Passato, Presente, Futuro

di ElPsyCongroo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Ricordi del Passato ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Oscurità del Presente ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Speranze del Futuro ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Ricordi del Passato ***


Passato, Presente, Futuro

Capitolo 1: Ricordi del Passato

«Cosa stai facendo?»

«Oh ciao! Niente di che, guardo solo le vecchie cose che si sono accumulate nel tempo.»

«Davvero?! Non sapevo che esistesse una stanza del genere, non ci ero mai venuta! Chissà quante cose ci saranno!»

«Eheh, sono stato io a darle vita! In realtà è nato tutto quando decisi di raccogliere gli avvisi con le taglie che pendevano sulle nostre teste, ma allora pensavo di occupare solo una parete. Invece col tempo ho cominciato a lasciare contro la stessa parete tutte le cose che sono state protagoniste con noi nei nostri viaggi, perché mi dispiaceva lasciarle indietro, mi sembrava di fare loro un torto… Così si è raccolta una montagna di roba e in previsione di ciò che avrei potuto prendere anche in futuro ho chiesto a Franky di costruire questa stanza, così che non occupassero troppo spazio. E ora eccomi qui, perso nei ricordi di tutti i momenti passati insieme.»

«Ce lo si doveva aspettare da te! Non mi sembri proprio il tipo da gettare tutto al vento, anche se si tratta di oggetti. E devo ammettere che mi piace, è stata davvero una grande idea!»

«Lo pensi davvero? Beh, sono felice che ti piaccia! Purtroppo questo “deposito” ha un vuoto di qualche anno, visto che da quando siamo stati separati non ci sono più entrato. Stavo per dimenticarmene e credo che sarebbe successo se oggi non mi fosse venuto in mente la piccola taglia che mi è stata assegnata all’inizio. Grazie a quello ho ricordato questo luogo e ora mi sto commuovendo un po’ a rivedere tutto ciò… Chi avrebbe mai pensato che saremmo arrivati così lontano, tutto quello che sarebbe successo…» disse con un velo di tristezza nella voce e un sorriso malinconico sul viso. Era sempre così, malgrado il tempo che era passato.

«Ti do fastidio se mi unisco a te? Vorrei ripercorre insieme i tempi andati…»

«Ma certo, vieni pure! Aspetta che ti aiuto!» si alzò dal piccolo buco che era riuscito a crearsi in quel caos e mi aiutò a scavalcare quel mucchio di roba che invadeva anche l’entrata.

«Ihih, mi sa che non ci starò mai!»

«Su, non dire così! Adesso sta a guardare, creerò un posto comodo comodo tutto per voi…» tornò a sedersi e attorcigliando le gambe creò un comodo appoggio per il mio ormai ingombrante corpo. «Forza, siediti! Ho creato una poltrona tutta per te!»

«Ok, però poi non lamentarti se peso!»

«Figurati! Non lo farei mai-» fece una smorfia di finto dolore, lamentandosi del mio peso, così per tutta risposta gli tirai una gomitata nello stomaco, facendolo soffrire davvero.

«Perché l’hai fatto?! Io stavo solo scherzando! Sei cattiva!»

«No, sei tu stupido! Sai che sono molto irritabile al momento, quindi tieni i tuoi scherzi per te! E comunque la colpa è tua se ora peso così tanto, quindi non lamentarti!»

«Più che colpa» disse, poggiando una mano sul pancione ormai parecchio evidente «direi merito. Non credi sia magnifico?»

Gli brillavano gli occhi. Chi l’avesse visto quando era appena partito, o qualche anno prima quando era morta la persona più importante per lui, non avrebbe mai pensato che sarebbe stato in grado di arrivare a tanto, di diventare padre. Nel primo caso perché lui stesso era ancora un bambino e come tale non era abbastanza grande per potersi occupare di un figlio. Nel secondo caso invece avrebbero pensato che era troppo triste, che aveva perso “l’umanità” necessaria per crescere un bambino. Quanto si sbagliavano. Non esisteva persona più adulta e felice di lui come in quel momento.

È vero, aveva passato momenti terribili, momenti dai quali anch’io credevo che non sarebbe mai uscito, ma ora era tutto diverso. Certo, non sarebbe più stato quello di una volta, la morte di Ace era stata troppo per lui, ma forse proprio grazie all’affetto e al legame che li univa è riuscito a crescere ed ad andare avanti.

«Sì, è davvero magnifico Rufy. Non vedo l’ora che nasca… Chissà se è maschio o femmina…»

«Qualunque sia la risposta di certo sarà bello come la mamma…»

«… e forte e coraggioso come il papà!»

«Eheh! La cosa più importante comunque è che possa avere una vita felice e senza pericoli, così da crescere sano e forte…»

«Che discorsi da adulto che fai!»

«Io sono adulto! Dovresti averlo capito ormai… E in ogni caso lo proteggerei, anzi vi proteggerei, da qualunque pericolo, qualunque cosa accada…»

«Che intendi dire?». Non rispose. Era troppo perso nei suoi pensieri mentre mi, anzi ci, cullava e coccolava dolcemente. Restammo un po’ così, persi nei nostri pensieri.

«Allora, che cosa hai trovato?» chiesi a un certo punto, per cancellare quella strana sensazione che mi stava cogliendo.

«Moltissime cose! Alcune neanche le ricordavo, altre credevo fossero andate perse… Guarda questi per esempio! Sono i vestiti che indossammo ad Alabasta! Non ti fanno tornare alla mente tanti ricordi? Ormai è passato tantissimo tempo, non ci andranno più!»

«Hai ragione! Guarda che vestiti! Non si meritano nemmeno tale nome! Andavo in giro proprio come una scostumata! Ma guarda te! Ora come ora non potrei più permettermi di andare in giro così! Anche perché allora ci sarebbe stato Sanji ad uccidere chiunque mi avesse guardata troppo a lungo! Tu invece non facevi una piega… Ma allora non ti interessavo?» chiesi con voce da bambina, da finta offesa.

«Non è che non mi interessassi tu in particolare! Semplicemente non ero interessato alle ragazze, per me era importante solo avere tanti amici, proteggerli e trovare One Piece. Certo, ancora adesso è così, però tu sei diventata molto più importante.» Arrossii violentemente e nascosi il viso nel petto del mio amato.

«Eh dai, non dire certe cose! Lo sai che mi metti a disagio!»

«Eheh! Comunque se ti interessa ora sì che sono geloso, pensare a tutti quei uomini che hanno provato a toccarti mi fa salire il disgusto, se potessi li farei patire le pene dell’inferno. I miei compagni non si toccano, in particolare non si tocca la mia sposa.»

«Guarda che mica siamo ancora sposati! Abbiamo deciso di aspettare insieme che nasca il bambino no? Fino ad allora sono libera di fare ciò che voglio!»

«Non credo proprio!» disse Rufy e con una lieve spinta mi fece sdraiare sul cumolo di cose presenti nella stanza e mi bloccò distendendosi su di me. «Tu sei mia e di nessun altro, chiaro?» continuò, facendo pian piano scivolare la mano sulla mia pelle e dandomi piccoli baci lungo tutto il corpo, provocandomi brividi di piacere. «Ru-Rufy! Smettila, ti pare il luogo e il momento adatto per fare certe cose? Non stavamo facendo un discorso serio?» dissi di fretta, così da potermi cacciare via da quella situazione il prima possibile. Non che non mi piacesse, certo, ma non mi pareva proprio il caso ora che mancavano pochi mesi alla nascita. Mi sembrava troppo strano.

«Ihih, ok ok, non lo faccio più» e così dicendo ci rimettemmo seduti, come se niente fosse successo.

«D-dicevamo… Ah sì, comunque anch’io ho il diritto e molti motivi per essere gelosa! La principessa Bibi è ancora stracotta di te, e su questa nave non sono l’unica a cui piaci. Dunque siamo pari, possiamo avere tutti gli spasimanti che vogliamo, l’importante è restare fedeli l’uno all’altra, giusto? » non sapevo nemmeno io cosa stavo dicendo. Volevo solo che Rufy tornasse con la mente al discorso di prima e che non pensasse troppo a cosa era appena successo. Obbiettivo che non andò a buon fine, perché lui continuava a farmi carezze da farmi impazzire. Si stava divertendo parecchio a vedermi in difficoltà.

«Non ci credo che sei gelosa di loro! Lo sai che sono solo amiche, che le ho sempre viste come tali, quindi non hai niente da temere!»

«Idem per te! Lo sai che gli altri ragazzi sono solo amici per me, non provo alcun interesse in quel senso per loro. E comunque non credo che dovremmo preoccuparci troppo. Ormai hanno abbandonato ogni speranza anche loro da quando sono incinta. Certo, Sanji è impazzito quando ha scoperto tutto e non ci ha parlato per parecchio tempo, ma credo che sia allora che adesso tutti siano molto felici per noi… Lo sarebbe anche Ace…»

«Hai ragione… Sarebbe diventato zio… Lo zio migliore del mondo… Sì è sempre preoccupato per me, di certo sarebbe stato uno zio perfetto… Figurarsi se fosse diventato lui padre… Sarebbe stato il migliore in assoluto, decisamente migliore di me… Mi manca, mi manca tantissimo… Era tutta la mia famiglia… Certo, anche voi ne fate parte, e c’è anche mio nonno, ma Ace era Ace… Era tutto per me… Avrei tanto voluto che fosse qui ora… Ed è solo colpa mia se lui non c’è più, se il bambino non potrà mai conoscere la persona che ha reso suo padre quello che è… Non potrò insegnarli come lui ha fatto con me… Come potrò essere un buon padre se non sono stato in grado di proteggere nemmeno mio fratello?» I suoi occhi si levarono di tristezza e una piccola lacrima scivolò sulla sua guancia. Sembrò di essere tornati indietro nel tempo, a quel giorno in qui il capitano risvegliatosi da un lungo sogno dove diceva di aver parlato con il fratello aveva finalmente pianto e in compenso ripreso a sorridere. Gli diedi un lieve bacio sulle labbra, per portare via quella tristezza. Adoravo poterlo fare. Allora non avrei mai osato: mi ero limitata ad un abbraccio, sperando che lui intuisse i miei veri sentimenti.

