Ecco la seconda e ultima parte
di questo primo incontro.
La prossima madre con cui Arthur
interagirà, posso già dirvelo, è Hunith.
Non mi dilungo
nell’introduzione, perché è la stessa del precedente capitolo, a cui vi rimando, in caso di dubbi.
Ho solo un piccolo promemoria:
essendo stata abbozzata nel 2009, Arthur non sa che Morgana è davvero la sua
sorellastra di sangue.
Questa prima storia si innesta quattro anni dopo la fine della prima serie del
TF, come un ‘what if?’, e
non tiene conto degli eventi successivi alla prima stagione (Morgana, per
esempio, non è mai diventata cattiva, Morgause non
esisterà).
Il seguente scritto contiene impliciti riferimenti slash merthur.
Raccolta dedicata a chi mi segue
con costanza e affetto,
a chi si entusiasma per le mie bizzarre
ispirazioni e mi sostiene.
E a chi ha commentato
la prima parte: EDVIGE 86, TheGoldfish,
crownless, chibisaru81, Raven
Cullen, DevinCarnes, Tao, Luna
Senese, elfin emrys,
Orchidea Rosa, Quainquie, mindyxx,
ely natassia, chibimayu e Yuki Eiri Sensei.
Grazie.
Ygraine,
la madre di Arthur
(parte 2 di 2)
La prima cosa che Arthur notò, svegliandosi, era che il muro
contro cui aveva posato la guancia era ruvido e
gelido. E che il pavimento di pietra del camminamento di
ronda era scomodo all’inverosimile. Perché
diamine si era addormentato lì?
Un istante dopo, spalancando le palpebre, egli rammentò
tutto, e per l’agitazione si levò in piedi così in fretta che un capogiro gli
annebbiò la mente, tanto che fu costretto a rimanere appoggiato alla parete, ad occhi chiusi, respirando a fondo per riacquisire
compostezza.
Mille odori e mille rumori lo colpirono indistinti, familiari
e nuovi al contempo.
Egli si tastò febbrilmente il volto e gli arti, per verificare di essere fisicamente presente – avendo lasciato
il suo corpo addormentato nella Camelot
del futuro – e quindi sospirò, rassicurato.
Muovendo un passo incerto, l’erede al trono calpestò la
brina del selciato che non era stata raggiunta dai tiepidi raggi del sole e, di
primo acchito, gli sembrò di essere in autunno, anche lì, e temette
irrazionalmente di essere arrivato troppo tardi. Forse era già nato. Forse sua madre era già morta.
Poi, invece, si accorse di un particolare: nell’aria
frizzante che gli pizzicava le guance non v’era la carezza
gelida dell’inverno incipiente, bensì la lusinga benevola della primavera.
Il garrire di una rondine che sfrecciava sopra la sua testa
gliene diede conferma. Arthur si sporse oltre la balaustra e vide gli alberi in
fiore, carichi di piccole, tenere gemme pronte a donare nuova vita, e d’istinto
sorrise rincuorato.
Mentre sentiva le mani formicolare d’aspettativa,
gli venne spontaneo accarezzare la pietra del merlo. Si trovava nella Torre ad Est, la stessa che lui usava come nascondiglio preferito
quando voleva riflettere con calma o desiderava nascondersi dalle troppe
pressioni dettate dai suoi doveri di erede al trono.
La stessa su cui, a volte, trascinava il suo valletto personale per godere assieme di qualche momento di
pace.
Fu l’allegro vociare di una carovana in avvicinamento a
distrarlo dai propri pensieri e il nobile realizzò
allora che tutta Camelot sembrava in fermento, si
sentivano delle urla sin da lì.
Che vi fosse in
programma una Giostra? Un Torneo? O forse… forse l’annuale Festa di Investitura?
Poteva essere che, a quel
tempo, suo padre permettesse che si festeggiasse l’arrivo della primavera? La –
come la chiamava Merlin – Ricorrenza di Ostara?
Diverse tende e padiglioni colorati, decine di stendardi
svettanti sulla piana fuori dalle mura più esterne smentirono quell’ipotesi.
Un Torneo. Era
arrivato giusto in tempo per un Torneo.
