Arthur & The Mothers

di elyxyz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ygraine, la madre di Arthur (Parte 1 di 2) ***
Capitolo 2: *** Ygraine, la madre di Arthur (Parte 2 di 2) ***
Capitolo 3: *** Hunith, la madre di Merlin ***



Capitolo 1
*** Ygraine, la madre di Arthur (Parte 1 di 2) ***


Ygr

Questa raccolta era inserita nelle mie bozze del 2009, credo sia tempo di toglierla dalla naftalina. XD
Come ho detto più volte nelle risposte e in alcune mie storie, il personaggio di Ygraine meritava più spazio e più considerazione, che purtroppo non le sono stati dati.
Confesso che lei mi affascina, e che mi piace fantasticare su com’era, o meglio, su come sarebbe potuta essere.
Secondariamente, credo che il rapporto di Arthur con le madri sia una cosa per cui valga la pena riflettere.

Questa prima storia si innesta quattro anni dopo la fine della prima serie del TF, come un ‘what if?’, e non tiene conto degli eventi successivi alla prima stagione (Morgana, per esempio, non è mai diventata cattiva, Morgause non esisterà).

 

Il seguente scritto contiene riferimenti slash merthur.

 


Raccolta dedicata a chi mi segue con costanza e affetto,

a chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.

Grazie.

 



 

Ygraine, la madre di Arthur

 

(parte 1 di 2)


 

L’autunno, a Camelot, non era male.

 

Seduto contro le radici di uno degli alberi delimitanti il bosco che costeggiava il castello, Merlin sbuffò per rimuovere una foglia secca che gli era planata sul naso, ma gli riuscì solo di fare una smorfia assurda, prima di starnutire per il solletico.

Egli allora la raccolse tra pollice e indice, e ne ammirò le screziature dorate che si irradiavano come vene nel tessuto vegetale.

Arthur – che usava il suo addome come un comodo guanciale – ronfava saporitamente, godendosi l’ultimo sole prima del freddo inverno.

 

Entro poco, avrebbero detto addio al bel tempo e alle tiepide giornate, per accogliere la neve e il gelo.

Entro poco, Arthur avrebbe compiuto ventiquattro anni.

 

Fu forse quel pensiero di Merlin a destare l’erede al trono, perché – appena un istante dopo averlo formulato – le palpebre del principe tremarono, preannunciando il suo risveglio.

 

Lo stregone si rispecchiò nelle iridi azzurre del suo sire, e gli regalò in cambio uno dei suoi sorrisi sghembi.

“Sveglia, pigro fiorellino!” lo incitò, stropicciandogli i capelli biondi in una carezza approssimativa, ma ricevendo come risposta solo un assonnato verso gutturale.

 

“E’ tempo di tornare a casa…” lo informò, osservando il sole ormai al declino.

 

Mmmhhh…”

 

“Sai a cosa stavo pensando?”

 

Mmmhhh…” mugghiò Arthur, nuovamente. “Tu non sai pensare, Merlin.”

 

Lo stregone, in cambio, gli tirò le ciocche tra le dita un po’ troppo forte.

 

“Ahi!”

 

“Oh, perdonate, Maestà. Non so pensare, e quindi non so dosare la mia forza…” lo ripagò, guadagnandosi un’aristocratica occhiataccia.

 

Merlin sghignazzò, per nulla intimorito. E Arthur cedette.

 

“Oh, avanti. A cosa stavi pensando?” lo esortò, risollevandosi dal suo giaciglio privato per sedergli accanto, spalla contro spalla.

 

“Riflettevo sul fatto che presto, molto presto, festeggeremo il vostro augusto genetliaco, Sire.” Gli rammentò il servo, ostentando pomposità. “Ci sarà il banchetto in vostro onore e tutta la parte barbosa del cerimoniale…”

 

Il nobile fece una smorfia nient’affatto felice.

“Non si potrebbe saltare questa parte?” domandò querulo.

 

“Temo proprio di no.” Si rammaricò lo scudiero, preventivando che sarebbe toccato a lui essere il capro espiatorio del regale malumore. Soprattutto perché… vi era anche un’altra ricorrenza da celebrare.

 

Il giovane Pendragon si fece di colpo serio, quasi che, una volta ancora, avesse intuito i suoi pensieri.

“Mi recherò in visita sulla tomba di mia madre.” Esalò, sentendo uno strano nodo in gola, come ogni anno, a quel pensiero. “E come sempre, mio padre non verrà.”

 

“Arthur…” lo chiamò Merlin, condensando in quell’unica parola dolenza, consolazione e biasimo per quel discorso già sentito mille volte, e che ogni volta feriva il principe un po’ di più.

 

“Verrai con me?” si sentì chiedere, con un tremolio di voce malcelato.

 

“Verrò dovunque vorrai.” Rassicurò. “Lo sai.”

 

Il principe gli restituì un lungo sguardo di gratitudine, perché tra loro le parole non servivano.

E il silenzio li avvolse, cullandoli un altro po’.

 

Uno stormo di anatre selvatiche attraversò il cielo sopra le loro teste starnazzando, attirando la loro attenzione. Disposti in ranghi serrati, come buoni soldati, quei volatili si accingevano a migrare verso lidi più confortevoli dove svernare. E i due ragazzi, segretamente, li invidiarono.

 

Cosa desideri che ti regali?” gli chiese lo stregone, di punto in bianco, ritornando al discorso originario.

 

“Ho già tutto.” Rispose Arthur, chinandosi repentino su di lui, per coglierlo di sorpresa e rubargli un bacio a fior di labbra. “Merlin.”

 

Il mago ridacchiò contro la sua pelle e se lo trascinò addosso, per approfondire il discorso.

 

 

***

 

 

“Vorrei conoscere mia madre.” Disse Arthur una sera, qualche sera dopo, mentre accarezzava distrattamente la schiena nuda di Merlin, accoccolato accanto a lui sul letto. “Tu credi di poter…?” azzardò, cercando di trattenere la speranza che gli vibrava in gola.

 

Il mago non ebbe neppure il tempo di aprir bocca.

 

“No, lascia stare. E’ qualcosa che va oltre persino alle tue possibilità. Lo prevenne, schernendolo, per proteggersi dalla delusione.

 

Ma Merlin lo conosceva e non si lasciò ferire.

“Vorresti che io cercassi di evocarla?” domandò, raddrizzandosi pensieroso.

 

“Ci riusciresti?”

 

“Non lo so, dovrei cercare nei miei libri… L’evocazione di un’anima è un incantesimo complesso, e talvolta ci sono Spiriti Erranti che assumono le sembianze della persona che cerchiamo. Non potresti avere la certezza che sia lei…

 

“Potrei correre il rischio… cos’avrei da perdere?”

 

“Gli Spiriti Erranti sono crudeli e menzogneri; per loro definizione, non hanno pace a causa delle loro malefatte e si divertono a ferire gli umani che incontrano. E io non voglio che tu soffra.”

 

Il principe lo guardò con un’espressione di stoico dolore. “Non importa, dimentica quest’assurda richiesta.” E soffiò sulla candela affinché potessero dormire. Ma nessuno dei due riposò bene quella notte.

