Passato, Presente, Futuro di ElPsyCongroo (/viewuser.php?uid=69204)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Ricordi del Passato ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Oscurità del Presente ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Speranze del Futuro ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1: Ricordi del Passato ***
Passato,
Presente, Futuro
Capitolo
1: Ricordi del Passato
«Cosa
stai facendo?»
«Oh
ciao! Niente di che, guardo solo le vecchie cose che si sono
accumulate nel tempo.»
«Davvero?!
Non sapevo che esistesse una stanza del genere, non ci
ero mai venuta! Chissà quante cose ci saranno!»
«Eheh,
sono stato io a darle vita! In realtà è nato
tutto quando
decisi di raccogliere gli avvisi con le taglie che pendevano sulle
nostre
teste, ma allora pensavo di occupare solo una parete. Invece col tempo
ho
cominciato a lasciare contro la stessa parete tutte le cose che sono
state
protagoniste con noi nei nostri viaggi, perché mi dispiaceva
lasciarle
indietro, mi sembrava di fare loro un torto… Così
si è raccolta una montagna di
roba e in previsione di ciò che avrei potuto prendere anche
in futuro ho
chiesto a Franky di costruire questa stanza, così che non
occupassero troppo
spazio. E ora eccomi qui, perso nei ricordi di tutti i momenti passati
insieme.»
«Ce
lo si doveva aspettare da te! Non mi sembri proprio il tipo da
gettare tutto al vento, anche se si tratta di oggetti. E devo ammettere
che mi
piace, è stata davvero una grande idea!»
«Lo
pensi davvero? Beh, sono felice che ti piaccia! Purtroppo
questo “deposito” ha un vuoto di qualche anno,
visto che da quando siamo stati separati
non ci sono più entrato. Stavo per dimenticarmene e credo
che sarebbe successo
se oggi non mi fosse venuto in mente la piccola taglia che mi
è stata assegnata
all’inizio. Grazie a quello ho ricordato questo luogo e ora
mi sto commuovendo
un po’ a rivedere tutto ciò… Chi
avrebbe mai pensato che saremmo arrivati così
lontano, tutto quello che sarebbe successo…» disse
con un velo di tristezza
nella voce e un sorriso malinconico sul viso. Era sempre
così, malgrado il
tempo che era passato.
«Ti
do fastidio se mi unisco a te? Vorrei ripercorre insieme i
tempi andati…»
«Ma
certo, vieni pure! Aspetta che ti aiuto!» si alzò
dal piccolo
buco che era riuscito a crearsi in quel caos
e mi aiutò a scavalcare quel mucchio di roba
che invadeva anche
l’entrata.
«Ihih,
mi sa che non ci starò mai!»
«Su,
non dire così! Adesso sta a guardare, creerò un
posto comodo
comodo tutto per voi…» tornò a sedersi
e attorcigliando le gambe creò un comodo
appoggio per il mio ormai ingombrante corpo. «Forza, siediti!
Ho creato una poltrona
tutta per te!»
«Ok,
però poi non lamentarti se peso!»
«Figurati!
Non lo farei mai-» fece una smorfia di finto dolore,
lamentandosi del mio peso, così per tutta risposta gli tirai
una gomitata nello
stomaco, facendolo soffrire davvero.
«Perché
l’hai fatto?! Io stavo solo scherzando! Sei
cattiva!»
«No,
sei tu stupido! Sai che sono molto irritabile al momento,
quindi tieni i tuoi scherzi per te! E comunque la colpa è
tua se ora peso così
tanto, quindi non lamentarti!»
«Più
che colpa» disse, poggiando una mano sul pancione ormai
parecchio evidente «direi merito. Non credi sia
magnifico?»
Gli
brillavano gli occhi. Chi l’avesse visto quando era appena
partito, o qualche anno prima quando era morta la persona
più importante per
lui, non avrebbe mai pensato che sarebbe stato in grado di arrivare a
tanto, di
diventare padre. Nel primo caso perché lui stesso era ancora
un bambino e come
tale non era abbastanza grande per potersi occupare di un figlio. Nel
secondo
caso invece avrebbero pensato che era troppo triste, che aveva perso
“l’umanità” necessaria per
crescere un bambino. Quanto si sbagliavano. Non
esisteva persona più adulta e felice di lui come in quel
momento.
È
vero, aveva passato momenti terribili, momenti dai quali
anch’io
credevo che non sarebbe mai uscito, ma ora era tutto diverso. Certo,
non
sarebbe più stato quello di una volta, la morte di Ace era
stata troppo per
lui, ma forse proprio grazie all’affetto e al legame che li
univa è riuscito a
crescere ed ad andare avanti.
«Sì,
è davvero magnifico Rufy. Non vedo l’ora che
nasca… Chissà se
è maschio o femmina…»
«Qualunque
sia la risposta di certo sarà bello come la
mamma…»
«…
e forte e coraggioso come il papà!»
«Eheh!
La cosa più importante comunque è che possa avere
una vita
felice e senza pericoli, così da crescere sano e
forte…»
«Che
discorsi da adulto che fai!»
«Io
sono adulto! Dovresti averlo capito ormai… E in ogni caso lo
proteggerei, anzi vi proteggerei, da qualunque pericolo, qualunque cosa
accada…»
«Che
intendi dire?». Non rispose. Era troppo perso nei suoi
pensieri mentre mi, anzi ci, cullava e coccolava dolcemente. Restammo
un po’
così, persi nei nostri pensieri.
«Allora,
che cosa hai trovato?» chiesi a un certo punto, per
cancellare quella strana sensazione che mi stava cogliendo.
«Moltissime
cose! Alcune neanche le ricordavo, altre credevo
fossero andate perse… Guarda questi per esempio! Sono i
vestiti che indossammo
ad Alabasta! Non ti fanno tornare alla mente tanti ricordi? Ormai
è passato
tantissimo tempo, non ci andranno più!»
«Hai
ragione! Guarda che vestiti! Non si meritano nemmeno tale
nome! Andavo in giro proprio come una scostumata! Ma guarda te! Ora
come ora
non potrei più permettermi di andare in giro
così! Anche perché allora ci
sarebbe stato Sanji ad uccidere chiunque mi avesse guardata troppo a
lungo! Tu
invece non facevi una piega… Ma allora non ti
interessavo?» chiesi con voce da
bambina, da finta offesa.
«Non
è che non mi interessassi tu in particolare! Semplicemente
non ero interessato alle ragazze, per me era importante solo avere
tanti amici,
proteggerli e trovare One Piece. Certo, ancora adesso è
così, però tu sei
diventata molto più importante.» Arrossii
violentemente e nascosi il viso nel
petto del mio amato.
«Eh
dai, non dire certe cose! Lo sai che mi metti a disagio!»
«Eheh!
Comunque se ti interessa ora sì che sono geloso, pensare a
tutti quei uomini che hanno provato a toccarti mi fa salire il
disgusto, se
potessi li farei patire le pene dell’inferno. I miei compagni
non si toccano,
in particolare non si tocca la mia sposa.»
«Guarda
che mica siamo ancora sposati! Abbiamo deciso di aspettare
insieme che nasca il bambino no? Fino ad allora sono libera di fare
ciò che
voglio!»
«Non
credo proprio!» disse Rufy e con una lieve spinta mi fece
sdraiare sul cumolo di cose presenti nella stanza e mi
bloccò distendendosi su
di me. «Tu sei mia e di nessun altro, chiaro?»
continuò, facendo pian piano
scivolare la mano sulla mia pelle e dandomi piccoli baci lungo tutto il
corpo,
provocandomi brividi di piacere. «Ru-Rufy! Smettila, ti pare
il luogo e il
momento adatto per fare certe cose? Non stavamo facendo un discorso
serio?»
dissi di fretta, così da potermi cacciare via da quella
situazione il prima
possibile. Non che non mi piacesse, certo, ma non mi pareva proprio il
caso ora
che mancavano pochi mesi alla nascita. Mi sembrava troppo strano.
«Ihih,
ok ok, non lo faccio più» e così
dicendo ci rimettemmo
seduti, come se niente fosse successo.
«D-dicevamo…
Ah sì, comunque anch’io ho il diritto e molti
motivi
per essere gelosa! La principessa Bibi è ancora stracotta di
te, e su questa
nave non sono l’unica a cui piaci. Dunque siamo pari,
possiamo avere tutti gli
spasimanti che vogliamo, l’importante è restare
fedeli l’uno all’altra, giusto?
» non sapevo nemmeno io cosa stavo dicendo. Volevo solo che
Rufy tornasse con
la mente al discorso di prima e che non pensasse troppo a cosa era
appena successo.
Obbiettivo che non andò a buon fine, perché lui
continuava a farmi carezze da
farmi impazzire. Si stava divertendo parecchio a vedermi in
difficoltà.
«Non
ci credo che sei gelosa di loro! Lo sai che sono solo amiche,
che le ho sempre viste come tali, quindi non hai niente da
temere!»
«Idem
per te! Lo sai che gli altri ragazzi sono solo amici per me,
non provo alcun interesse in quel senso per loro. E comunque non credo
che dovremmo
preoccuparci troppo. Ormai hanno abbandonato ogni speranza anche loro
da quando
sono incinta. Certo, Sanji è impazzito quando ha scoperto
tutto e non ci ha
parlato per parecchio tempo, ma credo che sia allora che adesso tutti
siano
molto felici per noi… Lo sarebbe anche
Ace…»
«Hai
ragione… Sarebbe diventato zio… Lo zio migliore
del mondo… Sì
è sempre preoccupato per me, di certo sarebbe stato uno zio
perfetto… Figurarsi
se fosse diventato lui padre… Sarebbe stato il migliore in
assoluto,
decisamente migliore di me… Mi manca, mi manca
tantissimo… Era tutta la mia
famiglia… Certo, anche voi ne fate parte, e
c’è anche mio nonno, ma Ace era
Ace… Era tutto per me… Avrei tanto voluto che
fosse qui ora… Ed è solo colpa
mia se lui non c’è più, se il bambino
non potrà mai conoscere la persona che ha
reso suo padre quello che è… Non potrò
insegnarli come lui ha fatto con me…
Come potrò essere un buon padre se non sono stato in grado
di proteggere
nemmeno mio fratello?» I suoi occhi si levarono di tristezza
e una piccola
lacrima scivolò sulla sua guancia. Sembrò di
essere tornati indietro nel tempo,
a quel giorno in qui il capitano risvegliatosi da un lungo sogno dove
diceva di
aver parlato con il fratello aveva finalmente pianto e in compenso
ripreso a
sorridere. Gli diedi un lieve bacio sulle labbra, per portare via
quella
tristezza. Adoravo poterlo fare. Allora non avrei mai osato: mi ero
limitata ad
un abbraccio, sperando che lui intuisse i miei veri sentimenti.
