visto una palestra in vita tua. >> disse
Edward,
superandomi, e andò ad aprire un piccolo magazzino
<< Oh, che sciocco!
Evidentemente è così. >> non
riuscivo a capire perché non riuscisse ad
essere gentile nemmeno mezzo secondo. Insomma, non chiedevo molto. Non
doveva
confessarmi il suo amore, baciarmi o cadermi ai piedi, folgorato dalla
mia
bellezza, ma diamine! Sapeva solo farmi saltare i nervi.
Aprii la bocca per
controbattere acida, come di consueto, ma la richiusi subito. Non mi
andava di
discutere, non quel pomeriggio. Volevo solo fare quella dannata lezione
di
scherma e poi andarmene a casa.
<< Come mai?
>> domandò Edward, improvvisamente. Si
appoggiò al muro, inarcando un
sopracciglio, e incrociò le braccia al petto.
<< Come mai,
cosa? >> chiesi, togliendomi la giacca e poggiando a
terra la borsa.
<<
Solitamente hai la lingua lunga. Adesso non hai battuto ciglio alla mia
provocazione. >>
<< Appunto
perché le tue sono sempre e solo stupide provocazioni per
farmi irritare.
>> dissi, senza nemmeno guardarlo in faccia
<< Non l’ho scelto io
di essere il rubino, ok? Mi dispiace che il tuo sogno romantico sia
andato in
frantumi, ma non puoi continuare a prendertela con me. Da oggi si
cambia aria,
Cullen. Dimmi quello che vuoi, tanto litigherai da solo.
>> mi stupii di
me stessa. Da dove veniva tutta quella determinazione? <<
Adesso, se
vogliamo cominciare, oppure chiamo un taxi e me ne torno a casa.
>>
quando alzai il viso, notai il suo sguardo fisso nella mia direzione.
Sgranai gli occhi
quando cominciò a camminare verso di me, spedito come un
treno. I suoi occhi
verdi erano due fari accesi che brillavano di una luce che, purtroppo,
non
riuscivo ad identificare. Ingoiai la saliva, fino a percepire il mio
cuore
battere furente. Ebbi paura che mi volesse davvero uscire dal petto. La
respirazione, poi, avevo dimenticato cosa fosse.
Quand’è che ero entrata in
iperventilazione?
<< Sogno
romantico? >> fu l’unica cosa che
uscì dalle sue labbra. Quelle
stesse labbra che ti sei vista
baciare…, disse una vocina nella mia mente. Mi
allontanai di scatto,
cercando di riprendere il controllo di me stessa. Cosa volevo fare? O,
meglio
ancora, cosa diavolo stavo aspettando che facesse?
<< Parlo di
te e Tanya. >> dissi, con voce roca. Cercai di darmi un
contegno e
ripresi a parlare << Vi ho visti quel giorno, alla
loggia. Come vi
parlavate, come la consolavi… Tu mi odi perché
sei innamorato di lei ed io ho
rovinato tutto, dico bene? >> rimase in silenzio per un
istante, poi scoppiò
a ridere. Anzi, scoppiò proprio a ridermi in faccia!
<< Isabella,
sei totalmente assurda! >> urlò tra le risate
<< Sembra una scenata
di gelosia in piena regola! E… Oddio, con tutto il rispetto,
ma non ne capisco
il motivo. Io non sono di tua proprietà, non sono il tuo
ragazzo, non sono
niente per te. >> riprese tono, e tornò a
fissarmi negli occhi, serio e
deciso << Sei una ragazzina, Swan. Io non ti devo
spiegazioni; non devo
dirti se sono o meno interessato a tua cugina perché, in fin
dei conti, non
sono affari tuoi. Posso assicurarti, però, che Tanya era
molto diversa da te;
che stare con lei era mille volte più piacevole. Tu non
capisci i sacrifici che
io e lei abbiamo fatto, per tutta la vita! Tu non lo capirai mai!
Quando a
cinque anni eri a giocare nel parco, con i tuoi genitori, io ero a
studiare
storia; quando il Sabato sera uscivi con gli amici, io ero troppo
stanco per
alzarmi dal letto; mentre tu facevi tutto quello che ti interessava,
che ti
piaceva, io mi facevo il culo alle lezioni di buone maniere, di danza
antica,
scherma, equitazione! Quando le mie passioni erano ben altre! Tu hai
viaggiato.
Io sono nato e cresciuto in questa dannata città e da qui
non potrò più
andarmene! Quindi piantala di sputare sentenze, perché tu,
Isabella Marie Swan,
della mia vita non sai assolutamente niente. >> rimani
impietrita. Gli
occhi mi pungevano, ma non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi
crollare
a terra, in ginocchio, scossa da una miriade di singhiozzi.
<< E tanto
perché tu lo sappia: se fossi innamorato di Tanya, non mi
importerebbe granché
che non fosse il rubino. Tample non è una trasmissione per
cercare il vero
amore, esiste il mondo reale. >> il mio viso era in
fiamme, più per la
collera che per altro, in quel momento << Ora che ci
siamo detti tutto,
direi che possiamo anche cominciare, non credi? >> non
risposi, non feci
nessun passo.Mi
limitai a prendere un
profondo respiro e a voltagli le spalle, per sbattere le ciglia e
ricacciare
indietro le lacrime.
<< Sei
destrorsa o mancina? >> chiese improvvisamente. Mi voltai
di scatto.
<< Cosa?
>>
<< Vuoi che
usi un concetto più semplice? >>
domandò, lanciandomi una spada piuttosto
sottile dal manico lungo e tondo << Destrorso sta ad
indicare chi utilizza
prevalentemente la mano destra; mancino, invece…
>>
<< So cosa
vogliono dire! >> sbottai, bloccando il suo monologo
<< Dio santo,
non sono così deficiente! >>
<< Bene,
allora dimostrami cosa sai fare con la spada. >> mi
lanciò un elmetto
bianco e cominciò la lezione.
Il pomeriggio
passò, principalmente, con me col culo per terra. Edward,
nonostante il suo
pessimo carattere, era un bravo insegnate; il problema ero io. Ero
assolutamente negata. Mi insegnò, comunque, i passaggi base:
il saluto, le
posizioni, l’offesa
– l’insieme delle
azioni che tendono a determinare il colpo –, la difesa – i movimenti che hanno
lo scopo di evitare il colpo – e,
per concludere, la controffesa
–
un’azione di offesa in contrapposizione con
l’offesa dell’avversario. Avevo
centinai di termini che mi vorticavano in testa, ma l’unica
cosa che percepivo
erano i muscoli che si tendevano fino a farmi un male del diavolo.
<< Direi che
possiamo andare. >> disse Edward, a lezione finita.
Avevo atteso quella
frase per tutto il giorno.
Arrivai
a casa ad
ora di cena, ma non avevo per niente fame.
L’unica cosa che
desideravo era farmi un bagno caldo e sprofondare nelle morbide pieghe
del
piumone del mio letto. Mia madre non mi fermò, forse avevo
la faccia più penosa
di quello che immaginavo.
Il bagno caldo non
mi rilassò molto, anzi quasi per niente. Non riuscivo a
togliermi dalla testa
le parole di Edward e il tono cattivo, duro e freddo che aveva usato.
Non
capivo, però, perché mi ferisse tanto il suo
comportamento. In fin dei conti,
nemmeno lo conoscevo davvero. Passavamo qualche ora insieme, quando
andava
bene, altrimenti trasmigravo da sola, nella stanza del cronografo.
Eppure la
sua freddezza mi lasciava una strana sensazione addosso, come se
volessi altro.
Chiusi gli occhi e fu un grosso sbaglio. Vidi di nuovo come sorrideva a
mio
cugina, come era stato dolce ed educato con lei. Come
puoi pretendere che ti guardi o che ti tocchi come faceva con lei?,
domandò quella che doveva essere la voce della mia
coscienza. Non hai nulla che può
attrarre un ragazzo.
Tanya, nonostante il suo carattere di merda e la sua arroganza,
è bella,
intelligente… Tu cos’hai? Dei banalissimi capelli
scuri, degli occhi
insignificanti. Edward non ti noterà mai.
Scivolai lungo la
porta del bagno e cominciai a piangere. Non solo per le parole di
Edward o per
quelle che mi erano ronzate in testa, pochi minuti prima. Dovevo
sfogarmi,
lasciare che l’ansia e il nervosismo della giornata passasse,
portandosi via
tutto.
Rimasi sul
pavimento del bagno per ore, avvolta solo dal un piccolo asciugamani
celeste.
Dopodiché, decisi di alzarmi e infilarmi sotto le coperte e
dormire, dormire…
La vibrazione del
mio telefonino mi ridestò quasi subito. Erano le dieci, il
messaggio era di
Angela: “Immagino che ti sia dimenticata del nostro
appuntamento. Non fa nulla,
sarai sicuramente stanca… Tranquilla, non me la prendo!
Però, domani mattina
chiamami. Un bacio e dormi bene, Bella. Ti voglio bene, A.”
Solo il costo
dell’iPhone mi impedii di lanciare il cellulare,
affinché si sgretolasse in
mille pezzi. Mi ero dimenticata di Angela, del nostro appuntamento. Ero
un’amica pessima, davvero pessima.
Prima che Morfeo mi
trascinasse nel suo mondo, cercai di fare il punto della situazione. Mi
ero
sempre chiesta, in quei giorni, cosa sarebbe cambiato nella mia vita
una volta
aver ammesso il mio stato di gene-portatrice. Prima non ero stata in
grado di
trovare una risposta, ma adesso sì. Tutto.
Era tutto cambiato. E tutto, purtroppo, sarebbe stato destinato a
cambiare
ancora.
*Il pezzo scritto in corsivo sul
conte di Saint Germain, è stato preso da Wikipedia, cambiando alcune informazioni,
affinché essere fossero utili alla mia storia.
In questo capitolo
volano scintille e il mito di Edward già cotto di Bella -
come molte di voi hanno pensato e scritto nelle recensioni - si
disintegra. Edward non è affatto cotto di Bella, non
c'è stato alcun colpo di fulmine o annessi, è
semplicemente così. Il suo carattere è stato
forgiato da un'infanzia persa, da desideri che, alla fin fine,
accomunano tutti: fare ciò che si vuole, viaggiare. Edward
vede in Bella solo una ragazzina che ha avuto una vita semplice che
lui, in fin dei conti, invidia.
Non mi prolungo molto, oggi, perché tutto ciò che
volevo far capire l'ho scritto nel capitolo. Anche gli altri personaggi
hanno fatto la loro ricomparsa XD facendo capire che a villa Hale le
cose non vanno proprio benissimo. Cosa ne pensate?
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti! Come state? Oggi il tempo è a dir poco
schifoso XD ma ho sentito che è un po' così in
tutta Italia.
Prima di lasciarvi al capitolo, ci tenevo a ringraziarvi tutti di
cuore! Siete dei lettori a dir poco fantastici *-* mi seguite in
tantissime e mi commentate anche, quindi grazie mille!
Adesso vi lascio alla lettura perché ho un paio di cose da
dirvi XD ci si rilegge in fondo! Buon capitolo :) .
9.
« La
verità più autentica è quella scoperta
nel silenzio,
il resto è distorsione. » Antonio
Pistarà. . .
<<
Che grandissimo
stronzo! E non aggiungo altro perché sono una signora!
>>.
Era cominciato così
l’ennesimo Lunedì mattina alla Saint Lennox. Il
giorno prima, a causa di
svariati impegni, non riuscii a spiegare nulla – del Sabato
pomeriggio, passato
con Edward – ad Angela. Avevamo deciso, quindi, di fare
colazione insieme e poi
avviarci a scuola.
Secondo Angela,
nonostante il ragionamento di Edward potesse essere facilmente compreso
– era
vero, d’altronde, che io non sapessi nulla della sua infanzia
o della sua vita
–, non accettava il tono con il quale esso era stato esposto.
Io, dal canto
mio, avevo passato un week end tremendo! Lezioni di scherma, di ippica,
di
combattimento. L’unica fortuna, e non sapevo chi dovevo
ringraziare per questo,
era che non vidi Edward nemmeno per un istante. Si era recato alla
loggia la
Domenica mattina, mentre
io fui scortata a Temple qualche ora prima di cena. Forse
non voleva vedermi, pensai, sospirando. Non potevo dargli
torto, in fin dei conti nemmeno io impazzivo all’idea di
trovarmelo davanti.
<< Ha ragione
la tua prozia, questi Cullen sono proprio arroganti e insopportabili!
>>
<< Non tutti,
Angy. >> le dissi, prendendo posto nell’aula di
spagnolo << I
genitori sono delle persone a modo. >>
<< E lo zio?
>> chiese, alzando un sopracciglio <<
Andiamo! Ha sedotto tua
cugina, portandola alla morte, e ha perfino rubato il vecchio
cronografo.
>>
<< Questa
storia mi fa ancora venire la pelle d’oca. >>
ammisi ad alta voce.
Non riuscivo a
crederci. Non potevo crederci! Non
conoscevo Rosalie, ma com’era possibile che fosse morta? Che
fossero morti.
Nulla, in quella faccenda, aveva senso. Perché Emmett
avrebbe dovuto circuire
mia cugina, poi? Insomma, il cronografo avrebbe potuto anche rubarlo da
solo,
senza troppi preamboli. Le chiavi le aveva
tua madre, Bella…, disse una vocina nella mia
testa. Possibile che fosse
tutto vero? Edward la diceva lunga sui leciti comportamenti della sua
famiglia.
Non li conoscevo in fondo. Avrebbero potuto essere qualunque cosa,
anche degli
arroganti, proprio come li aveva descritti la prozia Jenna. Magari
– e volevo
sottolineare il “magari” – sotto i visi
angelici di Esme e Carlisle si celavano
due diavoli.
<< Buenos días, chicos! >>
urlò Mrs. Montez, entrando in
classe. Ricambiammo il saluto e aprimmo il libro, in attesa delle
indicazioni
della professoressa.
La
mattinata passò
in fretta e, senza nemmeno rendercene conto, ci ritrovammo in mensa,
all’ora di
pranzo.
La fila per
prendere i piatti si stava facendo insopportabile e i miei piedi
reclamavano
pietà. Non mi ero ancora totalmente ripresa dal week end
frenetico che avevo
appena trascorso.
<< Basta!
>> sbottai, facendo girare mezza sala. Decisi,
così, di abbassare la voce
<< Angy, io ci rinuncio. Non riesco più a
stare in piedi, ti aspetto al
tavolo. >>
<< Guarda che
se mi lasci qui da sola non ti prendo nemmeno una patatina!
>> mi
minacciò, guardandomi in tralice.
<< Non fa
niente, mi è passata la fame. >> le dissi,
afferrando la sua borsa
marrone << Ti porto questa al tavolo, tu aspetta pure per
il cibo.
>> le schioccai un bacio sulla guancia e mi apprestai a
raggiungere un
tavolo vuoto, vicino alla vetrata più ampia che dava sul
cortile interno.
Come al solito, il
cielo era scuro, coperto di grosse nuvole nere cariche di pioggia. La
nebbia,
poi, era immancabile. Londra era famosa per la sua quotidiana foschia
da film
horror.
Assorta nei miei
pensieri, non mi resi conto del vassoio giallo – stracolmo di
cibo – che mi
scivolò sotto il naso.
<< Angela, ti
avevo detto che… >> ma non riuscii a
concludere la frase. La lingua mi si
bloccò in bocca e gli occhi mi si sgranarono. Due occhi
verdi, piuttosto scuri,
mi fissavano con attenzione, mentre sulla sua faccia era stampato un
sorriso
molto ampio, che gli metteva in evidenza i denti perfettamente bianchi.
<< Ho sentito
che non ti andava di fare la fila, ma hai passato un week end piuttosto
stressante. Fidati di me e mangia qualcosa, intesi? >> mi
strizzò
l’occhio e tornò da dove era venuto.
Rimasi immobile per
diversi minuti. Cosa voleva da me, Jasper
Cullen? Era stato infinitamente gentile, ma non comprendevo
il perché di tutta
quella gentilezza. La
cosa che mi lasciò perplessa, però, era la
somiglianza con suo fratello
maggiore. A parte qualche piccola differenza – come il colore
degli occhi di
qualche tonalità più scura, il suo normale
colorito castano ai capelli – la
fisionomia era quasi identica. La stessa fossetta quando sorrideva, la
dentatura bianca, la mascella squadrata…
<< E quello
da dove esce? >> chiese Angela, sedendosi di fronte a me
<< Come
hai fatto a procurarti tutto quel cibo? >>
<< Ehm, è
stato Jasper. >> risposi, notando che quella risposta
risultasse strana
perfino a me che l’avevo pronunciata.
<< Jasper?
>> domandò Angy, alzando un sopracciglio
<< Jasper… Cullen?
Il fratello minore di Edward,
alias stronzo, Cullen? >>
<< Sì.
>> risposi, guardando il vassoio. C’era di
tutto: dalla pizza
all’insalata mista, in vaschetta; dal puré di
patate alla torta di spinaci; dal
succo alla fragola fino al budino al cioccolato! Per non parlare, poi,
del
sacchettino di frutta.
<< È stato
carino. >> disse Angela, soprapensiero <<
Lo è stato, no? Chissà
perché. >>
<< Ha detto che
ha sentito che ero stanca, ma non mi faceva bene non mangiare. Non so
dove
abbia preso tutta questa roba, però. >>
<< Chi se ne
frega, Bella! Io ho recuperato solo una banana, e tu devi mangiare. Non
chiedere quando hai tutto questo ben di Dio davanti, capito?
>> scoppiai
a ridere, vedendola avventarsi sui tranci di pizza. Con la coda
dell’occhio,
però, notai che Tanya si era avvicinata a Jasper e, senza
capire cosa gli
avesse detto, lo scortò fuori dalla mensa.
Dal punto in cui mi
trovavo non riuscivo a capire nemmeno una parola e, purtroppo, nessuno
mi aveva
insegnato a leggere il labiale. Era chiaro, comunque, che il giovane
Cullen non
apprezzasse la compagnia di mia cugina.
Il resto della giornata
passò tranquillamente. E, senza neppure che me ne rendessi
conto, la campanella
che segnava la fine dell’ultima ora suonò.
<< Non vedevo
l’ora che finisse, questa giornata. >>
borbottai, uscendo dall’aula di
letteratura inglese.
<< Ti vedo.
Sei a pezzi, amica mia. >> sussurrò Angela,
passandomi un braccio intorno
alle spalle. Stavo per rispondere, quando qualcuno mi si
parò davanti.
Era senza dubbio un
bel ragazzo: capelli biondi, legati in una coda bassa; occhi azzurri;
fisico
atletico. Era più grande di noi. Da quel poco che ricordavo,
ripensando alla
nostra prima conversazione, doveva avere pressappoco
vent’anni.
<< Buon
pomeriggio, Miss Isabella. >> disse, sorridendo
ampiamente.
<< Ciao
James. >> risposi, cercando di non dare troppo
nell’occhio << Era
da un po’ che non ti vedevo in giro, dove sei stato?
>>
<< Sempre
qui, Milady. >>
rispose, unendo
le braccia dietro la schiena. Era vestito con abiti tipici del
Seicento. Lo
stile, da quel poco che avevo capito sentendo parlare Alice, alla
loggia,
doveva essere Barocco. Indossava
una
casacca con spalline, blu scuro, che lasciava vedere la camicia bianca
indossata sotto, con grandi maniche larghe e un ampio colletto bordato
di pizzo.
I pantaloni, che ricordavano più una calzamaglia, erano
beige, inseriti in un
paio di stivali da cavallerizzo.
<< Miss
Isabella, mi sta ascoltando? >>
<< Cosa?
>> domandai, sbattendo le palpebre. Mi ero incantata.
<< Che modi!
E che maleducazione! Io le parlo e lei pensa ad altro? Indecente,
assolutamente
indecente! >> urlò, e scomparse sotto i miei
occhi. Sbuffai, sapendo che
non aveva proprio tutti i torti.
<< James?
>> domandò Angela, guardandosi attorno.
<< Sì, è
riapparso, ma a quanto pare il mio essere soprapensiero è
– testuali parole,
eh! – indecente, assolutamente indecente! >>
dissi, cercando di imitare
il suo strano accento. Angela, dal canto suo, scoppiò a
ridere di gusto.
<< Se fai
ridere in questo modo la tua amica, deduco tu non sia così
malaccia come
dicono. >> disse una voce vicina al mio orecchio.
Sobbalzai, finendo
addosso ad Angela che, stando vicina alle scale, stava per perdere
l’equilibro.
Fortunatamente, il ragazzo, afferrò entrambe prima che
rotolassimo giù per
quattro rampe di scale.
<< Scusate,
non volevo uccidervi! Giuro. >>
<< Tu sei
Jasper, dico bene? >> domandai, cercando di calmare il
mio cuore
impazzire. Miseria, questa volta me la
stavo per fare sotto!, pensai.
<< E tu sei
Isabella Swan. >> disse lui, sorridendomi amichevole. A
differenza di suo
fratello, Jasper, aveva un sorriso che contagiava anche gli occhi.
Niente in
lui sembrava arrogante. Né il tono di voce, né lo
sguardo, né il sorriso che ci
stava mostrando.
<< Io sono
Angela… >> tentò di dire la mia
migliore amica, ma fu interrotta.
<< Lo so, sei
la ragazza che esce con Eric, dico bene? >> a quella
domanda la vidi
avvampare, diventando lentamente rosso fuoco.
<< C…cosa!?
No, cioè… Ma come ti è venuta questa
idea? >> domandò, balbettando. Mi
feci scappare un ghigno e lei, di tutta risposta, mi pestò
un piede. Mi morsi
il labbro inferiore, per evitare di fare figuracce davanti a Jasper
Cullen.
<< Oh,
scusami! Avrò capito male, allora. >> rispose
lui, sghignazzando. Ecco,
in quel momento sì che mi ricordava suo fratello!
<< Cosa vuoi
da me, o da noi, Jasper? >> domandai, cercando di non
perdere la
pazienza. Se ci aveva fermate per prendere in giro la mia amica, aveva
sbagliato persona. Non mi risultava difficile detestare i Cullen,
né prenderli
a calci in…
<< Devo parlare
con te, Isabella. >> rispose, prima che terminassi il mio
colorito
pensiero.
<< Adesso?
>> chiesi, lanciando un’occhiata prima a lui e
poi ad Angela, per finire
all’orologio che avevo al polso << Non so
se… >>
<< In
privato, se la tua amica vuole scusarci un momento. >> mi
interruppe lui,
spostando lo sguardo tra me e Angela. Non sapevo cosa fare. Non mi
andava di
allontanarmi con quel ragazzo né, tanto meno, abbandonare la
mia migliore amica
per l’ennesima volta. Senza contare, poi, che mi stavano
aspettando a Temple,
per farmi trasmigrare qualche ora e non potevo di certo arrivare in
ritardo.
<< Bella?
>> mi chiamò Angela, trascinandomi in un
angolo << Io credo che
voglia parlarti della loggia. >> sussurrò, in
tono così basso che persino
io feci fatica a sentire le sue parole << Pensaci,
è un po’ sbruffone, va
bene, ma è un Cullen. Sicuramente è al corrente
della particolarità della sua
famiglia, come ne eri al corrente tu. Da quello che ho sentito in giro,
Jasper,
non è come suo fratello maggiore, anzi tutto il contrario!
Se vuole parlarti in
privato, dopo che lo hai visto discutere con tua cugina,
beh… io ti
consiglierei di parlarci! >> la guardai di traverso e la
vidi annuire.
Forse aveva ragione, però…
<< Angy, non
voglio piantarti in asso un’altra volta. Non faccio altro in
queste settimane…
>>
<<
Sciocchezze, Bella! Non lo fai perché vuoi
farlo, ma perché sei costretta
a
farlo. Una vera amica queste differenze le capisce. >>
disse,
strizzandomi l’occhio << Ti aspetto
all’uscita! Vedrò se Mike e gli altri
hanno ancora da dire qualcosa sulla Mercedes di quel tuo amico che ti
viene a
prendere ogni tanto! >> urlò, allontanandosi
da noi. L’adoravo, non
poteva essere altrimenti.
<< Allora,
posso parlare? >> domandò Jasper, dietro di
me. Si era avvicinato così
tanto – e di soppiatto – se ci mancò
poco perché saltassi in aria per la paura.
<< D’accordo,
parla. >> dissi fredda, voltandomi. Incrociai le braccia
sotto il seno e
alzai un sopracciglio. Non avevo niente contro di lui, ma il ragazzo
che era uscito
fuori negli ultimi cinque minuti, mi fece ricredere molto sul metro di
giudizio
che usavo per inquadrare le persone.
<< Ritira gli
artigli, però, Bella. >> disse, facendosi
scappare un ghigno <<
Davvero, non sono sul fronte di guerra. Lo giuro! Se avessi una
bandierina
bianca la sventolerei. >> affermò, tastandosi
le tasche della divisa.
Come noi ragazze,
anche i ragazzi avevano un abbigliamento prestabilito. I pantaloni
erano
lunghi, blu scuro, intonati alla giacca. Essa era semplice: sfoggiava
lo stemma
della Saint Lennox sul taschino sinistro, e aveva solo tre piccoli
bottoncini.
La camicia azzurro pastello e le scarpe scure, lucide, definivano il
tutto.
<< D’accordo,
scusa, ma arriva al punto, Jasper. >> risposi, assumendo
una posizione
meno fiera e rigida << Devo andare a Temple, se arrivo di
nuovo in
ritardo tuo fratello mi ammazza. E sinceramente ne ho piene le palle
delle sue
critiche su tutto quello che faccio. >>
<< Edward non
è come lo descrivi, ma ho sentito dire che ti sta dando
parecchio filo da
torcere. >>
<< Parecchio?
Tu non hai nessuna vaga idea di quanto lui sia stronzo con me.
>>
<< Forse hai
fatto qualcosa di… >> lo fulminai con lo
sguardo, impedendogli di
continuare quella bestemmia. Io
avevo
fatto qualcosa a lui? Eravamo
davvero
entrati nella fantascienza, adesso. <<
D’accordo, scusa! Non sono affari
miei. Volevo solo dirti che non verrà nessuno di Temple a
prenderti, oggi. Ti
porto io. >>
<< Ah…
>> risposi, mordendomi il labbro inferiore. Quindi è questo che voleva dirmi!,
mi dissi mentalmente.
<< Ti
aspettavi altro? >> chiese, indicandomi le scale. Lo
seguii, e ci
incamminammo verso l’ingresso dell’istituto.
<< No, no.
Sinceramente non pensavo a niente. >> ammisi,
camminandogli accanto.
Mi ricordava
davvero molto suo fratello. Spalle larghe, corpo perfetto, lineamenti
spigolosi. Doveva essere un gene di famiglia, tutti i Cullen erano
indubbiamente molto belli.
<< Tanya ha
ragione, sei una ragazza bizzarra. >> disse,
sghignazzando.
<< Oh, per
l’amore del cielo! >> urlai, inchiodandomi
dov’ero << Possibile che
voi Cullen di sesso maschile non sappiate valutare le persone secondo
il vostro punto di vista? Tanya ha
detto,
Tanya ha fatto. Diamine, Tanya racconta solo una marea di stronzate!
>>
conclusi irritata, ma lui scoppiò a ridere di gusto. Cosa
avevo detto di tanto
divertente?
<< Scusami,
non volevo riderti in faccia! >> disse, tra i singhiozzi
<< Solo
che papà aveva ragione, darai proprio del filo da torcere a
mio fratello!
>> concluse, cercando di placare la sua
ilarità << E comunque, non
ho mai sopportato tua cugina. Il mio “bizzarra”
è molto diverso dal suo.
>> precisò, una volta tornato serio
<< Adesso che ci siamo
chiariti, possiamo andare a Temple, signorina? >> annuii
leggermente,
arrossendo. Forse, una volta tanto, mi ero sbagliata. I Cullen, almeno
uno o
due, non era totalmente imbecilli.
Una volta salutata
Angela, seguii Jasper verso il parcheggio. L’auto che mi
trovai davanti era
senza dubbio una favola. Blu notte, vetri oscurati, tirata a lucido.
Gli
interni erano di pelle nere, due posti e full optional – con
tanto di TV
incorporata. Era un’Audi R8.
<< Vi
trattate bene in famiglia, vedo. >> dissi, una volta
salita e imboccata
la strada per Temple. Lui sorrise, ma non disse nulla.
<< Quindi sei
tu il rubino. >> parlò, rompendo
l’innaturale silenzio che si era creato.
<< A quanto
pare… >>
<< Da quello
che ho capito, i tuoi genitori hanno insabbiato un bel po’ di
cose. >>
<< Volevano
proteggermi! >> dissi subito, cercando di prendere le
loro parti.
Nonostante non capissi
totalmente la loro decisione di tenermi allo scuro di tutto, non potevo
permettere che qualcun altro mettesse bocca sulla mia famiglia.
<< Non ne
dubito. >> disse, ingranando la quinta. Tra lui e suo
fratello, dovevo
ancora decidere chi era il più pazzo al volante!
<< Sai, non li condanno.
Ho visto Edward spaccarsi la schiena per anni, buttando nel cesso la
sua
infanzia… Comprendo perché i tuoi genitori hanno
fatto questa scelta. Per
essere onesto, però, capisco più tuo padre che
tua madre. >>
<< Perché,
scusa? >>
<< Quando
Emmett e Rosalie facevano parte del cerchio dei dodici, lei era molto
attenta
alle loro necessità. Nonostante abitasse a, mmm…
>>
<< Forks.
>> lo aiutai, capendo che quel paesino era
così sperduto che in pochi
ricordavano il suo piccolo nome.
<< Ecco sì,
Forks. Nonostante si fosse trasferita lì, con tuo padre, non
perdeva occasione
di tornare qui, a Londra, per incontrare tormalina
nera e zaffiro.
>> ricordai
che anche Mr. Dwyer li aveva chiamati così.
Secondo la
tavolozza dei dodici viaggiatori, ognuno di essi – di noi,
dunque –
corrispondeva ad una pietra e ad una nota musicale. Emmett Cullen era
la
tormalina nera, nonché il mi minore;
mia cugina, Rosalie Hale, lo zaffiro, nota anche come fa.
A seguire c’eravamo Edward ed io. Lui il diamante,
nonché fa diesis ed io
il rubino, oppure sol. Per non
parlare poi degli animali o
dei segni zodiacali a cui il cerchio faceva riferimento.
Avevo cercato di
apprendere il più possibile, ma ancora troppe cose mi
risultavano complicate.
<< Mia madre
era molto legata a sua nipote. >> dissi, sperando che non
fosse passato
troppo tempo da quando Jasper aveva parlato.
<< Infatti si
è visto. Non ha pensato un secondo a sgraffignare le chiavi
di tuo nonno e
consegnarle a loro. >>
<< Le chiavi
di mio nonno? Non capisco. Cosa c’entra il nonno in tutta
questa faccenda?
>>
<< Ma come,
non lo sai? >> domandò lui, alzando un
sopracciglio. Evidentemente
pensava che lo stessi prendendo in giro << Tuo nonno fu
il Gran Maestro
della loggia, prima di mio padre. >> rimasi a bocca
aperta. Un’altra cosa
di cui non ero a conoscenza. Fantastico!,
pensai.
<< Cos’altro
sai, Jasper? E come fai a sapere tutte queste cose, soprattutto?
>>
<< Sono
sempre stato un po’ un impiccione, quindi origliavo molto,
quando ero piccolo.
Senza contare che mio fratello si fida di me, perciò mi
racconta moltissime
cose. >>
<< Cos’altro
sai? >> ripetei, notando che aveva deliberatamente
saltato quella
domanda.
<< So che
Emmett e Rosalie non erano i santi che crede tua madre, Bella.
>> disse
serio, guardando la strada << Non fu solo
l’amore a spingerli a rubare il
cronografo, il loro era un paino premeditato. Per colpa loro il vecchio
cronografo è andato perduto e mio fratello è da
due anni che salta in qualsiasi
epoca per recuperare il sangue di tutti gli altri viaggiatori, sperando
di
trovare l’oggetto tubato o i due traditori.
>>
<< Ma si
pensa che siano morti! >>
<< Gli Annali
del 1912 dicono questo, ma non abbiamo conferma del fatto che siano realmente morti. >>
sorrise, ma
era un riso amaro << Sinceramente non so cosa sia meglio,
per loro. Se
dovessero trovarli, non oso immaginare cosa gli farebbero. Il cerchio
dei
dodici è stato creato per qualcosa di importante, di superiore… Ma
affinché esso sia realmente completo, il cronografo
deve avere al suo interno il sangue di tutti
i dodici viaggiatori. Adesso, Isabella, capisci quanto è
compromessa questa
missione? >> non risposi, ma annuii.
Capivo. Capivo
eccome! Emmett e Rosalie aveva fatto un gran casino! E mia madre li
aveva
aiutati. Dovevamo per forza trovare il vecchio cronografo, altrimenti
il
cerchio non si sarebbe mai completato. Se Rosalie ed Emmett erano
davvero
morti, come avremmo fatto a mettere il loro sangue nel cronografo del
2011? Ti stai ponendo le domande sbagliate,
Bella!,
urlò una voce dentro la mia testa. La
domanda è: perché lo hanno fatto? E
perché tua madre li ha aiutati, sapendo ciò
che avevano in mente? Una lampadina si accese
all’improvviso, rispondendo
ad un quesito che non mi ero mai posta realmente: ecco
perché nessuno si fidava
di me; ecco perché Edward non si fidava di me. Io ero la
figlia di Renée Hale.
La mia famiglia era marchiata come traditrice.
<< Siamo
arrivati. >> disse Jasper, posteggiando
all’interno del parcheggio della
loggia.
Non mi ero nemmeno
accorta di quanto il tempo fosse volato. Le riflessioni e le
informazioni,
soprattutto, mi aveva completamente occupata.
<< Grazie del
passaggio, allora. >> gli dissi, aprendo la portiera.
<< È stato un
piacere, Bella. >> disse Jasper, sorridendomi.
<< Anche per
me. >> ricambiai il sorriso e mi apprestai a raggiungere
l’ingresso.
Entrata
nell’immenso edificio andai da Esme, che stava sistemando un
blocco di fogli
pesanti. Appena mi vide, comunicò il mio arrivò e
mi scortò nella sala del
drago, dove avrei trovato Mr. Dwyer, il quale mi avrebbe portato nella
stanza
del cronografo.
Durante il piccolo
tragitto, nessuno parlò. Finché non andai a
sbattere contro qualcuno, girando
l’ennesima colonna.
<< Mi scusi.
>>
<< Guarda
quando cammini, ogni tanto. >> disse una voce. La sua voce.
Alzai la testa di
scatto e mi immersi in due fantastici occhi di smeraldo. Il cuore
cominciò a
battermi più veloce, e in quel momento lo odiai.
Mi diedi un
contegno e feci un passo indietro, rimettendomi in posizione totalmente
dritta.
Alzai il mento, scuotendo i lunghi capelli mossi, e superai Edward
senza
nemmeno ribattere al suo commento.
<< Domani
dobbiamo tornare dal conte, spero che tu sia preparata.
>> alzai un
sopracciglio, ma non risposi né mi voltai <<
Quando qualcuno ti parla è
buona educazione rispondere! >>
<< Domandare è
lecito. >> dissi, fermandomi, ma senza voltarmi a
guardarlo <<
Rispondere è cortesia. >> e detto quello,
sotto una risatina trattenuta
di Esme Cullen, mi preparai mentalmente alla mia ennesima
trasmigrazione, in
uno scantinato buio, a fare i compiti per il giorno dopo. .
Fa la sua comparsa
diretta un nuovo personaggio - che comunque abbiamo visto
già qualche capitolo fa, in modo indiretto -,
cioè Jasper Cullen, il fratellino minore di Edward. Notiamo
che il carattere di Jasper è diverso, mentre per alcuni
tratti molto simile, a quello del fratello. Nonostante questo,
però, Jasper spiega alla nostra Isabella molte cose
interessanti... Tornano ancora i nomi di Rosalie ed Emmett, ma la
domanda di base resta ancora: sono realmente morti? E se non lo sono,
come dice anche Jasper, dove sono? Altre informazioni sui dodici
viaggiatori escono fuori. Ognuno corrisponde ad una gemme, ad un
animale, ad una nota musicale... e a molto, molto altro.
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
ATTENZIONE! Scusate se richiamo
nuovamente la vostra ttenzione, ma ci tengo moltissimo a questa cosa.
Il 15 Aprile 2012 sarà il primo centenario dell'affondamento
del Titanic.
Sul mio blog [ > specialmente in questo
post: Una data da ricordare]
ho spiegato una mia idea per commemorare quel tragico incidente di,
ormai, cento anni fa. Se vi va dateci un'occhiata... L'idea base,
comunque, riguarda una one-shot sul fandom di Twilight, o per
meglio dire una flash-fic di due capitoli, che verrà
pubblicata una parte - la prima parte - domani, in onore della
partenza; la seconda, ma soprattutto ultima, parte verrà
pubblicata Domenica 15 Aprile, in ricordo dell'affondamento avvenuto
nelle prime ore della mattina.
Buon pomeriggio a tutti,
qui il tempo è tremendo - lampi, tuoni, pioggia esagerata -
da voi? Mi chiedo: quando arriverà finalmente la primavera?
Sto per rinunciarci -.-' Tornando a noi, prima
di lasciarvi aEdelstein
- L'amore attraverso i secoli, ci tenevo a ricordarvi che
il week end appena passato - cioè il 14/15 Aprile -
è stato il
centenario dell'affondamento del Titanic. Per quella data,
ho voluto fare dei piccoli gesti commemorativi, tra cui una flashfic di
due capitoli. Vi lascio di seguito il link, nel caso vi facesse piacere
leggerla. Il fandom è quello di Twilight e i motivi per cui ho voluto
usare quel fandom sono tutti scritti nelle note della storia.
«
L'esperienza non ha alcun valore etico:
è semplicemente il nome che gli uomini danno ai propri
errori. »
Oscar Wilde.
.
Nonostante
cominciassi ad abituarmi a quella vita totalmente assurda, mi suonava
ancora
molto strano vedermi indossare quei vestiti. Miss Brandon era una maga
nel suo
lavoro.
Mi stavo preparando
per l’ennesima trasmigrazione, ma questa volta non ci sarebbe
stato uno
scantinato buio ad attendermi, ma la residenza del conte di Saint
Germain.
<< C’è
qualcosa che non va, Bella? >> domandò Alice,
mentre mi sistemava
l’enorme gonna del vestito. Lo stile era quello della volta
passata, il Rococò,
cambiava solo il colore. L’abito
era rosso scuro, formato da un corpetto aderente di qualche
tonalità più chiara,
terminante a punta, e doppia gonna esageratamente larga sui fianchi,
sostenuta dal
panier. Le maniche, come
l’altra
volta a gomito, terminavano in una cascata di pizzi di diverse
lunghezze. Il
colore ricordava un bianco sporco.
<< Bella?
>> mi richiamò Alice e a quel punto mi
ricordai che mi aveva posto una
domanda.
<< Scusami,
ero soprapensiero. >> dissi e poi mi affrettai a
rispondere <<
Perché dovrebbe esserci qualcosa che non va? >>
<< Sei
silenziosa, oggi. Hai discusso di nuovo con Edward? >>
non risposi,
nonostante la verità non fosse lontana.
Dopo la mia sparata
– o presa di posizione, dipendeva dai casi – del
giorno prima, Edward non mi
degnava più di uno sguardo né di una parola. Come hai detto tu: domandare è lecito,
rispondere è cortesia!,
aveva detto. Non vedo il motivo per cui
parlarti, quando è chiaro che io non piaccio a te e tu non
piaci a me. Andiamo
dal conte, facciamo questi benedetti salti insieme, quando è
necessario, e
basta. Il mio atteggiamento mi si era ritorto contro. Quelle
furono le
prime e ultime parole che, Edward Cullen, mi aveva rivolto quel
pomeriggio.
Erano anche le ultime che mi avrebbe rivolto da ora in avanti, da quel
che
diceva.
<< No, è
tutto come al solito. >> mentii, cercando di convincere
più me stessa che
lei << Sono arriva da un’ora e mi ha dato il
suo caloroso benvenuto, quindi
direi che per oggi siamo a posto.
>>
<< Edward non
è così cattivo. >> disse Alice,
mentre mi faceva accomodare su una sedia
girevole da parrucchieri << Ha un caratteraccio,
è vero, ma è sempre
molto educato e rispettoso. Non capisco perché ti tratti in
questo modo. >>
<< Magari non
è lui il problema, sono io. >> affermai,
torturandomi le dita delle mani
<< Non è la prima volta che sento questo
frase… “Edward non è così
stronzo, non so perché si comporta
così”, magari non gli piaccio e basta.
>> attesi una risposta, ma non arrivò.
Nonostante la mia
tristezza, avendo paura di aver centrato il punto, fui sollevata di
troncare il
discorso. Sarei dovuta stare con Edward per le prossime quattro ore,
non volevo
parlane anche adesso.
<< Come mai
sei finita qui, Alice? >>
<< Che vuoi
dire? >> chiese, mentre mi intrecciava i capelli. Le sue
mani erano così
delicate che mi sarei perfino potuta addormentare sotto il loro tocco.
<< Come mai
fai la sarta e non fai un lavoro normale? Hai la mia età, ma
non mi pare che tu
vada a scuola. >>
<< Infatti è
così, mi sono diplomata all’età di
sedici anni. >> sgranai gli occhi,
urlando un “Cosa!?” che fece scoppiare in una
fragorosa risata la mia nuova
amica << Questa reazione è uno spasso, la ebbe
anche Edward quando mi
diplomai così giovane. >>
<< Wow, sei
un genio, allora! >>
<< Non direi,
sono solo devota alle cause che credo giuste. >> disse,
lavorando sul suo
capolavoro, con estrema attenzione << Mia madre, Mrs.
Mary Brandon, ha
sempre lavorato per la loggia. Era lei, infatti, la sarta ufficiale,
prima di
me. Ho cominciato a fare questo lavoro dopo la sua morte…
Avevo quattordici
anni, ci credi? Non avendo un padre sarei finita dagli assistenti
sociali se
Carlisle ed Esme non mi avessero presa con loro. >> a
quella rivelazione
mi bloccai. In primis, mi resi conto che all’interno della
loggia c’erano
davvero molte cose di cui non ero a conoscenza, troppe cose che non
sarei
riuscita ad immaginare né, tanto meno, a capire fino in
fondo. In secundis,
scoprii un risvolto interessante, quanto inaspettato.
<< Mi stai
dicendo che sei la sorellastra di Edward da… da…
>>
<< Quattro
anni e mezzo, esatto. >> rispose, con un sorriso stampato
in faccia
<< Ho detto che avevo quattordici anni, ma non
è proprio così. Mancava
poco, comunque. Legalmente sono una Cullen, ma non ho voluto cambiare
il
cognome di mia madre. È un orgoglio personale! Adoravo la
mia mamma. >>
restammo a parlarne per un po’. Alice era davvero una persona
splendida,
nonostante la vita fosse stata una grandissima bastarda con lei.
Mi spiegò che sua
madre aveva un raro tumore al cervello, che la portò alla
pazzia. Durante il
suo ricovero fu affidata temporaneamente proprio alla famiglia Cullen,
ne seguì
poi l’adozione vera e propria, dopo la morte di Mrs. Brandon.
Non aveva mai
conosciuto suo padre, il quale aveva lasciato sua madre –
nonché moglie da poco
– quando scoprì che questa era incinta. Alice non
volle mai sapere nulla di
lui, nemmeno il suo nome.
<< Oh, no!
>> urlò improvvisamente << Ho
usato trucchi classici, Bella, niente
Waterproof! Non piangere, per
favore,
che mi rovini tutto il capolavoro! >> alla tristezza
subentrò l’ilarità,
perciò scoppiai a ridere.
<< Sei una
sagoma, Alice! >> dissi, tra le risate.
<< Grazie,
cara! >> rispose, seguendomi a ruota.
La porta si aprì proprio
in quel momento, e il ragazzo che più odiavo – e
non solo, forse – fece il suo
teatrale ingresso.
<< Alice, mi
servono altre scarpe, queste sono strette. >> disse
tranquillamente,
finché non si accorse di me << Oh, scusate.
Vedo comunque che state ridendo,
quindi non ho interrotto alcun lavoro. >> concluse,
facendo un sorriso
più falso di una banconota taroccata.
<< Finisco
l’acconciatura di Bella e ti trovo un altro paio di scarpe,
aspetta qualche
minuto. >> Edward sbuffò, ma si
accomodò rassegnato. Con la coda
dell’occhio, ne approfittai per studiare il suo nuovo
abbigliamento.
La giacca era nera,
lunga a campana, ricamata e decorata da passamanerie oro; sotto, il
gilet richiamava
il colore dei decori. I pantaloni al ginocchio lasciavano scoperte le
calze di
seta e le tipiche scarpe con fibbie e gale. Come l’altra
volta, la profusione
di pizzi bianchi ornava maniche e colletto. Era indubbiamente
bellissimo.
<< Mi hai
guardato bene? >> domandò Edward,
improvvisamente.
<< Cosa?
>> dissi, tornando a fissare la mia immagine allo
specchio. Alice stava
facendo un lavoro spettacolare. Aveva creato quattro grandi trecce, per
poi
fissarle sulla mia nuca, con eleganza e precisione.
<< Mi stai
fissando da quando sono entrato. Speri così che torni a
parlarti, Betty?
>>
<< Non spero
proprio niente. >> risposi, cercando di mantenere la
calma. Non dovevo
perdere la pazienza, non dovevo confermargli quanto poco posata fossi,
non
dovevo…
<< Queste
stronzate le pensi la notte o ti vengono spontanee dopo aver visto me?
>>
<< Senti un
po’, tu! >> urlai, alzandomi di colpo dalla
sedia. Nonostante lo strillo
inaudito di Alice, mi trascinai dinanzi a lui << Avevi
detto che non mi
avresti parlato più, no? E allora, cortesemente, rispetta
quello che dici!
>>
<< Ho detto
di non vedere alcun motivo per cui parlarti, non che non ti avrei
parlato mai
più. È diverso, Betty. >> la sua
calma fece andare a quel paese la mia,
già precaria di suo.
<< Io non ti
sopporto! E per la cronaca, non sono io che dico stronzate, mi hai
capita? >>
<< Wow, wow,
wow! Ma come ti scaldi, ragazzina. Dovresti pensare un po’
prima di agire, non
trovi? >>
<< Pensare?
Sai a cosa penso da quando ti ho incontrato, Cullen? >>
<< Ma non qui
davanti ad Alice, Swan! >> urlò piano,
fingendo di vergognarsi <<
Capisco di essere entrato nei tuoi sogni, ma…
>>
<<
All’omicidio, razza di egocentrico! >>
strillai, facendo riecheggiare il
mio urlo per tutta la loggia. Qualcuno, ma non avevo ancora capito chi, aveva aperto la porta della
sartoria.
<< Così mi
uccidi, Swan. >> disse Edward, mettendosi una mano sul
cuore << Il
mio ego ne risentirà parecchio. >>
<< Sai dove
puoi ficcartelo, il tuo ego? >> sibilai, a due millimetri
dal suo viso
perfetto.
<< Adesso
basta! >> tuonò una voce che mai, prima di
allora, avevo udito con quel
tono.
Io ed Edward ci
voltammo entrambi, verso la soglia della stanza, e ci mettemmo subito
sull’attenti.
<< Sono
passate settimane e ancora non riuscite ad andare d’accordo?
Quando qui c’era
sua cugina queste cose non succedevano, Isabella. >> E quando mai?, pensai nervosa.
C’era sempre mia cugina, in mezzo!
Ovunque andassi, restavo sempre la sua dannata ombra.
<< Ci scusi,
Mr. Saltzman. >> sussurrò Edward, abbassando
il capo, notando che non
avevo ancora aperto bocca.
<< Io sono
contenta che il rubino sia Bella, invece. >>
squittì Alice, facendoci
voltare tutti verso di lei << Tanya era un’oca,
Bella è molto meglio!
>> e concluse, strizzandomi l’occhio.
<< È molto
interessante il suo parere, Miss Brandon, ma quando c’era la
signorina Tanya regnava
un’altra aria, qui. >> ricalcò Mr.
Saltzman, facendomi sentire uno
schifo.
<< Il
problema, Alaric, è che non è solo colpa di
Isabella. >> disse Mr. Dwyer,
entrando lentamente. Indossava una giacca marrone scuro, abbinata ai
pantaloni;
una camicia beige, come le scarpe, e una cravatta a righe
<< Il qui
presente giovanotto, nonché Edward Anthony Cullen, non da
tregua nemmeno per un
secondo a questa piccina. >>
<< Mr. Dwyer!
>> ribatté Edward, diventando rosso come un
pomodoro maturo. Sghignazzai
piano, incrociando le braccia sotto il seno. Lo spettacolo stava
cominciando a
farsi interessante. Il ragazzo accanto a me, percepì il mio
verso e mi guardò
con sguardo omicida; ricambiai lo sguardo, facendogli una linguaccia.
<< E la qui
presente Isabella potrebbe evitare gesti poco cortesi. >>
disse Mr.
Saltzman, alzando un sopracciglio. Fu il turno di Edward, di
sghignazzare.
<< Dobbiamo
trovare un modo per farli andare d’accordo. >>
disse Mr. Dwyer, assumendo
un’aria pensierosa.
Mi presi quel
momento per notare l’abbigliamento sempre molto formale di
Mr. Saltzman.
Indossava un completo grigio piombo, con sotto una camicia
celeste/grigiastra.
Ai piedi, sfoggiava un paio di scarpe lucide, nere. Il suo aspetto era
sempre
lo stesso: affascinante e misterioso. Tutto quello che faceva impazzire
l’intera Saint Lennox – compresa la mia migliore
amica, Angela. Sospirai
rassegnata, avevo indubbiamente qualcosa che non andava. Ero sempre
stata molto
diversa dalle altre bambine o ragazze delle mia età. Quando
loro correvano
dietro al bello di turno della scuola, io prediligevo
tutt’altro; quando c’era
la ressa per prendere ripetizioni dal professore più sexy
della scuola, io me
ne stavo per conto mio, sotto un albero a volte, a leggere o ripassare
quella
materia. Trovavo Mr. Saltzman indubbiamente molto bello, ma non
così tanto da
strapparmi i capelli o rovinarmi la media per avere delle ripetizione
private.
<< Mentre voi
pensate, io potrei finire l’acconciatura di Bella?
>> domandò Alice,
riportandomi alla realtà << Poi cerco le
scarpe per Edward. >>
<< Certo, Miss Brandon. >> rispose Mr.
Saltzman << Io e
Phil andiamo a prenderci un tea, se per lei va bene…
>>
<<
Certamente, Alaric. >> rispose Mr. Dwyer <<
Torniamo tra qualche
minuto, sperando che i ragazzi siano pronti per andare.
>> concluse, si
voltò e scomparvero entrambi, richiudendo la porta.
<< Vieni,
Bella. >> disse Alice, indicandomi la sedia sulla quale
ero seduta
qualche istante prima.
Il silenzio
innaturale che si era creato, fu interrotto dal suono del telefonino di
Edward.
I've become so numb
I can't feel you there become so tired so much more aware. I'm becoming
this
all I want to do, is be more like me and be less like you.
<< Scusate, è Jasper. >> disse,
interrompendo la melodia che conoscevo piuttosto bene.
<< Non ci
credo. >> sussurrai, notando che l’attenzione
di Alice fosse focalizzata
completamente su suo fratello, piuttosto che sui miei capelli.
<< Edward, è
successo qualcosa? >> domandò, leggermente
isterica. Il ragazzo le fece
segno di no e uscì, richiudendosi la porta alle spalle
<< Antipatico,
potevi farmelo salutare! >> mormorò, tirandomi
una treccia così forte che
mi fece urlare.
<< Alice, fa’
piano! >>
<< Scusa,
scusa! >> disse, massaggiandomi la cute con le dita
<< Perdonami,
mi sono distratta. >>
<< Non è da
te… Oh, santissimi numi! Tu hai una cotta per tuo fratello!
>> a quella
frase, il pettine le cadde dalle mani e la vidi sgranare gli occhi. Ci ho preso!, pensai.
<< Non è come
pensi! >> cercò di difendersi, ma era
esattamente come pensavo!
<< Oh, sì
invece! >>
<< Non è mio
fratello, comunque! La storia te l’ho spiegata!
>>
<< Oddio,
quindi è vero! >> urlai, prima che Alice mi
saltasse addosso, cercando di
tapparmi la bocca << E lui lo sa? E Edward? Non oso
immaginare come
reagirebbe se… >>
<< Non lo sa
nessuno! E tu non lo dirai a nessuno, mi hai capita? >>
<< Oddio,
oddio! >> ero piuttosto sconvolta, e non riuscivo a
mettere insieme una
frase di senso compiuto.
<< Bella!
>> piagnucolò Alice <<
Riprenditi! Una vita intera a non farmi sgamare
e poi… >>
<< Una vita
intera? >> domandai, sgranando gli occhi <<
Ti piace da quando?
>>
<< Da sempre…
>>
<< Oh, mio
Dio! >>
<< Ma che
state facendo? >> domandò Edward, rientrato
nella stanza << Alice,
se vuoi ucciderla lascia almeno che ti dia una mano. Sai che ti aiuto
volentieri! >> concluse, sorridendo a trentadue denti.
<< Niente,
Edward. Stavamo solamente giocando, vero Bella? >>
annuii, ancora sotto
shock. Era cotta di suo fratello! Fratellastro,
Bella!, urlò la voce della mia coscienza. In
effetti aveva ragione, Alice
non era una Cullen, né per cognome né, tanto
meno, per sangue.
<< Voi siete
tutte pazze. >> disse Edward, scuotendo la testa.
<< Ha parlato
il sano di mente. >> borbottai, sorridendogli quando mi
fulminò con lo
sguardo.
Il
resto del tempo
passò velocemente.
Alice era stata una
maga nel rimettermi a posto l’acconciatura. Trovò
le scarpe ad Edward e, in men
che non si dica, fummo accompagnati alla stanza del cronografo.
Come la volta
scorsa – a differenza di quando trasmigravo per fare i
compiti, che c’era solo
Mr. Dwyer – erano fermi, davanti al cronografo, tutti i
Guardiani più
importanti della loggia: il signor Cullen, Mr. Dwyer – che
era sceso con noi –,
il dottor Black e, per concludere, Mr. Saltzman.
<< Eccovi,
finalmente. >> borbottò il dottor Black,
seguito come sempre dal piccolo
Jake.
<< Abbiamo
avuto qualche problema in sartoria. >> rispose Mr. Dwyer,
appallottolando
la benda, servita per coprirmi gli occhi, per poi mettersela in tasca.
<< Ciao,
Bella! >> disse Jacob, correndo verso di me. Gli sorrisi
leggermente,
cercando di non farmi vedere << State andando di nuovo
dal conte? Io l’ho
visto in foto, una volta, ma sai che non mi piace per niente? Come
quello lì,
insomma. >> concluse, indicando Edward. Non riuscii a
trattenermi, così
scoppiai a ridere.
<< Allora
siamo in due, piccolino! >> dissi, piegata in due dalle
risate. Mi
accorsi solo poco dopo che tutti gli occhi erano puntati su di me.
<< Tu non hai
tutte le rotelle a posto. >> disse Edward, fissandomi
come si guardava
una malata mentale, avvolta in una camicia di forza.
<< Scusa,
Bella! >> urlò Jake, tornando dietro suo
padre. Gli feci cenno di non
preoccuparsi e lui, di risposta, mi fece un grande sorriso.
<< Vogliamo
procedere, Isabella? >> domandò Mr. Saltzman,
sbuffando. A scuola
sembrava una persona diversa da come si presentava qui, alla loggia.
Forse, e
sottolineavo il forse, il motivo era che non si trovava a Temple sotto
la veste
di insegnante, ma come Guardiano. Il problema sorgeva quando cambiavi
anche la
mia, di veste. A Temple ero una viaggiatrice inesperta, non una
studentessa
distratta, ma piuttosto brillante – anche se non molto nella
sua materia.
Persa nei miei
pensieri – come sempre, d’altronde – non
mi accorsi di Edward che, dalla mia
sinistra, si era spostato accanto al dottor Black, dinanzi al
cronografo già
pronto per “partire”.
<< Qual è la
parola d’ordine e, per sapere, questa volta in che anno
andremo? >>
chiese Edward, con una sicurezza disarmante.
<< Il conte,
nella lettera che ti ha consegnato, ha chiesto che il prossimo incontro
venisse
fatto dieci anni dopo il primo con il rubino. Perciò,
salterete nel 1755 – più
precisamente, il 13 Giugno 1755. >> rispose Carlisle,
parlando con suo
figlio, ma rivolgendo qualche sorriso anche a me.
<< La parola
d’ordine, comunque, è… >>
si intromise Mr. Saltzman, sfogliando gli
Annali << Ex hoc momento pendet
aeternitas. >>
La prima cosa che
pensai fu: più lunga no?
La seconda cosa che
pensai, invece, fu: eh?
<< L’eternità
è appesa a questo momento.
>> disse Edward che, come al solito, sembrava sempre
sapere cosa mi passasse
per la mente.
<< Sì, lo
sapevo. >> risposi, facendo la sostenuta.
<< Ah-ah, ne
sono convinto. >>
<< Avanti,
Edward, vieni. >> disse il dottor Black, sbuffando
<< Salterai prima
tu, come sempre. E questa volta, Isabella, cortesemente…
Infili il dito
immediatamente nel cronografo! >> mi abbaiò
praticamente contro,
facendomi indietreggiare – andando così a sbattere
contro Mr. Dwyer – e
sgranare gli occhi.
<< Billy, ma
si calmi, santo cielo! >> lo rimproverò
Carlisle, passandosi una mano tra
i capelli – doveva essere un segno di esasperazione, mi
accorsi che lo faceva
anche Edward, in alcuni casi.
Come la volta
precedente, non appena Edward introdusse il dito nel cronografo,
dall’oggetto
si sprigionò una luce accecante, che invase completamente la
stanza. Quando
riaprii gli occhi, il ragazzo che fino a pochi secondi prima era
davanti a me,
era sparito.
<<
Fantastico. >> affermò Mr. Saltzman,
sorridendo.
Presi un respiro
profondo e mi avvicinai al dottor Black, gli porsi il dito indice e
qualche
istante dopo sentii le tre punte dell’ago perforarmi il
polpastrello. Il rubino
si accese, investendo la stanza con un rosso acceso. Pochi secondi
dopo, mi
ritrovai completamente al buio.
Il silenzio,
mischiato all’oscurità, mi fece venire la pelle
d’oca. Dove diavolo si era
cacciato quel troglodita? Possibile che fosse già salito,
lasciandomi lì in
balia delle guardie e della parola d’ordine?
<< Edward?
>> sussurrai, ma non rispose nessuno <<
Edward? >> riprovai
con un po’ più di voce.
<< Sono qui!
Stavo aspettando che mi chiamassi. >>
<< Razza di
cretino! Pensavo te ne fossi andato! E per la cronaca, mi hai fatto
prendere un
colpo. >> dissi, cercando di regolarizzare il respiro.
<< Insomma,
Isabella, se non parlo ti spaventi, se parlo anche…
>>
<< Accendi la
torcia! >> gli ordinai, interrompendolo. Lo sentii
sbuffare, ma fece ciò
che avevo detto.
La stanza del
cronografo, questa volta, era più pulita e ordinata. Era
stato aggiunto un tavolo,
un divanetto e anche un piccolo mobile.
<< Vogliamo
andare? O vuoi continuare a fissare questo fantastico
arredamento? >> domandò Edward, già
davanti alla porta. Non risposi, mi
alzai gli angoli dell’ingombrante gonna e lo raggiunsi.
Il tutto funzionò
esattamente come la volta precedente: corridoi bui e stretti, scale su
scale,
colonne, guardie e parola d’ordine. Da quello che ci aveva
detto Carlisle,
saremmo tornati nuovamente alla residenza del conte, quindi ci sarebbe
stata
una carrozza ad attenderci, una volta arrivati alla loggia del 1755.
Il viaggio in
carrozza fu tranquillo, ma soprattutto silenzioso. Sir Caius e Sir
Marcus erano
fuori Londra, per affari, perciò ci scortò alla
residenza Cooper un cocchiere
incaricato dal conte in persona.
<< Perché
siamo dovuti tornare qui? >> domandai, non riuscendo
più a stare zitta.
<< Scusami?
>> domandò Edward, puntando i suoi fari su di
me. il cuore, come se
avessi infilato la presa in un interruttore, cominciò a
battermi forte. Cercai
di ignorare quella assurda sensazione e continuai a parlare.
<< Ci siamo
stati solo qualche giorno fa, dal conte. Perché tornare
così presto? >>
<< Ti rendi
conto che per lui sono passati dieci anni? >>
domandò, scuotendo la testa
<< Non hai ancora capito come funziona, vero? Per noi
sono passati solo pochi
giorni, per lui sono passati anni. Lo scorso salto è
avvenuto per noi nel 2011,
per lui era il 1745, ora è il 1755. È tutto
chiaro? >>
<< Sì, genio,
fin qui ci arrivo. >> risposi, alzando gli occhi al cielo
<<
Intendo dire: cosa costava a noi aspettare qualche settimana in
più e magari
prepararmi meglio? Insomma, lui sarà sempre lì
– o qui, non so più che tempo
usare –, nel 1755. >>
<< È stato il
conte a fornire la data anche del nostro tempo. >> mi
informò, tornando a
guardare fuori << Fa sempre così, è
una regola. La loggia funziona
basandosi su determinate regole, Isabella, e non sarà di
certo la tua presenza
a cambiare questo fatto. >> evitai di controbattere,
capendo che se
avessi aperto nuovamente bocca, saremmo finiti male. Molto male.
Quando la residenza
Cooper emerse davanti a noi, una scarica elettrica mi percorse la
schiena,
facendomi rizzare come un gatto sul sedile. Cos’era quella
sensazione? E
perché, varcando il grande cancello nero, cominciai a
sentire freddo, fin
dentro alle ossa?
La suoneria di
Edward è Numb,
dei Linkin Park.
In questo episodio si scoprono altre cose molto interessanti: Alice
Brandon è la sorellastra di Edward e Jasper e, rullo di
tamburi, ha una cotta per quest'ultimo. Jasper ricambierà?
Lo scopriremo più avanti XD Bella e Edward si stanno
preparando per andare dal conte e tra loro, come di consueto, le cose
non vanno nel migliore dei modi. Abbiamo visto, per la prima volta, Mr.
Saltzman nei panni di Guardiano e non di insegnante... Cosa ne dite? E
come mai Bella ha quella reazione entrando nella villa del conte, nel
1755? Nel prossimo capitolo, almeno l'ultima domanda,
troverà una risposta... :)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti! Chiedo scusa per il ritardo, ma purtroppo ieri non
ci sono stata tutto il giorno. Non sapevo che sarei stata fuori
città, quindi chiedo scusa per questo slittamento! Visto l'imprevisto
evito di fermarmi a blaterale, perciò vi
lascio subito al capitolo! Buona lettura :) . .
11.
« Genio e
follia hanno qualcosa in comune:
entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri.
» Arthur Schopenhauer. .
Quando
arrivammo a
casa del conte di Saint Germain, una terribile notizia ci colse
impreparati.
<< Come
sarebbe a dire che il conte non è in casa perché
si è recato, urgentemente, da
Lord Masen? >> domandò Edward, notando che il
maggiordomo – un ometto
piuttosto simpatico: basso, cicciotto, e coi bassi grigi –
non voleva fornirci
altre informazioni.
<< Si calmi,
Sir. >> disse l’uomo << Il conte
ha lasciato questa missiva per
lei. Legga, prego. >> dire che Edward gliela
strappò dalle mani,
sbuffando perfino, sarebbe stato solo un leggero eufemismo.
<< Cosa dice?
>> domandai, non riuscendo a leggere.
Edward Cullen era
indubbiamente molto più alto di me, venti centimetri come
minimo. Le spalle
larghe, poi, impedivano ogni mio tentativo di lettura. Nemmeno con le
acrobazie
più disperate sarei riuscita a scoprire cosa diavolo ci
fosse scritto in quel
foglio!
Di tutta risposta,
mi fece segno di tacere e continuò tranquillo la sua
interessante lettura.
Sbuffai, incrociando le braccia sotto il petto. Mi voltai appena, per
guardare
come fosse cambiata in dieci anni, quella casa, ma mi resi conto che il
maggiordomo mi sorrideva un po’ troppo. Indietreggiai
leggermente, cercando di
scomparire dietro al corpo possente di Edward, ma lui non demorse. Ma che diamine… Non ci starà
sul serio
provando con me, questo?, mi chiesi mentalmente. Solo in quel
momento,
Edward si ricordò che ci fossi anche io.
<< Ehi, non
credi di stare guardando un po’ troppo? >>
domandò il mio accompagnatore al
maggiordomo che, dopo essere stato colto in fragrante, si
indispettì. Tirò
fuori il petto e la pancia, alzò il mento, assumendo
un’aria impettita.
<< Allora,
cosa dice quella lettera? >> domandai, notando
l’aria pesante che si
stava creando.
<< Niente di
cui tu debba preoccuparti, ma dobbiamo raggiungerlo da Lord Masen.
>>
<< Cosa? E
come facciamo? >> domandai, in tono lamentoso. Possibile
che ogni volta
che dovevamo vedere questo dannatissimo conte, ci fossero sempre corse
da fare?
Io non sapevo nulla di bon ton, ma
il
conte non era di certo l’educazione fatta a persona.
<< Abbiamo
perso mezzora, per venire qui. >> borbottò
Edward, tirando fuori
l’orologio da taschino << Abbiamo a
disposizione quattro ore, oggi, ce ne
rimangono tre e mezza. Non possiamo fare altro, dobbiamo raggiungere il
conte
da questo Lord. >> affermò serio e sicuro di
sé, per poi rivolgersi al
maggiordomo << Dove si trova la casa di Lord Masen?
>>
<< Wigmore
Street. >> rispose il signorotto, dopodiché
Edward mi afferrò il polso e
mi trascinò via.
Diede direzioni
abbastanza precise al cocchiere, pregandolo di fare in fretta. Egli
prese alla
lettera le parole di Edward e sfrecciò come un fulmine. Non
pensavo che una
carrozza potesse raggiungere tali velocità.
<< Ho notato
che hai fatto colpo sul maggiordomo… >>
sussurrò Edward, sghignazzando.
Mi voltai, fulminandolo con lo sguardo. Il mio gesto però,
invece che farlo
stare zitto, lo fece scoppiare a ridere. E rideva di gusto! Dio mio, quanto è bello quando
ride…,
pensai. Isabella Marie Swan! Ma che
diamine ti salta in mente?, urlò la mia coscienza.
<< Perché
stai ridendo? >> chiesi, con tono indispettito.
<< Nulla,
nulla, ma se tutti i pretendenti che hai sono
così… >> non concluse la
frase, perché l’ilarità
arrivò all’apice. Avrei tanto desiderato
strangolarlo!
Arrivammo dal conte
impiegando meno tempo di quello che credevo. Edward, come un perfetto
gentiluomo del Settecento, mi scortò fino
all’ingresso, bussò, annunciando la
nostra presenza, e mi guidò all’interno della
grande residenza Masen.
<< Vorremmo
parlare con il conte di Saint Germain. >> disse Edward,
parlando al nuovo
maggiordomo << Ci siamo recati a casa sua, come pattuito
ieri, purtroppo
c’è stato comunicato che per impegni inderogabili
è dovuto venire qui, da Lord
Masen. È possibile vederlo? >>
<< Un attimo,
prego. Attendete qui. >> disse il signore –
questa volta un uomo
abbastanza giovane: magro e alto, con un viso pulito – e
scomparve su per le
scale.
<< Nervosa?
>> domandò Edward, notando il mio battere del
piede << Tranquilla,
non mi sembra interessato. >>
<< Divertente,
Edward. >> ribattei, con un sorriso più che
finto.
<< Lo so,
sono molto divertente. >> disse, credendoci sul serio.
Alzai gli occhi al
cielo e sospirai rassegnata.
Pochi minuti dopo,
ci trovammo davanti un uomo sulla cinquantina. Era alto, con un
po’ di pancia.
Capelli neri, come i baffi che portava, e un taglio di capelli talmente
orrendo
che ricordava un parrucchino venuto male.
<< Salve,
giovanotti. >> disse l’uomo <<
Sono Lord Masen, e chiedo scusa per
questo spiacevole inconveniente. Domani partirò per Parigi,
e ci tenevo molto a
salutare il mio amico Aro. Ma prego, seguitemi di sopra!
>>
Come la villa del
conte di Saint Germain, anche questa era parecchio sontuosa. Gli
intonachi sui
marmi, lo stile georgiano, i centinai di quadri – placcati
d’oro – su tutte le
pareti, e i grandi lampadari al centro dei soffitti.
<< Aro, amico
mio, ecco i tuoi ospiti. >> disse Lord Masen, entrando in
uno studio
piuttosto grande. Al centro di esso vi era un tavolo ovale, basso,
attorniato
da poltrone e divani di un verde bottiglia. Le tende, dello stesso
colore degli
arredi, erano tirate affinché la luce del giorno entrasse ed
illuminasse la
stanza.
<< Ecco qui i
miei viaggiatori preferiti! >> disse il conte di Saint
Germain, alzandosi
per venire verso di noi << Stupefacente, non siete
invecchiati di un
anno. >>
<< Buon
pomeriggio, conte. >> disse Edward, facendo una
riverenza.
<< Cosa sono
queste formalità, giovanotto! Venite, prego.
>> disse, trascinando con sé
Edward, mentre io rimasi impalata, all’entrata
<< Lord Masen, questo è il
pronipote del mio pronipote! Non è impressionante quello che
il cronografo sa
fare? >>
<< Ancora con
questa storia, Aro? Non ti sembra di esagerare? Saranno solo due
ragazzini che
hai pagato affinché ti reggessero il gioco. >>
parlò una voce gelida, che
proveniva dalla poltrona. L’uomo era di spalle, rispetto a
me, e sedeva sulla
poltrona dinanzi alla sottoscritta. Riuscivo solo a vederne i capelli
neri.
<< Oh,
andiamo, Rákóczi! Tu non credi mai a niente.
>> disse Lord Masen,
porgendomi il braccio affinché mi avvicinassi anche io.
<< Stia
tranquillo, Lord Masen. >> rispose il conte
<< Il mio amico Rákóczi
vorrebbe solo viaggiare nel tempo anche lui. Dico bene, Felix?
>>
<< Sono solo
sciocchezze, Aro. Non si può viaggiare nel tempo.
>> ribatté Rákóczi e
finalmente potei guardarlo in faccia.
Era bianco come il
gesso, mastodontico come un armadio e, per concludere, le iridi non si
distinguevano dal cristallo per quanto fossero scuri i suoi occhi.
<< Scusate il
suo scetticismo… >> disse il conte, parlando
ad Edward più che a me
<< Ma Felix è un condottiero, un militare, e
ragiona molto con la sua
vena scientifica. >>
<< È
comprensibile, Sir. >> disse Edward, sorridendo appena.
Lo osservai per un
po’, notando quanto il suo atteggiamento con gli altri fosse
diverso da quello
che teneva con me. Col conte di Saint Germain, poi, avevo notato
– già dalla
prima volta che andammo a trovarlo – una sottile
complicità; provava molta
stima per lui, e si fidava anche molto di quell’uomo.
<< Isabella,
come ti vanno le cose nel XXI secolo? >>
domandò il conte, riscuotendomi
dai miei pensieri << Quanto tempo è passato
dal nostro primo incontro di
dieci anni fa? >>
<< Dieci anni
fa? >> domandò Rákóczi,
sconcertato << Ma è una bambina! Come puoi
pensare che potremmo mai credere al fatto che tu abbia interloquito con
questa
giovane quando era ancora, a tutti gli effetti, una bambina?
>> a quel
quesito, il conte scoppiò in una fragorosa risata. Mi stupii
del fatto di non
trovarlo molto invecchiato, rispetto alla volta precedente. Certo, era
senza
dubbio cambiato, ma non come aspettarsi di rincontrare una persona a
differenza
di dieci anni.
<< Vuoi
spiegare tu, Edward, a Rákóczi come funzionano i
viaggi del tempo? >>
<<
Certamente. >> rispose lui, accomodandosi a fianco del
conte, sul divano
più ampio << Per noi, principe
Rákóczi, non sono passati dieci anni. Io e
Isabella, infatti, abbiamo incontrato il conte solo pochi giorni fa.
>>
<< Che
idiozie. >> borbottò
Rákóczi, alzandosi per versare qualcosa di
alcoolico
nel suo bicchiere ormai vuoto.
<< Allora,
Isabella… >> disse il conte, nuovamente
<< Come stanno andando le
cose alla loggia, di recente? Hai fatto progressi? >> non
sapevo cosa
rispondere.
Guardai Edward
affinché mi desse una dritta, qualcosa per non fare una
figuraccia. Ma come al
solito, lui non perse occasioni per farmi risultare inadatta.
<< Non vi
sono molti progressi, Sir. >> rispose Edward al mio posto
<<
Abbiamo iniziato ad istruirla con lezioni basi di scherma, nozioni di
storia,
ippica, le buone maniere di ogni epoca… Purtroppo,
però, la giovane Isabella è
al quanto negata per tutto ciò. >> restai
ammutolita. Ma come si
permetteva?
<< Il rubino,
secondo le profezie, ha un dono che tutte le altre gemme non hanno.
>>
mormorò il conte, in risposta ad Edward,
dopodiché si rivolse a me << Hai
già scoperto quel è questo dono, ragazza?
>> scossi il capo, timidamente.
Cosa avevo di
speciale? Niente.
Qual era il mio
dono? Nessuno, in fin dei conti.
Ero solo una
ragazzina che non sapeva nulla sui viaggi del tempo e che, senza essere
stata
adeguatamente preparata, si era ritrovata immischiata in questa grande
missione. Come potevo pretendere che Edward mi guardasse o considerasse
in modo
differente? Ero un peso per lui, lo capivo bene, adesso.
<< Rosso rubino, che ha la
magia del corvo nel
cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore.
>> recitò il
conte, facendomi venire la pelle d’oca. Era la stessa
filastrocca che aveva
recitato mia madre, qualche tempo prima. Ma com’era
possibile?
<< Non ho alcuna
magia, conte. >> risposi flebile, rendendomi conto di
quanto la voce mi
tremasse.
<< Capisco.
Beh, sono solo parole messe insieme chissà da chi e
quando… Sei una gemma
assolutamente normale, dico bene? >> chiese, ma quella
domanda mi suonò
strana.
Perché il suo
atteggiamento nei miei confronti era cambiato? Non sembrava
più lo stesso conte
di pochi giorni prima. Qualcosa, nella sua cordialità, mi
sembrava
sorprendentemente fasulla. Inoltre, “gemma
normale”? Già il solo fatto di
essere in un cerchio di matti che viaggiavano nel tempo mi rendeva
strana, non
normale.
<< Sì,
signore. >> rispose Edward, vedendo che non accennavo a
rispondere
<< È assolutamente normale. >>
non sapevo perché, ma invece di
“normale”,
per il modo in cui lo aveva detto, mi parve di sentire la parole
“inutile”.
<< Edward,
visto che vi ho fatto perdere molto tempo, a causa di questi viaggi
inaspettati, può seguirmi dello studio di Lord Masen? Dovrei
parlarle in
privato, inoltre devo darle una missiva da portare a suo padre,
nonché Gran
Maestro della loggia del vostro tempo. >> disse il conte,
spostando poi i
suoi occhi verso Lord Masen, chiedendogli il permesso. Glielo diede e,
senza
degnarmi di uno sguardo né di una misera parola, si
diressero fuori dalla
stanza.
Rimasi lì,
sentendomi parecchio un pacco postale in attesa della consegna, zitta e
ferma. Rákóczi
era vicino al tavolino dei liquori a versarsi un altro bicchiere,
mentre Lord
Masen mi sorrideva sincero, ma impacciato.
<< Vuole
accomodarsi, Milady?
>> domandò
proprio quest’ultimo, indicandomi la poltrona. Ci pensai su
qualche istante,
dopodiché mi resi conto che non sarei mai riuscita a sedermi
con il vestito che
avevo indosso.
<< No,
grazie. Credo proprio che resterò in piedi, Lord Masen.
>> risposi,
guardandomi intorno.
Nessuno parlò,
anche se sembrava che volessero chiedermi chissà cosa
– soprattutto proprio
Lord Masen –, ma per diversi minuti regnò il
silenzio. Alla fine si decise a
chiedermi qualcosa del XXI secolo, soprattutto di politica e geografia.
Scoprii
che Rákóczi era il sovrano della Transilvania, e
l’idea che fosse un vampiro si
impadronì di me. Insomma, era cadaverico! E quello sguardo
faceva impressione.
Quando la porta si
aprì, tirai un sospiro di sollievo. Non ne potevo
più di quell’interrogatorio
infinito! Inoltre, di polita sapevo bene poco, e a parte rispondere
“non lo so”
non stavo riscuotendo molto successo.
<< Isabella,
andiamo? >> domandò Edward, inchinandosi
nuovamente ai miei due nuovi “amici”.
Feci “sì” con la testa e cercai di
muovermi, ma qualcosa me lo impedì.
