Eccomi qui con enorme, enormissimo ritardo. Ma come si dice… meglio tardi che mai, no? Ci tengo comunque a porgerti nuovamente le mie scuse, perché è da quattro anni che ti devo questa recensione e solo ora sbuco fuori, spero che varrà almeno una piccola parte del tempo che ti ho fatta aspettare.
Premetto dicendo che ho dovuto leggere la storia un paio di volte, forse perché non conosco i personaggi, forse perché anche io sono piuttosto pignola ed amo sviscerare una storia e godermela nei più piccoli dettagli, ma alla prima lettura (ed un po’ alla seconda) sono stata un po’ confusa. Soprattutto perché sono riuscita a capire chi era chi solo alla fine, grazie a quel «L’imperatore è morto» , ma comunque più volte ho dovuto rileggere alcuni pezzi perché non riuscivo a capire chi parlava. Ci ho messo un po’ anche a capire che Abigal, in verità, fosse il figlio Galoth, perché all’inizio pensavo fosse il padre xD Ma forse sono io che sono un po’ lenta a capire le cose.
Coomunque sia, ho iniziato dal peggio (che così male non è! xD), ma da ora in poi è tutto un crescendo in positivo, perché ho davvero amato questa storia.
Rimanendo sempre in tema “personaggi”, da quanto mi ricordo (ed ho una buona memoria, quindi mi ricordo bene), i tuoi personaggi sono sempre molto particolari, molto ben caratterizzati e diversi dai soliti personaggi di cui si legge, anche se per alcuni aspetti molto simili ad altri dei tuoi. Be’, io per ora posso confrontarli solo con Lucius e Ahmad, ma sia con le vicende sia con i personaggi in sé per sé, ho trovato delle sottili somiglianze. Niente che me li faccia disprezzare o mi faccia pensare che siano poco originali per questo motivo, sia chiaro! Semplicemente credo che questo denoti come ogni personaggio sia tuo e solo tuo! E credo che per una scrittrice di fantasy questo sia un traguardo importante! Spesso ho letto storie che cadono nel banale, soprattutto per quanto riguarda i personaggi, e che perdono tanto nella loro originalità proprio per questo. Ma fortunatamente non è il tuo caso! I tuoi personaggi sono vivi e vivono, non nel senso letterale del termine (perché alla fine Sorot, con mio sommo dispiacere, muore), ma nel senso che anche in un ritaglio di spazio e tempo così delimitato, attraverso i loro ricordi e pensieri si capisce cosa hanno vissuto e provato e come sono cambiati e cresciuti nel corso del tempo. Non sono personaggi statici e fissi, ma con una storia dietro, con un passato alle spalle che gli pesa come un macigno, demoni che li sovrastano. Ci sono Sorot e Galoth, un imperatore e il suo vassallo, due migliori amici che per tante vicissitudini si sono ritrovati ad odiarsi, pur non smettendo mai di amarsi. E proprio questo conflitto li ha portati a tormentarsi, a creare delle crepe nelle loro anime, a “impazzire”. Perché, al contrario del titolo Amare i propri demoni. Riappacificarsi con se stessi. Per non impazzire. nessuno dei due ci riesce. Entrambi amano i propri demoni ma nessuno dei due riesce a riappacificarsi con se stesso, ed anche se sembra che almeno Sorot ce la faccia, alla fine, nemmeno lui ha la certezza che questo durerà fino all’indomani.
Mi piace come ci hai fatto scoprire nel corso di tutta la narrazione sempre più dettagli e frammenti del passato, frammenti del loro rapporto e di come questo sia rimasto un elemento fondamentale in loro, pur essendo passati nove anni senza essere in contatto. Questo fa capire come possa essere profondo questo legame, questi sentimenti di odio e d’amore tanto forti che li hanno portati più volte a cercare di uccidere la persona che più amavano, tanto che alla fine Galoth lo fa, uccide Sorot, condannandosi ad impazzire.
Mi piace anche come tu abbia inserito anche altri personaggi secondari ma con un ruolo comunque importante: c’è Abigal, che ricorda continuamente a Sorot chi sia il vero padre naturale, che gli ricorda il tradimento della moglie e del miglior amico ed è sorprendente (ed in realtà non più di tanto) come risulti che gli pesi di più quello di Galoth e non di Anneleise. C’è il padre di Galoth, duro e austero come le montagne, un grande guerriero sovrastato da demoni più grandi di lui, avvelenato lentamente dalla moglie tanto amata ma verso cui provava un enorme rimpianto, che alla fine, al momento della propria morte, riesce a mostrare un po’ di umanità. E ce ne sono altri, tipo il fratello maggiore di Galoth che l’ha deriso per il colore dei suoi capelli, ma mi fermo qui perché credo che le cose più importanti le ho già dette e perché voglio concentrarmi anche su altro!
Altro come il tuo modo di scrivere ed il tuo stile, che ammalia il lettore e lo incatena alla lettura, impedendogli di distogliere l’attenzione prima della fine, ed anche lì tormentarsi per il finale a cui sono destinati i personaggi.