«Non
piangere Rufy. Lo sai che ormai è passato. Tu sarai un padre
perfetto, ed è vero, Ace è morto e purtroppo non
potrai vederlo mai più, ma ci
siamo noi accanto a te ed anche lui ti osserva in ogni momento. Lo so
che è insostituibile,
ma puoi accettarci come tua nuova famiglia? Puoi volerci bene come ne
vuoi a
lui?»
«Hai
ragione, come potrei mai vivere senza di voi? Sarebbe
impossibile, siete il mio sostegno, la mia casa, la mia famiglia. Mi
dispiace
averti fatto preoccupare, lo so che non devo piangere, ma a volte
è davvero
difficile, pur essendo passati tanti anni… Ma ora basta,
stavamo parlando
d’altro, anche se il mio obbiettivo principale era legato
proprio ad Ace.»
«Che
intendi?»
«Fra
qualche giorno è l’anniversario della sua morte e
voglio
andare a trovarlo in grande stile. Guarda, avevo pensato di indossare
questi!»
gridò con un gran sorriso, cancellando tutta la tristezza
che lo aveva
assalito. Tra le mani reggeva alcuni abiti. Li riconobbi subito: erano
i
vestiti che avevano indossato lui e la ciurma
quando ci trovavamo sull’isola di Merveille,
l’isola di
Shiki il leone dorato. Era proprio con quegli abiti che la ciurma di
cappello
di paglia si era presentata davanti al pirata, per riportarmi a casa
dopo il
mio ennesimo tradimento. Quel periodo era rimasto impresso nella mia
mente,
perché allora avevo creduto veramente di morire, avevo
pianto disperata
all’idea di non rivederli più, di non rivederlo
più.
«Non
credevo ci fossero anche loro…»
«Te
l’ho detto, io tengo qualunque cosa per non dimenticare
niente, e grazie a loro posso ricordare il giorno in cui ho cominciato
a capire
veramente cosa provavo per te. Ovviamente non è stato un bel
momento per te, ma
sono comunque ricordi preziosi…».
La
mia mente tornò rapidamente a quel periodo. Shiki mi aveva
rapita a causa delle mie abilità come navigatrice e quando
ero riuscita
finalmente a liberarmi e a rivedermi prima con Rufy (che gioia
rivederlo, mi
era corso incontro con il suo enorme sorriso e con qualche enorme
mostro alle
spalle, tipico di lui) e poi con tutti gli altri Shiki era tornato a
prendermi…
Fu orribile vedere tutti loro, tutti i miei amici sconfitti da quel
mostro come
se niente fosse. Avevo pregato con tutta me stessa che mi salvassero e
per
fortuna fu così. Non ne avrei nemmeno dovuto dubitare, era
ovvio che non mi
lasciassero al mio destino.
«Certo
che ero stato davvero stupido a non capire le sue
intenzioni. Zoro aveva capito tutto, aveva intuito che qualcosa non
andava già
dal primo momento in cui ha visto Shiki, ma nonostante ciò
io non avevo capito
niente! Sono stato un debole, per l’ennesima volta ti ho
fatta soffrire… Sei
stata costretta a chinarti davanti a quel lurido verme,
chissà cosa ti ha
fatto, solo a pensarci mi viene una rabbia enorme… Sono
stato debole, non ti ho
protetta e tu hai dovuto sopportare le pretese di Shiki e sei quasi
morta
tentando di disobbedirgli… Quando ho pensato a te morta ho
sofferto tantissimo,
forse come quando è morto Ace… Ti chiedo ancora
scusa, Nami, amore mio.»
«Sono
stata io la stupida, sapevo che non avrebbe mai fatto ciò
che gli chiedevo… Ma in quel momento la paura è
stata più forte e mi ha resa
cieca…» Guardai ancora una volta gli abiti
rovinati dal tempo. C’era anche il
mio, quello che mi aveva donato Shiki. Mi piaceva, almeno in fatto di
estetica
se ne intendeva. Però ci fu una cosa che saltò
immediatamente hai miei occhi.
Lo raccolsi e lo guardai attentamente: era il Tone Diale di Shiki,
quello che
avevo usato per lasciare loro il mio ultimo messaggio. Spinsi il
bottone così
che la mia voce da ragazzina risuono per l’intera stanza.
“Perdonatemi
tutti… sono andata via senza parlarvi. Ho deciso di entrare
come navigatrice
nella ciurma di Shiki. Anche se Rufy e voialtri affrontaste Shiki, non
potrete
mai sconfiggere un pirata leggendario! Tutti coloro che verranno a
salvarmi…
Potrebbero perdere la loro vita. Ecco perché vi sto
chiedendo………. di venire
assolutamente……… a
salvarmi!”
Ecco
cosa diceva il mio messaggio, delle parole supplichevoli che
invocavano aiuto.
«Eheh,
quando l’ho sentito la prima volta ho provato solo rabbia,
e non verso te ovviamente, ma verso Shiki. Certo, anche la tua scarsa
fiducia
un po’ mi fece arrabbiare… Ma ammetto che quella
è colpa mia, avrei dovuto
ascoltare tutto, forse avrei capito meglio i tuoi sentimenti.
Però ancora non
mi hai detto perché non volevi farmi ascoltare!»
«Perché
mi vergognavo! Ero stata una stupida, una debole, e non
volevo che mi sentissi così. Comunque anche tu mi devi
spiegare una cosa:
avresti potuto benissimo allungarti per non farmelo prendere e
ascoltarlo senza
problemi, perché allora fingevi di essere in
difficoltà?»
«Ovvio,
perché mi divertivo tantissimo a giocare con te! Averti
così vicina, tutta per me, era strano e mi fece molto
piacere, anche se ancora
non capivo il motivo.»
«Allora
anche tu eri un pervertito!»
«Ehi,
non è vero! Certe cose ancora non passavano minimamente per
la mia testa!»
«Sì
sì, come no, tutti uguali voi uomini!»
«Eddaiiii,
lo sai che non è vero! Ti supplico, non
arrabbiarti!»
«Ahahahahah!
Certo che sei proprio un bambino a volte! Scherzavo,
non potrei mai arrabbiarmi con te per una cosa simile, sta’
tranquillo!»
«Ehiiiiiiiii!!!
Nami! Rufy! Siamo arrivati! Sbrigatevi a finire
qualunque cosa voi stiate facendo e muovetevi a scendere dalla
nave!»
«Certo
che Zoro non sa proprio regolarsi. Appena lo vedo lo meno.
Forza, andiamo, prima che gli vengano strane idee.»
«Ok
Nami! Mi aiuteresti solo a portare su i vestiti? Dobbiamo
portarli a sistemare, sono davvero rovinati, in particolare il
tuo.»
«Beh,
era troppo lungo, per combattere serve qualcosa di più corto
e comodo. Comunque non ti aiuto, sono una donna in dolce attesa, non
devo
lavorare, sarebbe un rischio per il bambino!»
«Lamentosa!
Sfrutti soltanto il bene che ti voglio per far fare
tutto a me! Sfruttatrice!» disse Rufy dandomi un bacio e
scappando fuori dalla
stanza per paura di una punizione. Mi avvicinai alla porta per
raggiungerlo
quando notai un luccichio: mi piegai per vedere di cosa si trattasse.
Mi venne
un nodo in gola e i miei occhi si levarono di lacrime.
«Hai
sentito tutto vero? Cosa ne pensi? È cresciuto davvero tanto
ed è merito tuo. Grazie.»
«Namiiiiii!
Forza vieni! Ho fame e Ace ci aspetta! Dobbiamo
portare tutto a sistemare prima dell’anniversario, altrimenti
con che faccia mi
presento davanti a lui? Muovitiiiiii!»
«Arrivo!
Ihih,
scherzavo, mi sa che ha ancora molto da imparare. Stagli sempre
accanto, ho il
presentimento che io non potrò sempre esserci.»
Misi il piccolo tesoro che
avevo trovato in tasca e uscii chiudendomi la porta alle spalle,
facendo
ripiombare nel buio la stanza lasciando il Tone Diale nel punto in cui
eravamo
io e Rufy, come a prendere il nostro posto a vegliare quel luogo pieno
di
ricordi del passato.
Nota
d’Autrice:
buongiorno a tutti! Questo è il primo capitolo di una storia
che inizialmente
doveva avere un capitolo, poi due ed infine tre :)
(si, sono un’eterna indecisa, chiedo perdono!). Comunque,
dicevo,
la storia ha appunto tre capitolo che posterò una volta a
settimana, sempre di
domenica ovviamente. È la prima storia a più
capitoli che scrivo, e ci ho messo
un’eternità, perciò spero di non aver
fatto casini :).
Come già detto potete considerarla come un seguito di Perdonami... e grazie per
tutto..., ma va bene
anche se non l’avete letta come avete visto. Per quanto
riguarda il riferimento
a ciò che è successo a Merveille mi sono
ovviamente ispirata al 10° film, Strong
World, ma se non sbaglio c’è anche un capitolo
special che parla di lui, quindi
più o meno spero che la maggior parte sappia da chi parlo, ma comunque non
è rilevante lui ai fini della
storia, ma i vestiti, che potete ammirare qui: http://www.zerochan.net/807368#full
(ovviamente né immagine né sito sono miei). Bene,
mi rendo conto di non avervi
detto praticamente niente, ma sarò più esauriente
la prossima volta, e come al
solito risponderò ad eventuali domande in eventuali (e
sperate) recensioni.
Alla prossima domenica
ElPsyCongroo
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Capitolo 2 *** Capitolo 2: Oscurità del Presente ***
Capitolo
2: Oscurità del Presente
«Ehi
Nami, è da mezz’ora che ti chiamo, mi ascolti? La
sarta dice
che è il tuo turno per provare il vestito, muoviti
altrimenti non farà in tempo
a sistemarli per l’anniversario di Ace! Ma cosa stai
guardando?»
«Oh
Rufy, niente niente, scusa, ero un po’ distratta. Ora vado,
scusa se vi faccio sempre aspettare, non voglio essere di
peso…»
«Ma
che- ehi Nami, aspettata un momento! Ma che le prende?».
Era
da qualche giorno ormai che si comportava così. Era
distratta,
sempre pensierosa e si scusava per tutto ciò che faceva.