Era come se i miei
piedi fossero incollati a terra, cementati. Tutto intorno a me perse
colore,
diventando come un film in bianco e nero. Riuscivo ancora a notare il
rosso del
mio abito, o il verde scuro di quello del conte, proprio dinanzi a me
sulla
soglia, ma tutto il resto era immobile, incolore. Mi venne stupidamente
in
mente il potere di bloccare il tempo di Piper Halliwel – una
delle protagoniste
del telefilm Streghe, che amavo
moltissimo guardare con Angela. All’improvviso,
però, percepii il gelo
avvolgermi tutto il corpo, e una morsa ferrea stritolarmi il collo. Non
riuscivo a capire come fosse possibile. Nessuno era accanto a me,
nessuno si
stava muovendo, eppure percepivo fin troppo bene il senso di
strangolamento.
<< Parliamoci
chiaro, Isabella. >> disse il conte, muovendosi verso di
me.
Aveva le braccia
conserte e camminava lentamente, fissandomi con i suoi occhi scuri.
Erano
arcigni, vigili e cattivi. E fissi su di me.
<< Sono
passati dieci anni dall’ultima volta che ti ho vista, anche
se per te sono
passati solo pochi giorni. Le cose cambiano in dieci anni, ragazzina,
mi hai
capito bene? Tu non sei nessuno e questo è il mio
cerchio, la mia
missione, la mia loggia. E tu
seguirai le mie regole, sono stato
chiaro? >> avrei voluto rispondere, ma la paura e il
senso di
soffocamento me lo impedivano. Il conte, tuttavia, non
prestò attenzione a
tutto questo. Al contrario, lo reputò una mancanza di
rispetto nei suoi
confronti. Aumentò la presa – anche se non
riuscivo a capire come tutto ciò fosse
possibile – e urlò rabbioso.
<< Non
mancarmi di rispetto, ragazzina! Rispondi: mi hai capito?
>>
<< S… sì. >>
riuscii a dire, e tutto cessò all’istante.
<< Isabella,
allora? Ti muovi? >> chiese Edward, avvicinandosi a me
<< Ma stai
bene? Sei cadaverica. >> tentai di dire qualcosa, ma
avevo la gola secca.
Tremavo tutta, dalla punta dei capelli alle dita dei piedi. Quando
incrociai lo
sguardo del conte, che mi fissava incuriosito – ma con un
sorrisetto strano
sulle labbra – capii che non ero pazza. Tutto quello che
avevo visto,
avvertito, era successo realmente.
<< Isabella!
>> mi chiamò Edward, ancora una volta.
Incrociai i suoi occhi verdi e
notai… preoccupazione.
Era possibile
pensare che lui, Edward Cullen, fosse preoccupato per me?
<< Noi
andiamo o faremo tardi, vero Isabella? >> disse,
afferrandomi la mano
<< Conte, Lord Masen… Sir.
Rákóczi. >> salutò
Edward, prima di
trascinarmi via.
La sua mano era
calda, morbida; le sue dita erano ferree, ma al contempo delicate e
gentili.
Raggiungemmo la
carrozza, che ci avrebbe riportato a Temple, e salimmo in fretta.
Secondo
Edward avevamo meno di quanto pensassimo. Tra mezzora avremmo compiuto
il salto
di ritorno.
<< Bella, ma stai
bene? >> domandò,
poggiandomi una mano sulla fronte << Sei cadaverica, che
diavolo ti è
successo? Quando sono entrato nella stanza eri normale.
>>
Cosa avrei dovuto
rispondergli? Che ero diventata pazza, forse? Che il conte, il suo
grande e
amato conte, non si sa come mi aveva minacciata?
Intimorita e quasi strangolata? E tutto questo senza nemmeno fare un
passo né,
tanto meno, alzare realmente le mani su di me. Mi sentivo presa in
giro,
violata quasi. E una domanda non la smetteva di ronzarmi in testa: cosa
diavolo
era successo?
<< Isabella!
>>
<< Cosa c’è?
>> urlai, prendendomela con Edward che, alla fin fine,
non c’entrava
niente.
<< Si può
sapere che diamine ti prendere? >>
<< Il conte
ha… Cosa ti ha detto di me? >> domandai, ma il
suo tornare sulla
difensiva mi fece capire che non aveva alcuna intenzione di parlarne.
<< Io mi
preoccupo per te e tu infili il tuo grazioso naso in cose che non ti
riguardano? >>
<< Il mio
naso è grazioso? >> mi sentii dire, senza
riflettere. Edward, dal canto
suo, sorrise stranamente sincero. Restai allibita, per un attimo. Non
mi aveva
mai sorriso in quel modo.
<< Sì, hai un
naso molto grazioso. >> rispose, toccandomene la punta.
Mi tirai indietro
più per difesa che per altro. Da quando aveva cominciato ad
essere… gentile?
<< Allora,
vuoi dirmi che c’è? >> chiese,
tornando al suo posto << Sembra che
tu abbia visto un fantasma. >>
<< Un
vampiro, al massimo. >> mormorai, sospirando pesantemente.
<< Come
scusa? >>
<< Sì, quel
tipo… Rákóczi! Credo sia un vampiro.
>>
<< I vampiri
non esistono, sciocchina.
>>
disse, alzando gli occhi al cielo.
<< E tu come
lo sai, scioccone? >>
domandai,
incrociando le braccia sotto il seno.
<< Viaggio
nel tempo da due anni, non credi che tra tutto quello che ho scoperto
ne avrei
incontrato almeno uno o, comunque, sentito parlare? >>
<< Sei sempre
il solito so-tutto-io, non c’è che dire.
>> dissi, sbuffando e lo vidi
ridere.
<< Almeno hai
ripreso colorito. Prima lo sembravi tu, un vampiro. >>
distolsi lo
sguardo dai suoi occhi e mi morsi il labbro, affinché non
notasse il mio
rossore aumentare.
Per i minuti
seguenti tornai a rimuginare su quello che era successo. Mi sentivo
intontita e
anche molto stanca, come se mi fosse passato sopra un treno. Non vedevo
l’ora
di sdraiarmi.
<< Guarda,
siamo ad Hyde Park. >> disse Edward, riscuotendomi dai
miei angoscianti
pensieri. Feci come mi aveva detto e spostai lo sguardo fuori dal
finestrino.
Il parco era fantastico… E con quell’aria di
pulizia era mille volte meglio di
come risultava nel nostro tempo. Era sempre un bel parco, anche nel
2011,
pulito e ben tenuto, ma non c’era paragone con questo
spettacolo.
<< Aspetta un
secondo! >> strillò Edward, improvvisamente
<< Hyde Park? È
impossibile! Siamo dalla parte opposta di Temple! >> mi
voltai di scatto
verso di lui e lo vidi affacciarsi per parlare col cocchiere.
<< Edward,
cosa succede? >>
<< Non lo so,
Zackary ha detto che qualcuno, fuori dalla casa di Lord Masen, gli ha
detto di scordarci
fuori Hyde Park per incontrarci. >>
<< Cosa? E
chi? >>
<< Non lo so,
ma questa storia mi puzza. >> disse, guardandosi intorno
<< Ma
qualunque cosa succeda dovrai darmi ascolto. Hai capito, Isabella?
>>
<< Ma non
capisco… >>
<< Dimmi se
hai capito! >> urlò, facendomi spaventare.
<< Diamine
sì, ho capito! >> strillai più
forte di lui, proprio poco prima che la
carrozza venisse assaltata.
Edward mi arrivò
addosso, coprendomi col suo corpo e mi tenne giù la testa.
<< Stai qui,
mi hai capito? >> urlò, prima di scendere
dalla carrozza ormai ferma.
<< Edward!
>>
<< Stai là!
Non uscire per alcun motivo! >> urlò uscendo
dalla carrozza, per poi
richiuderla subito e con forza. Il caos scoppiò
immediatamente.
Ero rannicchiata
sul sedile, con le mani sopra la testa, come a coprirmi. Sentivo gli
spari – o
almeno, quelli che sembravano spari – e diversi rumori.
Sembravano quelli di
una colluttazione, di un corpo a corpo. Quando percepii qualcuno
capitolare a
terra mi issai sui gomiti e cercai di scendere dall’uscita
laterale di
sinistra. Dovevo avere coraggio. Presi un respiro profondo e portai la
mano
sulla maniglia. La paura, però, mi immobilizzò. Edward ha detto che devo restare nella carrozza.
Perché voglio scendere
allora?, mi domandai mentalmente, percependo il mio cuore
esplodere.
Il tutto sfumò
quando sentii chiaramente l’urlo di Edward. Senza
più pensarci, mi catapultai
fuori, facendo attenzione. Per poco non calpestai un uomo –
vestito
completamente di nero – che si trovava steso a terra, privo
di sensi. Mi
sposati cautamente e trovai il corpo di Zackary, il nostro cocchiere,
riverso a
terra in una pozza di sangue.
Mi tappai la bocca
per non urlare o svenire; il sangue non lo avevo mai sopportato.
Superai i cavalli
che, nonostante il putiferio che era venuto a crearsi, restavano fermi
a
composti al loro posto. Notai che per terra, vicino a Zackary,
c’era un
fioretto. Lo afferrai, e proseguii per la mia strada. Davanti ai miei
occhi si
manifestò un film che mai avrei voluto vedere: Edward stava
lottando con due
uomini armati di pistola. Riuscì a metterne fuori gioco uno,
ma nel farlo fu ferito
ad un braccio e cadde all’indietro. L’assalitore
gli puntò la sua spada sul
petto e parlò.
<< Arrenditi!
E forse prolungherai di qualche istante la tua vita! >>
<< Mai,
dannato! >>
<< E allora
muori, maledetto! >> urlò puntando la lama sul
petto di Edward che sgranò
gli occhi, venendomi sul campo di battaglia.
Senza sapere bene
cosa stessi per fare, afferrai il fioretto con entrambe le mani e
portai la
sottile lama in alto, dopodiché la conficcai nella schiena
dell’uomo vestito di
nero.
Lo penetrò come se
fosse burro, facendolo accasciare a terra, urlante e sanguinante.
<< Che
diavolo stai facendo? >> urlò Edward,
alzandosi. Venne verso di me e mi
disarmò << Cosa ti avevo detto? Dovevi restare
nella carrozza,
dannazione! >>
<< L’ho
ucciso, vero? L’ho ammazzato! >> urlai,
tremando come una foglia.
<< No, sta
ancora respirando, il bastardo. >> sibilò
Edward, ruotandolo con un piede
<< Chi ti ha mandato? E cosa volevi da noi?
>>
<< Non lo so.
>> rispose flebile e poi perse i sensi.
<< L’ho
ucciso! >> strillai, scossa da mille brividi di paura
<< Oddio,
oddio, oddio! >>
<< Bella!
Guardami! >> urlò Edward, scuotendomi per le
spalle << Hai fatto la
cosa giusta! Avrebbe ucciso me e poi te, ok? >>
<< Ma l’ho
ucciso! L’ho affettato come burro! >>
<< Come… Oh,
diamine, Isabella! Riprenditi! >> urlò
esasperato.
Improvvisamente
tutta la luce del giorno scomparve. Era sera quando riaprii gli occhi,
dopo
aver avvertito una leggera pressione sulla stomaco. Scivolai a terra,
troppo
stanca per reggermi sulle gambe.
<< Isabella!
No, non cedere adesso. >> disse Edward, sostenendomi
<< Siamo
tornati a casa, è il 2011, va bene? Adesso riprenditi, per
favore. >>
<< Ho ucciso
un uomo. >>
<< Mai
sentito parlare di legittima difesa? >>
domandò, trascinandomi lungo la
strada.
Era sera, l’aria
fresca non mi avrebbe fatto altro che bene. Tutta la gente ci guardava,
parlottando tra essa, probabilmente a causa del nostro inusuale
abbigliamento.
<< Che
disastro. >> sibilò Edward tra i denti. Mi
teneva stretta per la vita,
con il braccio sinistro, mentre con la mano destra mi sosteneva il
gomito
sinistro.
<< Stai
sanguinando. >> riuscii a dire, non sapendo nemmeno io
come.
<< È solo un
graffio, mi farò medicare dal dottor Black. Tu piuttosto,
come ti senti?
>>
<< Meglio,
credo. >> risposi ed era vero, all’incirca.
Anche Edward percepì che
fossi sincera, perché mi lasciò andare e
cominciò a sbraitarmi contro.
<< Te lo
ripeto, Isabella! Dovevi restare in carrozza, ma cosa diavolo ti
è saltato in
mente? Potevano ucciderti! Quando ti ho vista dietro quel tipo per poco
non mi
è preso un infarto! Sei stata la solita
imprudente… >>
<< Oh,
andiamo! E piantala! Perché non ammetti che se non ci fossi
stata io avrebbero
ritrovato solo il tuo insulso cadavere ad Hyde Park!? Ti ho salvato la
vita, non
ce la fai proprio a dire grazie? >>
<< Sei stata
un’imprudente! >> strillò ancora
<< Ma anche molto coraggiosa.
Grazie… Ti devo la vita. >> disse a bassa voce
e tutto d’un fiato.
Sorrisi, sapendo che dovevo accontentarmi di quello.
<< Cosa
facciamo adesso? >> domandai, cominciando a sentirmi
male. Ero nervosa e
spaventata, agitata e terrorizzata… La nausea stava per
avere il sopravvento.
<< Dobbiamo
raggiungere un negozio, cercare un telefono. Non lo so! Ma dobbiamo far
sapere
a Mr. Dwyer dove siamo affinché ci possa venire a prendere.
>>
<< Mi viene
da vomitare. >>
<< Oh, santo
cielo, no! Dai, Isabella, per favore… Un ultimo sforzo.
>> annuii,
appoggiandomi a lui, affinché non perdessi i sensi a causa
della pressione che,
sfortunatamente, si stava abbassando sempre di più.
Trovammo
un
telefono solo una ventina di minuti dopo. Edward chiamò suo
padre affinché
mandasse qualcuno a prenderci. I soccorsi – se
così si potevano chiamare –
arrivarono dieci/quindici minuti dopo.
<< Ragazzi,
ci siamo preoccupati non vedendovi tornare! Oh, santo cielo, Isabella
sembra un
lenzuolo e lei, Edward, è ferito! Ma cosa accidenti
è successo? >> urlò
agitato Mr. Dwyer, facendoci salire sulla limousine nera.
<< Una
trappola, ad Hyde Park. Ci hanno assaltati e hanno ucciso il povero
Zackary.
>> rispose Edward, sprofondando sul sedile di pelle nera.
<< Ho ucciso
un uomo. >> sussurrai, probabilmente ancora sotto shock.
<< Come? Cosa
ha fatto? E come glielo spiego a sua madre? >> disse Mr.
Dwyer,
asciugandosi la fronte con un fazzoletto di stoffa.
<< Le avevo
detto di restare in carrozza, ma… >>
<< E non
ricominciare, santo cielo! Ti stava ammazzando, cosa avrei dovuto fare?
Rimanere lì e godermi lo spettacolo? >>
sbottai, irritata dal suo
comportamento.
<< Isabella è
molto stanca, Mr. Dwyer. >> disse Edward, ignorando le
mie urla <<
Portiamola a casa, farà a me tutte le domande del caso.
>>
<< Ma il
protocollo dice… >> tentò di
controbattere Mr. Dwyer, ma Edward lo
interruppe.
<< Risponderò
io alle domande, Mr. Dwyer! >> urlò Edward,
terrorizzando il povero Phil
<< Non vede che è sottoshock? Portiamola a
casa. Verrò io alla loggia e
spiegherò tutto quello che è accaduto.
>> disse fermo, facendomi un
sorriso sghembo che mi mandò in cortocircuito il cervello.
<< Va bene,
Edward. Ha ragione. >>
Il viaggio quasi
non lo sentii. Forse mi ero addormentata, oppure il mio cervello mi
aveva
avvolta in una sorta di annebbiamento temporaneo. Non lo sapevo, ma ne
ero
contenta.
<< Grazie
ancora, Bella. >> sentii dire a qualcuno, che dalla voce
sembrava Edward
<< Ci vediamo domani, dormi bene. >>
<< Buona
notte. >> sussurrai, incerta che mi avesse sentita.
Una volta scesa
dalla macchina, tutto si fece scuro e pesante. Sprofondai in un buco
nero,
stremata. E per un po’ non riemersi.
La storia sta
decisamente entrando nel suo vivo. Il conte di Saint Germain si
presenta molto diverso dalla volta precedente, questo è
dovuto agli anni che, almeno per lui, sono passati. Cosa
sarà successo in dieci anni, quindi? E la sensazione che
prova Isabella nello studio di Lord Masen, sarà vera o solo
suggestione? Il capitolo è abbastanza avventuroso... Assalti
di carrozze, combattimenti, omicidi... Edward sembra essere cambiato,
almeno un po', nei confronti di Bella. Sarà un cambiamento
permanente? In fin dei conti, la ragazza gli ha salvato la vita...
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo di questa storia.
Avete visto la nuova grafica di Efp? Cosa ne pensate? Sinceramente a me
non fa impazzire XD magari devo solo abituare l'occhio, boh!
Comunque, bando alle ciance e buona lettura! . .
12.
« Tutti
desiderano possedere la conoscenza, ma relativamente
pochi sono disposti a pagarne il prezzo. » Decimo
Giunio Giovenale. .
Mi
sentivo
stranamente riposata. Nonostante questo, però, non avevo
alcuna intenzione di
aprire gli occhi o, peggio ancora, uscire da quelle calde e morbide
coperte.
Doveva essere mattina inoltrata, comunque, perché i raggi di
sole – deboli a
Londra, ma comunque bene accetti – entravano dalla finestra,
posandosi sul mio
viso. Tutto il peso e la paura del giorno prima, però, mi
ripiombarono addosso
nell’istante esatto in cui la mia mente lasciò il
mondo onirico e ritornò alla
realtà.
Mi issai a sedere
sul letto, a gambe incrociate, di colpo. Avevo gli occhi sgranati e
cominciai a
guardarmi intorno. Mi trovavo in camera mia, ma non avevo la
benché minima idea
di come ci fossi finita. Grazie ancora,
Bella. Ci vediamo domani, dormi bene. Quella fu la prima
frase che mi
vorticò in testa, quella mattina. Ma chi l’aveva
pronunciata? E grazie per
cosa?
<< Finalmente
ti sei svegliata, tesoro. >> sussurrò mia
madre, entrando nella mia
stanza.
<< Mamma…
>> sussurrai, cercando di capire cosa ci facesse a casa.
<< Come ti senti?
>> domandò, accomodandosi ai piedi del letto
<< Ieri mi hai
spaventata, sai? Mr. Dwyer sosteneva che fossi solo molto stanca, per
questo
avevi perso i sensi. La cosa non mi ha tranquillizzata molto, e nemmeno
a tuo
padre. >>
<< Mi ha
riportato Mr. Dwyer a casa? >> chiesi, scoprendo di
ricordare poco o
niente della passata giornata.
<< Lui e quel
ragazzo… Edward, sì. >> rispose,
accarezzandomi una guancia.
Tutto ciò che avevo
rimosso ritornò prepotentemente davanti ai miei occhi: la
visita a casa del conte,
il viaggio da Lord Masen, lo strangolamento
“fantasma” di Aro, per non parlare
dell’attacco e…
<< Oddio, ho
ucciso un uomo. >> sussurrai, guardandomi le mani. Cosa
stavo cercando?
Forse, qualche traccia di sangue?
<< Lo so,
piccina, lo so. >> disse mia madre, avvicinandosi a me.
Mi abbracciò,
cullandomi dolcemente << Non è stata colpa
tua. Carlisle, ieri sera, ci
ha chiamati e ci ha spiegato tutto… Lo avevo detto che
andare da quel conto non
era una buona idea, ma nessuno mi ha dato retta! Ma tu non hai fatto
niente,
bambina mia… >> continuò,
lisciandomi i capelli con le dita << Era
una trappola, un’imboscata, per uccidere te e il tuo compagno
di viaggio nel
tempo. Hai fatto la cosa più giusta, mi hai capita bene?
>> annuii,
cercando di assimilare le sue parole nel migliore dei modi.
Restai lì, tra le
braccia di mia madre, per diversi minuti. Era da molto tempo che non mi
sentivo
più così amata e protetta… Forse ero
solo una stupida. Insomma, avevo
diciassette anni e ancora cercavo conforto nell’abbraccio
della mamma? Le mie
domande mentali non trovarono risposta perché il mio stomaco
cominciò a
brontolare.
<< Direi che
il tuo stomaco sta reclamando cibo. >>
sussurrò Renée, alzandosi, e
cominciò a sghignazzare << Credo sia normale,
non mangi da ventiquattro
ore, più o meno. >>
<< Come,
scusa? Ma che ora è? >> chiesi, cercando le
pantofole e mi alzai dal
letto.
<< Sono da
poco passate le due del pomeriggio, cara. >> rispose,
aprendo la porta,
ed uscì.
Restai sulla soglia
per qualche minuto. Le due del pomeriggio? Ma quanto cavolo avevo
dormito?
Avvertii la mamma che sarei andata a sciacquarmi la faccia, prima di
scendere
di sotto. Lei annuì e mi incitò di non metterci
troppo.
Guardandomi allo
specchio per poco non mi venne un colpo. Ero mostruosa! I capelli
sembravano
una matassa irrisolta, gli occhi erano lucidi e gonfi, e sul viso
c’era un
pallore quasi innaturale. Aprii l’acqua gelida e me la gettai
in faccia,
cercando di cambiare quel riflesso. Il risultato, purtroppo, non
mutò molto;
avevo ripreso, almeno, un po’ di colore sulle gote.
Una volta indossata
la mia tuta lilla, con dettagli neri, ed essermi legata i capelli in
una coda
di cavallo alta, scesi di sotto. La casa era stranamente silenziosa.
<< Eccomi,
mamma. >> dissi, entrando in cucina.
Non la usavamo
molto spesso per mangiare. Secondo Lady Lillian, la sala da pranzo era
più
indicata da utilizzare, in una famiglia altolocata che si rispettasse.
Quando
volevo farmi uno spuntino o, quelle rare volte, quando eravamo da sole
senza le
tre arpie, pranzavamo in quella stanza.
<< Ti vedo
meglio, tesoro. >> disse Renée,
apparecchiandomi un lato del tavolo
<< Spero tu abbia fame, Jane ti ha fatto lo spezzatino.
Quello piccante
che piace a te! >>
<< Ma dove
sono tutti gli altri? >>
<< Tanya è
ancora scuola, Victoria è andata a fare shopping con qualche
sua amica, non so…
>> rispose, senza fermarsi un secondo <<
Tuo padre è a lavoro, sai
che non torna a casa prima delle sei di sera. >>
<< Sì, ma la
nonna e la prozia Jenna? >> domandai, prendendo posto.
L’odore dello
spezzatino piccante di Jane – la nostra cuoca e domestica
tutto fare –cominciò
a solleticarmi il naso e lo stomaco.
Mi passai la lingua sulle labbra, notando di avere davvero una
grandissima
fame.
<< Tua nonna
è momentaneamente a Temple, non so a fare cosa.
Sinceramente, nemmeno me ne
importa… Sai che non amo quella gente. >>
disse, aprendo una bottiglia di
acqua frizzante e si accomodò di fronte a me.
<< E la
prozia? >>
<< È di sopra
a guardarsi qualche telenovelas. >> rispose, scoppiando a
ridere <<
Sai che è patita di queste cose! >> annuii
sorridendo e cominciai a
mangiare.
Per essere precisa,
divorai tutta la pentola. Ero veramente affamata.
Durante tutto il
pranzo, comunque, non smisi nemmeno un per un secondo di pensare alla
giornata
precedente. Che mi fossi solo sognata lo strangolamento del conte?
Insomma,
come avrebbe potuto essere possibile, una cosa del genere? Eravamo a
due metri
di distanza e poi tutto aveva perso colore; le sue mani gelide attorno
al mio
collo…
Rabbrividii,
pensando di essere pazza.
Era un evento che
in quella maestosa casa non ci fosse nessuno, eccetto noi –
domestici a parte.
Era un’occasione troppo ghiotta per non approfittarne.
<< Mamma,
posso farti una domanda? >> chiesi, mettendo piatto e
bicchiere nella
lavastoviglie.
<< Certo,
chiedi pure. >> rispose, sorseggiando il suo bicchiere di
Pinot Noir.
<< Perché il
conte non ti piace? >> iniziai a domandare, tornando a
sedermi di fronte
a lei << Insomma, non lo hai mai conosciuto, no?
È morto già da un po’ di
tempo, a meno che tu non sia un viaggiatore, non puoi conoscerlo.
>>
<< Ho letto
molto su di lui, Bella. >> rispose, finendo il suo
bicchiere in un colpo
solo << E non mi piace quello che ho letto; non mi piace
lui. Tutte le
sue idee, le sue profezie… Devi stare attenta a
quell’uomo, Bella, mi hai
capita? Non fidarti di lui, mai. Per nessun motivo. >>
<< Cosa sai
di lui? Cosa hai letto, mamma? >>
<< Nulla che
debba riguardarti da vicino. >> disse, versandosi un
altro bicchiere
<< Ma dammi retta, non è un uomo affidabile.
>>
<< Edward è
convinto di sì. >> controbattei, ricordando in
che modo lo guardasse e
rispettasse << Si capisce benissimo che lui si fida del
conte di Saint
Germain. >>
<< Tutta la
famiglia Cullen si fida lui; tutta la loggia, anzi. Ciò non
vuol dire che
quelle persone ripongano bene la loro fiducia. >>
affermò, riprendendo a
sorseggiare il suo bicchiere di vino << Perché
mi fai queste domande? Ha
forse fatto qualcosa di strano?
>> la sua domanda mi lasciò interdetta,
soprattutto l’ultima parola
usata. Cosa si nascondeva dietro alla facciata educata e rispettosa del
conte?
E, cosa più importante, come faceva mia madre a sapere
così tanto su di lui?
<< Perché
aiutasti Rosalie ed Emmett a rubare il cronografo? >>
chiesi a brucia
pelo, facendole sgranare gli occhi << Lo so che li hai
aiutati. Eri
l’unica ad avere il passepartout delle chiavi di nonno Royce.
Sì, mi hanno
anche rivelato che era lui il Gran Maestro della loggia, prima di
Carlisle.
Perché non so nulla di queste cose? Perché non mi
hai mai detto nulla? >>
mi resi conto che la mia voce si era alzata di qualche
tonalità, nonostante non
fosse mia intenzione urlare. Comprendevo, però, che mia
madre sapesse molto più
di quello che mi diceva, e la cosa mi faceva imbestialire. Ero la
dodicesima
viaggiatrice, no? Perché continuare a tenermi allo scuro di
tutto, facendomi
passare per una totale incompetente?
<< Ho aiutato
Rosalie ed Emmett perché era giusto farlo. >>
rispose calma,
direzionandosi verso il lavandino, con il bicchiere vuoto in mano
<< Ma
non è compito mio spiegarti tutto, Bella. Posso solo
indirizzarti, ma… >>
si guardò intorno e scattò verso di me, facendomi
quasi saltare per aria.
Quando ricominciò a parlare, sussurrò talmente
piano che feci fatica a capirla,
quasi << Non puoi sapere niente di tutto quello che
vorresti sapere. Devi
essere a conoscenza solo di tutto quello che sanno gli altri
viaggiatori o
Guardiani, né più né meno. Il conte
è subdolo, bambina mia, lui ti entra in
testa quando non te lo aspetti! Non può trovare informazioni
nella tua mente,
arriverebbe a fare cose impensabili… >>
concluse, alzandosi per tornare
in posizione eretta. Mi baciò la fronte e uscì
dalla cucina, lasciandomi con
più domande e dubbi di prima.
Per una frazione di
secondo restai immobile, come se fossi stata catapultata via dal mio
corpo,
improvvisamente. Mia madre, per la prima volta in tutta la mia vita, mi
aveva
spaventata. Il conte è subdolo, ti
entra
in testa quando non te lo aspetti…, quella frase
continuò ad echeggiarmi in
testa per tutto il giorno.
Verso
le quattro
del pomeriggio venni scortata a Temple, per la solita trasmigrazione.
Mi portai
dietro gli esercizi di trigonometria e un libro di letteratura, tanto
per
leggere un po’.
Quando varcai la
grande soglia della loggia, una calma innaturale mi avvolse di colpo.
Era
sempre così, qui. Era come se quel grande castello
– la loggia, appunto – si
trovasse in una dimensione tutta sua; come se nulla, delle faccende
esterne,
potesse toccare quel posto o la gente che ne faceva parte. Era irreale.
<< Salve,
cara. >> disse Esme, accogliendomi con il suo caloroso
sorriso <<
Hai riposato bene? >>
<< Sì,
signora Cullen, grazie. >> risposi, seguendola
affinché mi scortasse
nella solita sala del drago.
<< Suvvia,
Isabella, chiamami pure Esme! >> protestò,
senza perdere il suo solare
sorriso << Mi fai sentire più vecchia di
quello che sono, altrimenti.
>>
<< D’accordo
Esme, grazie dell’interessamento. >> dissi,
dopodiché calò il silenzio.
Stranamente, quel
pomeriggio, c’era più via vai del solito. Molta
gente che, prima di allora, non
avevo mai visto, andava avanti e indietro per i lunghi corridoi. Che ci
fosse
qualche problema? Non riuscii a darmi una risposta, perché
Mr. Dwyer comparì
dinanzi a noi.
<< Oh,
Isabella! Come sta? >>
<< Bene, Mr.
Dwyer, grazie… >> risposi, ma venni interrotta
all’istante proprio da
lui.
<< È puntuale
come un orologio svizzero, Isabella, oggi! Stavo proprio venendo da
lei, lo sa?
>>
<< Da me?
>> chiesi, alzando un sopracciglio. Possibile che non
potessi riposare
nemmeno qualche ora in più? Dannato gene-portatore!
<< Grazie
mille per averla portata fin qui, Esme. >> disse Mr.
Dwyer, porgendomi il
braccio, che afferrai senza troppi indugi. Se avevo capito una cosa, di
recente, era quella di non controbattere nessuno e fare poche domande.
<< Isabella,
oggi dovrà fare un salto nel tempo insieme ad Edward.
>> spiegò Mr.
Dwyer, accompagnandomi da Alice.
<< Cosa?
Come? Perché? >> ok, dovevo ammettere che la
faccenda delle domande non
mi era ancora entrata totalmente in testa.
<< Questa
mattina, Edward, si è recato da Elena Gilbert, per prendere
il suo sangue sotto
ordine del conte di Saint Germain… >> quel
nome mi fece venire la pelle
d’oca << C’è stato un
piccolo inconveniente, purtroppo. >>
<< Che genere
di inconveniente? >> domandai, cercando di portare la
conversazione più
lontana possibile da quel dannato conte.
<< Lady
Gilbert si è rifiutata di dare il suo sangue al giovane,
richiedendo della sua
futura nipote. >> spiegò, fermandosi davanti
alla porta della sartoria, e
spostò gli occhi su di me << E cioè
lei, mia cara Isabella. >>
<< Io?
>> chiesi, sentendomi una cretina << Ma le
avete spiegato che io
non sono Tanya, ma Isabella? Sono un impiastro in queste cose.
>>
<< Il
problema, Isabella, è
che ha fatto
precisamente il tuo nome. Lady Elena Gilbert ha espressamente detto di
voler
conoscere il corvo, quale Isabella Marie Swan. >> rispose
qualcuno alle
mie spalle. Mi voltai di colpo, trovandomi davanti la faccia
più stanca che
avessi mai visto in vita mia.
Il ragazzo che si
trovava di fronte a me, era cadaverico. Il viso era quasi cereo, con
profonde
occhiaie violacee. Nonostante quello, però, era sempre
indubbiamente
bellissimo.
<< Ma hai
dormito? >> domandai, non riuscendo a trattenermi
<< Un vampiro
sarebbe più vivo di te, al momento. Hai un aspetto orribile,
Edward! >>
<< Buon
pomeriggio anche a te, eh! >> disse, sistemandosi la sua
giacca nera con
leggeri ricami << Comunque no, non ho dormito affatto,
contenta? Sono
stato tutta la notte a rispondere a centinai di domande,
dopodiché sono andato
a casa, mi sono fatto una doccia veloce, e sono tornato qui per andare
da Lady
Gilbert, peccato che ho fatto un viaggio a vuoto. >>
concluse, sbuffando.
<< Uhm, mi
dispiace… >>
<< Oh,
tranquilla, ci sono abituato. Allora, Mr. Dwyer, la mandiamo a cambiare
o
dobbiamo restare qui tutto il pomeriggio? >>
<< Oh, sì! Ha
ragione, Edward! >> rispose Mr. Dwyer, aprendo la porta.
Come al solito, era
tutto sottosopra. Stoffe, perline, scarpe… Quando Alice
cominciava a creare non
la fermava più nessuno.
<< E non sai
com’è la sua stanza a casa…
>> sussurrò Edward, avvicinandosi a me come
mai prima. Sentire il suo fiato sulla mia pelle mi fece
rabbrividire… Chiusi
leggermente gli occhi, sperando di riprendere un certo contegno.
<< Miss
Brandon! >> la chiamò Mr. Dwyer, e un folletto
sbucò dal mucchio di pizzi
sparsi per tutto il pavimento.
<< Eccomi! Il
vestito di Bella è prontissimo. >>
parlò Alice, come se quella stanza
fosse stata l’ordine fatto ad oggetto.
<< Non
capisco una cosa, però. >> dissi di getto,
senza pensare se quella
osservazione avrebbe potuto crearmi problemi o meno <<
Come faceva a
sapere Lady Gilbert che sono io la
dodicesima viaggiatrice e non Tanya? >>
<< È
esattamente quello che ci stiamo chiedendo tutti. >>
risposi Edward,
fissandomi con sguardo indagatore.
<< Non
penserai che c’entri qualcosa, mi auguro. >>
replicai, stizzita.
<< Coda di
paglia, forse? >> domandò, facendomi il suo
sorrisetto da stronzo.
<< Adesso
basta, ragazzi, ok? >> si intromise subito Mr. Dwyer
<< Edward, è
ridicolo che la ragazza possa essere responsabile di questo, intesi?
Inoltre,
cortesemente, si ricordi che le ha salvato la vita! Siete entrambi
molti
stanchi, Isabella più di lei visto che questo è
un mondo tutto nuovo, può comportarsi
come una persona matura? >>
<< Ha
ragione, Mr. Dwyer. >> rispose Edward, calmandosi
all’istante <<
Scusa, Isabella, non era mia intenzione mettere in dubbio la tua
parola.
>> restai ammutolita. Possibile che facesse sul serio? Ma
che problema
aveva, poi? Riusciva a cambiare personalità, atteggiamento,
nel giro di mezzo
secondo? Dove finiva la verità e cominciava la
falsità, nei miei confronti?
<< Va bene,
adesso uscite tutti! >> urlò Alice, arrivando
davanti a noi <<
Preparo la nostra Bella, così sarete pronti per andare!
>> cacciò fuori i
due uomini, per poi tornare da me, sorridente come sempre.
<< Ti ho
preparato un abito fantastico! È blu! Quel colore ti dona
moltissimo, lo sai?
>> cominciò a parlare a macchinetta,
prendendomi sotto braccio, e mi trascinò
al centro della stanza.
L’abito che aveva
scelto per me era davvero molto bello e, grazie al cielo, per niente
pomposo.
Alice mi informò che saremmo saltati nel 1912, e in quel
periodo gli abiti
erano più sobri. Era un vestito da passeggio, composto da
corpino e gonna,
realizzato in raso di seta blu, ricamato con paillettes, jet e
marcassiti.
Sulle spalle cadeva una leggera mantellina, realizzata in pizzo
meccanico color
burro.
I capelli, a
differenza delle volte precedenti, erano lasciati più
liberi. Alice, infatti,
mi aveva fatto una leggera treccia, lasciata piuttosto morbida lungo la
schiena, tenendo alcuni ciuffi ribelli all’indietro con un
fermaglio a
farfalla.
<< Sei
incantevole come sempre, Bella. >> disse, passandomi un
leggero strato di
cipria sulle guance.
<< Merito
tuo, Alice. >>
<< Sì, ma ho
anche un’ottima base su cui lavorare! >>
rispose, facendomi l’occhiolino
<< Sei pronta, Bella! Puoi andare. >> le
diedi un bacio sulla
guancia e raggiunsi la sala del drago, dove tutti mi stavano
aspettando.
Quando varcai la
soglia, trovai tutti i Guardiani conversare in modo piuttosto acceso.
Carlisle,
come al solito, discuteva con il dottor Black; Mr. Dwyer sfogliava
qualcosa –
forse gli Annali – parlottando con Mr. Saltzman; Edward, dal
canto suo,
continuava a fissare l’orologio impazienze.
Chiusi la porta
alle mie spalle, piuttosto rumorosamente, e mi avviai al centro della
stanza.
<< Era ora.
>> sentii mormorare ad Edward. Mi voltai, fulminandolo
con lo sguardo.
Possibile che tutta la gentilezza del giorno prima fosse sparita con il
sorgere
del nuovo giorno? Evidentemente sì.
<< Isabella
ha finito, possiamo andare. >> parlò Mr.
Dwyer, avvicinandosi a me.
Sbuffai, notando
che estraeva qualcosa dalla giacca: la solita benda nera.
<< Possibile
che non vi fidiate ancora di me? >> chiesi, guardandoli
uno ad uno
<< Non ho alcuna intenzione di sabotare questa missione,
ok? Non ruberò
il cronografo né qualsiasi altra cosa vi passi per la mente.
>>
<< Questo lo
dice lei, però. >> replicò il
dottor Black, alzando un sopracciglio. Non mi
crede…, pensai. Nessuno
mi crederà mai.
<< Billy,
basta con questa storia. >> disse Carlisle, sbuffando
leggermente.
<< Nemmeno a
me piace saperla bendata, Isabella… >> si
intromise Mr. Saltzman,
parlando direttamente a me << Ma è una
questione di sicurezza che, sono
sicuro, si risolverà prima di quanto pensa. >>
sospirai, capendo che non
c’era nulla da fare.
Mi voltai, affinché
Mr. Dwyer mi allacciasse la benda scura alla nuca. Tutto
diventò scuro, come
ogni volta. Venni trascinata attentamente lungo quegli infiniti
corridoi e nei
sotterranei che, a causa della mia procurata cecità, non
sapevo dove fossero
ubicati.
<< Io e
Carlisle ci avviamo avanti. >> sentii dire a qualcuno
che, dalla voce, mi
sembrava Mr. Saltzman << Vi aspettiamo nella stanza del
cronografo… No,
Edward, tu verrai con Isabella. Phil potrebbe avere bisogno di te.
>>
qualcuno sbuffò, e poi calò il silenzio.
Non riuscivo ad
orientarmi e la cosa mi procurava sempre non poca ansia. Insomma, cosa
sarebbe successo
se ci fosse stato un altro assalto e io sarei dovuta rientrare da sola,
alla
loggia? Nessuno sembrava esseri sposto questo domanda.
Dalla sala del
drago avevamo compiuto due svolte a destra, poi una a sinistra; eravamo
scesi
per una lunga rampa di scale, per poi svoltare nuovamente a sinistra.
Il mio
orientamento, però, si fermava qui. Il vuoto e lo
smarrimento era tutto ciò che
ne seguiva.
<< Edward,
gentilmente, può scortare Isabella lungo la scala a
chiocciola? >>
domandò Mr. Dwyer << Devo rispondere al mio
cercapersone. >> Cercapersone?,
mi chiesi mentalmente. Ma
esistevano ancora quegli aggeggi?
Percepii la presa
farsi più ferrea e capii che a sostenermi fosse Edward,
adesso. Il cuore, come
al solito, cominciò a battermi all’impazzata e
cominciai a sudare freddo.
Possibile che solo la sua vicinanza scaturisse in me tutte quelle
emozioni? Non
potei farmi altre domande, perché per poco non rotolai
giù dalle scale.
<< Gradino,
attenta. >>
<< Grazie
mille, Edward! Dimmelo dopo essermi rotta l’osso del collo!
>>
<< Non c’è di
che! >> rispose, con la sua aria da sbruffone.
<< Non c’è di
che? Mi stavo ammazzando, razza di imbecille! >> urlai,
facendolo
sghignazzare << Ti stai divertendo, vero?
Perché è questo che ti piace
tanto, no? Avere la situazione sempre sottocontrollo, con ragazze che
tu possa
manovrare come bambole di porcellana che… Ah! Ahia!
>>
<< La
colonna! >> mi urlò, dopo averla presa in
piena.
<< Ti stai
vendicando per prima, dico bene? >> domandai,
massaggiandomi la fronte
con la mano libera. Conscia che,
nonostante la presenza di Edward al mio fianco, ero sola nel buoi di un
luogo
che non conoscevo per niente, decisi di procedere con cautela. Quando
percepii
un’ulteriore colonna mi tirai indietro, evitandola per un
soffio.
<< Grazie, Edward,
per le tue dritte sul percorso. Senza di te non so proprio
cosa… Ah! >>
urlai, non vedendo il gradino.
<< Santo
cielo, Edward! >> lo rimproverò Mr. Dwyer
<< Così la ucciderà, buon
Dio! >> concluse, riprendendo il suo posto come mia
bussola personale.
Tirai un respiro di
sollievo, consapevole che d’ora in avanti non avrei
più rischiato di finire in
ospedale.
Per tutto il resto
del tragitto, nessuno parlò. Sentii Edward sghignazzare,
ogni tanto, a causa
della mia goffaggine, dovuta anche – se non soprattutto
– alla benda sugli
occhi.
Arrivati nella
stanza del cronografo, finalmente, mi venne tolta quella cosa
fastidiosa, lasciandomi libera di vedere. Tutto era già
pronto: il cronografo in bella vista, la data già sistemata,
la parola d’ordine
già nella mente del mio accompagnatore.
Il 1912 ci stava
aspettando, e con esso anche la mia prima e vera missione come
dodicesima
viaggiatrice del tempo.
Ed ecco il capitolo
che ci fa entrare nel vivo della storia. Bella, dopo la brutta
esperienza con il conte, decide di porre alcune domande a
Renée, la quale non da troppe risposte, ma fa capire che
dietro a tutta questa storia si nasconde qualcosa di pericoloso. Edward
è sempre Edward ù.ù'' e devo ammettere
che scrivere l'ultima parte mi ha fatto sbellicare dalle risate ahah.
Già quando la lessi nella saga originale morii dalle risate!
Io l'ho messa, scrivendola a modo mio, ovviamente, perché un
po' di divertimento non guasta XD Cosa succederà nel 1912? E
come fa Lady Gilbert a sapere che il corvo era Isabella e non Tanya?
Beh, lo scoprirete alla prossima pubblicazione, che sarà
fondamentale per la storia! ;)
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon
pomeriggio a tutti! Scusate il ritardo, ma oggi la mia connessione fa i
capricci. Infatti, per evitare che vi lascio senza capitolo, evito di
perdermi in chiacchiere e ve lo posto abbastanza velocemente! Buona
lettura! . .
13.
«
Il mondo
è fuor dei cardini;
ed è un dannato scherzo della sorte
ch'io sia nato per riportarlo in sesto. » Amleto, atto I,
scena V - William Shakespeare. .
L’anno 1912
sembrava uscito da quei meravigliosi film che mi piaceva tanto
guardare. Le strade erano
piene di automobili d’epoca, e i marciapiedi pullulavano di
coppiette a
passeggio. Molte donne, vestite pressappoco come me, utilizzavano anche
un
piccolo ombrello para-sole. La maggior parte di esse, però,
indossava un
cappello piuttosto voluminoso, quasi identico al mio. Eravamo saltati
al giorno
12 Aprile 1912, intorno alle cinque del pomeriggio – anche in
quest’epoca. <<
Direi che
ti piace molto il Novecento. >> disse Edward, attirando
la mia attenzione
<< Da quando siamo qui non hai ancora aperto bocca, e
noto che ti guardi
curiosa intorno. >> <<
Beh, sì. È
tutto molto bello… È surreale! Un attimo fa
eravamo nel XXI secolo e adesso
guardaci! Da bambina avrei pagato oro per essere nata nel 1912.
>> <<
Ah sì? E
come mai? >> domandò, facendomi segno con il
capo che avremmo dovuto
attraversare. Era una bella
giornata, e la casa di Lady Gilbert non si trovava molto distante dalla
loggia.
Edward decise, così, di raggiungerla a piedi. <<
Le prime
grandi navi, per esempio! Insomma, è l’epoca del Mauretania e della sua gemella Lusitania!
Per non parlare dell’Olympic Class, e delle sue tre navi
più grandi del mondo!
Tutti conosco il Titanic, per la sua
terribile vicenda, ma non dimentichiamoci che prima di essa venne
costruita l’Olympic. >>
parlai, senza prendere
fiato nemmeno per un secondo << Navi fantastiche, quelle.
>> <<
Deduco che
allora qualche nozione di storia la conosci. >> rispose,
sghignazzando
<< Ovviamente, sai ciò che piace a te.
>> sbuffai, vedendomi
sgretolare davanti agli occhi le mie passioni << Ehi, non
ti sto
criticando! È una bella cosa. In fin dei conti, anche io
avrei voluto sapere
solo le cose che mi piacevano di più… Tipo la Rivoluzione francese, quella sì
che è una gran
bella parte di storia! >> <<
Oh, sì!
>> risposi, sarcastica << Incendi,
decapitazioni… >> <<
Appunto,
favoloso! >> disse, assumendo un’aria fiera. Mi
scappò un leggero
sorriso. Perché
adesso
sembrava più rilassato, più gentile nei miei
confronti? Era appurato: io,
Edward Cullen, non riuscivo proprio a capirlo. Chi era il vero Edward?
Quello
simpatico e allegro, o quello scontroso e a tratti maleducato,
arrogante? Ero
arrivata a pensare che, molto probabilmente, non sarei mai giunta alla
verità. <<
Quella è
casa Gilbert. >> disse il ragazzo, indicando una piccola
villetta verde
chiaro, quasi pastello, nell’angolo della strada. A differenza
delle
ville nel Settecento, questa era senza dubbio più sobria.
Situata su tre piani
– soppalco incluso – era davvero molto carina. Il
tetto spiovente, marrone
scuro, stava veramente bene abbinato al colore delle mura.
Tutt’intorno alla
villetta, era costruito un piccolo recinto bianco, colore che
richiamava i tre
piccoli gradini dell’ingresso e i dettagli della casa. Raggiungemmo il
punto indicato in un batter d’occhio. Edward, da vero
gentiluomo, mi aprì il
cancelletto, dopodiché suonò il campanello. Pochi
minuti dopo, venne ad aprirci
il maggiordomo. <<
Desiderate? >> domandò, aprendo la soglia. Era un armadio!
Alto, almeno il doppio di Edward; largo, almeno tre volte Edward.
Indossava un
abito nero, con guanti bianchi. La classica figura che si ritrovava nei
film d’epoca.
I capelli castano scuro, come i baffi, stonavano un po’ messi
in contrasto con
i suoi occhi di ghiaccio, quasi. <<
Sono
Edward Cullen. >> rispose il mio accompagnatore, con
serietà e fermezza
<< Ho incontrato Lady Gilbert poche ore fa e mi ha
chiesto di
ripresentarmi con la signorina Isabella Marie Swan. >>
concluse,
indicandomi << Eccola qui. La informi che siamo arrivati,
sono sicuro che
dirà di farci accomodare. >> <<
Non c’è
bisogno. >> replicò il maggiordomo,
spalancando la porta << Lady
Gilbert mi ha dato ordine di scortarvi in giardino, non appena foste
arrivati.
>> Lanciai
un’occhiata
interrogativa ad Edward, non sapendo se queste fossero le normali
abitudini del
Novecento. Insomma, era possibile che il maggiordomo facesse accomodare
degli
ospiti, senza avvisare la padrona di casa, prima? Certo, ci aveva
spiegato che
avevo l’ordine proprio da Lady Gilbert,
però… A differenza mia,
Edward, mi accompagnò dentro, con eleganza e bon ton. Sembrava tranquillo,
perciò mi convinsi di essere solo un
po’ paranoica o, più semplicemente, ignara delle
vecchie usanze. Cosa che mi
ripetevano praticamente tutti. Seguimmo
l’armadio
– cioè, l’uomo! – nel piccolo
giardino situato dietro la villa, nella parte
opposta alla strada. L’ambiente
era
molto carino e accogliente. Poche piante, colorate tra
l’altro, un grande
albero che riparava dal sole e, al centro, un piccolo tavolino da tea
in ferro
battuto bianco, con sedie annesse del medesimo materiale e colore.
Facevano
bella mostra sul piccolo ovale, una grande teiera e diverse tazzine. Probabilmente,
aveva ragione il maggiordomo: ci stava aspettando. <<
Demestri?
>> sentimmo chiamare. La voce proveniva
dall’interno della casa, più
precisamente dal piano superiore. <<
Scusatemi,
aspettate pure qui. >> disse lui, dopodiché
sparì. Restai qualche
istante a guardarmi intorno, mentre Edward si accomodò su
una sedia. La voce
che avevamo appena sentito, doveva essere di Elena Gilbert. <<
Sì, è lei
che ha chiamato. >> disse Edward, capendo i miei pensieri
<< Quella
che hai sentito era proprio la voce di Lady Gilbert. Probabilmente ha
chiesto
al suo domestico cosa stesse succedendo… Ora si
sistemerà un attimo, dopodiché
scenderà da noi. >> <<
Ma come
accidenti fai? >> chiesi, avvicinandomi a lui
<< Insomma, sai
sempre quello che penso! Cosa sei, un leggi pensieri? >> <<
Tu leggi
troppi Fantasy, ragazzina! >> rispose, sghignazzando
<< Sei molto
facile da leggere, tutto qui. Riesco a capire quello che provi,
ciò che senti,
o anche quello che stai pensando, semplicemente guardandoti in faccia.
Sei un libro
aperto,
ecco. >> concluse,
giocando con le tazzine. Quella
rivelazione
mi lasciò un po’ di panico addosso. Che avesse
anche capito quello che provavo
per lui? Diamine,
Bella!,
urlò una
vocina nella mia testa. Nemmeno tu sai
cosa provi, e dovrebbe saperlo lui? Quanto sei ridicola. Non aveva tutti i
torti. <<
Hai
diciassette anni, giusto? >> domandò Edward,
improvvisamente. Colta alla
sprovvista,
mi voltai, tornando a fissarlo. Era incredibilmente bello…
Con la sua giacca
scura, i pantaloni – molto meno ridicoli rispetto alle
calzamaglie – e i
capelli fissati indietro, completamente, con il gel. Ricordava in modo
impressionante, il famosissimo latin
lover,
Rodolfo Valentino. Assolutamente affascinante. <<
Sì.
>> risposi, ricordandomi che mi aveva posto una domanda
<< Ma
dovresti saperlo. Il primo salto si fa a diciassette anni, no? Ho la
stessa età
di Tanya. >> <<
Volevo
chiedere. >> <<
Tu ne hai
diciannove, dico bene? >> chiesi io, nonostante lo
sapessi già. Se voleva
fare conversazione, non mi sarei di certo tirata indietro. Edward, dal canto
suo, annuì soltanto, troncando bruscamente quella piccola
parentesi di discorso
civile. Sospirai pesantemente, capendo che con lui non dovevo
aspettarmi nulla. <<
C’è
qualcosa che non va, qui. >> sussurrò,
guardando le tazzine sul tavolo
<< Dovrebbero esserci tre tazzine, non cinque. >> <<
Come?
>> domandai, avvicinandomi a lui che, nel frattempo, si
era alzato di
scatto. <<
C’è
qualcosa che non va. >> ripeté, guardandomi
dritto negli occhi. Notai
preoccupazione, nel suo sguardo. E anche qualcos’altro, a cui
purtroppo non
riuscii a dare un nome. <<
Cosa
intendi? >> chiesi, cominciando a guardarmi intorno
<< Forse Lady
Gilbert stava aspettando anche qualcun altro. >> Non feci in tempo
a
concludere la frase, che una voce femminile parlò alle mie
spalle. <<
Isabella,
che piacere vederti. >> disse la voce, costringendomi a
voltarmi. Dinanzi a me,
c’era
una donna di pressappoco trent’anni. Era alta e piuttosto
magra, i capelli
erano lunghi, di un biondo piuttosto acceso. Incorniciavano un viso
pulito,
leggermente truccato, sul quale erano incastonate due gemme celesti. <<
Salve,
Lady Gilbert. >> disse Edward, che ora si trovava alla
mia destra,
leggermente più indietro rispetto a me. <<
Ben
tornato, Edward. >> lo salutò lei, sorridendo
amichevolmente <<
Vedo che ha esaudito il mio desiderio, mi ha portato il rubino.
>> <<
Certamente, Lady Gilbert. >> rispose il mio
accompagnatore, avvicinandosi
di due passi << Ogni suo desiderio è un
ordine, per me. >> lo
fissai per qualche minuto, incurvando un sopracciglio. Ma ci sta provando, per
caso?,
pensai, percependo un moto di
irritazione e gelosia. Tutte le donne
Hale, erano sempre state bionde con gli occhi chiari. Eccezion fatta,
per quel
poco che ne sapevo, della prima gemma, tale Katherine Pierce,
l’opale. Lei era
esattamente come me: occhi castani e capelli scuri, quasi neri. Elena
Gilbert,
invece, mi ricordava moltissimo mia cugina Tanya. <<
Isabella!
>> mi chiamò Edward, risvegliandomi dai miei
pensieri. <<
Sì, dimmi.
>> <<
Vuoi
chiedere a Lady Gilbert il suo sangue, cortesemente? >>
domandò, cercando
di mantenere un tono amichevole, mentre mi fulminava con lo sguardo. <<
Non così
in fretta, giovanotto. >> ribatté Lady
Gilbert, attirando su di sé la
nostra attenzione. <<
Come,
prego? >> domandò Edward, voltandomi le spalle
<< Avevamo un patto,
Lady Gilbert. Io le avrei portato il rubino e lei ci avrebbe consegnato
alcune
gocce del suo sangue. >> <<
Questo era
prima. >> rispose lei, varcando la soglia del giardino, e
si accomodò ad
una sedia << Potremmo parlare un po’, non
crede, Edward? >> <<
Avremmo un
po’ fretta, Lady Gilbert. >> replicò
Edward, cingendomi con una mano la
vita. Quel contatto
improvviso mi fece preoccupare. Cosa diavolo stava succedendo?
Perché Edward si
stava mettendo sulla difensiva? E, soprattutto, perché Lady
Gilbert non voleva
darci le gocce del suo sangue, nonostante Edward si fosse attenuto ai
patti? <<
Suvvia,
Edward! Non crede di esagerare? Siete coperti per qualche ora, presumo.
>> replicò lei, come se ne sapesse quasi
quanto noi << Tre, quattro
ore? >> <<
Tre ore.
>> rispose lui, mentendo. Per essere sicuri
che questa volta Lady Gilbert ci avesse dato il suo sangue, Mr.
Saltzman,
ordinò che il cronografo fosse impostato sulle quattro ore.
Ci rimanevano molto
più di tre ore, in questo tempo. <<
Mi conceda
mezzora, allora. >> disse Lady Gilbert, versando tre
tazze di tea
<< Qualche scambio di opinione con la qui presente
Isabella, dopodiché vi
darò il mio sangue e potrete andare via. >> <<
Come
vuole, Lady Gilbert. >> rispose Edward, senza mollare la
presa su di me
<< Ma non versi tea, per me. Non ne ho molta voglia, con
tutto il rispetto.
>> la donna annuì, sorridendo, ma non smise di
riempire le tazzine. <<
Allora,
Isabella, come ti trovi nel cerchio dei dodici? >>
domandò Lady Gilbert,
porgendomi la tazzina piena di liquido scuro. <<
Ehm, sto
cercando di adattarmi, ecco. >> risposi, parlando per la
prima volta da
quando Lady Gilbert era arrivata. <<
Ho saputo
che fino a poco tempo fa, tutti eravate convinti che il rubino fosse
Tanya
Denali, dico bene? Tua cugina, per l’appunto. >> <<
Già…
>> risposi, ma Edward mi parlò sopra. <<
E lei come
lo sa? >> domandò, in tono brusco
<< Come fa a sapere quello che
succede nel 2011, Lady Gilbert? Mi sembra un po’ strano.
>> <<
So
parecchie cose, Edward. >> rispose lei, e uno strano
scintillio si formò
nei suoi occhi << Molte più cose di quello che
credi. >> <<
E chi è il
suo informatore? >> replicò Edward, perdendo
sempre di più le buone
maniere. Notai la bocca di
Elena Gilbert aprirsi, dopodiché si richiuse. Nessun suono
uscì dalle sue
labbra, ma un sorrisino le incurvò lentamente. <<
State parlando
di me per caso, ragazzi? >> domandò qualcuno
alle nostre spalle. Edward si
voltò di
scatto, spingendomi dietro di lui. Lo sentii irrigidirsi, e sibilare
parecchie
imprecazioni. <<
Dovevo
capirlo che era una trappola! >> urlò, quando
fummo accerchiati da
diversi uomini armati. <<
Avanti, nipotino, non fare
così. >> parlò
il ragazzo, dinanzi a noi << Nessuno vuole fare del male
a nessuno, va
bene? Sediamoci, prendiamo un po’ di tea, facciamo due
chiacchiere e… Va bene,
se devi guardarmi così, vai a farti un giro! Con Isabella
parlerò senza di te.
Posso farlo, sai? >> <<
Tu non la
tocchi, stronzo! >> urlò Edward, cercando la
mia mano << Non avrete
il nostro sangue, te lo puoi anche scordare! >> <<
Il vostro…
cosa? >> chiese il ragazzo, inclinando il collo verso
sinistra. In
quell’attimo di
silenzio mi fermai a guardarlo. Era davvero molto bello. Alto, spalle
larghe, e
fisico da rugbista. I capelli erano neri, corti; gli occhi azzurri, con
leggeri
riflessi più scuri. Indossava dei pantaloni a salopette,
beige, e una maglietta
nera, abbinata ai mocassini. Aveva un aspetto famigliare, ma al
contempo
totalmente estraneo. <<
Mio
fratello non ti ha insegnato l’educazione, bambolino?
>> <<
Non sei
degno di nominare mio padre, Emmett. >> sputò
Edward, facendomi sgranare
gli occhi. Non potevo
crederci. Non riuscivo a crederci!
Emmett? Emmett Cullen, era qui davanti a noi? Vivo? <<
Zio
Emmett, al massimo. >> replicò, sospirando
<< Questi giovani
d’oggi! All’inizio degli anni novanta le cose
iniziavano a precipitare, ma non
pensavo che nel XXI secolo i ragazzi fossero così
maleducati! Non trova, Lady
Gilbert? >> domandò alla padrona di casa,
facendola scoppiare a ridere. <<
Lei lo
sapeva! >> urlò Edward, voltandosi verso di
lei << Per questo mi ha
fatto portare qui Isabella, dico bene? Sapeva benissimo che Emmett
Cullen e
Rosalie Hale non era morti! Certamente, si sono rifugiati qui con il
cronografo, ed ora vogliono finire il cerchio e lei li sta aiutando!
>> <<
Non credi
di essere scortese, Edward? >> chiese Lady Gilbert,
afferrando un
biscotto << Sei sempre in casa mia, ragazzino.
>> <<
Isabella!
>> urlò Emmett, facendomi voltare verso di lui
<< Allora, come
stai? E Renée, tutto bene? E quel simpaticone di Charlie?
>> <<
Ehm, tutti
bene, grazie… >> <<
Isabella,
ma che diavolo fai! >> urlò Edward,
afferrandomi per le spalle <<
Non devi parlare con lui, mi hai capito? >> <<
Perché non
lasci che sia lei a decide, Edward? >> domandò
una voce femminile. Una ragazza
apparve
lentamente di fianco ad Emmett. Era bellissima. Come il suo
compagno, che non dimostrava più di ventuno anni, la ragazza
non ne dimostrava
più di diciannove. Indossava un abito simile al mio, ma con
le tonalità rosse,
quasi bordeaux. I capelli biondi erano sciolti, abboccolati fino a
metà
schiena; gli occhi castano-verdi, erano davvero molto belli ed
espressivi. Rosalie…, pensai. <<
Non
nominare il mio nome, ladra. >> <<
Ehi, ehi,
frena! >> lo ammonì Emmett <<
Porta rispetto alla mia compagna, mi
hai capito, moccioso? >> <<
Moccioso?
>> replicò Edward, scoppiando a ridere
<< Dimostri solo due anni in
più di me! >> L’aria
che era
venuta a crearsi, poteva benissimo essere tagliata con un coltello.
Nonostante
il sole battesse su di noi ancora caldo, cominciai a sentire freddo.
Possibile
che mia madre avesse sbagliato, aiutandoli? Possibile che Edward e
tutta la
loggia, avessero avuto sempre ragione su di loro? Emmett e Rosalie non
mi
sembravano molto amichevoli e, certamente, privi di buone intenzioni. <<
Isabella,
ascoltaci! >> disse Rosalie, scattando in avanti, verso
di me. Il tutto successe
molto in fretta: Edward si frappose tra me e i nostri avversari,
portandomi la
mano sulla stomaco affinché la mia schiena aderisse
completamente al suo petto;
Emmett afferrò Rosalie per il polso, impedendole di fare un
ulteriore passo;
Lady Gilbert scattò in piedi, nell’istante esatto
in cui i tre uomini che ci
circondavano estrassero le armi, puntandole contro me e il mio
accompagnatore. <<
Siete
impazziti? >> urlò Rosalie, sottraendosi alla
morsa di Emmett <<
Giù le armi! Non voglio di certo far fuori mia cugina,
imbecilli! >> <<
Ehm,
principessa, non credi che… >> <<
E tu sta’
zitto! >> lo ammutolì lei, facendo tacere
all’istante Emmett <<
Dovevamo parlare con loro, non arrivare a questo! >> <<
Beh, noi
non vogliamo parlare con voi. >> ribatté
Edward, senza mollare per un
secondo la presa su di me. <<
Questa è
una conversazione privata, ok? >> disse Emmett, non
apprezzando
l’intromissione di Edward. <<
Se vuoi
parlare con la tua donna, parlaci! Ma noi ce ne andiamo, capito?
>> <<
Edward,
per favore! Non vogliamo il vostro sangue, davvero! Non abbiamo alcuna
intenzione di far sì che il cerchio dei dodici si completi.
Possiamo sederci e
parlare da persone civili? Così vi spieghiamo tutto.
>> tentò Rosalie,
avvicinandosi a noi. Notai
l’impassibilità di Edward. Era strano. Non
ribatté, non disse assolutamente
nulla. Che ci stesse pensando? E se così fosse stato,
perché cambiare idea,
proprio adesso? <<
Ragazzo,
perché non la lasci respirare? >> disse
Emmett, indicandomi <<
Sembra un orsacchiotto di pezza, stritolato nell’abbraccio di
un bambino geloso
di ciò che è suo. >> <<
Emmett!
Smettila di stuzzicarlo! >> lo ribeccò
Rosalie, dandoci le spalle. Fu allora che
percepii le labbra di Edward sfiorarmi l’orecchio, con un
movimento rapido e
preciso. <<
Afferrala.
>> sussurrò, a voce talmente bassa che lo
sentii per pura fortuna
<< Adesso che ci sta dando le spalle, portala davanti a
noi. Non posso
lasciarti andare, e non posso fare tutto con una mano sola. Devi
aiutarmi,
Bella, ok? >> annuii, non essendo troppo sicura di quello
che stavamo per
fare. Insomma, quelli avevano le armi! Presi un profondo
respiro e, come mi aveva detto Edward, afferrai Rosalie con entrambe le
mani,
bloccandogliele dietro la schiena, e la attirai a noi. Solo allora
capii quanto
i miei calcoli fossero sbagliati. Edward estrasse
una
piccola pistola nera, una revolver
modello sessanta, e la puntò sulla tempia di Rosalie.
Entrambe strillammo, con
aspettandoci quella conclusione. <<
Cazzo!
>> disse Emmett, sibilando tra i denti <<
Sei un fottuto stronzo!
>> <<
Adesso, tu
dici ai tuoi uomini di mettere giù le armi. >>
parlò calmo Edward
<< Dopodiché vai ad accomodarti vicino alla
nostra amichevole Lady
Gilbert. Rosalie ci scorterà gentilmente alla porta, dove
saremo liberi di
tornare a Temple. Vero, Rosalie? >> <<
Edward,
non fare così. >> sussurrò lei,
rimanendo immobile come una statua
<< Abbiamo sbagliano noi a puntarvi le armi addosso,
è vero, ma volevamo
solo parlare del cerchio, del conte, del… >> <<
Sta’
zitta, capito?! >> urlò Edward, strattonandola. <<
Edward,
così le fai male! >> urlai, essendo ancora
bloccata tra il suo braccio e
la schiena di Rosalie, adesso. <<
Non è un
problema mio! >> mi sbraitò contro,
terrorizzandomi. Non lo avevo mai
visto tanto incavolato e spaventato, contemporaneamente. Non risposi,
evitando di perdere la visuale di mia cugina e dell’arma che
Edward brandiva, premendogliela
sulla tempia. Notai che il mio accompagnatore si stava dirigendo dentro
casa,
mentre gli uomini avevano buttato per terra le armi – adesso
scariche – ed
Emmett, con le mani in bella vista, si era fermato di fianco a Lady
Gilbert,
dietro il tavolino. Solo a quel punto, il braccio di Edward si
allentò,
lasciandomi libera di respirare. Afferrò i polsi di Rosalie,
sostituendo le sue
mani alle mie, e mi disse di precederlo. <<
Vai avanti
tu, a me non possono fare niente. >> <<
Edward,
non credi che… >> tentai, ma venni interrotta
bruscamente. <<
Edward
niente, Bella! Intesi? >> urlò ancora
<< Era una trappola, lo
capisci o no? Ci hanno ingannati tutti. Hanno finto la loro morte! Loro
hanno
l’altro cronografo e se prendono il nostro sangue,
completeranno il cerchio
prima di noi! >> <<
Ma non
vogliono completarlo! >> strillai, più forte
di lui << Diamine,
Edward, ma li hai sentiti? >> <<
Io le
darei retta… >> tentò Emmett, ma
venne zittiti subito da Edward. <<
Nessuno ha
chiesto il tuo parere, bestione. >> disse e mi
indicò con la testa
l’uscita << Si fa come dico io, Isabella. Ora
vai alla porta, Rosalie
sarà la nostra garanzia. >> conscia che non
avrei potuto fare altro, feci
quello che Edward mi aveva detto. Nessuno si mosse,
evidentemente Emmett teneva troppo a Rosalie per metterla in pericolo
in quel
modo ridicolo. <<
Bella,
ascoltami. >> disse Rosalie, una volta arrivati
all’ingresso << Sei
mia cugina, non potrei mai metterti in pericolo! Sono in debito con tua
madre,
è solo grazie a Renée se io ed Emmett siamo
ancora vivi… Ahi! >> urlò,
per il brutto strattone che le diede Edward. <<
Cosa sai
del conte? >> le chiesi, ignorando le urla di Edward e le
sue
ammonizioni. <<
Non
fidarti del conte, Bella! Non fidarti mai. E non finite il
cerchio… Per nessun
motivo, intesi? >> <<
Quante
stronzate! >> disse Edward, spalancando la porta. <<
Perché non
dobbiamo finire il cerchio? >> le domandai, nonostante
Edward mi stesse
spingendo fuori, all’aria aperta. <<
Non posso
spiegartelo così, ma non finirlo! Non finite quel maledetto
cerchio! >>
urlò un’ultima volta, prima che Edward la spinse a
terra, dentro casa. Richiuse la porta
e, afferrando la mia mano, mi trascinò via da quel posto. Corremmo senza
sosta finché non raggiungemmo il cancello nero della loggia.
A quel punto,
Edward mi lasciò andare e si piegò sulle
ginocchia. Avevamo entrambi il
fiatone. <<
Sei forse
impazzita? >> sbraitò, alzandosi di scatto. Mi spaventai e
barcollai, fin quando non percepii il muro dietro la mia schiena. Feci
un
grosso errore, perché Edward si parò dinanzi a
me, bloccandomi le via di fuga
con le mani. <<
Calmati
adesso, Edward… >> <<
Ma cosa
diavolo ti è preso? Non vorrai davvero dar loro ascolto,
spero! >> <<
Sembra che
sappiano quello che fanno. >> risposi, con voce tremante
<<
Potremmo anche ascoltarli… Sì, insomma, parlare
non ha mai ucciso nessuno.
>> <<
Toc-toc!
>> disse, picchiettandomi in testa <<
C’è qualcuno qui dentro?
Pronto! “Parlare non ha mai ucciso nessuno”.
>> proseguì, cinguettando la
mia voce << Apri gli occhi, Isabella, ci hanno puntato le
armi addosso.
>> <<
Sì, ma…
Ehi, e la tua da dove usciva fuori? >> gli domandai,
ricordando ciò che
mi aveva detto sugli oggetti del futuro << Non
è contro le regole?
>> <<
Ho preso
questa dalla collezione di mio padre. >> rispose,
impugnando ancora la
piccola pistola nera << È antica, quindi non
va contro nessuna regola.
>> spiegò, dopodiché si
allontanò da me. Restammo in
silenzio per diversi minuti. Edward si trovava di fronte a me, di
profilo; si
passò la mano tra i capelli diverse volte, segno che era
nervoso. Io, invece,
restai con le spalle al muro, perché mi reggesse. Sentivo le
gambe molli e la
voglia spasmodica di tornare indietro, per scoprire cosa sapessero
Emmett e
Rosalie di questa storia. <<
Non
provarci nemmeno, Bella. >> parlò Edward, e mi
trovai due fari verdi
puntati addosso. Mi sentii agitata all’istante. Le mani
cominciarono a sudarmi
e, almeno per quella volta, il cuore cominciò a battermi per
paura. <<
F…fare
cosa? >> domandai, balbettando. Cazzo,
brutto segno!,
mi ammonii mentalmente. <<
Non andrai
a parlare con loro. Sono dei ladri e dei bugiardi, mi hai capito? Non
farti
influenzare dalle loro idee assurde! Sai cosa faremo, adesso?
Aspetteremo
pazientemente l’ora del ritorno a casa, dopodiché
riferiremo tutto a mio padre
e a Mr. Dwyer. Infine, andrò ad avvisare il conte stesso.
>> <<
Cosa!?
>> strillai, scattando verso di lui << No,
Edward, aspetta! Loro
sanno qualcosa anche sul conte di Saint Germain! Non puoi andare a
dirgli che…
Che cosa, poi? Pensaci, per favore. >> non mi ero nemmeno
accorta di
essergli piombata completamente addosso. Avevo il colletto
della giacca di Edward tra le mani, mentre le sue erano ferree sul mio
bacino.
Non c’eravamo mai trovati così vicini…
Il suo viso era ad una spanna dal mio,
mentre il suo guardo si spostava dai miei occhi alle mie labbra. Cominciai a
sentire
milioni di brividi lungo la schiena, e la mia salivazione divenne
totalmente assente.
Le mani di Edward si ancorarono più saldamente ai miei
fianchi, attirandomi a
lui. Riuscivo a percepire le sue cosce, coperte, aderire alle mie,
nascoste
sotto la veste; il suo cuore battere forte, mentre il suo respiro
diventava
sempre più debole. La
razionalità
lasciò il posto alla voglia. Volevo baciarlo da quando lo
avevo conosciuto; da
quando avevo visto quella me stessa baciarlo in quella stanza, di tanto
tempo
prima. Ma lui? Non si era mai dimostrato interessato a me. Quindi,
perché
adesso sembrava provato? Come se avesse aspettato quel momento da una
vita e,
al tempo stesso, ne fosse spaventato? <<
Cosa devo
fare con te? >> sussurrò con voce roca, e il
suo respiro fresco mi colpì
le labbra. Gemetti, provando sensazioni mai provate prima di quel
momento. Le mani di Edward
cominciarono a muoversi, seguendo la linea della mia spina dorsale.
Chiusi gli
occhi, inarcando leggermente la testa. <<
Tu sei
qualcosa che non mi aspettavo. >> disse ancora, seguendo
le linee del mio
corpo << Sei imprevedibile e non so mai come andranno le
cose se mi sei
vicino. Non sono abituato a non avere il controllo delle situazioni, a
passare
del tempo con qualcuno che agisce di testa propria…
>> aprii gli occhi,
trovandomi i suoi fin troppo vicini << Sei speciale. Oggi
come oggi,
direi che potresti persino essere l’unica persona sulla
faccia della terra che
segue le proprie idee. >> <<
Edward,
cosa… >> <<
Non
chiedere. >> mi interruppe, posandomi due dita sulle
labbra << Non
so cosa sto facendo, non voglio pormi domande. Voglio solo
bac… >> <<
Signori!
>> ci chiamò qualcuno, dall’interno
della loggia. Colti di
sorpresa,
ci staccammo all’istante. Edward si passò la mano
tra i capelli, ed io cercai
di ridarmi un contegno. Il cuore mi batteva all’impazzata e
avevo assolutamente
bisogno di una doccia fredda. Possibile
che quest’imbecille doveva arrivare proprio adesso!, urlai mentalmente. <<
Stavamo
per entrare. >> rispose Edward ad una qualche domanda
che, molto
probabilmente, mi era sfuggita. Proseguì, parlando in
codice, affinché l’uomo
capisse chi eravamo davvero. Venimmo scortati
nella stanza degli archivi che, nel nostro tempo, aveva preso la nuova
mansione
di stanca del cronografo. Da quello che ero riuscita a capire, nel
1912, il
cronografo veniva tenuto in un cassetto della sala del drago. Ovvio…, pensai mentalmente, a quel tempo non era
ancora stato rubato.
Attendemmo che le
ore passassero nel silenzio più assoluto. Edward prese le
distanze e io, anche se avrei dovuto aspettarmelo, ci rimasi
più che male.
Insomma, c’eravamo avvicinati parecchio fuori da questa
loggia! Le sue mani
avevano toccato il mio corpo, avide di sentire ancora di
più. Mi stava per
baciare! E adesso? Cos’era successo, adesso?
Quando mi decisi a
chiederglielo, capii che era troppo tardi. Una vertigine mi colse
impreparata,
facendomi torcere lo stomaco e, in men che non si dica, mi ritrovai nel
2011,
circondata dalle solite persone.
Posso dire che
questo tredicesimo capitolo è molto ricco. Scopriamo che
Emmett e Rosalie non sono morti, ma qual è la loro vera
"missione"? Edward non si fida per niente, ma farà bene? E
succederà, adesso? In compenso l'aria si è
riscaldata molto alla fine del capitolo tra i due giovani viaggiatori
del tempo... Edward ammette che non sa gestire Bella, e tra tutte le
cose che ha sempre sostenuto, è proprio questa quella che lo
fa più impazzire. Come cambiarà il loro rapporto
- sempre se cambierà davvero qualcosa - dopo il quasi bacio?
Lo scoprirete la prossima volta, forse... :P
Il prossimo capitolo verrà pubblicato Mercoledì
prossimo! Adesso sta' a voi... ;)
Buon pomeriggio a tutti!
Chiedo scusa per questi due giorni di ritardo, ma non ho avuto tempo
per postare il capitolo, anche se era già pronto. Comunque, bando
alle ciance, e buona lettura! Solo una cosa...LEGGETE LE NOTE DOPO IL
CAPITOLO, PERCHE'
DEVO COMUNICARVI UNA COSA IMPORTANTE! . .
14.
« Queste
gioie violente hanno fine violenta.
Muoiono nel giorno del loro trionfo,
come il fuoco e la polvere da sparo,
che si consumano al loro primo bacio. » William Shakespeare, Romeo e Giulietta.
Atto II, scena VI. .
Era
passata una
settimana dal salto nel 1912, e le cose erano notevolmente cambiate.
Non sapevo
dire, però, se fossero mutate in meglio o in peggio.
I soliti
battibecchi con Edward erano finiti, non per nostra scelta. Lui aveva
deciso di
ignorarmi del tutto. Se ci incontravamo nel corridoio della loggia,
faceva
finta di guardare altrove, leggere o mandare un messaggio, cambiare la
playlist
del suo iPod… Inventò addirittura miliardi di
modi nuovi per eludere me, le mie
domande o, anche più semplicemente, il mio sguardo.
Mi sentivo ferita,
dovevo ammetterlo. Non lo capivo e, sinceramente, stavo anche perdendo
la
voglia di capirlo. Era solo un ragazzino viziato e arrogante che, senza
troppi
scrupoli, aveva deciso di trattare le persone come immondizia
– di trattare me come
tale, almeno.
I giorni continuavano
a passare in fretta, nella monotonia più assoluta. La
mattina mi alzavo, per
dirigermi a scuola; a casa era sempre il finimondo tra mia zia Victoria
e mia
madre, per non parlare della tensione tra me e Tanya –
ovviamente, voluta da
quest’ultima. Conclusa la mattinata alla Saint Lennox,
passavo qualche ora con
Angela – sempre se eravamo fortunate, ovviamente –,
dopodiché veniva un autista
della loggia a prendermi, per portarmi a trasmigrare qualche ora in uno
sgabuzzino pieno di ragnatele e topi, di qualche anno passato. Mi
rifugiavo lì
a pensare, mentre studiavo per il giorno seguente.
Finita la mia
piccola sosta, tornavo a casa – se ero fortuna, naturalmente
–, altrimenti
rimanevo ancora qualche ora a Temple per allenarmi o apprendere le
nozioni base
delle diverse discipline ritenute fondamentali per un viaggiatore.