 

Merlin, in particolare, rimuginò a lungo, realizzando che Arthur, probabilmente, non aveva smesso un istante di pensare a quel desiderio folle, da quando lui, nel bosco, gli aveva chiesto – adesso pentendosene – cosa volesse come dono per il suo compleanno.

Il mago sapeva quanto gli fosse pesato dare voce a quel sogno gravido di aspettativa; con tutta certezza, il suo compagno l’aveva accarezzato nell’animo, veglia dopo veglia, prima di trovare il coraggio (la disperazione?) per chiederglielo.

Ma davvero lui temeva che da questa smania non ne sarebbe uscito niente di buono, e ancor più temeva che al principe potesse costare una nuova cicatrice sul cuore, un cuore nobile e puro, e che tuttavia ancora sanguinava per dei sensi di colpa ingiusti e rimpianti illegittimi.

 

Arthur non aveva colpa della morte di sua madre. Ma niente lo avrebbe mai persuaso di ciò.

 

Lo stregone si rammaricò una volta in più per quell’iniquità, e cercò di infondergli calore e affetto abbracciandolo stretto, in quel letto troppo grande, per loro, quella sera.

 

 

***

 

 

Alcuni giorni dopo, fu Merlin a riprendere il discorso, presentandosi una mattina nelle stanze del giovane Pendragon con due occhiaie profonde.

 

Ma hai dormito, stanotte?” gli fu chiesto, mentre l’erede al trono faceva colazione.

 

“Non molto, a dire il vero.” Ammise l’altro. “Però ho la soluzione al tuo problema.”

 

“Quale problema?” s’insospettì il cavaliere. “Cos’hai combinato, stavolta, Merlin?” l’interrogò, scettico.

 

“Uomo di poca fede!” ghignò il compagno. “Ho studiato con Gaius fino a mezz’ora fa e credo di poterti accontentare…

 

Arthur lasciò cadere la posata nel piatto con un tonfo sonoro, mentre realizzava il significato di quei discorsi.

“Se è uno scherzo, ti metterò alla gogna fino a quando sarai vecchio!”

 

“Non dirai sul serio!” sbottò, scandalizzato.

 

“Non mettermi alla prova!” gli intimò. “E ora spiegami!”

 

Merlin sospirò, armandosi di pazienza. Stare con quell’Asino non era mai semplice.

“Esiste un incantesimo che può trasportare le persone nel tempo.” Premise, sollevando però le mani per anticipare le obiezioni dell’altro. “Non l’ho mai fatto e non so molte cose, ti avverto.”

 

Il principe si limitò ad annuire.

 

“Quel che è certo è che, attingendo a tutto il mio potere, potrai assentarti per al massimo pochi minuti. Il tuo corpo sarà avvolto dal torpore e sembrerai addormentato.

Non so dire se comparirai nel passato come se fossi uno spirito o con tutte le membra. Non so neppure se ti potranno vedere.

Ciò che è di fondamentale importanza – devi giurarmelo, Arthur – è che tu non debba assolutamente mutare il passato, non puoi e non devi interferire con esso.

Potresti averne la tentazione, ne sono consapevole. Ma, per quanto siano dolorosi gli avvenimenti, la storia non può cambiare.

 

Merlin attese che il nobile annuisse, nuovamente, dandogli la sua parola.

“Sul mio onore.”

 

E poi il mago riprese: “Alcuni particolari passaggi dell’incanto sono ancora da stabilire. Non ho cognizione neppure se il tempo al di là sarà uguale a questo. Se sarà giorno o sera, se rimarrai là per il tocco di una campana o un’intera veglia.

Non mi è dato di saperlo.

Solo il luogo e il momento. Questo puoi deciderlo tu.”

 

Il principe lo ascoltò attentamente. “Tu… verrai con me?”

 

Il valletto scosse la testa, negando. “Io devo restare per assicurarmi che il passaggio resti aperto e che tu possa tornare indietro.”

 

“Lo comprendo.”

 

Il silenzio li avvolse, mentre ognuno sembrava perso nei propri pensieri.

 

“Sarà pericoloso?”

 

“Se non ti fai ammazzare in un duello, non dovrebbe esserlo.”

 

“Io mi stavo chiedendo se lo fosse per te, idiota.”

 

Merlin sorrise sghembo. “Credo che non farò giochetti di luce per un po’. Ma riprenderò le forze…”

 

Dietro quelle parole, Arthur comprese il sacrificio che l’altro stava per fare.

La magia di Merlin era pressoché infinita. Se doveva rimanerne privato per giorni, era evidente che l’incantesimo era potente e lo avrebbe prosciugato di ogni energia.

 

“Grazie.” Si ritrovò a dire, ed era serio.

 

“Ogni tuo desiderio è un ordine, Mio Principe.” Rispose il servo, altrettanto seriamente.

 

 

***

 

 

Il castello era tutto in eccitazione per l’approssimarsi dei suoi solenni natali, ma l’erede al trono e lo stregone erano in fermento per ben altra ragione. Con l’andar delle veglie – a mano a mano che il progetto prendeva corpo e alcuni accorgimenti, ancora da valutare, venivano chiariti –, il senso di aspettativa e le ansie di entrambi si potevano quasi tagliare col filo della spada del nobile Pendragon.

 

Alla fine, organizzarono la partenza il primo pomeriggio in cui Arthur era libero da impegni e regali doveri, in un momento in cui erano certi che nessuno sarebbe venuto a disturbarli.

 

“Puoi guardare, ma non intervenire né modificare gli eventi, mi raccomando!” gli aveva ingiunto il mago, per l’ennesima volta, posandogli l’indice destro sulla fronte, nascondendo il nervosismo dietro ad un sorriso tirato. “E non combinare guai, te ne prego!” lo implorò.

 

L’erede al trono sbuffò in risposta, fingendo una padronanza che era ben lungi dal provare.

 

“Sei… pronto?” gli chiese Merlin, insicuro, osservando il corpo teso del cavaliere adagiato sulle coltri del letto. “Se ci hai ripensato, non-”

 

“Non vado a morire, idiota.” Lo interruppe, perché il tempo dei ripensamenti era finito. “Tornerò.” Promise.

 

“E ci mancherebbe altro!” sbottò il mago, di rimando.

 

Arthur gli afferrò le dita della mano libera che sostava vicino al suo fianco e gliela strinse con delicatezza.

 

“Starò via poco, e poi sarò di nuovo con te.”

 

“La cosa buffa è che, tra noi due, dovrei essere io a tranquillizzarti sulla buona riuscita della missione.” Borbottò, arrossendo.

 

Il principe gli sorrise.   

Ma io ho cieca fiducia in te… anche se sei un servo idiota e incompetente!”

 

Merlin scoppiò in una fragorosa risata liberatoria. Poi fece un lungo respiro per raccogliere la determinazione che gli mancava e, dopo un cenno del capo, radunò la concentrazione per formulare il complicato incantesimo.

 

“Chiudi gli occhi.” Comandò, pigiando sulla nobile fronte e stringendo un po’ di più l’altra mano che li univa.

 

Arthur rilasciò un sospiro tremulo ed eseguì l’ordine.