Avevo l’impressione
che mi stesse nascondendo qualcosa, a partire da quel piccolo oggetto
che
guardava ogni giorno. Ancora non ero riuscito a capire cosa fosse e
perché non
volesse mostrarmelo.
Inoltre,
e questo era il problema che più mi preoccupava, da
quando eravamo arrivati sull’isola non faceva altro che
lamentarsi per i dolori
continui che il bambino le procurava. Anche Chopper era preoccupato:
mancavano
ancora due mesi alla data prevista per nascita del bambino, quindi i
sintomi di
Nami non erano normali. Comunque mi aveva rassicurato, dicendomi che un
po’ di
riposo le sarebbe bastato. Speravo davvero che sarebbe stato
sufficiente.
«Che succede
capitano? La
tua dama non ti ascolta più, siete già in
crisi?»
«Evita
Zoro, sono già abbastanza in ansia di mio, se mi fai
pensare a certe cose peggiori la situazione…»
«Scusa,
non volevo… Ma sul serio, che succede? Vedo che Nami
ultimamente si comporta stranamente, avete per caso litigato? O le hai
già
detto tutto?»
«Assolutamente
no! Più tardi glielo dico meglio è. Non capisco
cosa le prenda: è da quando abbiamo parlato nella stanza dei
ricordi che si
comporta così… Non riesco proprio a
capire…»
«Non
è che per caso ti è sfuggito qualcosa? Magari hai
detto o
fatto qualcosa che l’ha fatta arrabbiare o che le ha fatto
capire le nostre
intenzioni…»
«No,
almeno per quanto ricordo…»
«Noi
donne capiamo molte cose anche se non ci viene detto niente,
in particolare se si tratta dell’uomo che amiamo.»
Era stata Robin a parlare.
Doveva aver sentito il nostro discorso, ed essendo l’unica
altra donna della
ciurma e la “sorellona” della mia Nami si era
sentita in dovere di intervenire.
«Che
intendi?»
«Intendo
dire che Nami è abbastanza intelligente ed innamorata da
capire immediatamente cosa ti passa per la testa. Forse non
avrà capito
esattamente cosa abbiamo deciso, ma di certo ha intuito che qualcosa
cambierà,
e ciò la rende nervosa e stressata. Credo che stia tentando
di capire cosa
succede intorno a lei, ma ciò peggiora solo la situazione,
non fa bene né a lei
né al bambino essere così in ansia. Dovresti
trovare il modo di farla rilassare
il più possibile prima che le vengano strane idee in mente.
Secondo me dovresti
già parlarle così da lasciarle il tempo per
capire la situazione e riprendersi
prima della partenza.»
«Robin
ha ragione. Nami capirà che è per il suo bene,
non se la
prenderà. Non capisco perché ti ostini tanto a
tenerle tutto nascosto. Sai che
più fai passare il tempo, più lei si
arrabbierà e si opporrà alla decisione.
Parlale subito e vedrai che-»
«Credete
davvero che non ci abbia già pensato?! Ogni giorno quando
la vedo ho l’istinto di dirle tutto, ma so che non posso
dirle ancora niente!
La conosco meglio di chiunque altro, e se le dicessi già
adesso che abbiamo intenzione
di abbandonarla sull’isola e di andarcene perché
aspetta un bambino non me lo
perdonerebbe mai! Sono sicuro che non mi rivolgerebbe più la
parola fino al
giorno della partenza e io non voglio! Sarà da egoisti ma
voglio godermi questi
ultimi giorni che ci restano da passare insieme al massimo, non posso
dirle
cosa ho deciso di fare! Con che faccia mi potrei presentare davanti a
lei ogni
giorno? Voglio renderla felice fino all’ultimo momento che
passeremo assieme…
Non so se e quando torneremo,
quindi
non posso permettermi di renderla triste prima del
tempo…»
«Capitano…»
«Scusate
se me la prendo con voi… È solo che ultimamente
sono
preoccupato per lei: continua a star male e io non posso fare niente
per
aiutarla… Vorrei starle accanto fino a quando non
nascerà il bambino, ma so che
se aspettassi fino ad allora non sarei più in grado di
lasciarli… Non sono mai
stato così in ansia e agitato come in questo
momento…»
«Ascolta
capitano, non devi abbatterti. Nami è una ragazza forte e
per nulla al mondo permetterà che succeda qualcosa a se
stessa e al bambino.
Ora come ora abbiamo altre cose a cui pensare, non puoi stare sotto
pressione
per qualunque cosa accada. Nami sa badare a se stessa, ormai dovresti
averlo
capito.»
«Ascolta
la nostra Robin, che di donne ne sa più di tutti noi
messi insieme. Stai diventando troppo protettivo nei confronti di Nami.
Se lei
sapesse che ti preoccupi così tanto di certo non ti
parlerebbe per un bel po’;
ringrazia che ultimamente è persa nei suoi pensieri e non si
accorge nemmeno di
cose le sta attorno. Ormai, come hai detto tu stesso, la conosci meglio
di
chiunque altro, quindi non dovremmo essere noi a dirti di non
preoccuparti
troppo per lei. Ha superato difficoltà ben peggiori, di
certo non si farà
fermare da qualche dolore pré-maman! E il marmocchio che
porta con se ha il tuo
sangue nelle vene, quindi non può essere altro che una
bestia di moccioso!»
«Certo
che non sai proprio regolarti con le gentilezze eh, Zoro?
Se Nami ti sentisse chiamare nostro figlio marmocchio o moccioso o
peggio
ancora bestia non la passeresti liscia, incinta o meno che sia!
Però grazie, ad
entrambi, come farei senza di voi?»
«Dovere
capitano! Ci hai concesso il grande onore di poter essere
padrino e madrina di quel bambino e per questo ti saremo eternamente
grati e ti
saremo sempre accanto. Quindi piantala di frignare, o vuoi che quando
torniamo
dica a tua figlio che suo padre, il grande Re dei Pirati, era un
frignone?»
«Assolutamente
no! Tanto non crederebbe comunque a ciò che gli
dici con la faccia che ti ritrovi! E comunque non sono ancora Re dei
Pirati,
quindi aspetta a dirlo. Non dico che non lo diventerò,
però aspettiamo che il
titolo passi ufficialmente a me, poi ne riparliamo. Ho intenzione di
presentarmi in grande stile davanti al mio bambino, quindi vi prometto
che non
piangerò più come uno stupido.»
«Bravo
capitano, vedi che così starete meglio entrambi. Ora vado a
vedere come vanno le prove dell’abito, di certo Nami
starà impazzendo a vedere
come il vestito indossato a Merveille non le entra più,
continua a lamentarsi
di essere diventata una balena, poverina!»
«Io
invece vado a farmi una dormita, queste prove mi hanno
stancato. Certo che ne hai di idee strane: vestire così
dall’anniversario della
morte di tuo fratello fino al giorno in cui torneremo da Nami! Lo sai
che sei
proprio pazzo? Tanto che te lo dico a fare, se ho deciso di seguirti di
certo
non sono messo meglio di te. A dopo capitano, e prendetevi una pausa,
vi farà
bene! Magari andate a farvi una gita, un pic-nic, che ne so, basta che
la
smettete di fare quella faccia ogni giorno!»
«Eheh,
ma almeno saremo la ciurma più elegante del mondo!»
«Certo
capitano, hai suoi ordini!» e con un’ultima risata
sparì.
Certo
che doveva essere difficile per loro darmi consigli sulla
nostra vita sentimentale. In fondo ormai avevo capito anch’io
che Zoro era
innamorato di Nami da molto più tempo rispetto a me e che
Robin lo era di me.
Ammetto di averci messo parecchio tempo per capirlo; avevo compreso la
situazione solo quando il mio sentimento per Nami era ormai evidente,
quando
cominciammo a dimostrare apertamente ciò che provavamo
l’uno per l’altra. Forse
perché finalmente ero riuscito ad aprire gli occhi e a
capire che ormai Nami
non era più solo un’amica. Ero rimasto parecchio
colpito dalla scoperta: Zoro
innamorato di qualcuno mi sembrava troppo strano, l’avevo
sempre visto come il
tipico amico dal cuore freddo, mentre Robin era semplicemente molto
più grande
di me. Anche se non l’hanno mai ammesso so che per loro deve
essere stato
davvero molto difficile vedere me e Nami insieme visto ciò
che provavano per
noi. Per questo li apprezzo moltissimo e ho deciso di rendere mio
figlio loro
figlioccio, per renderli più presenti nella sua vita come
secondi genitori. Può
sembrare egoistico, o un gesto poco “delicato” nei
loro confronti, ma so per
certo che loro sono felici del ruolo che gli ho affidato,
perché hanno
accettato la mia relazione senza opporsi in nessun modo ed essendo
felici per
noi.
«Ahhh,
finalmente la tortura è finita! Un altro minuto e
l’avrei
strozzata a quella sarta! Continuava a pungermi con quei dannati
spilli, meno
male che ormai i vestiti sono pronti e non devo più subire
una tortura simile!»
«Per
fortuna anche per la sarta, cominciava ad essere davvero
terrorizzata dalle tue minacce!»
«Eddai
Robin, se lo meritava! Mi chiedo perché ci siamo dovuti
affidare a ‘sta tipa! Non c’era qualcuno migliore
di lei? Eh, capitano? Sono proprio
curiosa di capire
perché hai permesso tutto questo! Sappi che la navigatrice
qui presente si
ritiene molto offesa!» mi gridò mentre Robin
usciva per lasciarci un po’ soli.
Quanto
era buffa quando faceva così, sembrava una bambina! Quando
fingeva di essere arrabbiata cominciava a chiamarmi capitano e a
chiamarsi
navigatrice, come se fossimo solo questo e niente più,
esattamente come una
bambina che dice all’amichetto che non sono più
amici e che non giocheranno più
insieme. Molto buffa.
«Cara
la mia navigatrice, devi sapere che questa sarta è la
migliore che ho trovato e che mi ha garantito un lavoro perfetto e
rapido in
modo da essere pronti per domani. Dobbiamo ritenerci fortunati ad
essere
riusciti a trovare qualcuno disposto a fare un lavoro così
grande in soli tre
giorni, in più siamo vicini all’isola dove
c’è la tomba di Ace, quindi spero
che mi perdonerai. Non potevamo proprio rinunciare a lei, mi
perdoni?» le dissi
facendola sedere sulle mie gambe abbracciandola dolcemente.
«Mica
sono tanti nove vestiti, anzi otto considerando che Brook di
certo non cambia forma. Comunque per questa volta sì, ma
solo perché c’è di
mezzo Ace! Ci tengo ad essere presentabile a mio cognato, quindi se la
passi
liscia è solo grazie a lui!» Ovvio, secondo lei
era poco perché non sapeva che
li stavo facendo riprodurre in serie a causa della mia idea malata.
