TOKYO, 24
OTTOBRE
Pioveva. Scendeva talmente tanta acqua dal cielo che sembrava dovesse
allagarsi l’intera Tokyo. Kathy era accoccolata sul divano che scriveva sul suo
taccuino e continuava a rosicchiare la matita ogni volta che si fermava alla
pagina Genzo Wakabayashi. Le cose sembravano essersi sistemate. Apparentemente,
perché lei si era semplicemente rassegnata a fare finta che tra loro non fosse
mai successo niente. In fondo, non era successo niente tra loro. Molto
probabilmente Wakabayashi si era soltanto un po’ preso gioco di lei,
gliel’aveva fatta credere un po’… oppure era stata lei ad illudersi e farsi
troppe fantasie.
In ogni
caso avrebbe voluto chiarire la situazione. Le interessava sapere come avrebbe
dovuto comportarsi, visto che, nelle occasioni in cui erano presenti entrambi
nel gruppo, il dialogo si limitava a sguardi omicidi tra Genzo e Sanae, tra
sguardi bassi tra Genzo e Tsubasa e saluti formali, asettici e freddi come il
ghiaccio tra Genzo e lei. Prima di tornare a casa, dato che avevano finito
tardi con le lezioni, erano passate dal campo sportivo e Kathy aveva suggerito
a Sanae di fermarsi a casa del suo adorato capitano.
Lei era
rimasta ancora qualche minuto a guardare il severo allenamento che Tatsuo
Mikami aveva imposto a Wakabayashi e Wakashimazu. Poi, era andata via, non
resistendo all’idea di aspettarlo anche perchè le sembrava davvero una mossa
patetica.
Avrebbero chiarito, certo, ma in
un'altra occasione.
Ripensando al pomeriggio, giocherellò con i cordini della gonna sportiva
che aveva acquistato in un grande negozio di articoli sportivi. L’aveva visto
in vetrina, un completo azzurro e rosa chewing-gum. Era entrata per provarlo, e
nonostante il fatto che le sue corsette mattutine non abbandonavano mai quella
sinuosa quarantadue, il modello in questione le stava in modo incantevole.
Sul
display del suo cellulare apparve all’improvviso il nome di sua madre. Il
cellulare era sempre silenzioso, quando chiamava sua madre, una forma di
indifferenza.
Della serie: ‘Se proprio mi va
ti rispondo, altrimenti lascio perdere senza offenderti’.
Inspirò profondamente prima di
accettare la comunicazione. Venne
travolta dalla voce acuta della madre, passò i primi dieci minuti in silenzio
assoluto, limitandosi ad ascoltare i severi rimproveri della signora Mahlstedt
riguardanti il menefreghismo di una figlia ingrata. Era palese che fosse
successo qualcosa che l’aveva turbata.
“Mamma, hai visto papà?”
Dall’altra parte, silenzio.
“L’importante
è che tu non venga a Monaco. Tanto so che prima o poi verrà a cercarti...
quando la sua SEMPRE GIOVANE mogliettina lo abbandonerà per un altro, lui
tornerà da me ed io lo tratterò come si merita. Non fidarti degli uomini,
bambina mia. Sono tutti dei gran vigliacchi”.
Kathrin
era esausta. Sua madre era l’unica forza della natura che la devastava in poco
più di otto minuti.
Dopo Genzo Wakabayashi,
naturalmente.
“Quello che ti sfugge, è il
fatto che io, da quando ho otto anni voglio conoscere mio padre. E non è giusto
che tu non mi voglia dire chi sia. Ho accettato per troppo tempo questo tuo
comportamento egoistico. È ora di smetterla. Sono cresciuta e so badare a me
stessa. E per quanto riguarda la mia vita, abbandonala pure come hai fatto con
la mia persona, pensa al tuo splendido lavoro e alle tue relazioni instabili.