«Non piangere Rufy. Lo sai che ormai è passato. Tu sarai un padre perfetto, ed è vero, Ace è morto e purtroppo non potrai vederlo mai più, ma ci siamo noi accanto a te ed anche lui ti osserva in ogni momento. Lo so che è insostituibile, ma puoi accettarci come tua nuova famiglia? Puoi volerci bene come ne vuoi a lui?»

«Hai ragione, come potrei mai vivere senza di voi? Sarebbe impossibile, siete il mio sostegno, la mia casa, la mia famiglia. Mi dispiace averti fatto preoccupare, lo so che non devo piangere, ma a volte è davvero difficile, pur essendo passati tanti anni… Ma ora basta, stavamo parlando d’altro, anche se il mio obbiettivo principale era legato proprio ad Ace.»

«Che intendi?»

«Fra qualche giorno è l’anniversario della sua morte e voglio andare a trovarlo in grande stile. Guarda, avevo pensato di indossare questi!» gridò con un gran sorriso, cancellando tutta la tristezza che lo aveva assalito. Tra le mani reggeva alcuni abiti. Li riconobbi subito: erano i vestiti che avevano indossato lui e la ciurma quando ci trovavamo sull’isola di Merveille, l’isola di Shiki il leone dorato. Era proprio con quegli abiti che la ciurma di cappello di paglia si era presentata davanti al pirata, per riportarmi a casa dopo il mio ennesimo tradimento. Quel periodo era rimasto impresso nella mia mente, perché allora avevo creduto veramente di morire, avevo pianto disperata all’idea di non rivederli più, di non rivederlo più.

«Non credevo ci fossero anche loro…»

«Te l’ho detto, io tengo qualunque cosa per non dimenticare niente, e grazie a loro posso ricordare il giorno in cui ho cominciato a capire veramente cosa provavo per te. Ovviamente non è stato un bel momento per te, ma sono comunque ricordi preziosi…».

La mia mente tornò rapidamente a quel periodo. Shiki mi aveva rapita a causa delle mie abilità come navigatrice e quando ero riuscita finalmente a liberarmi e a rivedermi prima con Rufy (che gioia rivederlo, mi era corso incontro con il suo enorme sorriso e con qualche enorme mostro alle spalle, tipico di lui) e poi con tutti gli altri Shiki era tornato a prendermi… Fu orribile vedere tutti loro, tutti i miei amici sconfitti da quel mostro come se niente fosse. Avevo pregato con tutta me stessa che mi salvassero e per fortuna fu così. Non ne avrei nemmeno dovuto dubitare, era ovvio che non mi lasciassero al mio destino.

«Certo che ero stato davvero stupido a non capire le sue intenzioni. Zoro aveva capito tutto, aveva intuito che qualcosa non andava già dal primo momento in cui ha visto Shiki, ma nonostante ciò io non avevo capito niente! Sono stato un debole, per l’ennesima volta ti ho fatta soffrire… Sei stata costretta a chinarti davanti a quel lurido verme, chissà cosa ti ha fatto, solo a pensarci mi viene una rabbia enorme… Sono stato debole, non ti ho protetta e tu hai dovuto sopportare le pretese di Shiki e sei quasi morta tentando di disobbedirgli… Quando ho pensato a te morta ho sofferto tantissimo, forse come quando è morto Ace… Ti chiedo ancora scusa, Nami, amore mio.»

«Sono stata io la stupida, sapevo che non avrebbe mai fatto ciò che gli chiedevo… Ma in quel momento la paura è stata più forte e mi ha resa cieca…» Guardai ancora una volta gli abiti rovinati dal tempo. C’era anche il mio, quello che mi aveva donato Shiki. Mi piaceva, almeno in fatto di estetica se ne intendeva. Però ci fu una cosa che saltò immediatamente hai miei occhi. Lo raccolsi e lo guardai attentamente: era il Tone Diale di Shiki, quello che avevo usato per lasciare loro il mio ultimo messaggio. Spinsi il bottone così che la mia voce da ragazzina risuono per l’intera stanza.

“Perdonatemi tutti… sono andata via senza parlarvi. Ho deciso di entrare come navigatrice nella ciurma di Shiki. Anche se Rufy e voialtri affrontaste Shiki, non potrete mai sconfiggere un pirata leggendario! Tutti coloro che verranno a salvarmi… Potrebbero perdere la loro vita. Ecco perché vi sto chiedendo………. di venire assolutamente……… a salvarmi!”

Ecco cosa diceva il mio messaggio, delle parole supplichevoli che invocavano aiuto.

«Eheh, quando l’ho sentito la prima volta ho provato solo rabbia, e non verso te ovviamente, ma verso Shiki. Certo, anche la tua scarsa fiducia un po’ mi fece arrabbiare… Ma ammetto che quella è colpa mia, avrei dovuto ascoltare tutto, forse avrei capito meglio i tuoi sentimenti. Però ancora non mi hai detto perché non volevi farmi ascoltare!»

«Perché mi vergognavo! Ero stata una stupida, una debole, e non volevo che mi sentissi così. Comunque anche tu mi devi spiegare una cosa: avresti potuto benissimo allungarti per non farmelo prendere e ascoltarlo senza problemi, perché allora fingevi di essere in difficoltà?»

«Ovvio, perché mi divertivo tantissimo a giocare con te! Averti così vicina, tutta per me, era strano e mi fece molto piacere, anche se ancora non capivo il motivo.»

«Allora anche tu eri un pervertito!»

«Ehi, non è vero! Certe cose ancora non passavano minimamente per la mia testa!»

«Sì sì, come no, tutti uguali voi uomini!»

«Eddaiiii, lo sai che non è vero! Ti supplico, non arrabbiarti!»

«Ahahahahah! Certo che sei proprio un bambino a volte! Scherzavo, non potrei mai arrabbiarmi con te per una cosa simile, sta’ tranquillo!»

«Ehiiiiiiiii!!! Nami! Rufy! Siamo arrivati! Sbrigatevi a finire qualunque cosa voi stiate facendo e muovetevi a scendere dalla nave!»

«Certo che Zoro non sa proprio regolarsi. Appena lo vedo lo meno. Forza, andiamo, prima che gli vengano strane idee.»

«Ok Nami! Mi aiuteresti solo a portare su i vestiti? Dobbiamo portarli a sistemare, sono davvero rovinati, in particolare il tuo.»

«Beh, era troppo lungo, per combattere serve qualcosa di più corto e comodo. Comunque non ti aiuto, sono una donna in dolce attesa, non devo lavorare, sarebbe un rischio per il bambino!»

«Lamentosa! Sfrutti soltanto il bene che ti voglio per far fare tutto a me! Sfruttatrice!» disse Rufy dandomi un bacio e scappando fuori dalla stanza per paura di una punizione. Mi avvicinai alla porta per raggiungerlo quando notai un luccichio: mi piegai per vedere di cosa si trattasse. Mi venne un nodo in gola e i miei occhi si levarono di lacrime.

«Hai sentito tutto vero? Cosa ne pensi? È cresciuto davvero tanto ed è merito tuo. Grazie.»

«Namiiiiii! Forza vieni! Ho fame e Ace ci aspetta! Dobbiamo portare tutto a sistemare prima dell’anniversario, altrimenti con che faccia mi presento davanti a lui? Muovitiiiiii!»

«Arrivo! Ihih, scherzavo, mi sa che ha ancora molto da imparare. Stagli sempre accanto, ho il presentimento che io non potrò sempre esserci.» Misi il piccolo tesoro che avevo trovato in tasca e uscii chiudendomi la porta alle spalle, facendo ripiombare nel buio la stanza lasciando il Tone Diale nel punto in cui eravamo io e Rufy, come a prendere il nostro posto a vegliare quel luogo pieno di ricordi del passato.

Nota d’Autrice: buongiorno a tutti! Questo è il primo capitolo di una storia che inizialmente doveva avere un capitolo, poi due ed infine tre :) (si, sono un’eterna indecisa, chiedo perdono!). Comunque, dicevo, la storia ha appunto tre capitolo che posterò una volta a settimana, sempre di domenica ovviamente. È la prima storia a più capitoli che scrivo, e ci ho messo un’eternità, perciò spero di non aver fatto casini :). Come già detto potete considerarla come un seguito di Perdonami... e grazie per tutto..., ma va bene anche se non l’avete letta come avete visto. Per quanto riguarda il riferimento a ciò che è successo a Merveille mi sono ovviamente ispirata al 10° film, Strong World, ma se non sbaglio c’è anche un capitolo special che parla di lui, quindi più o meno spero che la maggior parte sappia da chi parlo, ma comunque non è rilevante lui ai fini della storia, ma i vestiti, che potete ammirare qui: http://www.zerochan.net/807368#full (ovviamente né immagine né sito sono miei). Bene, mi rendo conto di non avervi detto praticamente niente, ma sarò più esauriente la prossima volta, e come al solito risponderò ad eventuali domande in eventuali (e sperate) recensioni. Alla prossima domenica    
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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Oscurità del Presente ***


Capitolo 2: Oscurità del Presente

«Ehi Nami, è da mezz’ora che ti chiamo, mi ascolti? La sarta dice che è il tuo turno per provare il vestito, muoviti altrimenti non farà in tempo a sistemarli per l’anniversario di Ace! Ma cosa stai guardando?»

«Oh Rufy, niente niente, scusa, ero un po’ distratta. Ora vado, scusa se vi faccio sempre aspettare, non voglio essere di peso…»

«Ma che- ehi Nami, aspettata un momento! Ma che le prende?».

Era da qualche giorno ormai che si comportava così. Era distratta, sempre pensierosa e si scusava per tutto ciò che faceva. Avevo l’impressione che mi stesse nascondendo qualcosa, a partire da quel piccolo oggetto che guardava ogni giorno. Ancora non ero riuscito a capire cosa fosse e perché non volesse mostrarmelo.