Per un breve, brevissimo momento, egli accarezzò l’idea di partecipavi e magari di vincerlo in onore della
castellana; ma poi rammentò la raccomandazione di Merlin e accantonò
l’iniziativa.
Decise, invece, che avrebbe sfruttato al massimo tutto il
tempo che gli era stato concesso di trascorrere lì. Ma per fare ciò, per prima
cosa, egli avrebbe dovuto trovare l’oggetto dei suoi desideri, ovvero la sua agognata genitrice.
Afferrando il chiavistello della postierla, che mille volte
aveva aperto, il giovane Pendragon rimase
impressionato dal catenaccio che era privo di ruggine e di quanto il legno
fosse ancora levigato e lucidato, di come la porta sembrasse nuova.
Casa sua sembrava uguale a come la conosceva, eppure vi
erano mille piccoli particolari diversi.
Vi erano vent’anni di
meno su ogni cosa.
Colto da un’improvvisa urgenza, egli oltrepassò la soglia e
macinò i familiari gradini, a due a due, senza indugiare oltre.
Quando arrivò ai piedi della torre, il principe si fermò,
incerto su quale direzione prendere. Dove
avrebbe potuto trovare sua madre? Con che pretesto avrebbe dovuto chiederle
udienza?
Vi aveva pensato per notti intere, passate insonni a fantasticare
su quel loro miracoloso incontro, ma in quel momento nessuna delle ipotesi che
aveva formulato gli pareva abbastanza sensata.
Ed era così concentrato sul suo dilemma da accorgersi troppo
tardi dell’improvviso svolazzare di seta davanti a lui: una gentildonna, col
viso celato dal cappuccio del mantello, aveva bruscamente svoltato l’angolo del
torrione, con gran premura e fare furtivo, finendogli inevitabilmente addosso.
Nell’impatto, ella perse
l’equilibrio, e sarebbe caduta rovinosamente all’indietro, se i sensi allenati
del cavaliere non l’avessero afferrata un istante prima del doloroso impatto
col terreno.
Arthur se la strinse contro d’istinto, sorreggendola, aiutandola
poi a riprendere stabilità. Quand’ebbe certezza che non fosse più malferma
sulle sue gambe, si allontanò arretrando di qualche passo, ripristinando una
giusta distanza da lei.
“Perdonate l’incidente, Milady.” Si scusò. “Mi auguro che
non vi siate fatta male.”
“Nient’affatto.” Rispose ella,
abbassando il copricapo sulle spalle e rivelando una lunga cascata di fili
d’oro. “Sono io a rammaricarmi per la mia sbadataggine, e vi ringrazio, Messere,
per avermi prontamente soccorsa.”
La giovane donna gli sorrise grata, mentre un velo
d’imbarazzo le imporporava le gote spruzzate di lentiggini sulla pelle di
porcellana.
“Se poi foste così cortese da tenere per voi ciò che è
accaduto, ve ne sarei eternamente riconoscente.” Gli suggerì, ammiccando.
Arthur perse un battito del cuore nell’istante esatto in cui
i suoi occhi incontrarono quelli di lei.
Era lei.
Bontà Divina!
Lo sapeva, lo sentiva.
Era lei!
Ogni pezzo
infinitesimale del suo corpo glielo stava gridando.
Il principe si fece violenza per non correre ad abbracciarla
nuovamente. Non gli sarebbe importato di finire alla gogna o, peggio, sulla
forca. Lei era lì. A pochi passi da lui.
Sua madre era lì.
Ed era… era la donna
più bella che avesse mai veduto in vita sua.
Era alta ed esile, con un’espressione benevola sul volto. I
lineamenti delicati e il portamento aggraziato.
E quei capelli lunghi e biondi ad
incoronare quel sorriso incantevole, e gli occhi, così simili ai suoi… erano i suoi occhi, quelli. Gli occhi che
lei gli avrebbe donato.
Ma era ancora troppo presto, considerò Arthur,
senza sapere se essere felice o triste del fatto che lei ancora non l’avesse
concepito.
“Milord?” lo richiamò Ygraine, forse
preoccupata dal suo silenzio protratto o infastidita da quell’analisi
indelicata sulla sua persona.
Il giovane Pendragon si riscosse e
si scusò con un inchino.
