Recensioni per
Shuffled Jukebox 2.0
di Francine

Questa storia ha ottenuto 203 recensioni.
Positive : 203
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
03/01/21, ore 15:42

Ho iniziato a stilare questo commento a Capodanno, in preda al mio moto periodico – a ritmo di rivoluzioni ricorrenti – di  buone intenzioni e ottimismo, quello che in media dura cinque minuti, se va bene; e di fatti mi sono persa per strada sospinta dal quel “c’hai paura”, in chiusa. Ti ho raccontato della mia Odissea tra le risse – troppo poco violente, dannazione! – di grammatici ed italianisti di varia estrazione sull’ortografia del “ci” (e contingentemente del “che”) eliso. Mi ero ovviamente persa il punto di partenza della suddetta Odissea, perché ho la stessa memoria a breve termine di un pesce rosso ubriaco. XD La deriva, pur statisticamente rilevante, dei miei buoni propositi e delle nobili intenzioni è quasi ridotta ad un elemento di contorno di fronte al mio rimbambimento galoppante – anzi, rampante.

Sì, morire per amore è un cliché, anche abusato – ma qualche volta lo è deliziosamente. Tuttavia, come la stragrande maggioranza dei cliché, ha anche lui la sua straporca ragione di essere. Per cosa si muore, del resto, quando non si muore di morte naturale? Escludendo, assieme alla morte naturale, anche gli accidenti accidentalissimi, quelli assolutamente contingenti – nell’ordine delle tegole o dei vasi da fiori che cascano in testa al malcapitato di turno, o del banale trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, quando il momento sbagliato può ovviamente essere benissimo un frangente storico. Insomma, quei casi lì, quelli che non ci si può andare a cercare né si può far niente per evitare e che sono completamente indipendenti dalla volontà del morituro. Hanno cause, quelle morti violente, ragioni estrinseche; ma non hanno un motivo – che è una causa che muove da dentro, con una qualche dimensione di partecipazione da parte di chi tira le cuoia. Ma i motivi, o le ragioni intrinseche (soggettive, se preferisci), di una morte violenta e deliberata, quella cui si va consapevolmente incontro, forse non possono ricondursi ad altro che alla fame e all’amore, per parafrasare il commissario Ricciardi. A seconda di come si circoscriva o definisca l’amore, tra le due cose potrebbe, in fin dei conti, non esserci troppa differenza.

E Marco – Mask – è già morto. Ed è morto di morte violenta. Magari è morto per la ragione sbagliata, per il motivo sbagliato. Magari è morto senza un buon motivo – le ragioni, le cause, per natura, forse non hanno bisogno di essere buone. Però è  comunque morto. Morto stecchito. Morto e risorto e rimorto. E, allora, dopo tutta questa morte, che paura può restare? Esistono paura più sottili e subdole, più sostanziali, della paura della morte. Di solito hanno a che fare, alla fine della fiera, con un senso di inadeguatezza, di insufficienza; col sentore, forse, che sia irrimediabile. Quelle sì che fanno gelare il sangue nelle vene. Perché nutrono il tarlo del dubbio che non importa quante ennesime possibilità ci saranno concesse, andremo a finire sempre allo stesso modo. Di quale paura, di quale insicurezza, di quale pecca, dunque, Marco teme che Athena s’accorga?

Recensore Veterano
31/12/20, ore 18:02

Immortalia ne speres, monet annus et almum

Quae rapit hora diem

Arrivo con le buone intenzioni di provare a rimettermi in pari – io riservo sempre i buoni propositi per la fine dell’anno, questione dell’ethos dell’ultimo secondo, cifra dell’autentico eroismo;  piuttosto che per l’anno nuovo, roba da mammolette. E l’amato conterranee – ossessionato dalla fuggevolezza del tempo, e dalla polvere, nonché dai famosi porcelli, come la stragrande maggioranza dei miei conterranei –  è un’egida che casca a fagiolo, per il giorno e per l’ora. Il fatto che stia rimandando l’inevitabile (lege: la preparazione della Cena, quella che in teoria, molto in teoria, dovrebbe avere la ci maiuscola, quella della Cena per antonomasia, la madre di tutte le cene, etc. etc.) è un piccolo, insignificante dettaglio!