Inoltre, e questo era il problema che più mi preoccupava, da quando eravamo arrivati sull’isola non faceva altro che lamentarsi per i dolori continui che il bambino le procurava. Anche Chopper era preoccupato: mancavano ancora due mesi alla data prevista per nascita del bambino, quindi i sintomi di Nami non erano normali. Comunque mi aveva rassicurato, dicendomi che un po’ di riposo le sarebbe bastato. Speravo davvero che sarebbe stato sufficiente.

 «Che succede capitano? La tua dama non ti ascolta più, siete già in crisi?»

«Evita Zoro, sono già abbastanza in ansia di mio, se mi fai pensare a certe cose peggiori la situazione…»

«Scusa, non volevo… Ma sul serio, che succede? Vedo che Nami ultimamente si comporta stranamente, avete per caso litigato? O le hai già detto tutto?»

«Assolutamente no! Più tardi glielo dico meglio è. Non capisco cosa le prenda: è da quando abbiamo parlato nella stanza dei ricordi che si comporta così… Non riesco proprio a capire…»

«Non è che per caso ti è sfuggito qualcosa? Magari hai detto o fatto qualcosa che l’ha fatta arrabbiare o che le ha fatto capire le nostre intenzioni…»

«No, almeno per quanto ricordo…»

«Noi donne capiamo molte cose anche se non ci viene detto niente, in particolare se si tratta dell’uomo che amiamo.» Era stata Robin a parlare. Doveva aver sentito il nostro discorso, ed essendo l’unica altra donna della ciurma e la “sorellona” della mia Nami si era sentita in dovere di intervenire.

«Che intendi?»

«Intendo dire che Nami è abbastanza intelligente ed innamorata da capire immediatamente cosa ti passa per la testa. Forse non avrà capito esattamente cosa abbiamo deciso, ma di certo ha intuito che qualcosa cambierà, e ciò la rende nervosa e stressata. Credo che stia tentando di capire cosa succede intorno a lei, ma ciò peggiora solo la situazione, non fa bene né a lei né al bambino essere così in ansia. Dovresti trovare il modo di farla rilassare il più possibile prima che le vengano strane idee in mente. Secondo me dovresti già parlarle così da lasciarle il tempo per capire la situazione e riprendersi prima della partenza.»

«Robin ha ragione. Nami capirà che è per il suo bene, non se la prenderà. Non capisco perché ti ostini tanto a tenerle tutto nascosto. Sai che più fai passare il tempo, più lei si arrabbierà e si opporrà alla decisione. Parlale subito e vedrai che-»

«Credete davvero che non ci abbia già pensato?! Ogni giorno quando la vedo ho l’istinto di dirle tutto, ma so che non posso dirle ancora niente! La conosco meglio di chiunque altro, e se le dicessi già adesso che abbiamo intenzione di abbandonarla sull’isola e di andarcene perché aspetta un bambino non me lo perdonerebbe mai! Sono sicuro che non mi rivolgerebbe più la parola fino al giorno della partenza e io non voglio! Sarà da egoisti ma voglio godermi questi ultimi giorni che ci restano da passare insieme al massimo, non posso dirle cosa ho deciso di fare! Con che faccia mi potrei presentare davanti a lei ogni giorno? Voglio renderla felice fino all’ultimo momento che passeremo assieme… Non so se e quando torneremo, quindi non posso permettermi di renderla triste prima del tempo…»

«Capitano…»

«Scusate se me la prendo con voi… È solo che ultimamente sono preoccupato per lei: continua a star male e io non posso fare niente per aiutarla… Vorrei starle accanto fino a quando non nascerà il bambino, ma so che se aspettassi fino ad allora non sarei più in grado di lasciarli… Non sono mai stato così in ansia e agitato come in questo momento…»

«Ascolta capitano, non devi abbatterti. Nami è una ragazza forte e per nulla al mondo permetterà che succeda qualcosa a se stessa e al bambino. Ora come ora abbiamo altre cose a cui pensare, non puoi stare sotto pressione per qualunque cosa accada. Nami sa badare a se stessa, ormai dovresti averlo capito.»

«Ascolta la nostra Robin, che di donne ne sa più di tutti noi messi insieme. Stai diventando troppo protettivo nei confronti di Nami. Se lei sapesse che ti preoccupi così tanto di certo non ti parlerebbe per un bel po’; ringrazia che ultimamente è persa nei suoi pensieri e non si accorge nemmeno di cose le sta attorno. Ormai, come hai detto tu stesso, la conosci meglio di chiunque altro, quindi non dovremmo essere noi a dirti di non preoccuparti troppo per lei. Ha superato difficoltà ben peggiori, di certo non si farà fermare da qualche dolore pré-maman! E il marmocchio che porta con se ha il tuo sangue nelle vene, quindi non può essere altro che una bestia di moccioso!»

«Certo che non sai proprio regolarti con le gentilezze eh, Zoro? Se Nami ti sentisse chiamare nostro figlio marmocchio o moccioso o peggio ancora bestia non la passeresti liscia, incinta o meno che sia! Però grazie, ad entrambi, come farei senza di voi?»

«Dovere capitano! Ci hai concesso il grande onore di poter essere padrino e madrina di quel bambino e per questo ti saremo eternamente grati e ti saremo sempre accanto. Quindi piantala di frignare, o vuoi che quando torniamo dica a tua figlio che suo padre, il grande Re dei Pirati, era un frignone?»

«Assolutamente no! Tanto non crederebbe comunque a ciò che gli dici con la faccia che ti ritrovi! E comunque non sono ancora Re dei Pirati, quindi aspetta a dirlo. Non dico che non lo diventerò, però aspettiamo che il titolo passi ufficialmente a me, poi ne riparliamo. Ho intenzione di presentarmi in grande stile davanti al mio bambino, quindi vi prometto che non piangerò più come uno stupido.»

«Bravo capitano, vedi che così starete meglio entrambi. Ora vado a vedere come vanno le prove dell’abito, di certo Nami starà impazzendo a vedere come il vestito indossato a Merveille non le entra più, continua a lamentarsi di essere diventata una balena, poverina!»

«Io invece vado a farmi una dormita, queste prove mi hanno stancato. Certo che ne hai di idee strane: vestire così dall’anniversario della morte di tuo fratello fino al giorno in cui torneremo da Nami! Lo sai che sei proprio pazzo? Tanto che te lo dico a fare, se ho deciso di seguirti di certo non sono messo meglio di te. A dopo capitano, e prendetevi una pausa, vi farà bene! Magari andate a farvi una gita, un pic-nic, che ne so, basta che la smettete di fare quella faccia ogni giorno!»

«Eheh, ma almeno saremo la ciurma più elegante del mondo!»

«Certo capitano, hai suoi ordini!» e con un’ultima risata sparì.

Certo che doveva essere difficile per loro darmi consigli sulla nostra vita sentimentale. In fondo ormai avevo capito anch’io che Zoro era innamorato di Nami da molto più tempo rispetto a me e che Robin lo era di me. Ammetto di averci messo parecchio tempo per capirlo; avevo compreso la situazione solo quando il mio sentimento per Nami era ormai evidente, quando cominciammo a dimostrare apertamente ciò che provavamo l’uno per l’altra. Forse perché finalmente ero riuscito ad aprire gli occhi e a capire che ormai Nami non era più solo un’amica. Ero rimasto parecchio colpito dalla scoperta: Zoro innamorato di qualcuno mi sembrava troppo strano, l’avevo sempre visto come il tipico amico dal cuore freddo, mentre Robin era semplicemente molto più grande di me. Anche se non l’hanno mai ammesso so che per loro deve essere stato davvero molto difficile vedere me e Nami insieme visto ciò che provavano per noi. Per questo li apprezzo moltissimo e ho deciso di rendere mio figlio loro figlioccio, per renderli più presenti nella sua vita come secondi genitori. Può sembrare egoistico, o un gesto poco “delicato” nei loro confronti, ma so per certo che loro sono felici del ruolo che gli ho affidato, perché hanno accettato la mia relazione senza opporsi in nessun modo ed essendo felici per noi.

«Ahhh, finalmente la tortura è finita! Un altro minuto e l’avrei strozzata a quella sarta! Continuava a pungermi con quei dannati spilli, meno male che ormai i vestiti sono pronti e non devo più subire una tortura simile!»

«Per fortuna anche per la sarta, cominciava ad essere davvero terrorizzata dalle tue minacce!»

«Eddai Robin, se lo meritava! Mi chiedo perché ci siamo dovuti affidare a ‘sta tipa! Non c’era qualcuno migliore di lei? Eh, capitano? Sono proprio curiosa di capire perché hai permesso tutto questo! Sappi che la navigatrice qui presente si ritiene molto offesa!» mi gridò mentre Robin usciva per lasciarci un po’ soli.

Quanto era buffa quando faceva così, sembrava una bambina! Quando fingeva di essere arrabbiata cominciava a chiamarmi capitano e a chiamarsi navigatrice, come se fossimo solo questo e niente più, esattamente come una bambina che dice all’amichetto che non sono più amici e che non giocheranno più insieme. Molto buffa.

«Cara la mia navigatrice, devi sapere che questa sarta è la migliore che ho trovato e che mi ha garantito un lavoro perfetto e rapido in modo da essere pronti per domani. Dobbiamo ritenerci fortunati ad essere riusciti a trovare qualcuno disposto a fare un lavoro così grande in soli tre giorni, in più siamo vicini all’isola dove c’è la tomba di Ace, quindi spero che mi perdonerai. Non potevamo proprio rinunciare a lei, mi perdoni?» le dissi facendola sedere sulle mie gambe abbracciandola dolcemente.