“Sarà fatto, Mia Signora.”
Prima di annuire per considerare chiusa la questione, la
regina gli riservò il medesimo trattamento – un lungo sguardo in cui valutava
la credibilità dell’uomo che aveva di fronte.
Su consiglio di Merlin, Arthur si era vestito con la cotta di maglia, senza
alcuna insegna e senza l’indispensabile stemma dei Pendragon.
Il resto degli abiti e degli accessori – sobri, ma di ottima fattura, come aveva
notato la sovrana – lo rendevano moderatamente elegante, ma non appariscente; e
la spada al fianco, che spuntava dal pregiato mantello, lo identificava come un
nobiluomo.
“Siete qui per sostenere la prova per diventare cavaliere?”
s’informò. “Ditemi il vostro nome. Potrei ricordarlo al mio consorte al momento
opportuno.”
“No, Milady. Sono già stato
investito al Cavalierato anni orsono.”
“Dunque… Chi siete? Non vi conosco!” lo interrogò nuovamente.
“Sono… Sarò il
primo cavaliere di Camelot. Il Campione del re.” Arthur gonfiò il petto con orgoglio
istintivo; ma, poiché non sapeva quanto poteva sbilanciarsi
senza interferire con i fatti, si corresse in fretta. “Beh, lo sarò… un giorno. Mi sto allenando per quello.” Ammise, impacciato,
grattandosi la nuca. “Ma sono certo di farcela!” si
giustificò.
“Credevo che questo titolo spettasse a Sir Gorlois, ma la vostra presunzione mi affascina.” Sorrise
lei, nient’affatto contrariata dall’evasività delle risposte ricevute.
“Dimostrate ardimento!”
“Sir Gorlois? Il
padre di Morgana?” rifece il nobile, stupito.
“Conoscete la piccola Morgana, Messere?” domandò la
castellana, sinceramente meravigliata. “E per quale ragione?”
Arthur si morse la lingua per la sua disattenzione.
“In verità…” tentennò a disagio. “Io-”
“Maestà!” s’intromise una voce fra loro, anticipando l’uomo
che li raggiunse.
Il principe sgranò gli occhi davanti ad un Gaius incredibilmente ringiovanito di vent’anni.
Aveva addosso una tunica simile a quelle del futuro, ma per
tutto il resto era diverso: e sembrava così strano vederlo con i capelli
castani, rinvigorito nel corpo e col viso privo della maggior parte delle rughe
con cui lo conosceva!
“Maestà, non dovreste affaticarvi nel vostro stato!” la sgridò bonariamente il Medico
di Corte, comparendo da chissà dove e ignorando la presenza di un terzo
incomodo fra loro.
“Sono incinta, mio caro Gaius, non
malata!” rise lei, accarezzandosi il ventre bel celato
dalle stoffe pregevoli del vestito.
Quindi lei era…! esultò
Arthur. Anche se non si vedeva ancora.
“Tuttavia, in qualità di Guaritore
Reale, io-”
“Mio buon amico… Uther ti ha messo
alle mie calcagna?” tirò ad indovinare.
“Milady!” sbottò Gaius,
arrossendo, e non certo per l’espressione poco consona ad
una regina. “Il re tiene a cuore la vostra salute!”
“Anch’io, beninteso.” Precisò lei. “Ma
mi hai vietato di cavalcare, di danzare, di correre e saltare… non puoi
vietarmi anche una passeggiata quotidiana!”
“Vi supplico di non compiere sforzi…”
“Questo giovane cavaliere mi farà da scorta, riferisci al re
che non ha nulla da temere…” tagliò corto la sovrana, afferrando a tradimento
il braccio di Arthur, con la precisa intenzione di trascinarlo via da lì con
quel pretesto.
Gaius, capìta
l’antifona, fece un breve inchino ossequioso di commiato. “Riferirò.”
“Vi va di essere il mio accompagnatore personale per una
breve camminata?” si sentì chiedere il principe, sottovoce, mentre la mano di
sua madre rimaneva stretta a lui.
“Con piacere, Milady.” Bisbigliò, con la gola secca per
l’emozione, modulando il passo per adeguarsi a quello di lei.