E poi, ovviamente, diffugere nives… anche se qui, no, non si sciolgono, le nevi e soprattutto il ghiaccio in Aquarius, su Aquarius. E forse redeunt iam gramina campis, nel giro di qualche mese, ma  questo, hic et nunc, non è ancora dato saperlo, almeno non se non si ha il punto di vista privilegiato del lettore (o spettatore) che sa già come andrà a finire; del resto, sarà una di quelle messi che non vorrebbe raccogliere nessuno.

Non ho idea di che cosa abbia pensato Camus, in quel frangente gelido; che ricordo, o che rimpianto – forse un rimorso? –, gli sia passato per la testolina bacata in quel momento – niente, decliniamo la premessa dell’ “ultimo momento” in senso letterale, eh? XD È una di quelle domande che è inevitabile porsi, credo; vuoi per la profondità drammatica dell’episodio, vuoi per il mistero che i processi razionali – o presunti tali – di Camus dell’Aquario continuano a costituire, almeno per me. E credo che, come tutti quei gangli oscuri, ma ricchi e cruciali, pregnanti, sia possibile esplorare un caledoscopio di risposte possibili. Qualche volta quelle risposte sono non solo plausibili ma anche incantevoli, come quella che hai dato tu. Perché ha senso, ha così senso, che a Camus torni in mentre l’ombra di Rémy, con le sue ombre nello sguardo e le ombre indefinite di quello che poteva vedere solo lui, nelle cose ed oltre le cose; con la cenere delle sigarette, che val bene un giuramento o una scommessa – forse l’unica possibile, almeno all’ultimo momento, ché adesso che cosa ci resta da giocarci? –; con la sua eredità di polvere ed ombra. Ha senso, ha un senso necessitante, perché quello che si sta consumando, qui è ora, è un passaggio di consegne e la remissione di un’eredità. È l’uccisione di un padre, l’uccisione del padre. A cos’altro può pensare un padre ucciso – rimanendo  un mistero appena scandagliato, forse intuito, per il figlio carnefice erede – se non al proprio e alla natura stessa di quella continuità?

Dici che mi sto facendo prendere dalle paturnie da ultimo dell’anno? XD

Buona fine, cara. Ed un augurio di buon inizio. Sperando in una continuità opportunamente selettiva, nell’eredità giusta – ottimisticamente, un po’ più di polvere ed ombra.

Cincìn!

Recensore Veterano
01/05/20, ore 18:31

Lo so che potrei e dovrei dire tante cose: sugli incontri di fronte alle lapidi, i narcisi e il Kerameikos; sul Lutto, quello con la elle maiuscola, classico dei classici dalle nostre parti; e su quanto in mano a te sia centrato, quel Lutto, raccontato con semplicità ed efficacia, nella sua contrapposizione ai dettagli delle cose abituali della vita, come la busta dell'ouzerì di Stravos, inequivocabile. Lo so, lo so. Ma tutto quello cui riesco a pensare è che Milo abbia un cavatappi in tasca. E niente, a me un uomo organizzato e preparato all'evenienza, soprattutto se l'evenienza è sbevazzare e l'uomo è Milozzo bello bello col cavatappi in tasca, manda l'unico neurone in brodo di giuggiole.
Cavatappi, non fiori! <3

Recensore Veterano
26/04/20, ore 12:11

Io credo che pochi, pochissimi, quasi nessuno, in questo fandom, abbiano catturato il personaggio di Death Mask con la stessa arguzia, pregnanza e sottigliezza con cui sai trattarlo tu. Il problema è alla base, ché pochi personaggi sono stati tanto bistrattati dalla cialtroneria del Cialtronissimo quanto il povero Death Mask. Ma è notorio che in Saint Seiya le cose con apocalittici problemi alla base siano le più succulente su cui mettere la penna, soprattutto quando si tratta di una penna come la tua.
Se Platone ammettesse che gli oggetti artificiali o, peggio ancora, fittizi avessero un'idea (certo che no, ça va sans dire), o che ci siano almeno idee individuali (probabilmente no, ma gli interpreti si scannano dai tempi dell'Accademia, quindi lasciamo decidere a loro), tu avresti colto ed istanziato l'idea di Death Mask. Amen.

E poi sì, sì, sì su tutta la linea – alla Vulgata, ai telepredicatori, alle chiavi del Paradiso nella tasca della giacca, alle idee platoniche, ed al potere d'acquisto dell'anima.