«Mica sono tanti nove vestiti, anzi otto considerando che Brook di certo non cambia forma. Comunque per questa volta sì, ma solo perché c’è di mezzo Ace! Ci tengo ad essere presentabile a mio cognato, quindi se la passi liscia è solo grazie a lui!» Ovvio, secondo lei era poco perché non sapeva che li stavo facendo riprodurre in serie a causa della mia idea malata. Avevo chiesto almeno tre copie per ogni abito, perché prevedevo che non saremmo stati tanto fortunati da fermarci spesso.

«Grazie Ace! È merito tuo se ho evitato la rabbia furiosa della mia navigatrice! Ti devo la vita! È solo merito tuo se sono ancora qui!»

«Deficiente! Guarda che mi arrabbio sul serio se non la pianti!»

«Stavo scherzando amore! Non preoccuparti, ok?»

«Va bene, però non parlare più così, mi fai preoccupare…»

«Scusa scusa, dai, per farmi perdonare ti porto a cena, solo io e te, ok? Pensavo a un pic-nic sotto le stelle, potrei chiedere a Sanji di prepararci qualcosa e agli altri di preparare un posto solo per noi dove non verremo disturbati, che ne dici?»

«Sììììì, una cenetta! Grazie amore! Forza, muoviti, è già tardi!» e dopo esserci scambiati un dolce bacio scattò in piedi prendendomi per mano per portarmi fuori, dove erano tutti ad aspettarci. Sorrisi mentre Nami raccontava tutta felice la mia idea alla sorellona e intanto pensai a come rendere al meglio l’ultima sera che potevo passare con la mia amata.

***

«Capitanooooo!!! Namiiiii!!! È tardi, dobbiamo andare! Siamo tutti pronti, tranne voi! Capisco che avete passato tutta la notte fuori a fare Dio solo sa cosa, ma è ora di alzarsi, in piedi! Ho caldo con ‘sti vestiti, quindi muovetevi, ho bisogno di andare sulla nostra nave bella fresca e non ho di certo intenzione di aspettare voi! O vi muovete o me ne vado sulla Sunny, piccioncini smielati!»

«E piantala deficiente!» gridò Nami sfondando la porta della nostra stanza con un calcio, colpendo in pieno chi l’aveva disturbata. «A differenza tua noi siamo già pronti da un pezzo! Pensavi davvero di esserti svegliato prima di noi?! Che credi, ormai in tutti questi anni ho capito che sei irrecuperabile! Non sei cambiato né dopo i due famosi anni, né dopo questi ultimi tre da allora, perciò abbassa la cresta, perché di certo non sei cambiato nel giro di una notte, chiaro?!»

Zoro aveva scelto proprio il momento sbagliato per far arrabbiare Nami. Dopo la nostra cenetta avevamo passeggiato tutta la notte sulla spiaggia parlando di tutto e di più, e quando eravamo tornati alla locanda dove alloggiavamo non era riuscita a dormire per niente, diceva che qualcosa la preoccupava, che aveva un brutto presentimento, e quindi aveva tenuto sveglio anche me, passando così la notte in bianco a parlare e a prepararci per andare da Ace. In compenso eravamo davvero sistemati al meglio: avevamo avuto tutta la notte per sistemarci, quindi facevamo davvero una splendida figura, tanto che restarono tutti ammutoliti quando ci videro l’uno accanto all’altra, dopo che mi ero avvicinato a Nami per farla calmare con un bacio ed aver risistemato la porta.

«Pazza furiosa di una navigatrice! Che diavolo credi di fa… re…» anche Zoro era rimasto schoccato.

«Che vi prende a tutti? Cos’è questo silenzio?»

«Nami, Rufy… Siete davvero magnifici…» «Robin ha ragione! La nostra Nami-chan non è mai stata così bella!» «Ohh, sono così commosso! Siete perfetti insieme!» «Fate davvero un figurane amici miei! Certo, mai come il sottoscritto, ma siete i migliori dopo di me!» «Il nasone qui ha ragione! Certo che il nostro capitano sì è scelto la dama migliore fra tutti noi!» «Yoh oh oh! Non ci sono parole per descriveeerviii! Vi dovrei dedicare una caaanzoooneee!»

«D-davvero? G-grazie ragazzi… Però ora basta, mi fate arrossire, e poi eravamo in ritardo no? A-andiamo!»

Era, anzi eravamo davvero una bella coppia;  in giacca e cravatta con una lunga giacca nera bordata d’oro io, in abito lungo al polpaccio con scialle rosa e con i lunghi capelli acconciati in un semplice chignon con qualche ciocca lasciata libera lei. Davvero belli. Non che gli altri fossero da meno: tutti, eccetto Robin ovviamente, che portava un abito corto con una grande cintura e una lunga giacca, erano in giacca e cravatta.

Tutti gli abitanti dell’isola ci guardavano ammaliati, non ci staccavano gli occhi di dosso, mentre andavamo verso la Sunny per raggiungere l’isola di Ace.

Arrivammo alla piccola isola nel giro di pochi minuti e dopo aver percorso un breve sentiero in mezzo al bosco che si apriva sulla salita che portava in cima ad una scogliera raggiungemmo la tomba di Ace ed una dolce malinconia mi avvolse. Gli altri si fermarono un po’ più indietro, per concedermi qualche minuto da solo con mio fratello. «Ciao Ace, come stai? Visto come ci siamo fatti belli per te? Mi trovi strano vestito così? In effetti ho sempre odiato certi abiti, ma ho pensato che per realizzare il mio sogno dovevo essere il più figo possibile, quindi eccomi qui.». Restai qualche minuto in silenzio, come ad aspettare una risposta da quella fredda pietra. «Sai, sono un po’ spaventato. Ho paura di lasciare Nami e il bambino soli, di affrontare questo ultimo viaggio senza di voi… Ho sempre sognato il giorno in cui sarei diventato Re dei Pirati, ed ora che sono così vicino ho paura a pensare cosa potrebbe accadere… So che Barbanera è li fuori che mi aspetta, ma non ho intenzione di tirarmi indietro, perché ti ho promesso di realizzare il mio sogno e di vendicarti, perciò ti prego, proteggi Nami e nostro figlio, fa che possano essere una famiglia felice anche senza di me, perché non so se e quando tornerò, quindi veglia su di loro, ok?» presi un fiore da sopra la sua tomba e allungai il pugno verso di essa con un sorriso, come ad aspettare che Ace apparisse davanti hai miei occhi e scontrasse il suo con il mio. Feci un ultimo inchino e mi allontanai, permettendo agli altri di salutare Ace. Man mano che salutavano Ace facevano un piccolo cenno a Nami, o semplicemente la fissavano, poi andavano in direzione della Sunny.

«Ehi capitano, è ora di andare, nel frattempo raggiungo gli altri, tu e Nami parlate ok? Salutala da parte nostra e dille che ci dispiace andarcene senza salutarla come si deve.»

«Non preoccuparti Zoro, so già cosa dirle, stanotte non ho fatto altro che pensare a questo. Andate tranquilli.» dissi stringendo tra le mie mani quelle di una Nami che mi fissava con occhi confusi e un po’ preoccupati.

«A dopo Nami, noi andiamo, vedi di non uccidere il capitano in nostra assenza ok? Altrimenti senza di lui dove potremmo andare? Ci si vede!» gridò Zoro rivolto a Nami mentre si allontanava di corsa.

«Faresti meglio a nasconderti Zoro, oggi è la volta buona che te le prendi-!» non riuscì a terminare la frase che si piegò in due dal dolore. «Ehi Nami, che ti prende!? I soliti dolori!?»

«N-no, questo è peggio! Ah! Ma che diavolo..?! Rufy! Il bambino sta-! Aaaaahh!!! Fa male Rufy, fa male!» e subito dopo fu colta da una violenta tosse che le fece vomitare sangue. Con gli occhi pieni di terrore Nami mi guardò disperata, prima di ricominciare ad urlare. Chopper ci raggiunse immediatamente dopo aver sentito le urla mentre gli altri ci fissavano da lontano.

«Chopper, Chopper, che succede?! Perché  Nami soffre così?! Rispondi!»

«I-il bambino sta nascendo Rufy! Però è troppo presto ancora, per questo sta così male! Avrei dovuto capirlo prima! Devo intervenire immedia-» uno scoppio gli impedì di terminare la frase.

«N-non è possibile, non è possibile! Non adesso, non adesso! Che cosa ci fa qui Teach!?!?!» ormai ero fuori di me. In mare, in lontananza, potevo scorgere la nave di Teach, diretta a tutta velocità verso l’isola mentre si preparava a fare nuovamente fuoco.

«Capitano, abbiamo avvistato la nave di- Ma che sta succedendo a Nami?!? Rufy, rispondi!»

«Sta partorendo idiota! Non lo capisci?!?» Un altro colpo di cannone ci impedì di parlare.

«Aiutami Zoro, dobbiamo portarla lontano da qui! È troppo pericoloso!» «AAAHH! Rufy, Rufy! Fa male, ti prego Rufy, aiutami, fa male! AAAHH!!!!!!!» iniziò a perdere sangue e a vomitarne altro, non riuscendo quasi a respirare. «Rilassati Nami, adesso ti portiamo al sicuro e ci penso io a te e al bambino! Zoro, Rufy, non state lì a discutere, aiutatemi!» Un altro scoppio. Teach continuava a bombardare l’isola. Le fiamme stavano distruggendo tutto, la scogliera veniva inesorabilmente mangiata dalle fiamme, anche la tomba di Ace ne era ormai avvolta.

«Maledizione, dove la portiamo? Qui non c’è nessuno!»

«Ragiona Rufy! Mentre gli altri si occupano di tenere a bada Teach sulla nave io e te raggiungiamo l’isola abitata dove siamo stati fino ad adesso con i tuoi poteri, tanto non è troppo lontana, non dovresti avere difficoltà a raggiungerla e a portare anche noi, giusto!? Una volta lì porteremo Nami in un luogo sicuro dove la potranno assistere dopo che il bambino sarà nato, in seguito ce ne andremo, chiaro?» «C-chiaro! Zoro, tu raggiungi gli altri!» «Ok capitano, occupati di Nami e raggiungici in fretta, intesi?» «Andare dove?!? Non vorrete lasciarmi indietro! NO, lo sapevo! Ti supplico, non lasciarmi Rufy, non sarò un pes- AAAAAAHHH!!!!!!» per quanto le venisse difficile respirare continuava a gridare e ad agitarsi con le poche forze che aveva.