Io ed Edward non
facemmo più viaggi insieme. Il conte di Saint Germain, in
una missiva
indirizzata al Gran Maestro di questo tempo, aveva vivamente espresso
il suo
volere che fosse Edward, unico e solo, a portare a termine gli ultimi
viaggi; io
ero troppo indisciplinata e inesperta per aiutarlo. Ridicolo…,
pensai. La verità era che Edward non mi voleva tra i
piedi.
<< Bella!
>> urlò qualcuno, parandosi davanti a me.
Indietreggiai per
lo spavento e sgranai gli occhi. A fissarmi, con uno sguardo a
cuoricino, c’era
il piccolo volto di Alice.
<< Ohi, ciao.
>> dissi, notando Jasper accanto a lei <<
Ciao anche a te. >>
<< ‘Sera a
te, Bella. >> rispose Jasper, accennando un sorriso.
<< Bella,
stasera andiamo a farci una pizza! Vieni anche tu? >>
propose Alice,
saltellando come una bambina.
<< Ehm, non
so… >> risposi titubante << Solo
noi tre? >> chiesi, non
avendo alcuna intenzione di trasformarmi in una candelina.
<< No.
>> rispose Jasper, attirando la mia attenzione
<< Oggi, a pranzo,
stavo parlando con Eric. Pare si sia deciso a dare una
possibilità al suo
interesse per Angela… Lei, però, non gli ha
ancora dato una risposta,
inventando che doveva vedere se poteva disdire un impegno con te.
>>
spiegò pazientemente << Credo che se accendi
il telefono, troverai
parecchie sue telefonate. >>
<< Quindi mi
state proponendo un’uscita a cinque, dove io dovrei fare la
candelina? >>
domandai, senza pensare all’uragano Alice.
Il piccolo
folletto, infatti, mi pestò un piede, facendomi urlare come
un pazza. La
rimproverai e lei, per allontanarci da Jasper, mi spinse qualche metro
più
lontana.
<< Sei pazza,
Bella? Lui non lo sa che mi piace, ricordi? >>
<< Oddio,
Alice, scusa. >> sussurrai, appoggiandomi al muro
<< Ho appena
finito una lezione di scherma con Carlisle, sono distrutta.
>>
<< Va bene,
ti perdono. >> disse, piegandosi sulle ginocchia
<< In effetti sei
piuttosto malandata oggi, ti senti bene? >>
<< Sì, è solo
stanchezza. Ma dimmi di questa pizza, dai. >>
Sapevo di aver
detto quello che voleva sentirsi dire. Infatti, l’aria
preoccupata che le
invadeva il viso, lasciò immediatamente posto
all’eccitazione.
<< È presto
detto: Jasper mi ha chiesto se mi andava di accompagnarlo, stasera.
Ovviamente,
ho detto subito di sì! Solo che poi ci ho
ripensato… Nel senso, non che non
volessi più andarci, ma sarei stata da sola con il ragazzo
che mi piace e due
sconosciuti. Sono venuta a sapere che la ragazza che ha invitato Eric
– ok,
proprio sconosciuto non è, ogni tanto lo trovo che gironzola
in casa, ma non ci
ho mai scambiato mezza parola! – è Angela Weber,
nonché tua migliore amica.
Perciò ho pensato che, nella tua immensa
generosità, avresti potuto aiutare non
solo la tua best friend di sempre,
ma
anche la tua nuova e bellissima amica! >> concluse,
facendo gli occhioni
languidi del gatto con gli stivali di Shrek.
<< Oh, Alice…
>> mugugnai, non avendo proprio voglia di uscire.
<< Ti prego,
Bella! Poi farò tutto quello che vuoi, ma aiutami!
>>
<< Potrebbe
essere lo slogan per creare il tuo post sul forum
“alfemminile.com”. >>
dissi seria, assumendo un’aria pensierosa <<
Sì, ce lo vedo. >>
<< Eh?
>> chiese Alice, alzando un sopracciglio.
La sua espressione
mi fece scoppiare a ridere. In effetti, quel forum poteva anche essere
utile,
solo che io e Angela trovavamo sempre post assurdi! Donna lesbica che
va con un
uomo, scambiandolo per la sua ragazza; sesso più ridicolo,
che realmente
sadomaso. E molto, molto altro.
<< Scusa,
Alice! >> dissi, ricomponendomi <<
D’accordo, ti aiuto. Usufruirò
di questa uscita per passare qualche ora anche con Angie, la vedo
sempre meno
in questo periodo. >>
<< Grazie,
Bella! >> urlò Alice, gettandomi le braccia al
collo, e cademmo tutte e
due per terra << Non te ne pentirai, promesso!
>>
Ricambiai
l’abbraccio, alzando gli occhi al cielo. Ma quando ci
alzammo, conscia di stare
forse diventando un po’ paranoica, mi sembrò di
notare la mia piccola amica
fare un gesto di “ok” al suo Jasper.
* * *
Venerdì
sera arrivò
in un batter d’occhio.
Mi trovavo di
fronte allo specchio, al momento, a fissare il mio trucco con la
cipria. Nulla
di troppo appariscente, comunque: un ombretto sfumato, che andava dal
beige al
marrone; eyeliner nero, come la matita sotto e il maschera; per dare un
tocco di
luce, in conclusione, un leggero gloss color pesca.
<< Bella, è
arrivata Angela! >> urlò mia madre, dal piano
di sotto.
Percepii il
mormorio di Lady Lillian, che rimproverava Renée per aver
strillare in casa.
<< Scendo tra
un minuto! >> urlai di rimando, sia perché mi
sentisse, ma anche perché
stuzzicare la nonna era un gran bel passatempo.
<< Ehi,
Bella, posso? >> bussò Angie, entrando nella
stanza.
<< Certo…
Wow, tesoro, sei fantastica! >> dissi, abbracciandola.
Indossava un
fantastico abito grigio piombo, con scollatura a cuore. Era semplice e
arrivava
poco sopra il ginocchio. Sulle spalle, faceva bella mostra un
copri-spalle
nero, abbinato alle scarpe e alla piccola borsetta.
<< Stai molto
bene anche tu! >> rispose lei, sorridendomi
<< Pensavo di doverti
infilare in un vestito, invece hai fatto tu da sola. Complimenti,
Bella! Ma a
cosa devo il cambiamento? >> domandò infine,
alzando un sopracciglio.
<< Che vuoi
dire? >> chiesi, infilando le mie decolté.
<< Andiamo,
sei sempre stata una ragazza semplice. Per te la moda è solo
una parola troppo
ingombrante. Non voglio insinuare che non ti sai vestire, eh! Il tuo
discorso
vale lo stesso per me, però non hai mai apprezzato i
vestiti, i tacchi…
>>
<< Si cambia
a volte, no? >>
<< È per
Edward che vuoi cambiare? >> chiese a bruciapelo.
Quella domanda mi
lasciò interdetta, immobilizzandomi come una statua di cera.
Non sapevo come
risponderle o, più semplicemente, avevo paura che avesse
ragione.
Non volevo far
colpo su Edward – nemmeno ci sarebbe stato stasera, tra
l’altro –, però volevo
andare avanti; volevo smetterla di piangermi addosso o sperare in
qualcosa che,
alla fin fine, era solo una mera illusione.
<< Sono
semplicemente stufa. >> ammisi, mettendomi compostamente
seduta <<
Insomma, quando siamo negli altri tempi è perfetto, o quasi,
è un vero
gentiluomo. Oppure è solo un bravissimo attore, che indossa
una maschera ben
costruita! >> alzai di qualche nota la voce, per poi
riabbassarla subito
<< Mi stava per baciare, te l’ho perfino
raccontato. E poi? Sono
diventata più trasparente di James ai tuoi occhi, per lui.
Sai come sono fatta…
Non sono mai stata il tipo che si piange addosso, e lui è
riuscito perfino a
farmi diventare così. Io ho chiuso con lui e i suoi stupidi
giochetti! È solo
un ragazzino arrogante, troppo codardo per far trasparire
ciò che prova o
potrebbe provare, per me. Ed io non sono una bambolina,
un’oca come quasi la
maggior parte delle ragazze della mia età, che cade sempre
ai piedi del primo
bello arrivato sulla sua strada. Non esiste, Angie, non esiste proprio.
Non sono
la sua ragazza, non sono innamorata di lui né lui lo
è di me. Noi non siamo
niente. Quindi, perché devo farmi trattare in questo modo?
>> domandai,
infine, dopo aver concluso il mio monologo.
Per la prima volta,
dopo più di un mese, mi sentii leggera. Finalmente mi ero
tolta un masso
gigantesco dal cuore.
<< Hai
ragione tu, Bella. >> disse Angela, venendo a sedersi
accanto a me
<< E poi chissà, magari tutto andrà
bene e si aggiusterà da solo.
>>
Erano
le nove in
punto, quando arrivammo al Trafalgar
Tavern di Greenwich.
Il locale era
situato sul lungomare, ed era stato costruito intorno al 1837. Come
molti pub
della zona, divenne famoso per le sue cene a base di bianchetti
– il pesce.
L’architettura era
semplice, ma molto elegante: parquet scuro, colonne in marmo bianche,
come gli
infissi e il soffitto; i muri erano di un bel rosso scuro. Le sale
erano
piuttosto grandi, e l’intera struttura era allestita a zone.
C’era quella
ristorante, quella da ballo – con ampio spazio e, perfino, un
pianoforte a due
code – e, per concludere, i piani predisposti interamente a
bar e pub. L’intero
locale si affacciava sul mare.
<< Perché
siamo venuti proprio qui? >> domandai, seguendo il
cameriere che ci stava
scortando al nostro tavolo.
<< Non ti
piace? >> domandò Jasper, spostando la sedia
prima a me e poi ad Alice.
<< No, no,
affatto. Ci venni una volta con mia madre e mio padre, per pranzo.
È un gran
bel locale, soprattutto di sera. Ma non potevamo andare in un pizza-pub
del
centro? >>
<< Non fare
la guastafeste, Bella! >> mi ammonì Alice,
prendendo la carta del menù
<< L’ho scelto io questo posto, se continui mi
sentirò offesa! >>
<< Ma il
posto è molto bello, scema! >> la ripresi,
quando finalmente fummo tutti
seduti a tavola << Non capisco perché hai
scelto Greenwich come meta,
ecco. >>
<< Forse
perché ci abita, Bella. >> rispose Eric,
alzando un sopracciglio.
Angela sghignazzò
ed io mi sentii avvampare. Ok, potevo smetterla di fare la guastafeste,
per una
sera almeno.
<< Voi cosa
prendete? >> domandò Angie, sfogliando
anch’ella il menù.
<< Non so,
sto decidendo. >> rispose Alice, per poi spostare il suo
sguardo su
Jasper << Jazz, che ore sono? >>
<< Nove e
venti, quasi. >> rispose lui, guardando
l’ingresso.
Una strana
sensazione mi salì lungo la schiena, portandosi uno strano
presentimento.
Guardai i miei amici, uno ad uno, notando un fatto curioso: i posti al
tavolo
erano sei, non cinque.
<< State
aspettando qualcuno, per caso? >> domandai, puntando gli
occhi su Alice e
poi su Jasper.
La loro risposta,
anche se non fu verbale, non tardò ad arrivare. Jasper si
voltò di scatto verso
Alice, che sgranò gli occhi; Angela spostò lo
sguardo altrove; Eric sussurrò
qualcosa del tipo “Ma perché non lo
sa?”. E, a quel punto, tutto mi fu chiaro.
Non pensai, ma
scattai in piedi di colpo, attirando su di me lo sguardo di tutti gli
altri
clienti del locale.
<< Non state
aspettando chi credo che state aspettando, vero? >>
Notai Alice ed
Angela scambiarsi un’occhiata complice, che mi fece capire
tutto. Non eravamo
lì per l’appuntamento galante di Eric e Angela
né, tanto meno, per supportare
Alice e la sua uscita con Jasper! Quella era una trappola in piena
regola. Ed
era per me.
<< Diavolo,
mi avete imbrogliata! >> quasi urlai, facendo qualche
passo indietro
<< Io prendo un taxi e me ne torno a casa. Questa me la
pagate tutti
quanti! >>
Non feci in tempo a
fare un altro passo, che andai a sbattere contro qualcuno. Mi voltai
leggermente, alzando lo sguardo – dopo aver notato un
elegante giubbotto
marrone scuro.
Incrociai due occhi
verdi che, belli come sempre, mi fissavano indispettiti, con un
sopracciglio
alzato.
<< Già te ne
vai, Isabella? >>
<< Edward.
>> sussurrai in risposta, elaborando che quelle fossero
le prime due
frasi scambiate in quasi dieci giorni.
<< Ma sì,
Eddy, lasciala andare. Non credo sia un posto che faccia per lei.
>>
Girai il capo verso
sinistra, solo per notare mia cugina avvinghiata al braccio destro del
ragazzo
che, non riuscivo a spiegarmi il motivo, mi teneva le mani ancorate ai
fianchi.
<< Tanya?
>> dissi, con voce isterica << Cosa diavolo
ci fai qui? >>
<< Dovrei
essere io a chiederti questo, Bells, non tu. >> rispose,
con la sua
solita voce da oca giuliva << Come ho detto prima, non
è un posto per te.
Troppo elegante, non trovi? >>
<< Ti avevo
detto di venire da solo. >> disse gelida, Alice.
Io, nel frattempo –
e senza non poca fatica! –, mi sottrassi alla stretta di
Edward,
indietreggiando di qualche passo. Ero imbarazzata. Non solo
perché lui mi stava
facendo una radiografia completa, ma anche perché tutto il
locale stava
assistendo alla scena. Che vergogna!,
pensai, avvolgendomi le braccia intorno alla vita.
Dovevo ammettere,
comunque, che quei due formassero proprio una bella coppia. Lui
stronzo,
arrogante e con un ego sproporzionato di se stesso; lei bella, bionda,
ma oca.
Un’accoppiata vincente, insomma.
<< Non ho
portato con me Tanya. >> rispose Edward, senza smettere
di fissarmi
<< Ho incontrato lei e Jessica qua fuori, così
hanno pensato di fare
un’unica tavolata. >>
<< Se non ti
andava potevi sempre dire di no, non trovi? >>
domandò mia cugina,
lasciva come una perfetta pornostar.
<< Già,
Edward, potevi sempre dire di no. >> mormorai,
sorridendogli falsamente a
trentadue denti. Lui, dal canto suo, sbuffò.
<< Il tavolo,
comunque, è per quattro. >> si intromise
Jasper, notando l’irritazione di
Alice.
<< Fossero
solo questi i problemi! >> squittì, in modo
irritante, Jessica <<
Mi scusi, cameriere! >>
<< Jess,
lascia stare, ok? >> dissi, afferrando il cappotto e la
borsa << Io
me ne stavo andando, quindi Tanya può prendere il mio posto
e tu fai aggiungere
un coperto. Direi che è la soluzione migliore.
>>
<< Per una
volta sarò io a prendere il tuo posto. Giusto, Bells?
>> controbatté mia
cugina, guardandomi con uno sguardo rapace.
Cercai di non far
trasparire la mia frustrazione e il mio disagio. Ancora con quella
storia? Era
possibile che, Tanya, non avesse ancora capito che di quella loggia non
me ne
importava assolutamente niente? L’unica cosa di cui mi
interessava qualcosa, al
momento, era Edward, ma su quel fronte, purtroppo, lei aveva
già vinto.
<< Perché non
ci sediamo tutti e la smettiamo di dare spettacolo? >>
disse Edward, in
tono duro. Dopodiché si allontanò per andare a
parlare con un cameriere.
Tornò nel giro di
cinque minuti e, senza sapere bene come, riuscì a farci
spostare ad un tavolo
da sei – nonostante il Travel fosse quasi del tutto pieno.
<< Tutto è
bene quel che finisce bene, vero? >> disse Eric, ignaro
del vero problema
che aleggiava sulle nostre teste.
Senza farmi vedere,
lanciai un’occhiata agli abbigliamenti dei miei due
“migliori amici”.
Tanya sfoggiava un
abito rosso, piuttosto scollato – sia sul davanti che sul di
dietro –, corto,
abbinato ad un paio di stivaletti bianchi, in tinta col suo soprabito e
la pochette.
Edward, invece, era
vestito in modo più casual: jeans scuri, da sera; Vans marroni, abbinate al gilet
– sopra la camicia nera – e al
giaccone.
La serata passò
abbastanza tranquillamente. Io non parlai molto, a quello ci pensarono
Tanya e
Jessica. Alice era visibilmente infervorata, nonostante Jasper cercasse
di
calmarla. Erano molto carini insieme. Quel particolare, tuttavia, non
mi
avrebbe impedito di mandarli nella tomba. Insieme, ovviamente!
Spostai lo sguardo
su Angela, giusto il tempo per vedere Eric accarezzarle il dorso della
mano.
Lei, in risposta a quel gesto, sorrise leggermente e le sue guance si
colorarono di un leggero color porpora.
<< Edward,
guarda, c’è un pianoforte! >> disse
Tanya, di punto in bianco << Perché
non ci suoni qualcosa? Dai, ti prego! Mi mancano le cose che mi suonavi
a… ehm,
prima. >> si corresse in tempo, ricordandosi che seduti
con noi c’erano
anche Angela ed Eric.
A quella richiesta
rimasi ammutolita. Edward sapeva suonare il piano? E, cosa ancora
più
sconvolgente, lo suonava per lei?
Vidi Edward girarsi
di scatto, verso di me. Io, dal canto mio, abbassai lo sguardo,
giocherellando
nervosamente con la tovaglia.
Perché era così
difficile seguire ciò che stabilivamo per noi stessi?
Perché, nonostante il bel
discorso fatto ad Angela, non riuscivo a mandare Edward al diavolo, una
volta
per tutte?
La risposta era
semplice: non puoi imporre niente al tuo cuore. Lui prenderà
sempre la sua
strada, che a te piaccia oppure no.
Persa nei miei
pensieri, non mi resi conto che Edward era già davanti allo
strumento. Tutti lo
guardavo curiosi, stupiti di vedere un ragazzo così giovane
in quel luogo, al
posto del solito pianista.
Quando la musica
partì rimasi spiazzata. Non era solamente bravo, Edward era
un pianista
eccellente. Le lunghe dita, scorrevano sui tasti neri e avorio con una
velocità
ed un’eleganza che riusciva, perfino, ad ipnotizzarti.
Quella calma
apparente, però, durò troppo poco.
<< Fantastica
melodia… >> sospirò Jessica,
all’orecchio di Tanya << Ma non la
conosco, di chi è? >>
<< Non l’ho
mai sentita. >> rispose Angela, che di musica se ne
intendeva.
In effetti, quella
composizione era stupenda, ma non mi ricordava nulla. Sembrava nuova.
<< Perché
l’ha composta Edward. >> rispose mia cugina,
senza smettere di guardarlo
<< Si chiama For you,
e l’ha
creata per me. >>
Passarono secondi,
minuti… Forse perfino ore. Mi immobilizzai sul posto,
prendendo le sembianze di
una statua. Lui, Edward – il mio
Edward! – aveva composto una melodia per lei?
Il mondo si era
ribaltato. Sentii lo stomaco contorcersi e cominciai a sudare freddo,
tremando.
Che senso aveva avuto tutto, allora? Il suo quasi bacio nel 1912, le
sue
carezze, le sue attenzioni per me, degli ultimi tempi? Ti
ha presa in giro, Bella.
<< Scusatemi.
>> sussurrai, alzandomi.
Notai Angie fare lo
stesso e Alice scattare su, ma le bloccai con le mani. Non volevo
nessuno.
L’unica cosa che desideravo era stare da sola, prendere un
po’ d’aria, magari.
Non
so quanto
rimasi là fuori, ma l’aria stava diventando un
po’ troppo fredda, adesso.
Mi ero fatta il
giro del porto, perlustrando un po’ la zona, tanto per
schiarirmi le idee.
Quando, però, notai di essermi allontanata troppo, e senza
nemmeno giacca e
telefono, decisi di rientrare.
Stavo aprendo la
porta dell’ingresso del locale, quando mi sentii strattonare
ferocemente.
<< Dove
diavolo eri finita?! >> urlò Edward, a pochi
millimetri dalla mia faccia
<< Io e Jasper ti abbiamo cercata ovunque! Sono passate
dure ore da
quando sei uscita, ti rendi conto di quanto ci hai fatto preoccupare?
Angela
era in preda all’angoscia e mia sorella stava dando fuori di
matto! >>
Non so bene perché
lo feci, ma scoppiai a ridergli in faccia.
La mia ilarità era
isterica, ovviamente, ma bastò a far calmare Edward che, per
la sorpresa,
rimase a bocca aperta. Capii che stava ritornando in sé,
quando mi riafferrò il
braccio e mi trascinò nel parcheggio, per prendere la sua
auto.
<< Edward!
Lasciami andare! >> strillai, cercando di divincolarmi
dalla sua presa.
<< Sono l’unico
tuo mezzo di trasporto. >> disse duro, quasi gelido
<< Eric ha
accompagnato Angela a casa, Jasper è tornato con Alice,
mentre Tanya… >>
<< Quanto mi
dispiace che tu non abbia potuto accompagnare la tua fiamma a casa, per
colpa
mia! >> urlai, riuscendo a farmi mollare, con uno scatto
deciso <<
Sono sempre la solita bambina, vero? Dai, dillo! “Per colpa
tua, Betty, non ho
potuto passare del tempo con Tanya. E le avevo perfino scritto un
pezzo! Sei
proprio una ragazzina! Sei…“ >> mi
interruppe, ma non come faceva di
solito.
Edward mi stava
baciando. Riuscivo a percepire tutto: le sue mani sulla mia schiena,
che mi
attiravano a lui sempre di più; le sue labbra, calde,
morbide e inaspettate,
premute sulle mie.
Rimasi immobile per
alcuni secondi, non aspettandomi di certo un gesto simile. Da quanto
tempo
stavo aspettando quel momento? Edward mi stava baciando. Mi stava
baciando sul
serio!
Mi avvinghiai a
lui, con ferocia, lasciando che le mie dita sparissero tra i suoi
capelli. Le
nostre labbra si muovevano all’unisono, sembrano pezzi
perfetti di un unico
puzzle. Percepii le sue mani muoversi, arrivando ad accarezzarmi le
cosce.
Gemetti sulle sue labbra, che aprii, per permettere alle nostre lingue
di
giocare insieme.
Edward mi stringeva
a lui sempre di più. Stavo cominciando a perdere la
cognizione del tempo e del
mio corpo. Dove finivo io? Dove cominciava lui?
Quel momento era
perfetto così com’era. Mi sorpresi perfino di me
stessa. Quando avevo imparato
a baciare? Ma, soprattutto, quando avevo imparato a baciare in quel modo?
Con uno scatto che
non compresi, Edward mi schiacciò sulla portiera della sua
macchina, premendo
il suo bacino contro il mio. Sgrani gli occhi, gemendo in modo
indecente. Era
eccitato.
<< Sto
correndo troppo… >> sussurrò sulle
mia labbra, poggiando la fronte sulla
mia.
<< Era il mio
primo bacio. >> dissi scioccamente, senza sapere il
perché.
Lo vidi sorridere e
mi accarezzò la guancia, dolcemente.
<< Te la sei
cagava molto bene, novellina.
>> scherzò, baciandomi la punta del naso.
Lo spinsi via,
facendolo indietreggiare lentamente. Lui stava scherzando, io no.
<< Che hai
fatto? >>
<< Cosa abbiamo
fatto, Bella. >> rispose,
tornando più vicino a me << Ti ho baciata e tu
hai ricambiato il bacio.
>>
<< Tu stai
con mia cugina. >> affermai, mettendomi a posto la gonna
del vestito
<< Io non sono il tipo di persona che punta il ragazzo
altrui. >>
<< Bella,
Bella, io non sto con tua cugina. >> disse, prendendomi
il viso tra le
mani << Dico davvero. Inoltre, non ha nemmeno molta
inventiva. Tornato al
tavolo ho chiesto che fine avessi fatto e quando Alice mi ha trascinato
via,
per parlarmi, mi ha spiegato tutto. Non era per lei quella melodia,
Bella, è
per te. >> proseguì, porgendomi uno spartito
<< Leggi cosa c’è
scritto in alto. >>
<< Bella’s lullaby.
>> risposi,
sentendomi gli occhi pungere << L’hai scritta
per me? Perché? >>
<< Perché
forse non mi sei indifferente come voglio credere. >>
rispose,
avvicinandosi ulteriormente << Ma
c’è domani per le domande, ora pensiamo
a questo. >> e mi baciò ancora. Ma quello fu
solo il primo di tanti altri.
Passammo la notte a
baciarmi e parlare, come non avevamo mai fatto fino a quel momento.
Finalmente si sono
baciati! Lo so, questo bacio ve l'ho fatto attendere parecchio XD solo
che volevo che fosse speciale, ma soprattutto mio. Come ben sapete,
questa storia è la riadattazione della trilogia omonima
dell'autrice Kerstin Gier, ma sto cercando di metterci molta me stessa,
senza perdere di vista la trama di base. Spero di essere riuscita nel
mio intento...
Vi AVVISO
che la pubblicazione della settimana prossima, salterà. Il
motivo è che tra il lavoro e alcune questioni nel mondo
reale, ho avuto poco tempo di stare al pc e quindi di scrivere i
capitoli. Inoltre, la creazione della pagina facebook sulla grafica, mi
ha preso parecchio, in quanto c'erano molte richieste recentemente -
soprattutto di video, che è il lavoro più grosso
da fare. Non temete, però! La storia avrà solo un
leggero ritardo, ma tornerà come prima da Mercoledì
30 Maggio.
Impegni permettendo, utilizzero la prossima settimana per scrivere
qualche capitolo, così da non lasciarvi più senza
:)
Spero di riavervi tutti qui a fine mese! Per il momento, come dico
sempre, ora sta a voi dirmi cosa pensate del capitolo... ;) ma ci
rilegge prestissimo! :*
Un bacione a tutti! E se
voleste rimanere in contatto con me, visto il mio blog:Violet Moon (Blog).
Buon Mercoledì a
tutti! Come state? Lo so, sono
leggermente in ritardo, però ho messo l'avviso! Direi che
non sono tanto cattiva, no? Come già
detto nell'avviso - che ho cancellato, per non far sballare i capitoli
-, ho avuto alcuni problemi di salute nella "settimana sabatica" che mi
ero presa per portarmi avanti con "Edelstein" – come vi avevo
detto a fine capitolo scorso – e quindi non sono riuscita a
scrivere nulla, se non mezzo capitolo. Il 26 Maggio, poi, ho festeggiato il mio compleanno, e sono stata praticamente due giorni fuori
casa a svagarmi e divertirmi, cercando anche di evadere dai miei
problemi quotidiani – che chi mi conosce bene, sa. Il lavoro,
inoltre, è abbastanza frenetico in questo periodo. Finisco
abbastanza tardi e, tornando a casa, la voglia di scrivere è
quella che è. Per staccare un po' dalla
quotidianità decido di rilassarmi un po' ed entrare su
internet, per scrivere – sperando che la voglia arrivi!
– o godermi un po' di pace. La gente, però, deve
rompere le palle *scusate il francesismo* anche sui social network,
rendendo una persona già nervosa per la propria vita di
tutti i giorni, ancora più nervosa. Per questi motivi, er e
sono indietro con la storia. Sono riuscita a
concludere il capitolo e ho pensato di postarvelo appena corretto,
sperando di tenere viva in voi la curiosità di proseguire la
lettura di questa piccola long. Adesso, giuro!, la
smetto di ciarlare e vi lascio alla lettura, ma mi raccomando, leggete le note che
lascerò in fondo perché sono importanti per
quanto riguarda i capitoli successivi. . .
15.
« Non
basta guardare,
occorre guardare con occhi che vogliono vedere,
che credono in quello che vedono. » Galileo Galilei. .
La
settimana
cominciò che avevo ancora la testa tra le nuvole.
Avevo passato il
week end riempiendo Angela di chiacchiere su Edward. Quanto fosse
bello, quanto
baciasse bene, quanto toccasse
bene…
Ovviamente mi stoppò quasi subito, evitandomi il racconto
dei dettagli più
piccanti. Scoppiai a ridere al pensiero. Dettagli piccanti? Il massimo
che Edward
aveva fatto, era stato toccarmi una coscia.
<< Non dirmi
che ci stai ancora pensando, Bella. >>
sussurrò Angela, alla pausa
pranzo.
<< A cosa?
>> domandai, senza togliermi quel sorriso ebete dalla
faccia.
<<
Misericordia, ci stai ancora pensando! >>
<< Dai, Angie…
>> dissi, sbuffando un po’ << Non
me lo aspettavo. >>
<< E te ne
volevi perfino andare! Ti rendi conto che a me e ad Alice devi, come
minimo,
una statua placcata d’oro? >>
<< E va bene,
sono stata azzardata. Ma dopo tutta quella sua abilità
nell’evitarmi, avevo
pensato… >>
<< Bella!
>> mi interruppe la mia migliore amica <<
Questo è il tuo guaio. Ma
sai cosa ti dico sempre, no? Non pensare! >> scoppiai a
ridere, ma aveva
assolutamente ragione.
I problemi li avevo
avuti a casa, però.
Quell’arpia di
Tanya, capendo l’interesse che Edward nutriva per me
– dopo averla piantata lì
per venire a cercarmi –, aveva riferito a Lady Lillian che
fatto una
sceneggiata indegna per una Hale, in un locale pubblico, e non solo!
Aveva perfino
detto a mia madre della mia fuga in piega notte. Ero stata messa,
così, in
castigo.
Niente iPhone, niente computer e
internet – se
non serviva per scuola –, ma soprattutto, niente uscite.
Ovviamente, i viaggi
nel tempo e i pomeriggio alla loggia erano esclusi.
<< E dimmi,
il principe azzurro si è fatto sentire? >>
chiese Angela, mangiando una
mela verde.
Quella domanda mi
lasciò perplessa. Quale sarebbe stata la risposta
più giusta? Poco importava,
in fin dei conti. Edward non aveva chiamato, ma non era per forza colpa
sua.
Nella foga del momento avevamo dimenticato di scambiarci i numeri. E anche se l’aveste fatto, svegliona? Sei
in
punizione, avrebbe trovato un telefono spento!,
urlò una voce nella mia
testa. Touché…,
pensai, mordendomi il
labbro inferiore.
<< Veramente
non ci siamo… >>
<< Oh,
andiamo! Suo padre avrà certamente il tuo numero.
>> ribatté subito
Angela, impettita.
<< Sì, ma…
Non posso usare il cellulare, lo sai. Mia madre me l’ha
confiscato, grazie a
quell’arpia di mia cugina. >> sibilai,
lanciandole un’occhiata dall’altra
parte della mensa.
A differenza del
nostro piccolo e modesto tavolino, il loro era enorme e strapieno di
gente.
Circondata da tutti gli studenti più ricci, belli e popolari
della Saint
Lennox, c’era mia cugina. Sedeva al centro, insieme a
Jessica, Lauren, Mike,
Riley, e tutte le altre cheerleaders e atleti dell’istituto.
Aveva una bella
vita, Tanya – anche se non gliela invidiavo per niente, era
un ambiente troppo
fasullo per me –, per questo non riuscivo a capire
perché invidiasse così tanto
la mia.
<< Per me
sono solo scuse. >> sentii dire ad Angela, conscia di
aver perso quasi
tutto il suo discorso.
<< Oggi si
vedrà. >> dissi, tagliando corto
<< E tu ed Eric? Cos’è successo?
>>
<< Ma niente…
>>
<< Avanti,
tesoro. Stai ripetendo la stessa cosa da due giorni, ma non ci credo
per
niente! >> le dissi, notando che all’appello
della pausa pranzo mancasse
proprio Eric, ed anche Jasper in effetti << Guardati, ti
sei vestita
anche tutta in tiro… >>
<< Ma cosa
dici! >> urlò, alzando un po’ troppo
la voce. Colta in flagrante!
<< Questa
bella camicina traslucida rosa e che scollatura! >>
<< Isabella!
>> mi ribeccò lei, facendomi scoppiare a
ridere.
<< Va bene,
va bene. Quando vorrai dirmi com’è andata,
sarò qui ad ascoltarti. >> le
dissi, dandole un bacio sulla guancia.
Passammo gli ultimi
minuti del pranzo a ripassare la lezione di storia. Quel
Lunedì, Mr. Saltzman,
avrebbe fatto un compito in classe su tutto il programma
dell’anno precedente.
* * *
Londra, Hyde Park.
29 Maggio 1912
Il
sole splendeva
alto nel cielo, quel giorno. Gli uccellini cantavano, e la gente
passeggiava
per quel piccolo paradiso terrestre in tutta tranquillità.
A differenza di
tutte le persone a modo che, con eleganza e nobiltà, si
coprivano il volto con
delicati ombrelli parasole, due giovani erano stesi sul prato verde ad
impadronirsi di tutti i suoi raggi.
<< Non credi
di esagerare, principessa? >>
<< Perché
mai? >> chiese la giovane, in risposta alla domanda del
suo compagno.
Era stesa
sull’erba, sostenendosi sui gomiti; la veste spostata di
poco, lasciava
scoperti il collo e le spalle. Teneva gli occhi chiusi, il viso piegato
all’indietro e i capelli, sciolti, lasciati liberi al vento.
<< Sembri più
una libertina che una nobildonna. >>
sghignazzò il ragazzo, mettendosi su
un fianco.
Indossava una
camicia bianca, lui, sotto un paio di pantaloni marroni con le
bretelle.
Entrambi erano scalzi, particolare che attirava parecchia attenzione in
quell’epoca.
<< Parlando
di cose più serie… >> lo
ribeccò la ragazza, guardandolo truce <<
Cosa ne pensi di quei due?
>>
<< Bel
quesito. Tua cugina ha il tuo sguardo… Fiero e combattivo,
oltre che curioso.
Edward… >>
<< Edward è
una testa calda. >> lo interruppe <<
Proprio come lo eri tu,
Emmett. >>
<< Ehi,
dovrei sentirmi offeso, lo sai? >> disse il ragazzo,
posandosi una mano
sul cuore << Io ero molto più sveglio! E anche
molto più affascinante.
>>
<< Non so…
>> parlò Rosalie, facendosi pensierosa
<< Quella capigliatura
sbarazzina, quelli occhi verdi, mmm… >>
<< Rosalie
Lillian Hale! Ma cosa dici?! >> strillò
Emmett, facendo voltare l’intero
Hyde Park. Rosalie, dal canto suo, scoppiò in una fragorosa
risata.
Era bella quando
rideva, pensava spesso Emmett. La verità, però,
era che Rosalie era sempre
bellissima.
<< Quando fai
il geloso sei da riempire di baci! >> disse la ragazza,
dandogli un
rumoroso bacio a stampo << Adesso, però,
torniamo al nostro discorso
iniziale. Isabella ed Edward. Cosa dovremmo fare con loro?
>>
<< Non lo so,
Rose. >> rispose Emmett, strappando un filo
d’erba << Il conte di
Saint Germain ha plagiato parecchio la mente di mio nipote e, di
conseguenza,
quella di mio fratello. >>
<< E di tutta
la loggia, presumo. >>
<< Credi che
abbiamo aspettato troppo tempo? >>
<< Aspettato?
>> chiese Rosalie, confusa da quella domanda
<< Emmett, noi abbiamo
dovuto avvalorare la nostra tesi! Dovevamo capire se quello che
sospettavano
era veritiero… Inoltre, noi siamo bloccati qui, nel passato.
Non saremmo potuti
andare ad avvertirli prima. Isabella doveva compiere il primo
salto… Sapevamo
che li avrebbero mandati da Lady Gilbert, per il suo sangue. Dovevamo
solo
aspettare un segno che, fortunatamente, è arrivato.
>>
<< Quindi ora
che si fa? >>
<< Ci
prepariamo per la prossima mossa. >>
<< Allora sei
pronta, principessa? >>
<< Quando
vuoi. >>
* * *
L’atmosfera
alla
loggia era più caotica del solito.
Da quando io ed
Edward eravamo rientrati dal viaggio del 1912, non c’era
stato un attimo di
pace.
Tutti i Guardiani
stavano cercando di capire com’era stato possibile che,
Emmett e Rosalie, non
solo fossero ancora vivi, ma ci avessero intercettati e teso
un’imboscata, con
l’aiuto di Elena Gilbert oltretutto!
<< Le sto
dicendo che credo sia impossibile che la ragazza c’entri
qualcosa! >>
sentii urlare, dalla sala del drago.
<< Non
abbiamo avuto problemi in due anni, Carlisle. In due anni!
>> controbatté
qualcuno che, senza esserne troppo sicura, riconobbi come essere il
dottor
Black.
<< È solo una
ragazzina, Billy! Per l’amor del cielo! >>
<< Una
ragazzina che ha i geni di una traditrice. >>
<< Se è per questo,
Alaric, anche Edward ha gli stessi geni di Emmett ed anche Carlisle.
>>
parlò Mr. Dwyer << Non crede che sia un
movente troppo impreciso per
considerare la giovane Isabella come un potenziale pericolo per tutti
noi?
>>
Quel dibattito non avrebbe
dovuto sorprendermi. In fin dei conti, non era la prima volta che mi
accusavano
di tradimento o, addirittura, di essere stata la causa
dell’imboscata di Lady
Gilbert.
Cominciava ad
infastidirmi, però. Insomma, non ero di certo una
viaggiatrice impeccabile, lo
sapevo anche io, ma arrivare a pensare che potesse essere colpa mia
era… era
ridicolo!
<< Non ti ha
mai detto nessuno che spiare le conversazioni altrui è
peccato? >>
sussurrò una voce, vicinissima al mio orecchio sinistro.
Saltai per aria, a
causa dello spavento. Se Edward non mi avesse tappato la bocca, avrei
perfino
urlato.
<< Shh! Che
ti salta in mente! Poi passeremmo un pessimo quarto d’ora.
>> disse,
allontanandosi un po’ per farmi respirare. Era splendido,
come al solito.
Quel pomeriggio,
indossava un paio di jeans stretti, una camicia verde militare
– che gli faceva
risaltare gli occhi – e un paio di Converse
nere. I capelli, come ogni volta che lo vedevo, erano disordinati,
donando al
suo viso un’aria estremamente sexy.
<< Sei tu che
mi sei sbucato alle spalle! >> sussurrai impettita,
ricordandomi che mi
aveva rivolto la parola.
<< Ovvio,
stai origliando da più di dieci minuti. >>
<< Non stavo
origliando… >> cominciai, interrompendomi
subito, notando il suo
sopracciglio alzato << Oh, va bene! Stavo andando nella
sala del drago a
cercare Mr. Dwyer per il solito salto nello scantinato, ma sentendo che
era
impegnato… >>
<< Ti sei
fermata ad origliare. >> concluse al mio posto, facendo
un sorriso
sornione.
Di tutta risposta,
ridussi gli occhi a due fessure e incrociai le braccia sotto il seno.
Inaspettatamente, Edward, si avvicinò a me con uno strano
scintillio negli
occhi. Mi portò una ciocca si capelli dietro
l’orecchio, guidando le sue labbra
vicine al mio collo. Riuscivo a percepire il suo fiato, e la cosa mi
stava
procurando una marea di brividi lungo la schiena.
<< Quando sei
arrabbiata sei ancora più carina, lo sai? >>
<< Uhm… Ah
sì? >> chiesi, con voce tremante.
Edward non rispose,
ma cominciò ad accarezzarmi la guancia. Con un gesto rapido,
mi spinse dietro
ad una colonna, facendo aderire la mia schiena al muro freddo.
<< L’uniforme
scolastica, poi, ti sta proprio bene… >>
sussurrò, mentre con la mano
libera tracciava delle linee immaginarie sul mio braccio.
Non riuscii a dire
nulla. La lingua era diventata di cemento e, molto probabilmente, ero
andata in
iperventilazione.
Quando le labbra di
Edward tornarono sulle mie, ci volle tutta la forza che avevo per non
saltargli
addosso – dopo aver fatto svariati urli di gioia, ovviamente.
Non pensavo che mi
avrebbe baciata di nuovo così presto. Anzi, se proprio
dovevo dirla tutta, ero
convinta che se ne fosse pentito. Come aveva detto Angela, se avesse
voluto
sentirmi o vedermi, avrebbe saputo come fare; in quel week end,
però, tutto
aveva taciuto.
<< Sono due
giorni che aspetto di rifarlo… >>
sussurrò il ragazzo dagli occhi verdi,
sulle mie labbra.
<< Davvero?
>> domandai, non sapendo dove avevo trovato il fiato.
<< Ne dubiti?
>> chiese lui, appoggiando le sue grandi mani sui miei
fianchi e mi attirò
ancora di più a sé.
Stare così vicina
ad Edward, mi procurava emozioni che non avevo mai conosciuto prima. Il
cuore
batteva all’impazzata, le mani sudavano e le gambe tremavano.
Lo stomaco,
infine, si contorceva in modo inspiegabile. Era un dolore dolce, quasi
confortevole.
<< Terra
chiama Bella! Ehi, ci sei? >>
<< Cosa? Oh,
sì! Sì, scusa, sono qui. >>
<< Tutto
bene? Ho detto qualcosa di sbagliato? >>
<< No,
davvero! Pensavo di essere solo io quella che stava aspettando che
questo
momento tornasse… >> sussurrai, mordendomi la
lingua. Cazzo, l’ho detto a voce
alta!, pensai.
<< Ero
convinto che la notte passata insieme fosse stata molto
chiarificatrice.
>> disse Edward, allontanandosi un po’ per
guardarmi negli occhi.
<< Sì, lo è
stata. Ma forse è successo tutto troppo in fretta,
insomma… >>
<< Troppo in
fretta? >> domandò, interrompendomi
<< Ti ho solo
baciata, Bella. >>
<< Non mi sto
riferendo a quello. >> sibilai, spingendolo via
<< Non sono una
bambina. So cos’è un bacio e cosa vuol dire
“andare troppo di fretta”.
Intendevo che pochi giorni fa nemmeno mi consideravi e poi, tutto
d’un tratto,
ti preoccupi per me e mi baci. Ma se per te è stato solo un bacio, va bene. >>
conclusi, allontanandomi in
fretta.
<< Aspetta un
attimo! >> disse, afferrandomi un polso <<
Hai frainteso. O meglio,
io ho frainteso le tue parole. Non è stato solo un bacio, va
bene? Adesso torna
qui. >> finì, trascinandomi nuovamente dietro
la colonna.
<< E allora
perché non mi hai cercata? Nemmeno un messaggio! E tuo padre
ha il mio numero.
>>
<< Magari mi
vergognavo di chiedere il numero a mio padre, non credi?
>> rispose,
cominciando ad alterarsi.
<< Come se a
te servisse chiedere, Edward. >>
<< Va bene,
non ci ho pensato! Sei contenta? Avevo altre cose da fare! Come, ad
esempio,
cercare le prove che ti scagionino dall’essere la prima
indiziata dell’assalto
di Emmett e Rosalie. >>
<< Non
crederai sia davvero colpa mia, spero. >> dissi,
aspettandomi qualcosa
che non arrivò.
Edward voltò il
viso dall’altra parte e si allontanò da me,
lasciandomi andare il polso.
<< Non ci
credo! Tu pensi che sia colpa mia! >> urlai, fregandomene
che tutti ci
sentissero.
<< Ammetterai
anche tu che sia strano. >> disse, puntanomi addosso i
suoi occhi verdi
che, a differenza di poco prima, erano diventati arroganti e privi di
qualsiasi
emozioni.
<< Come puoi
pensare che sia stata io?! >> strillai, cercando di
trattenermi dal
prenderlo a pugni << Diamine, Edward, ragiona! Non so
nemmeno come avrei
potuto fare! >>
<< Usando il
cronografo saresti potuta tornare indietro nel tempo, avvisare qualcuno
– se
non proprio loro – del nostro arrivo da Lady Gilbert.
>>
<< Cosa? Ma
di cosa stai parlando? Nemmeno lo sapevo di quel viaggio!
>>
<< Prima, ma
adesso sì. >> rispose freddo, con un tono
quasi calcolatore.
<< Di cosa
diavolo stai parlando? >>
<< Ora sei
solo ingenua e innocua…
Ma cosa ne
sappiamo di come sarai tra tre mesi? Potresti…
>>
<< Beh,
potresti anche tu! >>
<< No! Io non
lo farei mai. >>
<< Ma come ho
fatto a fidarmi di te anche solo per un momento? >>
domandai, voltandogli
le spalle.
<< Bella,
aspetta! Questo non c’entra nulla con noi due.
>>
<< Non
c’entra? >> ero costernata dai suoi assurdi
ragionamenti << Non
c’entra?! Dio, Edward, non so proprio come ragioni
e… I tuoi cambiamenti
d’umore mi fanno girare la testa. >> scappai
dalla sua presa e mi avviai verso
la sala del drago.
<< Bella,
fermati! >>
<< Perché mi
hai baciata, se adesso ti comporti in questo modo? >>
domandai, senza
riflettere oltre. Senza pensare che, forse, la sua risposta avrebbe
potuto
ferirmi. Farmi molto, troppo, male.
<< Io ti ho
baciata perché… perché…
>>
Restai a fissarlo
per alcuni minuti, speranzosa che dicesse qualcosa di quello che mi
aspettavo.
“Perché mi fido di te” o anche
“Perché mi piaci, e non mi importa di tutta
questa storia del cronografo”. Invece restò
lì, muto, senza sapere cosa dire.
Mi ero fatta male.
Mi aveva fatto male. Di nuovo.
<< Se non sai
tu il perché, di certo non posso dirtelo io.
>> e con uno scatto deciso,
entrai in quella stanza.
Bendata, come
sempre, Mr. Dwyer mi scortò alla stanza del cronografo. Nessuno dei due
aprì bocca, fortunatamente. Non ero in vena di parlare; non
volevo parlare. L’unica
cosa che mi
faceva sentire bene, in quel momento, era la consapevolezza che avrei
potuto
evadere – andare via, lontano da tutto e tutti –
per un po’, ma soprattutto nel
vero senso della parola. Essere una
viaggiatrice, una volta ogni tanto, non era
un’eredità tanto malvagia. Insomma,
poteva andarmi peggio! Avrei potuto essere la prossima generazione a
dover
indossare l’orribile medaglione di Lady Lillian che, addosso
a chiunque altro
eccetto lei, era orrendo. Il gene-portatore, visto da
quest’ottica, non era
niente male. <<
È pronta,
Isabella? >> domandò Mr. Dwyer, dopo aver
regolato il cronografo. <<
Certo!
>> <<
Ha preso
tutto? >> <<
Direi di
sì. >> risposi, controllando comunque. Nello zaino
c’erano: penne, foglie, libri di scuola, un lume ad olio e,
per finire, qualche
muffin, in caso di appetito, con una bottiglietta d’acqua. <<
Si ricordi
di non lasciare nulla in giro, Isabella. >> disse, per la
milionesima
volta, ed io annuii << Sono le quattro,
tornerà da noi per le sette e
mezza. Ha l’orologio? >> <<
Certamente, Mr. Dwyer! >> <<
Bene,
allora mi dia il dito e buona permanenza nel 1889. >> Con un passo
lento
mi portai dinanzi a quell’oggetto interamente ornato di
gemme. Inserii il dito
indice nel piccolo spazio e, come di consueto, una luce rossa si
sprigionò per
tutta la stanza. Mi sentii sollevare in aria e, nel giro di pochi
istanti,
tutto intorno a me si fece buio.
IMPORTANTE:
Come vi avevo già avvisato nell'avviso, ma anche ad inizio
capitolo, vorrei dirvi una cosa importante per quanto riguarda la
futura pubblicazione dei capitoli.
Chi mi conosce sa che sono sempre stata parecchio puntuale nel postare.
Se davo la mia parola che ogni settimana, a quel determinato giorno,
avreste avuto il capitolo beh, rispettavo la parola. La vita reale,
però, mi sta impegnando parecchio, quindi non ho mai molto
tempo per scrivere, nonostante l'ispirazione. Inoltre, come
già ripetuto più volte, sono particolarmente
nervosa in questo periodo, e la scrittura ne risente. Non so quindi,
con precisione, quando verrà pubblicato il nuovo capitolo.
Vi prometto, comunque, che cercherò di non farvi aspettare
troppo. Da ora in avanti, fin quando non riprenderò il mio
solito ritmo, le pubblicazioni saranno saltuarie... Appena
avrò pronto un capitolo, il tempo di correggerlo,
verrà pubblicato.
Detto questo, alla prossima! :*
Buon
inizio settimana a tutti voi! Come va?
Finalmente sono riuscita a trovare un po' di tempo, ma soprattutto
voglia, per scrivere. Come avevo preannunciato, i capitoli verranno
pubblicati appena finit, perciò - anche se è solo
Lunedì e non Mercoledì - eccomi qui!
Non sto a blaterare molto, perciò vi lascio al capitolo, che
spero sia all'altezza dei precedenti. .. .
16.
«
Ogni
epoca è una sfinge, che si precipita nell'abisso
non appena il suo enigma è stato risolto. » Heinrich Heine. .
Arrivata
nell’anno
1889, brancolai nel buio per qualche secondo.
Finivo in questo
sotterraneo tutti i giorni – o quasi –,
perciò non avevo più bisogno della
torcia, che era comunque nello zaino, per orientarmi.
Quando le mie mani
toccarono il piano del tavolo, che per quelle ore sarebbe diventato il
mio
migliore amico, depositai su di esso la mia roba. Non feci in tempo ad
estrarre
la torcia, però. Improvvisamente, l’intera stanza
venne illuminata da una
lanterna ad olio.
Mi voltai di
scatto, urlando. Per poco il cuore non mi uscì dal petto!
<< Bella, non
urlare! >> disse il ragazzo che avevo davanti, facendo
qualche passo
verso di me << Voglio solo parlare. >>
<< Cosa ci
fai tu qui? >>
sussurrai,
percependo la mia voce tremare.
No, non dovevo
farmi vedere agitata o, peggio ancora, spaventata. In fin dei conti,
voleva
solo parlare. Ma dovevo credergli? È
la
domanda sbagliata, sciocca! Dovresti chiederti se puoi credergli!,
disse
una voce nella mia testa. Non aveva tutti i torti.
<< Sono
arrivato qui come ci sei arrivata tu, Bella. >>
<< Isabella.
>> puntualizzai,
cercando di far trasparire la mia autorità.
<< D’accordo,
gattina! >> disse, alzando le mani a mo’ di
difesa << Ritira gli
artigli, sono davvero qui solo per parlare. Per spiegarti, anzi.
>>
Emmett Cullen si
trovava a pochi centimetri da me. Indossava gli stessi abiti della
volta
precedente, eccezion fatta per la camicia. Lo scintillio nei suoi
occhi, però,
era lo stesso: fiero e testardo. Dal suo corpo, poi, trasudavano
determinazione
e coraggio.
Per certi aspetti
mi ricordava Edward. Entrambi avrebbero fatto qualsiasi cosa per far
valere le
loro convinzioni.
Peccato che le loro
idee fossero collocate in due poli totalmente opposti.
<< D’accordo,
allora parla. >> dissi, non sapendo cos’altro
fare.
Ero bloccata lì,
con lui, senza avere la minima via d’uscita. Non
c’era possibilità di invertire
il processo; il cronografo doveva fare il suo corso, ciò
significava che non
sarei ritornata nel 2011 tanto facilmente. Perché non do mai ascolto a nessuno?,
mi domandai inconsciamente. Perché
quando Edward rompeva le pal… Pardon,
insisteva tanto affinché prendessi lezioni di corpo a corpo,
lo mandai a quel
paese?
<< Perché non
andiamo a fare un giro? >> domandò Emmett, di
punto in bianco.
<< Un… Cosa?
>>
<< Sì, sono
un po’ nervoso e vorrei fumarmi una sigaretta.
>> disse serio, tastandosi
le tasche << Rose non ama molto che fumi, così
uso questi momenti in cui
lei non c’è. E fidati, sono molto pochi!
>>
Rimasi a fissarlo
per alcuni minuti. Possibile che stesse dicendo sul serio?
<< Non posso
allontanarmi da qui. >> affermai <<
Potrebbe raggiungermi Edward,
oppure… >>
<< Non
succederà nulla. >> controbatté
Emmett, assumendo un’espressione più che
seria << Lo so, fidati. Non avremmo scelto questo giorno
altrimenti, non
credi? >> domandò, e si diresse verso la porta.
<< Non puoi
aprirla. È chiusa a… >> tentai,
notando Emmett “litigare” con un mattone
in rilievo, dal quale estrasse una piccola chiave argentata.
<< Non è un
problema, Bella. >> rispose, inserendo il piccolo oggetto
nella toppa e
fece scattare la serratura << Prima le
signore… >>
Mi
ritrovai a
camminare per Londra, senza saperne esattamente il motivo.
Insomma, Emmett
Cullen non era di certo il mio migliore amico né, tanto
meno, una persona
affidabile. Come se non bastasse, suo nipote – noto a tutti
come Edward Cullen
–, mi avrebbe uccisa, letteralmente, se fosse venuto a sapere
di questa
“amichevole” passeggiata. “Non ci posso
credere, Bella! Ti sta imbrogliando, e
tu ci stai cadendo con tutte le scarpe!” Riuscivo ad
immaginare, senza troppo
sforzo, perfino le parole che mi avrebbe rivolto. “Sei
proprio una bambina!”
<< E tu un
codardo! >> sibilai, senza rendermi conto di parlare a
voce un po’ troppo
alta. Ma brava, Bella! Adesso parli anche da sola?,
chiese la voce nella mia testa. La
ignorai.
<< Come,
scusa? >> domandò Emmett, voltandosi dalla mia
parte.
Non risposi, più
per la figura di merda che per altro. Lui, ovviamente, pensò
che non lo facessi
per non fiducia. Beh, non aveva tutti i torti; non mi fidavo molto di
Emmett.
<< Bella, non
voglio farti alcun male. Credimi. >>
<< Disse il
ragazzo che sgraffignò il cronografo. >>
<< Non pensi
che se fossi venuto qui per il tuo sangue, a quest’ora lo
avrei già preso?
>>
A quella domanda
non risposi. Touché.
Nonostante la
diffidenza che provavo verso di lui – verso di loro
–, dovevo ammettere che la
curiosità mi spingeva ad essere spavalda, rischiando di
farmi male, certo, ma
non per questo motivo mi sarei tirata indietro. Io volevo sapere.
Volevo
conoscere la verità, una volta per tutte.
<< D’accordo,
Emmett. >> dissi, bloccandomi in mezzo alla strada
<< Volevi
parlare? Allora parliamo. Dimmi cosa accidenti è successo
diciassette anni fa!
>>
<< Wow, wow,
wow! >> gesticolò, dirigendosi
all’interno di una locanda che, in tutta
onestà, non avevo neppure visto << Dritta al
sodo, eh? Ti offro qualcosa
da bere, mi fumo una sigaretta, e poi parliamo. >>
sbuffai, ma lo seguii.
Ci trovavamo a
quella che riconobbi a fatica come Fleet
Street. Era proprio qui, infatti, che si trovava il pub
più antico di tutta
Londra: lo Ye Olde Cheshire Cheese.
Da quel poco che mi
era rimasto impresso, leggendo tutto il manuale della perfetta
viaggiatrice del
tempo, il locale fu costruito nel 1667, dopo il Grande Incendio di
Londra, per
sostituire un edificio molto più vecchio. La cantina,
inoltre, risaliva al XIII
secolo e rappresentava, ancora oggi, i resti di un antico monastero.
<< Una kuppers kolsch,
grazie. >> ordinò
Emmett, sedendosi al bancone << Ne vuoi una anche tu?
>> domandò a
me, poi.
Lo guardai per
diversi istanti, senza capire di cosa stesse parlando. Cosa avrei
potuto
volere?
<< Non
capisco. >> ammisi, prendendo posto accanto a lui
– sulla sinistra.
<< È la
bionda, baby. >>
Di tutta risposta,
ridussi gli occhi a due fessure, non capendoci assolutamente niente.
Chi era
bionda? Storsi il naso, scuotendo la testa in senso negativo.
<< Birra,
Bella. La kuppers kolsch
è la birra
per eccellenza! Buona e bionda. Ed io ho sempre avuto un debole per le
bionde…
>> alzai gli occhi al cielo, quando mi fece
l’occhiolino.
<< Adesso che
hai la tua birra… >> dissi, non appena il
signore gliela porse <<
…e la tua sigaretta, potresti dirmi cosa vuoi da me?
>>
<< Tutto a
suo tempo, Bellina. >>
<< Non ho
tempo, Emmett! >> dissi decisa, costringendolo a voltarsi
<< Devi
dirmi cosa vuoi da me, hai capito? E poi devi convincermi anche a non
dire
nulla alla loggia, al mio ritorno. >> capii di aver
attirato
completamente la sua attenzione, quando i suoi occhi si spalancarono.
<< Bella, non
dovrai dire a nessuno del nostro incontro! >>
<< E perché?
>> chiesi, pronta a non darmi per vinta <<
Non si sa come, ma tu e
Rosalie ci avete trovato da Lady Gilbert! Ed adesso sei qui, a tenere
un’altra imboscata
a me. Come hai fatto a sapere dove mi avrebbero fatto trasmigrare? Mr.
Dwyer
cambia ubicazione ad ogni salto! Solo l’anno è
identico, i giorni li varia
sempre, avendo paura che possa incontrare me stessa. Quindi la domanda
che ti
sto ponendo da quando ti ho visto, Emmet, è ancora la
stessa: come hai fatto ad
arrivare qui? >>
<< Non
fidarti del conte di Saint Germain. >>
sussurrò, fissandomi serio. Aveva
ignorato completamente la mia domanda.
<< Io me ne
vado. >>
<< Bella,
devi credermi. >> affermò, afferrandomi un
braccio per trattenermi
<< Non si parla per antipatia, il conte non è
quello che sostiene di
essere. Non fidarti di lui, Bella, e non permettere che il cerchio di
sangue
venga chiuso. >>
<< Dimmi cosa
sai. >>
<< Non posso.
>> rispose, lasciando la presa << Ne va
della tua vita, Bella, e
anche delle nostre. >>
<< Ma cosa
stai dicendo? >>
<< Il conte
di Saint Germain ha un dono, può entrarti nella testa.
>> quelle parole
catturarono tutta la mia attenzione << Lui ha il potere
di manipolare le
menti, gli eventi… Se tu sapessi troppo sarebbe pericoloso,
e non solo per te.
Io e Rose abbiamo perso tutto per questo missione; siamo bloccati in un
tempo
non nostro senza alcuna possibilità di ritornare indietro,
nel presente.
Abbiamo sacrificato tutto quello che avevamo per un bene più
grande. Io non
rivedrò più mio fratello, e credi che mi piaccia?
Amavo Carlisle, adoravo la
mia vita. Certo, il 1994 non era stato un grande anno, ma era
certamente
migliore di quello in cui viviamo adesso. >>
<< Io non so
cosa dire… >>
<< Non devi
dire niente, Bella. Devi solo credermi. >>
<< Ho bisogno
di qualcos’altro per crederti, Emmett. >>
ammisi, consapevole che se li
avessi aiutati non sarei stata più accusata ingiustamente di
tradimento. Sarei
stata, a tutti gli effetti, una traditrice.
<< Ho una cosa
per te. >> disse, estraendo un pezzo di carta giallastra,
dalla tasta del
pantaloni << Non farlo vedere a nessuno, per favore.
>> Il corvo, nel suo rubino volteggiare, tra i
mondi sente i morti cantare, non conosce la forza, il prezzo ignora, si
leva il
potere, chiuso il cerchio è allora.
¹
Cercai di capire
cosa volessero dire quei versi, ma senza troppo successo. Decisi,
quindi, di
proseguire con la lettura. Il leone – fiero volto di diamante,
incantesimo che offusca la luce folgorante – al calar del
sole arreca il
mutamento, la morte del corvo palesa il compimento. ¹
<< Cosa?!
>> urlai, scattando in piedi.
Tutti gli occhi
delle persone sedute a bere una birra o, più semplicemente,
intente a fare una
partita a carte, saettarono su di me. Non me ne badai.
<< Che cos’è?
E che significa? >>
<< Usciamo.
>> disse Emmett, lasciando una banconota sul bancone e la
sua fantastica
birra a metà.
Lo seguii
silenziosamente, provando una strana agitazione. Quelle parole, quella
filastrocca… Continuavano a vorticarmi nel cervello. La morte del corvo…
La mia morte.
<< Bella,
respira. >> disse Emmett, bloccandosi di colpo dinanzi a
me << Non
stai respirando. >>
<< Cos’è… Che
cos’è questo?! >>
<< Un
estratto dei veri scritti del conte
di Saint Germain. >>
<< Cosa
significa quel “veri”? >>
<< Che mio
fratello e tutti quelli della loggia – da decenni, ormai
– hanno degli scritti
incompleti! >> spiegò esasperato
<< E prima che tu lo dica no, non
è uno sbaglio. Il conte lo ha fatto apposta.
>>
Non riuscivo a
pensare né, tanto meno, ad elaborare le sue parole. Prima
sosteneva di non
potermi dire troppo e poi sganciava una bomba come quella?
<< Cos’altro
sai? >> domandai, ma quando percepii la mia voce mi
agghiacciai.
Era senza emozione.
<< So altro,
Bella, molto altro. Io e Rosalie abbiamo trovato un diario che tuo
nonno
scoprì, e riuscì a tenerlo nascosto. Lo diede tua
cugina perché lei potesse
metterti in guarda, ma le cose sono andate diversamente. Sono andate
male,
troppo male. Non posso dirti altro, per il momento, ma devi convincere
Edward
che tutta questa storia del cerchio è una follia!
L’ultima pagina del diario
del conte è strappata, quindi non sappiamo a cosa serve
realmente il
completamente del cerchio, ma ti prego, ti prego, impedisci ad Edward
di
concluderlo! >>
<< E come
potrei fare? Edward si fida ciecamente del conte! Non mi
ascolterà mai.
>>
<< Lo farà,
invece. >>
<< Come puoi
esserne certo? >>
<< Perché ti
guarda nello stesso modo in cui io ho sempre guardato Rosalie.
>>
Non seppi cosa
rispondere, ma in quell’istante il mio cuore riprese a
battere furioso nel
petto. Emmett sosteneva che a Edward importasse di me, ma era davvero
una cosa
possibile? Mi aveva baciata – due volte! –, ma alla
fine non aveva saputo
giustificare i suoi comportamenti. Il mio compagno di viaggi nel tempo,
era un
ragazzo complicato – troppo complicato, sarebbe bene
aggiungere. L’essere
cresciuto troppo in fretta non aveva di certo contribuito a farlo
essere meno
introverso.
<< E dal modo
in cui stai sorridendo direi che il mio nipotino è
corrisposto… >>
sghignazzò Emmett, facendomi tornare alla realtà.
<< Ma… Non
sono affari tuoi! >>
<< Certo,
certo… >> rispose, senza troppa convinzione
<< Ora sarà meglio
andare, tra poco dovrai tornare a casa. >>
<< E cosa
dovrei fare, una volta lì? >> domandai, senza
muovermi di un centimetro
<< Mentire a tutti? Mi credono già una
traditrice, qualcuno di cui non
potersi fidare. >>
<< Non è
questione di fiducia, qui. >> rispose lui, avendo sempre
qualcosa da
dire.
Una cosa che avevo
notato di Emmett – e che, non potevo negarlo, mi piaceva
–, era la sua abilità
a non rimanere mai senza parole.
<< E allora
di cosa parliamo? >>
<< Di
salvezza, Bella. E del futuro. Del futuro di tutti noi. >>
Nessuno dei due
parlò durante il tragitto di ritorno a Temple. Eravamo
troppo assorti nei
nostri pensieri per condividerli o, più semplicemente, per
pensare a quelli
dell’altro.
Una parte di me non
voleva entrare in questa faccenda. Credere ad Emmett, aiutare lui e
Rosalie,
sarebbe stata la strada più sicura per diventare realmente
una traditrice, nei
confronti della loggia e soprattutto di Edward.
Già, Edward.
Lui odiava tutto
questo. Detestava le menzogne, i tradimenti… Nonostante il
suo carattere
ribelle, era un ragazzo con sani principi. Forse un po’
troppo arrogante, duro
e spigoloso… Ma tutti hanno i propri difetti, no?
Con l’aiuto di
Emmett, riuscii a reintrodurmi all’interno della loggia
– arrivando nella
stanza degli archivi – senza troppa fatica.
Mancavano pochi
minuti al mio salto, ma era arrivato il momento di salutarci. Di
decidere,
soprattutto; di scegliere da che parte stare.
<< Cos’hai
deciso, Isabella? >> domandò lui, rivolgendosi
a me – per la prima volta,
di sua spontanea volontà – con il mio nome di
battesimo.
<< Devo
rifletterci bene, con calma… >> risposi, un
po’ troppo insicura <<
È una decisione importante e non voglio mettermi fretta.
>>
<< Ma
valuterai con coscienza ciò che ti ho rivelato?
>>
<< Sì.
>>
<< Per il
momento mi basta. >> disse, avviandosi alla porta
<< Alla prossima,
Bella. >>
<< Aspetta!
>> quasi urlai, facendo qualche passo verso di lui
<< Dimmi come
hai fatto a sapere dove sarei stata oggi. >>
Notai un sorrisino
beffardo crearsi sulle sule labbra – lo stesso che, a volte,
mi propinava
Edward. È un marchio di famiglia,
ho
capito.
<< Sei stata
tu a dirmelo, Bella. >> disse, e le sue parole mi
arrivarono addosso come
lame << O, per meglio dire, lo hai detto a Lady Gilbert
perché lei
potesse dirlo a noi. >> mi salutò con la mano
ed uscì, lasciandomi lì,
impalata, come una statua.
<< Ma di cosa stai parlando? Nemmeno
lo sapevo di quel viaggio! >>
<< Prima, ma adesso sì. >>
rispose freddo, con un tono quasi calcolatore.
<< Di cosa diavolo stai parlando?
>>
<< Ora sei solo ingenua e innocua… Ma
cosa ne sappiamo di come sarai tra tre mesi? Potresti…
>>
<< Beh, potresti anche tu! >>
<< No! Io non lo farei mai. >>
<< Ma come ho fatto a fidarmi di te
anche solo per un momento? >>
Le parole di
Edward
mi si infransero addosso come una doccia ghiacciata in pieno Gennaio.
Possibile
che avesse ragione? Che tutti avessero ragione? Possibile che sarei
potuta
davvero essere io la talpa
all’interno della loggia?
Arrivata a quel
punto, mi resi conto di una realtà agghiacciante: non dovevo
decidere se
schierarmi da una parte o dall’altra, il destino, il fato, il
futuro, aveva già
scelto per me.
Quando percepii la
vergine, lo stomaco cominciò a contorcersi e la testa
iniziò a farmi male. Mi
sentii sollevare in aria e, nel giro di pochi attimi, mi ritrovai a
casa.
<< Sei
tornata. >> disse Edward, appoggiato allo stipite della
porta.
Sì, ero tornata.
La traditrice era
tornata ad aggirarsi tra di voi.
¹. La filastrocca che Emmett da a
Isabella è presa dall'intermezzo nove del libro Blue, di Kerstin Gier.
Ciao a tutti! Eccomi
finalmente a pubblicare il nuovo capitolo che, devo dire, si allontana
un po' dalla storia originale - chi ha letto la saga,
capirà. Comunque, vi sono parecchie novità in
questo capitolo che spero siano state descritte in modo chiaro... Vi comunico,
inoltre, che facendo una piccola panoramica della storia, sono giunta
alla conclusione che essa verrà terminata durante l'estate.
Penso, infatti, di pubblicare l'epilogo non oltre la fine di Agosto o
gli inizi di Settembre, per poi cominciare la pubblicazione di un altro
progetto. Lo spero, più che altro - sempre a causa della
poca voglia di scrivere, nonostante una buona ispirazione, e la
mancanza di tempo.
Adesso non so davvero cos'altro dirvi XD spero che il capitolo vi sia
piaciuto! E ci leggiamo appena concluderò il prossimo! Ah,
ancora una cosa: risponderò alle vostre recensioni entro
sera, promesso :) Un bacione a tutti!
Buona
sera, bella gente! Come state?
Avevo detto che non appena avrei finito un capitolo lo avrei corretto e
postato, perciò eccomi qui! Nelle recensioni avevo scritto
che, molto probabilmente, lo avrei pubblicato domani, ma poi mi sono
detta "Perché aspettare?" in fin dei conti, non credo che in
ventiquattro ore sarei andata normemente avanti, quindi le questioni
erano due: aspettare di scrivere altri capitoli, portandomi avanti il
più possibile - rimandando la pubblicazione di qualche
settimana - oppure pubblicare è "vivere alla giornata".
Ma adesso, bando alle ciance! E buona lettura :) . .
17.
«Meet the time as it seeks us.
Andiamo a far fronte agli eventi che ci si parano davanti. » La tragedia di Cimbellino,
William Shakespeare.
<<
Sei
tornata. >>
La voce di Edward
mi fece quasi saltare per aria. Non mi ero accorta che non vi fosse
nessuno,
eccetto lui, ad attendermi. Era appoggiato allo stipite della porta,
con le
braccia incrociate e indossava gli stessi abiti di qualche ora prima:
jeans
stretti, una camicia verde militare e un paio di Converse
nere.
Non riuscivo a emettere
un suono. Mi sentivo stralunata, quasi spenta, persa; come se avessi
corso
mille miglia sotto il sole cocente di metà Agosto.
Mi guardai in giro,
cercando di riprendere padronanza della mia mente e del mio corpo, ma
non
ottenni l’effetto desiderato. Quella stanza, inoltre, era
davvero deprimente.
<< Bella, ti
senti bene? >> domandò Edward, entrando
lentamente.
Notai che stringeva
in mano la solita benda nera.
<< Te ne
frega sul serio qualcosa di come sto? >> chiesi,
appoggiando per terra il
pesante zaino che avevo ancora sulle spalle << Oppure sei
qui solo per
bendarmi? >> la mia voce aveva un tono strano, lo
percepivo anche io.
Ero arrabbiata. Più
con me stessa che con lui, ma trovarmelo lì con quel pezzo
di stoffa tra le
mani… mi mandava in bestia!
<< È la
procedura, lo sai. >> avanzò un po’
incerto << Volevo parlare,
anche. Così ho chiesto a Mr. Dwyer se potevo aspettarti io
e… eccomi qui.
>>
<< Non c’è
granché da dire, Edward. >> dissi, afferrando
nuovamente il mio piccolo
“bagaglio” << Inoltre, sono davvero
molto stanca e vorrei tornarmene a
casa. >> stranamente non mi fermò,
né cercò di farmi ragionare né
insistette, come era suo solito fare.
Lo guardai per
diversi minuti, sperando che non sentisse il mio cuore battere furioso.
Conoscevo quella
sensazione, ormai. Era lui a causarmela. Era colpa di Edward se, ogni
volta che
me lo trovavo davanti, cominciavo a sudare e a percepire un groviglio
nello
stomaco. L’attrazione che provavo per lui era travolgente,
disarmante quasi; mi
sentivo come una calamita che veniva richiamata dal suo magnete. La
cosa che mi
faceva infuriare, però, era che lui non faceva assolutamente
nulla di
sbagliato. Non mi aveva nemmeno mai incoraggiata in qualche modo. Lo
sapevo,
sia a livello cosciente che incosciente. Eppure quello che provavo per
lui,
dalla prima volta in cui lo avevo visto, era potente. Era vero,
assolutamente
unico. Non ti aveva mai incoraggiata?,
domandò la vocina nella mia testa. Ti
ha baciata, svegliona. Due volte! Questo
a casa mia si chiama proprio incoraggiare.
<< Oh, ma
sta’ zitta! >> sibilai, rendendomi conto troppo
tardi di aver parlato a
voce alta.
<< Come,
prego? >> domandò Edward, con un sopracciglio
alzato.
<< Devo
andare, Edward. >> dissi, superandolo in fretta e furia
<< Ci
vediamo domani, ciao. >> non riuscii a varcare la soglia,
però.
La mano ferrea di
Edward si arpionò al mio braccio destro. Strillai, mi stava
facendo male.
<< Dove credi
andare? Se non ti va di parlarmi, va bene, ma dovrai ascoltarmi!
Inoltre, non
sei mai uscita di qui senza la benda, credi davvero che ti
farò vagare per
questi corridoi… >> la sua voce si
affievolì e fece un gesto che non mi
sarei mai aspettata: mi annusò i capelli.
Passarono diversi
secondi, nei quali nessuno emise un fiato. L’unico rumore che
percepivo erano i
battiti del mio cuore, che martellava furioso.
<< Puzzi di
fumo. >> Oh, merda!, pensai, sgranando gli
occhi.
<< C’era una
candela e… e l’ho accesa. >> parlai
in fretta, dicendo la prima cosa che
mi passava per la testa << Ho preferito la sua luce a
quella della
torcia, si legge meglio. >>
Edward mi guardava
serio, senza dire o fare niente. I suoi occhi sembravano aver perso
quella luce
vitale e serena di qualche istante prima; la mascella era tesa; i
muscoli
contratti.
Non lo avevo
affatto convinto.
<< Questo,
non è odore di bruciato, è odore di tabacco.
>>
<< Di cosa mi
stai accusando, questa volta, Edward? >> chiesi, cercando
di divincolarmi
dalla sua stretta. Non ci riuscii.
<< Non sono
idiota, Isabella. >>
sibilò,
facendomi capire chiaramente che il suo non chiamarmi Bella era stato
intenzionale << Cos’è successo?
Cos’hai fatto? >>
<< Perché
dovrei aver fatto per forza qualcosa?! >> urlai,
esasperata.
<< Dimmi
cos’hai fatto nel 1889! >>
<< Niente,
dannazione! E lasciami, mi stai facendo male! >>
<< Non mi
farò prendere in giro come un pollo, Isabella, dimmi cosa
cazzo è successo.
>> disse calmo, ma con un tono gelido << Lo
voglio sapere ora.
>> concluse, facendomi quasi paura.
<< Io… Edward
lasciami andare, per favore. >>
<< Parla!
>> mi urlò in faccia, spingendomi contro il
muro.
<< Edward,
calmati… >>
<< Isabella,
parla prima che perda totalmente la pazienza. >>
Nei suoi occhi
verdi non c’era alcuna traccia di razionalità; era
determinato, quasi spietato.
Per Edward arrivare alla verità, era da sempre la cosa
più importante di tutte.
Ed io ero una bugiarda. Ma cosa avrei potuto fare? Emmett mi aveva
espressamente chiesto di non parlare a nessuno di questo incontro,
almeno non
adesso. Le vicende delle ultime ore, mi avevano fatto capire che io non
dovevo
scegliere da che parte stare, perché in un futuro
– non sapevo ancora quanto
prossimo – la scelta era già stata presa, per me.
Un’altra
consapevolezza mi invase tutto il corpo, facendomi percepire
un’ondata di
brividi dietro la schiena: Edward non avrebbe mai creduto a dei
traditori. Ero
sola.
<< Cosa succede
qui? >> domandò Mr. Saltzman, sbucando dal
nulla. Oh, sia ringraziato il cielo!, dissi
mentalmente.
Non appena Edward
vide il mio professore di storia, mi lasciò andare. Si
allontanò da me in un
unico ampio passo, senza evitare di lanciarmi un’occhiata di
puro fuoco. Era
incazzato. Incazzato nero!
<< Nulla, Mr.
Saltzman, i nostri soliti battibecchi… >>
risposi, senza sapere per quale
motivo lo stessi comprendo. Mi aveva quasi aggredita, che diamine!
La risata
cristallina di Mr. Saltzman mi fece voltare verso di lui, fissandolo
sconcertata.
<< Ho capito,
ho capito! >> disse, senza smettere di ridere
<< Il signor Cullen
voleva metterle la benda e lei, ovviamente, non voleva. Dico bene,
Isabella?
>> annuii, incapace di parlare << Sa come
funziona, se evitasse di
fare sceneggiate renderebbe il lavoro di tutti più semplice.
>>
<< Ha
ragione, Mr. Saltzman, mi scusi. >> dissi, accennando un
leggero sorriso
di scuse.
Lanciai uno sguardo
ad Edward, e notai che mi stava fissando con un’aria confusa
stampata in faccia.
“Perché mi hai coperto?”, sembrava dire.
Perché
ci tengo a te, razza di stupido!, avrei voluto rispondere. Ma
non lo feci. Mi
limitai a voltare la faccia, in modo che Mr. Saltzman potesse legarmi
quella
assurda benda nera attorno agli occhi, portandomi finalmente fuori di
qui.
* * *
Erano
passati
diversi giorni dal mio incontro con Emmett e dalla sfuriata, quasi da
pazzo, di
Edward.
Come mi era stato
chiesto, non parlai a nessuno della loggia di quello che era accaduto
in quella
stanza del 1889.
<< Bella,
dobbiamo infiltrarci nella loggia e scoprire cosa ha stilato il conte
nei suoi
scritti! >> ovviamente, Angela non rientrava nelle mie
promesse.
<< Ti ho già
detto che è impossibile. >> dissi, per la
milionesima volta << Non
conosco tutti i passaggi, non passaggi, quelli che sono!
L’unico che sa
muoversi in quel labirinto storico è Edward, ma non posso
chiedere di certo a
lui. >>
<< E non puoi
parlare nemmeno con Mr. Cullen, sicuramente anche lui la
penserà come suo
figlio. >> disse pensierosa.
<< Tutti la
pensano come Edward, Angie. >>
Passammo un altro
pomeriggio nella biblioteca del centro della città di
Londra, cercando di
capire cosa fosse giusto fare.