Avevo
chiesto almeno tre copie per ogni abito, perché prevedevo
che non saremmo stati
tanto fortunati da fermarci spesso.
«Grazie
Ace! È merito tuo se ho evitato la rabbia furiosa della
mia navigatrice! Ti devo la vita! È solo merito tuo se sono
ancora qui!»
«Deficiente!
Guarda che mi arrabbio sul serio se non la pianti!»
«Stavo
scherzando amore! Non preoccuparti, ok?»
«Va
bene, però non parlare più così, mi
fai preoccupare…»
«Scusa
scusa, dai, per farmi perdonare ti porto a cena, solo io e
te, ok? Pensavo a un pic-nic sotto le stelle, potrei chiedere a Sanji
di
prepararci qualcosa e agli altri di preparare un posto solo per noi
dove non
verremo disturbati, che ne dici?»
«Sììììì,
una cenetta! Grazie amore! Forza, muoviti, è già
tardi!»
e dopo esserci scambiati un dolce bacio scattò in piedi
prendendomi per mano
per portarmi fuori, dove erano tutti ad aspettarci. Sorrisi mentre Nami
raccontava tutta felice la mia idea alla sorellona e intanto pensai a
come
rendere al meglio l’ultima sera che potevo passare con la mia
amata.
***
«Capitanooooo!!!
Namiiiii!!! È tardi, dobbiamo andare! Siamo tutti
pronti, tranne voi! Capisco che avete passato tutta la notte fuori a
fare Dio
solo sa cosa, ma è ora di alzarsi, in piedi! Ho caldo con
‘sti vestiti, quindi
muovetevi, ho bisogno di andare sulla nostra nave bella fresca e non ho
di
certo intenzione di aspettare voi! O vi muovete o me ne vado sulla
Sunny,
piccioncini smielati!»
«E
piantala deficiente!» gridò Nami sfondando la
porta della
nostra stanza con un calcio, colpendo in pieno chi l’aveva
disturbata. «A
differenza tua noi siamo già pronti da un pezzo! Pensavi
davvero di esserti
svegliato prima di noi?! Che credi, ormai in tutti questi anni ho
capito che
sei irrecuperabile! Non sei cambiato né dopo i due famosi
anni, né dopo questi
ultimi tre da allora, perciò abbassa la cresta,
perché di certo non sei
cambiato nel giro di una notte, chiaro?!»
Zoro
aveva scelto proprio il momento sbagliato per far arrabbiare
Nami. Dopo la nostra cenetta avevamo passeggiato tutta la notte sulla
spiaggia
parlando di tutto e di più, e quando eravamo tornati alla
locanda dove
alloggiavamo non era riuscita a dormire per niente, diceva che qualcosa
la
preoccupava, che aveva un brutto presentimento, e quindi aveva tenuto
sveglio
anche me, passando così la notte in bianco a parlare e a
prepararci per andare
da Ace. In compenso eravamo davvero sistemati al meglio: avevamo avuto
tutta la
notte per sistemarci, quindi facevamo davvero una splendida figura,
tanto che
restarono tutti ammutoliti quando ci videro l’uno accanto
all’altra, dopo che
mi ero avvicinato a Nami per farla calmare con un bacio ed aver
risistemato la
porta.
«Pazza
furiosa di una navigatrice! Che diavolo credi di fa…
re…»
anche Zoro era rimasto schoccato.
«Che
vi prende a tutti? Cos’è questo
silenzio?»
«Nami,
Rufy… Siete davvero magnifici…»
«Robin ha ragione! La
nostra Nami-chan non è mai stata così
bella!» «Ohh, sono così commosso! Siete
perfetti insieme!» «Fate davvero un figurane amici
miei! Certo, mai come il
sottoscritto, ma siete i migliori dopo di me!» «Il
nasone qui ha ragione! Certo
che il nostro capitano sì è scelto la dama
migliore fra tutti noi!» «Yoh oh oh!
Non ci sono parole per descriveeerviii! Vi dovrei dedicare una
caaanzoooneee!»
«D-davvero?
G-grazie ragazzi… Però ora basta, mi fate
arrossire, e
poi eravamo in ritardo no? A-andiamo!»
Era,
anzi eravamo davvero una bella coppia;
in giacca e cravatta con una lunga giacca
nera bordata d’oro io, in abito lungo al polpaccio con
scialle rosa e con i
lunghi capelli acconciati in un semplice chignon con qualche ciocca
lasciata
libera lei. Davvero belli. Non che gli altri fossero da meno: tutti,
eccetto
Robin ovviamente, che portava un abito corto con una grande cintura e
una lunga
giacca, erano in giacca e cravatta.
Tutti
gli abitanti dell’isola ci guardavano ammaliati, non ci
staccavano gli occhi di dosso, mentre andavamo verso la Sunny per
raggiungere
l’isola di Ace.
Arrivammo
alla piccola isola nel giro di pochi minuti e dopo aver
percorso un breve sentiero in mezzo al bosco che si apriva sulla salita
che
portava in cima ad una scogliera raggiungemmo la tomba di Ace ed una
dolce
malinconia mi avvolse. Gli altri si fermarono un po’
più indietro, per
concedermi qualche minuto da solo con mio fratello. «Ciao
Ace, come stai? Visto
come ci siamo fatti belli per te? Mi trovi strano vestito
così? In effetti ho
sempre odiato certi abiti, ma ho pensato che per realizzare il mio
sogno dovevo
essere il più figo possibile, quindi eccomi qui.».
Restai qualche minuto in
silenzio, come ad aspettare una risposta da quella fredda pietra.
«Sai, sono un
po’ spaventato. Ho paura di lasciare Nami e il bambino soli,
di affrontare
questo ultimo viaggio senza di voi… Ho sempre sognato il
giorno in cui sarei
diventato Re dei Pirati, ed ora che sono così vicino ho
paura a pensare cosa
potrebbe accadere… So che Barbanera è li fuori
che mi aspetta, ma non ho
intenzione di tirarmi indietro, perché ti ho promesso di
realizzare il mio
sogno e di vendicarti, perciò ti prego, proteggi Nami e
nostro figlio, fa che
possano essere una famiglia felice anche senza di me, perché
non so se e quando
tornerò, quindi veglia su di loro, ok?» presi un
fiore da sopra la sua tomba e
allungai il pugno verso di essa con un sorriso, come ad aspettare che
Ace
apparisse davanti hai miei occhi e scontrasse il suo con il mio. Feci
un ultimo
inchino e mi allontanai, permettendo agli altri di salutare Ace. Man
mano che
salutavano Ace facevano un piccolo cenno a Nami, o semplicemente la
fissavano,
poi andavano in direzione della Sunny.
«Ehi
capitano, è ora di andare, nel frattempo raggiungo gli
altri,
tu e Nami parlate ok? Salutala da parte nostra e dille che ci dispiace
andarcene senza salutarla come si deve.»
«Non
preoccuparti Zoro, so già cosa dirle, stanotte non ho fatto
altro che pensare a questo. Andate tranquilli.» dissi
stringendo tra le mie
mani quelle di una Nami che mi fissava con occhi confusi e un
po’ preoccupati.
«A
dopo Nami, noi andiamo, vedi di non uccidere il capitano in
nostra assenza ok? Altrimenti senza di lui dove potremmo andare? Ci si
vede!»
gridò Zoro rivolto a Nami mentre si allontanava di corsa.
«Faresti
meglio a nasconderti Zoro, oggi è la volta buona che te
le prendi-!» non riuscì a terminare la frase che
si piegò in due dal dolore.
«Ehi Nami, che ti prende!? I soliti dolori!?»
«N-no,
questo è peggio! Ah! Ma che diavolo..?! Rufy! Il bambino
sta-! Aaaaahh!!! Fa male Rufy, fa male!» e subito dopo fu
colta da una violenta
tosse che le fece vomitare sangue. Con gli occhi pieni di terrore Nami
mi
guardò disperata, prima di ricominciare ad urlare. Chopper
ci raggiunse
immediatamente dopo aver sentito le urla mentre gli altri ci fissavano
da
lontano.
«Chopper,
Chopper, che succede?! Perché
Nami soffre così?! Rispondi!»
«I-il
bambino sta nascendo Rufy! Però è troppo presto
ancora, per
questo sta così male! Avrei dovuto capirlo prima! Devo
intervenire immedia-»
uno scoppio gli impedì di terminare la frase.
«N-non
è possibile, non è possibile! Non adesso, non
adesso! Che
cosa ci fa qui Teach!?!?!» ormai ero fuori di me. In mare, in
lontananza, potevo
scorgere la nave di Teach, diretta a tutta velocità verso
l’isola mentre si
preparava a fare nuovamente fuoco.
«Capitano,
abbiamo avvistato la nave di- Ma che sta succedendo a
Nami?!? Rufy, rispondi!»
«Sta
partorendo idiota! Non lo capisci?!?» Un altro colpo di
cannone ci impedì di parlare.
«Aiutami
Zoro, dobbiamo portarla lontano da qui! È troppo
pericoloso!» «AAAHH! Rufy, Rufy! Fa male, ti prego
Rufy, aiutami, fa male! AAAHH!!!!!!!»
iniziò a perdere sangue e a vomitarne altro, non riuscendo
quasi a respirare. «Rilassati
Nami, adesso ti portiamo al sicuro e ci penso io a te e al bambino!
Zoro, Rufy,
non state lì a discutere, aiutatemi!» Un altro
scoppio. Teach continuava a
bombardare l’isola. Le fiamme stavano distruggendo tutto, la
scogliera veniva
inesorabilmente mangiata dalle fiamme, anche la tomba di Ace ne era
ormai
avvolta.
«Maledizione,
dove la portiamo? Qui non c’è nessuno!»
«Ragiona
Rufy! Mentre gli altri si occupano di tenere a bada Teach
sulla nave io e te raggiungiamo l’isola abitata dove siamo
stati fino ad adesso
con i tuoi poteri, tanto non è troppo lontana, non dovresti
avere difficoltà a
raggiungerla e a portare anche noi, giusto!? Una volta lì
porteremo Nami in un
luogo sicuro dove la potranno assistere dopo che il bambino
sarà nato, in
seguito ce ne andremo, chiaro?» «C-chiaro! Zoro, tu
raggiungi gli altri!» «Ok
capitano, occupati di Nami e raggiungici in fretta, intesi?»
«Andare dove?!?