 «Andiamo Rufy!» «Scusa Nami, scusa Nami, scusa Nami! Non doveva andare così, non così, NON COSÌ!!!» Ero disperato, arrabbiato, in preda alle lacrime. Nami stava partorendo, io dovevo lasciarla, Teach ci stava attaccando, ed io non ero pronto a niente.

«Siamo arrivati- No, non anche qui!» In qualche modo Teach aveva colpito anche quell’isola. Le grida di Nami si mescolavano a quelle degli abitanti, che correvano in preda al panico tentando di spegnere gli incendi.

«Portiamola dal medico! Li sapranno come occuparsi di Nami, muoviti Rufy, se stai fermo non risolverai niente!» «Maledizione, maledizione, MALEDIZIONEEEEE!!!! Teach, sei un uomo morto!» Mi affrettai il più possibile e quando giungemmo dal medico dell’isola ormai Nami era allo stremo delle forze. «Ora respira con calma Nami, so che è difficile, ma è per il bene del bambino! Forza, resisti solo un altro po’! Mi serve aiuto, veloce!» Chopper fu attorniato da molte donne che iniziarono a dire a Nami cosa fare tentando di tranquillizzarla inutilmente. «Ti supplico, non lasciarmi, non lasciarmi! Dobbiamo crescere il bambino insieme, non puoi lasciarmi adesso, ti supplico, ti supplico! AAAHHH!!!» ero riuscito ad afferrare la sua mano piena del suo stesso sangue e lei ad ogni urlo me la stringeva convulsamente.

«Perdonami Nami, perdonami! Te lo dovevo dire prima! Non vorrei lasciarvi per nulla al mondo, ma con noi sareste solo in pericolo! Teach ha già cominciato ad attacarci, non posso rischiare che vi succeda qualcosa, perdonami, perdonami!» «…non andare, non andare…» «..perdonami, perdonami…» «AAAHH!!!» «Brava Nami, un ultimo sforzo! Ci sei quasi!» «Ti amo Nami, ti amo più della mia stessa vita! Ti prometto che tornerò, non starò via per sempre, aspettatemi, vi supplico!» «AAAAAAAAAHH!!!» «Bava Nami! È nat-» «AAAAAAHH!!!» «N-non è possibile! Sono-!» un altro scoppio nella vicinanze mi impedì di sentire il resto della frase. Ci fu un attimo di silenzio, dove riuscii a sentire solo il pianto di un bambino, anzi no, non uno, prima che un altro scoppio risuonò per tutta l’isola.

«Nami…» «Rufy…» ancora scoppi. Se non mi affrettavo a fermare Teach ne sarebbe andata della vita di tutti.

«Scusa amore, scusa, devo andare, perdonami… Tornerò, stanne certa! Sarà come se non me ne fossi mai andato, perciò aspettatemi… Ci rivedremo piccola mia, non ti abbandonerò… Custodisci questo per me, quando torno lo rivoglio, ok?» Lasciai il mio cappello sul suo petto e con grande fatica divisi le nostre mani, ritrovando nella mia il piccolo tesoro che custodiva tanto gelosamente dal giorno nella stanza dei ricordi: la perla della collana di Ace che avevo stretto in mano il giorno della sua morte. La strinsi un attimo e poi la rimisi in mano a Nami, pregando Ace di proteggere la mia nuova famiglia. Diedi un ultimo bacio alla mia amata e uscii senza più voltarmi. Piangevo come mai prima, più del giorno in cui Ace mi aveva lasciato.

«Andiamo Chopper, dobbiamo raggiungere gli altri.»

«NO! NO NO NO NO!!!! TI SUPPLICO! TI SUPPLICO! NON ANDARE, NON LASCIARMI! NON VOGLIO, TI SUPPLICO!» era disperata, si dimenava anche se continuava a perdere sangue ed era un miracolo se fosse ancora viva o ancora cosciente. I medici tentavano di tenerla ferma al letto e di sedarla per farla calmare, cosa quasi impossibile data la sua ostinazione. Guardando la mia famiglia da lontano e il mio cappello rotolato a terra smisi di piangere e sistemai il piccolo fiore che ancora stringevo in mano alla giacca. Mi avviai verso la nave, con il solo pensiero di fare strage di Teach e i suoi, che avevano osato rovinare tutto, TUTTO. Ormai non avevo altro in mente, solo distruggerlo. Andai in mezzo alla strada e tutto d’un fiato gridai al cielo «NAMIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!» mentre un urlo straziante mi raggiunse

«RUFYYYYYYYYYYYYYYY!!!!!!» prima che un’altra esplosione mi avvolse e mi divise definitivamente dalla mia amata e dai due bambini che, con occhi pieni di vita, videro per la prima e ultima volta loro padre.

 

Nota d’Autrice: secondo capitolo pubblicato! Spero di non aver deluso nessuno e di avervi messo un po’ di curiosità per leggere il prossimo ed ultimo capitolo che arriverà, come questo, tra una settimana. Un’ altra cosa che spero ovviamente è di essere riuscita ad esprimere al meglio ciò che volevo, ovvero un sottile strato di malinconia iniziale seguito da pura e semplice disperazione finale. Ora spiegherò alcune cose magari ovvie: ovviamente l’isola dove loro si fermano non esiste, l’ho inventata per pura comodità, immaginandomi l’isola con la tomba di Ace come qualcosa a parte raggiungibile in brevissimo tempo in nave. Sottolineo il brevissimo perché le due isole devono essere abbastanza vicine per essere raggiungibile dal braccio di Rufy che deve allungarsi non poco per “collegare” due isole  Altra cosa, loro stanno in una locanda vicino all’ospedale della città per via delle condizioni di Nami, perché pur essendoci già un medico nella ciurma è lo stesso Chopper a preferire avere un supporto immediato in caso di necessità. Ultima cosa: quando tutti salutano Ace e se ne vanno senza salutare Nami e non la raggiungono quando inizia ad urlare non è perché sono degli insensibili, ma perché nel primo caso volevano lasciare un po’ di intimità a Rufy e Nami, nel secondo non pensavano a qualcosa si così grave. Bene, dopo queste ovvietà, alla prossima settimana (spero).

ElPsyCongroo (so che non centra niente, ma ho appena visto, per chi lo conosce, la puntata special di Steins;Gate, da dove ho preso il nome, ed ho riscoperto tutto il mio amore per quell’anime, e sono fiera del mio nome ed intendo portare ovunque il suo spirito! Ok, ora basta scleri, bye bye ).

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Speranze del Futuro ***


Capitolo 3: Speranze del Futuro

(N.B. Le frasi messe tra ««…»» sono quelle che vengono dette insieme in coro diciamo)

 

««Maaaaammaaaa!!!!»»

«… ma che?»

««Maaaaammaaaa!!!!»»

«Bambini! Ma perché gridate così? La mamma stava dormendo!»

«La mamma piangeva…»

«… pensavamo che stasse male.»

«Si dice stesse e comunque non è vero, non stavo pian-» aveva pianto invece, e tanto anche. A testimoniarlo c’era la macchia sul cuscino e gli occhi rossi e gonfi di lei. Si affrettò a cancellare qualunque traccia di quel pianto dal viso e con voce un po’ tremante rassicurò i bambini. «Che teneri che siete a preoccuparvi per la mamma, ma non dovete. Sto bene, ho fatto solo un sogno un po’ triste, tutto qui.»

«Hai sognato papà?»

«Sì, in effetti ho proprio sognato papà.»

««Cattiva mamma!»» trillarono in coro i due piccoli.

«E perché sarei cattiva?»

«Perché papà non vuole che la mamma piange…»

«… la mamma deve sempre sorridere!»

Nami sorrise. È vero, di certo lui non avrebbe voluto vederla così, ma che poteva farci? «Scusate piccoli! Per farmi perdonare allora oggi vi porto dove volete.»

«Non vale! Avevi già detto che ci avresti portato dove volevamo, quindi non vale!»

«Tanto basta che ti scusi con papà! Se ti prepari possiamo andare subito da lui! Veloce che ci aspetta!»

«Ok ok, mi alzo! Più diventate grandi più gli assomigliate, sempre a fare di testa vostra! Dovrò riprenderlo quando arriviamo da lui, vi sta insegnando cose sbagliate! Però per oggi sarò buona visto che è il vostro compleanno.»

««Non ci hai ancora fatto gli auguri e non ci hai dato i regali!»»

«Che impazienti che siete! Per i regali dovrete aspettare sta sera, per gli auguri ci stavo arrivando: buon compleanno Ace! Buon compleanno Bellmer!» disse allegramente Nami scendendo finalmente dal letto e abbracciando le copie in miniatura di Rufy. Nell’ essere uguali tra loro erano identici al padre, o almeno per come la vedeva lei: belli come la mamma e coraggiosi come il papà avevano detto e così era stato. Pur avendo solo cinque anni appena compiuti quei due facevano di tutto, dal semplice arrampicarsi su un albero (per quanto potesse essere facile arrampicarsi su un albero per due bambini piccoli) all’affrontare a mani nude le bestie feroci che spesso attaccavano loro e gli altri abitanti dell’isola. E il coraggio fuori dal comune non era l’unica cosa che li rendeva così simili al padre: sempre affamati mangiavano di continuo senza ingrassare, avevano una riserva di energie senza fondo, dormivano quando e dove capitava e sorridevano sempre, proprio come lui.

Però era anche vero che somigliavano molto alla madre: molto intelligenti e furbi, capaci di grande inventiva e intuizione, soprattutto in campo meteorologico.