Recensore Veterano
24/04/20, ore 18:26

Nel tentativo di accingermi un po' maldestramente a riprendere i mille fili che ho in sospeso – perché sarò anche una lettrice distratta, ma ho le smanie di completezza, quindi prima o poi arrivo, a passo di tartaruga, certo, ma alla fine della fiera il Piè veloce assaggerà la polvere comunque – mi sono resa conto di non essermi manifestata per questi lidi dall'Anno Domini 2017. E mi chiedo come sia possibile, ché a me sembra ieri, per rimanere in tema di percezione falsata dello spazio-tempo. Ma forse, quando lo spazio-tempo perde appunto di senso, possiamo concederci ad libitum un attimo a contemplare un cielo nero di velluto e la bellezza geometrica di un triangolo di stelle. E tra tutto il resto – bello, aggraziato, essenziale, come sempre – a me è quel triangolo di stelle che resta impresso negli occhi, o che forse mi risuona da qualche parte che qualcuno definirebbe anima. La magia della tua penna si estrinseca anche lì, nel farmi capire Esmeralda e, per un momento, nel farmi sentire con lei.

Recensore Master
20/01/20, ore 23:25

La propria natura è un dono e una catena: ci consente di essere ciò che siamo, ma allo stesso tempo ci chiude nei confini dei nostri desideri, di ciò che siamo disposti a fare e non fare - ma in fondo consiste proprio in questo l'essere, no? 
Una sottile linea nerastra che ci disegna, ci regala una forma, una struttura, e allo stesso tempo ci chiude in essa. 

I panchinari hanno sempre tanto da dire - sono l'occhio esterno che vedo quel più, quella terza opinione che, alla fine, racconta tutta una storia. 

Tè caldo? Oggi mi pare di aver mangiato un macigno e invece solo pollo e finocchio, pensa te. 

Recensore Master
18/01/20, ore 16:13

Un dio comanda, un fedele obbedisce: così vuole la storia, no? 
Ma il fedele deve prima credere per essere tale; per buttarsi nell'arena senza alcun dubbio - o con sufficienti risposte, abbastanza da fugare ogni domanda. 
Saori è Athena, ma a volte non basta il nome - serve la pelle, il cuore e il sangue di un dio per esserlo, e Saori ha capito che serve più di un epiteto quando chiedi a dei ragazzini di andare in guerra e morire per te. 
Mi piace questo confronto che hai messo in scena (la situazione intera pare sospesa in un limbo, l'attimo prima del salto - l'istante che precede la rivelazione di ciò che si nasconde, appunto, nell'ombra). 

Ciò che non conosciamo ci spaventa, ma non avendo contorti possiamo anche ignorarlo. Forse. 
Io sono dell'avviso che è meglio sapere - farsi male, probabilmente, ma dare un nome e una forma alle cose per poterle affrontare; ma c'è una certa forma di conforto e di sollievo nel rimanere, ancora per un po', all'oscuro di tutto. 

Al solito, complimenti! 

Caffè? 

Recensore Master
16/01/20, ore 11:24

Ciao!
Personalmente, riesco di rado a parlare di Aiolia senza tirare in mezzo il suo defunto fratello. Sarà che nel tragico ci sguazzo, non so.
Dopo la battaglia delle Dodici Case e la conseguente venuta alla luce di tutti gli scheletri nell'armadio di Saga, si suppone che il cavaliere del Leone abbia finalmente trovato un po' di sana pace interiore: invece, così non è.
Un rimpianto covato per 13 anni non può sparire dal giorno alla notte, e penso che Aiolia abbia continuato a chiedersi se, in fondo, Aiolos non avrebbe potuto agire in maniera diversa. Senza lasciarlo solo a lottare contro tutti e tutto, magari. 
Poche parole, ma usate magistralmente!
Ps: 100 punti per il fugace richiamo a Milo e ai suoi pellegrinaggi sulla tomba di Camus!

Recensore Master
15/01/20, ore 15:22

Non si può certamente biasimare Aiolia.
Aiolia si rivolge a Saga?
Brano molto toccante.