Angela, mi fece
creare una specie di albergo genealogico dei viaggiatori del tempo, per
elaborare
meglio la filastrocca che Emmett mi aveva consegnato nel passato. Era
diventata
perentoria, super concentrata e sicura di quello che avremmo dovuto
fare –
trovando i mezzi per farlo, ovviamente.
<<
Ricapitoliamo, quindi… >> sussurrò,
prendendo la lista, redatta poco
prima, tra le mani.
In quel foglio
bianco, senza non troppa fatica, avevo scritto tutta la gerarchia della
cerchia
dei dodici: in prima posizione si trovava Jeremy Cullen –
nato nel 1560 e
deceduto nel 1607 – la sua pietra era l’ambra,
l’animale il rospo; si accostava
Katherine Pierce – anno: 1562 - 1580 – pietra
l’opale, animale la civetta; seguiva
Tayler Cullen – 1636 - 1689 – pietra
l’agata, animale l’orso; compagna di
viaggio Caroline Forbes – 1628 - 1684 – pietra
l’acquamarina, animale il
cavallo; Aro Leopold Cooper, noto meglio a tutti come conte di Saint
Germain,
nacque nel 1703 e morì nel 1784, la sua pietra era lo
smeraldo, l’animale l’aquila;
faceva coppia con Madame d’Urfé, ossia Bonnie
Bennett, 1705 - 1775, pietra era
il quarzo citrino, animale il serpente; i due gemelli Stefan e Damon
Cullen,
collocabilinelle
date del 1875 - 1944/1875
- 1930, possedevano la corniola, come pietra di riferimento, e il
falco, come
animale; era con loro che si collocava la mia
“amica” Elena Gilbert, anno di
nascita 1877 e di morte 1944, la cui pietra era la giada e
l’animale la volpe.
<< E poi ci
siete voi quattro. >> disse Angie, giocherellando con la
biro blu
<< Emmett Cullen, nato nel 1974, tormalina nera e lupo;
affiancato da
Rosalie Hale – tua cugina – nata due anni dopo,
cioè 1976, zaffiro e lince.
Entrambi ancora in vita, bloccati nel passato. >>
<< E poi ci
siamo noi. >> le dissi, prendendo la parola
<< Edward Cullen, nato
il 17 Giugno 1992, la cui pietra è il diamante e
l’animale il leone; ed io,
nata il 13 Settembre 1994, sono il rubino e il mio animale è
il corvo. >>
<< Hai messo
insieme le rime che, di tanto intanto, cantilena tua madre?
>> annuii,
passandoci un’intera notte. Alla fine, più per
disperazione che per altro,
andai a chiedere direttamente a lei.
“A cosa ti
servono?”, aveva chiesto con sguardo furbo.
“Ehm, nulla di
che…”, avevo risposto, cercando di non dare troppe
spiegazioni “Vorrei capirci
solo qualcosa in più. È un problema?”,
scosse la testa e mi seguì in camera
mia.
<< Questa
dice poco o niente. >> affermò Angie,
rigirandosi il secondo foglietto
tra le dita << Opale e ambra,
la
prima coppia s’avanza…, bla-bla. Questo
è solo una descrizione di tutte le
dodici pietre, con i rispettivi animali e quant’altro. Non ci
interessa. >>
<< E questa?
>> domandai, leggendo a voce alta << Rosso rubino, che ha la magia del corvo nel cuore,
chiude il cerchio
dei dodici in sol maggiore. ¹
>>
<< La magia
del corvo… >> ripeté Angie,
sovrappensiero << Non è la prima volta
che viene detto del rubino. Come già ti dissi, se ti
ricordi, penso che questa
“magia” sia il tuo dono di vedere i fantasmi. Sai
le leggende sui corvi?
>> scossi la testa, in segno di negazione
<< Oh, andiamo! Non hai
mai visto il film Il corvo, con il
mitico Brandon Lee? >> annuii con vigore, amando
spasmodicamente quel
film << Ecco, il fumetto dal quale è stato
tratto, si basava un po’ sulle
leggende popolari: il corvo, forse per il suo manto nero, colore del
principio
delle cose – il buio del ventre materno e quello della terra
dove germina il
seme –, ma anche della fine – lanotte,
la morte, bla-bla –, ha sempre fornito una simbologia dagli
opposti
significati. C’è chi lo considera un animale della
preveggenza, chi un messaggero
di esseri soprannaturali o, ancora, un portatore di
malasorte… Altri, invece,
pensano che il corvo sia un animale mistico – al pari delle
civette o dei gufi,
per esempio – e sostengono sia un filo conduttore tra il
mondo dei vivi e
quello dei morti; se ci fai caso, infatti, molte immagini della Morte
vengono
realizzate in paesaggi lugubri e, indovina un po’, cosa vola
sulla sua
scheletrica testa? >>
<< Uhm, un
corvo? >>
<<
Esattamente! >>
Rimasi a pensare
alle parole di Angela ancora a lungo, quel pomeriggio –
nonostante lei
continuasse ininterrottamente a parlare.
I suoi ragionamenti
non faceva alcuna piega. Angela Weber, era in assoluto la migliore
investigatrice che si potesse desiderare; sognava di inscriversi a
criminologia, infatti. Di sicuro avrebbe
un lauto futuro!, pensai, sospirando un po’.
Stanca,
infreddolita, affamata, presi per la centesima volta il foglietto che
Emmett mi
aveva consegnato. Lo lessi, più e più volte, ma
l’interpretazione non mutava di
un millimetro.
Il
corvo, nel suo rubino volteggiare,
tra
i mondi sente i morti cantare,
non
conosce la forza, il prezzo ignora,
si
leva il potere, chiuso il cerchio è allora.
Il
leone – fiero volto di diamante,
incantesimo
che offusca la luce folgorante –
al
calar del sole arreca il mutamento,
la
morte del corvo palesa il compimento.
Un
sogno, che feci
molto tempo prima, riaffiorò nella mia mente.
Ero sull’orologio
di Londra, di notte; c’era un corvo con me, pioveva
– o almeno, così credevo di
ricordare. Ad un certo punto, un leone, balzò in avanti; il
corvo si frappose
tra me e l’animale e venne sbranato. Il rubino, rosso come il
sangue, al centro
del petto del volatine, era in mille pezzi. Era il leone a causare la
morte del
corvo, così come Edward avrebbe dovuto causare la mia.
Quella certezza mi
fece percepire una miriade di brividi freddi lungo la schiena.
Possibile che mi
fossi innamorata di qualcuno che avrebbe dovuto causare la mia morte? Un momento, innamorata?, mi domandai
mentalmente. Non poteva
essere, giusto? Era impossibile che mi fossi innamorata di Edward
Cullen.
Insomma, non aveva mai fatto nulla per incoraggiarmi… Ancora con questa storia?, mi
domandò la vocina nella mia testa. Te
l’ho già detto, zuccona! Baciare – e in
quel modo, vorrei aggiungere – è
senz’altro un incoraggiamento! Non volevo
darle retta, era questa la verità.
Di Edward conoscevo
sì e no poche cose, alla fine. Era possibile innamorarsi di
qualcuno che non si
conosceva profondamente? Per le capriole che il mio cuore faceva, ogni
volta
che lo vedevo, la risposta non poteva essere altre che sì.
Il problema, ora,
era un altro. Ero innamorata di un amico o di un nemico? E, questione
ancora
più importante, potevo fidarmi di lui?
Avevo preso la mia
decisione, ormai: avrei aiutato Emmett e Rosalie. Più che
per loro, lo avrei
fatto per me. Il conte di Saint Germain non mi era mai piaciuto
particolarmente, nemmeno al nostro primo incontro – quando si
dimostrò
estremamente cordiale. Dovevo scoprire se Emmett e Rosalie dicessero la
verità;
se il loro furto – commesso diciassette anni prima
– era stato ideato e commesso
da cattive intenzioni o da buoni propositi. Ma tutto questo, lo sapevo
bene,
avrei dovuto farlo da sola. Non avrei chiesto a Edward di schierarsi da
una
parte avvolta ancora nel mistero, nell’inganno. Se quello che
avessi saputo
sarebbe stato sufficiente a scagionarli, allora avrei informato anche
lui.
<< Angi, io
devo andare. >> dissi, alzandomi di scatto dalla sedia.
<< Dove vai?
>>
<< Dobbiamo
cercare di capirci qualcosa, no? >> le dissi, mentre
chiudevo la borsa e
afferravo la giacca << E l’unico posto che ha
le risposte è Temple, ma tu
non puoi venire con me. Cercherò di intrufolarmi nella sala
del drago –
sperando che Edward sia a fare la sua trasmigrazione – e
cercherò gli Annali;
dopodiché, confronterò le scritture. Se sono
identiche, senza alcun dubbio di
sbaglio, allora aiuterò Emmett e Rosalie. >>
mi chinai per darle un bacio
sulla guancia, e uscii spedita da quell’enorme –
quanto antica – struttura.
<< Fa’
attenzione! >> sentii urlare ad Angie, una volta chiusa
la porta alle mie
spalle.
* * *
Quando
varcai
l’ingresso della loggia, mi accorsi che Esme non era al suo
posto. Strano, pensai, ma proseguii
per la mia
strada.
I corridoio erano
stranamente tranquilli; la Vergine doveva essere
sotto una buona stella, questo mese.
Arrivai alla stanza
del drago nel giro di pochi minuti. Come di consueto era più
che splendente,
ordinata in un modo quasi maniacale. Da quel poco che avevo capito, in
quei
mesi da viaggiatrice, una volta – prima che Emmett e Rosalie
lo rubassero – era
qui che veniva custodito il cronografo.
Come la prima volta
che la vidi, anche ora venni colpita dalla sua bellezza: era un misto
perfetto
di modernità e antichità, ornato in oro pregiato.
Al centro di essa, come di
consueto, vi era un grande tavolo, di legno scuro, posto su un vistoso
tappeto
persiano; alle pareti era appesi diversi dipinti e,
tutt’intorno alla stanza,
svariati divanetti e poltrone.
Dopo essermi
accertata che non vi fosse nessuno, al suo interno, spalancai
l’enorme porta –
dove vi era inciso un enorme drago – ed entrai; mi affrettai
a raggiungere la
piccola libreria, che conservava gli archivi più antichi e
pregiati, e
cominciai a spulciarli tutti – sperando di trovare quello che
stavo cercando,
alla svelta.
Dopo mezzora, mi
resi conto che trovare gli Annali del conte era più
complicato di quanto sia io
che Angela credessimo.
<< Cosa ci
fai qui dentro, Bella? >> domandò qualcuno,
aprendo di colpo la porta.
Saltai per aria,
riconoscendo la voce. Ero stata sorpresa con le mani nel sacco! E non
da
qualcuno di poco conto, ma da un Cullen! Miseria, la stella fortunata
doveva
essere uscita dal segno della Vergine!
<< Ehm… Io
non… >> come diamine me ne sarei uscita,
adesso?
<< Stavi
cercando qualcosa, forse? >> disse il ragazzo dagli occhi
verdi,
avvicinandosi a me.
<< Uhm, sì…
>> risposi, senza pensare realmente.
<< E cosa?
Magari posso aiutarti. >>
<< No! Ehm,
grazie, Jasper, ma non importa! >> mi affrettai a dire,
mettendo via un
volume stratosferico nella libreria.
<< Dammi qui,
ti do una mano. >> si propose, aiutandomi.
<< Grazie,
ora però devo andare! >> quasi urlai,
afferrando la mia giacca e la borsa
<< Potresti, ehm, evitare di dire che…
sì, insomma… >>
<< Che stavi
ficcanasando nei più antichi archivi privati della loggia?
>> domandò,
stampandosi un sorrisetto sulla faccia << Tranquilla, io
non ti ho vista!
>> concluse poi, facendomi uno sfacciato occhiolino.
Non sapendo cosa
dirgli, lo salutai velocemente con la mano e sfrecciai fuori dalla
stanza del
drago. Nel corridoio, per poco non andai a sbattere addosso a Mr.
Dwyer.
<< Isabella,
tutto bene? >>
<< Sì, scusi.
La stavo cercando! >> mi affrettai a spiegare, prima che
mi domandasse
come mai uscissi proprio dalla sala del drago.
<< Mi hai
trovato, allora. Vuoi una tazza di tea? Sono le cinque, stavo giusto
andando a
prenderne uno. >>
<< No, la
ringrazio Mr. Dwyer. >> risposi, non accettando il suo
invito <<
Pensavo di trasmigrare, ecco. >>
<<
Trasmigrare? >> domandò il signore, alzando un
sopracciglio << Ma
non lo hai già fatto questa mattina, con il dottor Black e
Mr. Saltzman?
>> Oh, merda! E adesso cosa diavolo
avrei risposto? Me n’ero dimenticata.
<< Uhm, già!
Che sbadata… Mi era passato di mente. >>
dissi, optando per la mezza
verità.
<< La troppa
pressione comincia a giocarti brutti scherzi, vero, Isabella?
>> annuii,
mordicchiandomi il labbro inferiore.
Distolsi lo sguardo
sentendomi in colpa. Mr. Dwyer era molto protettivo con me, e mentirgli
mi
faceva sentire una cacca. Ma cos’altro avrei dovuto
– o meglio ancora, potuto –
fare?
<< Phil,
potresti venire un attimo? >> lo chiamò
Carlisle, spuntando dal nulla
<< Ciao, Bella. >> alzai una mano, in segno
di saluto, visto che
Mr. Dwyer mi anticipò.
<< Cos’è
successo, Carlisle? >>
<< Edward.
>> solo il sentir pronunciare il suo nome mi fece
dimenticare tutto il
resto << È appena rientrato
dall’appuntamento col conte, per far
reintegrare Isabella nella missione, ma è successo un
imprevisto. >>
<< Come
sarebbe a dire “è successo un
imprevisto”? >> chiesi, fregandomene delle
gerarchie o altro.
<< Venite con
me. >> disse Carlisle, conducendoci nello studio medico
del dottor Black.
Quando varcammo la
piccola porticina bianca, per poco non mi venne un colpo.
Edward era steso
sul lettino, con la camicia strappata e una sacca di ghiaccio sulla
testa.
<< Sto bene!
>> continuava a ripetere, quasi ringhiando, mentre il
dotto Black cercava
altre ferite << La botta è solo alla testa,
dotto Black. La camicia è
strappata solo perché mi hanno trascinato, ma sto bene!
>> disse per
l’ennesima volta, sbuffando.
Quando i suoi occhi
verdi si posarono su di me, tutto il mondo si congelò. Nello
sguardo di Edward
c’era solo disprezzo e odio, come se la colpa del suo male
fosse mia.
<< Si può
sapere cos’è successo? >>
domandò Carlisle, ma Edward non mi toglieva gli
occhi di dosso. Non distolse lo sguardo nemmeno quando rispose a suo
padre.
<< Non lo so,
ma sono intenzionato a scoprirlo. >> sibilò,
come se mi stesse dando un
avvertimento che non riuscivo a capire << Puoi starne
certo. >>
Seguirono minuti di
interminabile gelo, finché non costrinsi i miei piedi a
muoversi, per portarmi
fuori da quella stanza.
<< Secondo me
è arrabbiato con te… Ehi, stai bene?
>> domandò il piccolo Jacob, davanti
a me.
Aveva la testa
alzata e mi fissava sconcertato, come se non avesse mai visto qualcuno
tremare
più per la paura che per il freddo. Negli occhi di Jake,
vidi un’ombra che non riuscii
ad identificare. Era come se stesse guardando qualcuno che non
conosceva; che
lo spaventava. E allora capii.
Mi guardava come se,
tra i due, il fantasma fossi io.
¹. La
filastrocca, come già detto in
precedenza, è presa dal libro Red, di
Kerstin Gier.
Ciao a tutti! Ecco
postato anche il diciassettesimo capitolo di questa storia. Ci tenevo
davvero a dirvi grazie! Siete dei lettori favolosi ** è la
prima ff che mi regalata così tante recensioni a capitolo e
davvero, non siete tenuti a lasciarle, perciò sapere che lo
fate perché vi piace come scrivo e ciò che scrivo
è davvero bellissimo ç.ç *me commossa*
Tornando seri e alla storia. Qualcosa si sta smuovendo - anche
più di qualcosa. Bella ha preso la sua decisione:
aiuterà Emmett e Rosalie. Ha cominciato a voler mettere
insieme i pezzi, e se non fosse stato per Jasper - forse - avrebbe
trovato qualcosa. Edward... Un nome un problema XD cosa
passerà mai per la testa di questo ragazzo? Un giorno
è dolce e romantico, quello dopo sembra quasi "pericoloso".
Chi è il vero Edward? Ed Emmett ci avrà preso?
Davvero il ragazzo dagli occhi verdi è innamorato di Bella?
Se ì così, perché l'ha guardata con
odio tornato a casa dopo l'aggressione? Per scoprirlo, dovrete solo
aspettare il prossimo capitolo... XD Un bacione a tutti!
Buon
pomeriggio! Stranamente puntuale, eccomi qui col capitolo :)
Non sto ad annoiarvi troppo, anche perché è
abbastanza tardi rispetto al solito - abbiate pietà,
lavoravo! -, perciò vi lascio alla lettura e vi chiedo solo
di leggere le note finali!
Risponderò alle recensioni entro sera, promesso! Non ho
proprio avuto tempo in questi giorni :(
Buona lettura! . .
18.
« Le
verità nascoste o taciute per comodo o paura di dire,
sono le menzogne che racconti ogni giorno alla tua anima. » Ornella
Casini. .
Decisi
di salutare
in fretta Carlisle e Mr. Dwyer e mi affrettai a raggiungere, nel
più breve
tempo possibile, l’ingresso della loggia. Nonostante le
continue chiamate del
piccolo Jake, non avevo alcuna voglia di rimanere in quel posto un
minuto di
più.
Potevo capire
tutto, davvero. Il sospetto negli occhi di Edward, appena rientrata
dall’incontro con Emmett, ma ora si superava di gran lunga il
limite!
<< Isabella!
>> sentii chiamarmi, riconoscendo la sua
voce.
Lo ignorai,
aumentando il passo.
<< Fermati!
Mi hanno dato un colpo in testa e tutta questa agitazione non mi fa
bene!
>> No, non attacca!
<<
Oddio, mi sento svenire! >> disse di colpo e, senza
pensarci, tornai
velocemente indietro.
Edward era
appoggiato alla parete, con gli occhi chiusi, e si faceva aria con la
mano
destra.
<< Non
dovresti stare steso, tu? >> gli domandai, facendolo
appoggiare a me.
Quello che successe
di lì a poco mi lasciò senza parole. Era un bleffe!
Edward stava benissimo, e adesso mi aveva bloccata tra lui e il muro.
<< Prima di
tornare a casa, Miss Swan, dobbiamo fare due chiacchiere.
>>
<< Sei
proprio uno stronzo. >> sputai fuori, buttando le buone
maniere fuori
dalla finestra.
<< Che
finezza, complimenti. >>
<< Che cosa
vuoi, Edward? >> domandai, volendo chiudere questa storia.
Non avrei parlato;
non avrei rivelato della conversazione tra me e Emmett né,
tanto meno, della
mia intenzione di aiutarli, per arrivare in fondo a tutta quella oscura
faccenda.
<< Come hai
fatto? >> chiese, guardandomi dritto negli occhi.
<< Come…
Cosa? >>
<< Non fare
la finta tonta, Isabella. Dimmi come hai fatto. >>
<< Ma a fare
cosa? >>
<< D’accordo,
vuoi fare l’innocentina? Essia! >> disse,
togliendomi le mani di dosso
<< Ero andato dal conte, poco fa, perché
voleva parlarmi di nuovo dello
spiacevole incontro avvenuto con Emmett e Rosalie da Lady Gilbert.
Inoltre,
abbiamo parlato di te. Vuole incontrarti, parlarti… E
invitarti alla soirée
che si terrà a casa di Lord e
Lady Masen, tra qualche settimana. >> caddi dalle nuvole.
Cosa c’entrava
tutto questo con il suo odio per me? << Mentre stavo
tornando con
l’invito di un pre-incontro, tra te e il conte, sono stato
colpito alla testa.
E indovina chi mi ha teso l’aguato, attirandomi in un vicolo
cieco? >>
sgranai gli occhi. Possibile che mi fossi sbagliata? Possibile che
Edward
avesse già capito tutto? Il mio incontro con Emmett, la mia
decisione di
aiutarli… E si fosse incazzato così tanto
perché, dietro alla sua aggressione,
si celavano proprio loro due?
<< Sei stata
tu, Isabella. >> a quelle parole, le mie orecchie
cominciarono a
fischiare. Come, prego?, avrei voluto chiedere,
ma avevo la gola
completamente secca.
Questo era il
colmo! Che lui fosse malato mentale, ormai era abbastanza palese; che
fosse un
maniaco del controllo, anche. Ma che addirittura, ora, soffrisse di
manie di
persecuzione era davvero troppo! Mi aveva baciata – due
volte! – e ancora mi
considerava l’artefice di tutti i crimini del mondo!
<< Vai
all’inferno, Edward! >> sbraitai, spingendolo
fino a farlo cadere a terra
<< Sei ridicolo! Di cosa mi accuserai, più
avanti? Che anche la fame nel
mondo è causa mia? Che lo sbarco sulla luna è un
avvenimento messo in dubbio da
milioni di scienziati perché io ho detto qualcosa di
sbagliato? Che il
Parlamento va male perché sono anche una spia del Governo?
O, peggio ancora, l’Inghilterra
fino a otto anni fa era un paese stupendo ma io l’ho
contaminato con la mia
presenza?! >> conclusi, sovrastandolo con la mia figura.
In quel momento,
Edward mi parve tanto un bambino; un pulcino fuor d’acqua. Mi
guardava
sinceramente sconvolto, con i suoi occhioni verdi totalmente sgranati. Non mi lascerò impietosire da te,
mi dissi mentalmente, me ne hai fatte troppe.
<< Io non ho
fatto assolutamente niente. E se ancora non hai capito che sono
inn… che… che
non permetterei a niente e nessuno di torcerti un capello, mi dispiace!
Ma io
non posso aiutarti. >> restai a fissarlo per diversi
minuti, dopodiché
scossi il capo e mi diressi all’uscita.
<< Che cos’è
successo? >> mi chiese Jasper, sbucando da un corridoio,
seguito a ruota
da Alice ed Esme.
<< Tuo
fratello è un cretino. >> risposi, senza
guardarlo e senza fermarmi.
Arrivai
a casa più
nera del solito.
Edward stava
davvero mettendo a dura prova la mia pazienza. Possibile che non avesse
ancora
capito quanto realmente tenessi a lui? Forse,
non vuole capirlo…, mi rispose la solita vocina
interiore. Non aveva torto.
<< Ciao,
Bella. >> disse una voce, quando passai davanti alla sua
stanza. Oh, no, ti prego. Lei no! Non oggi, almeno.
<< Ehi, Miss
Maleducazione! Ti ho salutata! >>
<< Ciao,
Tanya. Cosa vuoi, Tanya? >>
<< Speravo
che me lo chiedessi! >> disse, parandosi davanti a me
<< Indovina
chi mi ha telefonata un’ora fa? >> alzai un
sopracciglio, per farle
capire che non avevo alcuna intenzione di stare ai suoi giochetti
<< Oh,
va bene! Mr. Saltzman! Mi ha detto che la mia esperienza
sarà preziosa per la
loggia, per la missione, soprattutto in questo momento.
Perciò… Per la soirée
che si terrà in tuo onore, laverò
fianco a fianco con Mr. Salvatore, per istruirti a dovere! Non sei
felice,
Bella? >> domandò, con un sorrisetto maligno
sulle labbra.
<< Oh, sì!
>> risposi, parlando in falsetto << Non ho
mai desiderato di
meglio, mia dolce cugina! Lavorare con te, fianco a fianco! Come se non
ti
vedessi già abbastanza tra scuola e casa. >>
<< Suvvia,
Bella. Non essere sfacciata… >> sfacciata?
Io? << Potresti imparare molto, da me.
>> evitai di prolungare
quella insulsa conversazione e, senza prima aver alzato gli occhi al
cielo,
girai i tacchi e mi diressi in camera mia.
Entrata in quello
che consideravo il mio regno, mi buttai sul letto – senza
nemmeno togliermi
jeans e giacca – e nascosi la testa sotto il cuscino.
Non avevo tempo per
auto commiserarmi, piangere o fare qualsiasi altra cosa che
un’altra ragazza,
un diciassettenne senza strani geni nel DNA, avrebbe fatto.
Sentivo le palpebre
pensanti, però. Quanto tempo era che non dormivo? Non
dormivo come si deve,
intendevo? La pressione, la fatica, il nervosismo… e tutte
le pesanti emozioni
di quei lunghi giorni senza sosta, mi premevano addosso come un
bagaglio troppo
pesante perché riuscissi a farne fronte da sola.
Così, non senza oppormi,
cedetti al peso e mi addormentai, qualche istante dopo.
* * *
Era
tutto buio,
intorno a me; non riuscivo a capire dove mi trovassi, esattamente.
Decisi di
guardarmi attorno e quello che riuscii a percepire fu straordinario.
Il corridoio che mi
si parava davanti era bellissimo: vetrate enormi, alte e antiche, alla
mia
sinistra; la moquette bordeaux, piuttosto scura, sotto i miei piedi;
alla mia
destra, invece, c’era una fila di candelabri, appesi al muro,
che donavano al
posto una luce soffusa.
Sapevo dove mi
trovavo, ma non riuscivo a far emergere quella consapevolezza in
superficie.
Era una sensazione veramente frustrante.
<< Finalmente
sei arrivata, dolce Isabella. >> sussurrò una
voce alle mie spalle.
Mi voltai di
scatto, ritrovandomi davanti due occhi scuri. I capelli, neri
anch’essi, erano
lunghi; la mascella era dritta e squadrata; la pelle sembrava fatta di
carta
velina, per quanto dava l’impressione di essere pallida e
sottile.
<< Conte.
>> dissi, ingoiando la mia stessa saliva.
Ero agitata, come
mai prima di allora. Riuscivo a percepire il mio cuore battere senza
sosta;
sentivo il suo suono sparato in testa, come se avessi avuto uno
stetoscopio
nelle orecchie. Le mani sudavano, le gambe tremavano.
<< Vuoi
unirti a noi, Isabella? >> domandò lui,
porgendomi il braccio.
Non teneva gli
occhi fissi su di me, ma oltre la mia spalla. Quando afferrai il
braccio del
conte, lentamente, mi voltai, sprofondando in due pozze di smeraldo
fuso.
<< Edward.
>> sussurrai, vedendolo avvicinarsi a me.
Indossava una
giacca blu scuro, da sera, elegante; i suoi capelli castani, erano
talmente
scompigliati da mettere ancora più in risalto i suoi strani
riflessi color
bronzo.
Quando arrivò
dinanzi a me si bloccò. Riuscivo a sentire il suo corpo a
pochi centimetri dal
mio, caldo e scolpito. Quando mi accarezzò le braccia,
lentamente, mi persi in
quei tocchi. Chiusi gli occhi, sentendo le mie labbra aprirsi
leggermente, e
rotei la testa. Dovevo smetterla di pensare razionalmente,
perché quello che
provavo per Edward – quando lo avevo davanti, quando mi
sfiorava o baciava –
non era per nulla razionale. Il sentimento che mi spingeva verso di lui
era irrazionale,
istintivo, passionale… Era amore,
niente più e niente meno. Solo ed esclusivamente amore.
<< Lasciati
andare, mio bel rubino. >> disse Edward, con voce
suadente. E quando le
sue labbra toccarono le mie, mi arresi.
Mi abbandonai a lui
e ai miei sentimenti, per lui.
Mi abbandonai a me
stessa, a quello che il mio cuore voleva davvero.
Mi abbandonai alla
realtà, conscia che non avrei desiderato fare altro per il
resto della mia
vita. Baciare Edward, al momento, era l’unica cosa che mi
interessasse fare.
L’idillio durò
poco, però. L’estasi, infatti, mutò in
un dolore lancinante, in punto preciso
della schiena.
<< Ed…
Edward… >> cercai di dire, aprendo gli occhi.
Lui, di tutta risposta, si
allontanò da me.
Impugnava un
coltello antico, cerimoniale; il maniaco era intarsiato di gemme e la
lama,
dalla quale colava il mio sangue, era lunga e incurvata verso la punta.
Mi
svegliai in una
pozza di sudore, urlando.
Per diversi minuti
mi tastai completamente il corpo, la schiena soprattutto, per
accertarmi che
non vi fosse alcuna ferita. Ero ridicola, me ne rendevo conto.
<< Bells!
>>
<< Isabella!
>>
Charlie e Renée
entrano, chiamandomi in coro, nella mia stanza. Dai loro volti, potevo
capire
quanto fossero terrorizzati. Evidentemente,
ho urlato troppo forte.
<< Scusatemi,
ho fatto solo un incubo. >>
<< Va tutto
bene, tesoro? >> domandò mio padre, mentre mia
madre si venne a sedere
accanto a me. Annuii, senza fiatare.
<< Stavamo
salendo per dirti che hai ospiti, ma se non te la senti…
>>
<< Ospiti?
>> domandai, interrompendo Renée.
<< Sì.
>> disse lei, legandomi i capelli in una coda di cavallo
alta <<
Sono arrivati pochi minuti fa. Si tratta di Alice e Jasper Cullen.
>>
<< Alice e
Jasper sono qui? >> chiesi, non sapendo il motivo di
quella visita.
<< Già, non è
un po’ tardi per ricevere i tuoi amici, Bells?
>> domandò Charlie,
sistemandosi i baffi.
Mi spostai poco,
per poter visualizzare l’ora della radiosveglia. Erano le
dieci e mezza di
sera.
<< Non sapevo
sarebbero venuti, papà. >>
<< Orsù,
Charlie! >> lo sgridò mia madre, tornando al
suo fianco << La
nostra Bella non è più una bambina, e nonostante
ti dia fastidio che uno degli
ospiti sia un ragazzo, non credo sia il suo
ragazzo! Dico bene, tesoro? >>
<< Cosa?
>> chiesi, scendendo dalle nuvole << Jasper
il mio ragazzo? No, no
e no! È solo un buon amico, tutto qui. >> non
appena conclusi la frase,
notai Charlie trarre un respiro di sollievo.
<< Vai a
farti una doccia veloce, tesoro. >> disse mia madre,
avviandosi con papà
alla porta << Avviso i tuoi amici che tra poco scendi, ma
non metterci
troppo! Mi raccomando. >> annuii, e mi diressi
velocemente in bagno. Optai
per una rapida doccia fredda.
Nonostante le temperature rigide di un Novembre da poco iniziato, avevo
bisogno
di svegliarmi; di lavarmi di dosso quella sensazione di pace e di
terrore,
mischiate insieme.
Quando il getto
d’acqua mi colpii mi ritrassi un po’. Riuscivo a
percepire la contrazione,
quasi immediata, dei vasi sanguigni cutanei; la pelle si tese, i
muscoli si
contrassero. Sarei rimasta in quello stato per ore, ma non potevo
crogiolarmi
troppo nella doccia, al piano di sotto c’erano visite per me.
Chiusi l’acqua e mi
avvolsi in una piccola asciugamani celeste. Avvertivo i vasi sanguigni
che si
dilatavano, aumentando il flusso del sangue; la temperatura della pelle
che aumentava,
a causa del riempimento dei vasi.
Sapevo che l’acqua
fredda faceva bene alla pelle ma, prima di allora, non mi ero mai
fermata ad
ascoltare veramente il mio corpo.
Quando scesi di
sotto, mi resi conto di essere più rilassata e tranquilla
– nonostante il sogno
di poco prima. Indossavo una semplice tuta da jogging, color prugna.
<< Bella,
scusaci per l’orario. >> disse Jasper,
alzandosi dal divano non appena mi
vide.
<<
Tranquillo, non c’è problema. >>
risposi, notando la strana serietà e
compostezza di Alice << C’è qualcosa
che non va? Sembrate così… >>
non riuscii a trovare un aggettivo per descriverli; strani, di certo,
non
rendeva l’idea.
<< Diversi da
solito? >> domandò Alice, sorridendo
leggermente << So dosare la
mia pazzia, mettiamola così. >>
<< C’è un
posto tranquillo per parlare? >> domandò
Jasper, notando Tanya sulla
soglia.
<< Certo,
salite in camera mia. >> risposi, dirigendomi con loro
verso le scale
<< In questa casa anche i muri hanno le orecchie.
>>
<< Hai saputo
che Mr. Saltzman ha chiesto a tua cugina di aiutarti per la soirée? >>
chiese Alice,
affiancandomi lungo le scale.
<< Sì,
purtroppo. Mi ha dato la bella notizia appena tornata a casa. Gentile,
no?
>> dissi, cercando di sdrammatizzare.
Solo allora mi
accorsi dell’enorme ingombro che Jasper portava sotto il
braccio.
<< Cosa c’è
là dentro, Jazz? >>
<< Appena
arriviamo in camera tua, ti faccio vedere. >> rispose,
mentre Alice gli
accarezzava il braccio. Un momento! Stava facendo cosa?
<< Poi ti
racconto. >> mi disse lei a bassa voce, notando il mio
dilemma interiore.
Evidentemente mi
ero persa qualcosa, in quelle settimane.
Quando arrivammo in
cima alle scale, li scortai verso la mia stanza che, fortunatamente,
era in
pieno ordine. Il piumone nuovo, lilla e nero, sul grande letto; la
scrivania
pulita e senza nemmeno un appunto in giro; la libreria perfetta, con
tutti i
libri al loro posto.
<< Carina la
tua stanza, Bella! >>
<< Grazie,
Alice. >>
<< Una sera
di queste ti invito per un pigiama party a casa nostra, così
vedrai la mia.
>>
<< Bella,
posso chiudere a chiave? >> domandò Jasper, a
metà frase di Alice.
<< Uhm, sì.
Ma perché? >>
<< Devo
mostrarti qualcosa di molto prezioso e non vorrei che qualcuno ci
sorprendesse,
ecco. >> il suo atteggiamento furtivo, mi fece pensare a
qualcosa di
illegale.
Mi avviai alla
porta, comunque, e diedi tre mandate alla serratura.
<< Bene,
grazie. >> disse Jasper, posando la borsa/zaino sul mio
letto. Dire che
pesava era un eufemismo. Il materasso, appena i due oggetti entrarono
in
contatto, sprofondò sotto il suo peso.
<< Miseria,
Jasper! Ma cos’hai portato? Mattoni, lingotti
d’oro, cemento? >>
<< Molto
meglio. >> rispose, tirando fuori un raccoglitore marrone
piuttosto
voluminoso << Stavi cercando questo, oggi pomeriggio, non
è vero?
>> domandò, incitandomi di avvicinarmi. Gli Scritti di Aro Leopold Cooper, conte di
Saint Germain, lessi
sgranando gli occhi. Come faceva Jasper a sapere che ero alla ricerca
proprio
di quei volumi e, cosa ancora più importante, come facevo ad
essere certa che
quella non fosse una trappola? No. Alice e Jasper erano dalla mia
parte. Erano
gli unici, al di fuori di Mr. Dwyer, a considerarmi una persona
e non una traditrice.
<< Respira,
Bella. >> disse Jasper, posandomi una mano sulla spalla
<< So cosa
stai provando. Pensi che sia una trappola, ma sta’ calma!
Nessuno vuole
incastrarti, vogliamo solo sapere quello che sai. >>
<< Quello che
so? >>
<< Noi non ci
fidiamo del conte, Bella. >> mi informò Alice,
prendendo posto davanti alla
scrivania << Jasper è dalla parte di suo zio,
dalla parte di Emmett.
>>
<< Che cosa?!
>> quasi urlai, non capendoci più niente.
<< Mio zio ha
lasciato una scia di indizi prima di andarsene; una scia di indizi per
me, per
la precisione. >> spiegò Jasper, estraendo un
blocchetto dalla tasca
della sua giacca nera << Emmett sapeva che io sarei stato
quello più
lucido, non avendo nulla a che fare direttamente con la loggia e quindi
con il
conte. Quando sparì lasciò questo per me, ma era
trovabile solo con alcuni
indizi che egli stesso disseminò qua e là, per
tutta Londra. >>
<< Crediamo
li abbia lasciati da quando è saltato con Rosalie, nel 1912.
>> proseguì
Alice, lasciandomi ancora più confusa <<
Emmett, da quello che si sa, era
scaltro e molto intelligente, oltre che in gamba, sapeva quello che
faceva.
Avrà calcolato tutto, in questi anni, affinché
Jasper avesse trovato tutto
quello di cui aveva bisogno; ma soprattutto, che avesse trovato tutto
quello di
cui aveva bisogno una volta trovata te. >>
<< Me?
>>
<< Esatto.
>> fu Jasper a rispondere, questa volta <<
Emmett e Rosalie, da
quello che si intuisce dai biglietti o dalle ricerche che hanno portato
avanti,
erano quasi ossessionati dal rubino: tu sei il rubino. >>
mi porse il
vecchio taccuino, affinché lo accettassi <<
Leggi tu stessa, Bella.
>> afferrai il blocco e cominciai a sfogliarlo.
Sembrava un diario
di bordo. La dicitura era del 1992 e arriva al 1994, per poi riprendere
nel
1912 e continuare con date altalenanti. In quelle pagine, erano state
racchiuse
tutte le scoperte di mia cugina e del suo amante.
<< Cosa sono
queste cifre? >> chiesi, trovando alcune pagine scritte
solamente in
numeri romani.
<< È un
codice. >> rispose Jasper, porgendomi un altro foglio dal
fondo del
taccuino << Emmett ha usato un gioco di famiglia, che
veniva usato per la
caccia al tesoro, affinché venisse composto il messaggio,
così solo qualcuno
che poteva tradurlo avrebbe capito. >>
<< Il conte è
un bravo giocatore, Bella. Bisogna stare attenti con lui o con Edward.
>>
<< Scommetto
che lui non sa nulla di tutto questo, dico bene? >>
chiesi, nonostante
sapessi già la risposta.
<< Già.
>> rispose Jasper, sedendosi sul bordo del letto
<< Ho provato a
introdurre l’argomento diverse volte, ma non ho mai ottenuto
niente. >>
<< Edward si
fida ciecamente del conte. >> dissi, sentendo le gambe
nuovamente pesanti
<< Con lui è una battaglia persa in partenza.
>>
<< Ma con te
no, dico bene? >> chiese Alice, alzandosi per venire da
me <<
Bella, non sappiamo cosa c’entri tu con la chiusura del
cerchio, ma siamo quasi
certi che c’entri. >>
<< Emmett è
stato piuttosto chiaro. >> si intromise Jasper
<< Tutto ruota
intorno al rubino, ma non sappiamo perché. Ci sono due
pagine strappate e non
siamo ancora riusciti a capire cosa vi era scritto. In questo taccuino,
lui e
Rosalie, hanno racchiuso tutte le profezie che il conte ha taciuto.
>>
<< Forse ho
quello che cercate. >> dissi senza pensare e raggiunsi il
comodino
<< Ecco, prova a vedere se questo pezzo di carta
combacia. >>
Quando Jasper lo
prese tra le mani, inserendolo tra quei due fogli mancanti, il
bigliettino che
Emmett mi aveva donato nel 1889 ritrovò la sua giusto
locazione.
<< Come…
>> tentò Jasper, ma gli mancarono le parole.
<< Come fai
ad averlo tu, Bella? >> concluse Alice, al suo posto.
<< Me lo ha
dato Emmett, qualche giorno fa. >> ammisi, sedendomi sul
letto.
Ero stufa di tenere
segreti su segreti; stufa di non trovare un appiglio in questo mare di
paura e
di menzogna. Alice e Jasper si stavano fidando di me, anche io dovevo
fare la
mia parte. Raccontai loro tutto, esponendo ogni singola parola che
Emmett
Cullen mi aveva detto, in quella lontana Londra del 1889.
<< …la morte del
corvo palesa il compimento.
>> finì di leggere, Jasper.
<< Che cosa?
>> quasi strillò Alice << Non
vorrà mica dire che… >>
<< Rubino è
principio e fine del movimento.
>> sussurrò Jasper, cominciando ad andare
avanti e indietro per tutta la
stanza << La magia del corvo…
Chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore…
>> parlava senza tregua, rendendo me ed Alice ancora
più nervose <<
Così comincia e così finisce. Il sangue della
prima viaggiatrice diede il via a
tutto, e il sangue dell’ultima discendente
chiuderà il cerchio. >>
concluse, girandosi verso di noi << Tu sei la degna erede
di Caterina
Petrova. >>
<< Di chi?
>> chiesi, non rammentando nessuno con quel nome.
<< Katherine
Pierce in realtà si chiamava Caterina Petrova, è
tutto scritto negli appunti di
mio zio. Il cerchio deve essere chiuso come’è
iniziato! Non credo sia un caso
che tu e Caterina siate le uniche gene-portatrici ad avere capelli
scuri e
occhi castani. >>
<< E come
dovrebbe chiudersi questo cerchio, Jazz? >>
domandò Alice, avvicinandosi
a lui, ma lo precedetti nella risposta.
<< Con la mia morte,
Alice. È la morte del corvo che chiude realmente il cerchio,
non basta solo il
sangue dei dodici all’interno del cronografo. >>
Bene, bene, bene...
Questo capitolo è ricco di novità! Molte cose
cominciano a trovare la giusta ubicazione, e tutto ciò ci
porta pian piano a svelare il mistero che si nasconde dietro al conte,
al cerchio dei dodici e, quindi, a tutta questa ingarbugliata storia XD
Jasper e Alice sono totalmente dalla parte di Bella; qualcuno se lo
aspettava? :P il piccolo Jazz - fratello minore di Edward - ha sempre
creduto allo zio "ladro" continuando la strada che Emmett gli ha
lasciato. Direi che le mie spiegazioni servono a poco, ora; nel
capitolo ho cercato di spiegare nel miglior modo possibile :) ma se
avete domande, fate pure! Prima di lasciarvi voglio
dirvi ciò che ho già comunicato su Facebook, qualche
sera fa: ho redatto, nuovamente, una piccola scaletta
della storia e sono giunta alla conclusa che sì,
riuscirò a concludere "Edelstein" entro Agosto; alla storia
mancano solo quattro/cinque capitoli, più l'epilogo. In
conclusione, altre cinque o sei pubblicazioni e anche questa fan
fiction troverà il suo punto finale.
Detto questo, vi saluto! E vi do appuntamento alla prossima
pubblicazione :)
Buon pomeriggio, lettori!
Come state? Lo so, vi ho fatto
aspettare un po' per questo capitolo, ma giuro che ne è
valsa la pena! Ma come al solito, lascio la parola a voi XD
così mi saprete dire ù.ù L'unica cosa che vi
chiedo è di ascoltare la canzone che metterò come
incipit del capitolo - invece della solita frase -, da metà
capitolo. Saprete quando dovete far andare play, perché
sarà proprio Bella a farvelo capire! Non dico più
niente, quindi, e vi lascio al capitolo! Come al solito,
risponderò alle recensioni entro sera! Buona lettura a
tutti! :*
. .
19.
« Forse
sono già stato qui,
ho visto questa stanza e ho camminato su questo pavimento;
ero solito vivere da solo prima di conoscerti.
Ho visto il tuo vessillo sull'arco di marmo,
ma l'amore non è una marcia di vittoria
è un freddo e un grave Hallelujah. » Hallelujah - Rufus
Wainwright.
. .
Era
passata una
settimana da quando Alice e Jasper erano venuti a trovarmi, quella
sera. Le
cose, se possibile, erano peggiorate in modo catastrofico negli ultimi
sette
giorni. Non solo vedevo Tanya a casa e a scuola, ma ora anche a Temple;
era
sempre così disgustosamente sfacciata. Ronzava intorno a
Edward che,
stranamente, se ne teneva alla larga – non senza lanciarle
qualche
fastidiosissimo sorrisetto, però. Di
cosa
ti lamenti? Non è il tuo ragazzo, non è niente
per te. Nonostante quella
vocetta nella mia testa fosse irritante, a volte, non potevo che darle
ragione.
La mia gelosia era stupida e insensata; in fin dei conti, Edward era
libero di
fare quel che voleva. Dopo la mia “quasi
aggressione” nei corridoi della
loggia, però, il suo comportamento nei miei confronti era
cambiato.
Meno sfacciato, più
cortese, equamente arrogante. Non dovresti, forse, preoccuparti
maggiormente del fatto che qualcuno voglia ucciderti, invece che
crogiolarti
nelle pene d’amore, Bella?
Dannata coscienza!
Sapevo di dovermene
preoccupare, ma cercavo di non pensarci costantemente. Insomma, tutti,
prima o
poi, dovremmo morire… Ma quando sei a conoscenza di chi
sarà il tuo carnefice e
del tempo che hai a disposizione, cosa fai?
Era vero, non
sapevo con esattezza quando il
cerchio si sarebbe chiuso, ma sapevo con certezza
che la mia morte sarebbe avvenuta in quel momento. Il problema era
anche un
altro: come fai ad opporti, quando il tuo carnefice è anche
colui che ami?
Se gli scritti di
Jasper erano corretti – e lo erano, senza alcuna ombra di
dubbio –, sarebbe
stato Edward a causare la mia morte. Il leone – fiero volto di diamante,
incantesimo che offusca la luce folgorante – al calar del
sole arreca il
mutamento, la morte del corvo palesa il compimento. Come lo
avrebbe fatto? Sarebbe stato
doloroso? E lui, Edward, avrebbe avuto qualche rimorso nel togliermi la
vita?
Non lo sapevo.
Non volevo saperlo.
<< Sacrement!
>> urlò qualcuno,
risvegliandomi dai miei pensieri << Miss Swan,
è possibile che
all’iniziare della nuova settimana lei non abbia ancora
compreso i passi?
>> sbraitò Mr. Salvatore, allontanandosi da me
bruscamente.
<< Mi scusi…
>> tentai di dire, ma lui mi precedette.
<< Non voglio
le sue misere scuse, Mademoiselle!
Voglio che lei impari questi passi di danza! Per il portamento ci ho
rinunciato, exactement comme il suo
modo di fare, così grottesco! Ma in una soirée
che si rispetti vi sarà un ballo e lei dovrà
danzare! >>
<< A casa le
ho detto di esercitarsi, Mr. Salvatore, ma non mi ascolta.
>> ribatté
prontamente quell’oca di mia cugina. Una gran coppia, non c’è
che dire. Mr.
Giuseppe, lei-non-sa-fare-nulla, Salvatore e Tanya, sono-una-vipera,
Denali.
Sì, i loro nomi suonano perfettamente insieme!,
pensai, sbuffando.
<< Dolce
Tanya, il rubino doveva essere lei! È un gioiello di
eleganza e buone maniere!
>>
<< La
ringrazio, Mr. Salvatore… Ma a quanto pare non era il mio
destino. >>
rispose lei, schioccandomi un’occhiata micidiale. Se gli sguardi potessero uccidere…
Giuseppe Salvatore,
era un uomo di circa cinquant’anni; era alto, ben piazzato,
con capelli scuri –
molto corti – tendenti al castano, e due piccoli occhi verdi.
Indossava sempre
mocassini e tenute formali, giacche e cravatte. Era nato a Londra, ma
aveva
passato gran parte della sua vita in Francia, ecco il perché
dell’accento
francese o delle parole in lingua inserite in quasi tutte le frasi.
<< Miss Swan,
si svegli! >> disse Mr. Salvatore, battendo le sue mani
dinanzi alla mia
faccia << Riprendiamo! E si ricordi: quando io muovo il
piede destro in
avanti, lei deve muovere quello sinistro indietro! >>
annuii, lasciando
perdere il suo tono poco cortese.
Passò, così,
un’altra ora.
Era inutile, il
ballo per me era una tortura – a prescindere che esso fosse
stato una danza del
Settecento o del giorno d’oggi. Caddi a terra, inciampai nei
miei stessi piedi,
pestai quelli di Mr. Salvatore… Una vera tragedia.
<< Devi
guardarlo negli occhi, Bells! >> urlò Tanya,
girandomi intorno come un
rapace affamato << Non esiste niente e nessuno, solo il
tuo partner! E
sta’ dritta con la schiena! La gamba sinistra, non la destra!
No, no! Non devi
partire adesso! >>
<< Senti,
perché non lo fai tu e chiudi quella dannata bocca?!
>> sbottai, bloccandomi
improvvisamente.
<< Come hai
detto, ragazzina? >> sibilò mia cugina,
avvicinandosi a me.
<< Se tu
continui ad urlare, mi spieghi come cavolo faccio a concentrarmi?
>>
<< Non ti
devi concentrare! Deve venire naturale! >>
<< Se mi
hanno affibbiato un insegnato forse è perché a me
non viene naturale! >>
<<
Affibbiato? >> sentii dire a Mr. Salvatore
<< Oh, mon Dieu! Non
ci siamo proprio! >>
<< E
comunque… >> ripresi, abbassando un
po’ la voce << è inutile che tu
mi chiami “ragazzina”, Tanya. Abbiamo la stessa
età, identica! Quindi non
pensare di essere superiore a me. >>
<< Ma io non
lo penso, mia cara. Io lo sono. >> a quelle parole sentii
il bisogno di
saltarle addosso, picchiandola di santa ragione.
<< Cosa sta
succedendo, qui? >> domandò Mr. Saltzman,
entrando nella stanza.
Il suo tono era
serio, perentorio; il viso contratto e la mascella tesa, erano in netto
contrasto con i suoi occhi calmi ed espressivi. Indossava un paio di
jeans scuri,
una camicia bianca e una giacca grigia – come le scarpe
lucide che portava ai
piedi.
<< Miss Swan
è un disastro. >> rispose Mr. Salvatore,
avvicinandosi al mio professore
di storia << Non sa comportarsi, non sa parlare, e nella
danza è un
disastro! Siete sicuri di volere che partecipi a questa soirée?
Potrebbe far cadere l’intera loggia nel ridicolo.
>>
<< Come?
>> domandai, scattando in avanti, ma tutti mi ignorarono.
<< Non è
questione di volere, Mr. Salvatore. >> parlò
Mr. Saltzman, addolcendo un
po’ i lineamenti << Il conte ha ordinato
che la ragazza, insieme ad Edward, partecipi alla soirée
che si terrà in onore di Lord Masen. E così
sarà. >>
concluse deciso.
Mr. Salvatore
sbuffò, andando a pulirsi i suoi piccoli occhiali sferici.
Mi ricordava un po’
il signor Giles, l’osservatore di Buffy,
l’ammazzavampiri – un telefilm che
seguivo quotidianamente tempo addietro
–, solo che uno era simpatico e gradevole, l’altro
non lo era per niente.
<< Ciao,
Edward! >> squittì Tanya, dirigendosi verso la
porta.
Quando mi voltai,
notai due fari verdi che mi fissavano. Il cuore prese ad accelerare i
battiti e
percepii il sangue affluirmi nelle guance. Era sempre splendido.
Indossava un paio
di jeans scoloriti, una polo a maniche corte blu scura – con
il colletto a
righe azzurre, bianche e blu – e un paio di Converse dello
stesso colore della
maglietta.
<< Ciao,
Tanya. >> rispose lui, senza staccarmi per un secondo gli
occhi di dosso.
Lo feci io, però.
Odiavo il modo in
cui mi faceva sentire guardarlo. Era come se diventassi di creta nelle
sue
mani… Una bambolina, che lui avrebbe potuto manovrare come
meglio credeva. Che
fosse stato amore, attrazione, infatuazione, dovevo liberarmi di quel
sentimento al più presto. Prima che il tempo a mia
disposizione sarebbe finito;
prima di farmi ammazzare.
<< Allora,
come va la nostra preziosa Isabella? >>
domandò Mr. Dwyer, sbucando dal
corridoio.
Vestiva sempre
molto formale: giacca e pantaloni marroni, camicia color panna e
cravatta nera
– come le scarpe a punta lucide.
<< Giuseppe
mi stava appunto dicendo che la ragazza ha giusto qualche problema di
comprendonio. >> rispose Mr. Saltzman, appoggiandosi alla
parete e
incrociando le braccia al petto.
<< Non ci
siamo, Mr. Dwyer. >> borbottò Mr. Salvatore
<< Questa ragazza è
un’incapace. >>
<< Certo,
perché secondo lei dirmi quanto faccio schifo ogni secondo
mi aiuterà a
migliorare? >> domandai, non riuscendo più a
trattenermi.
<< Vede? È
un’insolente! >> rispose lui, borbottando poi
qualcosa di incomprensibile
in francese.
<< Forse
Bella ha solo bisogno di un po’ di risposo. >>
disse Edward, avvicinandosi
a me.
Vidi Tanya
sbuffare, venendo messa da parte proprio dal suo adorato. La scena
lasciò
basita anche me. Stranamente, Edward, la superò senza
degnarla di uno sguardo –
mentre lei stava ancora parlando! – e si diresse verso di me,
con un sorriso
sornione sulle labbra. Il suo sorriso sghembo…,
pensai. Diamine, Bella! Datti una controllata
e non sbavare!
<< Credo che
Edward abbia ragione. >> parlò Mr. Dwyer,
accennandomi un sorriso paterno
<< Isabella, cosa ne dici di seguirmi? Fai il tuo salto
giornaliero e poi
torni a casa. Domani andrai dal conte, quindi hai bisogno di riposare.
>>
<< Certo.
>> risposi, ricambiando il sorriso.
<< Posso fare
compagnia io ad Isabella, se non è un problema.
>> disse Edward,
facendomi voltare di scatto.
<< Cosa?
Come? Perché? >> domandai, sentendomi molto
una giornalista nel pieno di
un’intervista.
<< Edward,
hai già fatto le tue ore. Non vedo il bisogno di trasmigrare
ancora. >>
disse Mr. Saltzman, staccandosi dalla parete.
<< Inoltre,
io dovrò fare i compiti per domani. >> dissi,
cercando di dissuaderlo
<< Non sarei di grande compagnia. >>
<< Oh, poco
importa. >> ribatté Edward << Ne
approfitterò per fare un
sonnellino. D’altro canto, se tu dovessi finire i tuoi
esercizi in meno di tre
ore, potremmo usare il tempo che ci resta per farti sembrare un
po’ più, come
dire, mmm… >>
<< Una
donzella a modo? >> domandò Mr. Salvatore,
speranzoso che l’idea di
Edward fosse quella.
<< Più adatta
di ora per una soirée
che si
rispetti. >>
<< Hai
ragione, giovanotto. Farla diventare una ragazza rispettabile
è un’impresa
impossibile. >> a quelle parole, Tanya scoppiò
a ridere. Come sarebbe a dire?, avrei voluto
chiedere, ma ero troppo
sbigottita per parlare.
<< Adesso
basta. >> si intromise Mt. Dwyer <<
Isabella non ha bisogno di
tutto ciò, ma la proposta di Edward mi sembra sensata.
>>
<< Grazie,
Mr. Dwyer. >> rispose il ragazzo che, ora, si trovava
alla mia sinistra.
<< È proprio
necessario? >> chiesi, sperando che Mr. Dwyer non mi
spedisse in chissà
quale tempo con Edward, alias il mio presunto assassino.
<< L’idea di
Edward è buona, Isabella. >>
replicò lui, scortandomi fuori dalla sala di
danza << Se i compiti finiscono prima del previsto, non
è un male che vi
esercitiate un po’ voi due. In fin dei conti, alla soirée andrete insieme.
>> annuii lentamente, conscia che
nulla avrebbe impedito ad Edward di venire con me.
Mi
trovavo nello
scantinato del 1889.
Edward aveva
insistito che tornassimo in quell’anno, spiegando che era un
tempo in cui
tenevano particolarmente alla pulizia. Mr. Dwyer, ingenuamente, lo
assecondò,
facendoci trasmigrare a qualche giorno dopo il mio incontro con Emmett
– per
evitare un incontro con la mia me stessa del futuro che, comunque, in
quel
tempo sarebbe stato il mio passato.
<< Mi sta
venendo mal di testa. >> sussurrai, buttando via la biro
nero.
Ero seduta ad un
piccolo tavolo, cercando di scrivere una relazione decente su Sogno di una notte di mezza estate,
commedia
del celebre William Shakespeare. Non ero abbastanza concentrata,
però. Non riuscivo
a non pensare alla loggia, alla mia morte, e a tutto quello che stava
succedendo di recente. Se mettevo anche in conto le stranezze che tutto
ciò ne
creava, ero proprio a cavallo.
<< Qual è il
problema? >> domandò Edward, facendomi
spaventare << Ernia e Lisandro
sono troppo per te? >> concluse, mettendosi a sedere; si
tolse gli
auricolari dalle orecchie e mi fissò, attendendo una
risposta.
<< Non
c’entra nulla l’opera. >> mi
affrettai a spiegare << E tu non stavi
dormendo, comunque? >>
<< Questo divanetto
non è il massimo. Inoltre, non vorrei mai che tu
approfittando del mio momento
di relax prendessi la decisione di andare a farti un giretto fuori.
>>
<< La porta è
chiusa a chiave, Edward. >>
<< Oh, sì, lo
so. >> rispose, alzandosi << Ma sono quasi
certo che tu sai come
aprire quella porta. >>
<< Ancora con
questa storia? >> dissi, alzando un po’ il capo
per guardarlo negli occhi
<< Qualcuno ti ha mai detto che sei un po’
paranoico? >>
<< Nah!
Perché non lo sono. La mia si chiama previdenza, Bella.
>> affermò
tranquillo, accomodandosi sul piccolo tavolo ovale <<
Dammi qua! >>
disse, afferrando il mio libro di letteratura.
<< Quel libro
mi serve, Edward. Domani devo portare una relazione
sull’opera, quindi…
>> dissi, cercando di riprendermi il libro.
<< E qual è
il problema, allora? È un’opera facile.
>>
<< Il
problema è la concentrazione! Ho troppe cose in testa.
>> risposi,
allungando la mano destra << Potrei riavere il mio libro?
>>
<< Per finire
in fretta a sgattaiolare a fumarti un sigaro? >>
<< Come?
Edward, diamine! Ti ho già detto che non è come
pensi; non riesci proprio a
fidarti di me? >> domandai, e lo vidi assumere la sua
solita aria
pensierosa.
<< Vediamo,
mmm… >> disse, chiudendo il libro e
grattandosi il mento con l’indice
<< Perché no? >>
domandò e i miei occhi si allargarono per
l’emozione << Mi stai solo raccontando un sacco
di stronzate e, come se
non bastasse, mi hai dato una botta in testa! >>
concluse, gettando il
libro sul tavolo e sgretolando le mie speranze <<
Sì, già, hai ragione,
perché non fidarmi? >>
<< Oh,
vattene al diavolo, Edward! >> urlai, afferrai il libro e
lo riaprii,
decisa a non farmi più distrarre da niente e da nessuno.
Soprattutto, da Edward
Cullen.
Passarono diversi
di minuti, in cui feci finta di concentrarmi. Notai che il mio
accompagnatore
non si era mosso di un millimetro, anzi, tutto il contrario. Era
esattamente
immobile, cementato come una statua, e mi fissava. La situazione stava
davvero
cominciando ad essere imbarazzante.
<< Andiamo,
non hai solo qualche pensiero. >> parlò lui,
qualche istante dopo
<< Cos’ha quest’opera che non ti
piace? >>
<< Come fai a
sapere che non mi piace? >> chiesi, e domandai a me
stessa se mi avesse
sentito, a causa del tono basso che avevo usato.
<< Da quello
che so di te, la letteratura ti piace molto. Quindi non credo sia la
materia ad
essere complicata, bensì l’opera. >>
a quella risposta mi arresi. D’altro
canto, cosa avrei potuto fare? Rimanevano ancora più di due
ore e se non volevo
passarle a discutere, dovevo almeno provare a fare conversazione.
<< D’accordo.
>> dissi, sospirando << Solitamente le
commedie di Shakespeare sono
romantiche, parlano di amore romantico appunto, ma qui
c’è qualcos’altro. In
quest’opera
lui lo sbeffeggia, lo deride. >>
<< Ma non
perde mai di significato. >> parlò Edward,
interrompendomi e si accomodò
sulla sedia di fronte alla mia, all’altro capo del piccolo
tavolo << Come
tutte le opere di Shakespeare, come hai detto, il tema principale
è l'amore
romantico. E questa commedia un po’, mmm, fiabesca, non fa
eccezione. In Sogno di una notte di mezza
estate viene
quasi sbeffeggiato, deriso, è vero, ma non per questo motivo
perde di suo forte
significato. Prendi come esempio il liquido del fiore che, buttato
sugli occhi
di chi dorme, permetterà alla persona di innamorarsi del
primo che vedrà quando
si sveglierà. Ci fa capire come l'innamoramento nasconda le
qualità fisiche e
morali della persona amata, per poi rivelarle una volta svanito
l'incanto.
>> più parlava e più le sue labbra
diventavano ipnotiche, per me <<
Nell’opera di fondo le vicende degli umani e degli Dei, i
quali non si
intrometteranno realmente nelle vicende dei primi, se non
silenziosamente… A
volte soffriranno con loro, altre si divertiranno. Il tutto parte
dall’annuncio
del matrimonio tra Teseo e Ippolita che scatenerà una sorta
di reazione a
catena. Egeo, padre di Ermia, si lamenta che sua figlia non vuole
sposare
Demetrio, in quando ama – ed è amata a sua volta
– da Lisandro. I due
innamorati decidono, quindi, di scappare. Entra in scena Elena che,
innamorata
fin da piccola di Demetrio, decide di avvisarlo della fuga di Ermia,
così… Ehi,
ma mi stai ascoltando? >>
<< Cosa? Sì!
>> dissi, riprendendo un certo contegno <<
Va’ pure avanti, ti
ascolto. >>
<< Non ti
serve il riassunto dell’opera, credo tu la conosca.
>>
<< Oh…
>> risposi lamentosa << Sì, hai
ragione. >>
<< Ti serve
altro? >> domandò Edward, sorridendo
leggermente – forse, proprio a causa
della mia figura da ebete.
<< No, credo
sia tutto. Devo solo scegliere una frase che mi ha colpito
maggiormente.
>>
<< E quale
sarebbe, questa frase? >> domandò lui,
allungandosi sul tavolo.
<< L'amore può dar
forma e dignità a cose basse
e vili, e senza pregio; ché non per gli occhi Amore guarda
il mondo, ma per sua
propria rappresentazione, ed è per ciò che
l'alato Cupido viene dipinto col
volto bendato. ¹ >>
risposi, leggendo dal mio blocco per gli appunti << Atto
primo e scena
prima… Un po’ banale, forse. >>
<< Carina.
Molto da te. >> replicò Edward, tornando ad
appoggiarsi sullo schienale della
sedia.
<< E se fossi
tu a dover scegliere una frase? >> domandai, porgendogli
il piccolo libro
tascabile della commedia << Quale sceglieresti?
>>
Edward mi fissò a
lungo e per interi minuti, ma quando cominciò a parlare non
afferrò il libro
dalle mie mani. Recitò tutto perfettamente a memoria
– forse, fin troppo
perfettamente.
<< La tua virtù mi
rassicura: non è mai notte
quando vedo il tuo volto; perciò ora a me non sembra che sia
notte, né che il
bosco sia spopolato e solitario, perché tu per me sei il
mondo intero; chi
potrà dunque dire che io sono solo
se
il mondo è qui a guardarmi?¹
>> sorrise leggermente, senza staccare gli occhi dai miei
<< Mi
sono preso una licenza poetica, per così dire. La versione
originale è al
femminile… >> distolsi lo guardo, e cominciai
a mordicchiarmi il labbro
inferiore.
Ero all’apice
dell’imbarazzo. Come poteva, Edward, con una sola e semplice
frase, rendermi
così agitata, così nervosa? Non lo capivo, eppure
ci riusciva.
<< Va tutto
bene, Bella? >> domandò lui, alzandosi per
venire al mio fianco.
<< Sì, sì.
Sto solo mettendo via i libri, così non rischio di
dimenticare nulla. >>
dissi, cercando di apparire calma.
<< Molto
saggio da parte tua. >> rispose, con aria sbigottita
<< Ci resta ancora
un’ora e mezza, da passare qui. Direi che in questo tempo
possiamo provare i
passi per la soirée, non
trovi?
>> a quella domanda mi bloccai all’istante.
<< Cosa?
Come? >> chiesi allarmata << Oh, no,
Edward! Ti prego. Perché vuoi
torturarmi? >>
<< Ma non è
una tortura! Inoltre, dovrai ballare con me, e gradirei che tu non mi
pestassi
i piedi. >>
<< Su questo
non ci conterei, fossi in te. >> risposi, chiudendo la
cerniera dello
zaino << Secondo Mr. Salvatore sono la scoordinazione
fatta a persona.
>>
<< Perché non
hai mai ballato con me, Isabella. >> sussurrò,
avvicinandosi lentamente.
Sentii le mani di
Edward che, senza fretta, scivolavano sui miei fianchi, per attirarmi a
sé.
Posizionò la mia mano sinistra nella sua destra, fino a
fondere i nostri corpi
in un’unione quasi perfetta. Percepivo il suo respiro
infrangersi sul mio; era
fresco, aveva l’odore della menta piperita. Prese la mia mano
destra e l’adagiò
sul suo bicipite. Il muscolo, che si nascondeva sotto la maglietta,
vibrò al
mio tocco. Edward era sempre stato molto attraente. Un viso quasi
perfetto; un
fisico atletico, muscoloso, ma non troppo; un carattere spinoso, ma non
indomabile.
Quando la sua mano
sinistra si posò sulla mia schiena, trasalii. Da quanto
tempo non stavamo così
vicini? Da quanto tempo non mi baciava? Da quanto tempo stavo
desiderando che
tornasse a farlo?
<< Non… Non
si può ballare senza musica. >> dissi,
cercando di allontanarmi da lui.
La sua vicinanza,
il suo profumo… Tutto quello era sufficiente per farmi
vacillare.
Avevo decido di
dimenticarlo, di togliermelo dalla testa; perché, allora,
non ci riuscivo?
Perché, in quel momento, non desideravo
nient’altro se non prendere il suo viso
tra le mani e baciarlo, anche se avesse potuto uccidermi?
<< Non c’è
bisogno della musica, Bella. >> sussurrò
Edward, evitando di lasciarmi
andare << Ma se ti senti più a tuo agio, ecco.
>> concluse, tirando
fuori il suo iPod.
Senza chiedermi il
permesso, Edward, inserì il piccolo auricolare bianco nel
mio orecchio
sinistro, facendo lo stesso col suo destro.
Non riconobbi la
musica, sapevo solo che sembrava un valzer.
<< Muoviti
lentamente. E non staccare mai gli occhi dai miei. >>
disse perentorio,
alzandomi il viso con un dito << Devi ballare con me e
per me, solo per
me. Non importa se nella stanza ci sarà un ragazzo
più attraente, non devi mai
– e dico proprio mai
– distogliere lo
sguardo dal mio, hai capito? >>
<< Non credo esisterà
qualcuno più bello di te, a quella soirée.
>> sussurrai, continuando a fissarlo negli occhi.
<< Ti
capisco. >>
<< Il vostro
ego è a dir poco sproporzionato, Mr. Cullen! >>
<< Parlavo di
voi, Miss Swan. >> sussurrò lui, avvicinando
le sue labbra al mio
orecchio. Quanto può durare un cuore, prima
di esplodere?, mi chiesi. Non avevo risposta, però.
Continuammo a
muoverci lentamente, sotto la dolce melodia di quella musica. Doveva
essere
Mozart, ma non ne ero del tutto certa.
<< Hai visto
che non è poi così difficile? >>
domandò Edward, dolcemente, mentre
stavamo per ricominciare da capo.
<< È vero,
sto ballando! >> urlai gioiosa, rendendomi conto di
quella verità
<< Sto ballando davvero! >> ripetei,
scoppiando a ridere.
<< Lo so!
>> disse Edward, venendo scosso da un’onda di
ilarità.
Era la prima volta
che lo vedevo realmente allegro, sereno. In quel momento, in quello
scantinato
del 1889, Edward sembrò un ragazzo del tutto normale. Privo
di arroganza, di
obblighi; privo di cattiveria o di astio, verso di me.
Troppo presi dalle
nostre risa, non ci rendemmo conto che la canzone era finita. Al suo
posto,
adesso, suonava un altro tipo di pianoforte e una voce cantava
dolcemente su
quelle note.
<< No,
aspetta! >> dissi, notando Edward estrarre
l’iPod dal taschino della sua
maglietta << Lasciala, per favore. Adoro questa canzone,
anche se non
capisco chi la canta. Non è Bon Jovi, vero? >>
<< No. >>
rispose, riponendo via il piccolo oggetto nero <<
È la versione di Rufus
Wainwright. >> Hallelujah, hallelujah, hallelujah,
hallelujah…
<< Io
preferisco la versione di Alexandra Burke. >> dissi,
cominciando ad
apprezzare anche quella di Wainwright.
<< Lo
sospettavo… Anche Alice ascolta sempre quella.
>> rispose, attirandomi a
sé.
Ora non avevamo più
il portamento di due reali del Settecento, anzi. Sembravamo
più due adolescenti
al ballo di fine anno. Edward teneva entrambe le mani sui miei fianchi
io, invece,
le avevo allacciate dietro al suo collo.
Il cambiamento era
avvenuto in modo così naturale che, sinceramente, non me
n’ero nemmeno accorta.
I secondi passarono,
e con essi anche le parole della canzone mutarono, mentre la melodia
cambiò
intensità, restando sempre piacevole e delicata.
<< Maybe I
have been here before, I know this room; I have walked this floor, I
used to
live alone before I knew you… >>
canticchiava Edward al mio orecchio.
La sua voce era calma, dolce e assolutamente intonata << I've seen your flag on the marble arch, love
is not a victory march, it's a cold and it’s a broken
Hallelujah… ²
>>
― Forse sono già stato qui, ho
visto questa
stanza e ho camminato su questo pavimento; ero solito vivere da solo
prima di
conoscerti…―
perché quelle parole
mi sembravano tanto una dichiarazione di qualcosa? Come se dietro di
esse si
celasse un sentimento più vero e profondo, ― Ho
visto il tuo vessillo sull'arco di marmo, ma l'amore non è
una
marcia di vittoria è un freddo e un grave Hallelujah…
― un urlo che non
aspettava altro che venire fuori.
<< Non
pensavo sarebbe potuto davvero succedere. >>
sussurrò Edward, catturando
la mia attenzione.
<< Cosa?
>> chiesi titubante.
Lui, di tutta
risposta, mi catturò una ciocca di capelli e
l’aggiustò dietro l’orecchio.
Dopodiché, afferrò le mie mani e mi
scortò sul piccolo divanetto, posizionato a
sinistra della grande porta in legno.
<< Voglio
dirti una cosa, Bella. E voglio che tu l’ascolti
attentamente, ok? >>
annuii, non essendo certa del tono che avrei avuto << Io
non ho mai avuto
una vera infanzia, lo sai; te l’ho rinfacciato più
di una volta, e di questo mi
dispiaccio. Non conosco l’innocenza che hanno i bambini,
tanto meno la parvenza
che dovremmo continuare ad avere nel corso degli anni. Non ho mai
conosciuto
l’amore, semplicemente perché non mi hanno mai
spiegato che importasse nella
vita. Vedevo i miei genitori così innamorati… Ma
pensavo che questo fosse un
privilegio solo per la gente normale; ed io non ero normale. Non mi
sono mai
sentito una persona anonima, mi sono sempre considerato migliore degli
altri.
Diavolo, io sono un gene-portatore! Ho la capacità di
viaggiare nel tempo, ho
un grande compito da portare a termine! Chi può credere di
essere alla mia
altezza? >> non riuscivo a seguire il suo discorso.
Possibile che mi
fossi realmente sbagliata? Possibile che mi fossi innamorata di
qualcuno che
avrebbe calpestato gli altri senza alcun rimorso? In Edward Cullen, non
vi era
davvero alcuna traccia di umanità? Non ci credevo. Eppure
lui me lo stava
confermando, qui, adesso; proprio davanti a me.
<< Ho vissuto
da solo, per molto tempo. Non avevo amici, e come poteva essere
altrimenti?
Dovevo studiare, prendere lezioni di scherma, di bon
ton. Nessuno ha tempo per te, quando tu non lo hai per loro.
Avevo solo Jasper, quando lui non era impegnato a vivere una vita
reale,
ovviamente. Una volta effettuato il primo salto nel tempo, alla tua
stessa età,
ho cominciato a sentirmi intrappolato in questa vita… Come
se non avessi mai
vissuto nel mondo reale. E in un certo senso, era così. Mi
sono fatto degli
amici, allora. Insomma, non ero più un bambino! Ero un
ragazzo, e come tale
avrei saputo coordinare i miei impegni e miei piaceri. Ho conosciuto
parecchie
ragazze, soprattutto al college, ma mai nessuna mi ha preso davvero
–
soprattutto, a livello mentale. Ci sono andato a letto, lo ammetto. Ho
perso la
verginità il primo giorno di college, di sera, ad un party
di una confraternita
di cui non ricordo nemmeno il nome. E mi è anche piaciuto!
Così ho continuato a
farlo… >> d’accordo, la
conversazione stava prendendo una brutta piega.
Per chi mi aveva
presa? Per la sua confidente? La sua best
friend forever? Non riusciva realmente a capire che mi faceva
male saperlo,
immaginarlo, a letto con qualcun’altra?
<< Ma poi ho
conosciuto te. >> disse serio, stringendo maggiormente le
mie mani
<< Tu mi hai fatto capire quanto stessi sbagliando,
Bella, in tutto. Il
mio complesso di superiorità, la mia arroganza…
Ti ho ferito più di una volta e
ti giuro, ti giuro, se potessi tornare indietro cambierei tutto. E
sì, posso…
Ma non posso cambiare il presente. >>
<< Edward, io
non voglio cambiare niente! >> dissi, interrompendolo
<< Non sei
sempre stato gentile con me, è vero. Anzi, a volte ti avrei
persino voluto
prendere a schiaffi, darti fuoco oppure, perché no,
strozzarti con… >>
<< D’accordo,
Bella! Ho capito! >> mi interruppe lui, stavolta,
sorridendo di sbieco
<< Non ti avrei biasimata, se lo avessi fatto davvero.
>> a quelle
parole mi morsi il labbro, abbassando un po’ il capo
<< No, continua a
guardarmi. Per favore. >>
<< Va’
avanti. >> lo incitai, tornando ad immergermi nei suoi
occhi verdi.
<< Tu sei
riuscita a tenermi testa, e la cosa mi innervosiva e stuzzicava al
tempo
stesso. Eri diversa dalle altre, soprattutto da Tanya. Un mio gesto e
lei
scattava, nemmeno fossi stato il suo capo. Tu no. Non abbassavi la
testa se eri
convinta di avere ragione – per dirla tutta, non
l’abbassavi nemmeno quando
avevi torto. >>
<< Ehm, io
non… >>
<< Lasciami
finire! >>
<< D’accordo,
scusa. >>
<< Non
pensavo di potermi innamorare di qualcuno, Bella. Ma è
successo. >>
sentendo quelle parole, il mio cuore esplose nel petto, mentre il mio
stomaco
cominciò a torcersi per l’agitazione
<< Mi sono innamorato di te,
Isabella Marie Swan. >>
Le mani sudavano e
le orecchie stavano fischiando. Avevo capito bene? Lui, Edward Cullen,
era
innamorato di me? Come poteva essere successo? Mi aveva sempre trattata
una
merda!
<< Potresti
ripetere? >> sussurrai, sentendo la salivazione
inesistente.
<< Ti amo,
Bella. >> sussurrò lui di rimando,
avvicinandosi a me << Ti amo davvero.
>> e posò le sue labbra
sulle mie.
Il bacio fu
passionale, lento. Edward mi attirò ancora di più
a sé, facendomi appoggiare la
schiena sul piccolo divano, che era davvero scomodo. Si teneva
leggermente
sollevato, appoggiando una mano sul bracciolo e l’altra sullo
schienale, per
non gravarmi addosso. Quando sentii la sua lingua giocare con le mie
labbra e
battere sui miei denti, capii che stava chiedendo il permesso.
Dischiusi le
labbra e concessi alla mia lingua di giocare con la sua. Erano
coordinate,
briose, come se avessero fatto quella danza cento, mille, altre
volte… Gli
accarezzai il petto, da sopra la maglietta, e allacciai una gamba alla
sua
vita. Edward spinse un po’, facendomi reclinare il capo e
gemere. Quando la sua
lingua sfiorò il mio collo, credetti di impazzire. Non avevo
mai, mai, provato
sensazioni simili. Il suo corpo, poi, aderiva al mio perfettamente,
come se
fossimo stati due pezzi vicini di uno stesso puzzle.
<< Ti amo
anche io, Edward. >> riuscii solamente a dire, ad un
certo punto <<
Ti amo da molto tempo, ormai. >>
<< Lo so, lo
so. E mi dispiace di essere stato così sciocco.
>>
<< Non ha
importanza, adesso. >>
<< Hai
ragione. Non ha importanza, adesso. >> e riprendemmo a
baciarmi e a
sfiorarci.
Passammo così il
resto del tempo. E tra i nostri infiniti baci, e i nostri piccoli
gemiti, nella
stanza si riusciva a udire solamente un altro dolce rumore: la canzone.
La nostra canzone.
…and every breath
you drew was Hallelujah. ²
― …e ogni nostro
respiro era un Hallelujah. .
¹. Le frasi sono prese dalla
commedia di William Shakespeare, citata nel capitolo, Sogno
di una notte di mezza estate. ². Testo e traduzione sono della
canzone, citata nel capitolo, Hallelujah.
Et voilà!