Sopravvivrò. Ma sappi che prima o poi io incontrerò mio padre, e chissà che non
scopra che è una persona migliore di te”.
Ancora
una volta non le aveva rivelato nulla. Sbuffò e si crogiolò un po’ tra le
coperte colorate del divano. Se non fosse che l’unica a rimetterci sarebbe
stata lei, glielo avrebbe fatto per dispetto a sua madre di trovarsi l’uomo
sbagliato. Ma forse non c’era neanche bisogno di meditarla questa cosa: già
l’aveva trovato chi corrispondeva ai requisiti richiesti. Sentì bussare alla
porta e convinta che fosse Sanae ad aver dimenticato qualcosa e aprì senza
nemmeno chiedere chi si trovasse dall’altra parte.
I jeans
larghi e scuri erano bagnati tanto quanto il cappellino e la maglia a maniche
lunghe beige che gli si era appiccicata addosso, sottolineando ancora di più
quei muscoli perfetti che il SGGK sottoponeva quotidianamente a pesanti
allenamenti.
Si
ritrasse portandosi una mano sullo stomaco. Un’onda d’urto l’aveva appena
colpita e le mancava il fiato, pensieri si accavallavano l’uno sull’altro e
sentiva le forze venirgli a mancare, probabilmente sbiancò data la reazione di
Genzo che si voltò e tornò da dove era venuto, di nuovo sotto la pioggia. Lasciò che percorresse qualche metro e poi
lo rincorse finendo sotto la pioggia anche lei, mentre i lunghi capelli di
miele sciolti si bagnavano lentamente.
Scalza si
avvicinò a lui che si era voltato e gli tolse il cappellino per guardarlo negli
occhi. Braci che vedeva annebbiarsi sempre di più. Abbassò gli occhi a terra,
sentì le dita ruvide di lui sfiorarle il mento e le labbra scottare. Un brivido
le percorse la schiena, era ferma e sembrava non rifiutare quel bacio. Bacio
che stava per farsi più profondo, più passionale.
Genzo le
circondò la vita, strinse il suo corpo morbido contro il suo e lei si arrese a
quella dolce tortura circondandogli il collo e alzandosi in punta di piedi.
“Entriamo
in casa”, gli disse poi sottovoce prendendolo per mano. Aveva appena spalancato
le porte del suo cuore ad un uomo e questo non faceva che provocarle un
turbinio di emozioni che la stordivano.
Nella
saletta, lui la attirò ancora una volta a sé e lei gli appoggiò le mani sul
petto. Sentiva il cuore di lui battere quasi fino a voler scoppiare, in
sincronia con il suo. Stettero così, allacciati teneramente, come a voler
rafforzare qualcosa che esisteva da tempo, ma che non aveva ancora avuto la
forza di uscire allo scoperto, mentre una tenda svolazzava alle loro spalle con
il soffio gentile del vento. Non parlarono, continuarono a fissarsi
reciprocamente e abbandonarsi a piccoli gesti affettuosi.
Gli
sembrava una ragazza maturata troppo in fretta, così sola, così spaurita, così tesa.
“… io non ti merito”
Sussurrò stringendosela al petto
e abbracciandola come qualcosa che stava per essergli portato via dal suo più
crudele nemico.
Lei
sbarrò gli occhi, intimorita da quelle parole, spiazzata per il gesto e succube
dei proprio sentimenti… lo amava, lo amava con tutta se stessa e dal
momento in cui aveva ancora una volta osservato quegli occhi profondi, senza
quella metodica visiera, era di nuovo caduta nella sua trappola e si era arresa
a ciò che provava per lui.
Anche se
poteva crederci a fatica, lei, semplicemente lo amava.