“Oh, bene. E Gaius – l’uomo di
poc’anzi,” si corresse, credendo che lui non lo
conoscesse “ci sta per caso seguendo?”
L’erede al trono lanciò uno sguardo veloce da sopra la
spalla.
“No, Altezza. Non vi è nessuno dietro di
noi.”
“Così va meglio.” Esalò la sovrana, rilassandosi di colpo, e
tuttavia non allontanandosi da lui.
E Arthur, di suo, non
si sarebbe separato da quel contatto per niente al mondo.
“Prima, avete detto che conoscete la piccola Morgana, Messere?”
“Non esattamente, Vostra Altezza.” Ritrattò.
“Ad ogni modo, stavo giusto andando da lei…”
“Se permettete, Maestà, eravate
diretta alla scala della Torre Est.” La corresse Arthur, per amor di
precisione.
Ygraine stiracchiò le labbra in
una smorfia contrariata. “Touchée.” Ammise. “Potrebbe
essere anche questa una cosa che dimenticherete?” gli propose. “Di avermi vista
lì?”
“Mai vista, Mia
Signora.” Dichiarò il cavaliere, stando al suo gioco e strappandole un sorriso
compiaciuto. “Ma, poiché non ci siete
mai stata, peccherei di indiscrezione se vi chiedessi
perché quel luogo è di vostro interesse?”
“Per ripagarvi dei vostri servigi, vi dirò
la verità: amo recarmi sovente in quella torre, per avere un po’ di pace. A
nessuno verrà mai in mente di cercarmi lassù.”
Confessò, con onestà.
Arthur avrebbe voluto
dirle che, anche per lui, quel torrione era un posto speciale e che, da quel
giorno, lo sarebbe stato ancor di più.
“Comprendo il vostro bisogno di pace.” Le disse, invece. “E’
legittimo.”
Arrivati nel Giardino d’Inverno, le urla di una piccina
interruppero i loro discorsi.
Lady Ygraine lasciò l’appoggio che
Arthur le offriva e si chinò ad abbracciare la bimba che camminava verso di
loro a passo malfermo, ma testardo – non aveva ancora
compiuto tre primavere, dopotutto –, sostenuta da una balia.
“Morgana, tesoro!” cinguettò la sovrana, stampando un grosso
bacio sulla guanciotta arrossata della figlioccia e
ricevendo in cambio un gorgoglìo di apprezzamento.
Arthur vide la
sorellastra in braccio a sua madre e, per quanto meschino fosse quel pensiero,
si riscoprì ad esserne geloso e a desiderare di esser
stato al posto di lei. Quanto gli era mancato
l’abbraccio materno, quand’era piccolo?
“Maestà,” intervenne la nutrice,
con solerzia “è tempo che la principessina faccia un riposino.”
Lady Ygraine approvò,
restituendogliela.
Poi, con uno sguardo vigile, la
vide allontanarsi per rientrare al castello.
“Sua madre, la mia più cara amica, è
tragicamente venuta a mancare da poco. Perciò ora è sotto la mia
protezione.” Si sentì in dovere di chiarire. “Le voglio bene come se fosse
figlia mia, benché non lo sia; e mi auguro che possa crescere felice accanto alla
creatura che partorirò, come se fossero fratelli.”
“Sono certo che sarà così; anche se magari non andranno sempre d’accordo, sono
convinto che si vorranno bene.” La rassicurò, offrendole nuovamente il braccio
come sostegno e riprendendo la passeggiata con lei, lungo il sentiero
perimetrale del giardino, fino a che non arrivarono ad
una panca e la regina non fece cenno di volersi riposare lì.
Prontamente, Arthur si tolse il proprio mantello e lo stese
sulla fredda pietra a mo’ di cuscino, per renderle più comoda la sosta.
“Voi avete sempre una buona parola per me e un gesto
premuroso, Cavaliere.” Appuntò lei, sorridendogli grata.
“Questo è perché ritengo che meritiate tutto il bene del
mondo, Mia Signora.” Replicò, in completa sincerità.
“Ma io ho già tutto questo!”
ribatté la regina esprimendo la sua letizia e, nel farlo, cercò lo sguardo del
suo accompagnatore. “Il mio bambino” disse lei “è il dono più bello e più
grande che potessi avere.” Dichiarò. Ma, inaspettatamente, ella
vide gli occhi di lui farsi lucidi. “Cosa vi turba?”