Allora, cosa ve ne pare? Finalmente Edward ha gettato la maschera e si
è perfino dichiarato. Chi è iscritto al gruppo su
Facebook mi avrà odiata, ne sono certa XD ho disseminato
indizi che facevano risultare Edward un vero stronzo, senza dar modo di
leggere i blocchi prima o dopo ai mezzi copiati. Ma i colpi di scena
sono sempre ben pensati e ben accettati, soprattutto quando sono
così piacevoli.
Cosa succederà ora? Beh, stiamo arrivando alla fine dei
giochi, gente. Nei capitoli successivi si vedrà parecchio il
conte - sia alla visita pre soirée, sia alla
soirée vera e proprio -, dove farà anche la sua
mossa. Ma vincerà o perderà? Ed Edward,
crederà a Bella o, nonostante l'amore che nutre per lei, non
metterà in dubbio il suo credo?
Il prossimo capitolo non arriverà prima di
Venerdì prossimo, e forse anche di Lunedì XD i
tempi sono stretti, e purtroppo non riesco a scrivere assiduamente
perché ho altre cose da fare che mi rubano molto tempo - il
lavoro vero e poi il lavoro con la mia pagina grafica, su Facebook. Un
bacione grande a tutti! :*
Eccomi
qui,
dopo tanto tempo! Lo so, per questo capitolo vi ho fatto aspettare
parecchio, vi chiedo scusa. Per questo motivo non sto a ciarlare
troppo, voglio solo dirvi che risponderò
alle recensioni dello scorso capitolo appena possibile
XD Grazie a tutti coloro che
mi aspettano pazientemente, vi adoro! E ora...
BUONA LETTURA! . .
20.
« Siamo in
grado di vedere una tazza che cade da un tavolo
e va in frantumi, ma non riusciremo mai a vedere una tazza
ricomporsi e tornare sul tavolo. Questo incremento del caos,
o entropia, è ciò che distingue il passato dal
futuro
e che dà una direzione al tempo. » Stephen Hawking. .
Fissavo
la mia
immagine riflessa nello specchio, da più di mezzora. Non ero
nervosa, ero
completamente terrorizzata! Le gambe tremavano, la gola era secca, le
mani
sudavano… Ma chi me lo ha fatto
fare!,
pensai maledicendomi. Continuai ad osservarmi per un po’,
pensando che Alice
fosse realmente una maga.
Il blu era, senza
alcuna ombra di dubbio, il colore che più si intonava alla
mia carnagione;
esaltava il tono dei miei occhi e, perfino, dei miei capelli. Essi, in
quel
momento, erano totalmente abboccolati e raccolti, lasciati un
po’ su e un po’
giù. A tenere il tutto vi era un piccolo fermaglio con dei
fiori, nei quali
erano incastonati degli zaffiri. L’abito poi, nel dettaglio,
era stupendo. Un
modello stile impero che, sotto il seno, sfoggiava un piccolo ricamo
intarsiato
di brillantini; la gonna arrivava poco sopra il ginocchio, era a
sbuffo. Ai
piedi sfoggiavo un elegante paio di decolté, non troppo
alte.
<< Forse è
troppo. >> sussurrai, poco prima di sentire il mio
cellulare squillare.
Sobbalzai per lo
spavento, ma mi diedi subito della stupida. È
un messaggio, svegliona!
Mi affrettai,
quindi, a raggiungere il letto – sul quale era stato
precedentemente lanciato
l’iPhone. Lo presi e quando lessi il nome sul display per
poco non mi venne un
infarto.
― Credo che al
primo appuntamento arrivare in ritardo non sia una gran cosa, ma ho
dovuto
accompagnare Jazz in centro. Macchina dal meccanico ed Alice non si
trova.
Arrivo tra mezzora, promesso! Non vedo l’ora… E. ―
Edward, pensai.
Risposi al
messaggio con un semplice “Ok” e mi focalizzai
sull’ora. In effetti, mancavano
pochi minuti alle sette. Meglio per me, forse. Avrei avuto
più tempo per
risultare presentabile. Sorrisi pensando al riferimento su
Alice… Era andata
via da casa mia poco meno di dieci minuti prima dell’arrivo
di quell’SMS, ovvio
che non si trovava da nessuna parte.
All’ennesima
controllata allo specchio, decisi che dovevo calmarmi. Non era la pria
volta
che io ed Edward andavamo da soli da qualche parte. Certo, erano altre
epoche e
quella sarebbe stata la nostra vera e prima uscita ufficiale
come… coppia?
Presi un profondo respiro e mi sedetti sul letto.
Non sapevo se io ed
Edward eravamo una coppia, non ne avevamo ancora parlato.
C’eravamo baciati e,
forse, spinti poco più oltre i baci su quello scomodo
divanetto del 1889;
avevamo ammesso di amarci… Ma potevo considerarmi la sua
ragazza? E, cosa
ancora più importante, mi interessava realmente
così tanto questa stupida
etichetta? Fidanzata, compagna… Era davvero solo questo
è determinare un
rapporto? Avevo sempre pensato di no. Ero sempre stata convinta che le
parole e
i ruoli che interpretavamo nella società fossero solo dei
marchi e che la vera
essenza delle persone, i loro veri sentimenti, fossero celati in ben
altre
cose. Il modo di porsi, per esempio. Era così importante
sapere se potevo
considerarmi la ragazza di Edward Cullen, quando lui era stato il primo
a dire
“ti amo”? I miei sproloqui mentali vennero
interrotti dal suono del campanello.
Schizzai in piedi, portandomi
anche il cuore in gola. Possibile che fossi realmente così
agitata? Non mi ero
mai sentita in quel modo.
<< Bella!
Scendi, è arrivato Edward! >> urlò
mia madre dal piano do sotto. Che
classe…, pensai.
Presi
l’ennesimo respiro profondo,
afferrai la giacca e la borsa, e mi apprestai a raggiungere il salotto.
In
corridoio, però, trovai Tanya, la serpe.
<< E così
esci con Edward. >> disse, senza perdere la sua posizione.
Era appoggiata allo
stipite della porta di camera sua; mani incrociate sotto il seno,
camicia da
notte piuttosto corta e provocante, capelli avvolti in un morbido
chignon
scombinato.
Potevo dire tutto
di mia cugina, tranne che non fosse maledettamente bella. Era perfetta,
oltre
che impeccabilmente proporzionata: seno piccolo, ma giusto per la sua
corporatura snella e slanciata; gambe toniche e lunghe; misure da
fotomodella.
Ogni ragazzo le sarebbe caduto volentieri ai piedi. Tranne
Edward…, pensai con un po’ di
soddisfazione.
<< Già. Esco
con Edward. >> parlai, rendendomi conto di fissarla senza
aver risposto
alla sua domanda.
<< Stai
attenta a lui, Bells. >>
<< Come,
scusa? >>
<< Ha
qualcosa che non mi piace. >> disse, avvicinandosi un
po’ <<
Insomma, ricordo quando faceva il filo a me e, ammettiamolo, non
è passato poi
molto tempo. >>
<< Ricordo
anche che ci stavi, Tanya. >> ribattei quasi furiosa.
Perché voleva
rovinarmi l’umore?
<< Edward è
indubbiamente un ragazzo che sa quello che vuole e, cosa ancora
più
affascinante, sa come ottenerla. Per questo ti dico di stare attenta,
non mi
sembra un ragazzo che cambia facilmente idea. Sempre se capisci cosa
intendo.
>>
<< Oh, sì.
Capisco benissimo! >> sbottai, totalmente inviperita
<< Non ti va
giù che un ragazzo come Edward abbia preferito me a te!
Prima ti faceva la
corte poi però, chissà perché, ha dato
a me le sue attenzione e questo non ti
sta bene! >>
<< Non mi sta
bene che tu pian piano mi abbia portando via tutto quello a cui tenevo,
a cui
mi stavo realmente affezionando. Ma non parlo per gelosia, Bells. Apri
gli
occhi o finirai molto male, me lo sento. >>
<< Sei anche
diventata una sensitiva, adesso? >>
<< Sai cosa,
cugina? Fa’ quello che vuoi. Ma se dovessi avere ragione, non
venire a piangere
da me. Sei solo una mocciosa. >> concluse, tornando in
camera sua e
sbattendo la porta. Io, dal canto mio, girai i tacchi e raggiunsi il
mio
accompagnatore.
<<
Finalmente, tesoro. >> parlò mia madre,
alzandosi dal divano << Ti
stavamo dando per dispersa, tutto a posto? >>
<< Sì, ho
solo incontrato Tanya mentre scendevo. >>
<< Va tutto
bene? >> domandò Renée,
avvicinandosi a grandi falcate.
<< Sì, mamma.
Sappiamo tutti com’è Tanya…
>>
<< Divertiti,
pulcino. >> disse lei, baciandomi la fronte
<< E mi raccomando, non
fare sciocchezze! >>
<< Ma mamma!
>> mi lamentai, diventando rossa come un pomodoro maturo.
Solo in quel
momento mi resi conto di non vedere Edward.
<< È con tuo
padre, in cucina. >>
<< Oddio!
>> scattai, cercando di non inciampare nei miei stessi
piedi.
<< L’Arsenal
è una buona squadra, ma tifo Chelsea. Inoltre, ci sono
giocatori ottimi.
>> diceva Edward, giocherellando con un bicchiere
d’acqua mezzo vuoto.
<< Preferisco
il Liverpool. >> rispose Charlie << Il mio
cuore è rimasto in
America, però. >> affermò
sospirando << Che grandi partite di
football o di basket! >>
<< Ma come,
signor Swan? Abita nel quartieri di Chelsea e tifa Liverpool?
>> domandò
Edward, scoppiando a ridere.
<< Chiamami
pure Charlie, ragazzo! >>
<< Ehm,
scusate se vi interrompo, ma… >>
<< Bella, sei
stupenda. >> disse Edward, alzandosi lentamente.
Sentii il sangue
confluirmi nelle guance. Mi aveva fatto un complimento, e di fronte a
mio
padre! Che imbarazzo!
<< Grazie…
>> risposi, mordicchiandomi il labbro inferiore.
<< Scusa,
Bells. Ho monopolizzato il tuo amico. >>
<< Non fa
nulla, papà. Andiamo, Edward? >> conclusi,
rivolgendomi a lui.
<<
Certamente. Signor Swan, oh ehm, Charlie… Spero di rivederla
presto. >>
<< Vale anche
per me, ragazzo. >> disse papà, stringendogli
la mano << E mi
raccomando, tratta bene mia figlia e non fare nulla di cui potresti
pentirti.
>>
<< Papà!
>> urlai, afferrando il braccio di Edward per spingerlo
via << Ma
che dici? >> sibilai, spingendo Edward verso
l’ingresso.
<< Cosa?
>> sussurrò mio padre, con aria innocente
<< Non ho detto niente di
male. >>
<< Tu e la
mamma mi state facendo impazzire, stasera! >>
<< Ti ho
messo il Taser*
in borsa. >>
<< Oh,
santissimi numi. >> sbottai esasperata. Fortuna che
Edward gli era
piaciuto, altrimenti cosa avrebbe fatto?
<< La
tratterò bene, Charlie. Non si preoccupi. >>
parlò Edward, bloccandosi e
voltandosi improvvisamente, per guardare mio padre.
Salutammo per
l’ennesima volta i miei genitori e ci apprestammo a
raggiungere la sua
macchina. La
Volvo
era parcheggiata parallela al marciapiede, proprio davanti al cancello
di casa
mia.
<< Prego.
>> disse lui, aprendomi la portiera, con fare da
gentiluomo.
<< Grazie.
>> sussurrai, prendendomi i secondi che gli sarebbero
serviti per
arrivare al suo posto di guida per guardarlo bene.
Indossava una
giacca nera, abbinata al suo jeans elegante del medesimo colore. La
camicia era
blu Cina, e si intonava perfettamente al suo corpo. Ai piedi ostentava
un paio
di scarpe classiche, ma non di quelle lucide. Meno
male, pensai, odio le
scarpe lucide!
<< Tutto
bene, Bella? >> domandò il mio accompagnatore,
ingranando la prima.
<< Oh, ehm,
sì… Non ti stavo fissando a bocca aperta, vero?
>>
<< Un po’ sì.
>> rispose, scoppiando a ridere << In
effetti, hai anche un po’ di
bava! >>
<< Cosa? Ma
che scemo! Non è vero. >>
<< No, hai
ragione, non è vero. Mi diverte farti arrossire,
però. >> ammise,
ottenendo quello che voleva.
Le mie guance si
infiammarono nel giro di pochi secondi, il cuore palpitava come mai
prima di
allora… Riuscivo, perfino, a sentire le famigerate farfalle
nello stomaco. Era
questo che significava essere innamorati? Perdere totalmente il
controllo del
proprio corpo e dei propri pensieri? Beh, dovevo ammettere che mi
piaceva
molto.
<< Dove
stiamo andando? >> domandai improvvisamente, per rompere
quell’imbarazzante silenzio che era venuto a crearsi.
<< È una
sorpresa. >> rispose Edward, sghignazzando sotto i baffi.
<< Odio le
sorprese… Dai, dimmelo! >>
<< No! Adoro
vedere i tuoi occhi allargarsi quando vedi qualcosa che ti piace.
>>
disse, cambiando espressione << Oddio, spero ti piaccia
il posto.
>>
<< Mi sembra
un po’ agitato, signor Cullen. >>
<< In effetti
un po’ lo sono, signorina Swan. >>
Passai i minuti
successivi a cercare, invano, di estrapolare qualche informazione
Edward.
Dopodiché mi arresi e mi godetti il viaggio in auto,
accompagnata da una
melodia di sottofondo molto dolce. Sonata
al chiaro di luna, di Beethoven.
Passando per Westminster Bridge, mi
resi conto
dell’enorme distesa del Tamigi che, libero come il vento,
brillava sotto le
luci della città. Senza avvertire Edward, abbassai in fretta
il finestrino, per
godermi la meravigliosa vista…
Il Tamigi era un
fiume dell'Inghilterra meridionale che attraversava Londra, sfociando
nel Mare
del Nord. Nonostante non si potesse definire il maggiore per lunghezza
e
portata, era da considerarsi di gran lunga il primo fiume del Regno
Unito per
importanza storica ed economica.
<< Tra poco
arriveremo. >> parlò Edward, dopo un
po’.
<< Non vuoi
ancora dirmi dove siamo diretti? >> tentai per
l’ennesima volta e,
proprio per l’ennesima volta, fallii miseramente.
Rimasi concentrata
sul volto di Edward, per quasi tutta la durata del viaggio. Le sue
labbra
incurvate nel suo solito sorrisetto sghembo, un po’ da
cattivo ragazzo; la
mascella dritta e spigolosa; il naso dritto, perfettamente
proporzionato al suo
viso.
Distolsi lo sguardo
sbuffando, per evitare che mi prendesse ancora in giro. Quando
all’improvviso
le note della canzone mutarono, diventando lente e cominciarono a
suonare Hallelujah. La
nostra canzone…, pensai,
senza
però parlare a voce alta.
Ero ancora incerta su quello che potevo dire e non. <<
Mi sono innamorato di te, Isabella
Marie Swan. >> Il ricordo
delle
parole di Edward si insinuarono tra la voce del cantante…
Lui mi amava, aveva
detto. Quindi perché dovevo vivere tutto in questo modo? Con
agitazione,
tensione… E sì, anche con un po’ di
paura. Non era quello che avevo sempre
voluto, in fin dei conti? Che Edward ricambiasse i miei sentimenti, che
mi
amasse, come io amavo lui? Allora cos’era quella sensazione?
Una voce squillante,
un verso profondo e acuto, che riecheggiava dentro di me e che, senza
chiedere
il permesso, mi insinuava un enorme dubbio nella testa e nel cuore.
<< Siamo
arrivati, Aurora. >>
disse
Edward, risvegliandomi dai miei pensieri.
<< Come… Come
mi hai chiamata? >>
<< Aurora.
>> disse serio, slacciandosi la cintura di sicurezza
<< Hai mai
visto la Bella Addormentata?
>>
<<
Divertente! E tu hai mai visto Shrek?
>> domandai, fintamente irritata, copiando il suo gesto.
<< Mi stai
forse dando del brutto orco? >>
<<
Esattamente! >> risposi, facendo ridere entrambi.
Edward, con uno
scatto deciso, scese dall’auto e mi venne ad aprire la
portiera. Quando scesi
mi guardai intorno.
Ci trovavamo in un
parcheggio molto grande. Tutto intorno c’era un recinto
scuro, che affacciava
sul Tamigi. Non appena mi voltai, imponente come un grattacelo
newyorkese, vidi
un locale di tonalità grigio scuro, composto quasi
interamente di vetrate. Ubon
by Nobu, lessi a lettere
cubitali in cima alla
facciata.
<< Andiamo?
Ho spostato la prenotazione alle otto, dovendo accompagnare Jasper in
centro.
>> spiegò, porgendomi il braccio. Lo afferrai
senza remore.
L’interno, se era
possibile, era ancora più incredibile
dell’esterno. Il pavimento di marmo
scuro, sembrava perfino legno lavorato; i tavoli – disposti
in molteplici modi
– erano di legno chiaro, con le sedie – meglio dire
poltrone – in pelle nera.
Le pareti erano bianche, con diverse colonne del medesimo colore sparse
per la
stanza. Il ristorante si affacciava sul Tamigi, proprio come avevo
immaginato
uscendo dal parcheggio.
<< Wow!
>> fu la prima e unica cose che riuscii a dire, varcando
l’entrata.
<< Deduco che
ti piace. >> sussurrò Edward al mio orecchio.
<< Mi piace?
Edward, è favoloso! Anzi, stupendo. Non so neppure che
termine usare… >>
<< Ne sono
lieto. >> replicò sorridendo, fino a
raggiungere la hall.
<<
Desiderate? >> ci domandò il ragazzo, che
doveva avere all’incirca
trent’anni.
<< Ho una
prenotazione per le otto. Il nome è Cullen. >>
<< Controllo.
>> rispose il ragazzo, spostando il mouse del computer
<< Cullen,
Cullen… Sì, ecco qui. Seguitemi pure, prego.
>> concluse, afferrando due
piccoli menù rilegati in pelle nera.
Il tavolo si
trovava all’esterno del primo piano – nonostante
fosse una zona coperta da una
cupoletta di vetro. Era tonto e affacciava proprio sul grande fiume. Le
sedie,
in legno questa volta, erano piccole e disposte una di fronte
all’altra.
<< Spero che
la cucina giapponese ti piaccia. >> esordì
Edward, non appena fummo
lasciati da soli << Forse avrei dovuto dirtelo prima,
dopotutto. >>
<< Mi piace.
Cine e giapponese mi piacciono molto, anche la cucina messicana se
è per
questo. >> confessai, mordicchiandomi il labbro inferiore.
<< Davvero?
Anche io adoro il messicano! >> quasi urlò
come un bambino << Ogni tanto,
il Sabato sera, quando resto solo con Jasper e Alice, invece della
solita pizza
ordiniamo messicano. >>
<< Quanto ti
invidio. Con Lady Lillian non si può assolutamente
fare… Una volta ordinai la
pizza, per poco non mi lasciò senza cena per due settimane.
>>
<< Cavolo,
che mastino! >>
<< Puoi dirlo
forte. >>
Continuammo a
chiacchierare del più e del meno, mentre sfogliavamo i
nostri menù. Non sapevo
cosa ordinare… Anzi, per essere precisa, lo sapevo eccome. I
prezzi, però, erano
più che eccessivi! Non volevo far spendere ad Edward un
patrimonio.
<< Che
antipasto preferisci? >> domandò Edward, di
punto in bianco, senza
staccare gli occhi dal menù.
<< Antipasto?
Edward, ma hai visto i prezzi? >>
<< Certo.
>> rispose tranquillo, nemmeno gli avessi chiesto se
voleva da bere
<< Non farti problemi, Bella. Se ti ho portato in questo
posto è perché
posso permettermelo, ok? >>
<< Sì, ma io…
>>
<< Niente
“ma”. Se vuoi l’antipasto lo dividiamo,
so per esperienza che qui abbondano con
le po5rzioni… Ti va bene la tartar di salmone?
>>
<< Sì, ma
senza caviale. >> rispose, un po’ titubante
<< Non mi è mai
piaciuto molto… >>
<< Andata!
>> rispose allegro.
Nel giro di dieci
minuti decidemmo la nostra cena. Filetto di salmone con salsa teriyaki
e un
contorno di asparagi, per me; filetto di manzo con salsa wasabi
piccante e un
contorno di insalata mista, per lui. Edward ordinò per
sé un bicchiere di pinot
nero, visto che io avevo preferito una Cola alla ciliegia. Lo sapevo
che il
pesce si sposava col vino bianco ma, non reggendo l’alcool,
volevo evitare
figuracce.
<< Allora,
sei agitata per domani? >> chiese Edward, tagliando il
suo filetto.
<< Un po’.
>> ammisi, ingoiando una forchettata di asparagi
<< Non vedo il
conte da settimane e l’ultima volta…
>> Attenta, Bella. Ricordati:
non fidarti di nessuno…
<< L’ultima
volta, cosa? >> mi incitò Edward, notando il
mio brusco silenzio.
<< Beh,
niente. Se non mi ha più voluta vedere o affiancarmi a te
per la missione,
molto probabilmente non gli avrò fatto una buona
impressione. >> risposi,
cercando di non far trasparire il mio disagio.
<< Il conte è
fatto a modo suo. >> disse Edward, spostando il suo
sguardo sul Tamigi
<< Non è cattivo, ha solo idee un
po’… antiquate, per così dire.
>>
<< Vive nel
1700, cosa potevamo aspettarci? >>
<< Hai
perfettamente ragione! >>
<< Edward,
posso… posso farti una domanda? >>
<< Certo,
Bella. >> disse, posò le posate sul tavolo e
appoggiò il mento sulle sue
mani congiunte.
<< Ti fidi
ciecamente di Aro? >>
<< Sì.
>> disse d’istinto, senza pensarci un secondo.
La sua fretta mi lasciò
spiazzata << Il conte è della nostra parte. Te
l’ho detto, a volte ha
idee e comportamenti antiquati, per noi ragazzi del ventunesimo secolo,
però è
lui che ha scoperto questo gene, è lui che vuole creare
questa medicina
miracolosa… Il conte può sembrare duro, ma
sì, mi fido ciecamente di lui.
>>
<< Non ti ha
mai sfiorato l’idea che, forse, Rosalie ed Emmett potrebbero
aver rubato il
vecchio cronografo per giusta causa? >>
<< Giusta
causa? >> domandò, ridendo amaramente
<< E qualche sarebbe questa
“giusta causa”? Sono ladri, Isabella.
>> proseguì duramente <<
Ladri e traditori. >>
<< Forse è
meglio cambiare discorso. >> azzardai, non volendo
rovinare la serata
<< Mi spiace aver tirato fuori questa questione. Insomma,
va bene avere pareri
differenti. Inoltre, io non conosco nemmeno bene tutta la storia,
quindi…
>> mentii ancora, sentendomi un verme.
Era lui, Edward, a
non conoscere tutta la storia. Ed io stavo proteggendo quelli che lui
considerava dei traditori. Non mi avrebbe mai creduta, non avrebbe mai
creduto
a loro… Cosa sarebbe successo se avesse dovuto uccidermi
davvero, per
completare il cerchio? Non lo sapevo. E la cosa mi terrorizzava
più di avere
una certezza, anche se negativa.
<< Bella?
Terra chiama Bella! >>
<< Come?
>>
<< Dov’eri
finita? >> chiese Edward, tornato sereno.
<< Qui.
Scusami, mi sono lasciata prendere dai pensieri…
>>
<< Resta con
me, ok? >> disse, prendendo la mia mani sul tavolino
<< Voglio solo
pensare a te, a noi, questa sera. Niente conte, niente viaggi nel
tempo, niente
tradimenti… Solo noi due. >>
<< Mi trovi
d’accordo… >>
<< Allora lo
vuoi il dolce? >> domandò, stringendo ancora
di più la mia mano <<
Oppure usciamo e andiamo a prendere un frappé in centro?
>>
<< Vada per
il frappé! >>
<< Sapevo
avresti risposto così. >>
<< Vuoi dire
che sono prevedibile? >> chiesi, con un finto broncio.
<< No.
>> rispose lui, avvicinando il suo viso al mio, da sopra
il tavolo
<< Voglio dire che ti conosco fin troppo bene.
>> concluse,
soffiandomi quasi sulle labbra.
Uscimmo dal
ristorante mezzora dopo e, in base alla proposta di Edward, risalimmo
in
macchina in direzione di Russull Street, nel centro di Londra. Proprio
lì,
infatti, si trovava la migliore gelateria del paese: Gelatorino.
Come si poteva
capire dal nome, il locale richiamava l’artigianeria
italiana. Era, infatti,
una delle migliori di Londra. Il gelato – ma anche
frappé, granite e molto
altro – veniva fatto davanti ai tuoi occhi, usando le
tecniche e i macchinari
di più grande prestigio. La piccola bottega, poi, era
davvero molto graziosa.
Architettura semplice, bianca come il latte più fresco, e un ambiente molto
accogliente.
<< Un frappé
nocciola e fragola, per me. Per la signorina, invece, menta e
cioccolato.
>>
<< Ve li
preparo subito! >> disse in tono squillante il
proprietario, dietro il
bancone << Se volete accomodarvi fuori, ve li porto anche
al tavolino.
>>
<< Che dici,
ci sediamo? >> mi domandò Edward, con un viso
rilassato e spensierato.
<< Certo,
perché no! >> risposi euforica, seguendo il
mio accompagnatore.
Con Edward,
nonostante tutti i problemi che erano venuti a crearsi, mi sentivo
bene. Se non
fossimo stati dei geni-portatori, ma dei ragazzi assolutamente normali,
niente
avrebbe potuto scalfire la nostra affinità; la nostra
complicità. Avevo
ovviamente letto troppi libri romantici.
<< Non ti ho
ancora salutata come si deve, stasera. >> disse Edward,
improvvisamente.
Si trovava sulla
piccola sedia di metallo posizionata alla mia destra. Mi voltai di
scatto,
trovando i suoi occhi a pochi centimetri dai miei. Erano di un verde
intenso,
brillante… Riuscivo a leggere in loro tutta
l’eccitazione che Edward, in quel
momento, stava provando. È
eccitato perché vuole baciarmi… Perché
vuole baciare me.
<< Può
perdonarmi per questo terribile disguido, signorina Swan?
>> sussurrò
roco, quasi sulle mie labbra.
<< Solo se fa
tutto quello che può per rimediare, signor Cullen.
>>
<< Può
scommetterci, Milady.
>>
concluse, prima di baciarmi.
Afferrò il mio viso
tra le sue mani, posando le sue labbra sulle mie. Le nostre bocche
erano due
pezzi perfetti di un puzzle, che si incastravano l’un
l’altro senza fatica. Era
come se fossero state create per toccarsi, per giocare tra di
loro… Troppo
presa dai miei assurdi pensieri, sussultai quando avvertii la calda
lingua di
Edward passare sui miei denti. Dischiusi le labbra, assecondando i suoi
movimenti. Essa trovò la mia, trascinandola in una danza che
non sarei mai
riuscita a spiegare.
C’era tutto in quel
bacio: passione, voglia, desiderio, erotismo, intimità. Era
nostro.
Quando sentii la
mano di Edward sulla schiena, percepii anche un calore diffondersi
all’altezza
del basso ventre. Quel ragazzo risvegliava in me voglie che mai, prima
di
allora, avevo provato. Con uno scatto rapido mi portò a
cavalcioni sulle sue
gambe, facendo voltare qualche altra coppia che, come noi, stava
aspettando il
proprio gelato.
<< Però…
>> fischiò un ragazzo.
<< Tu non sei
mai così passionale! Ti odio. >>
controbatté la sua ragazza – o almeno,
credevo lo fosse.
Non ci badai troppo,
comunque. Allacciai le braccia attorno al collo di Edward, mentre
sentivo le
sue mani muoversi fameliche sulle mia schiena, sfiorandomi persino le
natiche.
Istintivamente, mossi un po’ troppo il bacino, inducendo
Edward a mordermi
dolorosamente il labbro inferiore.
<< Scusa,
Bella… >> sussurrò affannoso.
Percepivo il rigonfiamento dei suoi
pantaloni…
<< N…no,
scusa tu. Credo di aver esagerato. >>
<< Non hai
per niente esagerato… >> rispose, baciandomi
il collo << Solo che dovremmo
darci una calmata e magari continuare in camera mia… Non
vorrei ci arrestassero
per atti osceni in luogo pubblico! >> concluse,
scoppiando a ridere. Mi
sistemò una ciocca di capelli – scappata dallo
chignon – dietro l’orecchio e,
come se nulla fosse successo, cominciò a parlare di
sciocchezze.
Nella mia testa,
però, rimbombavano assordantemente le sue parole:
“dovremmo darci una calmata e
magari continuare in camera mia”. Era una frase detta
così, oppure realmente
voleva portare il nostro rapporto su un altro livello? Non era forse
troppo presto?
Insomma, ci giravamo intorno da settimane, ormai, era vero. Ma era il
nostro
primo appuntamento! Ed io non avevo mai…
<< …non lo
prendi? >>
<< Come? Cosa
devo prendere, scusa? >> chiesi allarmata, non avendo
seguito il suo
discorso.
<< Il frappé,
Bella. >> rispose Edward, sghignazzando <<
Girati. >> ordinò
e feci come aveva detto lui.
In effetti, il
proprietario era dietro di me e teneva in mano il mio
frappé, con un sorrisone
stampato sulla sua faccia paffuta. Mi ricordava un po’ Buddy – il pasticcere di un
programma che, a volte, seguivo in tv.
<< Grazie.
>> dissi a bassa voce, prendendo il bicchiere.
La serata trascorse
nell’imbarazzo più totale. Edward, capendomi al
volo, si scusò per la frase,
detta in un momento di poco autocontrollo. Non voleva spingermi a fare
qualcosa
di cui non mi sentivo pronta e, cosa che non compresi quasi per niente,
non
voleva portare il nostro rapporto a quel livello se prima non avesse
risolto
una cosa molto importante. Quale fosse questa cosa,
non lo capii assolutamente.
Mi accompagnò a
casa a mezzanotte in punto, facendomi sentire molto Cenerentola.
<< Ci vediamo
domani. >> mi salutò, baciandomi dolcemente la
fronte << Buona
notte, mio bel rubino. >> non sapendo cosa dire, rimasi a
fissarlo mentre
raggiungeva la sua Volvo.
Era indubbiamente
chiaro: io, Isabella Swan, ero totalmente e incondizionatamente
innamorata di
quel ragazzo.
* * *
<<
Bella,
devi stare ferma! >>
<< Sono ferma
da venti minuti! Ti stai divertendo, di’ la
verità! >>
<< Così mi offendi!
>>
<< Offenditi
pure, ma è solo ciò che penso! >>
replicai sbuffando, mentre Alice se la
rideva sotto i baffi.
Mi trovavo alla
loggia, nella sartoria. Alice mi stava preparando per
l’incontro con il conte
di Saint Germain. Saremmo saltati nuovamente nel 1755, solamente ad
alcuni mesi
di distanza dal mio ultimo incontro.
<< Al conte
piace avere sempre tutto sotto controllo. >> aveva detto
Mr. Saltzman,
qualche ora prima << Per questo motivo stabilisce gli
incontri in modo da
sapere sempre tutto quello che è successo tra lui e noi.
>> Eh
certo!, avevo pensato
sarcasticamente. Il fatto che lo facesse perché
stava prendendo tutti per il culo non era contemplato.
<< Siete
pronte? >> domandò Edward, entrando senza
bussare.
<<
Screanzato! >> lo ammonì la sorella
<< Ti sembrano modi, questi? E
se non avevo ancora finito? Se Bella fosse stata in biancheria intima?
>>
<< Chi ti
dice che non l’abbia mai vista in biancheria intima?
>> ribatté Edward, alzando
un sopracciglio e stampandosi in faccia il suo sorrisetto da stronzo.
<< Oh… Beh,
io non… cioè… >>
<< Alice, ti
sta prendendo in giro. >> dissi, avvicinandomi a quei due
pazzi <<
Non mi ha mai vista senza vestiti addosso! >>
<< Non
ancora. >> sussurrò malizioso.
Alzai gli occhi al
cielo e lasciai che Alice finisse il suo capolavoro.
Come
di consueto,
venni scortata nella stanza del cronografo bendata. Nonostante Edward,
ora, non
mi facesse più inciampare nei miei piedi, sbattere contro
colonne avvisate
all’ultimo minuto o, peggio ancora, stramazzare a terra con
il rischio di
rompermi l’osso del collo, quella situazione risultava sempre
molto fastidiosa.
<< Quando
cominceremo a non bendare più Isabella, Mr. Dwyer?
>> chiese Edward,
lasciandomi piacevolmente sorpresa.
<< Una
richiesta strana detta da lei, giovanotto. >> rispose
l’uomo <<
Comunque, penso quando tutti i membri interni della cerchia decideranno
che non
è più necessario bendarla. >>
<< E le
votazioni sono…? >> lo incitò
Edward, tenendomi saldamente per la vita.
<< Favorevoli
a sbendarla, solo io e suo padre. >> rispose Mr. Dwyer
desolato.
Le mie speranze si
erano sgretolate in un secondo. Se continuavamo così, molto
probabilmente,
sarei arrivata a trent’anni con questa dannata benda sugli
occhi! Sempre che il conte non ti uccida
prima, mia
cara. Mi ricordò la mia solita vocina interiore.
<< Siamo
arrivati. >> sussurrò Edward al mio orecchio,
ridandomi la facoltà di
vedere.
Ad attenderci, come
sempre, c’erano Carlisle, Mr. Saltzman e il dottor Black con
il piccolo Jake.
<< Siete
pronti, ragazzi? >> domandò Carlisle,
fornendoci anche la parola d’ordine
di quel giorno.
<< Pronta,
Bella? >> domandò Edward, posizionandosi alla
mia sinistra.
<< Quando
vuoi. >> risposi, contraccambiando il suo sorriso.
Quando il
cronografo si mise in moto, la stanza venne inondata da due bagliori
accecanti:
un bianco acceso e un rosso splendente. La solita vertigine fece
capolino nel
mio stomaco, provocandomi quella sensazione di galleggiamento in
aria… Poi il
buio mi circondò e, come per magia, mi ritrovai in
un’epoca passata.
<< Edward?
>> chiamai, ancora circondata dalle tenebre.
<< Sono qui,
dammi la mano. >> rispose, afferrando velocemente il mio
polso <<
Non trovo la torcia, ah eccola! >> e pochi minuti dopo
l’accese.
<< Il buio
non mi piace granché. >>
<< Tranquilla,
ci sono io con te. >> sussurrò sulle mie
labbra e mi attirò a lui,
stringendomi tra le sue braccia << Non
permetterò che ti faccia male in
questa missione. Non permetterò mai a niente e a nessuno di
farti male,
Isabella. >>
<< Vale lo
stesso per me, Edward… >> riuscii a dire,
prima che le nostre bocche
tornassero a sfiorarsi.
Avevamo solo un’ora
e mezza, quel giorno. A differenza delle volte precedenti, il conte, ci
aveva
fatto espressamente sapere che ci avrebbe ricevuti nella stanza del
drago, alla
loggia.
<< Sei
nervosa? >> domandò Edward, stringendomi
dolcemente la mano.
<< Un po’…
>>
<< Vedrai che
andrà bene, Bella. >>
<< Parli bene
tu. >> risposi senza pensare << Non ha mica
strangolato te l’ultima
volta. >> sputai, senza rendermene conto. Compresi
ciò che avevo detto
solo quando Edward si immobilizzò improvvisamente al mio
fianco.
<< Cosa?
>> domandò allarmato << Cosa hai
detto? >>
<< Niente,
Edward. È una sciocchezza. >> tagliai corto,
aprendo l’ultima porta delle
“segrete”, affinché entrassimo nel
grande e arieggiato corridoio.
<< Cosa
significa che ti ha strangolata? >> continuò
imperterrito << È per
questo che hai cominciato a fare tutte quelle domande su Emmett e
Rosalie? È
questo il motivo per cui… per cui ti ha sollevata
dall’incarico? >> la sua
voce era un sussurro << Isabella, rispondi! Quando
è successo? Sono
sempre stato con te, l’ultima volta. >>
<< Forse è
successo proprio davanti ai tuoi occhi, Edward. >>
sbottai spazientita
<< O, per meglio dire, nella mia testa. Lui…
lui e i suoi poteri da
strapazzo! >>
<< Ma di cosa
diavolo stai parlando? >> chiese ancora, afferrandomi per
le spalle
<< Non è che ti sei immaginata tutto quanto?
La stanchezza magari…
>>
<< Non finire
la frase, razza di idiota! >> urlai, facendo voltare
qualche guardia
<< Non puoi baciarmi e trattarmi come la cosa
più preziosa che hai, prima,
e credermi completamente fuori di testa pochi minuti dopo!
>>
<< Cosa
succede, qui? >> chiese Caius, il biondino cugino del
conte.
<< Niente.
>> mi affrettai a rispondere.
<< Proprio niente
non direi… >> disse Edward, senza staccarmi
gli occhi di dosso.
<< Possiamo
parlarne dopo. >>
<< Screzi tra
innamorati, per caso? >> sghignazzò Caius,
indicandoci di seguirlo.
La stanza del drago
non era molto diversa da quella del 2011. Forse un po’
più nuova, ma
sostanzialmente era identica. Erano stati sostituiti solo i mobili che,
molto
probabilmente, si erano rovinati nel tempo.
<< Aro, ecco
i tuoi ospiti. >>
<< Oh, eccovi
finalmente! >> disse il conte, alzando la testa da un
voluminoso libro
<< Vi stavo aspettando, ragazzi. >> era
esattamente come lo
ricordavo.
<< Conte.
>> salutò Edward, inchinandosi appena. Io non
parlai, replicai soltanto
il gesto del mio compagno di viaggio.
<< Come
state, mie cari viaggiatori? >> chiese il conte, con un
caloroso sorriso
stampato in faccia.
<< Molto
bene, grazie. Lei, conte? Sta bene? >>
<< Molto
bene, Edward. Ti ringrazio. >> rispose, per poi spostare
il suo sguardo
su di me << E tu, mio inesperto rubino, come stai?
>>
<< Bene,
conte. È gentile da parte sua interessarsi del mio stato di
salute. >>
dissi, cercando di mantenere freddezza e distacco.
<< Noto con
piacere che qualcuno ha imparato qualcosa. >>
controbatté allegro,
scoppiando in una modesta risata << Edward,
perché non segui Caius? Io
devo parlare da solo con Isabella. >> a quella richiesta
mi immobilizzai,
percependo i brividi percorrermi la schiena.
Stranamente, anche
Edward parve contrariato e titubante a quella richiesta.
<< Sarebbe
meglio se restassi, conte. >> rispose lui
<< Isabella non si sente
molto bene, oggi. Preferirei restare con lei. >>
mentì spudoratamente.
<< La giovane
è malata? >> domandò Caius
<< Che strano, non mi sembrava molto malaticcia
mentre vi urlava contro nel corridoio centrale, Sir. >>
<< Ora va’,
Edward. Non la mangio. >> parlò il conte,
facendo un sorriso.
Controvoglia,
Edward seguì Caius, lasciandomi ancora una volta in balia di
quello sguardo
nero come il petrolio.
<<
Accomodati, Isabella. >> disse e feci come mi aveva
chiesto.
Non volevo dargli
additi per farlo arrabbiare.
<< Ho notato
un cambiamento in te, oggi. Hai studiato di più, per caso?
>>
<< Sì. Mi sto
preparando per la soirée
alla quale
ci ha invitati, conte. >>
<< I frutti
si stanno vedendo, bambina. Me ne compiaccio! >>
Passammo quasi mezzora
a parlare del più e del meno. Il conte mi fece molte domande
sulla missione e
sull’andamento della loggia nel mio tempo; volle sapere,
perfino, cosa ne
pensassi io della cerchia interna. Quando gli parlai della benda, poi,
mi
assicurò che avrebbe mandato una missiva dove ordinava che
essa mi venisse
tolta.
Tutta quella
gentilezza mi puzzava.
<< Ti vedo
strana, Isabella. Questo comportamento così formale ha, per
caso, a che fare
con il nostro ultimo incontro? >> domandò
sorseggiando un goccio di tea
<< Prendo la tua espressione come un sì. Devi
scusarmi, piccolo rubino.
Ma sono solito prendere le decisioni di petto. Mi spiace averti
spaventata, mia
cara, non era assolutamente mia intenzione. >>
<< Allora
perché lo ha fatto? >>
<< Per farti
capire chi comanda, qui. >> rispose duramente, senza
perdere però il
sorriso << Mi sono reso conto, comunque, che il messaggio
è arrivato
forte e chiaro. Sono sicuro che alla soirée,
tu ed Edward, farete scintille. >>
<< Dove lo ha
mandato? >> domandai, senza rifletterci troppo.
<< A fare un
saluto ad una mia cara amica. La piccola Jane. >>
repressi l’istinto di
inarcare un sopracciglio. E ora chi diamine era questa?
<< Lady Jane è la
figlia di un vecchio amico. È stata molto malata ed
è ancora in vita per un
semplice miracolo… Non esce molto e non ha molte conoscenze,
così quando Edward
viene a trovarmi lo mando da lei. Lo ritiene un giovane molto
attraente.
>> il discorso stava cominciando ad irritarmi.
Ecco perché Edward
era sempre così felice di andare a parlare con il conte.
Già che c’era, andava
a fare una scappatella con Lady Jane. Che
stronzo epocale!
<< Ho l’impressione
che la cosa non ti aggradi molto. >>
La cosa non mi
aggradava molto? Gli avrei spezzato le gambe non appena lo avrei visto!
<< Tesoro
mio, temo che i tuoi sentimenti per il giovane Edward stiano prendendo
il
sopravvento sul tuo cuore. Ma bada bene, le donne non possono
pretendere di
avere diritti sugli uomini, in quanto essi sono liberi. Se pensi di
poter
possedere un uomo, uno come Edward poi, finirai per restare da sola.
>>
ma quante stronzate << Mi sembri una ragazza
intelligente, dopotutto.
Forse è solo la prima volta che ti sei innamorata.
>>
Come eravamo finiti
a parlare del mio amore per Edward, quando lui se la spassava non solo
con
Tanya nel presente, ma anche con questa Jane nel passato?
<< In fondo è
molto semplice capire se sei realmente innamorata. >>
continuò
imperturbabile << Daresti la tua vita per Edward?
>>
<< Forse. Non
ho mai pensato ad un’eventualità simile.
>>
<< Dal
luccichio che hai negli occhi si vede lontano mille miglia che la
risposta
sarebbe sì! >> disse allegro, poi
sospirò irrequieto << D’altronde,
non c’è niente di più prevedibile della
reazione di una donna innamorata. Lo
spiegai ad Edward fin dal nostro primo incontro e, da bravo discepolo,
prese
alla lettera le mie parole! La questione con Tanya mi è
dispiaciuta molto…
Povero ragazzo, ha sprecato così tante energie per niente!
>> cominciavo
a non seguire più il suo discorso << Bisogna
comunque ammettere che Madre
Natura è stata fin troppo gentile con lui, non credi? Un bel
viso, un fisico da
Adone, notevoli abilità in ogni campo. Non deve muovere
neppure un dito perché
le fanciulle cadano ai suoi piedi. >>
La verità mi crollò
addosso come una doccia fredda in pieno inverno. Tutto quello che
Edward aveva
fatto, tutte le sue parole, i suoi gesti, i suoi baci… Era
tutto calcolato,
premeditato. Tutto elaborato perché io e, prima di me,
Tanya, fossimo
giocattoli nelle sue mani; bambole, che lui poteva facilmente e
abilmente
controllare.
Cominciai a
sentirmi terribilmente male; esausta. Era come se stessi per svenire,
da un
momento all’altro. Lui mi aveva usata. Sentivo le orecchie
fischiarmi forte,
troppo forte; le gambe tremarmi; lo stomaco cominciò a
torcersi, facendo salire
fino alla bocca il senso di nausea. Volevo vomitare. Avevo bisogno di vomitare tutto quello schifo.
Le sue mani sul mio corpo,
le sue parole… Quale persona poteva essere così
viscida? Come
hai fatto ad essere così stupida!,
urlò una voce dentro di me. Aveva ragione.
Edward mi aveva ingannata perché io mi ero lasciata
ingannare da lui. Dai suoi
dannati occhi, dai suoi gesti d’altri tempi. Colpa della mia
poca intelligenze
e del mio cuore così infantile da innamorarsi di un principe
che, alla fin
fine, si era solo rivelato essere un orco cattivo.
Non riuscivo più a
concentrarmi sulle parole del conte, nonostante sapevo bene stesse
ancora
parlando.
<< Conte!
>> urlò Caius, spalancando la porta
<< Edward è stato ferito.
>>
Quattro lettere.
Una frase. Bastò solo quello per rimettermi in piedi e
correre come una pazza
fuori dalla stanza del drago.
Non appena vidi
Edward, per un attimo, mi diedi della stupida. Più che un
ragazzo ferito, mi
sembrava un ragazzo scombinato. I capelli in disordine, la camicia
fuori dai
pantaloni, le guance rosse, il sudore… Poteva benissimo
essere un camuffamento
per me, dopo essersela spassata con Lady Jane. Poi, però,
vidi il sangue
sgorgargli dal fianco sinistro.
<< Cos’è
successo? >>
<< Dobbiamo
andare, Bella. >>
<< Ma forse
hai bisogno di aiuto, forse… >>
<< Ho solo
bisogno di andarmene da qui! Coraggio, vieni. >> disse,
prendendomi la
mano e trascinandomi verso i sotterranei << Abbiamo dieci
minuti prima
del salto. Sai com’è, mi hanno trattenuto contro
la mia volontà. >>
recitò la parola d’ordine e mi trascinò
con lui nella penombra di quelle
segrete.
Non emisi parola
per tutto il breve tragitto, nonostante Edward sembrava essere
diventato
stranamente logorroico.
<< Bella,
tutto bene? >> chiese, una volta raggiunto il posto del
salto.
<< Strano che
tu me lo domandi. >> risposi, voltandogli le spalle
<< Anzi no, mi
correggo. È ovvio che tu me lo chieda. Devi sembrava
interessato, giusto? Ma la
domanda non è se io sto bene, ma è se a te frega davvero qualcosa. >>
<< Ma cosa
stai dicendo? >>
<< La
chiacchierata con il conte è stata… interessante.
Sì. >> ero distaccata,
come se fossi in un lontano pianeta sconosciuto << Il
conte mi ha
raccontato tutto. Le vostre comuni passioni e idee sulle donne; la tua
bravura
nella manipolazione. Dimmi, Edward, è vero? È
vero che hai manipolato Tanya
perché si innamorasse di te, solo perché pensavi
che fosse il rubino? >>
<< Bella,
aspetta… Il salto arriverà a breve.
Potremmo… potremmo riparlarne più tardi,
quando ti sarai calmata? >>
<< Deve
essere stato un brutto colpo, per te. >> continuai,
fingendo di non aver
sentito le sue parole << Dopo tutto il tempo che hai
passato a farla
cadere ai tuoi piedi, hai scoperto che tutto il tuo lavoro era stato
inutile.
Ero io il vero rubino, avresti dovuto ricominciare tutto da capo, con
me. Ma io
ti ho reso le cose facili, giusto? Dio! Che stupida. Stupida, stupida!
>>
<< Bella, per
favore… >>
<< Dimmi solo
se quello che ha detto il conte è vero. >> lo
bloccai, non volendo
ascoltare altro << Dimmi se mi hai davvero preso in giro.
>>
<< Non è il
momento di parlare di questo. >> rispose Edward,
avvicinandosi a me
<< Quando torneremo risponderò a tutte le tue
domande, ma… >>
<< No,
Edward! Adesso, ora! Dimmi solo sì o no! >>
<< Bella, per
favore… >>
<< Sì o no!
>>
<< Sì,
dannazione! Sì! >> urlò
più forte di me, frantumando definitivamente il
mio cuore in mille pezzi << Però, Bella,
lasciami spiegare. >>
<< Non ce n’è
bisogno. È tutto molto chiaro, adesso. >>
parlai con voce atona <<
Grazie per la sincerità, comunque. >>
Il mio sguardo
cadde sulla sua ferita e, per un attimo, mi sentii io quella
accoltellata, tra
i due. Gli occhi mi pungevano ed ogni punto del mio corpo era
inesistente. Non
percepivo più le gambe né le braccia
né, tanto meno, la testa. Tutto il dolore
si era concentrato in un unico punto: il petto. Un petto vuoto, adesso.
<< Bella…
>> tentò Edward, ma io indietreggiai.
Proprio in quel
momento, la vecchia camera scomparve sotto i miei occhi e al suo posto
comparve
la stanza del cronografo. Eravamo tornati nel 2011.
<< Per tutti
i santi, Edward! >> urlò il dottor Black,
accorrendo in suo aiuto
<< Ma cos’è successo?
>>
<< Sto bene,
non ho bisogno di niente. >> rispose Edward, venendo
accerchiato da tutti
gli altri << Bella, aspetta, per favore! >>
non lo ascoltai.
Improvvisamente
sentii le mani di Mr. Dwyer afferrarmi per la vita.
<< Isabella è
incolume. >>
<< Ho solo un
graffio! >> si lamentò Edward, cercando di
venire da me << Papà,
puoi lasciarmi un minuto? >>
<< Non se ne
parla nemmeno! Guarda come sei ridotto! >>
<< Mr. Dwyer,
potrebbe accompagnarmi di sopra? Vorrei andare a casa. >>
sussurrai,
sperando che il mio amico percepisse le mie parole.
<< No, Bella,
aspetta! >>
<< Edward,
stai fermo! >> urlò il dotto Black, sbuffando.
<< Vieni,
cara. >>
<< Mr. Dwyer,
aspetti! Devo parlare con Isabella! >>
<< Non è
necessario, Edward! >> urlai, facendo calare un
innaturale silenzio in
tutta la stanza << Ho già ascoltato abbastanza
e so già tutto quello che
dovevo sapere. Voglio solo andare a casa mia. >>
Fu allora che Mr.
Dwyer mi afferrò per le spalle e, facendo tacere Edward con
un gesto secco e
autoritario, mi scortò fuori da quelle mura che, nonostante
fossero alte e
spaziose, stavano cominciando a starmi strette.
<< Ne vuoi
parlare? >> domandò l’uomo, durante
il tragitto verso casa.
<< No.
>> riuscii semplicemente a rispondere.
Arrivata a casa non
mangiai né salutai nessuno. Mi rifugiai velocemente in
camera mia, chiudendo la
porta a chiave. Non volevo sguardi preoccupati, domande imbarazzanti a
cui
dover dare risposte troppo dolorose. Volevo solamente piangere,
piangere e
piangere ancora.
Presi l’Ipod e mi
sparai la musica melense nelle orecchie, cercando qualcosa che
rispecchiasse il
mio stato d’animo. Ma quando percepii le note dell’Hallelujah di Rufus Wainwright,
allontanai le dita dall’oggetto,
lasciandomi cullare da quella melodia.
I ricordi
riaffiorarono prepotentemente nella mia mente e le lacrime non ci
misero molto
a scendere, sgorgando con impeto ed irruenza dai miei occhi pungenti.
― Well, maybe
there's a god above, but all I've ever learned from love was how to
shoot
somebody who outdrew you. It's not a cry that you hear at night, It's
not
somebody who's seen the light, It's a cold and it's a broken hallelujah…
¹
― Beh, forse c'è un Dio lassù ma tutto
quello che ho imparato dall'amore è come colpire qualcuno
che ha sguainato la
spada prima di te. Non è un pianto quello che senti di
notte, non è qualcuno
che ha visto la luce, è un freddo e un grave Hallelujah.
*Con
il termine TASER si identifica un marchio
depositato dalla TASER International,
Inc. ed è
l'acronimo di Thomas A. Swift's Electronic Rifle, dove Tom Swift
è il
nome del personaggio di un fumetto. Questo termine è usato
per riferirsi a dei
dispositivi classificati come armi da difesa "meno che letali" che
fanno uso dell'elettricità per far contrarre i muscoli del
soggetto colpito. ―
Fonte: Wikipedia.
¹.
Testo
e traduzione sono della canzone Hallelujah,
già menzionata nel
capitolo
precedente.
Edward è
una grandissima testa di c***o! Lo so, lo so. Il conte ha lavorato
molto bene con lui... Sono sicura che la prima cosa che avrete pensate
appena letto tutte le assurdità di Aro sia stata "Che
estronzate!" esattamente come Bella XD beh, lo penso anche io. E' anche
vero, però, che l'amore è molto irrazionale;
rende folli e assolutamente incontrollabili. Quando si è
innamorati non sempre si ragiona con la testa, ma si è molto
istintivi. Edward ha fatto bene i suoi calcoli. L'appuntamento era
andato bene... E adesso la nostra Isabella si ritrova in lcarime e con
il cuore pezzi. *dannati uomini!*
Cosa succederà, adesso? E dov'è la
verità? Chi è stato ferire Edward? Tante risposte
che, in questi ultimi capitoli, troveranno risposta. I nodi stanno man
mano venendo al pettine, ma chi ne uscirà vincitore?
Il prossimo capitolo non arriverà prima della conclusione
privata della storia. Ho deciso, infatti, di riprendere la
pubblicazione una volta finiti gli ultimi capitoli - che sono davvero
pochi, non temete! -, semplicemente perché non voglio
più lasciarvi con la curiosità per troppo tempo.
Questo è stato solo il primo capitolo schock, di questa
lunga conclusione di storia. Per essere aggiornate basta che seguirmi
da qualche parte oltre Efp XD non ho solo Facebook, quindi avete
un'ampia scelta :) se non vi va, è lo stesso! Tranquilli,
tanto vi prometto che in questa settimana mi alzerò le
maniche e concluderò a breve la storia. Sentirete molto
presto riparlare di me e di "Edelstein"! Ora sta a voi dirmi cosa ne
pensate...
Alla prossima! Un bacio a tutti :*
Buon
pomeriggio a tutti! Lo so che pensavate mi fossi data alla macchia, ma
fortunatamente non è così. Purtroppo ho avuto
diversi problemi - salute, impegni lavorativi, casini privati - e non
ho potuto scrivere con regolarità. Vi ribadisco, quindi,
ciò che ho detto nelle recensioni e nel mio gruppo di
Facebook per quanto riguardava la nuova pubblicazione: notando che, a causa di problemi
vari, ci ho messo fin troppo tempo a concludere un capitolo, ho
comunque pensato di postarlo - nonostante avessi detto che prima di
riprendere a pubblicare la storia avrei finito tutti i capitoli. Non mi
andava di farvi stare troppo con l'acqua alla gola,
perciò... Spero di riuscire a concludere a breve la storia,
lasciandovela leggere con tranquillità. Per
adesso, vi lascio al capitolo e buona lettura! .
21.
« Non si
può fermare il tempo, ma per l'amore a
volte il tempo si ferma da solo. » Pearl
S. Buck.
.
Quella
mattina non
avevo alcuna voglia di alzarmi, nonostante le continue riprese di mia
madre,
che provenivano dal corridoio. Non avevo ancora aperto a nessuno.
Odiavo apparire
fragile, a pezzi e con gli occhi rossi, gonfi di lacrime. Odiavo essere
commiserata, ecco. Quindi, perché aprire quella porta e
lasciare che tutto il
mondo, con la loro compassione, mi piombasse addosso? Sospirai
pesantemente,
rimettendomi il piumone colorato fin sopra la testa e precipitai nelle
profondità del mio sonno senza sogni.
Erano le tre del
pomeriggio quando mi svegliai. Non avevo fame. Anzi, a dirla tutta, non
sentivo
più neppure la presenza del mio stomaco. Mi sembri una ragazza intelligente,
dopotutto. Forse è solo la prima volta che ti sei
innamorata…, le parole del conte mi svegliarono
del
tutto. D’altronde, non
c’è niente di più
prevedibile della reazione di una donna innamorata… Non deve
muovere neppure un
dito perché le fanciulle cadano ai suoi piedi.
Come aveva potuto
farlo? Come aveva potuto prendersi gioco di me? Gli avevo confessato il
mio
amore… E lui il suo! Guardandomi perfino negli occhi. Con
quale coraggio aveva
infangato un sentimento così puro e nobile? << Ti amo, Isabella Marie Swan.
>>
Cinque lettere, cinque
parole, una frase.
Una frase che non
era altro che una gigantesca menzogna. Perché gli avevo
creduto? Fin da piccola
ero sempre stata etichettata come la “signorina
diffidente”. Non credevo mai
ciecamente a nessuno, per il semplice fatto che la gente mente. Sempre.
Avevo sempre pensato
che le persone fossero – nella maggior parte dei casi,
ovviamente –
fondamentalmente egoiste; interessate solo ai loro tornaconti. Lo avevo
imparato a Forks, quando le ragazze mi diventavano amiche non tanto per
la mia
bella presenza, ma solo per la posizione rilevante dei miei genitori. << Dimmi se mi hai davvero preso
in
giro. >>
Quella
conversazione mi aveva torturata tutta la notte. << Non è il momento
di parlare di
questo. >>
<< No, Edward! Adesso, ora! Dimmi solo
sì o no! >>
Perché voleva
rimandare? Credeva davvero che, una volta tornati al presente, la mia
reazione
sarebbe stata diversa? << Bella, per favore…
>>
<< Sì o no! >>
Perché avevo
insistito così tanto? Non sarebbe stato meglio continuare a
vivere quel sogno
anche se, appunto, non era altro che qualcosa frutto della mia
immaginazione?
No, io dovevo sapere. Io volevo
sapere. << Sì, dannazione!
Sì! >>
Da quel momento,
non avevo sentito più niente.
Dopotutto, quante
lacerazioni poteva sopportare, un cuore, prima di cessare di battere?
Da quando
ero diventata una gene-portatrice, avevo incassato
un’infinità di coltellate e,
a quanto sembrava, non sarebbe finita molto presto, quella situazione.
Non ero
il tipo di persona che si lasciava schiacciare, comunque. Certo, avevo
bisogno
anche io del mio momento di crisi ma, una volta superato, sarei tornata
in
campo più forte di prima. Quello
che non
ti uccide ti fortifica, dicevano in molti. Ed era proprio
quello che
capitava a me.
Sospirai
pesantemente, trovando la forza di uscire da sotto le coperte. Quanto
tempo
sarebbe passato prima che la mia mente e, soprattutto, il mio cuore, si
sarebbero arresi all’evidenza? Quanto ancora avrei sofferto
per Edward? Si
poteva smettere di amare a comando? Sapevo che la risposta era no, ma
in fondo
al cuore ci speravo. Desideravo alzarmi, l’indomani mattina
ormai, e non
provare più niente per quel mostro
che, senza far neppure troppo, era riuscito a farmi cadere nella sua
ben
congeniata rete di bugie. Ma ci sarei davvero riuscita? Nonostante
Edward mi
avesse mostrato chi era in realtà, sarei mai riuscita a
smettere di amarlo? L’amore
è irrazionale. Più ami qualcuno, più
perdi il senso delle cose. La frase di un libro che avevo
letto più di
dieci volte, riecheggiò nella mia testa, facendomi sentire
completamente nuda;
esposta a quella vera, quanto fastidiosa, verità. Poco
importava che l’oggetto
del tuo amore fosse uno stronzo, un mostro e, perfino, un calcolatore
di bassa
lega, quando amavi quel sentimenti si insinuava in te, fin dentro le
tue ossa.
E per quanto desiderassi abbandonarlo, dimenticarlo o liberartene, solo
il
tempo – forse – avrebbe segnato la sua fine.
Con forza e
coraggio mi alzai definitivamente, afferrai la mia tuta – del
color della
glicine –, e mi fiondai in bagno. Quando mi fermai dinanzi
allo specchio, per
poco non mi venne un infarto. In neanche ventiquattro ore, mi ero
davvero
ridotta in quello stato? Le borse sotto gli occhi, gonfi come due
palline da
ping pong e rossi come quelli di un vampiro affamato, arrivavano quasi
alle
labbra; i capelli, di un insolito colore castano fin troppo scuro,
erano un
groviglio senza inizio né fine; per completare, la pelle era
di un bianco
innaturale. Sembravo malata.
<< Non
esiste, mio caro Edward. >> dissi decisa, con tono duro
<< Non mi
vedrai ridotta un straccio. >>
Chiusi la porta del
bagno e aprii il getto della doccia, dopodiché passai
lì sotto una buona
mezzora.
Stavo
bussando alla
porta dei Weber da dieci minuti. Quando mi vennero ad aprire, restai
ammutolita.
<< Oh, mio
Dio! Bella! Ma cosa ci fai qui? >> urlò il
folletto, buttandomi le
braccia al collo << Angie mi ha detto tutto! Come stai?
Edward è un
idiota! >> continuò, peggio di una macchinetta
rotta, stritolandomi nelle
sue magroline braccia.
<< Alice, non
respiro! >> dissi, con voce strozzata.
<< Oh, scusa…
>> rispose lei, facendomi un sorrisetto buffo.
<< Ma fai
palestra, Alice? No perché hai una stretta che uccide.
>>
<< Palestra, kickboxing
e, ogni tanto, vado a qualche corso di autodifesa! >>
urlò, con voce
squillante << Non fare quella faccia. Prima di mettermi
con Jazz ero una
fanciulla indifesa, dovevo tutelarmi dai maniaci! >>
sorrisi leggermente,
alzando poi gli occhi al cielo.
<< Non mi fai
entrare, Alice? >>
<< Sì, certo,
ma… Cosa ci fai qui? Dico davvero. >>
domandò ancora, spostandosi un po’
di lato per lasciare libero l’accesso.
<< Non
avevamo deciso di incontrarci prima della mia trasmigrazione per sapere
cosa
avevate scoperto? >> domandi confusa. Che ricordassi
male?
<< Sì, ma non
pensavamo saresti venuta… Insomma, Angela ci ha perfino
detto che non ti sei
presentata a scuola, questa mattina. >>
<< Già.
>> mi rabbuiai, non avevo alcuna intenzione di parlare di
Edward <<
Deve solo passare, Alice. Ho avuto il mio momento di sfogo e
autocommiserazione… Adesso vorrei almeno salvarmi la vita,
visto che il mio
cuore è già totalmente a pezzi. >>
<< Mi
dispiace, Bella. Jasper ha parlato con Edward, questa notte, e anche
lui sta
uno schifo… >>
<< Stop!
Alice, non voglio saperne niente. >> risposi duramente
<< Non mi
interessa quanto stia male Edward, lui mi ha usata. Fine della storia.
>>
<< D’accordo,
scusa, hai ragione. >>
E, senza più
proferire parole, raggiungemmo la stanza di Angela.
Come poco prima,
sia lei che Jasper, mi fecero il terzo grado. Si stavano domandando
tutti come
fosse possibile che, dopo tutto quello che era successo tra me e il diamante, fossi in piedi e proprio
lì
davanti a loro. Diedi le stesse motivazioni date ad Alice e, dopo un
abbraccio
da parte di Angie, ci rimettemmo subito tutti a lavoro.
Non vi erano molte
novità, comunque. Jasper aveva cercato dappertutto la pagina
mancante, senza
troppo successo.
<< C’è poco
da dire. >> parlò proprio
quest’ultimo << Il rubino è la
chiave di
tutto e, grazie alla sua magia del corvo, è il principio e
la fine del cerchio
dei dodici – essendo una diretta discendente di Caterina
Petrova. La magia nel
corvo consiste nel creare un punto di incontro tra i morti e i vivi,
credo che
sia per questo che tu, Bella, riesci a vederli e a parlare con loro.
>>
quella rivelazione mi lasciò spiazzata. Da quando Jasper era
a conoscenza di
quella stranezza? Mi
bastò guardare
mezzo secondo Angela per capire chi gliene aveva parlato
<< Credo che la
chiave per evitare che tu muoia sia proprio nella tua morte.
>>
<< Cioè?
Dovrei morire per poi farvi sapere come mi ammazzano? >>
domandai, forse
un po’ troppo tagliente.
<< Certo che
no, idiota! >> mi ammonì Angie, lanciandomi un
cuscino << Jasper
sta solo cercando di dire che il come dovrebbe celarsi nella pagina che
a noi
manca. >>
<< E che
forse un vostro amico fantasma potrebbe aiutarci. >>
spiegò Alice,
guardando fuori dalla finestra.
<< Come? Che
amico fantasma? >> chiesi, non comprendendo le loro
parole.
Il primo fantasma
che mi venne in mente, subito dopo aver fatto la domanda, fu Jacob
Black. In
fin dei conti, era anche il più ovvio. Suo padre, Billy, era
il medico
ufficiale della loggia… Come avevo fatto a non pensarci?
<< James
Gordon-Lennox II. >> rispose Jasper <<
Sarà sicuramente alla soirée
indetta del conte, visto che la
sua famiglia era la più facoltosa in quel periodo. Non
dovrai fare altro che
convincerlo a rubare l’ultima pagina degli scritti del conte
di Saint Germain e
nasconderla. Dopodiché, una volta tornata nel presente, ti
farai dire dal suo
fantasma dov’è stata messa. >>
rimasi a bocca aperta. Diamine, il suo
piano era geniale!
James, però, a quei
tempi, non mi avrebbe riconosciuta. Come avrei fatto a convincerlo?
<< Era lo
scapolo d’oro per eccellenza, Bella. >> rispose
Alice, guardandomi
sorridente << Non dovrai fare altro che dargli qualche attenzione. >>
<< Cosa?!
>> urlai, scioccata e anche un po’ schifata.
Per carità, James era anche
un bellissimo ragazzo ma… << Mi stai dicendo
che dovrei flirtare con lui?
>>
<< Avrai,
come si dice, due piccioni con un fava: Edward marcio di gelosia e noi
le
informazioni che ci interessano. >>
<< Non dovrai
spingerti troppo oltre, comunque. >> mi
rassicurò Jasper << A quei
tempi, anche un sorriso era una prova d’amore. Puoi stare
tranquilla. >>
sbuffai, non piacendomi più troppo, quel piano.
Persa nei miei
pensieri, quasi non percepii la vibrazione del cellulare che proveniva
dai miei
jeans. Mi riscossi in fretta, afferrando il piccolo oggetto nero, e
accettai la
chiamata senza leggere il nome sul display.
<< Bella?
Bella! Sono io, finalmente. >> quella voce mi fece
risprofondare nel
baratro.
<< Cosa vuoi?
>> domandai duramente, con totale indifferenza.
<< Devo
parlarti, per favore. Mr. Saltzman mi ha detto che devi trasmigrare fra
poco e
pensavo di raggiungerti così… >>
<< No,
Edward! Non venire a Temple. Non voglio vederti, non voglio sentirti.
Hai
finito di giocare con me, ok? Hai finito! >> strillai,
riagganciando il
telefono.
La stanza sprofondò
in un innaturale silenzio. Quasi non mi accorsi di Alice che,
lentamente,
raggiunse Jasper o di Angela, che tentò di avvicinarsi a me,
ma poi lasciò
perdere.
Come faceva una
voce a mandarmi così in confusione? A far riprendere a
battere un cuore ormai
morto, distrutto in mille pezzi? La verità era che non
riusciva ad importarmi
ciò che mi aveva fatto, io ero perdutamente innamorata di
Edward.
<< Tutto
bene, tesoro? >> chiese Angela, titubante. Annuii rapida,
cercando di
riprendere un barlume di contegno.
<< Sì, ora
però devo andare alla loggia. >> dissi,
ricacciando indietro le lacrime
<< Per caso sapete quale autobus devo prendere
per…? >>
<< Ma che
sciocchezze stai dicendo, Bella! >> urlò
Jasper, facendomi quasi saltare
per aria << Ti accompagno io mentre loro continuano ad
indagare. >>
<< Torna
presto, eh. >> sussurrò Alice, baciandogli
dolcemente le labbra. Jasper,
dal canto suo, le accarezzò i capelli e le sorrise.
In
macchina, almeno
per i primi minuti, nessuno parlò. Decisi, così,
di aprire il primo argomento
che mi passava per la testa.
<< Così, tu
ed Alice…? >> domandai, lasciando la frase in
sospeso.
<< Sì. Già da
un po’. >> rispose, sorridendo <<
Sai, anche a me è sempre
piaciuta. Ma non sapevo se lei ricambiasse, così me ne sono
sempre stato zitto.
>>
<< Insomma,
due deficienti. >> dissi, senza rendermene conto
<< Oddio, ehm…
>>
<< No, non
scusarti! Hai ragione. Siamo stati davvero due deficienti.
>>
<<
L’importante è capirlo, no? >>
replicai, cercando di dimenticare la mia
gaffe << E com’è successo?
>>
<< A casa
nostra. >> rispose subito, senza imbarazzo
<< Eravamo rimasti da
soli e, tra una cosa e l’altra, siamo finiti per baciarci in
cucina. >>
<< Wow!
>> sussurrai, sperando di risultare interessata, invece
mi sentii molto
stupida.
<< È stato
così naturale… >>
proseguì, fortunatamente evitando il mio
“wow” <<
Era lì, davanti a me, nel suo dolcissimo pigiama
all’ultima moda, ovviamente.
Ci ho messo poco a perdermi nei suoi occhi azzurri, come il cielo
d’estate…
>> Diamine, è
così dolce!
<< E poi è successo. Quel bacio era
così… >>
<< Giusto.
>> mi sentii dire all’improvviso.
<< Bella,
ascoltami, so che non vuoi sentir parlare di mio fratello. Credimi, lo
capisco.
Ma lascialo spiegare, è davvero mortificato. >>
<< Cosa
dovrei farmene delle sue spiegazioni, Jasper? Mi ha mentito, mi ha
usato.
>>
<< Sì, ma…
>>
<< Nessun
“ma”. >> lo azzittii in fretta
<< Comprendo il tuo interesse, è tuo
fratello. Ma stanne fuori, Jasper, dico davvero. >>
Fortunatamente, arrivammo
a Temple proprio in quell’istante.
Senza pensarci
troppo, slacciai la cintura di sicurezza e spalancai la portiera.
<< Grazie del
passaggio, Jazz. >> e, senza aspettare di aver sentito la
sua risposta,
sfrecciai come un fulmine all’interno della grande loggia.
<< Buon
pomeriggio, Isabella. >> mi salutò Esme, una
volta entrata << Come
stai, oggi? >>
<< Molto
bene, grazie, Esme. >> risposi, cercando di stamparmi in
faccia il
migliore tra i sorrisi più falsi, sulla faccia della terra.
Notai una piccola
rughetta formarsi sulla fronte di Esme, probabilmente a recitare facevo
davvero
schifo. Decisi di non badarci, comunque. La salutai con un cenno della
mano e
mi diressi nella sala del drago. Ad aspettarmi, stranamente, vi era
solo Mr.
Saltzman.
<< Buon
pomeriggio, Isabella, è qui per la trasmigrazione?
>> domandò, alzando lo
sguardo dal grande libro – rilegato con una custodia
anticata, di colore verde
marcio – che stava leggendo.
Alaric Saltzman era
indubbiamente un uomo affascinante. Misterioso, certo, e con un
temperamento e
carattere fuori dal comune. Nulla, però, avrebbe potuto
offuscare la sua
bellezza o il suo charme.
<< Sì, Mr.
Saltzman, sono qui per il mio solito salto giornaliero.
>> risposi,
guardandomi intorno << Non c’è Mr.
Dwyer? >>
<< Purtroppo
è fuori città, oggi. >>
spiegò lui, alzandosi dal grande tavolo <<
Spero non ti dispiaccia farti scortare da me, quest’oggi, per
la tua
trasmigrazione. >>
<< Certo che
no. >> risposi, cercando di sorridere.
Avevo una brutta
sensazione, ma non riuscivo a spiegarla. Quando Mr. Saltzman mi
indicò la
porta, tirando fuori la solita benda nera, decisi di accantonare le mie
fantasie. Ci avrei pensato più avanti.
<< Rilassati,
Isabella. Oggi i signori Cullen – eccezion fatta per la bella
Esme – sono
rimasti a casa. Ho sentito dire che il giovane Cullen ti ha tirato un
brutto
tiro mancino. >> avrei voluto non rispondere, ma il
mugugno lo fece per
me << Deduco che tu non sia propensa a parlarne. Lo
capisco, non
preoccuparti. >> e detto quello, nessuno parlò
più per l’intero tragitto.
Arrivammo nella
sala del cronografo in poco tempo, almeno così mi era
sembrato. Mi ero resa
conto di aver svuotato completamente la testa, dalla sera prima.
Cercavo di non
provare niente, di non pensare a niente, di non sentire niente. A volte
ci
riuscivo, altre…
<< Isabella,
il dito. >> parlò Mr. Saltzman, risvegliandomi
dai miei pensieri.
Quella era una di
quelle volte in cui non ci riuscivo.
Come ogni volta, le
lancette del cronografo cominciarono a muoversi velocemente;
l’ago pizzicò il
mio polpastrello, facendo sgorgare una goccia del mio sangue
all’interno
dell’aggetto; tutto, intorno a me, si accese e la stanza
venne inondata da una
luce rossa. Era il bagliore della dodicesima viaggiatrice: il rubino.
Quando arrivai
nell’oscuro sotterraneo, mi resi conto di non sapere nemmeno
in che epoca, Mr.
Saltzman, mi aveva spedita. Oh, beh, poco
male, pensai.
Estrassi dallo
zaino la torca e l’accesi, cercando di orientarmi in quello
sporco scantinato.
Di certo non era il
1889.
In
quell’anno era tutto molto più pulito. Che fossi
andata più indietro? Più
avanti? Non riuscivo proprio a capirlo. Rinunciai, così,
alla mia impresa e
iniziai a fare i compiti per scuola.
<< Isabella!
>> mi sentii chiamare e, per poco, non tirai un urlo non
molto femminile
<< Diamine, ti stiamo cercando da ore! Fortuna che
abbiamo avuto una
soffiata sull’anno in cui sei stata mandata. Ma cosa ci fai
nel 1750? Non è
troppo indietro? >>
<< Forse non
volevano che la trovassimo. >>
<< Emmett,
Rosalie… >> li chiamai un po’
confusa << Cosa ci fate voi qui?
>>
<< Dobbiamo
parlare con te. >> rispose il primo che, stranamente,
nemmeno si reggeva
in piedi.
<< Vogliamo
sapere se Edward è con noi o meno. >>
continuò la seconda, sorreggendo il
suo compagno.
<< Non ho
avuto modo, tempo e voglia di parlare con Edward di questa storia.
>> mi
porsi in modo molto brusco << Comunque, inutile girarci
intorno, lui è
fedele al conte. Non ci aiuterà mai. >>
conclusi, ricordando quello che
aveva fatto a me. Notai, però, grande delusione sui loro
volti.
<< Pensavo di
averlo convinto. >> sussurrò Emmett,
accarezzando il viso di Rosalie.
<< Ci hai
provato, tesoro. >> rispose lei, facendo un sorriso amaro
<< Le abbiamo
provate tutte, adesso. >>
<< Che
significa? >> chiesi loro, alzandomi. Presi
l’unica sedia presente in
quel posto e la offrii all’orso ferito.
<< Grazie…
>> rispose Emmett, sedendosi << Edward non
ti ha detto nulla?
>> scossi il capo.
<< Non ci parliamo.
>>
<< Cos’è
successo? >> domandò Rosalie, mia cugina,
avvicinandosi preoccupata.
<< Nulla. Ho
solo scoperto che Edward Cullen è un fottuto bastardo senza
spina dorsale, un coglione
e un maledetto giocare, calcolatore che… >>
<< Ehi! È mio
nipote che stai offendo! Calmina, bambolina! >> mi
bloccò Emmett, alzando
un sopracciglio.
<< Beh, tuo
nipote è uno squallido calcolatore. E fa tutto
ciò che il conte gli dice di
fare! Nemmeno fosse un robot sotto il suo controllo. >>
<< Mi sembra
strano. >>disse
Emmett, assumendo
un’aria seria << Quando l’ho visto,
alla vostra passata trasmigrazione –
mentre tu eri al colloquio privato con Aro –, ci ho parlato
e… >>
<< Aspetta un
minuto! Vi siete picchiati? Ecco perché tu sei conciato
così e lui… Emmett! Ti
prenderei a calci! >>
<< E questo è
il tuo non interesse, eh cugina? >> domandò
Rosalie, scoppiando a ridere
di gusto.
Sentii le guance
incendiarsi e l’imbarazzo crescere. Dannato
sentimento, ma devi comunque rompere nonostante quello che mi ha fatto?!
<< Comunque
no, Bella. Non sono stato io a picchiarlo, anzi. Sapevamo che sareste
andati
dal conte e volevo provare a raggiungervi, purtroppo, però,
le guardie del
conte mi hanno intercettato e mi hanno aggredito. Stavano per farmi
fuori…
Fortunatamente, Edward passava di là e mi ha salvato la
vita. Questo gli è
costato una ferita superficiale, però. >> non
seppi cosa rispondere.
Perché Edward,
nonostante l’avversione che osteggiava verso i nostri nemici,
si era fatto
infilzare come un tacchino pur di evitare l’uccisione di
Emmett?
<< E cosa vi
siete detti? >>
<< Ho cercato
di spiegargli a grandi linee le mie perplessità, le nostre
perplessità.
>> rispose, afferrando la mano di Rosalie
<< Di primo acchito non
sembrava crederci molto, ma quando gli ho detto che la tua vita era in
pericolo, beh, mi ha ascoltato. >>
<< Dici sul
serio? >> domandai con troppa curiosità e
sorpresa.