Non vorrete lasciarmi indietro! NO, lo sapevo! Ti supplico, non
lasciarmi Rufy,
non sarò un pes- AAAAAAHHH!!!!!!» per quanto le
venisse difficile respirare
continuava a gridare e ad agitarsi con le poche forze che aveva.
«Andiamo
Rufy!» «Scusa
Nami, scusa Nami, scusa Nami! Non doveva andare così, non
così, NON COSÌ!!!»
Ero disperato, arrabbiato, in preda alle lacrime. Nami stava
partorendo, io
dovevo lasciarla, Teach ci stava attaccando, ed io non ero pronto a
niente.
«Siamo
arrivati- No, non anche qui!» In qualche modo Teach aveva
colpito anche quell’isola. Le grida di Nami si mescolavano a
quelle degli
abitanti, che correvano in preda al panico tentando di spegnere gli
incendi.
«Portiamola
dal medico! Li sapranno come occuparsi di Nami,
muoviti Rufy, se stai fermo non risolverai niente!»
«Maledizione, maledizione,
MALEDIZIONEEEEE!!!! Teach, sei un uomo morto!» Mi affrettai
il più possibile e
quando giungemmo dal medico dell’isola ormai Nami era allo
stremo delle forze.
«Ora respira con calma Nami, so che è difficile,
ma è per il bene del bambino!
Forza, resisti solo un altro po’! Mi serve aiuto,
veloce!» Chopper fu
attorniato da molte donne che iniziarono a dire a Nami cosa fare
tentando di
tranquillizzarla inutilmente. «Ti supplico, non lasciarmi,
non lasciarmi!
Dobbiamo crescere il bambino insieme, non puoi lasciarmi adesso, ti
supplico,
ti supplico! AAAHHH!!!» ero riuscito ad afferrare la sua mano
piena del suo
stesso sangue e lei ad ogni urlo me la stringeva convulsamente.
«Perdonami
Nami, perdonami! Te lo dovevo dire prima! Non vorrei
lasciarvi per nulla al mondo, ma con noi sareste solo in pericolo!
Teach ha già
cominciato ad attacarci, non posso rischiare che vi succeda qualcosa,
perdonami, perdonami!» «…non andare, non
andare…» «..perdonami,
perdonami…»
«AAAHH!!!» «Brava Nami, un ultimo sforzo!
Ci sei quasi!» «Ti amo Nami, ti amo
più della mia stessa vita! Ti prometto che
tornerò, non starò via per sempre,
aspettatemi, vi supplico!»
«AAAAAAAAAHH!!!» «Bava Nami! È
nat-» «AAAAAAHH!!!»
«N-non è possibile! Sono-!» un altro
scoppio nella vicinanze mi impedì di
sentire il resto della frase. Ci fu un attimo di silenzio, dove riuscii
a
sentire solo il pianto di un bambino, anzi no, non uno, prima che un
altro
scoppio risuonò per tutta l’isola.
«Nami…»
«Rufy…» ancora scoppi. Se non mi
affrettavo a fermare
Teach ne sarebbe andata della vita di tutti.
«Scusa
amore, scusa, devo andare, perdonami… Tornerò,
stanne
certa! Sarà come se non me ne fossi mai andato,
perciò aspettatemi… Ci
rivedremo piccola mia, non ti abbandonerò…
Custodisci questo per me, quando
torno lo rivoglio, ok?» Lasciai il mio cappello sul suo petto
e con grande
fatica divisi le nostre mani, ritrovando nella mia il piccolo tesoro
che
custodiva tanto gelosamente dal giorno nella stanza dei ricordi: la
perla della
collana di Ace che avevo stretto in mano il giorno della sua morte. La
strinsi
un attimo e poi la rimisi in mano a Nami, pregando Ace di proteggere la
mia
nuova famiglia. Diedi un ultimo bacio alla mia amata e uscii senza
più
voltarmi. Piangevo come mai prima, più del giorno in cui Ace
mi aveva lasciato.
«Andiamo
Chopper, dobbiamo raggiungere gli altri.»
«NO!
NO NO NO NO!!!! TI SUPPLICO! TI SUPPLICO! NON ANDARE, NON
LASCIARMI! NON VOGLIO, TI SUPPLICO!» era disperata, si
dimenava anche se
continuava a perdere sangue ed era un miracolo se fosse ancora viva o
ancora
cosciente. I medici tentavano di tenerla ferma al letto e di sedarla
per farla
calmare, cosa quasi impossibile data la sua ostinazione. Guardando la
mia
famiglia da lontano e il mio cappello rotolato a terra smisi di
piangere e
sistemai il piccolo fiore che ancora stringevo in mano alla giacca. Mi
avviai
verso la nave, con il solo pensiero di fare strage di Teach e i suoi,
che
avevano osato rovinare tutto, TUTTO. Ormai non avevo altro in mente,
solo
distruggerlo. Andai in mezzo alla strada e tutto d’un fiato
gridai al cielo «NAMIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!»
mentre un urlo straziante mi raggiunse
«RUFYYYYYYYYYYYYYYY!!!!!!»
prima che un’altra esplosione mi avvolse e mi divise
definitivamente dalla mia
amata e dai due bambini che, con occhi pieni di vita, videro per la
prima e
ultima volta loro padre.
Nota
d’Autrice: secondo capitolo pubblicato! Spero di non aver
deluso nessuno e di avervi messo un po’ di
curiosità per leggere il prossimo ed
ultimo capitolo che arriverà, come questo, tra una
settimana. Un’ altra cosa
che spero ovviamente è di essere riuscita ad esprimere al
meglio ciò che
volevo, ovvero un sottile strato di malinconia iniziale seguito da pura
e
semplice disperazione finale. Ora spiegherò alcune cose
magari ovvie:
ovviamente l’isola dove loro si fermano non esiste,
l’ho inventata per pura
comodità, immaginandomi l’isola con la tomba di
Ace come qualcosa a parte
raggiungibile in brevissimo tempo in nave.
Sottolineo il brevissimo
perché le due isole devono essere abbastanza vicine per
essere raggiungibile
dal braccio di Rufy che deve allungarsi non poco per
“collegare” due isole
Altra cosa, loro
stanno in una locanda vicino all’ospedale della
città per via delle condizioni
di Nami, perché pur essendoci già un medico nella
ciurma è lo stesso Chopper a
preferire avere un supporto immediato in caso di necessità.
Ultima cosa: quando
tutti salutano Ace e se ne vanno senza salutare Nami e non la
raggiungono
quando inizia ad urlare non è perché sono degli
insensibili, ma perché nel
primo caso volevano lasciare un po’ di intimità a
Rufy e Nami, nel secondo non
pensavano a qualcosa si così grave. Bene, dopo queste
ovvietà, alla prossima
settimana (spero).
ElPsyCongroo
(so che non centra niente, ma ho appena visto, per
chi lo conosce, la puntata special di Steins;Gate, da dove ho preso il
nome, ed
ho riscoperto tutto il mio amore per quell’anime, e sono
fiera del mio nome ed
intendo portare ovunque il suo spirito! Ok, ora basta scleri, bye
bye ).
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Capitolo 3 *** Capitolo 3: Speranze del Futuro ***
Capitolo
3: Speranze del Futuro
(N.B.
Le frasi messe tra
««…»» sono quelle
che vengono dette
insieme in coro diciamo)
««Maaaaammaaaa!!!!»»
«…
ma che?»
««Maaaaammaaaa!!!!»»
«Bambini!
Ma perché gridate così? La mamma stava
dormendo!»
«La
mamma piangeva…»
«…
pensavamo che stasse male.»
«Si
dice stesse e comunque non è vero, non stavo
pian-» aveva
pianto invece, e tanto anche. A testimoniarlo c’era la
macchia sul cuscino e
gli occhi rossi e gonfi di lei. Si affrettò a cancellare
qualunque traccia di
quel pianto dal viso e con voce un po’ tremante
rassicurò i bambini. «Che
teneri che siete a preoccuparvi per la mamma, ma non dovete. Sto bene,
ho fatto
solo un sogno un po’ triste, tutto qui.»
«Hai
sognato papà?»
«Sì,
in effetti ho proprio sognato papà.»
««Cattiva
mamma!»» trillarono in coro i due piccoli.
«E
perché sarei cattiva?»
«Perché
papà non vuole che la mamma piange…»
«…
la mamma deve sempre sorridere!»
Nami
sorrise. È vero, di certo lui non avrebbe voluto vederla
così, ma che poteva farci? «Scusate piccoli! Per
farmi perdonare allora oggi vi
porto dove volete.»
«Non
vale! Avevi già detto che ci avresti portato dove volevamo,
quindi non vale!»
«Tanto
basta che ti scusi con papà! Se ti prepari possiamo andare
subito da lui! Veloce che ci aspetta!»
«Ok
ok, mi alzo! Più diventate grandi più gli
assomigliate, sempre
a fare di testa vostra! Dovrò riprenderlo quando arriviamo
da lui, vi sta
insegnando cose sbagliate! Però per oggi sarò
buona visto che è il vostro
compleanno.»
««Non
ci hai ancora fatto gli auguri e non ci hai dato i
regali!»»
«Che
impazienti che siete! Per i regali dovrete aspettare sta
sera, per gli auguri ci stavo arrivando: buon compleanno Ace! Buon
compleanno
Bellmer!» disse allegramente Nami scendendo finalmente dal
letto e abbracciando
le copie in miniatura di Rufy. Nell’ essere uguali tra loro
erano identici al
padre, o almeno per come la vedeva lei: belli come la mamma e
coraggiosi come
il papà avevano detto e così era stato. Pur
avendo solo cinque anni appena
compiuti quei due facevano di tutto, dal semplice arrampicarsi su un
albero
(per quanto potesse essere facile arrampicarsi su un albero per due
bambini
piccoli) all’affrontare a mani nude le bestie feroci che
spesso attaccavano
loro e gli altri abitanti dell’isola. E il coraggio fuori dal
comune non era
l’unica cosa che li rendeva così simili al padre:
sempre affamati mangiavano di
continuo senza ingrassare, avevano una riserva di energie senza fondo,
dormivano quando e dove capitava e sorridevano sempre, proprio come lui.
Però
era anche vero che somigliavano molto alla madre: molto
intelligenti e furbi, capaci di grande inventiva e intuizione,
soprattutto in
campo meteorologico.