 

Nel silenzio della stanza, un’antica nenia si elevò, congelando il tempo, mandando in frantumi il vetro della clessidra posta sopra lo scrittoio dell’erede al trono: mille frammenti di vetro schizzarono ovunque, brillando come tanti piccoli diamanti, e un lampo di luce azzurra avvolse ogni cosa…

 

 

Continua...

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3

Note: Ho scelto di dividere in due la oneshot, perché questo capitolo è una sorta di prequel del momento vero e proprio, che sarà un capitolo molto lungo e corposo.

Come ho anticipato, la raccolta non contiene eventi successivi alla prima stagione, ma ho usato alcune informazioni delle serie successive.

“Sveglia, pigro fiorellino!”, per esempio, è un riferimento diretto alla medesima scena nella puntata 3x07 “Il castello di Fyrien”, quando Merlin sveglia il principe addormentato. So che la frase originale e la traduzione italiana si discostano leggermente, ed io ho scelto la seconda.

 

Gli “Spiriti Erranti” sono un concetto presente in varie religioni; la spiegazione l’ho già data per bocca di Merlin, perciò soprassiedo ora.

 

 

Piccola anticipazione del prossimo capitolo:

 

La regina fece un altro cenno del capo, dimostrandosi d’accordo. Poi allungò, con un gesto soave, la mano ingioiellata verso di lui.

Era davvero tempo di dirsi addio.

 

“Non conosco nemmeno il vostro nome, Messere. E sono in debito con voi.” Si scusò lei, spostandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio con la mano libera.

 

“Sono Sir Arthur, Milady” le rivelò infine, prendendosi il tempo di stringerla un istante più del consentito, prima di baciarle la pelle candida con devozione. “Eternamente vostro servitore.”

 

 

 

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Come sempre, sono graditi commenti, consigli e critiche.


Grazie (_ _)

elyxyz

 

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Capitolo 2
*** Ygraine, la madre di Arthur (Parte 2 di 2) ***


Ecco la seconda e ultima parte di questo primo incontro

Ecco la seconda e ultima parte di questo primo incontro.

La prossima madre con cui Arthur interagirà, posso già dirvelo, è Hunith.

 

Non mi dilungo nell’introduzione, perché è la stessa del precedente capitolo, a cui vi rimando, in caso di dubbi.

Ho solo un piccolo promemoria: essendo stata abbozzata nel 2009, Arthur non sa che Morgana è davvero la sua sorellastra di sangue.

Questa prima storia si innesta quattro anni dopo la fine della prima serie del TF, come un ‘what if?’, e non tiene conto degli eventi successivi alla prima stagione (Morgana, per esempio, non è mai diventata cattiva, Morgause non esisterà).

 

Il seguente scritto contiene impliciti riferimenti slash merthur.

 


Raccolta dedicata a chi mi segue con costanza e affetto,

a chi si entusiasma per le mie bizzarre ispirazioni e mi sostiene.

E a chi ha commentato la prima parte: EDVIGE 86, TheGoldfish, crownless, chibisaru81, Raven Cullen, DevinCarnes, Tao, Luna Senese, elfin emrys, Orchidea Rosa, Quainquie, mindyxx, ely natassia, chibimayu e Yuki Eiri Sensei.

Grazie.

 



 

Ygraine, la madre di Arthur

 

(parte 2 di 2)


 

La prima cosa che Arthur notò, svegliandosi, era che il muro contro cui aveva posato la guancia era ruvido e gelido. E che il pavimento di pietra del camminamento di ronda era scomodo all’inverosimile. Perché diamine si era addormentato lì?

 

Un istante dopo, spalancando le palpebre, egli rammentò tutto, e per l’agitazione si levò in piedi così in fretta che un capogiro gli annebbiò la mente, tanto che fu costretto a rimanere appoggiato alla parete, ad occhi chiusi, respirando a fondo per riacquisire compostezza.

 

Mille odori e mille rumori lo colpirono indistinti, familiari e nuovi al contempo.
Egli si tastò febbrilmente il volto e gli arti, per verificare di essere fisicamente presente – avendo lasciato il suo corpo addormentato nella Camelot del futuro – e quindi sospirò, rassicurato.

 

Muovendo un passo incerto, l’erede al trono calpestò la brina del selciato che non era stata raggiunta dai tiepidi raggi del sole e, di primo acchito, gli sembrò di essere in autunno, anche lì, e temette irrazionalmente di essere arrivato troppo tardi. Forse era già nato. Forse sua madre era già morta.

 

Poi, invece, si accorse di un particolare: nell’aria frizzante che gli pizzicava le guance non v’era la carezza gelida dell’inverno incipiente, bensì la lusinga benevola della primavera.

Il garrire di una rondine che sfrecciava sopra la sua testa gliene diede conferma. Arthur si sporse oltre la balaustra e vide gli alberi in fiore, carichi di piccole, tenere gemme pronte a donare nuova vita, e d’istinto sorrise rincuorato.

 

Mentre sentiva le mani formicolare d’aspettativa, gli venne spontaneo accarezzare la pietra del merlo. Si trovava nella Torre ad Est, la stessa che lui usava come nascondiglio preferito quando voleva riflettere con calma o desiderava nascondersi dalle troppe pressioni dettate dai suoi doveri di erede al trono.

La stessa su cui, a volte, trascinava il suo valletto personale per godere assieme di qualche momento di pace.

 

Fu l’allegro vociare di una carovana in avvicinamento a distrarlo dai propri pensieri e il nobile realizzò allora che tutta Camelot sembrava in fermento, si sentivano delle urla sin da lì.

 

Che vi fosse in programma una Giostra? Un Torneo? O forse… forse l’annuale Festa di Investitura?

Poteva essere che, a quel tempo, suo padre permettesse che si festeggiasse l’arrivo della primavera? La – come la chiamava Merlin – Ricorrenza di Ostara? 

 

Diverse tende e padiglioni colorati, decine di stendardi svettanti sulla piana fuori dalle mura più esterne smentirono quell’ipotesi.

 

Un Torneo. Era arrivato giusto in tempo per un Torneo.

Per un breve, brevissimo momento, egli accarezzò l’idea di partecipavi e magari di vincerlo in onore della castellana; ma poi rammentò la raccomandazione di Merlin e accantonò l’iniziativa.

Decise, invece, che avrebbe sfruttato al massimo tutto il tempo che gli era stato concesso di trascorrere lì. Ma per fare ciò, per prima cosa, egli avrebbe dovuto trovare l’oggetto dei suoi desideri, ovvero la sua agognata genitrice.

 

Afferrando il chiavistello della postierla, che mille volte aveva aperto, il giovane Pendragon rimase impressionato dal catenaccio che era privo di ruggine e di quanto il legno fosse ancora levigato e lucidato, di come la porta sembrasse nuova.

 

Casa sua sembrava uguale a come la conosceva, eppure vi erano mille piccoli particolari diversi.

Vi erano vent’anni di meno su ogni cosa.

 

Colto da un’improvvisa urgenza, egli oltrepassò la soglia e macinò i familiari gradini, a due a due, senza indugiare oltre.

 

Quando arrivò ai piedi della torre, il principe si fermò, incerto su quale direzione prendere. Dove avrebbe potuto trovare sua madre? Con che pretesto avrebbe dovuto chiederle udienza?