In quanto ad aspetto fisico erano appunto belli come la madre: avevano gli stessi lineamenti delicati e gli occhi ambrati che colpivano chiunque li guardasse. Avevano i capelli corti e spettinati lui, lunghi e ondulati lei, come i genitori, ed erano nero pece con ciocche ambrate: erano davvero due bambini bellissimi, e Nami non era l’unica a dirlo. Tutti si complimentavano di loro, anche se a volte combinavano guai esattamente come il padre.

««Grazie mamma! Ora però preparati, senno facciamo aspettare troppo papà!»» Parlavano sempre insieme i due gemellini, e se non parlavano nello stesso momento l’uno completava la frase dell’altra e viceversa. Alcuni dicevano che era una cosa troppo strana, che sarebbero dovuti andare da un medico, ma Nami si rifiutava categoricamente per due motivi: uno non ci vedeva assolutamente niente di sbagliato, semplicemente erano molto affiatati. Due per qualunque cose avessero ci pensava Nami a curarli perché non voleva portarli da nessuno: l’unico medico a cui avrebbe permesso di vedere i propri figli era ormai scomparso da tempo. Forse era un’irresponsabile, ma proprio non ce la faceva, era più forte di lei.

«Ho detto che ora mi preparo, calmatevi! Altrimenti vi metto in punizione e niente papà oggi!»

«Nooooooooo! Facciamo i bravi, facciamo i bravi!»

«Facciamo i bravi ma mamma ci porta da papà!»

Ace e Bellmer erano in crisi: volevano un bene dell’anima al padre e per quelle poche volte che potevano vederlo avrebbero fatto di tutto per andare da lui. Erano decisamente molto teneri, tanto che stavano per mettersi a piangere alle minacce della madre.

«Dai piccoli, non esagerate! La mamma stava scherzando! Certo che vi porto da papà, anch’io voglio vederlo, e non vi lascerei mai indietro, quindi non piangete, ok?»

««Ok mamma, facciamo i bravi…»»

«È così che si fa, bravi cuccioli. Ora ci prepariamo tutti insieme perché con quei vestiti lerci non vi porto da nessuna parte, quindi prima facciamo un bel bagno e poi tutti da papà!»

««Sìììììììììì!!!»» e così gridando corsero verso il bagno sparpagliando i vestiti per tutta casa. Nami li guardò sorridendo ma dopo un po’ calde lacrime cominciarono a scivolare sulle sue guance. Stava ancora pensando al sogno appena fatto ed era sconvolta da quanto fosse rimasta colpita: pensava di essere più forte, di poter superare e sopportare, ma era troppo. Ogni giorno vedeva i piccoli e non poteva fare a meno di pensarci cadendo sempre in una tristezza profonda. Stava ancora piangendo quando sentì qualcuno abbracciale forte le gambe. Abbassò lo sguardo e vide i suoi figlioletti teneramente appiccicati a lei.

«Ti abbiamo detto di non piangere mamma!»

«La mamma è forte, se piange però non lo è più!»

«E se la mamma non è più forte anche noi diventiamo meno forti!»

«E se diventiamo meno forti papà è triste, l’hai detto tu!»

««Quindi non piangere mamma!»»

Le si levarono gli occhi di lacrime ancora di più. Quelle due testoline erano in gado di tirarla su di morale in ogni istante, pur essendo ancora due bambini.

««Mammaaaaaaa! Non piangere!»»

«Scusate scusate! È che la mamma si commuove facilmente, sapete? Sentirvi dire queste cose mi rende molto fiera ed orgogliosa di voi. Se il papà vi vedesse sarebbe anche lui molto felice.»

«Veloce, così andiamo da papà!»

«Papà ci aspetta, non facciamo tardi, altrimenti si arrabbia!»

«Ok, ok! Andiamo puzzolenti, dobbiamo farci belli per papà!»

««Non siamo puzzolenti!»»

«Ah no eh? Fatemi sentire… Bleah, che puzza, così il papà non vi vorrà vedere!»

««Nono, dobbiamo vedere il papà! Non dobbiamo puzzare! Bagnetto bagnetto!»» e così tornarono correndo in bagno. Nami sorrise ancora un po’ prima di seguire i figli, indugiando davanti all’unica foto che aveva di Rufy: il primo manifesto da ricercato che aveva conservato con tanta cura, esattamente come Rufy prima di lei.

***

«Ora sì che siete belli!» Nami era davvero orgogliosa dei suoi piccoli: Bellmer indossava un vestitino nero con pizzo e maniche a sbuffo, con un nastro bianco a fasciarle la vita e delle ballerine nere con un fiocchetto bianco a lato. Ace invece per chissà quale strano miracolo aveva deciso di indossare giacca e cravatta, ma con delle modifiche personali: al posto delle scarpe eleganti indossava le infradito del padre e in testa portava il cappello di paglia.

«Potresti almeno abbottonarti un po’ di più la camicia Ace?»

«No!»

«E perché no?»

«Perché così somiglio di più al papà!»

«Ihih, è vero. Dai allora, andiamo, prima di sporcarvi tutti.»

Nami, Ace e Bellmer uscirono dalla loro casetta e si avviarono verso la loro meta. Nami aveva deciso di fermarsi a vivere nel piccolo villaggio vicino all’isola dove era sepolto Ace, il villaggio dove erano nati i suoi figli e dove aveva visto per l’ultima volta Rufy che spariva tra le esplosioni. All’inizio non erano proprio ben accetti: per colpa della ciurma di cui faceva parte il villaggio cinque anni prima aveva rischiato di essere totalmente distrutto, ma grazie al sostegno di alcuni di loro che la pensavano diversamente era finalmente riuscita a stabilirsi in quel luogo. Ora era diventata amica di tutti e tutti si fidavano di lei: le chiedevano consigli sul mare, sul tempo, sulle arti mediche, qualunque cosa. Era diventata famosa per la sua intelligenza perciò poteva vivere serenamente insieme ai suoi figli in quel piccolo angolo di mondo.

A causa della fama di Rufy altre volte il villaggio era stato attaccato, ma per fortuna si trattava per lo più di sprovveduti che non sapevano restare al proprio posto e che dopo qualche semplice fulmine scappavano via a gambe levate. Questo più che altro era perché temevano fortemente l’ira della Regina dei Pirati, in quanto consorte del Re dei Pirati, Monkey D. Rufy.

Sì, Rufy era riuscito a guadagnarsi il titolo di Re dei Pirati dopo aver sconfitto Teach sull’isola di One Piece. Ovviamente non si era degnato minimamente di rivelare la “vera identità” di One Piece, semplicemente si era preso il titolo di Re dei Pirati e chi si è visto si è visto. Nemmeno Nami sapeva di cosa si trattasse, ma i pirati sopra citati credevano che lei sapesse tutto, per questo motivo attaccavano il villaggio.

Visto che per raggiungere la loro meta ci voleva parecchio tempo prima di proseguire si fermarono in una locanda per mangiare qualcosa di buono e fare qualche scorta per il breve viaggio. Era la stessa locanda dove aveva alloggiato per l’ultima volta con il resto della ciurma e per questo era uno dei pochi luoghi dove si sentiva veramente a casa.

«Buongiorno Nami! Come stai? Mi sembri un po’ sciupata.»

«Non è niente, è solo che sta notte non ho dormito molto bene.» disse Nami per rassicurare la locandiera, Mama, una donna che sin da quando erano nati i gemelli era stata dalla sua parte.

«È per Rufy? Se non sbaglio oggi è l’anniversario della sua-»

«No, per favore, non dirlo, altrimenti scoppio di nuovo a piangere e rischio di non smettere più.»

«E perché mai? Stavo per dire “della sua ascesa al trono”, ma se non mi lascia terminare la frase come può pretendere di capire, sua altezza?» disse facendo un piccolo inchino e abbozzando un sorriso complice. Nami la adorava proprio per questo: era in grado di capire immediatamente quando stava male e perché ed era in grado di agire di conseguenza. Senza di lei, soprattutto durante i primi mesi di vita di Ace e Bellmer, Nami non ce l’avrebbe mai fatta. Era stata lei ad aiutarla quando i bambini stavano nascendo, era stata lei a curarla subito dopo, era stata lei ad allattare i piccoli grazie al fatto che aveva avuto da poco un figlio, e sempre lei li aveva ospitati per un breve periodo in casa sua, prima che Nami fosse guarita del tutto ed in grado di provvedere da sola ai figli. Non che adesso si fosse ripresa del tutto: spesso veniva colta da lancinanti dolori al ventre e anche per una semplice influenza ogni volta restava a letto per giorni e giorni in preda ai dolori. Durante quei periodi per fortuna c’era Mama ad assisterla, altrimenti i piccoli non avrebbero potuto crescere così sani e forti.

Il tutto era dovuto alla precoce nascita dei gemelli: la loro nascita l’aveva indebolita, il medico dell’isola le aveva detto che non sarebbe più stata in grado di compiere grandi sforzi e, e questa era la cosa che la rendeva più triste, non avrebbe più potuto avere figli. Aveva sempre sperato in una famiglia numerosa con il suo Rufy, ma per vari motivi non sarebbe più stato possibile.

Non che questo la portasse a voler meno bene o ad odiare Ace e Bellmer: per loro sarebbe anche morta, non le interessava niente della sua salute, l’importante era che fossero loro a stare bene.

«Grazie.»

«E di cosa? Non credo di aver fatto niente di speciale! Ma ora basta, se non sbaglio qui ci sono due principini che sono appena diventati grandi!»

««Sììììììììììì! Ormai siamo grandi, abbiamo 5 anni! Che cosa ci regali? Vogliamo i regali!»» trillarono i piccoli sorridendo come Rufy.

«Ehi, ma che modi sono? Non dovete comportarvi così!»