Provò a
muovere qualche passo all’indietro senza mai staccare le labbra da quelle del
ragazzo. Trattenendo tra i pugni delle sue mani, che sembravano non voler
smettere di tremare, la stoffa sottile della maglietta di lui, lo avvicinò alle
scale, salendo lentamente un gradino alla volta, trascinandolo
inconsapevolmente in qualcosa che non conosceva, guidata dal cuore, senza poter
ribellarsi anche se lo vedeva seguirla pericolosamente, senza accennare a
rinunciare a ciò che lei gli stava offrendo: il quale altro non era che se
stessa.
La stava
baciando sul collo e quei baci sembravano ustionarla, seguendo una strana scia
che le provocava continui brividi per la schiena, baci che la inebriavano di
emozioni… riuscì in preda al panico ad aprire la porta della propria stanza e a
trascinare all’interno il ragazzo.
Si staccò
da lei e la fissò come per chiederle una sorta di assenso, lei sorrise un poco
e riprese a baciarlo mentre una strana paura le stava attraversando la mente.
All’improvviso il filo dei suoi pensieri si ripiegò sul viso crucciato di sua
madre. Le aspre frasi che spesso rivolgeva al padre che lei non aveva mai
conosciuto la raggiunsero pericolosamente.
Così, anche se le braccia salde
di Genzo la avvolgevano e le carezze che si sparpagliavano per la sua schiena
le stavano facendo provare sensazioni sconosciute, dovette ammettere a sé
stessa che temeva l’abbandono.
PROMO MIDDLE
CHAPTER - 26 OTTOBRE 20,45
Proprio non la capisco. Cos’è Kathy in
realtà, un alieno?
Va bene, ci conosciamo da poco. Lei è il perfetto contrario di
me e per farla parlare devi lottare con quegli occhi disarmanti. Sempre
nascosta dietro quel sorriso dolce… Lo so, è per sua madre.
Dio, mi ha fatto quasi impressione sentirla parlare al telefono
con lei. Forse è perché, al contrario di lei, il rapporto che ho con la mia di
mamma è fin troppo buono. Poi, le volte che ci scontravamo anche solo per
qualche sciocchezza, io avevo sempre Tsubasa e la squadra da seguire… Ecco,
probabilmente è cresciuta in modo diverso da noi. Tutti quei libri di Freud
sulle mensole, quelle collane interminabili di opere shakespeariane e le serie
rilegate degli antichi scrittori greci e latini.
Sembra tanto lontana dal Giappone, nel modo di essere, nel modo
di fare, nel modo di guardare le persone… ne ho viste di ragazzette infatuate
del mio Tsubasa o degli altri, sbraitare e piangere come fontane sugli spalti
dello stadio, accalcarsi sugli autobus e soprattutto maledirmi quando
sfogliavano i tabloid.
Genzo poi… ma cosa diavolo ha fatto?! Capisco che provarci con
ogni esemplare di femmina vivente sulla faccia della terra sia il suo gioco
preferito, ma la guardava in un modo… insomma, non lo so, mi è sembrato tanto
strano. È due giorni che Kathy non apre bocca, se non riguardo allo studio. Ho
sbagliato? Dovevo avvertirla che proprio loro erano i miei amici?
Sono un’idiota. Per me è tutto normale, li conosco da quando
eravamo un metro e venti, ma lei, chissà cosa avrà pensato… lei che è sempre
così riservata, non avrà mai il coraggio di buttare fuori quello che ha pensato
o di urlarmi in faccia che sono una deficiente fatta e finita.
Kathrin è davvero una persona fuori dal comune. Ha una costanza
e una testardaggine che quasi fronteggiano quella di Kojiro. E’ intelligente,
furba e inesauribilmente altruista. Si nasconde dietro la sua bellezza europea,
quell’alone dorato e quel profumo intenso di vaniglia che la circondano… La
classica ragazza modello che ogni genitore vorrebbe avere: dedita allo studio e
alla cura del proprio corpo.
Razionale, troppo razionale. È capace di farmi aspettare dieci
minuti prima di rispondere alle mie domande. Ha una voce tanto dolce e
melodiosa che sembra non voler mai regalare a noi poveri mortali. Qualche sera
fa, lavando i piatti l’ho sentita canticchiare una nenia tedesca. Quasi me la
immaginavo con un peplo addosso.