Recensore Master
14/01/20, ore 15:39

Il passato è conosciuto. 
Il passato è una mappa già esplorata, un ammasso di cicatrici di cui conosciamo ogni particolare, ogni dolore. 
Il passato non muta mai e ciò lo rende terribile e rassicurante allo stesso tempo. 
Il passato si nutre di rimpianti, il futuro di dubbi - paure. 
Forse la neve non può rispondere, ma la coscienza sì - e grida quando lo fa, non riesce proprio a tacere. 
Capisco profondamente i sentimenti di Aiolia, perché il futuro è privo di orrori per chi crede di poterlo domare e conquistare e che sia suo: per nome e per diritto. Ma per gli altri? Per chi ha già compiuto scelte, sacrificato attimi di tempo, di cuore, di testa; cos'è davvero il futuro, se non una piana bianca e piena di vecchie trappole? 

Al solito, un ritorno che non delude e che colpisce in poche parole - quelle necessarie, alla fine. 

Tè caldo e biscotti? 
(Recensione modificata il 14/01/2020 - 03:39 pm)

Recensore Master
13/01/20, ore 18:52

Sono entrata in Efp con un umore in down. Guardo le ultime storie postate e chi trovo? Francine! *_*
Ammetto di avere un dubbio su colui a cui Aiolia si rivolge. Penso sia Saga, ma sono quasi certa di sbagliarmi.
Speranza o rimpianto? La speranza guarda al futuro. Il rimpianto al passato. Mi chiedo, questo punto, quale sia l'emozione del presente...
Bentornata!

Recensore Junior
13/01/20, ore 16:37

Mi fa piacere leggere qualcosa di tuo, è da un po' che aspetto te lo confesso. Molto toccante questo brano, Milo avrebbe la pretesa di "confortare" Aiolia, o almeno di distoglierlo dai suoi pensieri, come se lui non stesse soffrendo per dipartita di Camus. Il bue dice cornuto all'asino.
Apprezzo molto il dono della sintesi, la capacità di esprimere un concetto in poche righe.

Un abbraccio.

Recensore Master
04/11/19, ore 20:53

Il personaggio di Shura è uno di quelli che più mi comunica malinconia, all’interno dell’universo Saint Seiya (e dire che, di gente disgraziata, c’è n’è a bizzeffe). 
In diritto, è prevista la scriminante dell’adempimento di un dovere: in caso di condotta posta in essere in conseguenza di un obbligo, dunque, il reo, pur avendo commesso il reato, non è punibile. 
Capricorn ci rientrerebbe in pieno, e tuttavia le faccende di coscienza sono un altro paio di maniche: lui, la condanna se l’è inflitta da solo, imprigionando se stesso in un rimorso costante. 
E tuttavia, ciò non è bastato a far sì che il suo ultimo desiderio venisse esaudito: morire in grazia di Atena, sentire almeno una volta la voce di quella Dea che lui non ha riconosciuto. 
Mamma, che depressione. 

Recensore Master
26/10/19, ore 10:25
Cap. 9:

Questo capitolo contiene spunti che si riallacciano alle “riflessioni” da me sviluppate nella recensione al precedente, ampliandone lo spettro; qui, è la dimensione umana, quotidiana a prevalere sul rapporto Dea-cavalieri. La spontaneità con cui i ragazzi presentano quel ramo di Mimosa a Saori l’ho trovata simile a quella di cinque fratelli che omaggino la bella cugina un po’ altezzosa; e lei, di fonte alla semplicità disarmante di un simile gesto, non può che emozionarsi. In maniera discreta, senza scene madri, ma in un modo sufficiente a trasmettere loro la sua gratitudine. 

Recensore Master
26/10/19, ore 10:12

Il rapporto che c’è fra Seiya e Saori è tutto particolare: un Dio non dovrebbe fare favoritismi, ma nel caso di Pegasus a me sembra che si possa lecitamente parlare di “diletto fra i diletti di Atena”. Del resto, il mondo mitologico è pieno di figure simili e, in fondo, la dedizione di Seiya è così indiscutibile, inossidabile e inattaccabile che sarebbe difficile non ripagarla. Questo soprattutto perché Saori, oltre che Dea, è anche umana; e, secondo me, la sua componente mortale molto incide sul legame che ella, negli anni, ha instaurato coi suoi cavalieri, Pegasus in primis. 
Ho scritto solo ovvietà, scusami. Ma ci tenevo a lasciare un commento su un lavoro che, pur vertendo su personaggi che non amo molto (a dir la verità, a me Seiya sta proprio antipatico XD), mi ha colpito per la profondità con cui analizza il rapporto, direi, centrale di tutta la serie. 

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