In
quanto ad aspetto fisico erano appunto belli come la madre:
avevano gli stessi lineamenti delicati e gli occhi ambrati che
colpivano chiunque
li guardasse. Avevano i capelli corti e spettinati lui, lunghi e
ondulati lei,
come i genitori, ed erano nero pece con ciocche ambrate: erano davvero
due
bambini bellissimi, e Nami non era l’unica a dirlo. Tutti si
complimentavano di
loro, anche se a volte combinavano guai esattamente come il padre.
««Grazie
mamma! Ora però preparati, senno facciamo aspettare
troppo papà!»» Parlavano sempre insieme
i due gemellini, e se non parlavano
nello stesso momento l’uno completava la frase
dell’altra e viceversa. Alcuni
dicevano che era una cosa troppo strana, che sarebbero dovuti andare da
un
medico, ma Nami si rifiutava categoricamente per due motivi: uno non ci
vedeva
assolutamente niente di sbagliato, semplicemente erano molto affiatati.
Due per
qualunque cose avessero ci pensava Nami a curarli perché non
voleva portarli da
nessuno: l’unico medico a cui avrebbe permesso di vedere i
propri figli era
ormai scomparso da tempo. Forse era un’irresponsabile, ma
proprio non ce la
faceva, era più forte di lei.
«Ho
detto che ora mi preparo, calmatevi! Altrimenti vi metto in
punizione e niente papà oggi!»
«Nooooooooo!
Facciamo i bravi, facciamo i bravi!»
«Facciamo
i bravi ma mamma ci porta da papà!»
Ace
e Bellmer erano in crisi: volevano un bene dell’anima al
padre
e per quelle poche volte che potevano vederlo avrebbero fatto di tutto
per
andare da lui. Erano decisamente molto teneri, tanto che stavano per
mettersi a
piangere alle minacce della madre.
«Dai
piccoli, non esagerate! La mamma stava scherzando! Certo che
vi porto da papà, anch’io voglio vederlo, e non vi
lascerei mai indietro,
quindi non piangete, ok?»
««Ok
mamma, facciamo i bravi…»»
«È
così che si fa, bravi cuccioli. Ora ci prepariamo tutti
insieme
perché con quei vestiti lerci non vi porto da nessuna parte,
quindi prima
facciamo un bel bagno e poi tutti da papà!»
««Sìììììììììì!!!»»
e così gridando corsero verso il bagno
sparpagliando i vestiti per tutta casa. Nami li guardò
sorridendo ma dopo un
po’ calde lacrime cominciarono a scivolare sulle sue guance.
Stava ancora
pensando al sogno appena fatto ed era sconvolta da quanto fosse rimasta
colpita: pensava di essere più forte, di poter superare e
sopportare, ma era
troppo. Ogni giorno vedeva i piccoli e non poteva fare a meno di
pensarci
cadendo sempre in una tristezza profonda. Stava ancora piangendo quando
sentì
qualcuno abbracciale forte le gambe. Abbassò lo sguardo e
vide i suoi
figlioletti teneramente appiccicati a lei.
«Ti
abbiamo detto di non piangere mamma!»
«La
mamma è forte, se piange però non lo è
più!»
«E
se la mamma non è più forte anche noi diventiamo
meno forti!»
«E
se diventiamo meno forti papà è triste,
l’hai detto tu!»
««Quindi
non piangere mamma!»»
Le
si levarono gli occhi di lacrime ancora di più. Quelle due
testoline erano in gado di tirarla su di morale in ogni istante, pur
essendo
ancora due bambini.
««Mammaaaaaaa!
Non piangere!»»
«Scusate
scusate! È che la mamma si commuove facilmente, sapete?
Sentirvi dire queste cose mi rende molto fiera ed orgogliosa di voi. Se
il papà
vi vedesse sarebbe anche lui molto felice.»
«Veloce,
così andiamo da papà!»
«Papà
ci aspetta, non facciamo tardi, altrimenti si arrabbia!»
«Ok,
ok! Andiamo puzzolenti, dobbiamo farci belli per
papà!»
««Non
siamo puzzolenti!»»
«Ah
no eh? Fatemi sentire… Bleah, che puzza, così il
papà non vi
vorrà vedere!»
««Nono,
dobbiamo vedere il papà! Non dobbiamo puzzare! Bagnetto
bagnetto!»» e così tornarono correndo in
bagno. Nami sorrise ancora un po’
prima di seguire i figli, indugiando davanti all’unica foto
che aveva di Rufy:
il primo manifesto da ricercato che aveva conservato con tanta cura,
esattamente come Rufy prima di lei.
***
«Ora
sì che siete belli!» Nami era davvero orgogliosa
dei suoi
piccoli: Bellmer indossava un vestitino nero con pizzo e maniche a
sbuffo, con
un nastro bianco a fasciarle la vita e delle ballerine nere con un
fiocchetto
bianco a lato. Ace invece per chissà quale strano miracolo
aveva deciso di
indossare giacca e cravatta, ma con delle modifiche personali: al posto
delle
scarpe eleganti indossava le infradito del padre e in testa portava il
cappello
di paglia.
«Potresti
almeno abbottonarti un po’ di più la camicia
Ace?»
«No!»
«E
perché no?»
«Perché
così somiglio di più al
papà!»
«Ihih,
è vero. Dai allora, andiamo, prima di sporcarvi
tutti.»
Nami,
Ace e Bellmer uscirono dalla loro casetta e si avviarono
verso la loro meta. Nami aveva deciso di fermarsi a vivere nel piccolo
villaggio vicino all’isola dove era sepolto Ace, il villaggio
dove erano nati i
suoi figli e dove aveva visto per l’ultima volta Rufy che
spariva tra le
esplosioni. All’inizio non erano proprio ben accetti: per
colpa della ciurma di
cui faceva parte il villaggio cinque anni prima aveva rischiato di
essere
totalmente distrutto, ma grazie al sostegno di alcuni di loro che la
pensavano
diversamente era finalmente riuscita a stabilirsi in quel luogo. Ora
era
diventata amica di tutti e tutti si fidavano di lei: le chiedevano
consigli sul
mare, sul tempo, sulle arti mediche, qualunque cosa. Era diventata
famosa per
la sua intelligenza perciò poteva vivere serenamente insieme
ai suoi figli in
quel piccolo angolo di mondo.
A
causa della fama di Rufy altre volte il villaggio era stato
attaccato, ma per fortuna si trattava per lo più di
sprovveduti che non
sapevano restare al proprio posto e che dopo qualche semplice fulmine
scappavano via a gambe levate. Questo più che altro era
perché temevano
fortemente l’ira della Regina dei Pirati, in quanto consorte
del Re dei Pirati,
Monkey D. Rufy.
Sì,
Rufy era riuscito a guadagnarsi il titolo di Re dei Pirati
dopo aver sconfitto Teach sull’isola di One Piece. Ovviamente
non si era
degnato minimamente di rivelare la “vera
identità” di One Piece, semplicemente
si era preso il titolo di Re dei Pirati e chi si è visto si
è visto. Nemmeno
Nami sapeva di cosa si trattasse, ma i pirati sopra citati credevano
che lei
sapesse tutto, per questo motivo attaccavano il villaggio.
Visto
che per raggiungere la loro meta ci voleva parecchio tempo
prima di proseguire si fermarono in una locanda per mangiare qualcosa
di buono
e fare qualche scorta per il breve viaggio. Era la stessa locanda dove
aveva
alloggiato per l’ultima volta con il resto della ciurma e per
questo era uno
dei pochi luoghi dove si sentiva veramente a casa.
«Buongiorno
Nami! Come stai? Mi sembri un po’ sciupata.»
«Non
è niente, è solo che sta notte non ho dormito
molto bene.»
disse Nami per rassicurare la locandiera, Mama, una donna che sin da
quando
erano nati i gemelli era stata dalla sua parte.
«È
per Rufy? Se non sbaglio oggi è l’anniversario
della sua-»
«No,
per favore, non dirlo, altrimenti scoppio di nuovo a piangere
e rischio di non smettere più.»
«E
perché mai? Stavo per dire “della sua ascesa al
trono”, ma se
non mi lascia terminare la frase come può pretendere di
capire, sua altezza?»
disse facendo un piccolo inchino e abbozzando un sorriso complice. Nami
la
adorava proprio per questo: era in grado di capire immediatamente
quando stava
male e perché ed era in grado di agire di conseguenza. Senza
di lei,
soprattutto durante i primi mesi di vita di Ace e Bellmer, Nami non ce
l’avrebbe mai fatta. Era stata lei ad aiutarla quando i
bambini stavano
nascendo, era stata lei a curarla subito dopo, era stata lei ad
allattare i
piccoli grazie al fatto che aveva avuto da poco un figlio, e sempre lei
li
aveva ospitati per un breve periodo in casa sua, prima che Nami fosse
guarita
del tutto ed in grado di provvedere da sola ai figli. Non che adesso si
fosse
ripresa del tutto: spesso veniva colta da lancinanti dolori al ventre e
anche
per una semplice influenza ogni volta restava a letto per giorni e
giorni in
preda ai dolori. Durante quei periodi per fortuna c’era Mama
ad assisterla,
altrimenti i piccoli non avrebbero potuto crescere così sani
e forti.
Il
tutto era dovuto alla precoce nascita dei gemelli: la loro
nascita l’aveva indebolita, il medico dell’isola le
aveva detto che non sarebbe
più stata in grado di compiere grandi sforzi e, e questa era
la cosa che la
rendeva più triste, non avrebbe più potuto avere
figli. Aveva sempre sperato in
una famiglia numerosa con il suo Rufy, ma per vari motivi non sarebbe
più stato
possibile.
Non
che questo la portasse a voler meno bene o ad odiare Ace e
Bellmer: per loro sarebbe anche morta, non le interessava niente della
sua
salute, l’importante era che fossero loro a stare bene.
«Grazie.»
«E
di cosa? Non credo di aver fatto niente di speciale! Ma ora
basta, se non sbaglio qui ci sono due principini che sono appena
diventati
grandi!»
««Sììììììììììì!
Ormai siamo grandi, abbiamo 5 anni! Che cosa ci
regali? Vogliamo i regali!»» trillarono i piccoli
sorridendo come Rufy.
«Ehi,
ma che modi sono? Non dovete comportarvi così!»
«Oh
tranquilla Nami, sono bambini, non è un problema. Venite con
me cuccioli.» I piccoli si avvicinarono ad un enorme oggetto
coperto da un telo
colorato che si trovava nel prato di fronte alla locanda e con
l’aiuto di Nami
e Mama lo scoprirono, rivelando qualcosa che lasciò a bocca
aperta tutti e tre:
si trattava di una riproduzione della Going
Merry, solo più piccola e con alcune modifiche.