«Oh tranquilla Nami, sono bambini, non è un problema. Venite con me cuccioli.» I piccoli si avvicinarono ad un enorme oggetto coperto da un telo colorato che si trovava nel prato di fronte alla locanda e con l’aiuto di Nami e Mama lo scoprirono, rivelando qualcosa che lasciò a bocca aperta tutti e tre: si trattava di una riproduzione della Going  Merry, solo più piccola e con alcune modifiche. Ace e Bellmer salirono sulla nave in tutta fretta, strillando di gioia ed esplorando ogni angolo della nave. Dopo la loro rapida esplorazione, come spinti da qualche strano istinto, Ace andò a sedersi sulla polena e Bellmer sotto gli alberi di mandarini ad assaporare il loro profumo. Vedendo quella scena Nami scoppiò di nuovo a piangere, ripensando ai tempi in cui erano su quella nave tutti insieme, a quando il loro viaggio era appena cominciato.

«Se ti vedono piangere di nuovo li spaventi.»

«Mama…»

«Spero di non essere stata troppo invadente con questo regalo. Spero mi perdonerai. Non sono riuscita nemmeno a riprodurla fedelmente ed è molto più piccola, ma ho pensato che va bene comunque, in fondo sono ancora piccoli, non andranno da nessuna parte e non metteranno in piedi una ciurma ancora per molto tempo, quindi questa piccolina dovrebbe bastare per la loro voglia di esplorare il mare circostante.»

«Mama… Mama Mama Mama!!!» Nami le saltò al collo. Sprofondò il viso nei suoi capelli e cominciò a ridere e piangere nello stesso tempo, stringendosi il più possibile a lei.

«Na-Nami, mi soffochi così! Su su, rilassati, calma calma…» le disse dolcemente, accarezzandole la schiena per calmarla. Faceva sempre così quando Nami era in crisi, la cullava come se fosse una bambina piccola, come se fosse sua figlia. Nami pian piano si calmò e si stacco da lei, strofinandosi velocemente il viso per far sparire ogni segno del pianto.

«Brava, è così che si fa. Vedrai che con il tempo riuscirai a resistere a tutto questo, a guardarli e sorridere piena di gioia, senza essere assalita da tristi pensieri.»

«Grazie Mama, per tutto. Non potrei fare davvero niente senza di te, sei come una madre per me, e non lo dimenticherò mai. Non potrò mai sdebitarmi.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo, ok? Non ti chiederò mai di sdebitarti, mi basta vedervi tutti e tre insieme per rendermi felice, ok? E ora su, non dovevate andare da qualche parte? Dentro ci sono i cesti per il pranzo, ho fatto tutti i vostri cibi preferiti!»

«Hai ragione, grazie, è meglio che vada altrimenti non arriveremo più.» E dopo aver sorriso davvero per la prima volta in quel giorno andò a chiamare i piccoli, che scesero immediatamente appena sentirono la minaccia di Nami secondo la quale se non si muovevano la nave avrebbe messo le ali e sarebbe volata via, raggiungendo il cielo con a bordo il loro papà.

***

«Ace, Bellmer, datemi una mano, non correte così! Aiutatemi a portare questi piuttosto visto che la maggior parte del cibo è per voi! A me non serve, potrei anche far rotolare questi cesti in mare! Chissà poi perché Mama ha preparato tutto questo poi… È troppo pure per Ace e Bellmer, e dovrebbe sapere che io non mangio molto…» mentre Nami ragionava sul perché di tanto cibo i bambini la raggiunsero e presero alcuni cesti così da lasciare un po’ di riposo alla madre. Era ormai da parecchio che camminavano perché l’isola dove erano diretti era raggiungibile solo a piedi sfruttando la bassa marea e gli scogli o con una nave, e lei non sarebbe mai salita su una nave che non fosse la Sunny. A causa della sua ostinazione ora era parecchio affaticata: spesso si fermava a riprendere fiato per evitare di svenire in mezzo alla strada e preoccupare i bambini. Erano abituati a vederla star male, ma non voleva che la vedessero totalmente priva di difese, incapace di proteggerli.

In più ci si metteva anche l’abito a creare problemi: aveva deciso di mettere per quell’occasione, dopo tanti anni, l’abito nero con scialle rosa e scarpe con tacco che indossava il giorno della nascita di Ace e Bellmer. Si era rovinato parecchio quel giorno e Nami non era più riuscita ad indossarlo, la faceva stare troppo male. Però aveva deciso che doveva superare le sue angosce, perciò l’aveva portato a sistemare con parecchio anticipo rispetto a quella data e, quando l’abito fu finalmente pronto, se lo provò di nascosto, per vedere l’effetto che le faceva. All’inizio fu difficile, ma dopo un po’ si abituò a non aveva più avuto problemi. Fino ad ora. Era troppo lungo e continuava ad impigliarsi in tutto ciò che poteva e le scarpe erano una tortura. Non aveva pensato che ci sarebbero state tutte quelle difficoltà. Quando si impigliò l’ennesima volta strappò il fondo dell’abito così da renderlo più corto ed essere più comoda, esattamente come tanti anni prima.

«Dai mamma, fai veloce!»

«Fai veloce che papà aspetta!»

«Arrivo arrivo. Tanto ci siamo quasi, è inutile agitarsi tanto. Vedete laggiù, in cima alla scogliera? Vedete che c’è papà?» I piccoli si girarono e nel vedere la cima della scogliera gridarono in coro «Papà!» e si rimisero a correre.

«Non correte ho detto! Tanto papà non se ne va mica! Ahhh, è inutile parlare con loro, sono troppo cocciuti. Hanno preso troppo dal padre.» si lamentò sorridendo dolcemente. Dopo un po’ raggiunse i piccoli che erano già saltati addosso al padre, lanciando i cestini del pranzo in giro.

«Su piccoli, scendete, così schiacciate papà. Bravi così, sistemate la coperta e il cibo che nel frattempo saluto vostro padre, ok?» I piccoli obbedirono subito alla mamma senza protestare: anche se spesso ignoravano quello che diceva e disobbedivano sapevano che quel momento era solo per i loro genitori e che non dovevano disturbare.

«Ciao Rufy, come stai? Ho portato i piccoli visto? Non trovi che siano diventati grandi?» mormorò fissando per un attimo Rufy. «Stanno crescendo davvero bene. Al villaggio tutti gli vogliono bene, sono diventati delle specie di mascotte. Dovresti vedere però quanti guai combinano quei due! Hanno preso proprio da te! Ma almeno sono più intelligenti di te, belli ed intelligenti come me! Proprio come avevamo detto… Sai, credo che sentano la tua mancanza ogni tanto, come me del resto… Perché l’hai fatto, eh? Perché te ne sei andato? Perché sei morto?» sussurrò al vento, sfiorando i fiori che ricoprivano la tomba di Rufy. Era identica a quella del fratello e vicina ad essa.

Accanto a quella di Rufy c’era un’altra tomba: quella di tutto il resto della ciurma di Cappello di Paglia. Sopra di essa Nami aveva lasciato qualcosa che rappresentasse tutti: la bandana che Zoro portava sempre al braccio, una della fionde di Usopp, uno dei libri di archeologia di Robin, un pacchetto delle sigarette che fumava sempre Sanji, uno degli strumenti medici di Chopper, una delle bottiglie di Cola di Franky, il bastone/spada di Brook e uno dei mandarini che tanto le piacevano.

Perché in un certo senso lei era morta. Era morta la Nami navigatrice della ciurma di Cappello di Paglia.

Sulla tomba di Rufy aveva lasciato anche il suo cappello, ma non ce l’aveva fatta a lasciarlo lì per molto tempo, era l’unica cosa che gli restava del suo amato. In più il piccolo Ace sin dal primo giorno che l’aveva visto aveva afferrato il cappello con tutte le sue forze e non l’aveva più lasciato. Esattamente come Bellmer non lasciava mai la sua preziosa collana con la perla rossa che Nami aveva trovato tempo prima nella stanza dei ricordi: la perla della collana di Ace che Rufy aveva inconsciamente conservato. Nami l’aveva sempre tenuta con sé sin da quel giorno, come un porta fortuna, poi l’aveva lasciata alla figlia che ne era rimasta completamente affascinata.

«Mi aveva promesso che saresti tornato, che non mi avresti lasciata mai… Bugiardo…» Rufy e il resto della ciurma erano morti il giorno in cui Teach aveva li aveva attaccati, dopo un lunghissimo scontro che aveva avuto luogo sull’isola di One Piece. Per questo Rufy era diventato Re dei Pirati: aveva ucciso Teach in quella battaglia atroce dopo che tutte e due le ciurme si erano annientata a vicenda, lasciando solo i capitani a fronteggiarsi. Subito dopo aveva lasciate dette queste parole nello stesso Tone Diale che aveva usato anni e anni prima Nami:

«Mi dispiace Nami… Non sono riuscito a mantenere la promessa… Però sono riuscito a realizzare il mio desiderio: l’ho trovato Nami, ho trovato One Piece, e questo mi rende di diritto Re dei Pirati! Tu ora sei la regina, perciò ti supplico di proteggere i piccoli principi… Digli che gli voglio un mondo di bene… Raccontagli del suo papà…. e della nostra ciurma… Non ho potuto proteggerli… Scusa… Li ho visti morire tutti, un ad uno, ed ogni loro morte è stata come un enorme macigno sul mio cuore… Ma Teach l’ha pagata… Quel pezzo di merda mi ha addirittura supplicato di lasciarlo in vita dopo tutto… dopo tutto quello che ha fatto… Sono felice che sia finalmente morto… A sofferto come abbiamo sofferto tutti noi… Scusa se ti sembro crudele e spietato… Ehi, Nami, amore mio, saudiresti un mio ultimo desiderio?.... Chiama il piccolo Ace….. E se vuoi la piccola Bellmer…… Mi piacerebbe davvero tanto…. Sappi che vi amo……. Un’ultima cosa, Nami… Io t-……………»

E così finiva il massaggio. Era stata proprio Nami a trovare il Tone Diale in una pozza di sangue sull’isola dove erano tutti morti. Non c’era nient’altro, nessun cadavere, solo sangue ovunque, avvoltoi che si cibavano di non voleva sapere cosa, quel messaggio e tutto il contenuto della stanza dei ricordi. Era quasi morta di dolore quel giorno, sperava che il messaggio terminasse con un “tornerò”, invece niente. Erano passati 8 anni ormai e niente. Ormai ci aveva rinunciato.

