Err, ebbene... Questa è una cosa difficilissima. Sarebbe pure quella meno complicata, tra quelle dovute (da un sacco, tipo, boh, quattro anni?) e da svolgere in tempi brevi, ma sono comunque in difficoltà. Questa sta male, sono d'accordo con te, senza dubbio. Comunque... Eh, sono in enorme difficoltà, tienilo ben presente, te ne prego.
Cinque capitoli cinque, più epilogo: questo è lo spazio. Il mio essere prolissa, da diarrea verbale quasi, mi fa apprezzare una cosa più delle altre; prima di tutte le altre: la capacità di, uhm, dirò sintesi in mancanza di un vocabolo migliore (chiarezza, immediatezza, misura forse). Dire né più né meno, quello che serve; il narratore al servizio della storia; essere invisibili nel raccontare, ma esserci in ogni frase per raccontare. Difficilissimo da fare, ancor più difficile è riuscire; quando lo vedo fatto, però, esalo gioia e amore tra gli uomini di buona volontà (e rancida invidia, ma pace). Questa cosa fantastica, in te e nelle tua scrittura, io la trovo sempre. Giocassimo a ce l'hai, saresti presidente a vita, sappilo.
Questa sta male bis, oh sì, e divaga da matti.
Come sai, arrivo qui da là, ma è un fattore di tempi, non di qualità; il tuo modo di scrivere lo ricordo bene e l'ho sempre ammirato, sappi anche questo: preciso al millimetro, essenziale, straniante quando richiesto, asciutto e incisivo, una lama. Lo hai intagliato con un punteruolo, I Frutti dell'Oblìo. Tutto questo panegirico per dire: scrivi, racconti un storia, e lo fai in modo che la si segua, che si voglia seguirla; e si va che è un piacere. Lo dico così perché i vari e giusti scrivi bene da morire; hai una fantasia pazzesca, visionaria, da romanzo di fantascienza; sei un ca**o di genio, ca**o, li avrai già sentiti, e altri sanno restituire il talento che hai e dimostri di saper affinare meglio di me. Il senso però è lo stesso, voglio potentemente (bis) che tu lo sappia.
Vado un po' a braccio, abbi ancora pazienza; vado proprio a cosa mi piace, ché non so/oso/posso spingermi oltre il semplice parere personale.
Il primo capitolo, non me ne vogliano gli altri, è il mio preferito; a far quadrare il cerchio, il primo e l'ultimo lo sono (l'ultimo mi ha preso a schiaffoni, ma di quelli che piacciono e servono a chiudere bene), ma il primo in modo diverso, fiabesco, da qui comincia l'avventura (del Signor Bonaventura). Credo sia per le descrizioni; per quel mare di nuvole sotto i piedi di una bimba con un libro in mano, che è un'immagine bellerrima. Sono un po' tonta, però, perché pure il diario di babbo Morar m'è piaciuto tanterrimo. Meglio, meglio: Canos m'è piaciuta tanterrimo; all'ultimo capitolo, con gli schiaffoni, ma sopratutto nel diario, con le corde di luce azzurra e le tende del mercato, i ragazzi coi capelli colorati e tutto quello che c'è dietro a quei capelli colorati; e la notte. Tu ce lo butti subito all'inizio, con il canto, che la notte è amata, e forse per una ragione (non ti si può rimproverare proprio niente, guarda te, perché gli indizi ce li dai tutti). Al capitolo cinque, che te lo dico a fare, c'avevo un pomo di massello in gola: le terre che animano tutto di luce, quello che è vivo e quello che non lo è più, quello che avrebbe potuto e dovuto, ma... Muori tu? Muoio io? La selezione naturale? Madre Natura? Seh, Medea, altroché...
Una scena, a chiusura, suggestiva ma tanto, per quel che fa vedere e capire (e pensare).
La luce delle terre, che è vita; la luce della Solaris, che fa male; la notte a Canos, col fuoco ghiacciato e i canti; Mafé e il suo papà, e il povero Amar, che a cavar loro due parole, auguri; quei due bambini della nave, cresciuti, a vedere quel che hanno solo sentito raccontare: belli, belli, belli. I dialoghi, i personaggi (il Generale Morar, babbo Morar, lui), quello che fanno e come lo racconti: è tutta roba ce mi piace un sacco, e l'impressione si riconferma negli anni. Non rivolti i personaggi come calzini, ad uso e consumo del lettore, e lo apprezzo estremamente (perché, viceversa, è un qualcosa che io non so evitare). Parafrasando: mostri, non telefoni; eppure racconti, perché ti si legge, ti si segue dove vai.
Non sapendomi spiegare, faccio quanto notoriamente fa chi non sa fare (educazione fisica alle scuole medie): delego.
Notte, lunga, vieni,
noi non temiamo il buio,
notte lunga, quiete, pace,
concedici il riposo e il lavoro
culla i nostri occhi, salvaci
dal giorno.
Di luci artificiali ne conosco e ne ho viste d’ogni foggia, ma la luce canossese è ben diversa da quella dei fuochi, delle lampade ad olio, dei fili a incandescenza, dei gas luminosi. Brilla d’un colore azzurro, come il mare cristallino o le pareti di neve, eppure illumina come fosse luce della Solaris, calda e bianca.