 

Vi aveva pensato per notti intere, passate insonni a fantasticare su quel loro miracoloso incontro, ma in quel momento nessuna delle ipotesi che aveva formulato gli pareva abbastanza sensata.

Ed era così concentrato sul suo dilemma da accorgersi troppo tardi dell’improvviso svolazzare di seta davanti a lui: una gentildonna, col viso celato dal cappuccio del mantello, aveva bruscamente svoltato l’angolo del torrione, con gran premura e fare furtivo, finendogli inevitabilmente addosso.

Nell’impatto, ella perse l’equilibrio, e sarebbe caduta rovinosamente all’indietro, se i sensi allenati del cavaliere non l’avessero afferrata un istante prima del doloroso impatto col terreno.

 

Arthur se la strinse contro d’istinto, sorreggendola, aiutandola poi a riprendere stabilità. Quand’ebbe certezza che non fosse più malferma sulle sue gambe, si allontanò arretrando di qualche passo, ripristinando una giusta distanza da lei.

 

“Perdonate l’incidente, Milady.” Si scusò. “Mi auguro che non vi siate fatta male.”

 

“Nient’affatto.” Rispose ella, abbassando il copricapo sulle spalle e rivelando una lunga cascata di fili d’oro. “Sono io a rammaricarmi per la mia sbadataggine, e vi ringrazio, Messere, per avermi prontamente soccorsa.”

 

La giovane donna gli sorrise grata, mentre un velo d’imbarazzo le imporporava le gote spruzzate di lentiggini sulla pelle di porcellana.

“Se poi foste così cortese da tenere per voi ciò che è accaduto, ve ne sarei eternamente riconoscente.” Gli suggerì, ammiccando.

 

Arthur perse un battito del cuore nell’istante esatto in cui i suoi occhi incontrarono quelli di lei.

Era lei.

Bontà Divina!

Lo sapeva, lo sentiva.

Era lei!

 

Ogni pezzo infinitesimale del suo corpo glielo stava gridando.

 

Il principe si fece violenza per non correre ad abbracciarla nuovamente. Non gli sarebbe importato di finire alla gogna o, peggio, sulla forca. Lei era lì. A pochi passi da lui. Sua madre era lì.

 

Ed era… era la donna più bella che avesse mai veduto in vita sua.

Era alta ed esile, con un’espressione benevola sul volto. I lineamenti delicati e il portamento aggraziato.

E quei capelli lunghi e biondi ad incoronare quel sorriso incantevole, e gli occhi, così simili ai suoi… erano i suoi occhi, quelli. Gli occhi che lei gli avrebbe donato.

 

Ma era ancora troppo presto, considerò Arthur, senza sapere se essere felice o triste del fatto che lei ancora non l’avesse concepito.

 

“Milord?” lo richiamò Ygraine, forse preoccupata dal suo silenzio protratto o infastidita da quell’analisi indelicata sulla sua persona.

 

Il giovane Pendragon si riscosse e si scusò con un inchino.

“Sarà fatto, Mia Signora.”

 

Prima di annuire per considerare chiusa la questione, la regina gli riservò il medesimo trattamento – un lungo sguardo in cui valutava la credibilità dell’uomo che aveva di fronte.

Su consiglio di Merlin, Arthur si era vestito con la cotta di maglia, senza alcuna insegna e senza l’indispensabile stemma dei Pendragon.

Il resto degli abiti e degli accessori – sobri, ma di ottima fattura, come aveva notato la sovrana – lo rendevano moderatamente elegante, ma non appariscente; e la spada al fianco, che spuntava dal pregiato mantello, lo identificava come un nobiluomo.

 

“Siete qui per sostenere la prova per diventare cavaliere?” s’informò. “Ditemi il vostro nome. Potrei ricordarlo al mio consorte al momento opportuno.

 

“No, Milady. Sono già stato investito al Cavalierato anni orsono.”

 

“Dunque… Chi siete? Non vi conosco!” lo interrogò nuovamente.

 

“Sono… Sarò il primo cavaliere di Camelot. Il Campione del re.” Arthur gonfiò il petto con orgoglio istintivo; ma, poiché non sapeva quanto poteva sbilanciarsi senza interferire con i fatti, si corresse in fretta. “Beh, lo saròun giorno. Mi sto allenando per quello.” Ammise, impacciato, grattandosi la nuca. “Ma sono certo di farcela!” si giustificò.

 

“Credevo che questo titolo spettasse a Sir Gorlois, ma la vostra presunzione mi affascina.” Sorrise lei, nient’affatto contrariata dall’evasività delle risposte ricevute. “Dimostrate ardimento!”

 

“Sir Gorlois? Il padre di Morgana?” rifece il nobile, stupito.

 

“Conoscete la piccola Morgana, Messere?” domandò la castellana, sinceramente meravigliata. “E per quale ragione?”

 

Arthur si morse la lingua per la sua disattenzione.

“In verità…” tentennò a disagio. “Io-”

 

“Maestà!” s’intromise una voce fra loro, anticipando l’uomo che li raggiunse.

 

Il principe sgranò gli occhi davanti ad un Gaius incredibilmente ringiovanito di vent’anni.

Aveva addosso una tunica simile a quelle del futuro, ma per tutto il resto era diverso: e sembrava così strano vederlo con i capelli castani, rinvigorito nel corpo e col viso privo della maggior parte delle rughe con cui lo conosceva!

“Maestà, non dovreste affaticarvi nel vostro stato!” la sgridò bonariamente il Medico di Corte, comparendo da chissà dove e ignorando la presenza di un terzo incomodo fra loro.

 

“Sono incinta, mio caro Gaius, non malata!” rise lei, accarezzandosi il ventre bel celato dalle stoffe pregevoli del vestito.

 

Quindi lei era…! esultò Arthur. Anche se non si vedeva ancora.

 

“Tuttavia, in qualità di Guaritore Reale, io-”

 

“Mio buon amico… Uther ti ha messo alle mie calcagna?” tirò ad indovinare.

 

“Milady!” sbottò Gaius, arrossendo, e non certo per l’espressione poco consona ad una regina. “Il re tiene a cuore la vostra salute!”

 

“Anch’io, beninteso.” Precisò lei. “Ma mi hai vietato di cavalcare, di danzare, di correre e saltare… non puoi vietarmi anche una passeggiata quotidiana!”

 

“Vi supplico di non compiere sforzi…”

 

“Questo giovane cavaliere mi farà da scorta, riferisci al re che non ha nulla da temere…” tagliò corto la sovrana, afferrando a tradimento il braccio di Arthur, con la precisa intenzione di trascinarlo via da lì con quel pretesto.

 

Gaius, capìta l’antifona, fece un breve inchino ossequioso di commiato. “Riferirò.”

 

“Vi va di essere il mio accompagnatore personale per una breve camminata?” si sentì chiedere il principe, sottovoce, mentre la mano di sua madre rimaneva stretta a lui.

 

“Con piacere, Milady.” Bisbigliò, con la gola secca per l’emozione, modulando il passo per adeguarsi a quello di lei.

 

“Oh, bene. E Gaius – l’uomo di poc’anzi,” si corresse, credendo che lui non lo conoscesse “ci sta per caso seguendo?”