Ace e Bellmer salirono
sulla nave in tutta fretta, strillando di gioia ed esplorando ogni
angolo della
nave. Dopo la loro rapida esplorazione, come spinti da qualche strano
istinto,
Ace andò a sedersi sulla polena e Bellmer sotto gli alberi
di mandarini ad
assaporare il loro profumo. Vedendo quella scena Nami
scoppiò di nuovo a
piangere, ripensando ai tempi in cui erano su quella nave tutti
insieme, a
quando il loro viaggio era appena cominciato.
«Se
ti vedono piangere di nuovo li spaventi.»
«Mama…»
«Spero
di non essere stata troppo invadente con questo regalo.
Spero mi perdonerai. Non sono riuscita nemmeno a riprodurla fedelmente
ed è
molto più piccola, ma ho pensato che va bene comunque, in
fondo sono ancora
piccoli, non andranno da nessuna parte e non metteranno in piedi una
ciurma
ancora per molto tempo, quindi questa piccolina dovrebbe bastare per la
loro
voglia di esplorare il mare circostante.»
«Mama…
Mama Mama Mama!!!» Nami le saltò al collo.
Sprofondò il
viso nei suoi capelli e cominciò a ridere e piangere nello
stesso tempo,
stringendosi il più possibile a lei.
«Na-Nami,
mi soffochi così! Su su, rilassati, calma
calma…» le
disse dolcemente, accarezzandole la schiena per calmarla. Faceva sempre
così
quando Nami era in crisi, la cullava come se fosse una bambina piccola,
come se
fosse sua figlia. Nami pian piano si calmò e si stacco da
lei, strofinandosi
velocemente il viso per far sparire ogni segno del pianto.
«Brava,
è così che si fa. Vedrai che con il tempo
riuscirai a
resistere a tutto questo, a guardarli e sorridere piena di gioia, senza
essere
assalita da tristi pensieri.»
«Grazie
Mama, per tutto. Non potrei fare davvero niente senza di
te, sei come una madre per me, e non lo dimenticherò mai.
Non potrò mai
sdebitarmi.»
«Non
dirlo nemmeno per scherzo, ok? Non ti chiederò mai di
sdebitarti, mi basta vedervi tutti e tre insieme per rendermi felice,
ok? E ora
su, non dovevate andare da qualche parte? Dentro ci sono i cesti per il
pranzo,
ho fatto tutti i vostri cibi preferiti!»
«Hai
ragione, grazie, è meglio che vada altrimenti non arriveremo
più.» E dopo aver sorriso davvero per la prima
volta in quel giorno andò a
chiamare i piccoli, che scesero immediatamente appena sentirono la
minaccia di
Nami secondo la quale se non si muovevano la nave avrebbe messo le ali
e
sarebbe volata via, raggiungendo il cielo con a bordo il loro
papà.
***
«Ace,
Bellmer, datemi una mano, non correte così! Aiutatemi a
portare questi piuttosto visto che la maggior parte del cibo
è per voi! A me
non serve, potrei anche far rotolare questi cesti in mare!
Chissà poi perché
Mama ha preparato tutto questo poi… È troppo pure
per Ace e Bellmer, e dovrebbe
sapere che io non mangio molto…» mentre Nami
ragionava sul perché di tanto cibo
i bambini la raggiunsero e presero alcuni cesti così da
lasciare un po’ di
riposo alla madre. Era ormai da parecchio che camminavano
perché l’isola dove
erano diretti era raggiungibile solo a piedi sfruttando la bassa marea
e gli
scogli o con una nave, e lei non sarebbe mai salita su una nave che non
fosse
la Sunny. A causa della sua ostinazione ora era parecchio affaticata:
spesso si
fermava a riprendere fiato per evitare di svenire in mezzo alla strada
e
preoccupare i bambini. Erano abituati a vederla star male, ma non
voleva che la
vedessero totalmente priva di difese, incapace di proteggerli.
In
più ci si metteva anche l’abito a creare problemi:
aveva deciso
di mettere per quell’occasione, dopo tanti anni,
l’abito nero con scialle rosa
e scarpe con tacco che indossava il giorno della nascita di Ace e
Bellmer. Si
era rovinato parecchio quel giorno e Nami non era più
riuscita ad indossarlo,
la faceva stare troppo male. Però aveva deciso che doveva
superare le sue
angosce, perciò l’aveva portato a sistemare con
parecchio anticipo rispetto a
quella data e, quando l’abito fu finalmente pronto, se lo
provò di nascosto,
per vedere l’effetto che le faceva. All’inizio fu
difficile, ma dopo un po’ si
abituò a non aveva più avuto problemi. Fino ad
ora. Era troppo lungo e
continuava ad impigliarsi in tutto ciò che poteva e le
scarpe erano una
tortura. Non aveva pensato che ci sarebbero state tutte quelle
difficoltà.
Quando si impigliò l’ennesima volta
strappò il fondo dell’abito così da
renderlo più corto ed essere più comoda,
esattamente come tanti anni prima.
«Dai
mamma, fai veloce!»
«Fai
veloce che papà aspetta!»
«Arrivo
arrivo. Tanto ci siamo quasi, è inutile agitarsi tanto.
Vedete laggiù, in cima alla scogliera? Vedete che
c’è papà?» I piccoli si
girarono e nel vedere la cima della scogliera gridarono in coro
«Papà!» e si
rimisero a correre.
«Non
correte ho detto! Tanto papà non se ne va mica! Ahhh,
è
inutile parlare con loro, sono troppo cocciuti. Hanno preso troppo dal
padre.»
si lamentò sorridendo dolcemente. Dopo un po’
raggiunse i piccoli che erano già
saltati addosso al padre, lanciando i cestini del pranzo in giro.
«Su
piccoli, scendete, così schiacciate papà. Bravi
così,
sistemate la coperta e il cibo che nel frattempo saluto vostro padre,
ok?» I piccoli
obbedirono subito alla mamma senza protestare: anche se spesso
ignoravano
quello che diceva e disobbedivano sapevano che quel momento era solo
per i loro
genitori e che non dovevano disturbare.
«Ciao
Rufy, come stai? Ho portato i piccoli visto? Non trovi che
siano diventati grandi?» mormorò fissando per un
attimo Rufy. «Stanno crescendo
davvero bene. Al villaggio tutti gli vogliono bene, sono diventati
delle specie
di mascotte. Dovresti vedere però quanti guai combinano quei
due! Hanno preso
proprio da te! Ma almeno sono più intelligenti di te, belli
ed intelligenti
come me! Proprio come avevamo detto… Sai, credo che sentano
la tua mancanza
ogni tanto, come me del resto… Perché
l’hai fatto, eh? Perché te ne sei andato?
Perché sei morto?» sussurrò al vento,
sfiorando i fiori che ricoprivano la
tomba di Rufy. Era identica a quella del fratello e vicina ad essa.
Accanto
a quella di Rufy c’era un’altra tomba: quella di
tutto il
resto della ciurma di Cappello di Paglia. Sopra di essa Nami aveva
lasciato qualcosa
che rappresentasse tutti: la bandana che Zoro portava sempre al
braccio, una
della fionde di Usopp, uno dei libri di archeologia di Robin, un
pacchetto
delle sigarette che fumava sempre Sanji, uno degli strumenti medici di
Chopper,
una delle bottiglie di Cola di Franky, il bastone/spada di Brook e uno
dei
mandarini che tanto le piacevano.
Perché
in un certo senso lei era morta. Era morta la Nami
navigatrice della ciurma di Cappello di Paglia.
Sulla
tomba di Rufy aveva lasciato anche il suo cappello, ma non
ce l’aveva fatta a lasciarlo lì per molto tempo,
era l’unica cosa che gli
restava del suo amato. In più il piccolo Ace sin dal primo
giorno che l’aveva
visto aveva afferrato il cappello con tutte le sue forze e non
l’aveva più
lasciato. Esattamente come Bellmer non lasciava mai la sua preziosa
collana con
la perla rossa che Nami aveva trovato tempo prima nella stanza dei
ricordi: la
perla della collana di Ace che Rufy aveva inconsciamente conservato.
Nami
l’aveva sempre tenuta con sé sin da quel giorno,
come un porta fortuna, poi
l’aveva lasciata alla figlia che ne era rimasta completamente
affascinata.
«Mi
aveva promesso che saresti tornato, che non mi avresti
lasciata mai… Bugiardo…» Rufy e il
resto della ciurma erano morti il giorno in
cui Teach aveva li aveva attaccati, dopo un lunghissimo scontro che
aveva avuto
luogo sull’isola di One Piece. Per questo Rufy era diventato
Re dei Pirati:
aveva ucciso Teach in quella battaglia atroce dopo che tutte e due le
ciurme si
erano annientata a vicenda, lasciando solo i capitani a fronteggiarsi.
Subito
dopo aveva lasciate dette queste parole nello stesso Tone Diale che
aveva usato
anni e anni prima Nami:
«Mi dispiace Nami… Non sono
riuscito a mantenere la promessa… Però sono
riuscito a realizzare il mio desiderio:
l’ho trovato Nami, ho trovato One Piece, e questo mi rende di
diritto Re dei
Pirati! Tu ora sei la regina, perciò ti supplico di
proteggere i piccoli
principi… Digli che gli voglio un mondo di bene…
Raccontagli del suo papà…. e
della nostra ciurma… Non ho potuto proteggerli…
Scusa… Li ho visti morire
tutti, un ad uno, ed ogni loro morte è stata come un enorme
macigno sul mio
cuore… Ma Teach l’ha pagata… Quel pezzo
di merda mi ha addirittura supplicato
di lasciarlo in vita dopo tutto… dopo tutto quello che ha
fatto… Sono felice
che sia finalmente morto… A sofferto come abbiamo sofferto
tutti noi… Scusa se
ti sembro crudele e spietato… Ehi, Nami, amore mio,
saudiresti un mio ultimo
desiderio?.... Chiama il piccolo Ace….. E se vuoi la piccola
Bellmer…… Mi
piacerebbe davvero tanto…. Sappi che vi
amo……. Un’ultima cosa, Nami…
Io t-……………»
E
così finiva il massaggio. Era stata proprio Nami a trovare
il
Tone Diale in una pozza di sangue sull’isola dove erano tutti
morti. Non c’era
nient’altro, nessun cadavere, solo sangue ovunque, avvoltoi
che si cibavano di
non voleva sapere cosa, quel messaggio e tutto il contenuto della
stanza dei
ricordi. Era quasi morta di dolore quel giorno, sperava che il
messaggio
terminasse con un “tornerò”, invece
niente. Erano passati 8 anni ormai e
niente. Ormai ci aveva rinunciato.