<< Gli ho
chiesto se ti amava, Bella. E lui ha risposto di sì.
>>
<< È un bravo
attore. >> risposi fredda, cercando di non scoppiare a
piangere.
<< Non stava
recitando, Bella, te lo assicuro. Nei suoi occhi c’era
serietà e
determinazione. Lui ti ama, Bella, e so per certo che anche tu sei
innamorata
di lui. >>
<< Mi ha
ingannato, Emmett. Non posso perdonarlo per aver mandato il mio cuore
in mille
pezzi. >>
<< D’accordo,
ma dobbiamo scoprire se i documenti che gli abbiamo dato sono ancora
nelle sue
mani. >> si intromise Rosalie, guardando Emmett.
<< Che
documenti? >> chiesi, non riuscendo più a
capirci niente.
<< Una copia
di quelli che ho lasciato a Jasper. >> rispose lui,
gemendo di dolore. La
ferita doveva essersi riaperta.
<< In quei
testi non c’è la parte saliente, Emmett.
>> lo informai, sospirando
amaramente.
<< Come?
>> domandarono all’unisono.
<< Manca
l’ultima profezia. Io, Jasper, Alice e perfino Angela, una
mia amica che è a
conoscenza dell’ intera questione, stiamo provando a cercarla
da quando ci
siamo incontrati la prima volta. Senza risultati, ovviamente.
>>
<< Nemmeno
nel cronografo c’è? >> chiese
Rosalie, ma la domanda mi lasciò perplessa.
<< Che
cronografo? >>
<< Quello
rubato. >> rispose lei << Non posso
spiegarti, anche perché non
saprei come fare e abbiamo solo dieci minuti. Il tempo scorre in modo
diverso
da come lo pensiamo o immaginiamo. Noi, ora, nel nostro nuovo tempo
– il 1912 –
siamo ancora in possesso del cronografo, ma abbiamo scoperto che
più avanti,
quando non ci servirà più, lo nasconderemo nelle
fondamenta di casa Cullen,
sotto la stanza di Jasper. Per te. >> rimasi senza
parole, un’altra volta.
Il cronografo che
tutti stavano cercando era nelle mani dei Cullen e loro, ovviamente,
non lo
sapevamo.
<< Non ho
nascosto nulla lì, principessa. >>
replicò Emmett, rimettendosi in piedi
<< Non so perché quella pagina è
andata persa, ma so che nei fascicoli
che ho dato ad Edward c’è tutto, compresa
l’ultima profezia. >>
<< Come!?
>> quasi urlai, sentendomi spaccata in due. Ero agitata
– perché questo
significava incontrare per forza Edward –, ma anche
sollevata. C’era una
speranza, forse.
<< Edward ha
la chiave di tutto, Bella! >> urlò Emmett,
cominciando a svanire <<
Va’ da lui e sono certo che ti aiuterà! Fidati di
noi, ma soprattutto di lui!
>>
<< Trova il
cronografo, cugina! E vieni con Edward da Lady Gilbert, prima che sia
troppo
tardi! >> e detto quello, svanirono davanti ai miei occhi.
Rimasta sola, non sapevo
cosa pensare. Potevo davvero fidarmi di Edward? Il mio cuore a pezzi
avrebbe
retto un confronto con lui? Non lo sapevo. Ma se c’era anche
solo una lontana
possibilità di salvarmi dal conte, dovevo provare.
Sono un po' di
fretta, quindi non riesco a commentarvi bene il capitolo XD l'unica
cosa che mi sento, comunque, di dirvi è: che gran casino!
Ora è tutto nelle mani di Edward, ma lui cosa
farà? Vi anticipo che nel prossimo capitolo si
terrà la moltissima sentita nominare soirée. Cosa
succederà? Spero di postare il capitolo il più
presto possibile :(
Un bacione a tutti! :*
'Sera
a tutti! No, non sono una visione, sono davvero io! Come ho
già detto nelle risposte alle recensioni, non mi sono data
alla macchia e non ho preso il "periodo sabatico" senza aver prima
finito la storia; ho avuto parecchi rallentamenti, e di questo mi
dispiaccio molto. Per le domande che ho letto qua e là nelle
vostre recensioni - ma anche per mp su Facebook e quant'altro, qui su
Efp - e per sapere quando verrà pubblicato il prossimo
capitolo vi invito a leggere le note
autore a fine
capitolo.
Detto questo, non mi perdo a tergiversare e vi lascio alla lettura! :)
.
22.
« Il
cerchio di sangue giunge a conclusione,
la pietra è dell'eterno realizzazione.
La veste della gioventù si accresce di nuova energia,
che dà potere immortale a colui che porta la magia.
Ma, attenzione, quando la dodicesima stella sorgerà
il destino di quanto è terreno si compirà.
La gioventù si scioglie, la quercia è condannata
a decomporsi in quest'epoca buia e odiata.
Soltanto quando impallidisce la dodicesima stella,
l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta più
bella.
Sappi dunque, una stella si consuma per amore,
se sceglie liberamente di struggersi il cuore. » Dagli scritti segreti del
conte di Saint Germain.
.
Quando
feci il
salto di ritorno, quasi non percepii la superficie sotto i miei piedi.
Tutte
quelle novità mi aveva lasciata senza parole e senza
pensieri. Sentivo la mente
svuotata, così come lo stomaco e il cuore. Possibile che la
mia rovina era
diventata anche la mia unica fonte di salvezza? Edward aveva
già letto i
documenti che Emmett gli aveva consegnato? Se la risposta a quella
domanda era
sì, cosa avrebbe fatto adesso? Sarebbe andato dal conte? Ci
avrebbe traditi?
Avrebbe davvero lasciato che la profezia si compiesse e che io,
nonostante
tutte le bugie che mi aveva rifilato, morissi? Sapevo di importagli
poco –
nonostante Emmett fosse convinto che Edward mi amasse –, ma
era così minimo il
suo interesse per me?
Quando Mr. Saltzman
mi sbendò, la luce tenue dei corridoi mi
abbagliò, costringendomi a richiudere
gli occhi.
<< È
fastidioso, vero? >> domandò l’uomo
accanto a me << Mi dispiace per
questa incresciosa situazione, Isabella, ma dobbiamo essere sicuri
della sua
totale devozione. >>
<< Quando ho
parlato con il conte, mi ha detto che avrebbe dato ordine che la benda
mi
venisse tolta. Lui, a quanto pare, si fida di me. >> Certo, perché gli servo per concludere
il suo maledetto cerchio,
pensai soltanto. Vidi l’espressione di Mr. Saltzman cambiare.
<< Già, è
vero. Quando avremmo l’ordine non verrà
più bendata, Isabella. Ora vada a casa,
è tardi. La macchina l’attende. >> e
detto quello, mi fece un leggero
inchino e tornò nella sala del drago.
Lo guardai
scomparire dietro a quell’enorme porta che, ormai, era
diventata famigliare;
tutta Temple, in fondo, lo era diventata. Mi sembrava passata
un’eternità da
quando avevo messo piede in questa sorta di tempio per fanatici per la
prima
volta. Erano davvero successe molte cose da allora, troppe forse;
troppe cose
per una persona sola.
<< Bella.
>> quella voce mi fece schizzare sull’attenti.
La rabbia che
provavo per lui si volatilizzò in un nano secondo.
Com’era possibile che solo
la sua presenza riusciva a scacciare via le urla del mio dolore?
Perché la sua
voce fungeva come balsamo lenitivo a tutte le mie ferite? Quelle ferite
che,
quasi mi ero dimenticata, aveva aperto proprio lui.
<< Ti avevo
detto di non venire qui, Edward. >> parlai freddamente,
afferrando la
giacca per poi sfrecciare fuori dall’edificio.
<< Aspetta,
per favore! Devo parlarti… >>
<< Devi
parlarmi! Ridicolo. >> sussurrai, bloccandomi
improvvisamente <<
Forse avresti dovuto pensarci prima, non credi? Dimmi una cosa, Edward,
sei un
uomo o un burattino? Ma fai tutto quello che il conte ti dice di fare?
Se ti
avesse detto che per plagiarmi avresti dovuto gettarti da un ponte, lo
avresti
fatto? >>
<< Ho
sbagliato, Bella, lo so. Ma ti prego… >>
<< I santi si
pregano, Edward! Con me puoi perfino supplicare, ma non otterrai
niente! È
finita, Edward, anche perché non è mai iniziata!
>> urlai, voltandomi per
raggiungere l’auto che, come di consueto, la loggia metteva a
disposizione per
riaccompagnarmi a casa.
<< Mi
dispiace! >> strillò improvvisamente, un
attimo prima che un tuono squarciasse
il cielo di Londra. Di lì a poco sarebbe scoppiato un
temporale.
Non mi mossi,
comunque. Non mi voltai nemmeno. Sentivo i passi di Edward che,
lentamente, si
avvicinavano.
<< Mi
dispiace, Bella, e tu hai tutto il diritto di considerarmi uno
stronzo…
>> mi voltai, senza interromperlo << Ok,
forse “stronzo” è troppo
poco. Non dovevo mentirti, avrei dovuto fidarmi di te come tu facevi
con me. Ti
ho trattata uno schifo, eppure quando avevo bisogno tu c’eri.
Ti ho ingannata e
di questo ti giuro, te lo giuro davvero, mi dispiace da morire.
>> rimasi
a fissarlo per minuti interminabili.
I suoi occhi verdi
erano due pozzi di smeraldo liquido; trapelavano di
sincerità, però. Lui era
davanti a me, senza scudi e senza maschere, ed era sincero. Forse, come
non lo
era mai stato fino a quel momento. Ti sta chiedendo scusa, idiota! Lui ti ama,
fai qualcosa!, la mia
vocina interiore poteva anche risultare fastidiosa ma, molto spesso,
ragionava
più di me.
<< Edward, io
non so cosa dire… >> sussurrai, facendo un
passo verso di lui.
Un lampo, seguito
da un gran boato, fece risplendere il cielo sopra di lui. Osservai una
goccia
d’acqua posarsi sui suoi capelli color del bronzo e
un’altra sulla sua guancia,
lentamente… E poi, improvvisamente, la pioggia
cominciò a cadere imperterrita
sopra di noi.
<< Non dire
niente, allora. >> riprese lui, fregandosene dei vestiti
che, poco a
poco, si impregnavano d’acqua piovana << Dimmi
che capisci e che mi
perdoni. Ti prego, Bella, ho bisogno di sapere che ti fidi ancora di
me.
>> concluse, imprigionando una mia mano nelle sue.
Il cuore cominciò a
battere furioso nel petto; la voragine che il suo tradimento aveva
scavato si
era chiusa, il mio cuore si era ricostruito. Edward era pentito,
davvero, ed io
non desideravo altro che stare con lui.
<< Mi fido,
Edward. >> ammisi, avvicinandomi ancora di più
<< Forse è sciocco
da parte mia, ma vedo sincerità nei tuoi occhi. Io ti amo e
mi fido. >>
quando tentai di baciarlo, però, cambiò tutto.
<< Aspetta,
Bella. >> replicò Edward, quasi spaventato dal
mio gesto << Non è
come pensi, forse… forse mi sono spiegato male.
>> lo guardai confusa,
non capendo cosa volesse dire << Il conte mi ha chiesto
di imbrogliarti e
l’ho fatto. Ma ho mentito, Bella. Io ti rispetto e provo
qualcosa per te, ma non
è amore… È rispetto e stima,
è amicizia. Vuoi essere
mia amica,
Isabella Swan? >> a quella richiesta impallidii.
Indietreggiai non
sentendo più le gambe. La pioggia non aveva bagnato solo i
miei abiti, ma era
penetrata fin dentro le ossa, lasciando solo un profondo gelo. Il cuore
si
frantumò nuovamente nel mio petto e la voragine
tornò prepotente al suo posto.
<< Bella…
>>
<< Zitto!
>> urlai, sentendo la mia voce distorta <<
Sta’ zitto. >>
<< Perché…
perché stai piangendo, adesso? >> alzai di
scatto la testa e mi toccai la
guancia.
Aveva ragione,
stavo piangendo. Sei ridicola, Bella.
Assolutamente stupida e patetica!
<< Lasciami
stare, Edward. >>
<< Aspetta,
io… >>
<< Non
aspetto niente! >> urlai, aprendo la portiera
dell’automobile << Volevi
il mio perdono, Edward? Bene, ce l’hai. Ma è
l’ultima cosa che avrai da me.
>> e, senza aspettare la sua risposta, salii sulla
vettura, pregando il
conducente di portarmi dritta a casa.
* * *
I
giorni erano
trascorsi lenti, monotoni e incolore. Non provavo niente. Nemmeno i
continui
rimproveri di Mr. Salvatore e Tanya riuscivano a scalfire la mia
corazza.
“Attenzione al
mento! Cura il portamento. Devi partire con la destra, Isabella, non la
sinistra! Sacrebleu, è
un caso
perso!”.
Avevo spento tutto.
D’altronde, se non sentivi niente, nulla avrebbe potuto farti
male.
<< Ahia!
>> urlai, dimenticando gli aghi medici.
<< Scusi,
Isabella, ma questo genere di vaccino è un po’
doloroso. >> rispose il
dottor Black che, stranamente, aveva abbassato la guardia con me.
<< Se deve
essere fatto… >>
<< È una
precauzione. >> rispose lui, estraendo l’ago
dal mio braccio << Non
credo prenderete qualche malattia in una sola soirée,
ma come si suol dire “prevenire è meglio che
curare”.
>> il suo ragionamento non faceva una piega.
<< Ora dovrei
andare da Alice per le misure dell’abito. >>
dissi alzandomi, ma sentii
le gambe tremarmi e riprecipitai sulla sedia.
<< Tutto
bene, Isabella? >> domandò il dottore, mentre
– nello stesso istante – il
piccolo Jake mi chiese: << Ti senti male?
>>.
<< Tutto
apposto, dottor Black. >> risposi, notando che la stanza
stava tornando
in asse << Forse è il vaccino, ha detto che
è forte. >>
<< Ma non
così forte, Isabella. Che sia debilitata, per caso? Ma, con
tutto il rispetto,
mangia e dorme a sufficienza? >>
Quella domanda mi
lasciò spaesata per diversi minuti.
Da quanto tempo non
dormivo bene? E, forse cosa più importante, da quanto non
mangiavo
decentemente? Erano giorni, o almeno così credevo.
<< Ho qualche
difficoltà a prendere sonno, in effetti. >>
ammisi, sospirando << E
il cibo mi da la nausea; mangio poco, solo per accontentare i miei
genitori.
>>
<< Non è un
bene, Isabella. >> rispose il dottore, avvicinandosi ad
un mobile fatto
interamente di la lastre di vetro << Le darò
degli integratori e per
piacere, per piacere, li prenda. Due compresse al giorno: una la
mattina, dopo
la colazione, una la sera, dopo cena. >> storsi il naso.
Non mi era mai
piaciuto prendere quel genere di “cose”.
<< Non so se…
>>
<< Isabella!
>>
<< D’accordo,
d’accordo! >> dissi alzandomi e afferrai il
flaconcino bianco <<
Prenderò questi integratori. La ringrazio, dottor Black.
>>
<< Ora vada da
Miss Brandon. È tardi, la starà aspettando.
>> non me lo feci ripetere
due volte.
Mi avviai alla
porta, sorridendo al piccolo Jake che, con sguardo preoccupato, mi
salutava con
la sua piccola mano.
<< Non ti
preoccupare, Jake. >> sussurrai, aprendo la porta
<< Sono solo
questioni da grandi, sto bene. >> di tutta risposta, il
bambino fece un
sorrisone a trentadue denti e annuì con convinzione.
Quando arrivai
davanti alla porta della sartoria, notai che essa era aperta.
Sapevo che
sbirciare od origliare erano gesti poco carini da fare, ma la
curiosità era
donna – almeno, così si diceva – ed io
ero curiosa per natura.
Quando vidi chi vi
era all’interno, però, tutta
l’adrenalina accumulata in quei pochi secondi
scemò. Cominciavo a sentirmi una voyeurista…
Non avendo più una vita sentimentale – se mai
l’avessi davvero avuta, poi –
adesso, mi mettevo a guardare le coppie che si baciavano? E che
bacio… Alice
era stesa sul tavolo del cucito; intanto, le mani esperte di Jasper,
vagavano
sul suo corpo – sotto i vestiti! – mentre le sue
labbra e la sua lingua,
realizzavano giochi che non si vedevano di certo tutti i giorni.
I gemiti di Alice,
uniti ai sospiri di Jasper, riempivano la stanza; le sue gambe, avvolte
al
bacino del ragazzo, lo spingevano sempre di più verso di lei
– non che lui
avesse bisogno di aiuto. Isabella Marie Swan!,
urlò il mio buon senso. Cosa stai
facendo? Smettila di guardare, è
inconcepibile!
<< Potevano
anche chiudersi dentro, eh. >> sussurrai, rendendomi
conto solo dopo di
star parlando da sola.
<< Oltre che
guardona, cosa che non ti fa di certo onore, parli anche da sola. Non
ti ha mai
detto nessuno che il sentire voci e il colloquiare tra sé
come se vi fossero
più persone è sintomo di duplice
personalità, problema che porta al ricovero
presso il manicomio più vicino? >>
<< Ah!
>> urlai, spalancando la porta della sartoria.
<< Bella!
>> urlò a sua volta Alice, spingendo via
Jasper che, nel disordine venuto
a crearsi, stava tentando di tirare su la cerniera dei jeans.
<< Edward!
>> lo rimproverò il fratello, comprendo Alice
che, nel frattempo, si
stava riabbottonando la camicetta.
<< Non
guardate me. >> disse Edward, alzando le mani
<< Non ero io che vi stavo
studiando come in una lezione di Educazione sessuale. >>
a quelle parole
avvampai in modo vergognoso.
<< C…che… No!
Non è vero, i…io stavo entrando, cioè
non nel senso, nel modo… >> Che
qualcuno mi fulmini, adesso!, urlai
mentalmente.
<< Respira,
Bella, non è successo niente. >> disse Alice,
avvicinandosi a me <<
Colpa nostra, pensavamo di aver chiuso a chiave. >>
<< Non per
essere il solito guastafeste, ma non credete che questo sia il posto
meno
consono per fare certe… ehm
“attività”? >> chiese
Edward, che era la
tranquillità fatta a persona.
Dopo un momento di
imbarazzo e di domande – con annesse risposte –
totalmente idiote, tornammo a
concentrarci sul vero motivo della visita: la prova abiti.
<< Credo di
avervi dato lo stesso orario, scusate. >> disse Alice,
visibilmente
dispiaciuta << Ho la testa altrove, recentemente.
>>
<< Non chiedo
dove… >> commentò Edward, facendomi
fare una smorfia.
<< D’accordo,
io vado via. >> si intromise Jasper, dando un delicato
bacio sulla tempia
di Alice << Ti aspetto a casa. Ciao, ragazzi!
>> detto quello, si
volatilizzò.
Solo allora mi resi
conto degli occhi di Edward puntati su di me. Senza volerlo, profondai
nel suo
sguardo cristallino e il cuore cominciò a battermi furioso
nel petto. Sembrava
dispiaciuto… Nonostante provasse a fare lo sbruffone,
c’era qualcos’altro.
Qualcosa che si celava dietro la sua falsa calma.
<< Cosa vuoi?
>> domandai, cercando di non perdermi in
quell’abisso << Cos’hai da
guardare? >>
<< Non posso
guardarti? >> domandò, alzando un sopracciglio.
<< No.
>> risposi gelida, levandogli il suo solito sorrisetto
dalla faccia.
<< D’accordo,
ragazzi… >> disse Alice, prendendo il metro
<< Edward, perché non
vai a prenderti un caffè? Inizio da Bella, così
può tornarsene a casa e
riposare. Domani sarà una giornata difficile per lei.
>>
Senza proferire
parola, il ragazzo dagli occhi verdi, lasciò la stanza; non
si voltò indietro
nemmeno un secondo.
Quando chiuse la
porta, sprofondai nella poltrona color crema e chiusi gli occhi.
Ero stanca.
Stanca di non
dormire; di non mangiare più come dovevo.
Stanca di queste
tensioni; di questo stress.
Stanca di una vita
che non mi ero scelta, ma che mi era stata imposta.
Stanca.
Semplicemente, stanca di tutto quanto.
<< Bella,
tutto bene? >>
<< Sì.
>> risposi meccanicamente.
Sapevo quanto Alice
fosse diversa dalla gente, ma ero anche pienamente cosciente che le
persone non
si aspettavano mai una tua risposta reale e sincera. Nella nostra
società, alla
domanda “Come stai?” tutti volevano come responso
la parola “Bene”, a
prescindere che essa fosse la verità o meno.
Avevo imparato,
perciò, a rispondere automaticamente a quella domanda, per
diverse ragione: non
far preoccupare i miei genitori, non essere di peso ai miei amici, non
far
torto a chi chiede solo per educazione.
Quando incrociai
gli occhi azzurri del folletto, però, mi ricordai chi avevo
davanti. Presi un
profondo respiro e mi misi a sedere più composta.
<< Va bene,
Alice. >> ammisi infine << Devo solo farci
l’abitudine, ma va bene…
Piuttosto, avete cercato in camera di Jasper? >>
<< Sì, ma non
abbiamo trovato niente. >> rispose Alice, afflitta
<< Abbiamo
scoperto, però, che la planimetria della villa è
cambiata. Quindici anni fa,
infatti, Carlisle fece buttare giù diversi muri, per rifare
tutto il piano
superiore. Se Rosalie ed Emmett hanno nascosto il cronografo prima di
allora, è
possibile che sia altrove adesso. >>
<< Quel era
la stanza di Jasper, prima della ristrutturazione? >>
domandai, sperando di
riuscire a trovare il cronografo nel minor tempo possibile.
<< Ci stiamo
lavorando. L’unico che potrebbe saperlo è Edward,
ma… >>
<< Chiederlo
a lui, ora come ora, è un azzardo. >> conclusi
io al suo posto.
<< Lo
troveremo, Bella. E troveremo anche i documenti che gli hanno dato Rose
ed
Emmett. A meno che tu non abbia cambiato idea e…
>>
<< No, Alice.
>> affermai decisa << Non possiamo fidarci
di Edward. Mi ha
ingannata, usata… Solo perché il conte gli aveva
detto che così avrebbe avuto
il controllo del rubino. Chiedere a lui sarebbe una condanna a morte,
per me. Non
deve sospettare che noi sappiamo; che io
so. >>
<< Come
preferisci. >> disse, prima di sollevarsi
<< Ora alza il culo da
quella poltrona, Miss! Devi provare l’abito! La soirée è domani e
tu dovrai essere impeccabile. >> concluse,
facendomi un occhiolino.
Scoppiai a ridere,
ma la seguii nel separé.
Quel
folletto, dopotutto, riusciva sempre a strapparmi un sorriso.
* * *
L’atmosfera
che si percepiva
in macchina era soffocante.
Nonostante la
limousine fosse spaziosa e ricca di confort, l’aria al suo
interno era pesante,
rendendo il tutto molto scomodo. Come se non bastasse, poi, il mio
abito stava
cominciando a darmi suoi nervi.
<< Tutto
bene, Isabella? >> domandò Mr. Dwyer,
sorridendomi mesto.
<< Stia
dritta, Milady! >>
urlò Mr.
Salvatore, impedendomi di rispondere << Spero vada tutto
bene, questa
sera. >>
<< Andrà
bene, ma lei non aiuta di certo la signorina a rilassarsi.
>> disse il
dottor Black, facendo sbuffare l’orco
e sghignazzare Edward che, sfortunatamente, sedeva proprio davanti a me.
<< E tu cos’hai
da ridere? >> domandai, incrociando le braccia sotto al
seno.
Il corpetto stava
diventando davvero fastidioso ed io dovevo trattenermi dal compiere
gesti poco
consoni. Perché sono donna?
Dannazione!
<< Non posso
ridere, Gwenny? >>
domandò
sfacciato, riuscendo a ridicolizzare anche il mio falso nome.
<< Gwendolyn!
>> quasi ringhiai << Gwendolyn de Villiers,
prego. >>
<< I tuoi
nomi sono sempre molto buffi. >> commentò,
ridendo di nuovo.
<< Ah, i
miei? >> domandai, sporgendomi un po’ verso di
lui << Passi per
Edward, ma Gideon! Che razza di
nome
sarebbe Gideon de Villiers? >>
Non rispose. Alzò
un sopracciglio e tornò a guardare fuori, impettito. Uno a zero per Bella, stronzo.
Continuai a
fissarlo con la coda dell’occhio, conscia che non potesse
vedermi e che, da
brava deficiente, avrei dovuto evitare. La sua bellezza non solo era un
dolore
per gli occhi ma, dopo tutto quello che avevamo passato, era un dolore
lacerante anche per il mio cuore.
Indossava una
giacca di colore blu scuro; i capelli, tirati indietro, erano
predisposti per
la parrucca che, a quei tempi, era obbligatoria. I calzoni neri,
abbinati agli
stivali da sera, eleganti, mettevano in risalto la camicia azzurra che,
quasi
sfacciata come il suo padrone, lasciava uscire i pizzi sui polsi e
intorno al
colletto.
Alice aveva pensato
a tutto. Il mio vestito, infatti, era abbinato a quello di Edward.
L’abito era azzurro
pastello, composto da un corpetto aderente, terminante a punta, e una
doppia
gonna esageratamente larga sui fianchi, sostenuta dal panier.
Le maniche, al gomito, terminavano in una cascata di pizzi blu
di diverse lunghezze.
L’ansia cominciava
a farsi sentire, anche troppo, forse; il silenzio del grande abitacolo,
poi, mi
rendeva cento volte più nervosa.
Cosa sarebbe
successo alla soirée? Il
conte
avrebbe fatto qualcosa? Ed io, ero pronta per quell’evento o
aveva ragione Mr.
Salvatore nel dire che ero fuori posto?
Quando l’auto si
fermò, davanti alla Saint Lennox High School, capii che era
davvero arrivato il
momento di entrare in scena.
La soirée, in onore di
Lord Masen, infatti,
si sarebbe tenuta alla residenza Gordon-Lennox: attuale istituto
privato
superiore di Londra e, nel Settecento, casa della famiglia di James.
<< Andiamo,
Isabella. >> mi incitò Mr. Dwyer, porgendomi
la mano e tenendo la
portiera aperta. Accettai il gesto, lieta di non dover litigare
completamente
da sola con quell’ingombrante gonna.
<< E così ci
siamo. >> parlò Edward, più a se
stesso che a me, fissando il grande e
antico edificio bianco, che si ergeva possente dinanzi ai nostri occhi.
<<
Procediamo. >> disse Mr. Saltzman, affiancato dal dottor
Black e figlio –
che nessuno poteva venere, eccetto me. Mr. Salvatore ci seguiva mesto.
Varcammo la soglia
in silenzio, avanzando per i lunghi corridoio della mia scuola, in
cerca del
posto giusto per impostare il cronografo.
Non sapevo perché,
ma un leggero vento gelido mi ghiacciò il sangue nelle vene,
come a
preannunciarmi che la resa dei conti era vicina. Forse, anche troppo.
Ciao a chi
è arrivato fin qui XD a chi ha letto il capitolo ma a chi,
soprattutto, non ha perso la speranza e la voglia di seguire questa
storia nonostante i miei innumerevoli ritardi! Come ho già
detto sul mio gruppo di Facebook - per chi non ne facesse parte -
questo capitolo doveva essere più lungo; nettamente
più lungo. A causa di problemi vari (lavoro vero, lavoro di
grafica - in quanto sto gestendo una pagina di grafica, sempre su
Facebook - e problemi personali) non riuscivo a finirlo. Ho deciso,
quindi, di spezzarlo, visto che la seconda metà non era
nemmeno a metà - scusate il gioco di parole. Rileggendolo e
facendolo leggere in anteprima alla mia fantastica socia e migliore
amica, il capitolo c'è parso buono, completo ed essenziale
anche così. Per non farvi attendere troppo, allora, ho
deciso di spezzarlo e allungare di qualche capitolo la storia (cosa
che, molto probabilmente, farà piacere a qualcuno).
Passando alle domande che mi avete posto in giro, quindi: avevo detto
che alla storia mancavano solo due capitoli, beh... penso proprio che
ne mancherà qualcuno in più, quattro a questo
punto; "Edward ha la pagina mancante, l'ultima profezia; Bella dovrebbe
fare meno la cocciuta!", vorrei ricordare che qui il "cattivo"
è Edward XD certo, Bella, forse, dovrebbe affrontarlo a
brutto muso, ma più che testarda lei è ferita...
Insomma, lui l'ha presa in giro (credo, comunque, che in questo
capitolo alcune cose si siano chiarite già!); per quanto
riguarda, invece, il perché negli scritti che ha Bella non
c'è la profezia che, invece, è nelle mani di
Edward... Beh, a questo non posso rispondere! Lo scoprirete,
però... E spero anche molto presto! :)
Non so quando pubblicherò il nuovo capitolo, che
narrerà della tanto attesa soirée, ma spero
davvero presto, gente. Già da stasera mi metterò
a scriverlo e spero di potervelo "consegnare" Mercoledì
prossimo. Entro Dicembre vorrei davvero concludere questa storia che,
nonostante sia molto seguita e accolta stupendamente, in effetti - tra
ritardi e problemi - si sta trascinando un po' troppo! Rinnovo i miei
ringraziamenti a tutti, allora. A presto!
Un bacione a tutti! :*
Buon
pomeriggio, ma soprattutto BUON ANNO A TUTTI!
Ebbene sì, non sono un miraggio XD sono proprio io e con me
porto il nuovo capitolo di questa storia! Prima di lasciarvi alla
lettura, volevo davvero ringraziarvi tutti. Nonostante i miei ritardi
di pubblicazione - di cui mi scuso, ma gli impegni sono troppi per star
dietro a tutto! - sento il vostro sostegno e di questo vi dico grazie!
Detto ciò, mi eclisso :P e buona lettura! Ci sentiamo a
fondo pagina :) .
23.
«
Più volte muoiono i vili prima di morir veramente,
il forte la morte conosce una sola volta.
Di tutti i prodigi che ho udito raccontare il più strano mi
sembra
che gli uomini abbiano paura dato che la morte,
necessaria fine, verrà quando verrà. » William Shakespeare,
Giulio Cesare, atto II, scena 2. .
Quando
arrivammo
dinanzi all’aula di Biologia, Mr. Dywer ci fece cenno di
entrare. Era lì che
avremmo compiuto il salto, a quanto sembrava.
Non avevo mai visto
la scuola così vuota e silenziosa…
Quell’atmosfera era davvero lugubre; la mia
sensazione, inoltre, non mi aveva abbandonata un attimo. A dire la
verità, essa
cresceva ogni secondo di più in cui il cronografo veniva
montato e adagiato
sulla cattedra. Se fossi dovuta andare al patibolo, molto
probabilmente, sarei
stata più serena.
<< Questa
stanza è un collegamento diretto allo studio del signor
Gordon. >> spiegò
Mr. Saltzman << Durante la soirée,
infatti, è vietato accedere alle stanze della casa.
Ricordatevi, dunque, dove
sarà ubicata e cercate di non sparire chissà
dove. L’istituto è stato
rivisitato, dopo l’incendio che ne distrusse la
proprietà, perciò è possibile
che alcune stanze non esistano più, oggi. >>
<< Va bene.
>> rispondemmo in coro, io ed Edward.
Voltai il viso
verso di lui, a destra, e lo vidi sorridermi sprezzante. Di tutta
risposta,
alzai il mento e gli voltai la faccia. Non riuscivo proprio a capire il
suo
comportamento! Un malato di mente, molto probabilmente, sarebbe stato
meno
bipolare.
<< Ancora
qualche minuto e il cronografo sarà pronto a partire.
>> ci informò Mr.
Dywer, col solito tono paterno.
Non riuscivo a
stare ferma un minuto, nonostante l’ingombrante abito celeste
riducesse di
molto i miei movimenti. Se solitamente ero goffa, in quel preciso
momento, ero
goffa al cubo.
<< E tu chi
sei? >> sentii domandare al piccolo Jake.
<< Chi sono, io?
>> rispose il suo austero
interlocutore << Ragazzino, siete in casa mia. Come osate
voi porre domande a me?
>>
<< Ma come
parla questo? >> chiese Jake, rivolgendosi a me.
Non potei fare a
meno di ridere. La sua innocenza mi disarmava. Jacob Black,
quell’adorabile
bambino a cui era stata strappata la vita troppo presto, mi guardava
goffamente; gli occhioni neri spalancati, il nasino arricciato, le
labbra
semiaperte per lasciare al dito indice la possibilità di
toccarsi i denti.
<< È un po’
vecchio, Jake. >> sussurrai tra le risate, sperando che
nessuno mi
sentisse.
<< Isabella,
ma sta bene? >> chiese sbigottito il dottor Black.
<< No, dottor
Black, Isabella è un po’…
>> rispose Edward, portando il dito verso le
tempie, facendo poi movimenti circolari << Mi ha capito,
no? >>
Alzai un
sopracciglio, smettendo di ridere. Mi aveva dato dalla pazza?
Con un’eleganza degna
di una dama posata, mi avvicinai al lui, gli sorrisi e, con un colpo
netto, gli
pestai il piede sinistro. Edward, attirando su di sé gli
occhi di tutti,
cominciò a saltellare per la stanza, urlando come uno
squilibrato.
<< Edward,
Dio mio, si dia un tono! >> lo rimproverò Mr.
Saltzman, scuotendo la
testa.
<< Come?
Cosa? >>
<< Ha
ragione, Edward, datti un tono. >> lo sbeffeggiai
<< Sembri un
tacchino. >>
<< Per tutti
gli Dei, Miss! >> urlò James, facendomi
sobbalzare << Quando vi ho
vista vestita così ho pensato che foste graziosa, veramente
una visione
splendida. Stavo dubitando perfino di voi, sapete? Ma ora, sentendovi
parlare,
siete proprio Miss Isabella! >> drizzò le
spalle e si voltò, uscendo in
corridoio << Che pessima educazione. Pessima, pessima!
>> non lo
vedevo, ma immaginavo che stesse scuotendo il capo.
<< È proprio
antipatico! >> disse deciso Jake, facendogli la
linguaccia.
<< Ragazzi,
siamo pronti. >> affermò Mr. Dywer,
chiedendoci di avvicinarci al
cronografo.
Come da routine, io
ed Edward, ci avvicinammo a quella macchina tanto potente quanto
misteriosa. Il
mio compagno di viaggio, inserì il dito indice
all’interno della piccola
fessura ellittica e, nel giro di pochi secondi, una luce abbagliante
bianca
inondò l’intera aula. Quando il bagliore si
spense, e potemmo riaprire gli
occhi, il ragazzo non c’era più.
<<
Prodigioso. >> sussurrò Mr. Saltzman, come
ipnotizzato da quella magia.
<< Isabella,
tocca a lei. >> mi ricordò Mr. Dywer,
allungando la sua mano verso di me.
L’afferrai,
replicando i gesti che aveva fatto Edward, qualche istante prima.
Quando gli
ingranaggi del cronografo si misero in moto e la luce del rubino
riempì
completamente la stanza, percepii il famigliare fastidio allo stomaco.
Dopodiché, una forza mi portò via il pavimento da
sotto i piedi e scomparsi
anche io.
<< Attenta a
dove metti i piedi, Gwenny.
>>
sussurrò Edward, essendogli finita quasi completamente in
braccio.
Lo scansai con
forza, sentendo il mio cuore battere all’impazzata.
<< E
sentiamo, chi ti ha detto di impalarti proprio dove sarei atterrata io,
Gideon? >>
<< Atterrata?
>> chiese con un barlume divertito negli occhi
<< In effetti,
quell’abito ricorda un po’ un paracadute per quanto
è gonfio. >>
<< Ma come
osi? >> domandai stizzita.
<< Ora basta
con queste sciocchezze. >> parlò serio, forse
troppo << Ricordati:
mento alto, portamento e modi. Si va in scena! Sei pronta?
>> chiese
infine, porgendomi il braccio.
<< Quando
vuoi. >> risposi risoluta, cercando di mettere in atto
tutti gli
insegnamenti di Mr. Salvatore, e afferrai il suo braccio.
Gideon de Villiers
e la sua consorte, Gwendolyn – da poche settimane, Gwendolyn
de Villiers, sua
moglie – erano pronti ad entrare in scena.
Solo quando le
porte del grande salone si aprirono per accoglierci, mi resi conto di
cosa
fosse realmente una soirée.
<< Accidenti.
>> sussurrai, a corto di fiato.
<< Io
eliminerei questo vocabolo dal tuo parlato per le prossime tre ore e
cinquantotto minuti. >> ribatté Edward,
fingendo un sorriso.
<< Sei sicuro
di essere inglese? Perché mi sembri più svizzero.
>>
<< Adesso
piantala, Isabella. >> quasi ringhiò,
digrignando i denti.
Sbuffai, di tutta
risposta, ma preferii troncare subito quella discussione. Gli occhi di
tutti i
presenti erano puntati su di noi; ci stavano aspettando.
La mia attenzione,
però – nonostante l’agitazione, in
quanto avevo sempre odiato essere al centro
dell’attenzione –, si concentrò sul
salone: era regale. Ancorati al soffitto,
c’erano tre lampadari in cristallo; uno era grande, al centro
esatto, gli altri
due più piccoli e decentrati di parecchio.
L’atmosfera, resa sobria ed elegante
dalle piccole candele e dai vasi pieni di fiori bianchi che
circondavano la
stanza, era magica; in fondo, poi, l’orchestra suonava musica
lenta.
<< Chiudi la
bocca. >> sussurrò Edward, trascinandomi
affinché camminassi <<
Sembra che tu non sia mai stata ad una soirée
in vita tua. >>
<< Beh, in
effetti… >>
<< Devi
fingere! Non sei Isabella in questo momento, ma la mia novella sposa.
Questi
tipi di ricevimenti sono il tuo cibo quotidiano, mi hai capito?
>> annuii
senza emettere un suono. L’inizio non prometteva nulla di
buono.
<< Ecco,
finalmente, gli ospiti che tutti noi stavamo aspettando con ansia!
>>
disse un uomo, sorprendendoci alle spalle << Lord e Lady
de Villiers.
>>
<< Vi porgo i
miei saluti, Lord Masen. >> disse Edward, prima ancora di
voltarsi.
<< Che udito
impeccabile, mi lasciate sempre piacevolmente sorpreso. >>
Non sapevo come
muovermi. La maestria e l’eleganza di Edward mi intimorivano.
Lui era perfetto
in quel mondo: elegante, a modo. Tutto il contrario di me, insomma.
<< Vi faccio
i complimenti per la sposa. È una fanciulla davvero
deliziosa. >> disse
Lord Masen, facendomi il baciamano. Fu in quel momento che notai il
veloce
occhiolino che lanciò ad Edward << Allora,
come sto andando? >>
domandò in fine.
<< Direi
molto bene, Lord Masen. >>
<< Vi
ringrazio, Edw… Gideon.
>> si
corresse velocemente << Aro mi ha chiesto di vegliare su
di voi, finché
non farà il suo ingresso. >>
<< Quindi il
conte non è ancora arrivato? >> domandai,
agendo prima di pensare.
<< No, Milady. Al mio
caro amico Aro piacciono
le entrate d’effetto. >> rispose, scoppiando in
una fragorosa risata. E non solo le entrate, purtroppo, ma
lo pensai solamente, ovviamente.
<< Venite con
me. >> ci invitò Lord Masen <<
Vi presento un po’ di gente.
>>
Gran parte della
serata la passammo in quel modo. Quasi tutte le persone in sala erano
più
interessate a noi, i cugini del grande conte di Saint Germain,
più che ai
padroni di casa o a Lord Masen, il motivo per il quale – agli
occhi di tutti,
almeno – era stata indetta quella soirée.
<< Non vedo
James. >> dissi ad alta voce, maledicendomi mentalmente
in tutte le
lingue del mondo. Fa’ che nessuno
abbia
sentito, fa’ che nessuno abbia sentito…
<< James?
>> domandò una delle tante Lady che si erano
presentate << Parlate
di James Gordon-Lennox, il figlio dei proprietari di questa residenza?
>> Mi hanno sentito, accidenti!, pensai
infuriata. Possibile che il mio
karma facesse così schifo anche nel Settecento?
<< Sì, più o
meno, diciamo. >> risposi, sempre se quella poteva
definirsi tale.
<< Come?
>> chiese la donna, visibilmente confusa.
<< Scusatela!
>> si intromise Edward, spingendomi via <<
Mia moglie non regge molto
gli alcoolici. >>
<< Mi stai
facendo male e non sono ubriaca! >> mi lamentai, cercando
di fargli
mollare la presa.
<< Lo so
benissimo, sciocca. Ma questa non è di certo
l’epoca per “sì, più o meno,
diciamo”! Inoltre, come accidenti fai a conoscere questo James? >> Oh, cavolo!, pensai. E adesso come
me ne sarei tirata
fuori? Alla loggia, nessuno mi aveva parlato dei padroni di casa. Per
lo meno,
non in modo così approfondito. In quest’epoca,
infatti, la moglie veniva
trattata più come un oggetto che il marito sfoggiava con
orgoglio. Che io
parlassi, quindi, era fuori discussione. Non era contemplato, dunque,
che io
conoscessi realmente il figlio dei Gordon-Lennox.
<< Isabella!
Allora? >> insistette Edward, risvegliandomi dai miei
pensieri.
<< Gwendolyn, idiota!
>> lo ripresi,
guardandomi intorno << E poi sono io quella che non sa
comportarsi? E
adesso andiamo, ci stanno fissando tutti. Fai un sorriso, porgimi il
braccio e
andiamo a ballare. >> conclusi, evitando di spiegargli
che conoscevo il
fantasma di James.
Edward mi guardò
accigliato, mentre il mio piccolo orgoglio di donna stappava lo
Champagne. Due a zero per me, mio caro!
Lord Masen che,
evidentemente, aveva ascoltato tutta la discussione, fece un sorrisetto
ad
Edward, sussurrandogli poi: << È una fanciulla
con carattere, ragazzo.
>>
Quando Edward mi
trascinò al centro del salone, pensai che fosse impazzito.
Io stavo scherzando!
Non avevo alcuna intenzione di ballare, men che meno con lui.
<< Non è
obbligatorio ballare. >> sussurrai, pietrificandomi sul
posto <<
Non ero seria. In verità, volevo solo chiudere il discorso,
lasciandoti di
merda, magari. >>
<< Oh, beh…
Direi che ci sei riuscita, allora. >> rispose, facendomi
il suo
dannatissimo – quanto bellissimo – sorrisetto
sghembo.
In quell’esatto
momento, il mio cuore iniziò a battere veloce; riuscii a
percepire, perfino, le
farfalle nello stomaco. Perché
devi
sempre comportarti così, Isabella? Possibile che tu non
riesca a non risultare
patetica? Stavo cominciando a detestare la mia vocina
interiore.
<< Sì, beh,
penso che andrò a prendere qualcosa da bere.
>> comunicai, cercando di
non apparire scossa. Edward, però, aveva altre idee per noi.
<< Aspetta,
siamo qui… Perché non approfittarne?
>> domandò con voce suadente, al mio
orecchio.
<< Perché non
so ballare. >> risposi, dicendo la prima cosa che mi
passò in mente
<< Su questo Mr. Salvatore non si sbagliava; faccio pena.
>>
<< Devi solo
affidarti a me. >>
<< E a tutti
gli altri, visto che in questo tipo di valzer c’è
lo scambio di coppia.
>>
<< Non ci
avevo pensato. >> rispose, creando la rughetta sul mento
e poco sopra il
naso, sulla fronte, suo tipico segno di concentrazione.
<< Lasciamo
stare, Gideon. >>
dissi seria,
voltandogli le spalle.
Quando avvertii la
sua mano stringere la mia, mi voltai di scatto. Era da molto tempo che
non
percepivo la sua pelle, il suo calore, a contatto con la mia.
<< Dovrai
ballare, lo sai anche tu. Il conte… >>
<< Il conte,
il conte, il conte! Possibile che tu non pensi ad altro?
>> domandai di
getto, senza pensare << Insomma, ci ordina
di presenziare a questa soirée,
e
lui? Dov’è il tuo
conte, Edward?
>>
Di primo acchito,
Edward rimase perplesso dalla mia reazione. Poi, non sapevo spiegarlo
bene,
qualcosa nel suo sguardo cambiò; una luce nuova si accesa
nei suoi occhi. Forse
mi ero sbilanciata troppo; forse gli avevo fatto capire qualcosa.
<< Tu lo sai.
>> sussurrò serio, coprendo la distanza tra di
noi.
<< Cosa?
>> domandai, cercando di sorridere. Come qualche minuto
prima, tutti gli
occhi dei presenti erano puntati su di noi.
<< Come hai
fatto a scoprirlo? Era impossibile che tu… Aspetta, lo sai
da prima del nostro
bacio o dopo? Lo sapevi quando hai detto di amarmi? >>
<< Non so di
cosa tu stia parlando, dico davvero. >> potevo
immaginarlo, però.
<< Non è il
luogo più consono per parlarne. Vieni con me, dobbiamo
chiarire questa
faccenda. >>
<< Quale
faccenda? Edw… >>
<< Sorridi,
non dobbiamo dare nell’occhio, specialmente a Lord Masen.
>>
<< Non
possiamo allontanarci da qui. >> risposi, scoppiando in
una risata mesta
<< Mr. Saltzman è stato molto chiaro. Inoltre,
cosa penserebbe il conte
arrivando e non trovando i suoi due pupilli? >> Edward
sorrise,
accarezzandomi amorevolmente la guancia.
<< Penserò a
qualcosa, ma devo capire se ciò che penso è
reale. >>
<< Sai…
>> iniziai, portando la mano sulla sua, che era sul mio
viso << Io
per settimane ho cercato di capire determinate cose. Purtroppo, da
parte tua,
non c’è mai stato volere di spiegarmele.
>>
<< Bella…
>> rispose, sorridendo prima di poggiare le sue labbra
sulla mia fronte
<< Non fare la bambina capricciosa. Seguimi e basta!
>>
Alzai un
sopracciglio, pronta a controbattere con classe, ma in quel momento la
porta
del grande salone si aprì.
Il conte di Saint
Germain, accompagnato da una ragazzina minuta, fasciata da un abito
rosso
cremisi, entrò in tutta la sua magnificenza. Tutta la sala
cominciò a
bisbigliare; era arrivato l’ospite più atteso e
temuto.
<< Ne
riparleremo. >> sussurrò Edward, afferrandomi
il braccio in modo brusco.
Tutta la dolcezza e la compostezza di poco prima dov’erano
finite?
<< Conte, che
onore averla in casa mia! >> quasi strillò il
padrone di casa, affinché
tutti lo sentissero.
<< Mio caro
Aro, finalmente sei arrivato. >> scherzò Lord
Masen.
<< Com’è
affascinante… >> sussurrò qualcuno.
<< Ha un’aura
inquietate. >> controbatté qualcun altro.
Più Edward avanzava
verso di lui, più sentivo tornare su il pranzo. Il conte di
Saint Germain era
davvero un uomo inquietante. Non pensare, Bella. Non pensare, non
pensare…, continuavo a ripetere
quel mantra, sperando servisse a qualcosa.
<< Ecco qui i
miei ragazzi preferiti! >> urlò il conte,
quando gli fummo davanti
<< Mi hanno comunicato la lieta notizia. Congratulazioni,
giovanotto.
>>
<< Vi
ringrazio, conte. >>
<< Salve,
Lord de Villiers. È un piacere rivedervi. >>
sussurrò la ragazzina.
<< Il piacere
è mio, Lady Jane. >> Lady Jane… Quel nome
rievocò un ricordo, di qualche tempo prima. << Lady Jane è la
figlia di un vecchio
amico. È stata molto malata ed è ancora in vita
per un semplice miracolo… Non
esce molto e non ha molte conoscenze, così quando Edward
viene a trovarmi, lo
mando da lei. Lo ritiene un giovane molto attraente. >>
L’amica del conte,
ma certo! La ragazza che Edward conosceva bene – fin troppo
bene.
<< Non stiamo
qui in piedi, ragazzi. >> disse il conte, risvegliandomi
da quel
fastidioso pensiero << Venite, vi scorto alla mia
postazione privata.
>>
<< Non vi
andrebbe di scortare una vecchia amica? >>
parlò l’ochetta bionda,
rivolgendosi ad Edward, ammiccandogli vergognosamente.
<< Non vi è
alcun problema. >> rispose il conte, porgendomi il
braccio << Gideon,
accompagnate Lady Jane, penserò
io alla vostro bellissima sposa. >> Maledetti! Maledetti tutti e tre!
Avrei voluto dare un calcio alle parti
basse di Edward, prendere a schiaffi il conte ma, soprattutto,
strappare uno
per uno i capelli biondi, nascosti in modo mediocre, dalla parrucca di
quella
piccola stronza!
<< Come vi va
la vita, Lady de Villiers? >>
<< Bene!
>> risposi troppo rapidamente << Ehm, molto
bene. Vi ringrazio
dell’interessamento, conte. >> di tutta
risposta, il conte scoppiò a
ridere.
Dopo circa un’ora,
mi sentivo un po’ sbronza. Non riuscivo a capire bene cosa il
conte mi stesse
versando nel bicchiere, ma qualunque cosa fosse non era di certo
analcolica.
Edward, nel frattempo, se ne stava sulla pista da ballo –
sempre se così si
poteva chiamare in questo periodo – a cambiare ragazza ad
ogni minima
giravolta. E come se la rideva, lo stronzo!
<< È gelosia
quella che vedo nei vostri occhi, Isabella? >>
domandò il conte, che
sedeva alla mia destra.
<< Come? No,
certo che no! >> affermai sicura, certa di star mentendo
anche a me
stessa.
<< Eppure dai
vostri occhi vedo sprigionarsi le fiamme dell’inferno, mia
cara. Possibile che
proviate qualcosa per il giovane Edward? >>
<< Non
credete che sia un po’ inopportuno usare i nostri veri nome,
conte? >>
domandai, cercando di cambiare argomento << Qualcuno
potrebbe sentirci.
>>
<< Non vi
preoccupate, Isabella. Ho sempre delle postazioni speciali e ben
riservate…
Inoltre, nessuno osa sfidare me o le mie guardie; nessuno osa provare
ad
origliare i miei discorsi. Può stare tranquilla, Isabella,
ma ora torniamo a
noi. Prova, forse, ancora qualcosa per il giovane Cullen?
>>
<< Non provo
nulla per Edward. >> affermai, guardandolo ridere assieme
ad una ragazza
dai capelli rossi << Gradirei non parlarne, comunque. Non
mi è mai
piaciuto parlare del mio privato. >>
<< Oh, certo,
certo! Vi porgo le mie scuse, Milady.
>>
Non risposi, troppo
concentrata a fulminare quel viscido di Edward con gli occhi. Io ero
qui, con
un uomo che voleva farmi fuori – letteralmente – e
lui era lì, circondato dalle
ragazze più belle e affascinanti presenti a quella maledetta
soirée. Edward non era
davvero mio
marito, ma agli occhi di tutti lo era eccome! Non sapevo come veniva
considerato il matrimonio, in questo periodo, ma cominciavo a sentirmi
davvero
presa in giro; umiliata, soprattutto. Lui era il mio sposo e ballava
con decine
di donne diverse? La rabbia stava cominciando a farmi vedere nero.
<< Isabella,
mi avete sentito? >> domandò il conte; mi
costrinsi a voltarmi <<
Come vanno le ricerche dei due traditori? Edward è
finalmente riuscito a
mettere le mani su qualche goccia del loro sangue? >>
<< Non posso
rispondervi, conte. Purtroppo alla loggia non si fidavo di me,
perciò non mi
viene mai detto nulla di questo tipo di faccende. >>
<< Capisco.
>> rispose, poi lo sentii parlottare con Lord Masen.
Tornai a guardare
il centro della sala. Questa volta, Edward, non stava ballando; era
accanto al
banco delle bevande e ne offriva una ad una ragazza dal prestigioso
abito verde
pastello. Questo è troppo!,
urlai
mentalmente.
<< Con
permesso. >> sussurrai, alzandomi, decisa ad uscire da
quella sala.
Fortunatamente,
nessuno mi impedì il passaggio.
Arrivata alla grande
porta centrale, andai a sbattere contro qualcuno.
<< State più
attenta! >>
<< Chiedo
scusa, non vi avevo proprio… >> le parole,
però, mi si gelarono in gola
<< Oddio, James! >> urlai per la gioia,
cominciando a tastargli
petto e braccia << Cavolo, sei vero! Posso toccarti!
>>
<< Milady,
Milady! Ma
cosa fate? >> urlò, col suo solito accento e
la sua solita
aria arrogante << Non vi conosco e non comprendo
perché vi stiate
prendendo queste libertà! >> si
ripulì con un fazzolettino di seta bianca
e mi superò, sparendo tra la folla.
<< Per la
miseria, è identico al James fantasma. >>
sussurrai, scuotendo il capo.
Quando notai due
occhi verdi intenti a fissarmi, spalancai la porta e uscii di fretta.
Avevo
bisogno d’aria e di un po’ di spazio. Mancava solo
un’ora… Un’ora e tutto
questo sarebbe finito, finalmente.
Iniziai a camminare
avanti e indietro: i soffitti erano alti, i corridoio lunghi.
C’erano molte
vetrate, che facevano entrare il riflesso della luna. Dovevo essermi
allontanata parecchio dalla sala centrale, perché udivo la
musica del valzer
solo come un sussurro; come una debole melodia in lontananza.
<< Finalmente
ti ho trovata! >> strillò Edward, sbucandomi
alle spalle.
<< Dio mio,
mi hai fatto prendere un colpo! Sei pazzo? >>
<< Cosa stai
facendo? >> domandò, ignorando la mia di
domanda.
<< Io? >>
tutta la rabbia provata fino a quel momento sentì il bisogno
di uscire <<
Razza di idiota, siamo qui per una cosa importante! E tu stai
corteggiando
tutto il plotone di belle donne che c’è
là dentro! >> risposi urlando. Di
tutta risposta, Edward alzò un sopracciglio.
<< Sei forse
gelosa? >> domandò lui, con malizia.
<< Ma sei
completamente impazzito? Se lasciassi a casa il tuo ego, ogni tanto,
sarebbe
meglio, non credi? >>
<< Oh, sì. Tu
sei supergelosa. >> affermò sicuro, scoppiando
a ridere.
<< E
piantala… >> replicai, sbuffando.
Non riuscivo a
capire il perché, ma quella conversazione mi sembrava al
quanto famigliare,
come se l’avessi già vissuta. A disagio,
soprattutto dal silenzio che era
sceso, cominciai a guardarmi intorno. Non mi ero nemmeno accorta di
essermi
imbucata in una stanza aperta… Alle finestre
c’erano tende pesanti e… Oh,
santissimi numi!, pensai, ricordando
quel giorno.
Dietro alla tenda,
in quella stanza, c’era una ragazza spaventata, terrorizzata
dal suo terzo
salto incontrollato nel tempo. Dietro alla tenda c’ero io.
Fu in quel momento
che sprofondai nei suoi occhi scuri – che altri non erano che
i miei occhi scuri. Mi
fissò a lungo, con
sguardo sconvolto, esattamente come il mio. Per sbaglio, la Bella
del mio passato, si
mosse, facendo rumore.
<< Che
succede? >> domandò Edward, cominciando a
voltarsi nel punto esatto in
cui stavo guardando io.
Sapevo cosa sarebbe
successe di lì a poco, ma non avevo altra scelta. Le cose
dovevano seguire il
loro ordine ed io dovevo impedire ad Edward di vedere la me stessa del
passato,
esattamente come avevo visto fare alla me stessa del futuro. Tutta questa storia mi farà venire il
mal di
testa!, pensai.
Senza preavviso, mi
avventai su di lui. Gli bloccai il viso con le mani e posai le mie
labbra sulle
sue. Dapprima restò immobile, poi le sue braccia si
rilassarono e cinsero la mia
vita con forza e disperazione. Avevo la sensazione che,
dall’ultimo bacio
scambiatoci, stesse aspetto che il momento di ricreasse.
Edward era
passionale, veemente; mi stava baciando con
un’intensità che non aveva mai
usato prima. Riuscivo a sentire le sue mani sulla mia vita e sulla
schiena,
adesso; salivano e scendevano lasciando una marea di brividi sulla mia
pelle –
nonostante la stoffa troppo spessa e pesante. Le nostre labbra erano un
puzzle.
Perfette, le une sulle altre. Il suo respiro caldo e affannoso si
mescolava con
il mio che, troppo fastidiosamente, implorava ossigeno.
<< Edw…
Edward… >> gemetti, cercando di allontanarlo.
Lui non mi ascoltò, però.
Spostò le labbra
sul collo, affinché io riuscissi a respirare. Chiusi gli
occhi, beandomi di
quel contatto che, in modo fin troppo illecito, scendeva sul mio
decolté,
facendomi eccitare in modo indecente. Le mie dita erano finite tra i
suoi
capelli che, non sapevo come e quando, si erano liberati della
fastidiosissima
parrucca bianca.
<< Oh, mio…
Oddio… >> sussurrai, ansante. Dovetti sfregare
le gambe tra loro, poiché
la situazione mi stava sfuggendo di mano.
<< Bella…
>> sussurrò Edward, con voce roca
<< Dobbiamo parlare… >>
<< Dici?
>> domandai, facendolo sorridere.
<< Direi
proprio di sì. >> rispose più
serio, intrecciando il mio sguardo al suo.
Anche con i capelli
disfatti, le labbra arrossate e i gli occhi più lucidi
– ed eccitati – del
normale era indefinitamente bello.
<< Mi hai
assalita! >> dissi, spingendolo via.
<< Come,
scusa? Sei stata tu a baciare me, Bella. >>
<< Perché eri
bello sotto il chiarore della luna… Sì, ma non
è questo il punto! Io ti avrò
anche baciato, ma tu ti sei spalmato addosso. >>
<< Oh, non mi
sembra che ti sia dispiaciuta, la situazione…
>> aprii la bocca per
ribattere, ma non potei farlo. D'altronde, aveva perfettamente ragione.
Un applauso fin
troppo acuto, si alzò alle spalle di Edward. Non ebbe
nemmeno il tempo di
voltarsi completamente che un coltello, piuttosto piccolo e affilato,
quasi gli
squarciò il torace. Urlai, spaventata, e feci qualche passo
indietro, sbattendo
contro un tavolino di legno lucido.
<< E voi chi
accidenti siete? >> urlò Edward che, con uno
scatto veloce, schivò il
colpo rotolando davanti a me, sul pavimento.
<< Non vi è
dato saperlo, abominio! >> rispose l’uomo,
vestito completamente di nero
<< Voi siete amici del conte, perciò siete
marci come lui! >> urlò
furente, cercando di colpire nuovamente il mio compagno.
<< Se non
vuoi morire, bello, ti conviene voltare i tacchi e andartene!
>> ribatté
Edward, lasciando il linguaggio del Settecento nel Settecento, appunto.
<< Come
osate, voi, rivolgervi a me in questo modo? >>
strillò; sembrava
totalmente pazzo.
Edward afferrò la
mia mano, trascinandomi verso la porta.
<< Vattene da
qui! >>
<< Non ti
lascio da solo! >> risposi, spingendolo da una parte
mentre la lama
tagliente squarciò l’aria tra di noi.
<< Uccido
prima la ragazzina o il moccioso? >>
<< Tu non
uccidi proprio nessuno! >> rispose Edward, avventandosi
contro l’uomo.
<< Edward!
>> urlai terrorizzata.
<< Bella, va’
via! Tra dieci minuti abbiamo il salto, corri nella stanza
dov’è situato il
cronografo! >>
<< Non me ne
vado senza di te! >>
<< Devi,
Bella! >> urlò, spingendo via l’uomo
con un calcio nello stomaco <<
Posso tenerlo a bada per dieci minuti, non mi accadrà
niente. >>
<< Non ti
stanchi mai di dare ordini, vero? >>
<< E tu non
ti stanchi mai di non fare quello che ti dico! >>
<< Cosa
succede qui? >> domandò il conte, entrando
nella stanza, scortato da Lord
Masen << E voi chi siete, maledetto? >>
domandò all’uomo in nero
che, alzatosi da terra, colpì Lord Masen che, per difendere
il suo amico, si
era frapposto tra egli e il pugnale.
<< Amico mio!
>>
<< Brutto
bastardo! >> sibilò Edward, colpendolo alle
spalle.
La colluttazione
non portò a nulla di buono. L’uomo, totalmente
fuori di testa, colpì Edward in
piena di faccia, con il gomito sinistro;
quest’ultimò barcollò
all’indietro,
cadendo a terra. Non vidi nemmeno l’individuo che,
inaspettatamente, si era
piazzato davanti a me con un ghigno in faccia. La sua carnagione era
scura, gli
occhi erano due pozze nera; non vi era anima in quel corpo, nemmeno
clemenza o
coscienza. Era vuoto.
<< Seguirai
il tuo compagno a breve. >>
<< No!
>> urlò il conte, ancora chinato a piangere
Lord Masen.
<< Non la
toccherai! >> strillò Edward che, pieno di
sangue in volto, cercò di
rimettersi in piedi.
Quando cercò di
accoltellarmi, feci un salto indietro, schivando il colpo per un
soffio. Non
avevo niente a portata di mano per difendermi; ero spacciata.
<< La morte
viene a prenderti. >> disse senza emozione nella voce,
avventandosi su di
me. Cercai di schivarlo, nuovamente, ma non riuscii ad andare molto
lontano; mi
aveva intrappolata contro un muro.
<< Vi prego…
>> implorai << Non fatelo…
>> la paura mi aveva
immobilizzata. Avrei voluto possedere qualsiasi cosa: un coltello, un
fioretto,
una pistola.
Quando tentai di
colpirlo a mani libere, quasi mi ruppe un polso, strisciando la lama
sul mio
collo. Era gelida. Esattamente come avevo sempre immaginato la morte:
buia e
gelida.
<< Mors tua, vita mea.
>> sussurrò,
prima di accoltellarmi.
Successo tutto in
fretta; troppo in fretta perché ne capissi esattamente la
dinamica: Edward si
trovava dietro allo sconosciuto e lo stava trafiggendo con il pugnale
del
conte. Vidi i suoi occhi inferociti, mentre quelli del sicario, man
mano,
perdevano vita.
Quando caddero a
terra, restai i piedi, ferma, per diversi minuti. Qualcosa era andando
storto,
lo sentivo.
<< Edward…
>> sussurrai, non riuscendo più a stare in
piedi.
<< È tutto
apposto, è… >> quando lo vidi
spalancare gli occhi, la mia paura si
tramutò in realtà << Oh, santo
cielo. >> pronunciò quelle parole a
stento.
Non sentivo più le
gambe; il coltello – conficcato esattamente
all’altezza del cuore – faceva
troppo male. Caddi tra le braccia di Edward che, con un colpo deciso,
estrasse
l’oggetto, facendomi urlare di dolore.
<< Non
morire… Ti prego, ti prego, non morire…
>>
Non riuscivo a
sentire né vedere niente. Il viso di Edward era sfocato e
lontano, così come la
sua voce. Non capivo dove mi trovassi né, soprattutto, dove
si trovasse il mio
corpo; non lo sentivo più.
<< Ho… Ho
freddo. >>
<< Bella! Ti
prego, Bella… >>
Non avevo mai visto
Edward piangere. Eppure, lui ora stava piangendo. Per
me.
Riuscivo a sentire
la vita scivolare via, lontano da me. L’oscurità
era troppo profonda per
risalire…
<< Isabella,
no! Ti prego, no! Io ti amo davvero. Mi senti? Sono innamorato di te,
Isabella.
Ti prego, non lasciarmi. >>
Ma dal fondo non riemersi. .
N.B.:
I nomi fittizi che usano Edward e Bella,
ovvero Gideon e Gwendolyn, sono i nomi dei personaggi della trilogia
originale, scritta da Kerstin Gier.
.
Eccomi di nuovo qui!
Giù i forconi -.-' Bella è morta, va bene, ma la
storia non è finita... Non so cosa dire su questo capitolo,
anche perché non posso parlare troppo o rischierei di
anticiparvi quello nuovo. Rileggendolo a me sembra anche abbastanza
chiaro XD ma se avete delle domande, dite pure!
Passando alle cose più noise, vi inoformo che la storia sta
davvero giungendo al termine. MANCANO SOLO DUE CAPITOLI, prima
dell'epilogo; dopodiché, la storia, troverà
scritto la parola "fine". Avverto già da ora che non ci
saranno sequel o capitolo extra... Questa storia, come già
detto fino alla nausea, è il riadattamento di una trilogia
già esistenza, scritta dalla bravissima Kerstin Gier.
Proprio per questo, avengo già inglobato tre libri in un
racconto solo, direi che essa - con i riadattamenti, cambiamenti, ect -
può benissimo chiudersi così. Gli extra non credo
li farò utilizzando Edward e Bella, in caso; piuttosto
utilizzerò Gideon e Gwenny, ma è solo un'idea
campata in aria, per adesso.
Cos'altro dirvi? Spero cha il capitolo vi sia piaciuto! E spero
vivamente di non metterci troppo a scrivere i prossimi... A presto! E
grazie ancora del sostegno che mi date seguendo la mia storia :)
Un bacione a tutti! :*
Buona
sera a tutti! No, non sono un miraggio, sono puntuale, lo so! In questi
giorni - nonostante i grossi impegni - ho avuto davvero molta voglia di
scrivere, cosa che non mi accadeva da un pezzo! In pochi giorni,
quindi, sono riuscita a buttar giù il capitolo e non
prolungare la vostra agonia - specialmente per il finale di capitolo. Prima
di lasciarvi alla lettura, comunque, volevo avvisare che non mi sono
dimenticata di rispondere alle recensioni XD solo che ieri l'adsl ha
fatto i capricci, quindi entro sera vi rispondo, tranquilli! Ma bando
alle ciance, adesso, vi lascio al capitolo e BUONA LETTURA! Spero di
non deludere le vostre aspettative :) .
24.
« L'amore
non conosce ostacoli;
né porta né serratura, a passare sempre
riuscirà.
L'amore non ha principio,
batte le ali per sua natura, e per sempre le batterà. » Matthias Claudius.
Ero
morta.
Percepivo la verità
del mio pensiero come se fosse assoluta, reale. Irreversibile.
Riuscivo a vedere
il mio corpo, steso sul pavimento, tra le braccia di un Edward in
lacrime. Edward…, pensai
tristemente. Possibile che avessi sentito realmente
quelle parole? Lui mi amava, aveva detto. Oppure avevo sentito solo
ciò che
volevo sentire, a pochi istanti dalla mia morte?
Mi sentivo leggera,
come se non ci fosse più niente a gravarmi addosso. I miei
problemi, il mio
essere, i miei sentimenti, la mia sofferenza… Tutto quel
fardello era
improvvisamente sparito, lasciando nel cuore solo una grande pace. Ti prego, non lasciarmi.
Quella supplica mi rimbombò
nel mio cervello. Come avrei fatto senza di lui, adesso? Come potevo
morire quando,
finalmente, avevo qualcosa per continuare a vivere? Qualcosa che
avrebbe
cambiato in meglio la mia vita.
<< Edward…
>> sussurrai, senza rinoscere la mia voce.
Era diversa. Più che
una voce, assomigliava ad un canto angelico. Non potevo morire. Non volevo morire. Ma quale altra scelta
avevo?
L’uomo mi aveva
colpita al centro esatto del cuore. Era un miracolo che, addirittura,
fossi
riuscita a sentire Edward piangere per me; dichiararmi il suo amore.
Più il tempo
passava, più vedevo i corpi sotto di me farsi piccoli e
scuri. Che stessi
trapassando? Funzionava così, la morte? Restavi per qualche
istante a vedere il
tuo corpo senza vita su un pavimento pieno di sangue, mentre le persone
che ami
piangono la tua morte, per poi scomparire, lentamente, lasciando il
mondo che
conoscevi da sempre, per… per
sempre?
Quando il buio mi
oscurò la vista e non percepii più niente intorno
a me, capii che era davvero tutto
finito. Era finito per sempre.
<<
Che cos’è
successo? >>
<< Oh, santo
cielo! >>
<< L’hanno
uccisa… >>
<< Edward,
per l’amor di Dio, riprenditi! >>
<< Ci hanno
attaccati alle spalle e non ho fatto in tempo! >>
Voci su voci. E
ancora… Solo ed esclusivamente voci. Non percepivo altro
intorno a me.
<< È sotto
shock. >> disse qualcuno che, se non avevo capito male,
doveva essere Mr.
Saltzman. Era il più tranquillo, per nulla agitato.
<< Edward,
spostati! >> urlò il dottor Black –
o almeno, mi sembrava.
<< È
ghiacciata. >> sussurrò Edward al mio orecchio
<< Devo… Devo
riscaldarla, sì. >>
<< Avvertite
Carlisle, fatelo venire qui subito. >> parlò
perentorio, Mr. Saltzman.
Non riuscivo a
capire cosa stesse accadendo; non riuscivo a vedere nulla. Avvertivo
spostamenti, panico, agitazione… E tutte quelle voci stavano
diventando
fastidiose e assordanti. Come fantasma o entità, o qualunque
cosa fossi
diventata, non avrei dovuto assistere a tutto dall’alto? Come
se fossi
all’Opera a guardare uno spettacolo? Evidentemente no…, mi
risposi da sola.
<< Giuseppe,
prenda il ragazzo e lo medichi! Mr. Dywer, mi aiuti a spostarlo in modo
che il
dottor Black si occupi di Isabella. >>
Fu in quel momento
che qualcosa cambiò. Ero morta… E allora
perché avevo percepito fortemente le
braccia di Edward che, senza non poca lotta, abbandonavano il mio corpo
dolorante? Dolore?, mi chiesi mentalmente. Da
quando uno spirito prova dolore?
<< Alzatele i
piedi, è svenuta. >> ordinò il
dottor Black << La ferita deve
averla spaventata più del dovuto, ma è
superficiale. Fate spazio, santo cielo!
>> Svenuta? Ferita superficiale?
<< Si sta
riprendendo… >> sussurrò Mr.
Saltzman << Isabella? Mi sente?
>>
<< C…cosa?
>> riuscii a sentire la mia voce. Era ovattata,
incrinata, ma era la mia.
<< Faccia
respiri profondi. >> mi disse il dottor Black
<< Le devo aprire il
corsetto… Con permesso, figliola. >> non
obiettati, anche se quella
situazione era piuttosto imbarazzante.
<< Bella, ho
avuto tanta paura! >> disse la voce di Jake
<< Quando occhioni
verdi ti ha portata in braccio eri bianchissima! Sembravi un lenzuolo!
Bella,
mi senti? Bella, apri gli occhi! >> e lo feci.
Mi trovavo sul
pavimento dell’aula di Biologia. Tre volti erano piegati
sopra di me: quello di
Jake che, vedendomi sveglia, sorrideva; quello del dottor Black, che
analizzava
accuratamente la ferita al mio petto; quello di Mr. Saltzman, infine,
rigido e
serio, ai miei piedi.
<< Cosa… Che
cos’è successo? >> domandai,
cercando di alzarmi. Pessima mossa, Bella! Pessima.
Tutta l’aula
cominciò a vorticare in modo pazzesco. Vedevo tre cattedre,
quattro lavagne…
<< Isabella,
stia giù. >> mi incitò –
anche se sembrava più un ordine – Mr. Saltzman.
<< Come sta,
cara? Edward ci ha fatto invecchiare di dieci anni! >>
disse Mr. Dywer,
avvicinandosi a me << L’ha portata qui dal
giardino in uno stato pietoso
e continuava a dire che era morta! Sarò sincero, mi sono
spaventato oltre
mondo! Sua madre non mi avrebbe fatto arrivare alla pensione, lo sa?
>>
concluse sorridendo, per alleggerire l’atmosfera.
<< Sono
felice di star bene, allora, Mr. Dywer. >> dissi
flebilmente, cercando
Edward con gli occhi.
Quando lo vidi mi
resi conto che mi stava fissando, scioccato. Gli occhi verdi erano
più grandi
del normale – assomigliava ad un manga giapponese. La sua
espressione, poi,
sembrava chiedere: “Come puoi essere
viva? Ti ho visto morire!”.
Anche io mi ero
vista morire. O, meglio ancora, avevo provato sulla mia stessa pelle
cosa
significasse morire. L’anima che abbandona il corpo, il
trapasso, il cuore che,
lentamente, si fermava. E allora
perché sono
ancora qui?
<< Dottor
Black, se la situazione di Miss Swan si è stabilizzata, il
ragazzo avrebbe
bisogno di punti. >> intervenne Mr. Salvatore,
interrompendo il nostro
contatto visivo.
<< Certo,
arrivo. >> rispose il dottore, chiudendo la sua borsa
dopo avermi
applicato una benda impregnata di qualcosa << La sua
ferita era solo
superficiale, Isabella, non ha bisogno nemmeno di punti.
>> mi sorrise,
lasciandomi sconvolta, e andò da Edward.
<< È stata
molto fortunata, Isabella. >> commentò Mr.
Saltzman, fissandomi ancora
seriamente. Mi stava mettendo a disagio.
<< Già…
>> sussurrai, coprendomi il seno con i brandelli del
vestito.
<< Quello non
mi piace per niente. >> commentò Jake,
sedendosi accanto a me.
<< Che
significa? Perché non ti piace? >> domandai,
una volta che il mio
insegnante di Storia si fu allontanato.
<< Non lo so…
Da quando sono morto non ho bisogno di mangiare o dormire, quindi seguo
mio
papà dappertutto! A volte guardo quello che fanno gli altri,
tanto per non annoiarmi.
Inoltre… Ti confido un segreto, ma non dirlo a
papà: io ho purissima degli
aghi! >> sorrisi, avendo la necessità di
spupazzare un po’ quel dolce
bambino.
Non potevo, però.
<< E mentre
guardi quello che fanno gli altri, cosa vedi? >>
<< Boh! Però
quel tipo non mi piace. Sembra uscito da uno di quei telefilm gialli
che guarda
sempre papà. >>
Cominciai a fare
come Jake, allora. Studiai i movimenti di Mr. Saltzman, che si trovava
di
fronte ad Edward, al momento. Non notai nulla di strano,
però. Certo, Alaric
Saltzman non era di certo il classico professore di Storia –
lo avevo detto e
pensato un miliardo di volte –, ma dire o pensare che
addirittura nascondesse
qualcosa, era troppo. Oppure no?
<< Edward!
>> urlò Carlisle, entrando come un fulmine
nell’aula << Figlio mio,
che ti è successo? >>
<< Ci hanno
attaccati alla soirée.
Non so altro,
papà. >> rispose, con voce atona.
Era sconvolto,
potevo capirlo benissimo.
<< In quanti
erano? Chi erano? >> insistette Carlisle, tastando Edward
– forse per
assicurarsi che suo figlio fosse tutto intero.
<< Uno.
>> risposi io, notando la poca partecipazione di Edward
<< Era solo
uno, ma sapeva il fatto suo. Era vestito completamente di nero, ho
potuto
vedere solo gli occhi prima che mi… che mi pugnalasse.
>>
<< Ti ha
pugnalata?! >> domandò Carlisle scioccato,
sgranando anch’egli gli occhi.
<< Sì, ma
superficialmente. >> risposi senza pensarci troppo
<< Tutto quel
sangue e l’adrenalina, l’agitazione… Ho
perso i sensi per lo spavento e… e
Edward mi ha portata fin qui in braccio, da quello che ho capito. Ho
idee
abbastanza confuse al momento. >>
<< È entrato
urlando alla morta! >> disse Mr. Salvatore, scoppiando a
ridere <<
Ammetto che quando li ho visti arrivare avevo pensato anche io ad
Isabella come
un cadavere, ma quando il dottor Black l’ha visitata, ha
constatato che
respirava. >> concluse, scuotendo il capo
<< Povero ragazzo, deve
essersi spaventato moltissimo per arrivare ad ostentare una diceria
simile.
>>
<< Io non
sono pazzo, Mr. Salvatore! >> urlò Edward,
scattando ferocemente in piedi
<< Ho visto quello che ho visto! Di certo non mi metterei
mai a scherzare
su una cosa del genere, non crede?! >>
<< Edward,
nessuno pensa che tu sia pazzo. >> disse Carlisle,
appoggiandogli una
mano sulla spalla << La situazione deve averti
spaventato, è normale.
>>
Prima di
rispondere, Edward, mi guardò intensamente. Era come se
volesse accertarsi, per
l’ennesima volta, che fossi realmente viva.
<< Sì, sì…
Sarà come dici tu, papà. >> disse
infine, accomodandosi nuovamente sulla
sedia.
<< Forse è
meglio farli tornare a casa, non credete? >>
domandò Mr. Dywer.
<< Mi trovi
d’accordo, Phil. >> rispose Carlisle, seguito
da un assenso silenzioso di
Mr. Saltzman.
<< Edward può
tornare a casa con te, Carlisle. Per quanto riguarda Isabella, credo
sia meglio
che la riaccompagnino a casa Phil e Billy, in caso Renée e
Charlie vogliano
qualche delucidazione. >>
<< Concordo
con te, Alaric. >> assentò Carlisle;
dopodiché, ognuno si diresse alla
propria automobile.
Non vedevo l’ora di
tornarmene a casa. Volevo dormire un po’, capire cosa
realmente fosse accaduto.