 

L’erede al trono lanciò uno sguardo veloce da sopra la spalla.

“No, Altezza. Non vi è nessuno dietro di noi.”

 

“Così va meglio.” Esalò la sovrana, rilassandosi di colpo, e tuttavia non allontanandosi da lui.

E Arthur, di suo, non si sarebbe separato da quel contatto per niente al mondo.

 

“Prima, avete detto che conoscete la piccola Morgana, Messere?”

 

“Non esattamente, Vostra Altezza.” Ritrattò.

 

“Ad ogni modo, stavo giusto andando da lei…

 

“Se permettete, Maestà, eravate diretta alla scala della Torre Est.” La corresse Arthur, per amor di precisione.

 

Ygraine stiracchiò le labbra in una smorfia contrariata. “Touchée.” Ammise. “Potrebbe essere anche questa una cosa che dimenticherete?” gli propose. “Di avermi vista lì?”

 

Mai vista, Mia Signora.” Dichiarò il cavaliere, stando al suo gioco e strappandole un sorriso compiaciuto. “Ma, poiché non ci siete mai stata, peccherei di indiscrezione se vi chiedessi perché quel luogo è di vostro interesse?”

 

“Per ripagarvi dei vostri servigi, vi dirò la verità: amo recarmi sovente in quella torre, per avere un po’ di pace. A nessuno verrà mai in mente di cercarmi lassù. Confessò, con onestà.

 

Arthur avrebbe voluto dirle che, anche per lui, quel torrione era un posto speciale e che, da quel giorno, lo sarebbe stato ancor di più.

“Comprendo il vostro bisogno di pace.” Le disse, invece. “E’ legittimo.”

 

Arrivati nel Giardino d’Inverno, le urla di una piccina interruppero i loro discorsi.

Lady Ygraine lasciò l’appoggio che Arthur le offriva e si chinò ad abbracciare la bimba che camminava verso di loro a passo malfermo, ma testardo – non aveva ancora compiuto tre primavere, dopotutto –, sostenuta da una balia.

 

“Morgana, tesoro!” cinguettò la sovrana, stampando un grosso bacio sulla guanciotta arrossata della figlioccia e ricevendo in cambio un gorgoglìo di apprezzamento.

 

Arthur vide la sorellastra in braccio a sua madre e, per quanto meschino fosse quel pensiero, si riscoprì ad esserne geloso e a desiderare di esser stato al posto di lei. Quanto gli era mancato l’abbraccio materno, quand’era piccolo?

 

“Maestà,” intervenne la nutrice, con solerzia “è tempo che la principessina faccia un riposino.”

 

Lady Ygraine approvò, restituendogliela.

Poi, con uno sguardo vigile, la vide allontanarsi per rientrare al castello.

 

“Sua madre, la mia più cara amica, è tragicamente venuta a mancare da poco. Perciò ora è sotto la mia protezione.” Si sentì in dovere di chiarire. “Le voglio bene come se fosse figlia mia, benché non lo sia; e mi auguro che possa crescere felice accanto alla creatura che partorirò, come se fossero fratelli.”

“Sono certo che sarà così; anche se magari non andranno sempre d’accordo, sono convinto che si vorranno bene.” La rassicurò, offrendole nuovamente il braccio come sostegno e riprendendo la passeggiata con lei, lungo il sentiero perimetrale del giardino, fino a che non arrivarono ad una panca e la regina non fece cenno di volersi riposare lì.

 

Prontamente, Arthur si tolse il proprio mantello e lo stese sulla fredda pietra a mo’ di cuscino, per renderle più comoda la sosta.

 

“Voi avete sempre una buona parola per me e un gesto premuroso, Cavaliere.” Appuntò lei, sorridendogli grata.

 

“Questo è perché ritengo che meritiate tutto il bene del mondo, Mia Signora.” Replicò, in completa sincerità.

 

Ma io ho già tutto questo!” ribatté la regina esprimendo la sua letizia e, nel farlo, cercò lo sguardo del suo accompagnatore. “Il mio bambino” disse lei “è il dono più bello e più grande che potessi avere.” Dichiarò. Ma, inaspettatamente, ella vide gli occhi di lui farsi lucidi. “Cosa vi turba?”

 

Arthur sentì le palpebre pizzicare.

“Niente.” Disse roco. E sentendo la voce incrinarsi, si schiarì la gola. “E’ che non ho mai conosciuto mia madre.”

 

“Ne sono desolata.” Si rammaricò la donna, partecipando al suo dolore.

 

“Non siatelo! Le vostre parole mi danno conforto.” La rassicurò. “Voglio credere che i vostri sentimenti siano stati simili ai suoi.”

 

“Parola mia, Cavaliere. Non c’è nulla che una madre non farebbe per la propria creatura!” esclamò Ygraine, risoluta. “Qualunque sacrificio – anche l’estremo sacrificio – sarei disposta a compiere, senza remore, per essa. Darei la mia stessa vita per il mio bambino, se fosse necessario, e lo farei con gioia, purché egli viva.

 

“Madre!” si lasciò sfuggire il principe di slancio, fremendo, ammutolendosi immediatamente dopo.

 

Ygraine sbatté le palpebre, sorpresa da quell’esclamazione improvvisa.

 

“Sarete… sarete una madre meravigliosa!” si corresse lui, trattenendo a stento la commozione. “E vostro figlio è fortunato ad esser stato generato da voi. Vi renderà orgogliosa. Vi giuro, si impegnerà per farlo.”

 

“Avete il Dono della Profezia, Milord?” domandò la regina, in tono divertito, per alleggerire quella strana atmosfera.

 

“No, io no.” Smentì lui, scotendo il capo. “Ma chi governa il mio cuore lo possiede, e direbbe esattamente queste stesse parole che ho proferito poc’anzi.”

 

“E com’è la vostra fanciulla?” s’incuriosì la sovrana. “Parlatemene.”

 

Arthur ridacchiò, immaginando Merlin assurdamente agghindato con abiti da dama, ma il suo sorriso si tinse di tenerezza, ricordando il suo compagno che nel futuro lo attendeva.

 

“Lui… lei…” rettificò, sperando che la regina non avesse notato il suo errore; e se Ygraine se n’era accorta, non l’aveva dato a vedere.

“La persona a cui sono legato” riprese il principe “ha i capelli neri come la notte più buia, gli occhi color cielo d’estate – l’estate più bella – e un sorriso a cui non mi riesce di negar nulla.”

 

“Siete innamorato, Cavaliere, è normale.”

 

Sì, lo era.

Amava tutto di Merlin, e accettava ogni cosa di lui, persino quelle sue assurde orecchie e l’insana capacità di attirare disgrazie su Camelot.

 

Ma solo in quel momento comprendeva le parole di suo padre, quando, una volta, gli aveva confessato che Lady Ygraine era stato il suo unico, grande amore.

Nessuna dama del regno sarebbe stata al par suo per beltà.

 

La regina era nel fiore della giovinezza, forse conservava appena una manciata d’anni più di lui, eppure sembrava così matura ed assennata.

Che fosse stata la maternità a renderla così?, si chiese. Poi, sentendosi osservato, alzò lo sguardo sulla madre che lo scrutava.

