Carissima, ciao!
Questo capitolo è stato davvero spettacolare sotto molti punti di vista, primo fra tutti il suo impicit, questo ricordo che ha un sapore amaro e dolorosissimo per Haldir.
Hai saputo trasmettere alla perfezione la terribilità di quei momenti e soprattutto l'analisi fredda e lucida che il domatore delle anime dei viventi fa nel ripensare a quanto accaduto. Ora, a mente fredda e a posteriori, si rende davvero conto degli sbagli che ha commesso e di ciò a cui ha rinunciato. Ha lasciato che l'odio e la sete di vendetta lo sopraffacessero, rendendolo schiavo di se stesso e facendogli frapporre il suo desiderio di azzannare Zeus a quello di salvare i suoi figli e fidati compagni d'armi. Col senno di poi, si rende conto che avrebbe potuto salvare i suoi figli, che gli sarebbe bastato voltarsi e correre in loro aiuto, che gli sarebbe bastato tornare lucido, calmarsi, lasciare che le nebbie della sua rabbia si dissipassero. Sarebbe davvero bastato un nulla per consentirgli di salvarli, anziché condannarsi a un destino crudele e terribile, sia per loro che per lui, e che è reso ancora più brutale dall'essere arrivato troppo tardi; perché Haldir si rende conto, a un certo punto, che i suoi figli sono in pericolo, rinviene dalla sua furia animalesca e comprende. Ma ormai è troppo tardi. Cerca di salvarli, ma non può, perché non è più il momento. Quello è passato mentre lui era perso nel suo odio. Ed è davvero struggente tutto questo, così come è struggente e doloroso assistere insieme ad Haldir alla trasformazione in Perduti dei suoi figli, tenendo tra le braccia Arkai, che ne diventerà poi il capo. Sotto i suoi occhi, il suo miglior combattente, il suo fido, si tramuta pian piano in un essere terribile e privo di raziocinio, mosso solo da istinti primordiali. Ed è logorante, ma tragicamente realistico, l'abbandono con cui Haldir si offre a loro, con cui concede ai suoi figli di poter prendere la sua vita, ammettendo le proprie colpe e divorato da essere. Ed è interessante che Zeus decida di salvarlo solo per prolungare la sua agonia e punirlo con la vita: perché, sì, non sempre la morte è la peggiore delle punizioni che si possono infliggere, e per un essere immortale come Haldir è di gran lunga peggiore restare in vita, a guardare sempre in faccia le conseguenze dei suoi errori e dover combattere contro di esse, piuttosto che spegnersi per sempre.
Haldir è costretto a convivere con i sensi di colpa, con il dolore di vedere i propri figli tramutati in esseri ignobili, di combattere contro di loro, di tenerli rinchiusi, in una punizione infinita che non hanno meritato e di cui non hanno colpe.
In tal senso, il termine Perduti con cui vengono appellati assume ancor più significato e si tinge di sfumature nuove: non sono perduti solamente perché non sono più Dunedain e perché hanno perso la loro razionalità, ma sono perduti perché è così che sono per Haldir: figli persi, smarriti, perché lui li ha lasciati indietro quando invece avrebbe dovuto renderli la priorità. Il termine con cui sono appellati assume una connotazione affettiva che rende tutto ancora più tremendo.
E questo ricordo ci trasporta poi alla storia e al momento presente, un momento in cui Haldir prende una decisione difficile, ma necessaria: decide di creare un'arma che possa uccidere Arkai, in modo da rendere più agevole l'eliminazione totale e definitiva dei Perduti. C'è una sorta di maturazione, da questo punto di vista: è verto, Haldir è palesemente stanco di queste cicliche lotte senza fine, ma il fatto che abbia deciso proprio ora di tentare di porvi fine definitivamente la dice lunga. Il suo è sicuramente stato un cammino di accettazione, che lo ha portato a decidere di essere pronto a lasciar andare quei suoi irrecuperabili figli. Credo che il loro essere confinati (e riconfinati) fosse necessario, ma anche voluto, come se Haldir non fosse pronto a dire loro addio, come se pensasse che non meritassero la morte, dato che quella condizione era solo ed esclusivamente colpa sua (ed èp vero che non nasce un Kiki in tutte le generazioni, ma non credo neppure che questa sia la prima volta in cui si è venuta a creare un'occasione del genere). Ora è pronto a fare questo passo, e con dignità va a consegnare la sua arma a uno stupefatto Kiki.
I motivi per cui il ragazzo può brandirlo sono realistici e ben motivati, soprattutto se si pensa al temperamento di Kiki rispetto a quello degli altri Cavalieri: mentre loro si sono rifugiati nelle loro case, rifuggendo a priori la vita e quindi facendo una scelta facile e comoda, lui invece la vita l'ha conosciuta, l'ha assaporata e poi ha deciso di tornare indietro, in nome di una fedeltà che si è scelto e non autoimposto. E questo lo rende forte, solido, saldo e tenace, gli dà una connotazione in più che i suoi compagni non hanno e questo, unitamente al suo smisurato Cosmo, gli consente di poter brandire l'arma che potrebbe porre fine a tutto questo. Ciò che lo aspetta non è affatto un compito semplice, come più avanti ci svela Imuen: per Kiki si prospetta un'impresa ardua e pericolosa, che potrebbe avere risvolti tragici.
In tutto questo, apprezzo moltissimo che Zalaia abbia deciso, senza tentennare troppo, di accompagnare Kiki in quest'impresa, per aiutarlo e proteggerlo, soprattutto sapendo che il pugnale potrebbe renderlo umano, privarlo di quella parte di Dunedain per cui ha tanto lottato, per cui ha faticato, per rendersi uguale agli altri del suo branco, per essere accettato. La sua accettazione denota la maturità di questo personaggio, che non solo è pronto a lottare al fianco di una persona con cui ha sempre avuto una sorta di rivalità, ma perché è pronto anche a rinunciare a una parte importante di sé, quella che è preponderante, perché tra i Dunedain ci è cresciuto ed è così che si sente. Ma lui è pronto a prendersi il rischio per un bene superiore. In tal senso, l'addestramento con Cancer potrebbe davvero salvargli la vita: se si ritrovasse umano in mezzo ai Perduti, senza idea su come controllare il proprio Cosmo, sicuramente farebbe subito una bruttissima fine. Ora, invece, ha una doppia arma nel caso non perda il suo lato Dunedain, ma anche un bottone salvavita nel caso in cui invece accadesse. Inutile dire che sono davvero trepidante di leggere di Zalaia e Kiki insieme nella battaglia.
Ultima nota di merito: il rapporto tra Zalaia e suo padre, che sai sempre rendere divertentissimo, ma anche molto profondo. Tra i due c'è tensione, c'è odio, c'è rabbia, eppure c'è anche qualcos'altro che si sta facendo pian paino strada, come quando Cancer si rammarica di non poter recuperare il rapporto con il figlio in quattro giorni e guarda quasi invidioso il legame che ha con Imuen, come quando Zalaia lo invita ad andare al campo con lui, in quella che pare una sorta di tentativo di riavvicinamento. Procedono a piccoli passi, ma procedono, e tu mostri tutto questo in mezzo a scene divertenti, ma mai fuori posto.
Tantissimi complimenti, mia cara: ho davvero amato questo capitolo, intensissimo e preparatorio. La guerra è vicina e la sua ombra si percepisce chiaramente.
Un abbraccio e alla prossima :) |