Il lessico che usi è ricco e particolare, tanto che a volte sono stata costretta a cercare alcune parole sul dizionario xD sì, mi sono sentita un po’ ignorante, ma mi hai aiutato ad arricchire il mio vocabolario per lo meno (anche se dubito che mi ricorderò mai l’aggettivo “ieratico” xD). Inoltre adoro come “giochi” con le parole e come le combini tra loro in pezzi come:
- il nome che fino a poco prima spingeva sulla punta della sua lingua
- selva di mobili in legno pregiato
- quegli stessi occhi incastonati per sempre nel volto del proprio primogenito
- sue parole risuonarono deboli, come se avessero dovuto percorrere una distanza infinita dentro di lui prima di poter emergere dalle sue labbra.
- le labbra piegate appena nell’eufemismo di un sorriso
E ce ne sarebbero tante altre, ma mi limito qui o rischierei di citarne veramente troppe!
Ripeto ancora quello che ti avevo detto per “Le cinque e una notte.” perché vale anche per questa storia (stesse identiche parole perché non saprei come altro dirtelo): le descrizioni sono inserite nella narrazione con estrema naturalezza, permettono di farsi un’idea generale dell’ambientazione e dell’aspetto dei personaggi, senza aver bisogno di eccessivi dettagli che appesantiscono la lettura.
Inoltre, facendoti i complimenti perché scrivi davvero bene, ti faccio notare solo tre sviste piccolissime (e sì, sono pignola, l’ho già detto xD):
1) da Hartaigen il fratricida, detto Arbitrio, sino ai fratelli di Galoth in un infinito […] --> ti consiglierei di aggiungere una virgola dopo Galoth.
2) nel posto che gli aspettava accanto ai suoi antenati . --> non so se qui, con il corsivo, si nota, ma prima del punto hai inserito uno spazio di troppo.
3) ma eventi del genere sono releganti nella leggenda, --> credo che volessi dire “relegati”?
Lasciando da parte queste piccole sviste che, davvero!, non contano nulla, vorrei citarti alcune parti che mi sono particolarmente piaciute. In realtà sono tante, ma ti cito quelle essenziali anche qui, quelle che mi hanno colpito maggiormente!
- Era bello, disperato e ubriaco da far male e quando Sorot lo guardò pensò di non averlo mai amato e odiato così tanto, mai al punto di non capire più quale fosse la differenza. -> insomma, credo che questa frase racchiuda un po’ tutta l’essenza di tutta la storia e dei personaggi. Sorot e Galoth sono questo: si amano e si odiano tanto da star male ed essere disperati (disperati fino al punto che Galoth è costretto ad uccidere Sorot, ed alla fine della storia per un attimo, un attimo solo, ho sperato quasi che non fosse andata così, che Galoth perdonasse Sorot e viceversa. Ma poi mi sono fermata a riflettere e credo che invece diversamente proprio non poteva andare. Altrimenti non sarebbero stati Sorot e Galoth, ed il loro legame non sarebbe stato tanto profondo da stare male.)
- «Non sono io che non ti lascio fingere. Sei tu che mi guardi e non vedi più la stessa cosa.» questa battuta mi ha colpito molto. Anche perché poco battute dopo Galoth dice a Sorot di fingere di averlo perdonato e perché è vero, come ci dice il narratore, che Sorot non vede più Galoth come prima, perché gli ricorda troppo il figlio/figliastro ed il tradimento del suo miglior amico e di sua moglie. Insomma, mi ha colpita parecchio. Così come la frase che si trova poco dopo Perché a tormentarlo nel profondo, più ancora del tradimento di Galoth, era il fatto di averlo perdonato. ed il bisogno di Sorot di giustificare quel perdono cercando di ucciderlo, come se si sentisse in colpa di ciò.
- Il suo amore non aveva fatto che alimentare quella collera ardente e solo in quel momento, solo davanti alla morte, la sentì scivolare lentamente fuori dalla propria anima, lasciandolo solo con il proprio tormento e con il desiderio di sdraiarsi accanto a lui sull'erba e morire a propria volta. -> chiudo con questa, con una delle ultime proposizioni della storia e con una delle più significative. Finalmente Galoth si libera della sua collera, quella provocata dal tentativo di Sorot di ucciderlo, ma non dei suoi demoni né del suo tormento, perché non avrà mai la possibilità di riappacificarsi con se stesso, né con l’amico, e decide di non morire ma di condannarsi a vivere con questo tormento, come forma di “espiazione”, ma questo è quello che piace credere a me xD
Chiudo la mia recensione qui, sperando che tu l’abbia gradita e che mi sia fatta perdonare almeno un po’ per… per questi quattro anni di ritardo. Per l’altra recensione, purtroppo, devo chiederti di aspettare ancora. Insomma, tra un esame e l’altro mi ci è voluto un po’ per scrivere questa e tra poco mi ricominciano le lezioni all’università ed avrò sempre meno tempo a disposizione. Però stai tranquilla! Non ti farò aspettare altri quattro anni xD
Complimenti ancora e a presto! ;) |