Arthur sentì le palpebre pizzicare.
“Niente.” Disse roco. E sentendo la voce incrinarsi, si
schiarì la gola. “E’ che non ho mai conosciuto mia madre.”
“Ne sono desolata.” Si rammaricò la donna, partecipando al
suo dolore.
“Non siatelo! Le vostre parole mi danno conforto.” La
rassicurò. “Voglio credere che i vostri sentimenti siano stati simili ai suoi.”
“Parola mia, Cavaliere. Non c’è nulla che una
madre non farebbe per la propria creatura!” esclamò Ygraine,
risoluta. “Qualunque sacrificio – anche
l’estremo sacrificio – sarei disposta a compiere,
senza remore, per essa. Darei la mia
stessa vita per il mio bambino, se fosse necessario, e lo farei con gioia,
purché egli viva.”
“Madre!” si lasciò sfuggire il
principe di slancio, fremendo, ammutolendosi immediatamente dopo.
Ygraine sbatté le palpebre, sorpresa
da quell’esclamazione improvvisa.
“Sarete… sarete una
madre meravigliosa!” si corresse lui, trattenendo a stento la commozione. “E
vostro figlio è fortunato ad esser stato generato da
voi. Vi renderà orgogliosa. Vi giuro, si impegnerà per
farlo.”
“Avete il Dono della Profezia, Milord?” domandò la regina,
in tono divertito, per alleggerire quella strana atmosfera.
“No, io no.” Smentì lui, scotendo il capo. “Ma chi governa
il mio cuore lo possiede, e direbbe esattamente queste stesse
parole che ho proferito poc’anzi.”
“E com’è la vostra fanciulla?”
s’incuriosì la sovrana. “Parlatemene.”
Arthur ridacchiò, immaginando Merlin assurdamente agghindato
con abiti da dama, ma il suo sorriso si tinse di tenerezza, ricordando il suo
compagno che nel futuro lo attendeva.
“Lui… lei…”
rettificò, sperando che la regina non avesse notato il suo errore; e se Ygraine se n’era accorta, non l’aveva dato a vedere.
“La persona a cui sono legato”
riprese il principe “ha i capelli neri come la notte più buia, gli occhi color
cielo d’estate – l’estate più bella – e un sorriso a cui non mi riesce di negar
nulla.”
“Siete innamorato, Cavaliere, è normale.”
Sì, lo era.
Amava tutto di Merlin,
e accettava ogni cosa di lui, persino quelle sue assurde orecchie e l’insana
capacità di attirare disgrazie su Camelot.
Ma solo in quel momento comprendeva le parole di suo padre,
quando, una volta, gli aveva confessato che Lady Ygraine
era stato il suo unico, grande amore.
Nessuna dama del regno sarebbe stata al par suo per beltà.
La regina era nel fiore della giovinezza, forse conservava
appena una manciata d’anni più di lui, eppure sembrava così matura ed assennata.
Che fosse stata la
maternità a renderla così?,
si chiese. Poi, sentendosi osservato, alzò lo sguardo sulla madre che lo
scrutava.
“Sapete?... E’ da quando ci siamo
scontrati, prima, che avverto la necessità di chiedervelo… Ci siamo già visti,
per caso? Ad un banchetto… forse ad un Torneo? Il
vostro viso mi è in qualche modo familiare…” confessò ella,
corrucciando la fronte nel tentativo di ricordare.
Arthur fece appena a tempo a negare col capo.
“No, ecco! Ecco… non ritenetemi una folle, ma… Mi ricordate,
per certi aspetti, il volto di mio padre da giovane. Egli, purtroppo, è morto
quand’ero appena una bambina, e ne conservo a stento un vago ricordo. E voi, Cavaliere, voi gli somigliate, se la
memoria non m’inganna.”
Il giovane Pendragon avrebbe tanto
voluto dirle che per lui era un onore essere simile al nonno materno, ma non
gli fu possibile.
“Ed egli fu un uomo di grande valore?” chiese, quindi.
Negli occhi azzurri di sua madre passò un lampo d’orgoglio.
“Visse sempre con lealtà e coraggio.”