 

“Sapete?... E’ da quando ci siamo scontrati, prima, che avverto la necessità di chiedervelo… Ci siamo già visti, per caso? Ad un banchetto… forse ad un Torneo? Il vostro viso mi è in qualche modo familiare…” confessò ella, corrucciando la fronte nel tentativo di ricordare.

 

Arthur fece appena a tempo a negare col capo.

 

“No, ecco! Ecco… non ritenetemi una folle, ma… Mi ricordate, per certi aspetti, il volto di mio padre da giovane. Egli, purtroppo, è morto quand’ero appena una bambina, e ne conservo a stento un vago ricordo. E voi, Cavaliere, voi gli somigliate, se la memoria non m’inganna.

 

Il giovane Pendragon avrebbe tanto voluto dirle che per lui era un onore essere simile al nonno materno, ma non gli fu possibile.

“Ed egli fu un uomo di grande valore?” chiese, quindi.

 

Negli occhi azzurri di sua madre passò un lampo d’orgoglio.

“Visse sempre con lealtà e coraggio.”

 

“Mi auguro, allora, di prenderlo a modello e di somigliare a lui anche in questo.”

 

“E’ un proposito onorevole, il vostro.” Ne convenne lei. “Parteciperete al Torneo che si terrà fra qualche giorno, dopo la Cerimonia di Investitura?”

“Temo di non potermi trattenere così a lungo.” Si scusò.

 

“Oh, è un vero peccato.” Si rammaricò Ygraine. “Questa competizione è stata indetta per festeggiare l’arrivo dell’erede al trono, che lungamente abbiamo atteso!” esclamò, senza contenere un moto di gioia nella voce e il desiderio di accarezzarsi il ventre celato dal prezioso broccato. “Il mio bambino…” sospirò, trasognata.

 

Arthur non osò fiatare, per non contrariarla; ma ella pose fine da sé a quel momento così privato, vergognandosi di aver esternato una reazione troppo intima davanti ad un estraneo.

 

Perdonatemi, Milord.” Si rattristò, sfogandosi inaspettatamente, torturandosi le mani esili e ben curate. “Indubbiamente questi discorsi vi stanno tediando, persino alle mie dame di compagnia sono venuta a noia e, ad un uomo d’arme come voi, certe conversazioni non interessano minimamente…”

 

D’improvviso, lei parve così piccola e fragile. Così incerta.

 

Il principe scosse il capo, per smentirla. “Invece, sono affascinato dal miracolo della vita che cresce in voi e, se voleste ancora farmi dono dei vostri pensieri – non oso sperare nei vostri segreti – li conserverò gelosamente.”

 

Ygraine gli lanciò un lungo sguardo silenzioso, specchiandosi negli occhi azzurri e sinceri di Arthur.

“Vi è qualcosa in voi, Messere, che mi induce istintivamente a fidarmi, a confessarvi cose personali, contro ogni logica.” Considerò, schietta. “Sento che avete un animo buono e un cuore puro. Il vostro sguardo me lo conferma.”

 

Il giovane Pendragon abbassò il capo, arrossendo per pudore.

“Non merito tutti questi elogi.” Si schermì.

 

“Non dovreste vergognarvene, è un pregio.”

 

“Vi ringrazio.”

 

“Ho detto solo la veri- Oh!” si interruppe la donna, ponendosi una mano sul ventre.

 

“State male?!” si preoccupò Arthur, allarmandosi.

 

“No, no. Rimanete sereno.” Lo rassicurò sua madre. “E’ solo il mio bimbo che mi parla…” gli confidò, quasi con un sorriso di scuse. “So che sembra impossibile e Gaius dice che è troppo presto, ma io lo sento! Lo sento muoversi dentro di me! La mia creatura, il mio bambino, comunica con me!

 

“Non credo che Gaius abbia mai provato ciò che sentite, visto che finora non è mai stato incinto!” considerò Arthur, facendola scoppiare a ridere.

 

“Un punto a vostro favore!” ridacchiò lei. “Sapete? Quando gioisco, quando sono allegra, anche la mia creatura è più vivace. Ma non posso dirlo a nessuno, o mi prenderanno per pazza…

 

“Io vi credo.” Le assicurò, approssimandosi a lei senza riflettere. “E vi scongiuro di godere di ogni attimo, di ogni emozione che il vostro erede vi darà.” La pregò, afferrandole una mano.

 

“Parlate come se…” Ygraine s’interruppe, negandosi di formulare appieno il sospetto che le si era affacciato alla mente.

 

“E’ l’unico modo per non avere rimpianti.” Concluse Arthur.

 

La nobildonna annuì piano. “Vorrei che fosse un bel maschietto. Un giorno, aiuterebbe suo padre a governare il regno.

 

“Sarete esaudita. Sono certo che sarà il bambino più bello e più sano del mondo. La lusingò.

 

Ma avete detto di non possedere il Dono!”

 

“Difatti, non lo posseggo.” Precisò il principe. “Ma il vostro desiderio è per il bene del regno, e verrà accolto.”

 

“Mi rammarico, Cavaliere, che voi non possiate rimanere a Camelot. Sento che sareste un ottimo consigliere, un magnifico confidente.

 

“Un giorno, un giorno tornerò.” Le promise. “Un giorno, benché lontano, ci rivedremo.”

 

I rintocchi delle campane segnarono l’inizio di una nuova Veglia.

 

“Devo… devo cambiarmi d’abito, è quasi l’ora di pranzo.” Motivò Ygraine, dispiaciuta di porre fine a quel colloquio.

 

“Anch’io. E’ tempo che io prenda congedo.” Rispose il nobile a malincuore, aiutandola a rialzarsi.

 

Una volta che ella si eresse in tutta la sua regale bellezza, Arthur rimase a fissarla, incantato, imprimendosi nel cuore ogni frammento di lei.

 

“Il mio erede vi porge i suoi regali saluti.” Riferì la sovrana, sfiorandosi il grembo.

 

“A tempo debito, sono certo che ci conosceremo.” Profetizzò il principe, cercando di non far tremare la voce per il congedo imminente.

 

Ygraine gli sorrise, annuendo.

“Abbiate cura di voi.” Si raccomandò.

 

“Lo farò.” Le garantì. “E vi prego di avere per voi la medesima premura.

Nei giorni di sconforto, io ripenserò a questo nostro incontro. Voi fate altrettanto, Mia Signora. Ci faremo coraggio a vicenda, benché lontani.

 

La regina fece un altro cenno del capo, dimostrandosi d’accordo. Poi allungò, con un gesto soave, la mano ingioiellata verso di lui.

Era davvero tempo di dirsi addio.

 

“Non conosco nemmeno il vostro nome, Messere. E sono in debito con voi.” Si scusò lei, spostandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio con la mano libera.

 

“Sono Sir Arthur, Milady” le rivelò infine, prendendosi il tempo di stringerla un istante più del consentito, prima di baciarle la pelle candida con devozione. “Eternamente vostro servitore.”

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3

Note: Una curiosità: nel Castello di Pierrefonds, dove è girato il telefilm di Merlin, si possono ammirare otto torri difensive, ciascuna ornata dalla statua di un prode: Artù, Alessandro, Goffredo, Giosuè, Ettore, Giuda Maccabeo, Carlo Magno e Cesare.