Dovevo chiamare Angela e dire ai miei genitori che li amavo,
abbracciare la
prozia Jenna… Se ero ancora viva, non poteva essere stato
altro che un
miracolo. Qualunque cosa fosse stata, comunque, ero grata di aver
ricevuto una
seconda possibilità.
* * *
Mi
svegliai
lentamente, quel giorno. La voglia di alzarmi dal letto,
però, era inesistente.
Decisi di voltarmi, dando le spalle al balcone che, comunque, era
coperto con
le solite tende spesse in modo che la luce non filtrasse
all’interno della
stanza.
Non la smettevo di
pensare a quello che era successo.
Com’era possibile
che fossi ancora viva? Il dottor Black aveva detto chiaramente che la
ferita
era stata superficiale, non avevo avuto nemmeno bisogno dei punti. Non
era
vero, però. Edward non era pazzo, e l’adrenalina
– per quanto potente potesse
essere – non avrebbe mai distorco la realtà in
quel modo. Io ero morta e ora…
ora, invece, ero qui.
<< Bella?
>> chiamò mia madre, entrando lentamente in
camera mia << Sei sveglia?
>>
<< Mamma…
Certo, entra pure. >> risposi, mettendomi a sedere.
<< Come ti
senti? Hai riposato bene? >> domandò,
appoggiando una tisana sul
comodino.
<< Ho dormito
molto bene, grazie. >> dissi, sorridendole
<< Era tanto che non mi
capitava. >>
<< Quando
ieri sera ti hanno riportata a casa, mi hai terrorizzata.
>> ammise,
accarezzandomi il viso << Eri molto pallida e
disidratata… >>
<< Mi spiace
averti spaventata, mamma. >> dissi, buttandomi tra le sue
braccia
<< Ma sto bene, adesso, e sono qui! E ti voglio un bene
immenso. >>
<< Anche io,
Bella. >>
Restammo
abbracciate per minuti interi. Tra le braccia di Renée,
riuscivo a sentirmi una
bambina. Era come se tornassi indietro nel tempo –
metaforicamente parlando, in
questo caso –, a quando ero piccola e mi sbucciavo le
ginocchia giocando al
parco. Lei era la prima a venirmi in soccorso, con i suoi
“rimedi magici”; mi
accarezzava la ferita, la bagnava e poi, con estrema grazia, mi dava un
lieve
bacio. E il dolore spariva davvero.
Tra le braccia di
mia madre, adesso, mi sentivo bene, protetta. Era la sensazione
più bella del
mondo.
<< Che ne
dici di cambiarti e scendere? >> disse lei, staccandosi
un po’ << Non
hai cenato, quando sei rientrata, ieri, e nemmeno oggi a pranzo.
Dormivi così
bene che… >>
<< Ma che ore
sono? >> domandai, fiondandomi sul comodino.
<< Sono le
otto di sera, tesoro. Hai dormito quasi ventiquattro ore.
>>
<< Oh… Però!
>>
<< Cambiati,
ti aspettiamo giù. È anche arrivata Angela, ti
sta aspettando. >> mi donò
un bacio sulla fronte e scese, lasciandomi sola.
In effetti, era
strano che non fosse venuta prima, Angela. La sera prima, appena messa
a letto,
le avevo mandato un messaggio: “Credo
di
essere morta, ma adesso sono viva. Non ci ho capito niente, nemmeno
Edward ha
capito qualcosa… È successo qualcosa alla soirée, ma non riesco a capire cosa. Mi si chiudono gli
occhi, adesso. Domani
ti chiamo. Ti voglio bene, un bacio. B.”
Quando
scesi di
sotto, trovai tutto il plotone di casa ad attendermi. C’era
perfino Lady
Lillian, col volto livido dalla preoccupazione.
<< Stai bene,
adesso, cara? >> aveva domandato, alzandosi addirittura
per venirmi
incontro.
<< È sempre
tutta scena quando si tratta di mia sorella e di quella sottospecie di
figlia.
>> borbottò zia Victoria, accarezzando la
fluente chioma di Tanya.
<< Adesso
smettila, Vic! >> la ammonì Lady Lillian
<< Non tollero questo tipo
di dicerie in questa casa! Sono stata chiara? >>
<< Sì, mamma.
>> rispose lei, alzandosi impettita <<
Chiarissima. >>
affermò flebilmente, dirigendosi verso la sala da pranzo.
Lady Lillian non
disse nient’altro; scosse la testa e seguì figlia
e nipote, mentre la prozia
Jenna si precipitò a stritolarmi tra le sue ossute braccia.
<< Il mio
piccolo corvo! Stai bene, tesoro? >>
<< Sì, zia
Jenna, tutto bene. >> risposi, contraccambiando
all’abbraccio.
<< Angela, ti
fermi con noi a cena? >> domandò mio padre.
<< Se non
disturbo… >>
<< Ma
figurati! >> urlò mia madre, prendendola a
braccetto << Sei la
migliore amica di Bella, quindi per noi sei una di famiglia! Dico bene,
zia
Jenna? >>
<< Benissimo,
dolce Renée! >>
<< Zia Jenna,
per l’amor del cielo, così la soffocherai.
>> intervenne mio padre,
liberandomi da quella “stretta mortale”.
<< Oh,
scusami, cara! >> parlò preoccupata e mi
lasciò andare.
Raggiunsi Angela
che, per quanto fosse rigida, sembrava stesse andando al patibolo.
<< Che ti
prende? >>
<< Non sono
mai rimasta qui a cena. >> rispose sottovoce
<< Insomma, abbiamo
preso il Mc e abbiamo mangiato in camera tua, oppure ordinato del
cinese, ma
cena-cena, mai! Sai che tua nonna mi terrorizza! >>
<< Oh,
andiamo! Non ti mangia mica. >>
<< Su questo
non ne sarei troppo sicura. >> borbottò,
prendendo posto accanto a me
<< Comunque, dopo dovrai raccontarmi tutto. Quel
messaggio disconnesso
sembrava Ai confini della realtà,
te
ne rendi conto? Come dovrei chiamarti, adesso? Lazzara?
>>
<< Sh!
>> la ammonii decisa << Nessuno sa questa
faccenda, te ne parlo
dopo. Ora mangia, prima che Lady Lillian mangi te. >>
<< Ho sempre
sospettato che quella donna fosse una cannibale. >>
Mi portai un
tovagliolo davanti alla bocca, per coprire la mia risata. Fu in quel
momento
che notai lo sguardo assassino di Tanya. Cosa diavolo avevo fatto,
adesso?
Scossi il capo,
decisa a non pensarci. Per Tanya, purtroppo, anche solo il sentirmi
nominare era
un problema. È un suo problema,
però, che
cavolo!, urlò la mia vocina interiore. Non potevo
che darle ragione.
La cena passò
tranquilla – e silenziosa, come di consueto. Mamma aveva
cucinato i miei piatti
preferiti, trovando scontentezza in zia Victoria e Tanya. Stranamente,
Lady
Lillian, non obbiettò, né fece i soliti comizi su
quanto il pollo fritto fosse
un cibo poco prelibato per una famiglia come la nostra. Dovevo essere
stata
proprio in uno stato pietoso, la sera prima, per trasformare
così tanto mia nonna.
<< Se abbiamo
finito, vorrei alzarmi. >> parlò Tanya,
aprendo bocca per la prima volta
da quando mi ero svegliata.
<< Hai il
permesso, Tanya. >> rispose lady Lillian, senza neppure
guardarla in
faccia. Era troppo presa ad affettare la sua panna cotta.
<< Possiamo
andare anche noi? >> domandai, con tono mesto.
<< Certo,
cara. >> rispose nuovamente, senza alzare la testa.
Con molto garbo, io
ed Angela, abbondammo il grande tavolo e ci dirigemmo verso la
scalinata. Raggiunta
essa, corremmo come delle pazze per giungere in camera mia.
<< D’accordo,
adesso spara! >> ordinò Angie, sedendosi sul
mio letto << Cosa
significa che credi di essere morta? >>
<< Io non lo
credo. >> risposi, accomodandomi sul baule-divanetto
posto dinanzi al mio
letto << Io sono morta, Angie. Sono morta tra le braccia
di Edward, a
quella dannata soirée.
>>
<< Ma non è
possibile! Insomma, sei qui e sei viva. >>
<< Lo so… Non
riesco a spiegarmelo. >> ammisi, finalmente a voce alta
<< Ma ho
sentito il pugnale, Angela. La sua lama era fredda e ha penetrato la
mia carne
come fosse burro… Ho sentito i miei battiti accelerare e poi
scemare
lentamente, dopo che era stato colpito il mio cuore. Non era una ferita
superficiale, era una pugnalata mortale! Eppure, quando siamo saltati,
non era
rimasto che un graffio rosso. Il dottor Black non mi ha nemmeno dato i
punti!
>>
<< Davvero
molto strano. >> disse, assumendo un’aria
pensierosa << Non può
essere che, essendo morta in un anno in cui non esistevi, tornata al
presente
non sei trapassata? >>
<< Ci avevo
pensato io, all’inizio. >> risposi, sospirando
<< Una sorta di
esperienza extracorporea. Magari è questa la magia del
corvo, mi sono detta,
morire senza lasciare le persone che amo. Un po’ come James,
insomma. >>
<< Con la
particolarità che tutti possono vederti, però.
>>
<< Già.
>> risposi tristemente, conscia che quella spiegazione
faceva acqua da
tutte le parti.
Io non ero un
fantasma, ero corporea, viva. Il
sangue scorreva nelle mie vene e il cuore batteva forte nel mio petto.
Respiravo,
sentivo… E quella lieve ferita faceva male. La pelle era
calda, di un colore
salutare se pur pallido. Provavo paura e dolore. Sensazioni troppo reali per un fantasma.
<< Ho parlato
con Jasper ed Alice, questo pomeriggio. >> disse Angie,
risvegliandomi
dai miei pensieri << Erano scioccati da quello che era
successo. Edward è
stato fuori casa tutto il giorno e quando rientrava, si barricava in
camera sua,
chiuso dentro. Era davvero in uno stato pietoso, secondo suo fratello.
Quest’esperienza deve averlo segnato particolarmente. Io non
so se sei morta
davvero, Bella, ma qualunque cosa sia successa in quella soirée,
lo ha segnato. >> non risposi, ma quelle parole mi
fecero tornare in mente qualcosa. Io ti amo davvero. Mi senti? Sono innamorato
di te, Isabella. Ti prego, non lasciarmi.
<< Oh, porca
miseria! >> urlai, scattando in piedi, sotto lo sguardo
sbigottito di
Angela.
<< Cosa? Che
è successo? >>
<< Edward.
>> risposi, non trovando le giuste parole
<< Lui… lui mi ha detto
una cosa mentre stavo morendo, ma… ma non so se è
reale. Insomma, non sono
morta davvero, quindi tutto quello che ho sentito potrebbe essere stato
solo
frutto della mia immaginazione, non trovi? >>
<< Bella, per
l’amor del cielo, respira! >> disse Angie,
avvicinandosi << Di cosa
diavolo stai parlando, adesso? >> non feci in tempo a
rispondere.
Il capello di casa
cominciò a suonare, rimbombando per tutta la casa.
<< Chi può
essere? >> chiesi, avviandomi alla vetrata del balcone.
<< Non so.
>> rispose Angela, copiando le mie mosse <<
Sapevo che Alice voleva
venire a trovarti, ma aspettava un mio messaggio che, come avrai ben
visto, non
ho ancora avuto modo di mandare. >>
Quando i miei occhi
si posarono su una capigliatura sbarazzina castana, con riflessi
bronzei, per
poco non svenni. Cosa diavolo ci fa lui,
qui? A quest’ora, poi!
Non attesi oltre.
Afferrai Angela e mi precipitai giù per le scale, diretta al
piano inferiore.
<< Edward,
che piacere rivederti. >> squittì zia
Victoria, accompagnandolo in
salotto << Sei venuto qui per Tanya, immagino. Viene,
prego, te la chiamo
subito. >>
<< Veramente
no, Mrs Denali. >> rispose lui, inchiodando il suo
sguardo al mio
<< Sono venuto per Isabella, onestamente.
>> a quelle parole,
stomaco e cuore fecero mille capriole.
<< Ah.
>> disse mia zia, con una nota di delusione e anche un
velo di ribrezzo
nella voce << Lavoro, immagino. Cerco mia sorella
perché possa andare a
chiam… Oh, ma vedo che non ce n’è
bisogno. >> disse con malizia <<
La nostra cara Isabella è un asso nell’origliale
le conversazioni altrui.
>>
Stavo per
ribattere, ma Edward mi batté sul tempo.
<< Non è una
visita di lavoro. Direi proprio che è più una
visita di cortesia, Mrs Denali.
>> disse serio, facendo un fugace inchino
<< Con permesso. >>
concluse da gentiluomo, dirigendosi verso di me.
<< Quando
mette ad azzittire tua zia non è niente male.
>>
<< Shh!
Angie, potrebbe sentirti! >> la ammonii, con un tono di
voce molto basso.
<< Ciao,
Bella, come ti senti? >> chiese il ragazzo dagli occhi
verdi che, in
tutto il suo splendore, si trovava in piedi davanti a me.
<< Credo
bene. >> risposi, dopo diversi minuti.
<< Dovrei
parlarti di una cosa… >> sussurrò,
facendo capire che era personale.
<< D’accordo,
ho capito, me ne vado. >> parlò Angela,
baciandomi una guancia <<
Sei hai bisogno chiama. Edward, piacere di averti conosciuto! Fai
un’altra
volta lo stronzo e ti castro. >> sorrise a trentadue
denti e si diresse
verso la porta.
Avrei voluto
sotterrarmi.
<< Carina.
>> commentò Edward, precedendomi sulle scale
<< Non sali? >>
<< Sì, sì.
Certo, vieni. >> risposi, dopo un attimo di confusione.
<< Tieni la
porta aperta, Bells! >>
<< Papà!
>> lo ammonii, sentendo Edward sghignazzare dietro di me. Dio, che imbarazzo!
Quando raggiungemmo
la mia stanza, rimasi impietrita sulla soglia. Nessun ragazzo era mai
entrato
in quel luogo… Pensare che Edward fosse stato il primo, mi
mandava il cervello
in pappa.
<< Carina la
tua stanza. >> parlò, mentre si guardava
intorno << Molto carina.
>>
<< Grazie.
>> risposi imbarazzata, chiudendo la porta.
<< Tuo padre
ha detto di non chiudere… Devo pensare che tu voglia abusare
di me, per caso?
>> domandò, alzando un sopracciglio malizioso.
<< C…cosa?
No, certo che no, ma… ma non diceva sul serio.
>>
<< Bella,
respira. >> sussurrò sul mio viso, girando la
chiave << Io di te
abuserei volentieri. >> diventai rossa come un pomodoro
maturo.
<< Sei… sei
sempre il solito maniaco! >> affermai accaldata,
prendendo le distanze.
Edward mi aveva
bloccato tra lui e la porta; sentire il suo fiato sul mio viso, era una
tentazione troppo forte alla quale resistere. Dovevo uscire di
lì!
Non feci neanche
due passi. La mano di Edward mi afferrò il braccio sinistro,
facendomi voltare
verso di lui e, con forza, premette le sue labbra sulle mie.
Rimasi immobile per
diversi secondi, gli occhi aperti e granati, nonostante Edward se ne
stava
fermo lì. L’altra mano appoggiata sul mio fianco,
gli occhi chiusi… Era in
attesa. Stava aspettando una mia reazione.
Non appena la
sorpresa svanì, mi ritrovai a baciarlo con veemenza. Le mie
braccia si arpionarono
attorno al suo collo, le mie dita si tuffarono nei suoi capelli. I
nostri corpi
erano totalmente schiacciato l’uno sull’altro,
percepivo il suo calore da sotto
i vestiti. La sua lingua, avida, cercava la mia, mentre i miei denti
brandivano
la sua carne. Non mi accorsi nemmeno che c’eravamo mossi,
finché non percepii
l’ostacolo del letto dietro le ginocchia.
Non ci interessava
granché.
Cademmo sul letto
come due pesi morti, troppo presi l’uno dall’altra
perché ci importasse
qualcosa dei modi da tenere.
Le nostre gambe si
intrecciarono davvero per la prima volta, e le mani di Edward
– calde ed
esperte – accarezzavano la mia pelle nuda, sotto la
maglietta. Inclinai la
testa, in cerca d’aria. Edward, di tutta risposta, non si
staccò… Al contrario,
scese a baciarmi il collo; lo morse e lo leccò, facendomi
provare una
sensazione sconosciuta. Avevo caldo – troppo
caldo. Quando le dita di Edward sfiorarono il mio seno non riuscii
più a
trattenere i gemiti.
<< Così ci
sentiranno… >> sussurrò a fatica,
mentre mi mordicchiava il lobo destro.
<< E… e
allora smetti… smettila… >>
<< So che
dovrei, ma non riesco. >> disse, tornando a baciarmi le
labbra.
Presa da
un’irruenza che non mi apparteneva, lo spinsi sotto di me,
salendogli a
cavalcioni. In risposta al mio gesto, Edward portò le mani
sulla mia schiena
accarezzandomi le natiche con bramosia. Spinta
dall’eccitazione, strusciai il
bacino contro il suo… Era dannatamente eccitato! Ed io con
lui.
<< Cazzo,
Bella… Fermati tu, adesso. >> disse ansante,
sconvolto dalle mie spinte
<< Non rispondo delle mie azioni se continui
e… e non voglio fare l’amore
con te mentre ci sono i tuoi genitori al piano di sotto.
>> quella frase
mi gelò. Oh, cazzo. I miei genitori sono al piano di
sotto!, pensai, fermandomi
di colpo.
Edward si alzò un po’,
mettendosi a sedere al centro esatto del letto – ovviamente,
io gli ero ancora
addosso.
<< Mi hai
fatto prendere un colpo, Bella, te ne rendi conto? >>
domandò piano,
appoggiando la testa sul mio petto.
<< Io… Mi
dispiace. >> riuscii a dire, imbarazzata dal suo gesto
così dolce e
intimo. Adesso ti imbarazzi?,
domandò la solita vocina. Fino a
due minuti fa vi stavate strusciando
come due conigli in calore e adesso ti imbarazzi? La ignorai.
Edward stringeva le
sue braccia intorno al mio corpo, come per constatare realmente che
fossi lì,
viva e in carne e ossa. Non eravamo mai stati così vicini
– non in una
situazione del genere, almeno. Non sapendo bene come agire, appoggiai
il mento
sulla sua testa e iniziai ad accarezzargli i capelli.
<< Se stringi
ancora un po’ mi soffocherai, Edward. >> dissi,
sorridendo.
<< Ho avuto
paura di perderti, Bella. Io ti avevo persa… Tutto quello
che avevo fatto non
era servito a niente, tu eri morta. >>
<< Ma adesso
sono qui. >> ribattei, dandogli un leggero bacio sulle
labbra.
C’era una cosa,
però, che dovevo sapere. Avevo bisogno di capire se quello
che avevo sentito era
vero.
<< Edward,
tu… Quando stavo morendo, hai detto qualcosa…
>>
<< Ho detto
che ti amo. >> rispose serio, senza nemmeno farmi finire
la frase
<< Perché ti amo, Isabella Marie Swan. Ti amo
davvero. >>
<< Non
capisco. >> ammisi, cercando di placare le urla del mio
cuore in festa
<< Avevi detto che… >>
<< Ho
mentito, Bella. >> rispose, come se quella
verità avesse dovuto essere
ovvia anche a me << Ho dovuto farlo. Da quando ti ho
conosciuta, ho
scoperto un modo totalmente nuovo di vedere le cose. Un modo migliore,
che va
oltre gli ordini o la razionalità. Mi hai sempre
incuriosito… Fin da quando fu
annunciato lo scambio con Tanya. Eri così diversa, testarda
soprattutto, ed io
non capivo perché non mi sopportassi. Il problema non ero
io, però, era il mio
modo di agire. Chi diavolo eri tu? Era come se ti credessi migliore,
speciale,
nonostante io avessi sacrificato tutta la mia vita per essere il diamante. Non ti tolleravo, nonostante
provassi
curiosità nei tuoi confronti. Però avevo un
ordine da rispettare… Il conte mi
aveva detto che l’unico modo per assicurarmi la chiusura del
cerchio sarebbe
stato piegare il tuo volere al mio, e come uno stupido gli ho dato
retta!
>>
<< Quando ti
ho chiesto di spiegarmi hai ammesso tutto questo, ma non capisco
perché hai
negato quello che sentivi per me. >> era giunto il tempo
della verità.
<< Perché
tornando dal palazzo di Lady Jane, mi hanno attaccato. Se non fosse
stato per
Emmett, molto probabilmente, non sarei qui a parlare con te.
>>
<< Emmett?!
>> domandai confusa, allontanandomi un po’ per
guardarlo in faccia.
<< Sì.
>> rispose, facendomi scivolare sul letto,
affinché potesse alzarsi
<< Stavo tornando dalla casa di Lady Jane e un uomo mi ha
assalito. Credo
facesse parte dello stesso giro di quello che abbiamo incontrato alla soirée. >> al
ricordo raggelai
<< Comunque, non me lo aspettavo e mi aveva disarmato,
quando
improvvisamente è saltato fuori Emmett e lo ha ucciso.
>>
<< Come?
Cosa? >>
<< Gli ha
sparato alle spalle, poco prima che mi pugnalasse. Di primo acchito, ho
pensato
di battermi, ma aveva qualcosa da dirmi e così
l’ho ascoltato. >> si
avvicinò alla giacca, che aveva precedentemente appoggiato
sulla sedia della
scrivania << E mi ha dato una cosa. Non avevo mai capito
niente, Bella. Pensavo
davvero che il conte di Saint Germain volesse chiudere il cerchio per
trovare
una medicina miracolosa, invece… >>
<< Invece?
>> lo spronai a continuare.
<< Invece
vuole solo qualcosa per se stesso ed anche a caro prezzo.
>>
<< Il prezzo
è la mia morte, dico bene? >> domandai, e il
suo silenzio mi bastò per
capire che avevamo avuto sempre ragione << Il cerchio si
chiuderà davvero
solo dopo che io sarò morta. Ma cosa genererà
questa chiusura? >>
<< Non lo so.
Ma Emmett e Rosalie lo sanno, ed io so che tu li hai visti!
>> aumentò di
poco il tono della voce, parandosi davanti a me << Cosa
sanno, Bella?
>>
<< Non me lo
hanno mai detto. >> sospirai, sedendomi sul baule
<< Non volevano
che il cerchio si chiudesse, questo l’hanno detto
più volte. Mi hanno dato
anche degli scritti segreti del conte, ma manca la conclusione
– l’ultima
profezia, insomma. >>
<< Questa,
forse? >> chiese lui, porgendomi un pezzo di carta
ingiallito dal tempo.
« Il
cerchio di sangue giunge a conclusione, la pietra è dell'eterno
realizzazione.
La veste della gioventù si
accresce di nuova energia,
che dà potere immortale a
colui che porta la magia.
Ma, attenzione, quando la
dodicesima stella sorgerà
il destino di quanto è terreno
si compirà.
La gioventù si scioglie, la
quercia è condannata
a decomporsi in quest'epoca
buia e odiata.
Soltanto quando impallidisce
la dodicesima stella,
l'aquila raggiungerà per
sempre la sua meta più bella.
Sappi dunque, una stella si consuma
per amore,
se sceglie liberamente di
struggersi il cuore. » ¹
Come
accadeva di
consueto, quando leggevo le filastrocche dell’orrore del
conte, la pelle mi si
accapponò e cominciai a percepire brividi lungo la schiena.
<< La
dodicesima stella sono io. >>
<< Prima non
riuscivo a capirla! >> urlò, cominciando a
camminare come un pazzo avanti
e indietro per tutta la stanza << Ma adesso è
tutto chiaro! La chiusura
del cerchio dipende da te! La magia di cui parla è quella
del corvo, tu hai la
magia del corvo. Rosso rubino, che ha la
magia del corvo nel cuore, chiude il cerchio dei dodici in sol maggiore!
Tu
sei immortale, Bella, è questa la tua magia del corvo.
>>
Sgranai gli occhi,
aprii la bocca sconvolta e il cuore cessò i suoi battiti.
Era forse impazzito?
Io immortale? Avevo accettato
tutto,
qualsiasi cosa. Ma questo era troppo. La gente non era
immortale… La gente
nasceva, cresceva e poi moriva. Era così che andava. Non
esisteva l’elisir di
lunga vita, non…
<< So che sei
sotto shock, adesso, ma è l’unica spiegazione,
Bella. >> parlò Edward,
sedendosi accanto a me << Questo è il motivo
per cui sei qui. Tu non puoi
morire. >>
<< È così
assurdo… Come può essere possibile, una cosa del
genere? >>
<< C’è
qualcosa di normale nella nostra vita? >> chiese lui,
accarezzandomi il
viso << Siamo delle gemme con un potere straordinario,
riusciamo a
viaggiare nel tempo! >>
<< Ma
l’immortalità è un’altra
cosa, Edward, non trovi? >>
<< La veste della
gioventù si accresce di nuova
energia, che dà potere immortale a colui che porta la magia.
Gli scritti
non mentono, Bella, o il conte non si sarebbe accertato di farli
sparire. Tu
possiedi il potere dell’immortalità e
lui… >>
<< E lui lo
vuole. >> affermai certa, interrompendolo
<< Ecco a cosa serve il
cerchio. Io discendo direttamente da Caterina Petrona! La prima gemma
della
dinastia femminile, l’opale. Lei aveva il mio stesso dono, ma
qualcuno glielo
ha tolto. Io concludo il cerchio, la linea di sangue torna ad essere
dove
doveva stare. È questo che il conte vuole: la mia
immortalità. >>
<< Ma non può
averla. >> affermò Edward, notevolmente
pensieroso << Abbiamo
appurato che nessuno può ucciderti! >>
<< Ci sarà un
trabocchetto, qualcosa che negli scritti è ben nascosto, un
cavillo… >>
<< Dobbiamo
introdurci nella loggia. >>
<< Cosa? Sei
pazzo? >> chiesi, pensando realmente che si fosse
ammattito.
<< No, ma
dobbiamo parlare con mio zio e tua cugina e l’unico modo per
farlo è tornare da
Lady Gilbert! Lei li sta nascondendo, perciò lei
saprà come e dove trovarli. E
una volta saputo tutto dovremmo far sparire il cronografo, esattamente
come
fecero loro due diciassette anni fa. >>
<< E come
vorresti farlo? Saltare indietro, come hanno fatto loro, e rimanere
bloccato lì
senza possibilità di ritorno? >>
<< Sì!
>> urlò di getto, quasi spaventandomi. Non lo
avevo mai visto così deciso
e padrone di qualcosa.
<< Ma cosa
stai dicendo? >>
<< Farò tutto
ciò che è in mio potere per salvarti la vita,
Bella. >> disse infine,
facendomi scoppiare il cuore di gioia.
Edward Cullen era
innamorato di me. Mi amava davvero, sopra ogni ordine ed ogni regola.
Si
sarebbe perfino sacrificato, pur di non farmi correre rischi. Ed io
amavo lui.
In modo incondizionato e totalizzante. Proprio
per questo motivo non posso permettertelo.
<< Cercheremo
un’altra strada, Edward, mi hai capito? >>
domandai decisa, prendendo il
suo volto tra le mie mani << Non so se ciò che
abbiamo capito sia vero o
meno, e non m’importa neanche. Non riesco ad immaginarmi
un’eternità senza
avverti accanto, ma per adesso so per certo che voglio te per il resto
della
mia vita. >>
<< E allora
cosa facciamo? >> domandò, premendo la fronte
contro la mia e sfiorando
le mie labbra con le sue.
<< Andiamo a
casa tua e cerchiamo il vecchio cronografo. >>
<< Come?
>> domandò, evidentemente confuso.
<< Emmett e
Rosalie hanno nascosto il vecchio cronografo nella stanza di Jasper, o
almeno,
in quella che era la vecchia stanza di Jasper, prima della
ristrutturazione.
Possiamo cercarlo e aggiungere il nostro sangue a quello e concludere
il
cerchio prima del conte! Devi solo dirmi che sai dove si trova, Edward.
>>
<< So dove
potrebbe essere. >> rispose, sorridendo sghembo.
Restammo in camera
mia a baciarci a lungo, evitando di parlare di cose che non riuscivamo
a
comprendere. Quando si fece troppo tardi, mio padre salì per
invitare Edward a
tornare a casa.
Lo accompagnai di
sotto, lasciando che mi baciasse con passione e amore davanti a tutti
quanti –
Tanya compresa. Lui era mio ed io
ero
sua, contava solo questo adesso.
<<
Complimenti, campagnola. >> ringhiò Tanya alle
mie spalle.
<< Sono
stanca, Tanya, voglio dormire. >> mi lamentai, non avendo
alcuna
intenzione di discutere, quella sera.
<< Non ti
senti in colpa neanche un po’, vero? >>
<< In colpa
per cosa? >> domandai, voltandomi contro voglia.
Era la personificazione
dell’ira.
Indossava dei jeans
stretti e una camicia color cipria, che definire attillata sarebbe
stato un
insulto per i veri capi attillati. I capelli erano legati, avvolti in
una
crocchia leggera alla base della testa, mentre il ciuffo e alcune
ciocche mosse
le ricadevano sul viso perfettamente truccato. Le braccia erano
incrociate
sotto il seno, mentre gli occhi azzurri spruzzavano fuoco vivo.
<< Hai rubato
la mia missione, il mio scopo nella vita, mi hai rubato Edward! Mi hai
rubato
il rispetto di Lady Lillian! E per te sembra non contare niente! Io ti
detesto,
Isabella. La mia vita era migliore prima del tuo arrivo qui!
Non… non potevi
rimanere dove stavi? >> non ci vidi più,
così la schiaffeggiai.
<< Primo,
piantala con questa storia del furto: io non ti ho rubato niente! Per
quanto mi
riguarda, potevi tenerti tutto! Il tuo stupido dono, la tua stupida
missione,
il tuo stupido cerchio! E per quanto riguarda Edward, mi dispiace! Non
avevo
calcolato di innamorarmi di lui! E mi dispiace che lui si sia
innamorato di me!
E puoi anche non crederci, brutta vipera che non sei altro, ma a me
dispiace
che tu stia soffrendo così tanto! E secondo, anche io stavo
meglio a Forks, ma
il mio destino era qui. Come il tuo, evidentemente, ti aspetta altrove.
Perciò,
piantala di fare la vittima e la ragazzina incompresa,
perché non lo sei. Sei
la regina delle stronze, Tanya, e la cosa peggiore è che sei
la prima a
vantartene. >> conclusi furente, entrando in camera mia.
Sbattei la porta con
forza e la chiusi a chiave, onde evitare che in un momento di raptus le
venisse
la brillante idea di soffocarmi con un cuscino nel sonno. Certo, ero
immortale,
ma con Tanya era sempre meglio prevenire anziché curare.
Decisi di farmi una
doccia, prima di sprofondare tra le calde coperte. Avevo bisogno di
togliermi
di dosso tutte le novità delle ultime ore. L’unica
cosa che mi dispiaceva era
lavarmi via l’odore di Edward… Sorrisi come una
sciocca, conscia che ci
sarebbero stare altre volte – mille altre volte.
Quando il getto
caldo mi colpì, penetrandomi fin dentro le ossa, mi sentii
notevolmente meglio.
Il conte di Saint Germain aveva giocato con le nostre vite fin dal
principio e
noi, ingenuamente, glielo avevamo permesso. Con Edward dalla mia parte,
però,
mi sentivo più forte; più sicura e più
battagliera che mai. Lui non avrebbe
vinto, non glielo avremmo mai permesso.
Quando raggiunsi il
letto, vidi il display del mio iPhone accendersi. Era un messaggio:
“Questa notte penserò a
te, a ciò che è
successo in camera tua e immaginerò ciò che
accadrà davvero tra noi, quando tutta
questa storia sarà finita. Dormi bene, mia Bella, tu sei
l’unica che mi abbia
mai rapito veramente il cuore. Ti amo. E.”
Con il sorriso di
poco prima, mi infilai sotto le coperte, stritolando il cuscino. Quando questa storia sarà
finita…, mi
fermai a pensare. Non aspettavo altro.
Mi addormentai così,
consapevole che l’indomani avremmo girato l’ultimo
atto di questa assurda
commedia. L’atto più duro, ma anche quello
decisivo, finalmente.
¹. La
filastrocca fa parte del terzo volume della trilogia ufficiale di
Kerstin Gier,
Green.
Eccomi di nuovo qui!
Sono stata brava questa volta, vero? XD io dico di sì
ù.ù comunque... I nodi stanno arrivando al
pettine, a quanto pare. Finalmente è venuta fuori la vera
magia del corvo e finalmente si è capito perché
il conte vuole la morte di Bella... Ma c'è ancora un piccolo
cavillo: come uccidere chi non può essere ucciso? Per chi
conosce la trilogia originale, il finale sarà molto mio. Quindi se
credete di sapere come farà il conte e tutto il resto,
beh... aspettate a cantare vittoria XD Per chi non ha letto la
trilogia, vi comunico che il PROSSIMO CAPITOLO sarà anche
l'ULTIMO CAPITOLO! Ebbene sì, la storia avrà -
con certezza - venticinque capitolo + un DOPPIO EPILOGO. Questa
è la novità di questa storia XD e poi capirete in
cosa consiste e cosa si intenderà per "doppio epilogo".
Cos'altro dirvi? Spero che il capitolo vi sia piaciuto! E spero di
essere puntuale anche la prossima settimana per l'ultimo atto di questa
storia.
Grazie ancora per il sostegno che mi date seguendomi! :) lo apprezzo
davvero, davvero, davvero tanto.
Un bacione a tutti! :*
Un saluto a tutti i lettori!
Oggi non mi dilungo molto, ma ci tenevo ad informarmi che questo
capitolo - l'ULTIMO CAPITOLO, per esattezza - sarà piuttosto
lungo. Nel
mio gruppo su Facebook, infatti, ho chiesto se era preferibile
tagliarlo o no; la risposta è stata "Assolutamente no!".
Segue, quindi, un capitolo di 26 pagine Word XD e spero vivamente che
tutti abbiate la voglia di leggerlo, anche - e soprattutto -
perché in questa ultima scena sono state concentrate
parecchie cose: i nodi vengono finalmente al pettine, tutte le domande
avranno una risposta. Per quanto riguarda
le recensioni, in serata risponderò a tutte, promesso! Detto
questo, quindi, vi lascio alla lettura! Dopo il capitolo, comunque,
ci sarà un chiarimento sul doppio epilogo che vi pregherei
di leggere :) .
25.
«
L’amore è vita,
e la vita ha qualcosa di immortale. » Emily Dickinson.
<<
Giù dal
letto, ragazza immortale! >> urlò qualcuno,
facendomi saltare per aria.
La sera prima mi
ero addormentata senza troppa fatica. Mi sentivo riposata, adesso, come
non lo
ero da molto tempo. Tutti i tasselli del puzzle erano andati finalmente
al loro
posto; il rapporto con Edward si era evoluto parecchio. In conclusione,
mi
sentivo la ragazza più felice del mondo, quella mattina.
Meno felice,
invece, era stato il mio traumatico risveglio.
<< Alice,
cosa diavolo ci fai qui? >> domandai, comprendoni la
testa col cuscino.
<< Che
domande, sono venuta a prenderti! >> rispose, urlando di
gioia <<
Edward mi ha spiegato tutto, ieri sera! Cavolo, immortale, ma ti rendi
conto?
Potrei spararti, accoltellarti, spingerti sotto un autobus, toglierti
la pelle,
estrarre le tue budella… >>
<< Dio mio,
Alice, ma che razza di film guardi? >> chiesi, stando per
vomitare.
Non era di certo
una cosa da immaginare di prima mattina.
<< Non è
questo il punto! >> rispose il pazzo elfo
<< Il punto è che non
puoi morire. La trovo una cosa grandiosa! >>
<< Oh, Alice.
>> l’ammonii, provando il bisogno di tornare a
dormire. Stavo anche
sognando Edward, che cavolo.
<< Avanti,
poltrona, alzati. >> insistette lei, scoprendomi
completamente <<
Non hai bisogno di sognare Edward nudo, tanto lo vedrai presto senza
vestiti.
>> continuò seria, facendomi scattare in piedi
per l’imbarazzo <<
Preparati, io e Jasper ti aspettiamo di sotto. >>
<< Ma… Ma tu
come fai a sapere che… >>
<< Che lo
stavi sognando o che presto lo vedrai nudo? >> chiese,
aprendo la porta
della mia stanza per uscire.
<< Entrambe,
direi. >>
<< Io ho uno
spiccato senso nel prevedere le cose, Bella. >> rispose,
facendomi
l’occhiolino << Posso dire di aver visto il tuo
futuro! Ed esso è molto…
piacevole. >> concluse, lasciandomi in piedi, in mezzo
alla stanza, come
una perfetta imbecille.
La
colazione e
tutta la preparazione per uscire di casa – doccia, vestiario,
piega, trucco –
passarono in fretta. Poco più di un’ora dopo,
infatti, mi trovavo nell’auto di
Jasper – che non era affatto quella della volta precedente.
In questa
occasione, sfoggiava una Land Rover nera lucente. Era tutto di quel
colore,
compresi gli interni, le rifiniture e le cinture di sicurezza.
<< Cosa vi ha
detto Edward di preciso? >> chiesi, dopo qualche minuto
di viaggio.
<< Un po’ di tutto.
>> rispose Jasper, svoltando con maestria
<< Quando è rientrato a
casa ha iniziato a rivoltarla come un pazzo. Se non ci fossimo stati io
ed
Alice, molto probabilmente, avrebbe fatto uscire mamma e
papà dalla loro
stanza. >>
<< Cercava il
cronografo. >> sussurrai, forse un po’ troppo
ad alta voce.
<< E l’ha
trovato! >> squittì Alice, voltandosi verso di
me.
<< Cosa?
Come? Dici sul serio? >> domandai, travolta da una
scarica di adrenalina.
<< Sta
aspettando te per decidere cosa fare adesso. >> rispose
Jazz, sempre fin
troppo tranquillo.
Risprofondai nel
sedile posteriore, lasciando che la mia mente vorticasse
chissà dove.
Emmett e Rosalie
dicevano la verità. Non erano i traditori che tutti avevano
sempre pensato;
loro sapevano tutto, avevano scoperto
tutto, e volevano davvero salvarmi, salvare tutti quanti. Se solo li avessimo ascoltati prima…,
pensai amaramente.
Ma quando sarebbe
dovuto essere questo prima? Mia
cugina e il suo compagno avevano fatto quel salto, che era costato loro
tutto,
poco dopo la mia nascita. Come avrei mai potuto impedire questo?
<< Siamo
arrivati, Bella. >> sentii dire da Jasper.
Quando alzai gli
occhi, mi trovai in un enorme garage.
Ero già stata a
casa Cullen, ma quella visita mi costò cara. Non avevo
comunque visto molto, se
non la gigantesca palestra privata, dove Edward mi gettò
addosso tutto il suo
disprezzo.
<< Ma non c’è
nessuno. >> dissi, guardandomi intorno.
Il salotto era
immenso, così come tutta l’enorme villa. Aveva
un’aria antica e moderna al
tempo stesso; gli ampi muri bianchissimi, le grandi colonne che univano
le
spettacolari arcate, le vetrate cristalline e sparse ovunque. Ai
Cullen, potevo
dirlo, piaceva lo spazio.
<< Se
qualcuno soffre di claustrofobia, qui da voi, non corre rischi.
>>
<<
Finalmente, vi stavo aspettando! >> mi voltai verso
quella voce.
Edward stava
scendendo la grande scalinata centrale, per correre da me. Indossava
una tuta
grigio piombo, con bordi neri; la felpa era di quelle con la cerniera e
il
cappuccio. La cosa che mi colpii maggiormente, però, era che
fosse scalzo.
<< Ciao…
>> mormorò a pochi centimetri da me.
<< Ciao…
>> risposi nello stesso modo, mordicchiandomi il labbro
inferiore.
<<
Interessante questo scambio di saluti, ma ci muoviamo? >>
intervenne
Alice, spingendoci con troppa forza << Esme e Carlisle
non ci sono, ma vi
aspettano alla loggia intorno alle due e mezza. Nessuno ha fatto
domande sul
fatto che Bella oggi saltasse la scuola, Renée ha chiamato
per dire che non ci
sarebbe andare a causa dello shock preso alla soirèe,
quindi avete tutta la mattina. Però dobbiamo muoverci,
Jasper non può assentarsi, e sta già perdendo
tutta la prima ora! >>
<< Da quando
sei così organizzata, mostriciattolo? >>
chiese Edward, prendendomi la
mano, mentre salivamo le scale.
<< Da quando
il tuo misero cervellino sa partorire solo la parola
“ciao”, idiota. >>
<< Questo mi
ferisce. >> parlò sofferente, mettendosi la
mano libera sul cuore.
<< Oh, sono
sicura che Bella curerà tutte le tue ferite.
>> rispose lei, sorridendo maliziosa
<< Ora, però, muoviamoci! >>
<< Vedete
perché la amo? E pensate che è così
anche a letto. >> ci informò Jasper.
<< Jasper!
>> urlammo tutti e tre all’unisono, sperando di
non sentire più
determinate cose – per lo meno, io ed Edward.
Quando raggiungemmo
la camera di Edward per poco non mi cadde la mascella a terra. Non era
una
stanza, era un mini appartamento! Gli mancava solo la cucina.
Le pareti erano
bianche, come quelle di tutta la casa, in fondo – a sinistra
dell’ampio balcone
– c’era un letto matrimoniale con la testiera nera;
tutta la parete destra era
ricoperta da un vistoso armadio che, tanto per non farsi mancare nulla,
diventava una gigantesca libreria – piena di libri e CD. Accanto alla
porta, invece, sulla
sinistra, si apriva un piccolo angolo-salotto, composto da due divani
neri in
pelle e un tavolino, al centro di essi, bianco. Per concludere, al
centro
esatto della parete sinistra, era situata la porta per il suo bagno
privato.
<< Miseria,
ecco perché hai definito la mia stanza
“carina”. >>
<< Io sono il
fratello maggiore, quindi papà mi ha lasciato arredare la
stanza come volevo.
>> rispose lui, sghignazzando, mentre mi tirava dentro
con lui.
<< Io sono
figlia unica. >> dissi, guardandomi ancora intorno
<< Penso, quindi,
che tu abbia la scusa del “primogenito” io avrei la
nomina della “viziata” se
sfoggiassi una stanza del genere. >> scoppiò a
ridere, ma non rispose.
Edward lasciò le
mie mani, dandomi un leggere un bacio sul naso, e si diresse
nell’armadio. Si
inginocchio davanti ad esso e, sparendo al suo interno, estrasse una
cassa di
legno molto vecchia.
<< Ecco
quello che stavamo cercando. >> mormorò
Jasper, al mio fianco. Il cronografo…,pensai,
fissando i movimenti di Edward come
se ne fossi ipnotizzata.
Come la prima volta
che vidi quello della loggia, ne rimasi delusa. Erano identici.
Un orologio da
taschino, di dimensioni tre o quattro volte più grandi,
posizionano su una
scatoletta quadrata – marrone scuro – dove vi era
intagliata una piccola
fessura. Le dodici ore, all’interno del quadrante, erano
fissate interamente
con pietre preziose, che seguivano un cerchio cronologico perfetto: un
opale
bianco, l’ambra, un’agata multicolore,
l’acquamarina, lo smeraldo di un verde
intenso, un quarzo citrino giallastro, due corniole aranciastre, una
giada sull’azzurro/verde
pastello, la tormalina nera, uno zaffiro completamente blu, il diamante
e,
infine, un rubino rosso come il sangue.
<< Wow, è la
prima volta che vedo un cronografo. >> disse Alice,
rivolgendosi a
Jasper.
<< Non dirlo
a me, tesoro. >> rispose << Tu almeno
lavori nella loggia, io sono
quello anormale. >>
<< Normale,
vorrai dire. >> replicai, voltandomi per guardarlo in
faccia.
<< In una
famiglia dove tutti sono speciali, l’essere normale
è un fattore anormale.
>>
Rimasi ferma e in
silenzio, cercando di rielaborare le sue parole. Forse, non aveva tutti
i
torti.
<< Cosa si
fa, adesso? >> chiesi, decisa ad andare fino in fondo.
<< Per usarlo
tu ed Edward dovrete mischiare il vostro sangue. >>
rispose Jasper,
estraendo il taccuino di Emmett.
<< Ma se lo
fanno il cerchio sarà completo. >> disse
Alice, guardando tutti noi.
<< Ma se non
lo mischiamo, sarà tutto inutile. >>
ribatté Edward, pulendosi le mani
sui pantaloni << L’unico modo per tornare
indietro e parlare con Rosalie
ed Emmett è attraverso un cronografo. Quello della loggia
è fuori discussione:
troppo sorvegliato, sarebbe un suicidio. L’unica nostra
possibilità è questa.
>>
<< Ha ragione
lui. >> risposi, compiendo qualche passi verso
l’oggetto.
<< Ma non
potete chiudere il cerchio! >> strillò Alice
sull’orlo di una crisi
isterica << Il cerchio si chiude e il rubino muore!
>>
<< Forse no.
>> risposi << Sono immortale, per avere la
mia immortalità non
basta chiudere il cerchio. Ricordate la profezia? >>
domandai, prima di
citarla << Il cerchio di sangue
giunge a conclusione, la pietra è dell'eterno realizzazione.
La veste della
gioventù si accresce di nuova energia, che dà
potere immortale a colui che
porta la magia. ¹
>>
<< La
chiusura del cerchio fa in modo che chiunque possa ottenere
l’immortalità di
Bella. >> spiegò Edward, catturando
l’attenzione di tutti noi <<
Quindi non è il cerchio che stabilisce la sua morte, ma
è quello che succede
dopo. >>
<< Soltanto quando impallidisce
la dodicesima
stella, l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta
più bella. ¹
>> recitò Jasper, questa volta
<< Credo tu abbia ragione. Una volta chiuso il cerchio,
l’aquila – che è
l’animale corrispondente allo smeraldo, ossia il conte
– deve uccidere
l’immortale. >>
<< Ma se non
sa che il cerchio è stato chiuso, non potrà fare
nulla. >> concluse
Alice, sospirando più sollevata.
<< Allora che
facciamo? >> domandai ad Edward <<
Chiudiamo questo maledetto
cerchio? >> mi guardò intensamente, ma non
rispose.
Si allontanò, poco
dopo, estraendo un coltellino svizzero e una piccola ampolla da uno dei
cassetti dell’armadio.
<< Che
diavolo vorresti fare con quello?
>> chiesi allarmata, sgranando gli occhi.
<< Dobbiamo
farci un piccolo taglietto sul dito, dopodiché metteremo una
goccia di sangue
nell’ampolla e la dovremo inserire sotto le nostre pietre.
>>
<< Perché non
mi sorprende che tu sappia farlo? >>
<< Ho
assistito all’aggiunta del mio sangue ed anche del tuo.
>> rispose,
sorridendo sghembo << Il tuo ragazzo è un
pozzo di scienza, piccolina.
>>
Il coltello,
l’ampolla, il sangue… Tutto passò in
secondo, ma anche in terzo o quarto,
piano. Aveva detto che era il mio ragazzo?
Il cuore esplose di gioia!
Non cogliendo il
mio momento di shock, Edward si scheggiò il dito indice,
premendo leggermente
il polpastrello affinché uscisse una goccia di liquidi rosso
cremisi.
Dovetti distogliere
lo sguardo.
L’odore metallico
del sangue mi nauseava sempre, fin da quando ero piccola. Tutti
sostenevano che
il sangue fosse inodore, ma per me era una stronzata colossale. Quel coso odorava, e anche tanto!
<< Bella,
tutto bene? >> domandò Jasper, vedendomi
pallida.
<< Non
sopporto la vista e l’odore del sangue, tutto qui.
>>
<< Ho quasi
fatto, ora lo aggiungo. >> mi informò Edward,
camminando verso il
cronografo.
Quello che
successe, non appena il diamante
inserì la goccia del suo sangue in un cassettino
rettangolare nascosto sotto
l’undicesima ora, attirò la mia attenzione. Le
lancette dell’orologio,
posizionato in alto, cominciarono a roteare furiose; una luce
abbagliante –
simile a quella dei salti – si propagò per tutta
la stanza: un suono, simile al
trillo di una vecchia sveglia, ci vibrò nelle orecchie. Poi,
come tutto era
cominciato, finì.
<< Wow.
>> sussurrò Jasper, con un tono meravigliato.
<< Hai detto
bene, tesoro. >> replicò a sua volta Alice,
che si strofinava gli occhi.
Edward, dal canto
suo, era la tranquillità fatta a persona.
<< Tocca a
te, Bella. >> disse, infine, guardandomi intensamente
negli occhi
<< Siediti sul letto, Dio non voglia che tu possa
svenire. >>
impettita mi avvicinai.
<< Non ci
allarghiamo. >> dissi, accomodandomi <<
Sono sensibile al sangue,
ma non sono mica una pappamolla! >>
<< D’accordo,
d’accordo! >> rispose, sghignazzando
<< Dammi la mano. >>
disse, poi, tornando serio. Lo feci.
Quando la lama mi
taglio la pelle, trasalii. Era un taglio molto piccolo, ma piuttosto
doloroso.
Voltai il viso, quando le dita di Edward strinsero la mia ferita per
far
sgorgare il liquido rosso nella seconda ampollina.
Quando anche il mio
sangue venne aggiunto, quello che era successo qualche attimo prima
sembrò
nulla a confronto.
Le dodici pietre
sprigionarono una luce meravigliosa. Il primo da accendersi fu il
rubino, che
spinse anche tutte le altre gemme a lampeggiare. Un arcobaleno di
colori –
troppo intensi per occhi umani – si sprigionò,
trapassando perfino i muri della
casa. Le lancette si misero in moto e, quando entrambe si fermarono sul
numero
dodici – la cui gemma era proprio il rubino
– si alzò una rintocco di campane. Suonarono
dodici volte. Quando finirono,
però, la cassa inferiore del cronografo si aprì,
scoprendo una boccetta di
vetro trasparente che, al suo interno, celava un liquido cangiante.
<< Cosa
diavolo è, quella? >> domandai, tirandola
fuori.
<< L’elisir
di lunga vita? >> disse per scherzo Alice, anche se molto
probabilmente
non aveva tutti i torti.
<< Cosa
dobbiamo farne? >> chiese Jasper, avvicinandosi mesto.
<< Non lo so,
forse dovremmo portarlo ad Emmett e Rosalie. >> propose
Edward, facendosi
passare la boccetta << Loro sapranno sicuramente
cos’è di preciso, ma soprattutto
sapranno cosa farne. >>
<< D’accordo,
quindi andiamo? >> domandai, alzandomi in piedi.
<< Vi servono
questi! >> squittì Alice, tirando fuori due
sacche nere.
<< Hai ucciso
qualcuno, per caso? >>
<< Non essere
sciocca, Bella. >> rispose, liquidandomi con una mano
<< Non potete
andare nel 1912 senza un vestiario impeccabile, dareste troppo
nell’occhio. Li
ho cucini tutta la notte, con quel poco di materiale che mi rimaneva in
casa.
Non è nulla di vistoso, ma rispecchia lo stile del periodo.
>>
<< Alice,
ricordami di farti un’enorme regalo, quando tutta questa
storia sarà finita.
>> disse Edward, baciandole sonoramente una guancia.
<< Me ne
ricorderò, tranquillo. Ho visto giusto un abito di Gucci che
è spettacolare!
>> a quella rivelazione, Edward alzò gli occhi
al cielo, scuotendo la
testa.
<< Io devo
andare. >> si intromise Jasper, stampando un bacio sulle
labbra del
folletto << E tu farai meglio ad andare alla loggia, sei
in ritardo di
dieci minuti. >>
<< Accidenti!
>> urlò lei, scattando fuori dalla stanza
<< D’accordo, vestitevi e
saltate! Sono le nove e venti, perciò dovrete rientrate per
l’una massimo! Alle
due vi aspettavo a Temple. >> lanciò baci con
le mani e sparì, insieme a
Jasper, giù per le scale.
Senza proferire
parola, mi avvicinai all’armadio per vedere gli abiti. Alice
aveva ragione, non
erano pomposi o raffinati come al solito, ma io li preferivo
così.
Il mio era di un
color panna tendente al lilla; stretto il corpetto e ampia la gonna, ma
non
troppo. Le scarpe, che ricordavano un po’ le francesine che
vedevo al centro
commerciale, erano panna, in tinta col cappellino e il fiocco sotto il
collo. Edward,
invece, aveva una giacca verde bottiglia, con sotto una camicia beige
abbinata
ai pantaloni. Le scarpe riprendevano il colore della giacca.
<< Alice è un
portento. >> sussurrai, staccando i vestiti dalle grucce.
<< Lo so.
>> sentii rispondermi.
Edward era dietro
di me; riuscivo a sentire il suo fiato sul mio collo. Quando
accarezzò i miei
fianchi, lascivamente, dovetti resistere alla tentazione di voltarmi e
spingerlo su quel letto grande, che aspettava solo noi.
<< Edward…
Dobbiamo andare, non c’è tempo. >>
<< So anche
questo. >> rispose, portando le sue labbra sul mio collo.
Lo baciò,
lentamente, alternando anche un po’ di lingua. La sua mano
sinistra si insinuò
sotto la maglietta, fino a raggiungere il mio reggiseno di pizzo,
mentre
l’altra…
Non era la prima
volta le sue dita sfioravano la mia intimità coperta, ma
quello non era il
momento. Nonostante la mia verginità, avevo pulsioni,
ormoni, desideri…
L’inesperienza non mi proteggeva dalla voglia di sentirlo
completamente in me,
in ogni senso e modo.
<< Ok…
>> sussurrò, poco dopo, con voce pesante
<< È meglio prepararci e
andare. Sono mesi che reprimo le mie pulsioni e… e non so
fino a quanto terrò
duro. >>
Sospirai, un po’
contrariata, ma lo potevo capire. Prima la missione, poi tutto il resto.
Ci cambiammo in
poco tempo. Edward mi aiutò ad allacciare l’abito
ed io gli sistemai il
colletto della camicia. Fortunatamente, nel 1912, non c’erano
assurde parrucche
bianche; tutto era più alla mano.
<< Sei
pronta? >> domandò, una volta impostato il
cronografo.
<< Quando
vuoi. >>
Come
la prima
volta, quell’anno mi colpii positivamente. Era tutto
surreale, magico quasi.
Le strade erano
piene di automobili d’epoca, mentre i marciapiedi pullulavano
di coppiette a
passeggio – esattamente come la volta precedente.
Eravamo saltati al
giorno 13 Aprile 1912 – scrupolosamente il giorno seguente al
salto che facemmo
molti mesi prima.
<< Non
avremmo calcolato male i tempi? >> domandai, stringendo
il braccio di
Edward.
<< Cosa
intendi? >>
<< Abbiamo
deciso di tornare al giorno dopo il primo incontro con Emmett e
Rosalie, non
credi che avremmo dovuto saltare più avanti? >>
<< No.
>> rispose deciso << Se Emmett mi
assomiglia anche solo un po’,
tutti i viaggi che ha compiuto sono stati realizzati nelle quarantotto
ore
successive a quell’incontro. Ragion per cui,
l’unica cosa che dobbiamo sperare
è di non essere saltati in un orario sbagliato.
>>
<< Che
intendi per orario sbagliato? >> domandai, fermandoci per
far passare
un’automobile.
<< Nel mentre
stanno facendo un salto o, peggio ancora, sono già saltati.
>>
<< Non ci
avevo pensato. >>
Tra una chiacchiera
e l’altra, arrivammo finalmente alla piccola villetta verde
pastello, situata
all’angolo della strada.
Era esattamente
come l’ultima volta che l’avevo vista: sobria,
situata su tre piani; il tetto
spiovente, marrone scuro, si intonava perfettamente alle mura;
tutt’intorno
alla villetta, poi, era costruito un piccolo recinto bianco, colore che
richiamava i tre piccoli gradini dell’ingresso e i dettagli
della casa.
Quando Edward
suonò, venne ad aprirci un ragazzo bello da mozzare il
fiato. Era alto, su per
giù un metro e ottantacinque, capelli neri – come
gli occhi. Il fisico era
slanciato; muscoloso, ma senza esagerare.
<<
Desiderate? >> chiese, dopo averci squadrati da capo a
piede.
<< Stiamo
cercando Lady Gilbert. >>
<< Avete un
appuntamento, per caso? >> domandò, con aria
arrogante.
Bello era bello,
anzi era proprio un gran figo, ma quell’atteggiamento era da
prendere a
schiaffoni.
<< Sono
sicuro che se la informa che Edward Cullen ed Isabella Swan sono
tornati per
parlare, ci farà entrare. >>
<< Cullen,
eh? >> domandò, alzando un sopracciglio.
<< Fratello,
chi è alla porta? >> sentimmo chiedere ad una
voce maschile – un’altra –
all’interno della casa.
<< Credo
siano il diamante e il rubino. >> rispose
l’arrogante,
senza staccarci gli occhi di dosso << Vogliono parlare
con Elena.
>>
<< E tu falli
entrare. >> disse il secondo ragazzo, sbucandogli alle
spalle.
A differenza del
primo, questo aveva gli occhi di un verde acceso – anche se
non come quelli di
Edward – e i capelli di un castano chiaro, ma non troppo.
Fisico e altezza,
erano quasi identici.
<< Mi stavo solo
divertendo un po’, non è ancora un crimine,
Stefan. >>
<< Scusatelo,
entrate pure. >> disse Stefan sorridendoci mesto
<< Mio fratello
maggiore ha un modo tutto suo di farsi conoscere. >>
<< E che
modo. >> mormorò Edward, facendomi scappare
una risatina.
Arrivati nel
salone, trovammo Lady Gilbert intenta a dipingere.
<< Sapevo che
sareste tornati… >> disse, senza nemmeno
alzare lo sguardo.
<< Non vorrei
mancarle di rispetto, ma perché il ragazzo qui sa chi siamo?
>> chiese
Edward, visibilmente infastidito.
<< Con calma,
giovanotto. >> rispose la padrona di casa, alzandosi.
Elena Gilbert era
davvero bellissima. Era alta e piuttosto magra, i capelli erano lunghi,
di un
biondo piuttosto acceso. Incorniciavano un viso pulito, leggermente
truccato,
sul quale erano incastonate due gemme celesti. Non dimostrava affatto i
suoi
trent’anni.
<< Stefan,
Damon, ci vediamo più tardi. >> disse lei,
rivolgendosi ai due ragazzi
<< Verrò a farvi visita a casa, va bene?
>>
<< Certo,
Elena, ti aspettiamo per cena. >> rispose Damon,
facendole il baciamano
<< Con permesso. >> aggiunse guardando noi,
prima di avviarsi alla
porta.
<< Fa’
attenzione. >> parlò, invece, Stefan, prima di
donarle un casto bacio
sulle labbra. Ci salutò anch’egli,
dopodiché se ne andò.
<< Prima che
chiediate, sono compagni fidati. Loro sono le due corniole
gemelle. >> disse lei, scortandoci nel giardino
– proprio
come la prima volta.
<< Non le
sembra un po’ azzardato, Lady Gilbert, che qualcun altro
sappia di noi?
>> domandò Edward, cercando di mantenere il
controllo.
<< Stefan e
Damon sono innamorati di me, mio caro Edward. >> rispose,
come se fosse
la cosa più normale del mondo << Non farebbero
mai nulla che mettesse in
pericolo la mia vita. Stefan, soprattutto. >>
<< E Damon?
>> domandai, senza volerlo.
<< Damon mi
ama a modo suo, ma ascolta sempre suo fratello. È una testa
calda, lo ammetto,
ma ha un buon cuore. >> non risposi. Li conosceva di
certo meglio di me.
Raggiungemmo il
giardino in silenzio e quando vi mettemmo piede, con gran sorpresa,
trovammo
Emmett e Rosalie.
<< Mi stai
facendo male! >> urlò il primo.
<< Se tu sei
un emerito deficiente, non è colpa mia! >>
controbatté la seconda.
<< Scusami,
tesoro? Deficiente? Sono un eroe! >>
<< Gli eroi
non urlano come bambini, scimmione! >>
<< E questo chi
te lo dice? >> domandò Emmett, visibilmente
infastidito.
Quando si accorsero
di noi, si diedero un tono.
Io ed Edward ci
scambiammo un’occhiata perplessa, ma non chiedemmo nulla.
Dovevano essere loro
a parlare, o no?
<< Questo è
colpa tua, nipote. >> disse Emmett, indicando la ferita
al braccio.
<< Come?
>> chiese Edward, notevolmente confuso.
<< Ti ho
appena salvato da quell’uomo in nero, ricordi?
>>
<< Oh, sì.
Ehm, grazie… >>
<< Quanto
tempo è passato per voi? >> chiese Rosalie,
continuando a medicare il suo
compagno.
<< Qualche
settimana. >> risposi.
<< Deduco che
i documenti che ti ho dato hanno svolto il loro compito.
>> disse Emmett,
rimettendosi la giacca scura << Ora ci credi?
>>
<< Sì.
>> rispose sincero Edward << Mi dispiace
non aver capito tutto
molto prima. >>
<<
L’importante è che lo abbiaa capito adesso,
Edward. >> replicò Rosalie,
sorridendo gentile.
<< Come siete
arrivati fin qui? >>
<< Abbiamo
usato il vostro cronografo. >>
<< Quindi un
cerchio è un chiuso. >> mormorò
Rosalie, voltandosi verso Emmett.
<< Ma il
conte non lo sa! >> si affrettò a spiegare
Edward << Potete stare
tranquilli. >>
<< Siamo
tranquilli, ci fidiamo. >> rispose Rosalie.
<< Quando
abbiamo chiuso il cerchio… >> cominciai,
estraendo dal corpetto la
piccola boccetta di vetro << Abbiamo trovato questa.
>>
<< Per l’amor
di Dio. >> disse Emmett, sgranando gli occhi
<< Sapevamo quello che
sarebbe accaduto in teoria, ma questo è…
>>
<<
Prodigioso. >> concluse Rosalie.
<< Cosa
succederà, adesso? >> chiese Edward,
stringendomi la mano.
<<
Raccontateci tutto quello che è successo. >>
ci incitò Emmett, e lo
accontentammo.
Parlammo di tutto,
senza censure o riassunti; dicemmo tutto nel più misero e,
forse, inutile
dettaglio. Dall’idea del conte di manipolarmi
affinché mi innamorassi di
Edward, fino alla mia morte con tanto di resurrezione miracolosa. Non
ne furono
sorpresi, anzi. Emmett e Rosalie sapevano davvero più di
quello che credevamo.
Fare questo salto, a quanto sembrava, era risultata la scelta
più saggia che
avessimo potuto fare.
<< Il conte
vuole l’immortalità del corvo, ma
finché il cerchio di sangue non verrà chiuso,
l’elisir non potrà manifestarsi. >>
spiegò Rosalie.
<< È anche
vero che, ora come ora, quell’elisir è solo acqua
colorata. >> aggiunse
Emmett << Finché la portatrice della magia del
corvo resterà viva, quella
bevanda sarà inutilizzabile. >>
<< Ecco
perché voleva uccidermi. >> mormorai a voce
piuttosto alta.
<< Ma non può
ucciderla. >> replicò Edward, parlando ad
Emmett e Rosalie << Alla soirée
è morta, eppure è ancora viva.
Bella non può morire. >>
<< Deve
esserci un cavillo. >> parlò Emmett,
più a se stesso che a noi <<
Qualcosa che ci sfugge, che non abbiamo mai colto o pensato. Ci deve
essere un
modo per ucciderla. >>
Quella frase mi
fece trasalire. Stavano parlando come se io non fossi là con
loro, come se non
era la mia vita ad essere in pericolo. Mi vennero improvvisamente in
mente le Parche.
Queste figure leggendarie
della mitologia romana, corrispondenti alle Moire
greche, tessevano le fila del destino di ogni uomo. Erano in tre, a
svolgere
questo compito: la prima filava il filo della vita; la seconda
dispensava i
destini, assegnandone uno a ogni individuo stabilendone anche la
durata; la
terza, l'inesorabile, tagliava il filo della vita al momento stabilito.
Le loro
decisioni erano immutabili, neppure gli Dei potevano cambiarle.
<< Ehi…
>> sussurrò Edward, risvegliandomi dai miei
pensieri << Tutto bene?
>>
<< Sì, sì…
Ero solo un po’ sovrappensiero. >> risposi,
sorridendogli mesta.
<< Quindi ci
ho visto giusto. >> sghignazzò Emmett,
gonfiamo il petto come un
pettirosso << Siete proprio nella fase che si chiama
“tubiamo come
piccioni”! >> non feci in tempo nemmeno ad
arrossire. Rosalie, con un
colpo netto, lo spinse giù dalla sedia.
<<
Principessa, sei pazza? Sono ferito! >>
<< Peccato
che non ti abbiano colpito in bocca, tesoro. >>
Quando Lady Gilbert
ci portò un vassoio con tea e biscotti, li accettammo
volentieri. Parlammo
ancora un po’ della faccenda del cerchio e
dell’immortalità, ma nessuno ne
venne a capo. Se c’era un modo per uccidermi,
l’unico a conoscerlo era il conte
di Saint Germain.
Quando Edward si
rese conto che mancava poco al nostro salto di ritornò,
salutò tutti
velocemente trascinandomi per tutta Londra come un sacco di patate.
<< Edward,
non riesco a correre con questo abito! >>
<< Resisti,
ancora due svolte e raggiungiamo la posizione della villa!
>>
Col fiato corto
tenni duro, sperando di arrivare in fretta alla destinazione.
Atterrammo sul
pavimento, al centro esatto della camera di Edward. Lui sotto ed io
sopra. In
effetti, quella posizione era ambigua oltre che imbarazzante.
<< Scusa,
tutto intero? >>
<< Mai stato
meglio in vita mia, Bella. >> rispose, facendo il suo
solito sorriso
sghembo, che mandava in brodo di giuggiole il mio stomaco e il mio
cuore.
Dopo qualche
minuto, mi alzai, offrendogli una mano in aiuto. Edward
l’accettò, rimettendoci
così in piedi.
<< Abbiamo
ancora due ore, prima di essere alla loggia. >> disse
Edward, guardando
il grande orologio posto sopra la porta << Ti va di
mangiare qualcosa?
>>
<<
Sinceramente no. >> risposi, sedendomi sul letto.
<< Abbiamo
fatto bene a saltare, Bella. >> disse, raggiungendomi
<< Abbiamo
messo insieme ancora più pezzi, tutto si
risolverà per il meglio. >>
<< Ne sei
sicuro? >> domandai, guardandolo in faccia
<< Pensaci… Lui conosce
il modo per uccidere un immortale e prendere la sua
immortalità. Sembra che,
qualsiasi cosa facciamo, il conte sia sempre qualche passo avanti a
noi.
>>
<< Isabella,
io non permetterò mai a niente e a nessuno di farti del
male. >> parlò
deciso, con un’intensità nuova che gli lampeggiava
negli occhi << Sei la
mia vita. Se dovessi morire pur di saperti in salvo, lo farei. Io
morirei per
te, Bella, anche mille volte. >>
<< Edward…
>> non riuscii a controbattere, perché una
cosa a cui non avevo mai
pensato prima si materializzò prepotente nel mio cervello. Non può essere!, pensai.
Eppure, sembrava non esserci
significato più giusto di quello.
<< Soltanto quando impallidisce
la dodicesima
stella, l'aquila raggiungerà per sempre la sua meta
più bella. ¹
>> iniziai a recitare,
alzandomi in piedi.
<< Bella, ma
cosa… >>
<< Sappi dunque, una stella si
consuma per
amore, se sceglie liberamente di struggersi il cuore. ¹ >> conclusi,
voltandomi per guardarlo in faccia <<
Non capisci? È quello il modo, Edward! E noi lo abbiamo
avuto davanti agli
occhi senza saper leggere tra le righe! >>
<< Calmati,
di cosa stai parlando? >>
<< Devo
essere io a togliermi la vita! >> urlai, facendolo
indietreggiare
<< Se sceglie liberamente di
distruggersi
il cuore, non capisci? >>
<< Il
suicidio. >> mormorò Edward, quasi privo di
respirazione << Quando
il rubino muore lui potrà cogliere la sua
immortalità, ma non può rubarla. Devi
essere tu a dargliela, liberamente.
>>
<< L’unico
modo per uccidere un immortale è che egli stesso decida di
rinunciare alla sua
immortalità. >> affermai, orgogliosa
– e spaventata, al tempo stesso – di
aver inserito l’ultimo tassello di quel maledetto puzzle.
<< Ma perché
dovresti toglierti la vita volutamente? Non ha senso. >>
disse Edward
<< Non c‘è motivo perché
tu… >> si interruppe, arrivando a
ciò che
avevo già visualizzato io, qualche attimo primo
<< No, è impossibile.
>>
<< Lo hai
detto tu, Edward! >> urlai, sperando che capisse davvero
quanto contava
per me << Lo hai detto trenta secondi fa! Era tutto
calcolato, tutto! Dovevi
farmi innamorare di te, sì, ma non per plagiarmi.
>>
<< Lui
avrebbe cercato di uccidermi e tu ti saresti mezza in mezzo per
salvarmi la
vita. >>
<< Mi sarei
fatta uccidere, per te. >> sussurrai, vedendo lo schifo
di tutta quella
ignobile macchinazione << E lo avrei deciso liberamente,
per amore. Io
avrei perso la mia vita per salvare la tua. Questo è pari al
suicidio. >>
<< Tutti
quegli assalti… >> cominciò Edward,
tastando il letto per sedersici
sopra.
<< Era tutto
calcolato, organizzato, per non dare nell’occhio.
>> proseguii,
inginocchiandomi davanti a lui << Il conte voleva
ucciderci fin
dall’inizio. Nessuno avrebbe fatto domande se in un assalto
avessimo perso la
vita… In fin dei conti, non era di certo la prima volta che
capitava. >>
<< Maledetto…
>> quasi ringhiò << Maledetto
bastardo! >>
<< Edward,
calmati! Per favore… >> lo supplicai,
accarezzandogli il viso <<
Non può farci niente, adesso. Non può più
farci niente. >>
<< Può eccome,
invece. >> rispose amaramente << Non
capisci? Siamo innamorati,
Bella. Lui è riuscito a spingerti tra le mie braccia.
>>
<< Lui non mi
ha spinto tra le tue braccia, razza di idiota. >> parlai
dolcemente
<< Io sono tua perché voglio
esserlo, perché mi sono innamorata di te. >>
Quando ci baciammo,
capii che niente sarebbe andato storto. Certo, sarei potuta morire, ma
se fosse
successo, lo avrei fatto per salvare qualcuno che amavo davvero e che
meritava
il mio sacrificio.
Era un concetto
assurdo, lo sapevo. Era del tutto irrazionale.
Ma l’amore è irrazionale,
pensai. Più ami qualcuno,
più perdi il senso delle
cose².
Il bacio durò più
del dovuto, e forse anche più del lecito. Era disperato,
passionale, e in
alcuni tratti perfino erotico. Percepivo sulla lingua il sapore di
Edward che,
dovevo ammetterlo, era afrodisiaco; una tentazione costante. La
verità era che
ero stanca di aspettare. Io volevo lui e volevo essere sua completamente. I giochetti del conte ci
avevano fatto aspettare fin
troppo tempo; ci avevano fatto soffrire più del dovuto. Era
tempo di essere
felici, insieme.
<< Sei
sicura? >> domandò Edward, portatosi sopra di
me sul suo letto.
<< Sì… Sì,
sono sicura. >> tremai, conscia di quella rivelazione.
Non avevo nulla da
temere con Edward. Lui aveva tutte le precauzioni che servivano ed era
esperto…
Oh, porca miseria!, pensai.
<< Aspetta!
>> urlai, mentre lui stava abbassando il corsetto del mio
abito
novecentesco.
<< Cosa? Ci
hai ripensato? >> chiese, e la mia attenzione fu
catturata dal suo petto.
La camicia era
ormai aperta, si vedeva tutto. Era chiaro che Edward facesse palestra
tutti i
giorni: i pettorali e gli addominali erano scolpiti. Il suo corpo
– almeno la
parte superiore, per il momento – ricordava in tutto e per
tutto quello di un
surfista professionista.
<< Io sono…
Sì, insomma, non ho mai… Ma con quante ragazze
sei stato, per capirci? >>
La mia domanda lo
colse alla sprovvista, perché sgranò gli occhi
verdi provocandomi brividi di
terrore. Possibile che fossero così tante?
<< Che razza
di domanda è? >> chiese, poi ci
ripensò << D’accordo, capisco
l’impellente bisogno, ma magari in un altro contesto, non
credi? >>
In effetti, la
situazione era imbarazzante. Edward si trovava semi nudo, sopra di me,
ad
armeggiare con il mio abito affinché ce ne liberassimo; io,
sotto di lui, avevo
tra le mani la sua camicia e stavo per togliergliela.
<< Dici?
Secondo me è il momento adatto. Insomma, così
saprò il tuo grado di esperienza.
>> Edward scoppiò a ridere di gusto.
<< Sarò alla
tua altezza, non preoccuparti! >> rispose, stampandomi un
bacio sulle
labbra << Non credo sia un dato da conoscere in questa
situazione… Anche
io vorrei sapere chi ti ha tenuta tra le braccia prima di me,
ma… >>
<< Nessuno!
>> urlai, coprendomi il viso con le mani per la vergogna.
Che poi, quale
vergogna? Ero orgogliosa di essere ancora vergine.
<< Non hai
mai… >>
<< No.
>> sussurrai << Per questo sono agitata,
non capisci? Tu avrai
avuto chissà quante ragazze e io sono totalmente inesperta!
>>
<< Bella…
>> sussurrò Edward, accarezzandomi il viso e
scivolò sul letto <<
Fare l’amore con te sarebbe qualcosa di unico e speciale, una
cosa che non ho
mai condiviso con nessuno. >>
<< Ma tu hai
detto che… >>
<< Era solo sesso.
>> precisò, sorridendo
leggermente << Ascoltami: quando sei coinvolto
emotivamente il desiderio,
l’attrazione, la prestazione… Tutto cambia, muta.
Diventa qualcosa di più
viscerale, non solo fisico. Ho fatto sesso con parecchie donne, ma non
ho mai
fatto l’amore con nessuna di loro. >>
<< Oh…
>> sussurrai, sentendomi molto stupida.
<< Se non te
la senti… >>
<< Io voglio!
>> mi affrettai a mettere in chiaro la questione
<< Ma non so come
si fa. Nel senso, so come si fa! Oh, santi numi! >>
Di tutta risposta,
Edward scoppiò a ridere. Sembrava un bambino che aveva
appena assistito alla
scena più divertente di tutta la sua vita. Non sapevo se
sentirmi offesa o
meno, però.
<< Ti amo
tantissimo, Isabella! E la tua innocenza è qualcosa che non
si vede tutti i
giorni. >> sussurrò, baciandomi con passione e
amore, mentre le sue mani
ripresero possesso del mio corpo.
Con maestria,
Edward mi tolse l’abito, lasciandomi in intimo. Non avevo
quello novecentesco,
grazie al cielo! Avevamo pensato, infatti, di mettere solo
ciò che era visibile
per il salto nel 1912. Emeno male!, pensai sollevata.
<< Sei
stupenda… >> sussurrò, scendendo a
baciarmi il collo, la gola e poi il
decolté.
Avevo caldo. Molto
caldo, troppo caldo.
Nonostante i nostri
precedenti momenti intimi, non avevo mai sentito le sue labbra o le sue
mani in
quel modo sul mio corpo.
La sua lingua
lambiva la mia carne come se fosse la pietanza più invitante
a questo mondo.
Lasciva, scendeva sul mio corpo appropiandosene avidamente. Quando
percepii le
sue labbra sul mio ombelico inclinai la schiena, urlando di piacere. Lo
sentii
sorridere, mentre lentamente mi faceva impazzire.
Piano, poi, mi
accarezzò le cosce, mentre scivolava tra esse. Non mi ero
mai sentita così
eccitata. Lo slip che avevo indosso, oramai, era da buttare. Il
tessuto, a
contatto con la mia femminilità, cominciava seriamente a
darmi fastidio…
Sentivo un leggero bruciore, come se avessi l’impellente
bisogno di sfregare le
gambe.
Edward, molto
probabilmente, se ne accorse.
Lentamente portò la
sua mano sinistra sul mio centro. Lo accarezzò piano, ma con
bramosia. I miei
ansiti crebbero ed io continuai a gemere il suo nome.
<< Ed…ward…
>> cercai di urlare, stritolando un cuscino che avevo
adocchiato qualche
attimo prima.
<< Sto
cercando di controllarmi… >> parlò
rauco, riportando il viso all’altezza
del mio << Ma non riesco… Vorrei…
Dio, vorrei divorarti, Bella… >>
quelle parole mi fecero contorcere lo stomaco per
l’eccitazione.
Capivo quel
bisogno, e anche se era solo la mia prima volta riuscivo a percepire le
voglie
del mio corpo. È
naturale…, pensai.
Con decisione, accarezzai
le sue spalle, tracciando una linea lungo il suo braccio fino alla
punta del
dito medio. Afferrai la sua mano, già intrisa dei miei
umori, e la lasciai
scivolare sulla mia femminilità, sotto lo slip. Lo sentii
irrigidirsi.
<< Io lo
voglio… Ti prego, accarezzami… >>
dovevo essere stata parecchio
convincente.