««Mamma,
mamma!»»
«Ace,
Bellmer, che vi prende? Perché urlate tanto?»
««Signore!»»
«Signore?
Quale signor- Oh scusi, mi perdoni, non l’avevo
vista.»
Silenzio. L’uomo era coperto da capo a piedi da un lungo
mantello con il
cappuccio calato sulla testa, in modo da oscurare il suo volto.
«Scusi,
potrei sapere chi è lei?»
«Mi
perdoni lei signorina. Forse ho interrotto qualcosa di
importante. Mi sembrava così assorta nei suoi pensieri che
non ho osato
disturbarla.»
«No
no, lei non ha fatto niente! Sono stati i miei figli a
disturbarmi, lei non disturba affatto.»
«Allora
sono figli suoi?»
«Sì,
lui è Ace mentre lei è Bellmer. Forza piccoli,
salutate il
signore.»
««Ciao
signore!»»
«Non
ciao, si dice salve.»
«Eheh,
non si preoccupi.» disse l’uomo chinandosi
all’altezza dei
piccoli come ad osservarli meglio. Stette un po’ li in
silenzio prima di
parlare di nuovo.
«Ciao
piccolo Ace. Che bel cappello che hai, me lo regaleresti?»
«No!
La mamma ha detto che è del papà e che devo
proteggerlo!»
trillò il piccolo stringendo forte il cappello sulla testa.
«Oh,
che peccato! È davvero un bel cappello! Il tuo
papà è
fortunato ad avere un tesoro così! E tu, piccola Bellmer?
Che ne dici di
regalarmi quella bella collanina?»
«No!
La mamma ha detto che è dello zio e che devo
proteggerla!»
trillò la piccola stringendo forte la perla tra le mani.
«Allora
a me niente?»
««No!
Il compleanno è nostro, non tuo, i regali li vogliamo
noi!»»
gridarono in coro. L’uomo scoppiò a ridere e si
rimise in piedi. «Eheh, che
buffi che siete! Comunque avete ragione, penso di aver già
trovato il regalo
adatto, aspettate solo un po’, va bene?» poi si
girò a guardare la tomba di
Rufy, impedendo ancora una volta a Nami di vedere il suo volto.
«Come
mai si trova davanti a queste tombe il giorno del loro
compleanno?»
«Perché
oggi ricorrono altri due anniversari: quello della morte
di loro padre, Monkey D. Rufy e del resto della sua ciurma, e di loro
zio
nonché fratello di Rufy, Portugas D. Ace. Sono morti
esattamente 5 anni fa mio
marito e i suoi compagni e 10 mio cognato, in questo stesso giorno.
Immagino
che lei sappia chi sono, non sono certo tipi che passano
inosservati.»
«Certo
che li conosco. Mi dispiace averle portato alla memoria
tristi ricordi, Regina dei Pirati Nami.»
«No
no, non mi chiami così. E comunque si figuri, non
è un
problema. Quel che è successo è successo,
è inutile pensarci troppo, non li
riporterà di certo indietro.»
«Peccato
però.»
«Peccato
per cosa?»
«Speravo
di avere una chance con una bella signorina come lei, ma
da come ne parla si capisce che è ancora molto legata a suo
marito. Sono
arrivato tardi.»
«Grazie
per il complimento, ma mi dispiace. Anche se sono passati
5 anni, e quindi molto probabilmente è morto, mi ha promesso
che sarebbe tornato,
perciò non posso tradirlo.»
«Lei
è una ragazza davvero molto fedele. Suo marito è
un uomo
fortunato. Come ha potuto lasciarla? Non è arrabbiata con
lui?»
«No,
perché ora ho capito che l’ha fatto per il mio
bene. Se non
mi ha portata con loro quel giorno era solo per salvarci. Allora
l’avevo preso
come un tradimento, ma ora lo ringrazio per quello che ha fatto. Sarei
stata
inutile con loro, e molto probabilmente sarei morta anch’io
insieme hai
piccoli. Devo ringraziarlo per avermi lasciata, anche se devo ammettere
che mi
manca terribilmente.» Restò un po’ in
silenzio ad osservare la tomba di Rufy.
«Lei
invece perché è qui?»
«In
realtà sono qui con alcuni amici per salutare un mio
conoscente e per riabbracciare la mia famiglia che ho abbandonato
troppo tempo
fa.»
«Posso
sapere di chi si tratta? Magari li conosco, il villaggio è
molto piccolo.»
«Beh,
in realtà è lui.» disse indicando la
tomba di Ace.
«Lei
conosceva Ace?»
«Sì,
eravamo… grandi amici. È da tempo che non venivo
a trovarlo,
perciò eccomi qui.» La mente di Nami
cominciò a correre veloce. Se conosceva
Ace probabilmente conosceva anche Rufy. Sapere che qualcuno poteva
condividere
quel dolore con lei la faceva sentire meno sola.
«Conosceva
anche Rufy?»
«Eheh,
in effetti sì, lo conosco molto bene. Non pensavo di
trovare la sua famiglia qui e a dirla tutta non credevo nemmeno di
trovare
queste» disse indicando le due tombe, quella della ciurma e
quella di Rufy
«anche se un po’ dovevo immaginarlo. Ma visto che
non servono e vederle mi fa
un po’ impressione…» alzò il
braccio, fece un lieve movimento con la mano e
parandosi davanti a loro disse «Attenzione, potreste farvi
male.» un attimo
prima che quello che sembrava un uccello di fuoco si schiantasse contro
la
tomba di Rufy e quella degli altri, riducendole in cenere.
«Ma
che diavolo hai fatto alle loro tombe!?!?» gridò
Nami contro
l’uomo buttandolo a terra.
«Calma
calma, non è colpa mia, si arrabbi con il cecchino
laggiù!»
«Cecchino?
Quale cecchin-…!» si alzò dal corpo
dell’uomo e si
voltò lentamente verso il punto che lui aveva indicato. Le
venne un groppo in
gola e le lacrime le appannarono la vista. Dietro di loro, tutte in
linea,
c’erano sette persone, di cui sei uomini vestiti in giacca e
cravatta e una
donna vestita con un abito corto con una grande cintura e una lunga
giacca.
Tornò a guardare l’uomo che si era avvicinato ai
bambini nascosti dietro la
tomba di Ace e con la voce rotta dal pianto disse «Ace,
piccolo della mamma,
lascia il cappello al signore. E tu Bellmer, lasciagli la
collana.»
««Perché?»»
chiesero i piccoli stringendo i propri tesori.
«Perché
lui è…» mormorò ormai in
preda ad un enorme pianto di gioia.
L’uomo
che ormai di misterioso non aveva più nulla
cominciò a
slacciarsi il mantello e cominciò a parlare «Visto
Ace? Sono tornato! Ho
mantenuto la mia parola! Ho realizzato il mio sogno, ti ho vendicato e
sono
tornato da Nami!
Sei orgoglioso di me,
vero, fratellone?» esclamò con gioia. Fece cadere
il mantello a terra,
rivelandosi per quello che era: un ragazzo in visto, ma adulto nel
corpo e
nella mente, vestito in giacca e cravatta con un lungo cappotto nero
bordato
d’oro poggiato sulle spalle. Si voltò verso i
bambini, che lo guardavano con
occhi sgranati e prese il cappello di paglia dalla testolina del
piccolo Ace
per poggiarlo sulla sua scompigliata testa mora e sfilò la
collana dal collo
della piccola Bellmer legandosela al polso.
Tenne
un attimo il cappello premuto sul capo per nascondere il
proprio volto dal quale si poteva scorgere solo una piccola cicatrice
sotto
l’occhio sinistro, sulla quale scivolava una lacrima
solitaria. Con un rapido
gesto di mano la cancellò e sfoggiando un enorme sorriso, il
suo enorme sorriso
che sempre l’aveva resa felice disse in tono allegro
«Visto Nami? Te l’avevo
promesso no? Sono tornato! Perdonami, anzi perdonatemi per avervi fatto
aspettare tanto!»
«Ca…
pi… ta… no… Rufy!!!»
urlò Nami riabbracciando dopo tanto tempo il suo amore.
«Mi dispiace Nami… Non sono riuscito a
mantenere la promessa… Però sono
riuscito a realizzare il mio desiderio: l’ho trovato Nami, ho
trovato One
Piece, e questo mi rende di diritto Re dei Pirati! Tu ora sei la
regina, perciò
ti supplico di proteggere i piccoli principi… Digli che gli
voglio un mondo di
bene… Raccontagli del suo papà…. e
della nostra ciurma… Non ho potuto
proteggerli… Scusa… Li ho visti morire tutti, un
ad uno, ed ogni loro morte è
stata come un enorme macigno sul mio cuore… Ma Teach
l’ha pagata… Quel pezzo di
merda mi ha addirittura supplicato di lasciarlo in vita dopo
tutto… dopo tutto
quello che ha fatto… Sono felice che sia finalmente
morto… A sofferto come
abbiamo sofferto tutti noi… Scusa se ti sembro crudele e
spietato… Ehi, Nami,
amore mio, saudiresti un mio ultimo desiderio?.... Chiama il piccolo
Ace….. E
se vuoi la piccola Bellmer…… Mi piacerebbe
davvero tanto…. Sappi che vi amo…….
Un’ultima cosa, Nami… Io
t-……………»
«…io
ti amo, ti ho sempre amata e sempre ti amerò. Scusa se sono
morto.»
«Deficiente,
tu non sei morto, sei qui con me, con noi. Non ti
lascerò più andare, mai più, anche a
costo di legarti al letto, capitano!»
«Hai
suoi ordini, navigatrice!»
Nota
d’Autrice: et voilà, finito! Sono molto felice e
sollevata di
essere arrivata alla fine senza intoppi, sperando ovviamente di non
aver deluso
nessuno. Scusate se non mi dilungherò tanto, ma sto
scrivendo questa nota d’autrice
dopo una notte passata in bianco quindi è già
tanto se riesco a mettere insieme
delle frasi di senso compiuto. Voglio però ringraziare
immensamente chi ha
seguito la storia fino a qui, in particolare Ellie chan e nami92 che mi
sopportano e sostengono sin dalla prima storia di One Piece, dicendomi
tante di
quelle cose magnifiche che è difficile elencarle tutte.
Grazie infinite. Bon,
sperando che vi sia piaciuta ora vi saluto, alla prossima storia! (Lo
so, sono
penosa, ma tentate di capirmi, non riesco nemmeno a parlare a momenti!)
ElPsyCongroo
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