“Mi auguro, allora, di prenderlo a modello e di somigliare a
lui anche in questo.”
“E’ un proposito onorevole, il vostro.” Ne convenne lei.
“Parteciperete al Torneo che si terrà fra qualche giorno, dopo la Cerimonia di
Investitura?”
“Temo di non potermi trattenere così a lungo.” Si scusò.
“Oh, è un vero peccato.” Si rammaricò Ygraine.
“Questa competizione è stata indetta per festeggiare l’arrivo dell’erede al
trono, che lungamente abbiamo atteso!” esclamò, senza contenere un moto di
gioia nella voce e il desiderio di accarezzarsi il ventre celato dal prezioso
broccato. “Il mio bambino…” sospirò, trasognata.
Arthur non osò fiatare, per non contrariarla; ma ella pose fine da sé a quel momento così privato,
vergognandosi di aver esternato una reazione troppo intima davanti ad un
estraneo.
“Perdonatemi, Milord.” Si rattristò,
sfogandosi inaspettatamente, torturandosi le mani esili e ben
curate. “Indubbiamente questi discorsi vi stanno tediando, persino alle
mie dame di compagnia sono venuta a noia e, ad un uomo
d’arme come voi, certe conversazioni non interessano minimamente…”
D’improvviso, lei
parve così piccola e fragile. Così incerta.
Il principe scosse il capo, per smentirla. “Invece, sono
affascinato dal miracolo della vita che cresce in voi e, se voleste ancora farmi
dono dei vostri pensieri – non oso sperare nei vostri segreti – li conserverò
gelosamente.”
Ygraine gli lanciò un lungo
sguardo silenzioso, specchiandosi negli occhi azzurri e sinceri di Arthur.
“Vi è qualcosa in voi, Messere, che mi induce
istintivamente a fidarmi, a confessarvi cose personali, contro ogni logica.”
Considerò, schietta. “Sento che avete un animo buono e un cuore puro. Il vostro sguardo me lo conferma.”
Il giovane Pendragon abbassò il
capo, arrossendo per pudore.
“Non merito tutti questi elogi.” Si schermì.
“Non dovreste vergognarvene, è un pregio.”
“Vi ringrazio.”
“Ho detto solo la veri- Oh!” si interruppe la donna, ponendosi
una mano sul ventre.
“State male?!” si preoccupò Arthur,
allarmandosi.
“No, no. Rimanete sereno.” Lo rassicurò sua madre. “E’ solo
il mio bimbo che mi parla…” gli confidò, quasi con un sorriso di scuse. “So che
sembra impossibile e Gaius dice che è troppo presto,
ma io lo sento! Lo sento muoversi dentro di me! La mia creatura, il mio
bambino, comunica con me!”
“Non credo che Gaius abbia mai
provato ciò che sentite, visto che finora non è mai stato incinto!” considerò
Arthur, facendola scoppiare a ridere.
“Un punto a vostro favore!” ridacchiò lei. “Sapete? Quando gioisco,
quando sono allegra, anche la mia creatura è più vivace. Ma non posso dirlo a
nessuno, o mi prenderanno per pazza…”
“Io vi credo.” Le assicurò, approssimandosi a lei senza
riflettere. “E vi scongiuro di godere di ogni attimo,
di ogni emozione che il vostro erede vi darà.” La pregò, afferrandole una mano.
“Parlate come se…” Ygraine
s’interruppe, negandosi di formulare appieno il sospetto che le
si era affacciato alla mente.
“E’ l’unico modo per non avere rimpianti.” Concluse Arthur.
La nobildonna annuì piano. “Vorrei che fosse un bel
maschietto. Un giorno, aiuterebbe suo padre a governare il regno.”
“Sarete esaudita. Sono certo che
sarà il bambino più bello e più sano del mondo.” La lusingò.
“Ma avete detto di non possedere il
Dono!”
“Difatti, non lo posseggo.” Precisò
il principe. “Ma il vostro desiderio è per il bene del regno, e verrà accolto.”
“Mi rammarico, Cavaliere, che voi
non possiate rimanere a Camelot. Sento che sareste un
ottimo consigliere, un magnifico confidente.”