Le dita di Edward
cominciarono a muoversi esperte, ed io capii cosa significava rimanere
davvero
senza fiato. Raggiunsi l’apice, per la prima volta in tutta
la mia vita, in
quel modo.
Quando rimasi nuda,
non provai vergogna. Edward aveva toccato una parte di me a cui mai
nessuno si
era mai avvicinato prima… Se non avevo avuto vergogna in
quel momento, che
senso aveva averla ora?
Ci ritrovammo in
ginocchio l’uno di fronte all’altra e fu il mio
turno di spogliarlo completamente.
Armeggiai con i
suoi boxer scuri con goffaggine, ma l’atmosfera era troppo
eccitata perché
ridessimo. Quando lo librerai dall’ultimo indumento, arrossii.
Non ero una
ragazzina di Chiesa, pura e totalmente immacolata. Non avevo
esperienza, ma
avevo visto, sentito e parlato di determinate cose. Sapevo cosa si
nascondesse
sotto l’intimo di un uomo… Vedere Edward
così, però, mi fermò il respiro.
Baciai il suo corpo
nudo, lasciandomi trasportare dal mio amore per lui. Quando lo sentii
ansimare,
però, un moto di soddisfazione mi pervase: gli stava
piacendo ciò che gli stavo
facendo.
Con un movimento
deciso, Edward mi riportò sotto di lui, facendo toccare i
nostri sessi. Sgranai
gli occhi e aprii la bocca a causa dell’eccitazione.
L’unica cosa a coprire i
nostri corpi era il copriletto nero, intonato alla sua stanza.
<< Sentirai
un po’ di dolore… >>
sussurrò guardandomi negli occhi <<
Cercherò
di fare il più piano possibile, te lo promesso.
>> annuii, non sapendo
come sarebbe uscita la mia voce e mi ancorai del tutto a lui.
<< Ti amo,
Isabella. >> disse, prima di scivolare dentro di me.
La calma iniziale,
lasciò posto ad una spinta decisa.
Urlai, più per il
dolore che per altro. Ma quando quello cessò ed Edward
riprese a muoversi,
tutto ciò che sentii fu piacere, puro e semplice.
Eravamo diventati
una cosa sola. Niente e nessuno ci avrebbe più divisi.
* * *
Era
passato qualche
giorno dalla mia prima volta con Edward, e tutto sembrava andare
magnificamente.
Alla loggia niente
e nessuno sospettava quanto in realtà, io ed Edward, sapessi
sul conte di Saint
Germain. Non ci furono più missioni, comunque. Almeno per il
momento, come
diceva spesso Mr. Saltzman. Non mi lamentavo.
Io e Edward
passavamo i nostri pomeriggio ad amoreggiare in un scantinato di
chissà quale
epoca. Non potevamo sconfiggere qualcuno che era già morto
e, a meno che non
avesse concluso il cerchio, il conte era un pericolo che al momento non
ci
interessava.
<< Io
comprendo che il sesso con Edward sia stellare, ma oltre ad amoreggiare
e
lasciare la vostra traccia erotica dappertutto, potreste anche cercare
di
capire cosa fare adesso, non ti pare? >> chiese Angela,
prima di mangiare
una forchettata di insalata.
<< Ci
pensiamo, Angie. Ma non sappiamo cosa fare… Insomma, il
conte vuole la mia
immortalità, ma finché il cerchio non
verrà chiuso non potrà averla. >>
Mi trovavo nella
mensa della Saint Lennox High School, era ora di pranzo.
Nonostante il mio
unico volere fosse quello di stare tra le braccia di Edward, avevo
perso fin troppi
giorni di scuola. Ragion per cui non potevo assentarmi oltre.
<< Un cerchio
è chiuso, Bella. >> parlò Angela,
risvegliandomi dai miei pensieri
<< Quello che avete trovato a casa dei Cullen.
>>
<< Ma il
conte non lo sa. Per lui quel cronografo è disperso
chissà dove. >>
<< Il conte
sembra essere sempre un passo avanti a tutti. Fossi in voi non mi
siederei così
tanto sugli allori. >>
Non potevo darle
torto. Ma come avrebbe fatto una persona morta anni prima, anzi decenni prima, a scovare un oggetto che
al momento era in mano nostra? Le vie del tempo sono infinte, Bella,
dovresti averlo capito.
<< Hai
ragione, forse è meglio prendere delle precauzioni.
>> dissi, alzandomi
di colpo << Cerca Jasper, io vado a telefonare ad Edward!
>> e
corsi via.
Non mi resi conto,
però, che Mr. Saltzman stava entrando in mensa,
così gli finii completamente
addosso. Il suo vassoio cadde, ma la zuppa di lenticchie non si
rovesciò in
testa a lui, bensì a me.
<< Oh, santo
cielo! Isabella, mi perdoni! Non l’avevo proprio vista.
>>
<< Colpa mia,
Mr. Saltzman. Dovevo camminare non correre. >>
Solo in quel
momento mi resi conto che tutta la scuola stava ridendo di me. Che stronzi!
<< Su questo
non posso darle torto, Isabella. Questo è un istituto non un
parco giochi. Ora
vada a togliersi la zucca dai capelli, se tarderà alla
lezione saprò dove si
trova. >>
Lo ringraziai e mi
incamminai verso i bagni.
Come tutto
l’edificio anch’essi erano pregiati: marmo grigio
piombo sia per terra che
lungo i muri laterali; il soffitto era di un bianco splendente,
esattamente
come i sanitari di porcellana pregiata.
Lasciai scorrere
l’acqua e afferrai il telefono, attivandone il vivavoce.
<< Pronto?
>>
<< Pensi che
ti piacerò ancora, interamente ricoperta di zuppa di
lenticchie? >>
<< Non saprei. Non amo molto i
legumi, però per
te potrei fare un eccezione e leccarti tutta ugualmente.
>>
<< Sei il
solito maniaco, Edward! Prima o poi penserò che stai con me
solo perché a letto
sono una bomba. >> scherzai, arrossendo. Fortuna che non
poteva vedermi.
<< Miss Swan, che passi avanti!
Complimenti.
>>
<< Grazie…
>> risposi, cercando di ripulirmi al meglio.
<< Come ha fatto a finirti
addosso una zuppa di
legumi? >> domandò, qualche attimo
dopo.
<< Stavo
uscendo dalla mensa, ma non ho guardavo dove mettevo i piedi. Mr.
Saltzman
stava entrando ed eccomi diventata una lenticchia. >>
risposi, storcendo
le labbra.
Avevo un aspetto
orribile! I capelli, quella mattina lisci e setosi, avevano una
poltiglia verde
ovunque; la mia uniforme, poi, era più sporca del bavaglino
di un bambino
pasticcione. Come avrei ripulito tutto quel casino con semplice acqua e
sapone?
L’odore, poi, era disgustoso!
<< Vuoi che ti porti qualcosa?
>>
chiese il mio interlocutore, spiazzandomi.
<< Come?
>>
<< Hai capito.
>> rispose e mi parve
di vederlo sorridere << Avevo
già
in mente di passare a prenderti, così facciamo quel salto
che volevi fare – di
cui ancora non mi hai spiegato nulla. >>specificò << E poi
andiamo alla loggia, per non destare sospetti.
>>
<< Giusto, il
solito salto. >>
<< Già. Non che tu
ne abbia bisogno, ormai.
Praticamente stiamo viaggiando nel tempo anche più del
dovuto. >>
<< Credi sia
per questo che ho sempre mal di testa? >> domandai,
cercando di togliermi
qualche dubbio.
<< Sì. Anche io ho
forti emicranie di recenti…
So che il massimo consentito dei salti giornalieri è di
cinque ora per i
portatori maschi, più o meno, e tre e mezza per le
portatrici femmine.
>>
<< Noi quanto
viaggeremo? Sei, sette ore al giorno? >>
<< Anche di più.
>> rispose, tirando
un sospiro esausto.
<< Accetto
l’offerta, comunque. >> dissi di punto in
bianco, avevo una voglia di
vederlo indescrivibile! << Tra quanto pensi di essere
qui? >>
<< Il tempo di passare da casa
tua e venire
all’istituto, mmm… Una ventina di minuti.
>>
<< La pausa
pranzo finisce tra esattamente tredici minuti e quaranta secondi. Il
signor
Saltzman ha detto che mi concede un po’ di tempo per riparare
al
danno-lenticchie. >>
<< Schiaccerò un
po’ di più sull’acceleratore,
allora! Arrivo, ti amo. >>
<< Ti amo
anche io. >> risposi, mandando un bacio volante.
L’amore cominciava
a farmi diventare stupida. Sorrisi, però, non avendo mai
provato niente di più
bello.
Esattamente
quindici minuti dopo, qualcuno bussò alla porta del bagno.
<< Occupato!
>> urlai, ma non avevo alcuna intenzione di uscire
conciata in quel modo.
<< C’è una
consegnata per te. >>
<< Edward!?
>> squittii eccitata, rivalutando la questione di
“uscire conciata in
quel modo”.
Dovetti frenare
l’impellente bisogno di buttarmi tra le sue braccia.
<< Ehi, sei
proprio un disastro. >>
<< Sempre
gentile, vedo. >> risposi, facendogli una linguaccia.
<< Ma sei
sempre stupenda. >>
<< Ruffiano!
>> lo presi in giro, socchiudendo gli occhi
<< Cos’hai per me,
allora? >>
<< Tua zia
Jenna mi ha dato la tua divisa di riserva, lo shampoo e anche un phon
portatile. >> alzai un sopracciglio, pensando mi stesse
prendendo in
giro.
Quando tirò fuori
tutto da un borsone piuttosto grande, capii che era serio.
<< Wow. Mia
zia Jenna è veramente pazza! >>
<< Dai, metti
la testa nel lavandino, ti aiuto. >>
<< So lavarmi
da sola! >>
<< Non mi
sembra di aver sentito lamenti ieri nella doccia…
>> la buttò lì,
fischiettando tranquillo.
<< Edward
Cullen, sei… >>
<< Un figo da
paura? Sì, lo so. Ora piegati. >>
Ci fissammo per
alcuni secondi, consci del doppio senso dell’ultima frase.
Stare con Edward mi
stava trasformando una persona maliziosa.
Dopo qualche
discussione, vinse lui.
La situazione,
però, era parecchio ambigua: mi ritrovavo piegata, con le
mani ancorate alla
porcellana bianca, la testa sotto il getto di acqua bollente, mentre
Edward
massaggiava la mia cute, stando dietro di me. La gonnellina
dell’uniforme
scolastica, ci avrei giurato, stava sicuramente mettendo in mostra
qualcosa.
<< Hai
finito? >>
<< No,
aspetta un attimo. >>
<< Cosa,
scusa? >> domandai, non trovando motivi validi per i
quali restare ancora
piegata in un lavandino.
<< Sto
cercando di capire se lo slip è color glicine o un
panna-rosata. >>
<< Edward!
>> strillai, alzandomi di colpo.
Il ragazzo di
fronte a me, di tutta risposta, scoppiò a ridere di gusto,
orgoglioso della sua
poca sanità mentale. Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi
in che relazione
fossi andata a cacciarmi.
<< Dammi il
resto della roba, mi cambio. >>
Edward tirò fuori
la divisa e me la passò, cercando una presa accessibile nel
bagno. Dubitavo ce
ne fossero. In fin dei conti, era un bagno di scuola.
<< Credo che
tu non possa utilizzare il phon, Bella. >>
<< Lo
sospettavo… >> risposi, infilandomi in uno dei
veri e proprio bagni
<< Non credo sia concesso alle studentesse portare
piastre o phon… Quindi
non servono nemmeno gli attacchi. Li lascerò asciugare
così. >>
<< La
giornata è fredda, Bella, rischi di prenderti un
raffreddore. >>
<< Non posso
farci molto. >> risposi, rinchiusa nel mio angolino
<< Non posso di
certo tornare a casa, ho perso troppi giorni. >> mi
allacciai anche
l’ultimo bottone della camicia e uscii, infilandomi la giacca.
<< Forse
dovremmo riscaldare un po’ l’atmosfera…
>> propose, facendo scivolare le
mani sui miei fianchi e le labbra sul mio collo << Cosa
ne dici? >>
<< Mmm…
>> mugugnai, sentendo lo stomaco già
contorcersi.
<< Lo prendo
per un sì. >> disse, leccandomi fin dietro
all’orecchio, mentre
indietreggiai – con lui al seguito – fino a
sbattere contro il muro.
Portai le mani
sulle sue spalle, ora libere dal pesante giubbotto di pelle beige, e lo
accarezzai avidamente. Edward, più che bramoso,
cominciò a sbottonare la mia
camicetta, lasciando baci lascivi sul mio decolté.
Il respiro si stava
facendo affannoso, e per una frazione di secondo mi dimenticai di
essere in
piedi, in un bagno, ma soprattutto a scuola.
Le mani del mio
ragazzo, ad un certo punto, lasciarono perdere i bottoncini della mia
camicia e
si spostarono sulle mie cosce, risalendo vertiginosamente sotto la
gonna a
scacchi. Nel frattempo, le mie, cominciarono ad armeggiare con la
cintura dei
suoi jeans.
<< Isabella,
volevo sapere se aveva bisogno di… >>
parlò qualcuno, entrando nel bagno
delle ragazze.
<< Oddio,
professor Saltzman! >> urlai, spingendo via Edward e
coprendomi alla bene
e meglio con la camicia aperta.
<< Isabella,
noto che sta bene. Edward, che piacere vederla. >>
<< Mr.
Saltzman. >> lo salutò, appoggiandosi al
lavandino.
<< Cosa ci fa
qui? >>
<< La zuppa
di lenticchie! >> urlai, cercando di non apparire troppo
imbarazzata.
<< Come?
>>
<< Le serviva
un cambio e sono passato da casa sua per prenderglielo.
>> spiegò Edward,
strofinandosi il mento.
<< Non le ha
dato solo un cambio, da quel poco che sono riuscito a scorgere
entrando.
>>
<< Con tutto
il rispetto, Mr. Saltzman, ma non credo che questi siano affari suoi.
>>
ribatté Edward, scattando di qualche passo.
<< Infatti,
mio caro. Ma siete comunque nella mia scuola, e vi stavate
intrattenendo nella
mia ora di lezione. Fuori di qui sarete anche dei viaggiatori del
tempo, ma qui
dentro e in questo momento, siete solo due ragazzini irresponsabili di
cui uno
non dovrebbe nemmeno esserci e l’altra dovrebbe essere,
invece, presente alla
mia lezione. >>
Notai le nocche di
Edward serrarsi, fino a formare un pugno. Quello era il suo problema:
quando si
sentiva messo con le spalle al muro, attaccava per non essere attaccato.
<< Ha
ragione. >> intervenni, raggiungendo Edward per
bloccargli la mano
<< Ci scusi. Sono davvero imbarazzata. Anzi, lo siamo. Il
nostro
comportamento è stato inqualificabile, ci scusi.
>>
<< Farò finta
di niente, per questa volta. >> spiegò il
professore << Ora, però,
ricomponetevi. Isabella, la aspetto in classe tra cinque minuti, se
tarderà
anche solo di mezzo minuto andrò dal preside. Edward, lei
vada a casa! Non ha
il permesso di stare qui. Ci vediamo alla loggia più tardi.
>> e senza
darci il tempo di rispondere, girò i tacchi e se ne
andò.
<< Credo che
dovremmo dargli retta. >> sussurrai, un po’
imbarazzata.
<< Sì, forse
hai ragione. >> rispose Edward, prendendo la mia divisa
sporca e
rimettendo tutto nel borsone << Non volevo metterti nei
casini, scusami.
>> proseguì, baciandomi velocemente
<< Va’ in classe, ci vediamo
tra un’ora. >> concluse, poi, afferrando la
giacca e sparì.
Decisi di
ricompormi anche io. Mi riabbottonai la camicia, infilai la giaccia e
sistemai
i capelli in una crocchia alta, ben stretta. Mi sciacquai la faccia,
sperando
di togliermi di dosso l’accaldamento di poco prima, e mi
diressi velocemente
nella’aula di Storia.
Finalmente,
anche
quella giornata scolastica era giunta al termine. Edward, come aveva
promesso,
era passato a prendermi per andare da lui. Prima della solita
trasmigrazione di
routine, infatti, c’era una cosa che desideravo fare.
<< Allora,
vuoi dirmi in cosa consiste questo salto? >>
domandò il mio compagno,
buttandosi supino sul letto.
<< No, perché
se te lo dicessi non me lo lasceresti fare. >>
<< Questo sì
che è incoraggiante, Bella. >> rispose,
alzando un sopracciglio.
Sapevo che era
vietato cambiare il corso degli eventi. Una delle regole del conte era
che
nessuno, mai, avrebbe dovuto usare i viaggi nel tempo per cambiare un
evento
già accaduto. Ma se lui poteva farlo, anzi aveva organizzato
proprio tutto per
farlo, perché io non avrei potuto?
<< Edward,
come si sistema il cronografo? >>
<< Dimmi,
faccio io. >> propose, alzandosi, ma lo bloccai.
<< No!
Conoscendoti appena scopri la data parti in quinta con la paternale.
>>
dissi, facendolo sbuffare.
Dopo più di
mezzora, finalmente, riuscii a sistemare il cronografo alla data
interessata:
14 Gennaio 2002. Avevo impostato il salto affinché non
durasse più di un’ora.
Avevo tutto il tempo del mondo, comunque. Speravo solo che il mio piano
funzionasse. Insomma, quanto sarebbe potuto essere complicato
introdursi ad una
festa di bambini?
<< Allora,
sei pronta? >> domandò Edward, dietro di me.
<< Quando
vuoi. >>
Come di consueto,
le lancette dell’orologio incastonato in cima alla cassa di
legno, cominciarono
a girare. La stanza venne inondata prima da un bagliore bianco e poi da
uno
rosso. La solita vertigine mi comunicò che
c’eravamo quasi, e quando non
percepii più niente attorno a me, compresi che il salto era
effettivo.
Stavo per cambiare
il passato.
Atterrammo nella
stanza di Edward, che era pressappoco come adesso. Forse
c’era qualche poster
in più.
<< Ma dove…
>> parlò, guardandosi intorno <<
Fortuna che non ero in camera mia.
>>
<< Perché ti
sorprendi? Hai sempre detto che avevi mille impegni. >>
<< Già…
>> assentì, assumendo un’aria non
molto felice.
<< Ehi…
>> gli dissi, accarezzandogli una guancia
<< Ora sarà tutto
diverso, non temere. >> alzò lo sguardo,
incatenandolo al mio, e mi
sorrise.
<< Non c’è
tempo, Edward. Dobbiamo sbrigarci! Ho impostato il salto a
un’ora, ciò
significa che abbiamo venti minuti per arrivare alla casa del dottor
Black.
>>
<< Del dottor
Black? Ma cosa… >> stava per
domandò, prima di capire << Tu sei
fuori di testa! Non sai cosa porterebbe il salvataggio di Jacob!
>>
<< Billy
Black è stato l’unico a cambiare idea su di me,
Edward! Ho conosciuto Jake e…
>>
<< Cosa?
Come? >>
<< Ti
spiegherò un’altra volta questo piccolo
particolare, ma il punto è che il
dottor Black nell’ultimo periodo è stato gentile
con me. Ha cambiato opinione
su di me, senza che nessuno gliela facesse cambiare o gli imponesse di
farlo, e
mi ha aiutato nei miei momenti bui! Io glielo devo, Edward.
>>
<< Non si può
cambiare così tanto il passato, Bella. >>
<< Era un
bambino, santo cielo! Cosa credi che potrebbe comportare il salvataggio
di un
bambino? Forse renderà il dottor Black una persona
più serena e tranquilla.
Edward, ti supplico, aiutami a salvare Jacob. >>
I secondi passarono
come se fossero minuti, e questi ultimi come se fossero state ore.
Edward mi
fissava negli occhi, ma percepivo il suo conflitto interiore. Aiutarmi
o no? Nonostante
tutte le macchinazioni del conte, il mio ragazzo, aveva ancora a cuore
le
regole che vigevano sulla loggia.
<< D’accordo.
>> disse infine, chiudendo gli occhi << Ma
è la prima e ultima
volta. Mi hai capito, Bella? >>
<< Grazie,
grazie, grazie! >> urlai, gettandogli le braccia al collo
<< Ti
amo, grazie! >>
<< Ti amo
anche io, ma non te ne approfittare troppo. >> mi
baciò e ci calammo dal
balcone, cercando di fare il più in fretta possibile.
La villetta del
dottor Black non era immensa come pensavo. Era una casa piuttosto
sobria, di un
colore rosso-aranciato, realizzata su due piani. Il giardino, in
compenso, era smisurato.
<< Non ero
mai stato a casa Black. >>
<< Figurati
io. >> risposi, sentendo le grida dei bambini.
Attorno alla grande
piscina, tutta ricoperta di palloncini colorati, una dozzina di bimbi
di sei
anni urlavano come pazzi. Non ci volle molto a scorgere Jacob.
Era esattamente
come lo vedevo adesso, anche gli abiti. Capelli neri, proprio come gli
occhi, e
un sorriso da dieci decibel. L’allegria fatta a persona,
insomma.
Poco dopo, mi
accorsi di una donna accanto a Billy Black.
<< Chi è
quella? >> domandai.
<< Quella è
la moglie del dottor Black, Sue. >>
<< Il dottor
Black ha una moglie? >> chiesi, non sapendone niente.
<< L’aveva.
>> rispose Edward,
sottolineando il verbo << Dopo la morte del loro unico
figlio lo lasciò.
Non riusciva a sopportare la perdita del suo piccolo Jake…
Credo sia stato
anche questo ad indurire così tanto il dottore. In fin dei
conti, chi non cambierebbe
con un passato del genere? >>
Non risposi.
Soprattutto perché la risposta era ovvia: era stato un
miracolo che non si
fosse impiccato o chissà cos’altro,
quell’uomo. Non solo la morte gli aveva
portato via un figlio in tenera età, ma aveva anche perso
l’amore della sua
vita.
<< Bella, sei
sicura di volerlo fare? >>
<< Sì,
Edward, sono più che sicura. >>
<< Pensaci
ancora un attimo, fallo per me. >> supplicò,
afferrandomi per le spalle e
mi costrinse a voltarmi verso di lui << Questa storia fa
schifo, lo so anche
io. È ingiusta e dannatamente triste. Ma è un fatto. È qualcosa che
è successo, che ha reso il dottor Black chi è
adesso. Capisci la potenza delle nostre azioni? Se salvi quel bambino,
potremmo
tornare ad un futuro che non riconosceremo, perché le
esperienze influenzano le
persone. E questa disgrazia ha influenzato l’intera vita di
Billy. >>
Quando sentii le
urla proveniente dalla giardino, però, capii che non me ne
fregava
assolutamente niente del futuro. Quello era il mio presente e dovevo
salvare
Jacob prima che fosse troppo tardi.
Scavalcai il
cancello, seguita da Edward, e mi catapultai in acqua. Non ero una
provetta
nuotatrice, anzi, si poteva benissimo dire che ero una frana a nuotare,
ma non
c’era tempo di pensare allo stile. Mi gettai per afferrare
Jake e poi lo passai
ad Edward, afferrandomi ad un materassino gonfiato appena.
<< Non
respira, Bella. >> sentii dire ad Edward, cercando
battiti che non
sentiva.
<< Fagli il
massaggio cardiaco! Tu sai farlo! >>
Non me lo fece
ripetere due volte.
Mentre Edward
cercava di rianimare Jacob, le urla dei bambini, spaventati, stavano
diventando
insopportabili. Sue cercò di calmarmi, ma si vedeva dagli
occhi che l’unico suo
desiderio era quello di stare rannicchiata vicino al suo bambino.
Quando tutto
sembrava ormai perso, Jacob tossì, sputando fuori acqua e
cloro. Fu in quel
momento che arrivò Billy. Raggiunse il giardino giusto in
tempo per fissarmi
negli occhi e ringraziarmi in silenzio.
<< Papà,
mamma? >> parlò il piccolo Jake, scoppiando a
piangere.
<< Tesoro
mio! >> urlarono entrambi, stringendolo forte a loro.
<< Dobbiamo
andare via, Bella! >> mi strattonò Edward,
affinché mi alzassi <<
Bella? Dobbiamo andare via! >>
Afferrai la mano di
Edward e lo seguii, lasciandomi tirare a più non posso.
Dovevamo raggiungere
casa Cullen prima del salto.
Tutto andò a buon
fine, fortunatamente. Io ed Edward – a causa mia, ovviamente
– avevamo già
infranto fin troppe regole, quel giorno. Ero contenta di non essere
sparita in
mezzo ad una strada gremita di gente.
* * *
I giorni passavano
lenti, a volte; altre volte, invece, trascorrevano così
velocemente che mi
domandavo se qualcuno non si fosse messo a giocare col tempo. Quando Edward
aveva
parlavo di cambiamenti non scherzava, però. Billy Black, da
quando eravamo
tornati del 2002 per salvare Jacob, era un’altra persona.
Più sorridente, più
accomodante, meno burbero… Mi aveva presa sotto la sua ala,
e quando chiesi
perché mi trattasse come una figlia, rispose che il motivo
era che lui sapeva.
Non aveva mai dimenticano il volto della ragazza dai capelli nocciola
che, al
sesto compleanno di suo figlio, aveva sventato una tragedia. Quando la
vide
entrare nella loggia, in un tempo e modo che non potevo ricordare,
capì subito
quel che era accaduto. Il rubino aveva fatto qualcosa per lui, e lui avrebbe fatto
qualcosa per il rubino. <<
Ti ha
detto altro il dottor Black? >> chiese Edward,
svegliandomi dai miei
pensieri. <<
Non
proprio. Ha detto che sta indagando ancora, comunque. >> Eravamo appena
tornati al presente. Causa: solita trasmigrazione pomeridiana.
Cominciavo a non
poterne più. Tutte le sere, o
quasi, andavamo da Lady Gilbert affinché incontrassimo
Emmett e Rosalie. Molto
spesso Edward vi andava da solo, ma mi dispiaceva. Aumentavamo
notevolmente le
nostre ore di trasmigrazione e questo, purtroppo, affaticava
considerevolmente
i nostri corpi. <<
Bella,
Edward! >> ci sentimmo chiamare, passando davanti allo
studio di Billy. <<
Sì?
>> dicemmo entrambi, voltandoci. Davanti a noi
c’era
un ragazzo di quasi sedici anni. Era alto, molto per la sua
età, muscoloso e
parecchio bello. I capelli, tenuti a spazzola, erano di un nero
innaturale,
così come gli occhi; la pelle era ambrata, gli donava un
look sempre
abbronzato. <<
Papà vuole
parlarvi, mi ha detto di chiamarvi. Sta parlando con Esme, adesso, ma
mi ha
pregato di “sequestrarvi” non appena vi avessi
visto. >> concluse,
sorridendo. Jacob Black,
diventato ormai un adolescente, era la mia soddisfazione più
grande. <<
Come va,
Jake? >> domandò il mio ragazzo,
stritolandogli il collo sotto l’ascella. <<
Ora direi
male, Eddy! Mi prendi sempre alla sprovvista! >> Non riuscivo a
capire chi dei due fosse davvero l’adolescente,
però. <<
Scusate il
ritardo, ragazzi! >> disse il dottor Black, urlando e
chiudendo la porta. <<
Non
preoccuparti, Billy. >> risposi, visto che non voleva
più essere chiamato
dottor Black – perlomeno da me. <<
Ci porti
buone nuove? >> domandò Edward che, dopo lo
scetticismo iniziale, gli
diede completa fiducia. A perseguire la
nostra causa, ora, non c’erano più solo Angela,
Alice e Jasper, ma anche la
famiglia Black. <<
Più che
buone, Edward! >> parlò eccitato, porgendoci
un foglio <<
All’interno c’è l’indirizzo di
Madame d’Urfé! >> <<
La
compagna di viaggio del conte? >> chiese Edward,
afferrando il foglio. <<
Esattamente.
Ho scoperto, grazie a Jacob che ha fatto qualche ricerca, che la cara
Bonnie
Bennett non amava particolarmente il conte. Tra loro, infatti,
c’era molto
astio. Pare, perfino, che la giovane donna venne a conoscenza di un
particolare
importante, riguardante il segreto del segreto. >> <<
Ma questo
già lo sappiamo. >> intervenni
<< Il segreto del segreto è la mia
immortalità, che il conte vuole rubarmi uccidendomi.
>> <<
Il conte
spera che tu ti uccida, più che altro. >>
precisò Jake << Essendo
immortale non può toglierti la vita, a meno che non sia tu
stessa a volerlo.
>> <<
Questo lo
sappiamo, ma stiamo cercando di scoprire come intenda agire, no? E
quale
persona meglio della compagna dello smeraldo potrebbe aiutarci?
>> Scambiai una
veloce
occhiata con Edward, il quale assentì impercettibilmente.
Capii al volo le sue
intenzioni: 1700,
stiamo arrivando!,
pensai. Salutammo di gran
fretta, chiamando Alice di volata. Avevamo bisogno di un travestimento,
e anche
alla svelta. La piccola
Brandon,
come veniva sempre chiamata da Edward, non ci deluse. Riuscì
a recuperare due
abiti – neanche tanto sfarzosi – e li
portò a casa Cullen. Molto probabilmente,
ci mettemmo più tempo noi a cambiarci che lei a portare
lì tutto. Le strade della
Londra settecentesca erano notevolmente diverse da quelle di oggi. Non
c’erano
automobili, ma carrozze, e la gente andava in giro come se fosse sempre
pronta
per una grande soirée. I bambini
giocavano allegri nelle piazze della città, e il loro grande
cuore – nonostante
la grande povertà che li accompagnava quotidianamente
– li ripagava di tutto.
Storia diversa riguardava i ricchi, purtroppo. <<
La casa di
Madame d’Urfé è qualche traversa
più avanti della loggia. >> disse
Edward, tagliando per un vicoletto buio. <<
Che
fortuna. La prossima volta che facciamo questi salti, perché
non andiamo
direttamente nel posto interessato con la tua macchina e saltiamo da
lì dentro?
>> <<
Tesoro, in
macchina salterei addosso più a te che ad altro.
>> <<
Sei…
>> non riuscii a finire la frase che qualcuno mi
chiamò alle spalle. <<
Bella?
Cosa ci fai tu qui? >> Quando vidi chi
era
il mio interlocutore, per poco non mi venne un infarto. <<
Oh, cazzo.
>> disse Edward, accanto a me << Ecco
perché mi sembrava famigliare
questo posto! >> <<
Come? Ma
cosa stai dicendo? >> chiesi, prima che l’altro
ragazzo cercò di
raggiungermi. <<
Bella?
Cosa stai facendo? Come hai fatto a venire fin qui? >> Quello che
successo
dopo mi lasciò senza fiato. Il ragazzo, che
riconoscendomi aveva provato a raggiungermi, era stato colpito alla
testa da
Edward. Facendo il punto della situazione, quindi, mi ritrovavo in
mezzo a due Edward Cullen: uno steso
a terra,
ferito, l’altro in piedi, davanti a me. <<
Ma sei
completamento impazzito? >> gli domandai, accasciandomi a
terra. <<
Non poteva
vederci. >> <<
Oh, santo
cielo! Ti sei colpito da solo! >> urlai, ricordandomi
quell’assurda
discussione avvenuta alla loggia, mesi prima << Hai
accusato me e invece
ti sei colpito da solo! >> <<
A quanto
pare… >> <<
Prepara
delle scuse epiche, Cullen. >> gli comunicai, facendolo
sorridere. <<
Coraggio,
andiamo. >> <<
Ma non
possiamo lasciarlo così. >> <<
Si
riprenderà, era solo un colpo in testa. >>
affermò, trascinandomi via,
mentre l’Edward del passato giaceva a terra privo di sensi. Raggiungemmo la
casa
di Lady Bennett subito dopo. Non persi tempo a guardarla,
però. In quel preciso
momento, l’architettura Settecentesca non rientrava nei miei
interessi. Come al solito,
ad
aprirci venne un maggiordomo. Differentemente dalle altre volte,
però, questo
non fece troppe storie. Tutto il contrario: ci invitò ad
entrare, facendoci
aspettare nel salotto, dopodiché scomparve per chiamare
Madame d’Urfé. <<
Speriamo
si sbrighi. >> mormorò Edward, guardando
l’orologio da taschino. <<
Quanto
tempo abbiamo? >> <<
Poco più
di un’ora e mezza. >> rispose, guardandomi
preoccupato. Iniziai a pregare
che la padrona di casa si sbrigasse a fare la sua entrata in scena. Nemmeno finii di
elaborare il pensiero che Bonnie Bennett, nota a tutti come Madame
d’Urfé, ci
raggiunse. <<
Mi hanno
avvisato di avere ospiti. >> parlò,
avvolgendosi uno scialle di organza
intorno alle spalle << Chi siete? >> <<
Mi chiamo
Anthony Roberts e questa è la mia sposa, Marie Stewart.
>> <<
Molto
lieta. >> dissi, facendo un leggero inchino. <<
E cosa ha
portato due giovani così a modo in casa mia? >> <<
Vorremmo
parlarvi dello smeraldo. >>
rispose Edward, senza troppe cerimonie. <<
Il mio
caro amico Aro… >> parlò la donna,
assumendo un’aria pensierosa,
indicandoci una stanza più spartana e accogliente
<< Cos’ha fatto questa
volta? >> La seguimmo, e
mentre Edward narrava la storia a grandi linee, io ne approfittai per
studiarla
un po’. Era di una
bellezza
sopraffina, più elegante di quella di Lady Gilbert
sicuramente. I capelli,
lunghi e lucenti, erano biondi – esattamente come tutti
quelli della
discendenza femminile – gli occhi, avevano un acceso color
verde mare, tendente
al celeste. Era magra e slanciata, indubbiamente bellissima. <<
Vorremmo
sapere come farà ad uccidere il rubino, essendo egli
immortale. >> <<
E perché,
se lo sapessi s’intende, dovrei dirlo a voi, giovanotto?
>> domandò Madame
d’Urfé, sorridendo gentile << Non
fate parte del cerchio, o c’è qualcosa
che state omettendo? >> <<
Con tutto
il rispetto che meritate, Madame d’Urfé, non vi
conosciamo abbastanza per dirvi
tutto. >> ribatté Edward, facendola sorridere
nuovamente. <<
Ed io non
conosco voi abbastanza per dire ciò che so. >> <<
Avete
ragione. >> intervenni, cercando di salvare il salvabile
<< Non vi
conosciamo e voi non conoscete noi. Ma sappiamo che tra voi e lo
smeraldo non
corre buon sangue, anzi. Noi abbiamo le prove che le azioni di
quell’uomo sono
deplorevoli, perciò le parole stanno a zero! Avete due
strade davanti a voi: essere
fedele ad un uomo abbietto, oppure fidarvi di noi e dirci
ciò che sapete.
>> I minuti
passarono,
ed io speravo che parlarle a cuore aperto fosse servito a qualcosa.
Bonnie
Bennett mi fissava con i suoi occhi da felino in modo quasi viscerale,
era come
se riuscisse ad oltrepassare le barriere del corpo e riuscisse a
leggermi nella
mente. Sperai che quello che stava cercando, qualsiasi cosa fosse,
l’avrebbe
portata a fidarsi di noi. <<
Aro userò
suo figlio per arrivare al rubino. >> parlò la
donna, dopo aver fatto un
profondo respiro. <<
Come?
>> <<
Suo figlio?
>> domandò Edward, invece. <<
Ha messo
incinta una donna, qualche mese fa. Il suo intento è quello
di mandare il suo
erede nel nuovo mondo. Il bambino sarà speciale, esattamente
come suo padre.
Avrà il gene del viaggio nel tempo… Quando il
cerchio verrà chiuso e il rubino
verrà ucciso, il figlio di Aro farà la sua
comparsa. Prenderà il cronografo,
una volta liberato il segreto del segreto, dopodiché
tornerà indietro da suo
padre, affinché egli diventi immortali. >> Restammo in
silenzio. Per la prima volta, da quando questa storia era iniziata,
né io né
Edward sapevamo cosa dire. Un figlio…,
pensai. Possibile che il figlio del conte ci stesse controllando e
nessuno di
noi se ne fosse mai accorto? <<
Il rubino
non può essere ucciso, come già sapete. In esso
si racchiude il dono più
potente di tutti: l’immortalità. Colui che lo
possiede deve rinunciarvene
spontaneamente, è l’unico modo per ucciderlo
realmente. Ciò che Aro ignora, ed
io ho scoperto per puro caso, è che non importa uccidere
realmente il portatore
dell’immortalità in quanto mentre egli
è nel confino tra i vivi e i morti essa
può essergli sottratta. >> <<
Cosa?
State scherzando? >> <<
Come vi
permettete?! >> chiese la donna ad Edward, scattando i
piedi <<
Pensate realmente che mi metterei a scherzare su argomenti
così importanti?!
>> <<
No, il mio
compagno ha sempre questi scatti un po’ imbecilli.
>> sussurrai, dandogli
una gomitata << Vorremo ringraziarvi di cuore, Madame.
Questa
chiacchierata c’è stata davvero molto, molto
utile. >> Salutammo Madame
d’Urfé in fretta e ci dirigemmo di corsa verso la
loggia. Il tempo era passato
più in fretta del previsto, non saremmo mai riusciti a
tornare a casa di Edward
in tempo. <<
Poteva
sapere altro! >> urlò Edward, mentre correvamo
tra le vie di Londra. <<
Anche se
fosse, non ci avrebbe detto molto dopo la tua sparata! >> <<
Mi sono
solo spaventato, Bella! Forse dovremmo tornare là.
>> <<
Per fare
cosa? Sparirle davanti agli occhi? Se abbiamo cinque minuti di tempo
per
raggiungere Temple è tanto! >> <<
Da quando
sei diventata così attenta? >>
domandò, sghignazzando. <<
Ho
imparato tutto da te! E ora muoviamoci! >> Entrammo dal
retro,
sperando che nessuno ci vedesse. Dovevamo raggiungere una delle stanze
al più
presto. <<
Perché non
c’è il solito via vai? >> domandai a
bassa voce, mentre ci aggiravamo tra
i corridoi della loggia. <<
L’edificio
è stato avviato da poco meno di un anno, la sicurezza non
è ancora come quella
del 2011. >> rispose, nel mio stesso modo, guardandosi
guardingo intorno
<< Quella dovrebbe essere l’attuale sartoria.
Presto, vieni! Il massimo
che succederà sarà saltare in una stanza vuota.
>> <<
E se c’è
qualcuno? >> chiesi, afferrando la sua mano. <<
Alice
chiude sempre la porta a chiave. >> spiegò
<< È gelosa delle sue
creazione e non vuole correre il rischio che vengano rovinate.
>> Senza
più proferire
parola, lo seguii. Mancava meno di un minuto al salto e già
avevo lo stomaco
sottosopra. Puntuale come un
orologio svizzero, la vertigine ci colpì a pochi secondi di
distanza l’uno
dall’altra. Il pavimento scomparve da sotto i miei piedi e mi
sentii sollevare
in aria. <<
Bentornati, ragazzi. >> disse qualcuno, quando la
trasmigrazione incontrò
la sua fine. Ci voltammo in
fretta, riconoscendo la voce che ci aveva sorpresi alle spalle. Era
fredda, più
gelida del normale; trasudava divertimento e senso di vittoria. <<
Ho
cominciato a capire che c’era qualcosa che non andava qualche
giorno fa, e il
vostro tête-à-tête ha confermato i
miei sospetti. >> disse, standosene comodamente seduto in
poltrona a
fumarsi un sigaro << Ho, quindi, fatto un saltino dal mio
vecchio… Tanto
per capire se fosse tutto apposto. Ho saputo, così, che una
coppia bizzarra era
andata a parlare con la compagna di viaggio di mio padre, qualche mese
antecedente alla mia nascita. Ho fatto due più due, e una
volta intercettati
Emmett e Rosalie, sotto l’ala protettrice di Lady Gilbert,
sono venuto a capo
di tutto: loro vi hanno dato il primo cronografo e voi lo avete
utilizzato per
viaggiare nel tempo a mia insaputa. Mio padre è stato molto
stupido… Insomma,
credeva davvero che una volta venuto a conoscenza del dono immortale ti
avrei
uccisa per darlo a lui? Che sciocco bigotto. >>
continuò, scoppiando in
una risata assordante << Emmett non aveva alcuna
intenzione di
collaborare, così ho dovuto ricattarlo con tua cugina.
È esattamente come il
tuo giovane amante… Toccagli la ragazza e canta come un
uccellino. >> <<
Cosa
diavolo hai fatto a Rosalie?! >> urlai, morendo di paura. <<
No, no,
no… La domanda non è cosa ho fatto a lei,
ma cosa sto per fare a te. >> <<
Non ti
azzardare a toccarla, bastardo. >> lo minacciò
Edward, nascondendomi
dietro al suo corpo. <<
Siete così
patetici. Tutti a difendere tutti… Quando capirete che
dovete difendere solo
voi stessi? Emmett vi ha sacrificati, vi ha venduti! Dicendomi tutto
quello che
volevo sapere. Mi ha perfino dato il suo sangue, e tutto
perché? Perché non
piantassi un coltello nel cuore della sua amata Rosalie.
>> si alzò,
brandendo una pistola nera con silenziatore << Che
idiota. >> <<
Lo avrei
fatto anche io. >> sibilò Edward
<< Se avessi dovuto scegliere tra
Isabella e una parola data avrei scelto la prima, sapendo che avrebbero
capito.
>> <<
E mio
padre confidava davvero in te? >> chiese, inclinando la
testa di lato
<< Sei proprio un perdente, Edward Cullen.
>> concluse, sparando un
colpo. Quando Edward
cadde
a terra urlai, certa che qualcuno mi avrebbe sentita. Sbagliavo,
però. Nessuno
venne ad aiutarci. <<
Edward?
>> lo chiamai, assicurandomi che il proiettile fosse
uscito. Fortunatamente,
gli
aveva sparato nella spalla destra. Il suo intento era chiaro: non
voleva
ucciderlo, voleva solo che io mi uccidessi per salvare chi amavo. <<
Non
accorrerà nessuno, Isabella. Ho messo il silenziatore solo
perché non mi piace
il rumore… Sono tutti indaffarati o addormentati.
>> e riprese a
sorridere trionfante << Qui alla loggia sono stati sempre
tutti così
accomodanti con me. Come se mi conoscessero da una vita! Invece sono
qui solo
da diciassette anni. Fu proprio Emmett a portarmi qui, sai? Quando
conobbe mio
padre, al loro primo incontro, gli venni affidato io: un giovane che
doveva
scappare da quell’epoca. Il povero Emmett, che era
così devoto, fece ciò che
mio padre gli aveva suggerito e quando saltò nel presente,
io – un
gene-portatore come mio padre! – saltai con lui. Il dopo fu
ancora più facile…
Ipnotizzai tutta la loggia, chiunque fosse a conoscenza del segreto dei
salti
nel tempo, e organizzai il mio finto passato. Menti fragili sono facili
da
plagiare, non lo sai? Lo stesso Emmett non si ricordò mai di
me. Crebbi così in
questo nuovo mondo… Era il 1994 quando arrivai qui.
L’anno d’oro, l’anno della
tua nascita. >> mi raggelai a quella rivelazione. Tutto quello che
sapevamo sul conto di quell’uomo era inventato. La sua vita,
il suo passato… Tutto
era stato macchinato ancora prima della mia nascita. <<
Bella, te
ne devi andare… >> sussurrò Edward,
attirando la mia attenzione. <<
Non ti
lascio qui, non esiste. >> <<
Oh,
l’amore! Un apostrofo rosa tra le
parole
t’amo.
³ >> <<
Credevo
fosse un professore di Storia, non di Letteratura. >>
dissi, alzandomi in
piedi per frappormi tra Edward ed Alaric Saltzman. <<
Sono molte
cose, ragazzina. >> rispose Mr. Saltzman, tornando serio. <<
Cosa vuole
da me? >> <<
Non è
chiaro? La tua morte. >> rispose, estraendo una boccetta
simile a quella
che avevamo noi << Mentre vi aspettavo sono sceso nella
stanza del
cronografo e ho aggiunto il sangue di Emmett e Rosalie
all’oggetto. Dopo
qualche numero pirotecnico davvero carino si è manifestato
l’elisir di cui mio
padre mi aveva sempre parlato. Ora tu dovrai morire, ma visto che
entrambi
sappiamo che questo accadrà solo quando lo deciderai tu hai
due scelte: io
uccido il tuo ragazzo e tu ti butti in mezzo per salvarlo, rischiando
di non
fare in tempo o sbagliare traiettoria; io non uccido nessuno, tu ti
pugnali o
ti spari, hai libera scelta s’intende, io bevo
l’elisir e me ne vado per la mia
strada. Certo, tu sarai morta, ma il tuo amato vivrà. Ehi,
non guardarmi come
se fossi pazzo! Non si può avere tutto dalla vita.
>> <<
Tu… Tu sei
malato! >> parlò Edward <<
Bella, vattene via. >> non feci in
tempo a rispondere. Alaric Saltzman
impugnò nuovamente la pistola e gli sparò ad una
gamba, facendolo urlare di
dolore. <<
La smetta!
>> strillai, inginocchiandomi accanto ad Edward
<< Se continua così
lo ucciderà, allora non avrà più
niente con cui ricattarmi! >> <<
Conosco
l’anatomia, Isabella. Sai quanti colpi posso sparare prima di
ucciderlo
veramente? E tu non potrai fare niente, se non prendere il colpo al
posto suo,
ovviamente. >> <<
Bella, mi
ucciderà lo stesso! >> disse Edward,
digrignando i denti << Vattene
via. >> <<
Non lo
farò, lo sai. >> <<
Quindi
cosa scegli? >> domandò Mr. Saltzman, come se
mi stesse chiedendo se
preferivo la pizza margherita o quella al salame piccante. <<
Mi dia un
coltello e facciamola finita. >> <<
No!
>> sentii urlare Edward, disperato <<
Isabella, no! >> <<
Sospettavo
fossi un’aspirante Giulietta.
>> disse il professore, estraendo un pugnale antico dalla
cintura di
pelle. Lo afferrai, con
mani tremanti, cercando di non sbagliare il colpo. La mia vita non
avrebbe
avuto senso senza Edward. Dovevo proteggerlo; lui per me lo avrebbe
fatto, lo aveva fatto. Chiusi gli occhi,
puntandomi la lama al petto. Ripensai a tutto quello che era successo
da quando
avevo compiuto il mio primo salto, a tutto quello che era cambiato.
Ripensai
alla mia famiglia, ai miei amici… La vita era un filo
così sottile. Bastava un
attimo per tagliarlo via. D’altronde, non potevo lamentarmi
troppo: tutto aveva
da sempre un inizio ed una fine, e quella era la mia. Non avevo mai pensato
molto alla mia morte, ma morire per qualcuno che
ami, era senz’altro un buon modo per andarsene². <<
Bella…
>> sussurrò Edward, con voce incrinata. Non risposi. Non mi voltai. Non lo guardai. Non potevo farlo.
Dovevo solo concentrarmi su quel dannato pugnale. <<
Coraggio,
Isabella. La pazienza non è il mio forte e ho ancora un bel
po’ di colpi in
canna pronti per il fiero leone.
>> Quelle parole mi
penetrarono più della lama che, comunque, con decisione mi
affondai nella
carne, mozzandomi il respiro. Il dolore, quella
volta, era nettamente superiore rispetto alla notte della soirée. Non avevo mai, mai in
tutta la mia vita, provato un dolore
simile. Era dilaniante, intenso. Indescrivibile. Sentivo il freddo
delle lama
corrodermi le ossa, mentre la carne bruciava terribilmente. Le ginocchia mi
cedettero, facendomi cadere a terra. <<
Finalmente! >> urlò trionfante Mr. Saltzman,
mentre il mio respiro si
faceva sempre più corto e la mia vista più
annebbiata. <<
Ed…ward…
>> gemetti di dolore, cominciando davvero ad avere paura. <<
Sono qui…
>> rispose tra le lacrime. Era un pianto
soffocato, di dolore e rabbia. Edward era il
classico ragazzo tutto d’un pezzo. Se c’era una
cosa che detestava con tutte le
sue forze era farsi vedere fragile. Il pianto era l’azione
più fragile che si
potesse far trasparire. <<
Giovanotto, la lama la estrai tu per accelerare il processo o devo
farlo io?
>> <<
Toccala
anche solo un dito, dannato bastardo, e giuro che se vado
all’inferno ti
trascino con me. >> <<
Mmm, anche
da ferito non perdi la tua arroganza, vedo. >> Le voci
cominciavano a farsi ovattate e lontane. Come se stessi sognando e il
sogno,
purtroppo, venisse strappato via senza la mia volontà. Non
era un sogno, però,
quella era la mia vita. O meglio, ciò ne restava. <<
Strappale
il pugnale dal petto o ti sparo in testa e la sua morte sarà
stata vana. E
indovina di chi sarà la colpa, Edward? >> Sapevo che non lo
avrebbe mai fatto. Mi amava e sperava ancora di riuscire a salvarmi.
Io, però,
non avevo le forze adeguate per strapparmi quel pugnale. Doveva farlo
Edward. <<
Fa…llo.
>> cercai di dire, e ci riuscii per pura fortuna. <<
Bella, non
puoi chiedermi… >> <<
Dannazione, Edward, fa’ quello che ti ha detto o ci penso io
e per accelerare
il processo le taglio la gola davanti ai tuoi occhi! >> <<
Non posso
ucciderla! >> <<
È già
morta! >> <<
Non lo è!
>> Non so dove
trovai
la forza, ma lo feci. Mi strappai il pugnale dal petto, urlando per il
dolore.
Caddi in avanti, ormai totalmente priva di forze, e trovai il petto di
Edward
ad accogliermi. Non c’era posto migliore per morire. <<
Dio, ti
prego, no… >> sussurrò,
stringendomi a sé. <<
Prendilo…
>> sussurrai, conscia che forse nemmeno lui sarebbe
riuscito a sentirmi
<< Ti… ti servirà per uscire vivo
da qui. >> conclusi, passandogli
attentamente il pugnale. Quando percepii
la
mano sinistra di Edward sfiorare le mie dita, capii che mi aveva
sentita. <<
Ti amo.
>> disse, adagiandomi a terra e sfiorandomi le labbra con
le sue. Avrei voluto
rispondergli. Desideravo poterlo fare, ma alcun suono uscì
dalla mia bocca. <<
Credi che
sia maleducato da parte mia bere alla sua morte? >>
chiese Mr. Saltzman,
alzando l’ampollina. Nel momento
esatto
in cui il liquido scese nella sua gola, Edward – nonostante
il corpo martoriato
– si alzò leggermente lanciandogli il pugnale che
gli avevo passato. Lo
centrò in gola,
impedendo al liquido di scendere oltre. Il mio scarifico non sarebbe
stato
invano. Vidi il mio
professore di Storia cadere a terra a peso morto. La pistola
sparò un altro
colpo, l’ultimo, forando l’abito nuovo che Alice
stava cucendo. Era tutto
finito, adesso. <<
Bella,
Bella, bevi. >> mi ordinò Edward,
appoggiandomi qualcosa sulle labbra. Non mi andava.
Volevo solo lasciarmi andare. <<
Dannazione, Isabella! Non puoi morire, non puoi farmi questo, ok? Mi
hai fatto
innamorare di te e ti ho già persa una volta! So cosa si
prova a vederti morire
e so che questa volta non tornerai da me, quindi bevi! Dannazione,
bevi!
>> Sentendolo
così
disperato lo accontentai. Aprii la bocca il più possibile e
lasciai che il
liquido caldo penetrasse nel mio corpo. Lo sentivo scendere lungo la
gola, entrando
nei miei muscoli. Mano a mano, tutte le mie percezioni si fecero
più vigili; il
respiro divenne più regolare; la ferita al petto non faceva
più così male. E in
quel momento capii: Edward aveva l’altra ampolla. Forse su un
essere umano
qualsiasi funzionava come un elisir di lunga vita, su di me –
un’immortale che
abbandonava la sua immortalità – si trasformava in
una cura. Forse non sarei
stata più immortale, ma per lo meno avrei vissuto. <<
Edward…
>> riuscii a dire, gettandomi tra le sue braccia. <<
Piano,
piano! Io sono ancora un po’ rotto…
>> Non lo ascoltai,
continuai a stringere sempre più forte e lui, nonostante le
sue ferite e il
dolore, faceva lo stesso. <<
Sei una
pazza. >> <<
Lo sei
anche tu. >> <<
È finita,
adesso, vero? >> <<
Sì, amore
mio. >> rispose, accarezzandomi una guancia
<< È tutto finito,
adesso. >> E mi
baciò,
sigillando con quel gesto una velata e solenne promessa.
¹.Le profezie scritte in corsivo di
questo capitolo, come in tutti gli
altri, appartengono alla trilogia originale, scritta da Kerstin Gier. ².Queste frasi appartengono a
Stephenie Meyer. ³.Appartiene alla commedia Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand.
Per chi è
arrivato in fondo, chiedo perdono per la lunghezza! Anche io a
sistemarlo su Nvu ci ho messo davvero parecchio, ma spero che la
lettura non sia stata faticosa.
Siamo arrivati all'ultimo capitolo e, come avrete potuto leggere, tutti
i tasselli del puzzle sono stati finalmente collocati al loro posto. Il
figlio del conte era l'ultima sorpresa... Molto inaspettata, sia per
chi non ha letto la trilogia, sia per chi l'ha letta. Il finale della
Gier, infatti, era moooolto diverso dal mio! Ma come dico sempre: un
conto è rivisitare, un altro è copiare pari-pari.
Non voglio dilungarmi troppo, anche perché ho un sacco di
cose da fare XD ma ci tenevo a ringraziare tutti quelli che mi hanno
dato il loro sostegno; tutti quelli che hanno e, soprattutto,
commentato ogni singolo capitolo. Per chi scrive, anche se non lo fa
per questo, conta davvero moltissimo.
Per quanto riguarda il DOPPIO EPILOGO che attende questa storia, vi
svelo i particolari. Come dice il nome sarà un doppio
epilogo, ossia due pubblicazioni e due epiloghi diversi. Se riesco a
finirli per Domenica, le pubblicazioni saranno per Lunedì 4
Febbraio e Venerdì 8 Febbraio. Se, invece, non dovessi
riuscire a scriverli in tempo, le due pubblicazioni slitteranno a
Mercoledì 6 Febbraio e Domenica 10 Febbraio. Ci
sarà anche un piccolissima sorpresa sul mio blog, per questa
storia XD che non è niente di che, ma l'ho trovata una cosa
carina che ho già scritto ed è salvata in bozze :)
Cos'altro dirvi, quindi? Grazie di cuore a tutti e ci vediamo - anzi,
leggiamo - al doppio epilogo di settimana prossima! Un bacione a tutti!
:*
Vi ricordo il mio blog, in
riferimento alla sorpresa:Violet Moon (Blog).
Buon pomeriggio a tutti!
Come avevo annunciato su Facebook e nelle risposte alle recensioni, ho
anticipato la pubblicazione della prima parte del doppio epilogo. Prima
di lasciarvi alla lettura, volevo semplicemente dirvi GRAZIE! Per il
benvenuto che avete dato alla storia, per come l'avete seguita, per il
modo in cui mi avete aspettata e mai abbandonata e, soprattutto, per le
recensioni che questa storia ha ricevuto. Come dico spesso, l'autore
può anche saper scrivere e partorire un'ottima idea,
un'ottima trama, ma è il lettore che fa di quella storia e
di quell'autore qualcosa e qualcuno. Ma bando alle
ciance, adesso!Vi
chiedo/prego soltanto di leggere le note finali, sono importanti! Buona lettura! :) .
EPILOGO
#01
Londra, Inghilterra.
8 Maggio 2012
Il
2011 era stato
talmente intenso, soprattutto negli ultimi mesi, che trassi un sospiro
di
sollievo quando brindammo alla venuta nel nuovo anno.
Da quando venni a
conoscenza di essere io il rubino e non Tanya, come tutti pensavamo, la
mia
vita venne sconvolta in modo impensabile. Non lo avevo scelto io, quel
futuro.
Ma come diceva sempre la prozia Jenna: nessuno può sfuggire
al proprio destino.
Era vero. Io non
ero riuscita a scampare al mio. Ero diventata la dodicesima
viaggiatrice del
tempo, e da quel giorno tutto era cambiato.
<< Tesoro, è
arrivato Edward, sei pronta? >> domandò mia
madre, entrando in camera
mia.
Mi risvegliai da
quei pensieri bruscamente, quasi come se ne fossi rimasta incastrata e
qualcuno, senza permesso, mi avesse trascinata via.
<< Ho finito,
mamma. Scendo subito… >> risposi, guardandomi
allo specchio per l’ultima
volta.
Indossavo un abito
lungo in satin, blu elettrico. Era
molto semplice, ma ricadeva sulla mia pelle come se fosse un liquido
che andava
a fondersi perfettamente con la persona che lo portava. La scollatura
era a
cuore, e sotto il seno si incastonava un decoro in strass argentei
molto
sottile; la gonna cadeva a cascata, slanciando parecchio la mia figura.
Le
spalline erano così sottile che quasi non si vedevano. Era
lungo, quindi la
gente avrebbe notato solo la punta delle mie decolté di
colore argento, come il
decoro del vestito.
I capelli erano
raccolti parzialmente, lasciando cadere qualche onda lungo la schiena e
le
spalle. Erano nettamente più lunghi, più setosi e
lucenti, nell’ultimo periodo.
Il trucco, infine, era naturale: un marrone-bronzato metteva in risalto
gli
occhi, resi sexy da notevoli passate di mascara nero; sulle gote un
leggero
color pesca, simile al gloss che sfoggiavano le labbra.
Presi un profondo
respiro e scesi di sotto. Edward mi stava aspettando.
<< Cavolo,
Edward, grazie! >> sentii dire da mio padre
<< Sono da collezione,
questi sigari! >>
<< Lo so. Mio
padre ha portato qualche scatola in più, così ho
pensato a lei. >>
<< Ancora con
questo “lei”? >> parlò
papà, impettito << Edward, sei il ragazzo di
mia figlia, e spero che un giorno diventare mio genero!
Perciò, smettila di
darmi del lei e passa al tu. Mi offendo, ti avviso. >>
<< D’accordo,
signor Swan, ehm volevo dire Charlie. >> dalla voce capii
fosse
imbarazzato << Va bene così? >>
<< Perfetto,
giovanotto. Perfetto! >>
Quando percepirono
i tacchi sugli ultimi scalini, saettarono entrambi verso di me.
Il mio viso andò a
fuoco, Edward mi guardava come se fossi da mangiare. I suoi occhi verdi
erano
penetranti, mi stavano letteralmente divorando.
<< Sei
bellissima, Bella. >>
Mi morsi il labbro,
fissandolo attentamente. Indossava un completo grigio piombo, con
camicia blu
scura e cravatta abbinata. I capelli, come di consueto, erano un
groviglio
impazzito; nel loro disordine, c’era un ordine molto
particolare.
<< Stai molto
bene anche tu… >> sorrise a quelle parole, e
mi tese la mano per aiutarmi
a scendere gli ultimi gradini.
<< Isabella,
sei proprio uno splendore. >> disse la prozia Jenna,
apparendo dal nulla.
<< Grazie… Ma
Tanya? >>
<< È già
uscita. >> rispose zia Victoria, dal salotto
<< Non voleva farti
sfigurare. >> alzai gli occhi al cielo, rassegnata. Molte
cose erano
cambiate; purtroppo per noi, però, Tanya e sua madre non
rientravano in questa
cerchia.
<< Victoria.
>> la ammonì Lady Lillian <<
Stai molto bene, Isabella. Devo
ammettere che da quando sei entrata a far parte dei gene-portatori sei
cambiata
molto, e in meglio. Ti ho sempre giudicata male, di questo me ne
dispiaccio.
>>
Le sorrisi di
cuore, non sapendo bene cosa risponderle.
<< Andiamo,
signorina? >> domandò Edward, facendomi
tornare con i piedi per terra.
<< Certo.
>> risposi, sorridendogli.
<< Divertitevi!
>> urlarono mia madre e la prozia Jenna.
<< E non fate
cosa stupide, soprattutto al dopo ballo! >>
<< Papà!
>> lo rimproverai. Se solo
sapesse
quello che io e Edward già facciamo…,
pensai, arrossendo.
Di tutta risposta,
il mio ragazzo sghignazzò orgoglioso pensando alle sue
prestazioni.
Arrivati alla
limousine bianca, mi accorsi che non eravamo da soli.
All’interno del mezzo di
trasporto, infatti, c’erano altre due coppie: Alice e Jasper,
Angela ed Eric.
<< Bella, sei
strepitosa! >> squittì Alice, trascinandomi in
mezzo a lei ed Angy.
<< Concordo,
ragazza, sei una bomba! >> confermò la seconda.
<< Anche voi
siete fantastiche, amiche. >> affermai sinceramente.
Alice sfoggiava un
abito a stile impero celeste e panna, lungo fino al ginocchio; ai piedi
aveva
dei bellissimi sandali-gioiello che salivano fino al polpaccio, con lo
stile da
schiava. Angela, invece, era meno aggressiva: abito rosa cipria,
monospalla,
corto davanti e lungo dietro; decolté alte, ma dello stesso
colore dell’abito,
erano ben ferme ai suoi piedi.
Raggiungemmo
la
Saint Lennox High
School nel giro di venti minuti.
L’intero istituto
era addobbato a festa; quella sera si sarebbe tenuto
l’annuale ballo di fine
anno. Dopodiché avremmo svolto gli ultimi test e preso il
diploma. College, stavo
arrivando!
<< Ehi… Io
non ti ho ancora salutata come si deve. >>
mormorò Edward, afferrandomi
per un braccio.
Le nostre labbra
entrarono in collisione nel giro di un nano di secondo, poi mi ritrovai
in
paradiso.
Baciarlo era sempre
eccitante, per me. Nonostante fossero passati mesi dal nostro primo
bacio o
dalla nostra prima volta, stare con Edward era un’esperienza
unica. Irrinunciabile.
Le sue mani erano
esperte, fin troppo, sapeva toccare i punti giusto, senza cadere in
atteggiamenti volgari o inopportuni in pubblico. Ero creta nelle sue
mani e la
cosa, molto più di spesso, mi terrorizzava.
<< Non vedo
l’ora di toglierti questo vestito di dosso, Miss Swan.
>>
<< I tuoi
baci mi uccidono. >>
<< Spero
proprio di no. >> sussurrò, dandomi leggeri
baci sulle labbra <<
Non ho altri elisir né cerchi da concludere, e tu non sei
più immortale.
>>
<< La cosa ti
dispiace? >> domandai, certa di provocarlo.
<<
Sinceramente? Un po’ sì. >> la sua
risposta mi spiazzò << Non
fraintendermi, sono entusiasta di poter trascorrere una vita lunga e
normale
con te, ma non riesco a non pensare al fatto che hai rinunciato ad una
vita
notevolmente più sicura
per me.
>>
<< Non mi
interessa un’eternità in cui non ci sei.
>> sussurrai, accarezzandogli il
viso.
Era vero. Non mi
importava di niente che non riguardasse Edward Cullen. Forse ero
esagerata,
estrema, totalmente pazza, ma
volevo
essere sincera con me stessa.
<< Entriamo?
>> propose, porgendomi il braccio che afferrai con
entusiasmo.
Non riuscii a non
ripensare ad Alaric o al conte di Saint Germain, suo padre.
Quando Mr. Dywer ci
trovò nella sartoria, quasi non credette ai suoi occhi. Come
avrebbe potuto, in
fondo? Nessuno avrebbe potuto sospettare di Mr. Saltzman. Lui, con quei
trucchetti che condivideva con suo padre, era riuscito ad insinuarsi
nella
mente di tutti i membri della cerchia, facendogli credere di aver
sempre fatto
parte di quel mondo, fin da piccolo, fin da quando suo padre
– qualcuno che,
capii soltanto dopo, non era mai esistito realmente – ne
faceva parte.
Una volta ripresi
dall’accaduto, io ed Edward saltammo indietro dal conte, per
informarlo che il
suo piano era morto insieme a suo figlio; un figlio che non era nemmeno
intenzionato a rispettare un patto fatto col sangue del suo sangue.
Per una frazione di
secondo provai compassione e tristezza. Essere ingannato da qualcuno
che
conosci o che paghi è un discorso, ma quando a tradirti era
tuo figlio la
situazione era notevolmente più schifosa.
Adesso, nel
presente, usavamo il cronografo solamente per impedirmi di trasmigrare
improvvisamente nel bel mezzo della giornata. Quando
quell’anno sarebbe finito,
però, non ci sarebbero stati più doveri
né obblighi. Io ed Edward eravamo liberi.
Assorta nei miei
pensieri, non mi accorsi di andare a sbattere contro qualcuno.
<< Dio,
Bells, stai attenta! Mi sgualcisci il vestito! >>
<< Scusa,
Tanya, non ti avevo vista. >>
Mia cugina era
sempre mia cugina. Era venuta a conoscenza di tutta la storia, come
tutti, e
invece di ringraziarmi per averle risparmiato tutto quello, si
scagliò contro
di me, accusandomi di essere stata una maledizione per la loggia e per
il
cerchio dei dodici.
<< Prova a
capirla. >> aveva detto Edward, una sera <<
Tu hai avuto una bella
infanzia, dei genitori che ti hanno sempre voluta bene. Lei no. Tanya
si era
identificata nel rubino, quella doveva essere la sua vita –
bella o brutta che
potesse essere – e poi qualcuno le dice, di punto in bianco,
che non sarà più
l’eroina di niente. Forse tu avresti reagito diversamente, ma
per qualcuno che
non ha mai avuto niente, che ha sacrificato ogni attimo di una vita mai
vissuta
appieno, anche uno schifo di destino è meglio del nulla.
>>
Potevo capirla, ma
non assolverla. Il passato fa di ogni persona qualcuno, nel bene o nel
male, ma
non può essere quel passato a giustificare ogni azione
riprovevole o meschina.
Io non le avevo mai fatto nulla, mentre lei mi aveva usata fin da
subito come
il capro espiatorio dei suoi problemi.
<< Ti va di
ballare? >> domandò Edward, liberandomi la
mente.
<< Certo.
>>
Ballammo per quasi
tutto il tempo, vivendo quella serata come due ragazzi normali, senza
salti nel
tempo e senza missioni. La vostra vita era cambiata in meglio.
<< Ti amo,
Bella. >> sussurrò Edward, al mio orecchio,
dopo avermi fatto fare una piroette.
<< Ti amo.
>> risposi, dandogli uno svelto bacio a stampo.
Mi accorsi che
qualcuno stava cercando un po’ di attenzione, così
gliela diedi, specificando
che volevo stare tranquilla con il mio ragazzo.
<< Volevo
solo dirvi che il portamento è sbagliato. >>
parlò solenne, come un
insegnante bacchettone << Inoltre, per quale motivo state
così vicini?
Non è modo di ballare questo! >>
<< James, io
ti voglio bene, ma adesso sparisci! >> gli dissi,
facendolo tacere
all’istante.
Se ne andò
impettito, mormorando per l’ennesima volta quanto fossi
maleducata.
<< Il
fantasma di James? >>
<< Purtroppo.
>> risposi, ormai Edward sapeva tutto di me
<< Ho un’idea, che ne
dici di tornare a quando si è ammalato e fargli il vaccino?
>>
<< Bella…
>>
<< Andiamo,
con Jake è andato tutto liscio, che ti costa?
>> domandai, facendo gli
occhioni da cucciola.
<< D’accordo,
ci penserò. Va bene? >>
<< Per il
momento può bastarmi! >> risposi,
sorridendogli vittoriosa.
Okay, forse la
nostra vita non era e né sarebbe propriamente normale, ma
era un inizio. Un inizio
che avrei intrapreso insieme ad Edward e a tutte
le persone che amavo e che mi avevano aiutata in quella terribile
situazione. Tutte…
O quasi.
FINE?
Non
ancora... .
Eccoci alla prima
parte del doppio epilogo che vi avevo promesso. Cosa potrei aggiungere?
Sinceramente, penso che le righe soprastanti bastino e avanzino XD
Edward e Bella sono innamorati, felici... E per chi voleva sapere cosa
sarebbe successo al conte, alla loggia, alla cerchia, ect, qualcosa
è stato già detto. Il punto finale e le ultime
delucidazioni verranno svelate nel prossimo - ed ultimo, soprattutto -
aggiornamento, il quale (per i lettori più attenti)
racchiuderà un enigma ed una piccola e ultisimissima
sorpresa.
Per chi volesse vedere
oltre che leggere Edelstein,
sul mio blog (di cui trovate il link sotto) ho creato un post con i
luoghi di questa storia! Potrete vedere Temple, Hyde Park, il
fantastico locale di Greenwich - dove i nostri due protagonisti si sono
dati il primo bacio! - e qualche altro piccolo approfondimento, tanto
per farvi capire che a questa storia tenevo davvero molto e ho cercavo
di rendere reale ogni più piccolo dettaglio. Spero di
esserci riuscita! :)
Per chi non lo sapesse, poi, concludo dicendo che prenderò
una pausa da Efp, adesso. La seconda parte dell'epilogo sarà
la mia ultima pubblicazione, almeno per un po' di tempo. Per saperne di
più, nel mio profilo di Efp c'è scritto tutto :)
Detto anche questo, ringrazio di cuore tutti voi! E vi ricordo che la
seconda e ultima parte dell'epilogo verrà pubblicata
Venerdì 8 Febbraio! :) Ringrazio nuovamente tutti di cuore e
vi mando un bacio! :*
Buon
pomeriggio a tutti, eccomi con l'atto finale - purtroppo - di questa
storia. Sinceramente
non voglio perdermi troppo nello scrivere note che neanche la
metà leggono, soprattutto prima del capitolo, quindi taglio
davvero corto ringraziando - sì, nuovamente,
perché è giusto farlo - tutti coloro che hanno
letto, amato e recensito questa mia pazza idea. Scrivere Edelstein, anche se
era una rivisitazione, non è stato per niente facile, lo
ammetto! Mi sono divertita, però. Ma ora, bando alle ciance!
Vi lascio all'epilogo conclusivo :) Buona lettura a tutti! .
EPILOGO
#02
Southampton, contea di Hampshire.
Inghilterra.
18 Marzo 1914
Quella sera il
vento soffiava forte, facendo sbattere le ante della finestra ben
chiusa. Il
calore della casa e lo scoppiettio del fuoco, proveniente dal camino
del
salotto, rendevano l’atmosfera calda e accogliente,
nonostante il pessimo
tempo.
<< Lady
Gilbert è stata davvero gentile ad aiutarci con il trasloco.
>> parlò la
ragazza dalla fluente chioma bionda, mentre finiva di apparecchiare la
tavola.
<< Aiutarci?
Principessa, veramente abbiamo fatto tutto noi maschioni, voi avete
solo dato
ordini. >> rispose l’uomo, leggendo il giornale.
<< Stai
dicendo che avrei dovuto alzare scatolini, valigie e tutto il resto?
>>
<< Certo che
no, principessa. La mia era solo una precisazione. >>
Emmett e Rosalie
Hale, consci che non vi era alcun miracolo che potesse farli tornare
nel loro
tempo, avevano deciso di continuare a vivere in quel luogo che li aveva
accolti
molto tempo prima.
<< Non ho mai
capito perché hai voluto prendere casa a Southampton
anziché a Londra. >>
parlò l’orso, avvicinandosi alla sua bellissima moglie.
<< Perché
questo posto è magico. >> rispose Rosalie,
guardandolo negli occhi
<< Siamo venuti qui appena saltati dal 1994, è
un po’ come una seconda
casa. >>
<< Ci pensi
che è tutto finito? >> chiese Emmett,
alzandosi per cingerle la vita da
dietro e cullarla tra le sue forti braccia.
<< Quando
Edward e Bella ci hanno dato la notizia non ci credevo, quasi.
>> replicò
Rosalie, sistemandosi meglio nell’abbraccio di suo marito.
<< Il conte è
stato rinchiuso, non potrà più torcere un capello
a nessuno. >> affermò
Emmett, con durezza e dolcezza nella voce << Siamo
liberi, principessa.
>>
<< Non ti
manca un po’? >> domandò Rosalie,
quasi senza farlo finire di parlare.
<< Cosa?
>>
<< Il 1994.
>>
<< Forse un
po’… Ma pensarci non fa altro che aprire ferite
che non potranno mai essere
chiuse. Cicatrizzate, forse, ma non chiuse. >>
<< Lo so, lo
so. Non c’è modo di tornare, e anche se ci fosse,
il presente non è più quello
che conoscevamo. Il tempo è andato avanti, dovremmo saltare
in un’epoca che non
comprendiamo nemmeno… >> concluse tristemente,
la ragazza.
<< Mi manca
la mia famiglia. >> ammise Emmett, per non farla sentire
in colpa. Non
era l’unica, tra i due, a cui mancava la vita moderna e non
solo <<
Lo ammetto, mi mancano i banchetti
della Domenica mattina con Esme. Mi manca giocare con il piccolo Edward
o
sentire Carlisle suonare il pianoforte, ancora convinto di potermelo
insegnare.
Ma la nostra vita è qui, adesso, e per quanto mi piacerebbe
tornare indietro,
sono fiero di ciò che abbiamo fatto. Sono orgoglioso di aver
salvato tua cugina;
sono orgoglioso di aver fatto qualcosa di buono nella vita; sono
orgoglioso di
aver incontrato te, e non mi importa in quale epoca vivremo, mi
interessa solo
di vivere la mia vita con te, principessa. >>
<< Potremmo
costruire la nostra, di famiglia… >>
sussurrò Rosalie, spostando le
grandi mani di Emmett sul suo ventre.
<< Vuoi dire
che…? >>
<< Sì, sono
incinta, Emmett. >> annunciò, sorridendo.
Il ragazzo,
divenuto ormai uomo, la voltò per baciarla con passione.
Erano passati ormai
due anni da quando la loggia non si prestava più agli affari
del conte. Nel
presente di Edward e Bella, infatti, tutto era mutato col trascorrere
degli
anni. La loggia non era più sotto le direttive del conte e
il loro lavoro era
cambiato. Nessuno si concentrava più sulla pratica, non
avendo più viaggiatori
da reclutare, ma per lo più sulle cause, sui motivi, sul
come ed il perché
questo era accaduto per secoli. La loggia si era trasformata in un
ambiente
scientifico più che pratico.
<< Signori Clearwater,
i vostri ospiti sono
arrivati. >> annunciò il maggiordomo,
interrompendo il loro romantico
momento.
<< Falli
passare, grazie, Oscar. >> disse Rosalie, staccandosi da
Emmett.
Posò il quarto ed
ultimo piatto sulla tovaglia bianca, in attesa.
Quando i due
giovani entrarono, mano nella mano, i coniugi Clearwater –
nuovi nomi per una
nuova vita – capirono che forse non avevano perso del tutto
le loro famiglie.
Certo, la giovane Rosalie non avrebbe più rivisto la sua
adorata zia Renée ed
Emmett non avrebbe più potuto abbracciare suo fratello
Carlisle, ma sapevano
che un po’ di magia era rimasta nelle loro vite. Un
po’ di speranza per tenere
con loro ciò che, per un’opera più
grande, erano stati costretti ad
abbandonare, c’era ancora.
<< Forse, le
nostre famiglie, non le abbiamo perse completamente. >>
sussurrò Emmett,
baciando la guancia della sua consorte, che annuii nascondendo le
lacrime di
commozione.
Passarono una
serata gradevole, insieme ai due viaggiatori venuti dal futuro.
Tra risate, chiacchiere
e una cena che non poté durare più di quattro
ore, il passato, il presente e il
futuro si fusero in un solo tempo e in una sola epoca, facendo capire a
tutti
loro che niente era perduto. Non era il tempo, infatti, a far
dimenticare le
persone. Finché queste sarebbero rimaste nel cuore di ognuno
di loro, niente e
nessuno avrebbe potuto portargliele via.
FINE. .
Ebbene
sì, gente, Edelstein
è ufficialmente finita.
Il cerchio si è chiuso, la vita di Edward è Bella
è proseguita senza intoppi; Rosalie e Emmett, purtroppo, non
sono potuti tornare a casa. Questo, onde evitare che qualcuno lo
chieda, lo rispiego: il cronografo funzionava solo all'indietro, l'ho
spiegato durante il corso della storia. Il suo potere, la sua magia,
consentiva di viaggiare nel tempo, sì, ma solo nel passato.
Sarebbe stato assurdo e anche un po' contro-storia che, magicamente, si
fosse trovato il modo per invertire il processo. Il figlio del conte
è un'altra storia. Il conte faceva le sue regole ed egli
stesso ha saputo come eluderle. Inoltre, come spiega lo stesso Emmett,
in che mondo sarebbero tornati? Loro sono saltati indietro nel 1994 e
per tornare al presente sarebbero saltati nel 2014. Forse un po' troppo
diversa la vita... All'interno di questo ultimo epilogo, comunque, ho
lasciato un piccolo indizio su come la vita nei nuovi coniugi e quella
dei nostri protagonisti si sarebbe riunita, un giorno. Solo un occhio
attento avrebbe colto la sottiglezza XD sì, sono pessima
fino alla fine!
Se c'è qualcosa che durante la storia vi è
sfuggita, questo è il tempo delle domande, lettori! Ora
posso finalmente rispondere a tutti i vostri questiti :)
Ringrazio nuovamente tutti di cuore e
spero che quando tornerò su Efp sarete pronti ad accogliere
me e le mie storie a braccia aperte! Vi mando un bacio! :*