Il fatto che Arthur sia affezionato alla Torre a Est è un mio vezzo (tra l’altro, ricorrente nelle mie storie XD); purtroppo non sono riuscita a sapere quale, fra le torri di Pierrefonds, fosse quella intitolata a lui. Ç_ç

 

La ‘Ricorrenza di Ostara’ è una festa, di origini antiche, che festeggia il Solstizio di Primavera. Essa celebra infatti la rigenerazione della natura e la rinascita della vita.

 

Quando Ygraine dice ad Arthur che sente che lui ha un cuore puro, vi è un implicito riferimento alla puntata 1x11 “Il labirinto di Gedref”.

 

Non mi dilungo sul fatto che Ygraine abbia addirittura scelto di chiamare il figlio come il cavaliere che tanto l’ha positivamente colpita, perché ho già scritto una fic a riguardo e verrà postata nell’altra raccolta su YgraineOh, il principino della sua mamma! (Ovvero: la fu Lady Ygraine e l’istinto materno tardivo)”, che – come questa raccolta – rientra nel progetto della serie: ‘Lady Ygraine: The Queen of Camelot’.

 

Rimaneggiando questo capitolo per postarlo, mi è venuta un’idea per un’eventuale terza parte, che non era prevista nel progetto originale.

Diciamo che Arthur potrebbe farsi cogliere dalla nostalgia e tornerebbe da Ygraine, in un secondo viaggio nel passato, pochi giorni prima della sua nascita.

Ma non so se la svilupperò. Per ora è solo una bozza. Voi cosa ne dite? Preferite che la faccenda Arthur-Ygraine’ si chiuda così o gradireste un altro appuntamento?

 

 

 

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Capitolo 3
*** Hunith, la madre di Merlin ***


1x10 ealdor waht if

Ecco la terza parte di questa raccolta e la seconda madre scelta.

La storia racconta i fatti di Ealdor, presi dalla puntata 1x10 “Il momento della verità”, rimaneggiandoli a mio piacere. Vi avverto: è un what if grosso come una casa.

 

Il seguente scritto contiene riferimenti slash merthur.

 


Con un mese esatto di ritardo, dedicato alla mia kohai per il suo compleanno.

 



 

Hunith, la madre di Merlin

 

 

Tanti auguri, Giuls. <3


 

Nella piccola casetta dei suoi natali, Merlin cercava di dare ristoro al suo signore, dopo la lunga giornata di sfinente allenamento con gli uomini del villaggio.

Ma una striminzita pezzuola e un misero catino non erano sufficienti, e il mago lo sapeva.

Eppure la vita, a Ealdor, era un continuo adeguarsi alle privazioni, e avrebbe dovuto farlo anche l’Asino viziato.

 

La verità era che si sentiva in colpa per averlo trascinato lì, in quella situazione drammatica.

Arthur aveva un regno a cui pensare, un giorno sarebbe stato re di Camelot e non poteva rischiare il suo destino per lui, per quanto gli fosse affezionato.       

 

L’aria cupa dell’altro, per di più, non lo aiutava.

Gli si leggeva in faccia quello su cui rimuginava. Il giovane Pendragon sapeva di essersi imbarcato in un’impresa disperata: per quanto volenterosi, quelli erano solo contadini e pastori, non soldati avvezzi all’arte della guerra.

 

E, benché avesse cieca fiducia nel suo signore e gli avrebbe affidato la sua vita in qualunque momento, Merlin era consapevole che quello era pressoché un piano suicida.

Cercò allora di non pensarci e di risollevare anche l’umore tetro del nobile.

 

“Vi siete ruzzolato con i maiali?” lo punzecchiò, grattando via terra secca e fango dai suoi capelli.

 

Arthur sbuffò solo, in risposta.

 

“So che sentite la mancanza della vostra regale tinozza, Sire.” Gli soffiò contro, pulendogli lo sporco e la polvere sulle spalle.

 

Il cavaliere non replicò, si limitò a voltarsi per facilitargli il lavoro sul davanti.

 

“… e del vostro regale letto, anche.” Aggiunse, un po’ divertito.

 

Il principe gli afferrò il polso e lo trattenne, immobilizzandolo.

“L’unica cosa di cui sentirei la mancanza sei tu.” Sussurrò direttamente contro la sua bocca e poi lo sbatté contro la parete di legno, che cigolò sinistramente come protesta, e gli divorò le labbra in un bacio appassionato e violento.

 

A-Arthur…” ansimò Merlin, riprendendo fiato. “Non… non qui, mia madre potrebbe…”

 

Giusto in quel momento, Hunith era entrata nella casupola per rimestare la cena sul fuoco e, pur non volendo, li aveva scorti dietro la piccola tenda e li aveva uditi.

Con un sorriso materno, aveva riposato il mestolo sul tavolo ed era semplicemente uscita.

 

Mezz’ora dopo, Arthur e Merlin fecero capolino dall’umile dimora e la videro china sul piccolo orto davanti a casa.

 

Hunith diede una veloce occhiata ai due ragazzi scarmigliati e sorrise loro, sollevando la cesta delle verdure.

“Temo di aver scordato il paiolo sul fuoco!” mentì. “Vado a controllare la cena…”

 

“Ehm… mamma, credo che si sia bruciata…” borbottò Merlin, arrossendo.

 

“Oh, pazienza!” si risolvette lei, accomodante.

La felicità del suo bambino valeva più di una cena rovinata.

 

 

***

 

 

Quella sera, l’ultima prima della battaglia che avrebbe deciso le loro sorti, davanti al fuoco morente di uno dei falò, Arthur se ne stava stretto nella coperta da campo, assorto.

 

Merlin doveva essere da qualche parte, a rendersi utile o – molto più probabilmente – a combinare disastri. Un fugace ghigno gli arricciò l’angolo della bocca a quel pensiero.

 

O forse quell’idiota era più saggio di lui e stava spendendo quegli ultimi momenti di pace con sua madre, si disse il principe, invidiandolo un po’, anche senza volerlo.

 

Da quando erano giunti al villaggio, li aveva visti parlare e scambiarsi gesti d’affetto in diverse occasioni.

E, sebbene non avesse alcuna esperienza personale da apporre né un paragone diretto, Arthur sentiva che il rapporto tra Merlin e Hunith era unico. Era speciale.

 

Li aveva guardati, stando in disparte, sentendosi un po’ geloso di tutto quello. Perché a lui non era mai capitato di sperimentarlo.

 

A volte, la mancanza di sua madre gli stringeva il cuore e si chiedeva come sarebbe stato se.

Ma poi scacciava quel pensiero e si rivestiva di solida determinazione. Lui era un cavaliere, un erede al trono. Non poteva concedersi certi sentimentalismi.

 

Fu l’arrivo di Merlin a distrarlo dai suoi ricordi dolorosi.

Il mago si accomodò sul tronco piallato, al suo fianco, facendo aderire le loro cosce quasi con noncuranza, e Arthur riconobbe il suo profumo e qualcos’altro di più dolce.

L’odore di sua madre.

 

Questa volta fu un sorriso dolceamaro a sfiorargli la bocca, poiché aveva indovinato dov’era stato il suo compagno.