Se, se, se… se non fosse per quel suo mutismo, la sua
terrificante indecisione e l’insicurezza che la tormenta, bisognerebbe
clonarla. Altro che me! Qualcuno la insulta? Lei abbassa la testa e si scusa
anche se ha ragione. Guai ad ammettere che qualcosa le sia riuscito in modo
impeccabile: “Potevo fare di meglio”. Un disco rotto.
Sono contenta di aver trovato una coinquilina così. E anche se
riesce a riempire i pensili della cucina di post-it perché è una smemorata, è
davvero una persona magnifica.
Non ho ancora capito di cosa riempie quel blocchetto di
corteccia e non ho il coraggio di chiederglielo. L’ho già vista tante volte,
quando conosce nuove persone, affondare là dentro e rispuntarsene fuori dopo aver
girato pagine e pagine.
Ecco, appunto… saranno venti ore in due giorni dalla sera della
mangiata che sbuca fuori a frasi fatte: “Quand’è il compleanno di Kojiro?”
oppure “L’ultimo gol in quella partita l’aveva fatto Jun?” o, ancora peggio:
“Davvero sono piaciuti loro i miei biscotti o sono delle fogne e mangiano di
tutto?”.
TOKYO, 1 NOVEMBRE
Un raggio
di sole filtrava tra le veneziane che aveva dimenticato di chiudere la sera
precedente. Le tende si muovevano facendo entrare nella stanza l’arietta
fresca. Aprì gli occhi e si accorse che nonostante al suo fianco le lenzuola
fossero stropicciate e il cuscino sgualcito, le prime erano state leggermente
ripiegate. A quel punto, le lacrime le salirono agli occhi tormentandola e
mille domande si affollarono nella sua mente. Guardò la sveglia sul comodino e
si rese conto che la luce del giorno le aveva rovinato il sogno della notte
passata.
E se
fosse stato soltanto un sogno? Si riscosse e infilandosi gli indumenti
abbandonati a terra, dopo aver preso l’occorrente si diresse verso il bagno.
Mentre
l’acqua calda le correva sul corpo ripensava a tutte le sensazioni nuove che in
quella notte aveva provato e constatò che questa l’avevano spiazzata… aveva
fatto la cosa giusta? E cosa avrebbe pensato di lei che si era totalmente abbandonata
senza opporre resistenza? E, soprattutto, perché le era sembrato che lui la
desiderasse? Perché anche se l’acqua scorreva sentiva ancora l’odore della sua
pelle sul proprio corpo?
Genzo
correva come un pazzo per il perimetro del grande campo sportivo dove si
allenava in quei giorni la nazionale.
Appena si era svegliato e l’aveva vista dormire beatamente al suo fianco, aveva
iniziato a porsistrane domande e, mentre il filo dei suoi pensieri si faceva
sempre più ingarbugliato, era letteralmente scappato per distendere i nervi e
correre.
In quel caso, gli sembrava
essere la cosa più conveniente sia per la sua forma psicologica che quella
fisica. Così, si era allontanato lasciandola nel mondo dei sogni, sola nella
sua stanza. Non riusciva a giustificare cosa quella notte era accaduto tra di
loro, non riusciva a trovare il modo di credere che fosse stata la cosa giusta.
Considerava quella ragazza
l’ossigeno che aveva imparato a respirare nuovamente e dipendere così da lei
sembrava tormentarlo e angosciarlo sempre di più. Esausto ritornò indietro,
tempestandosi di domande a cui non trovava risposta.
Non avrebbe mai voluto che lei
pensasse alla notte appena trascorsa come una notte qualunque, perché ora lui
era riuscito ad ammettere con se stesso che Kathy rappresentava non solo un
pilastro importante nella sua vita, ma era in realtà l’unica persona in grado
di capirlo e sostenerlo in ogni situazione.