««Mamma, mamma!»»

«Ace, Bellmer, che vi prende? Perché urlate tanto?»

««Signore!»»

«Signore? Quale signor- Oh scusi, mi perdoni, non l’avevo vista.» Silenzio. L’uomo era coperto da capo a piedi da un lungo mantello con il cappuccio calato sulla testa, in modo da oscurare il suo volto.

«Scusi, potrei sapere chi è lei?»

«Mi perdoni lei signorina. Forse ho interrotto qualcosa di importante. Mi sembrava così assorta nei suoi pensieri che non ho osato disturbarla.»

«No no, lei non ha fatto niente! Sono stati i miei figli a disturbarmi, lei non disturba affatto.»

«Allora sono figli suoi?»

«Sì, lui è Ace mentre lei è Bellmer. Forza piccoli, salutate il signore.»

««Ciao signore!»»

«Non ciao, si dice salve.»

«Eheh, non si preoccupi.» disse l’uomo chinandosi all’altezza dei piccoli come ad osservarli meglio. Stette un po’ li in silenzio prima di parlare di nuovo.

«Ciao piccolo Ace. Che bel cappello che hai, me lo regaleresti?»

«No! La mamma ha detto che è del papà e che devo proteggerlo!» trillò il piccolo stringendo forte il cappello sulla testa.

«Oh, che peccato! È davvero un bel cappello! Il tuo papà è fortunato ad avere un tesoro così! E tu, piccola Bellmer? Che ne dici di regalarmi quella bella collanina?»

«No! La mamma ha detto che è dello zio e che devo proteggerla!» trillò la piccola stringendo forte la perla tra le mani.

«Allora a me niente?»

««No! Il compleanno è nostro, non tuo, i regali li vogliamo noi!»» gridarono in coro. L’uomo scoppiò a ridere e si rimise in piedi. «Eheh, che buffi che siete! Comunque avete ragione, penso di aver già trovato il regalo adatto, aspettate solo un po’, va bene?» poi si girò a guardare la tomba di Rufy, impedendo ancora una volta a Nami di vedere il suo volto.

«Come mai si trova davanti a queste tombe il giorno del loro compleanno?»

«Perché oggi ricorrono altri due anniversari: quello della morte di loro padre, Monkey D. Rufy e del resto della sua ciurma, e di loro zio nonché fratello di Rufy, Portugas D. Ace. Sono morti esattamente 5 anni fa mio marito e i suoi compagni e 10 mio cognato, in questo stesso giorno. Immagino che lei sappia chi sono, non sono certo tipi che passano inosservati.»

«Certo che li conosco. Mi dispiace averle portato alla memoria tristi ricordi, Regina dei Pirati Nami.»

«No no, non mi chiami così. E comunque si figuri, non è un problema. Quel che è successo è successo, è inutile pensarci troppo, non li riporterà di certo indietro.»

«Peccato però.»

«Peccato per cosa?»

«Speravo di avere una chance con una bella signorina come lei, ma da come ne parla si capisce che è ancora molto legata a suo marito. Sono arrivato tardi.»

«Grazie per il complimento, ma mi dispiace. Anche se sono passati 5 anni, e quindi molto probabilmente è morto, mi ha promesso che sarebbe tornato, perciò non posso tradirlo.»

«Lei è una ragazza davvero molto fedele. Suo marito è un uomo fortunato. Come ha potuto lasciarla? Non è arrabbiata con lui?»

«No, perché ora ho capito che l’ha fatto per il mio bene. Se non mi ha portata con loro quel giorno era solo per salvarci. Allora l’avevo preso come un tradimento, ma ora lo ringrazio per quello che ha fatto. Sarei stata inutile con loro, e molto probabilmente sarei morta anch’io insieme hai piccoli. Devo ringraziarlo per avermi lasciata, anche se devo ammettere che mi manca terribilmente.» Restò un po’ in silenzio ad osservare la tomba di Rufy.

«Lei invece perché è qui?»

«In realtà sono qui con alcuni amici per salutare un mio conoscente e per riabbracciare la mia famiglia che ho abbandonato troppo tempo fa.»

«Posso sapere di chi si tratta? Magari li conosco, il villaggio è molto piccolo.»

«Beh, in realtà è lui.» disse indicando la tomba di Ace.

«Lei conosceva Ace?»

«Sì, eravamo… grandi amici. È da tempo che non venivo a trovarlo, perciò eccomi qui.» La mente di Nami cominciò a correre veloce. Se conosceva Ace probabilmente conosceva anche Rufy. Sapere che qualcuno poteva condividere quel dolore con lei la faceva sentire meno sola.

«Conosceva anche Rufy?»

«Eheh, in effetti sì, lo conosco molto bene. Non pensavo di trovare la sua famiglia qui e a dirla tutta non credevo nemmeno di trovare queste» disse indicando le due tombe, quella della ciurma e quella di Rufy «anche se un po’ dovevo immaginarlo. Ma visto che non servono e vederle mi fa un po’ impressione…» alzò il braccio, fece un lieve movimento con la mano e parandosi davanti a loro disse «Attenzione, potreste farvi male.» un attimo prima che quello che sembrava un uccello di fuoco si schiantasse contro la tomba di Rufy e quella degli altri, riducendole in cenere.

«Ma che diavolo hai fatto alle loro tombe!?!?» gridò Nami contro l’uomo buttandolo a terra.

«Calma calma, non è colpa mia, si arrabbi con il cecchino laggiù!»

«Cecchino? Quale cecchin-…!» si alzò dal corpo dell’uomo e si voltò lentamente verso il punto che lui aveva indicato. Le venne un groppo in gola e le lacrime le appannarono la vista. Dietro di loro, tutte in linea, c’erano sette persone, di cui sei uomini vestiti in giacca e cravatta e una donna vestita con un abito corto con una grande cintura e una lunga giacca. Tornò a guardare l’uomo che si era avvicinato ai bambini nascosti dietro la tomba di Ace e con la voce rotta dal pianto disse «Ace, piccolo della mamma, lascia il cappello al signore. E tu Bellmer, lasciagli la collana.»

««Perché?»» chiesero i piccoli stringendo i propri tesori.

«Perché lui è…» mormorò ormai in preda ad un enorme pianto di gioia.

L’uomo che ormai di misterioso non aveva più nulla cominciò a slacciarsi il mantello e cominciò a parlare «Visto Ace? Sono tornato! Ho mantenuto la mia parola! Ho realizzato il mio sogno, ti ho vendicato e sono tornato da  Nami! Sei orgoglioso di me, vero, fratellone?» esclamò con gioia. Fece cadere il mantello a terra, rivelandosi per quello che era: un ragazzo in visto, ma adulto nel corpo e nella mente, vestito in giacca e cravatta con un lungo cappotto nero bordato d’oro poggiato sulle spalle. Si voltò verso i bambini, che lo guardavano con occhi sgranati e prese il cappello di paglia dalla testolina del piccolo Ace per poggiarlo sulla sua scompigliata testa mora e sfilò la collana dal collo della piccola Bellmer legandosela al polso.

Tenne un attimo il cappello premuto sul capo per nascondere il proprio volto dal quale si poteva scorgere solo una piccola cicatrice sotto l’occhio sinistro, sulla quale scivolava una lacrima solitaria. Con un rapido gesto di mano la cancellò e sfoggiando un enorme sorriso, il suo enorme sorriso che sempre l’aveva resa felice disse in tono allegro «Visto Nami? Te l’avevo promesso no? Sono tornato! Perdonami, anzi perdonatemi per avervi fatto aspettare tanto!»

«Ca… pi… ta… no… Rufy!!!» urlò Nami riabbracciando dopo tanto tempo il suo amore.

 

 

«Mi dispiace Nami… Non sono riuscito a mantenere la promessa… Però sono riuscito a realizzare il mio desiderio: l’ho trovato Nami, ho trovato One Piece, e questo mi rende di diritto Re dei Pirati! Tu ora sei la regina, perciò ti supplico di proteggere i piccoli principi… Digli che gli voglio un mondo di bene… Raccontagli del suo papà…. e della nostra ciurma… Non ho potuto proteggerli… Scusa… Li ho visti morire tutti, un ad uno, ed ogni loro morte è stata come un enorme macigno sul mio cuore… Ma Teach l’ha pagata… Quel pezzo di merda mi ha addirittura supplicato di lasciarlo in vita dopo tutto… dopo tutto quello che ha fatto… Sono felice che sia finalmente morto… A sofferto come abbiamo sofferto tutti noi… Scusa se ti sembro crudele e spietato… Ehi, Nami, amore mio, saudiresti un mio ultimo desiderio?.... Chiama il piccolo Ace….. E se vuoi la piccola Bellmer…… Mi piacerebbe davvero tanto…. Sappi che vi amo……. Un’ultima cosa, Nami… Io t-……………»

«…io ti amo, ti ho sempre amata e sempre ti amerò. Scusa se sono morto.»

«Deficiente, tu non sei morto, sei qui con me, con noi. Non ti lascerò più andare, mai più, anche a costo di legarti al letto, capitano!»

«Hai suoi ordini, navigatrice!»

 

Nota d’Autrice: et voilà, finito! Sono molto felice e sollevata di essere arrivata alla fine senza intoppi, sperando ovviamente di non aver deluso nessuno. Scusate se non mi dilungherò tanto, ma sto scrivendo questa nota d’autrice dopo una notte passata in bianco quindi è già tanto se riesco a mettere insieme delle frasi di senso compiuto. Voglio però ringraziare immensamente chi ha seguito la storia fino a qui, in particolare Ellie chan e nami92 che mi sopportano e sostengono sin dalla prima storia di One Piece, dicendomi tante di quelle cose magnifiche che è difficile elencarle tutte. Grazie infinite. Bon, sperando che vi sia piaciuta ora vi saluto, alla prossima storia! (Lo so, sono penosa, ma tentate di capirmi, non riesco nemmeno a parlare a momenti!)

ElPsyCongroo

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