La notte canossese, che dura dalle cento alle seicento ore, è amata più del giorno. Canos vive di notte. Vive la notte.
Tanto da adorarla in ogni suo canto, tanto da rattristarsi al giungere di ogni alba.
Faccio fatica a comprenderne il motivo, ma, credo, sia dovuto alla Solaris – e al fuoco gelato di cui tutti parlano, narrano e cantano.
La Solaris risplende senza dar tregua, e la giornata trascorre silenziosa dentro le mura delle case.
Aspettano.
Anche oggi, il tramonto arriverà.
Nel buio più profondo, nel nero in cui nemmeno gli occhi abituati alla stiva erano riusciti ad individuare alcuna forma o profilo o sagoma che fossero, qualcosa comparve.
Prima come un rumore, poi, lento, divenne colore […] fu la sfera a prendere vita: posata, in mezzo a loro […] Bianca, della luce delle stelle lontane. […] Mafé si allontanò dalla luce della sfera, che, nel frattempo, aveva cessato di emanare calore.
“Toccala, se vuoi.”
Amar, fidandosi, poggiò adagio il palmo sull’oggetto: era freddo. Ghiaccio.
“Il fuoco gelato.” capì allora.
“Ma a noi serve la nebbia. E serve la terra.”
Sono solo frammenti, ma sono quelli che hanno catturato di più la lettura. C'è una cosa, poi, e fermami in scivolata sull'Emulsio Facile se equivoco:
Non che servisse essere persone di fine genio, o di grande conoscenza: bastava, in realtà, ascoltare. E prestare attenzione. Senza lasciar perdere, senza disinteressarsi. Senza sorvolare sui dettagli che, incollati l’uno all’altro, formavano il mosaico della storia recente di Canos.
Questo è, o meglio, correggo il tiro: questo mi sembra essere il tuo modo di raccontare; la storia, il mondo che hai in testa. Meglio ancora: questo è, a mio avviso, come andrebbe letta una storia. Meglio al quadrato: come l'autore, nelle sue fantasie più sfrenate, vorrebbe fosse letto/fruito quanto scrive/ha da raccontare. Qua è la mia brevissima, minuscola, miserrima esperienza che tira fuori gli altarini; sentiti libera e felice di scostarti, che do solo via del mio.
Una curiosità, posso? I nomi. È il dio Random che li ha estratti o c'è un nesso, che so, significati, lingue straniere/morte/inventate? No, perché mi piaccio molto; sono musicali, con tante esse e emme e erre... Complimenti al dio Random, nel caso fosse merito suo. Già che siamo in argomento nomi: Terre Rare, ce lo piazzi lì, in alto, fin da subito. Te possino, Kimmy...!
Quando troverò abbastanza coraggio, che so, in un vecchio portafoglio, potrei anche riuscire a metter giù l'affezione che ho per i I Frutti dell'Oblìo/I bambini di Shi'ran. Potrei; vorrei; un sacco; ma farà un male cane, tipo eviscerarsi con le unghie mangiucchiate. Principalmente, è che sono una gran, gran lumaca (e precisina della cippa: una combo da produttività vicina allo zero assoluto, altro che Sacro Aquarius); alla foce, la ragione è tuttavia proprio misera misera... Suona tipo: cosa posso mai dire io a qualcuno che scrive così bene, a qualcuno tanto bravo? E non ti ho detto niente, alla fine; ti chiedo scusa. Quanto vale, però, quanto è fatto bene, costruito proprio, tutto un mondo con la sua storia; quanto sei stata capace a tirarci dentro me e mezzo fandom dei ninja volanti: son cose che sai, spero, e devi sapere; ché una roba tanto grande ti piglia un sacco di tempo, di fatica, di anima, ti piglia via tutte e due le gambe se non di più. Ecco, non servo io per dire che quelle cose lì sono cose grandissime, e il tempo preso o rubato, ma meno male che l'hanno preso o rubato. Ancora mi perseguita da quando la lessi la prima volta, sai? E non ero preparata. Nessuno me lo aveva detto, che mi sarei beccata un TIR in faccia. Che botta, Dio Brando...
Chiudo questa paginata confermando che estinguere popoli in cinque capitoli più epilogo è talento da boss nichilista e intellettuale, da mister Tomino con camicia nera; estinguere popoli con grazia, però, con l'atmosfera da Isola che non c'è o Ventimila leghe sotto i mari. Bravissima tu e bellissima la storia. O viceversa: gnocca tu e genio del male la storia, non sottilizziamo e viva la proprietà transitiva.
Un'ultima cosa ancora, una dinnanzi la quale genuflettersi stile Re Magio: seicento ore di notte. Ripetiamolo, per favore, che qua si parla di sogni ad alto tasso erotico: seicento ore di notte. Passatemi un Kleenex, vi prego, o un Mini-Arrow.
P.S. Stordita che non sono altro: 3° classificata, leggo! Il podio! Santissimissimi, complimentissimi! |