“Un giorno, un giorno tornerò.” Le
promise. “Un giorno, benché lontano, ci rivedremo.”
I rintocchi delle campane segnarono l’inizio di una nuova
Veglia.
“Devo… devo cambiarmi d’abito, è
quasi l’ora di pranzo.” Motivò Ygraine, dispiaciuta
di porre fine a quel colloquio.
“Anch’io. E’ tempo che io prenda
congedo.” Rispose il nobile a malincuore, aiutandola a rialzarsi.
Una volta che ella si eresse in
tutta la sua regale bellezza, Arthur rimase a fissarla, incantato, imprimendosi
nel cuore ogni frammento di lei.
“Il mio erede vi porge i suoi regali saluti.” Riferì la
sovrana, sfiorandosi il grembo.
“A tempo debito, sono certo che ci conosceremo.” Profetizzò
il principe, cercando di non far tremare la voce per il congedo imminente.
Ygraine gli
sorrise, annuendo.
“Abbiate cura di voi.” Si raccomandò.
“Lo farò.” Le garantì. “E vi prego di
avere per voi la medesima premura.
Nei giorni di sconforto, io ripenserò a questo nostro
incontro. Voi fate altrettanto, Mia Signora. Ci faremo
coraggio a vicenda, benché lontani.”
La regina fece un altro cenno del capo, dimostrandosi
d’accordo. Poi allungò, con un gesto soave, la mano ingioiellata verso di lui.
Era davvero tempo di
dirsi addio.
“Non conosco nemmeno il vostro nome, Messere.
E sono in debito con voi.” Si scusò lei, spostandosi una ciocca bionda dietro
l’orecchio con la mano libera.
“Sono Sir Arthur, Milady” le rivelò infine, prendendosi il
tempo di stringerla un istante più del consentito, prima di baciarle la pelle
candida con devozione. “Eternamente
vostro servitore.”
-
Fine -
Disclaimer: I
personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono
agli aventi diritto e, nel fruire di
essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.
Ringraziamenti:
Un abbraccio a Tao, che sopporta i
miei scleri. X3
Note: Una
curiosità: nel Castello di Pierrefonds, dove è girato
il telefilm di Merlin, si possono ammirare otto torri difensive, ciascuna ornata dalla statua di un prode: Artù, Alessandro,
Goffredo, Giosuè, Ettore, Giuda Maccabeo, Carlo Magno
e Cesare.
Il fatto che Arthur sia affezionato alla Torre a Est è un
mio vezzo (tra l’altro, ricorrente nelle mie storie XD); purtroppo non sono
riuscita a sapere quale, fra le torri di Pierrefonds,
fosse quella intitolata a lui. Ç_ç
La ‘Ricorrenza di Ostara’ è una
festa, di origini antiche, che festeggia il Solstizio di Primavera. Essa celebra infatti la rigenerazione della natura e la rinascita della
vita.
Quando Ygraine dice ad Arthur che
sente che lui ha un cuore puro, vi è un implicito riferimento alla puntata 1x11
“Il labirinto di Gedref”.
Non mi dilungo sul fatto che Ygraine
abbia addirittura scelto di chiamare il figlio come il cavaliere che tanto l’ha
positivamente colpita, perché ho già scritto una fic
a riguardo e verrà postata nell’altra raccolta su Ygraine “Oh, il principino della sua mamma! (Ovvero:
la fu Lady Ygraine e l’istinto materno tardivo)”, che – come questa
raccolta – rientra nel progetto della serie: ‘Lady Ygraine: The Queen of Camelot’.
Rimaneggiando questo capitolo per postarlo, mi è venuta
un’idea per un’eventuale terza parte, che non era prevista nel progetto
originale.
Diciamo che Arthur potrebbe farsi cogliere dalla nostalgia e
tornerebbe da Ygraine, in un secondo viaggio nel passato,
pochi giorni prima della sua nascita.
Ma non so se la svilupperò. Per ora
è solo una bozza. Voi cosa ne dite? Preferite che ‘la
faccenda Arthur-Ygraine’ si chiuda così o gradireste
un altro appuntamento?
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milioni di scrittori.
(Chiunque voglia
aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio
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Come sempre, sono graditi commenti,
consigli e critiche.
Grazie (_ _)
elyxyz