 

“Mi dispiace di essere sparito. Vorrei avere più tempo per- ”

 

“Non importa. Avremo tutta la notte per noi.” Lo rassicurò, sfiorandogli casualmente un ginocchio ossuto con le sue dita callose, tracciandone i contorni. Merlin rabbrividì, e non fu per il freddo.

 

Arth-” gemette, chinando il capo verso il principe, offrendo le sue labbra socchiuse in una muta, disperata preghiera.

 

L’erede al trono lo baciò come se quella fosse stata l’ultima occasione per farlo, e forse lo era davvero.

Lo baciò con fame e rabbia, con tormento, e dolore e amore. Con abbandono.

 

Poi nascose la fronte contro il collo del suo amante, dove il profumo di Hunith si era fuso col suo.

“So quello che vuoi dirmi, idiota.” Lo prevenne. “Ma il mio posto è qui, con te. E non vorrei essere in nessun altro luogo al di fuori di questo.”

 

Merlin deglutì a vuoto varie volte, soverchiato dall’emozione.

“Stupido Asino Reale.” Bisbigliò infine, quando la voce gli tornò. “Il mio Asino Reale.”

 

Arthur gli rubò un altro bacio fuggevole, prima distanziarsi da lui e punirlo con una sberla sulla nuca.

“Servo irriverente!” lo sgridò, fingendosi oltraggiato. “Smettila di perdere tempo e va’ a controllare come procedono i preparativi per domani!” gli ordinò, offrendogli l’occasione per andarsene, perché sapeva che l’altro aveva ancora mille cose da fare, ma ugualmente non osava trovare il coraggio di separarsi da lui e da quel momento soltanto per loro.

 

Lo stregone sbuffò, eppure eseguì, incamminandosi, grato di quel pretesto camuffato da comando.

“Ci rivediamo a casa, mh?” si raccomandò inutilmente, voltandosi un istante pur senza rallentare, tanto era il bisogno di saziare, ancora un momento, lo sguardo con lui.

 

Arthur sollevò gli occhi al cielo, imprimendosi poi nella mente, a sua volta, il profilo ciondolante del suo uomo che si allontanava.

‘A casa. Aveva detto. Anche se era solo un tugurio di assi sconnesse e povertà, quel pensiero gli scaldò il cuore. A casa.

 

 

***

 

 

Arthur non sapeva quanto tempo aveva trascorso sprofondato nei propri pensieri – dubbi, tormenti, preoccupazioni e flebili speranze.


Hunith comparve dal nulla – presenza discreta e silenziosa – e gli si sedette accanto.

 

“Merlin è già andato a dormire?” l’interrogò il nobile, fingendo un tono disinteressato.

 

“Non ancora.” Fu la replica della donna. “Lui e William hanno molte cose da dirsi...

 

“Comprendo.” Disse il principe, con una smorfia, ponendo fine alla questione.

 

Il silenzio cadde nuovamente tra loro, e si persero entrambi a contemplare la danza delle fiamme che riverberava una fioca luce tutt’attorno.

 

“Mi pento di avervi coinvolti in questa sventura.” Confessò ella, di punto in bianco, riattizzando le braci. “Non sarei mai dovuta venire a Camelot, a turbare la vostra quiete. Ma eravamo disperati...

 

“Invece è stata la scelta più saggia.” La contraddisse. “Merlin non si sarebbe mai perdonato di non essere accorso nel momento del bisogno.”

 

“Ma temo per la sua vita, per quella di Lady Morgana e della sua serva, e per la vostra...” gli rivelò, sciogliendo le dita intrecciate, che teneva in grembo, sino a posarle sull’avambraccio del giovane che non si scostò. “Vi prego, vi prego di non morire...

 

Egli aprì la bocca per replicare, per tranquillizzarla anche a costo di mentirle, ma Hunith non gliene diede il tempo: la sua mano, calda e ruvida, gli accarezzò una guancia. La sorpresa fu grande, ma il principe non si ritrasse e, anzi, assaporò quel tenero contatto tra loro, socchiudendo le palpebre stanche. Ecco cosa provava Merlin...

 

Quelle erano le mani che l’avevano cullato, consolato, curato, educato sin dalla nascita.

 

“So di non essere niente per voi.” Premise la donna, riprendendo a parlare; Arthur le lanciò un’occhiata fugace. “Ma da quando il destino del mio bambino si è unito al vostro, anche voi siete diventato un figlio per me.”

 

L’erede dei Pendragon deglutì un groppo in gola, stringendo la presa sulla stoffa.

Ma io non so cosa significhi avere una madre.” Considerò sincero.

 

“Significa affetto, comprensione, un incondizionato amore. Significa... che sarei disposta a dare la mia vita anche per voi.”

 

Il principe spalancò le iridi azzurre, al colmo dell’emozione.

C’era il sorriso di Merlin, in lei.

 

“Allora… potrei chiederti un abbraccio?” la supplicò rauco, dando voce ad uno dei suoi più reconditi e intimi desideri. “Uno, uno solo. Uno di quelli che dai a lui.” Precisò, titubante.

 

Hunith assentì premurosa e allargò le mani verso di lui.

Arthur si inginocchiò di fronte a lei, per essere alla sua altezza, e si lasciò avvolgere da quelle braccia piccole e magre, e rimase lì, in silenzio, a farsi cullare.

 

 

- Fine -

 

 

 

Disclaimer: I personaggi di Merlin, citati in questo racconto, non sono miei; appartengono agli aventi diritto e, nel fruire di essi, non vi è alcuna forma di lucro, da parte mia.

 

Ringraziamenti: Un abbraccio a Tao, che sopporta i miei scleri. X3

Note: Temo che la gelosia di Arthur sia una fattore costante in questa raccolta. Come nei capitoli precedenti, egli – pur vergognandosi – ha invidiato la piccola Morgana, ora invidia il rapporto speciale che hanno Merlin e Hunith e che lui non ha mai provato e può solo tentare di immaginare.

 

Per questo, l’abbraccio che lui chiede a Hunith non lo considero OOC; è dato da un insieme di cose: dalla curiosità di voler provare, l’ansia prima di una battaglia che ha un esito quantomeno incerto (con un rischio mortale elevato) e un attimo di debolezza, perché la disponibilità materna di lei gli ha fatto abbassare le sue difese.

Se la pensate come me o diversamente, mi farebbe piacere saperlo!

 

Ah, ho usato una frase che Hunith diceva a Merlin, nel TF, per indirizzarla ad Arthur. Penso l’abbiate ricordata tutti.

 

 

Ringrazio EDVIGE86, katia cullen, chibimayu, speranza, Quainquie, DevinCarnes, mindyxx, chibisaru81, ely natassia, elfin emrys, HPalessandra, miticabenny, Luna Senese e Orchidea Rosa, per i bellissimi pareri che mi avete lasciato.

Vi ho risposto personalmente, ma mi sembrava giusto dirvelo nuovamente: grazie! ^^

 

 

Per chi può interessare, in UK oggi esce film con Bradley “Fast Girls”.

 

Infine, volevo avvisare che domenica partirò e starò via qualche giorno. Al mio rientro, posterò Linette 59 che non ho avuto tempo di sistemare, scusate l’attesa.

 

 

 

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