Girava il
cucchiaino nella tazza di tè che le stava davanti e osservava la sua mano
tremante sfuocarsi a poco a poco e i suoi occhi annebbiarsi lentamente per
affogare di nuovo nelle lacrime. Si sentiva persa e totalmente incapace di
reagire, si sentiva un esserino da proteggere ed era uno di quelli che riteneva
fossero i suoi peggiori difetti.
Sanae
comparve all’improvviso senza nemmeno accorgersi di lei che piangeva
sommessamente, appoggiata con la fronte su un braccio. Si sedette e solo in
quell’istante si rese conto della situazione che sinceramente a primo impatto
avrebbe davvero voluto evitare, poi si diede della stupida e allungò una mano
per accarezzarle la testa. Kathrin schizzò su affrettandosi ad asciugarsi le
lacrime e cercando di dargli un buongiorno almeno simile a quello che voleva
augurare.
“…ehi, che è successo?”.
Voltò il viso per evitare lo sguardo preoccupato della ragazza
che continuò sommessamente: “…Kathrin, a me puoi dirlo…”.
In quel momento aveva solo bisogno di qualcuno che la
abbracciasse e le dicesse di non preoccuparsi, ma si voltò impulsivamente
perdendo il controllo e scoppiando in un pianto disperato. Rivelò alla ragazza:
“…noi… abbiamo fatto l’amore”
Lì per lì Sanae rimase perplessa. Non riusciva ad afferrare il
perché Kathy fosse così turbata per un gesto così bello e naturale. ma capì che
doveva essere successo qualcosa di davvero pesante se l’amica stava così
male.La abbracciò e accarezzandole i capelli, lasciò che si sfogasse e
liberasse il suo cuore dall’angoscia.
Ripresasi un poco, Kathy tirò su
col naso e la ringraziò. “Sanae, se fossi al posto di Genzo e una ragazza
facesse quello che ho fatto io, cosa penseresti di lei… sii sincera!”.
Sanae la guardò per un istante allibita e poi sorrise
dolcemente. “Ma Kathrin… io credo che Genzo sia pazzo di te… non si era mai
comportato così, non aveva mai considerato una mia predica. Non puoi pensare
che ti giudichi con tanta insensibilità”.
Kathy la interruppe: “Dici… davvero?”.
L’amica annuì. “Scommetto che ora come ora sarà più angosciato di
te”, la prese in giro sorridendo.
Kathrin abbozzò un sorriso tirando su col naso per l’ultima
volta.
Gli
allenamenti erano finiti da più di quaranta minuti. La brutta abitudine di
Tsubasa, spesso seguito dal portiere, era quello di lasciare gli spogliatoi per
ultimi.
Il
capitano si abbandonò su una panca ancora tutto bagnato e aspettava che l’amico
si decidesse ad aprir bocca. In dieci anni che lo conosceva non aveva mai visto
il SGGK starsene muto tra i pali e quel giorno, fatidicamente, era accaduto.
Genzo
stava arrotolando e cercando di infilare l’accappatoio nel borsone, quando
Oozora, stufo di aspettare, si arrese esclamando: “Dai, sputa il rospo!”.
L’altro alzò lo sguardo e calcandosi il cappellino sugli occhi, iniziò a
parlare, non senza difficoltà: “Tsubasa… io e Kathrin…”.
Il
capitano si tirò su in piedi e diede a Genzo una pacca sulla spalla: “Benvenuto
nel mondo dei succubi”.
Quel
ragazzo tanto innamorato del pallone, dopo essere entrato nel mondo del calcio
ed essere venuto a contatto con il multicolore continente sudamericano, aveva
rivelato senza troppi giri di parole i propri sentimenti. Sorprendendo così
tutti quanti quelli che avevano sempre sostenuto che non si sarebbe mai accorto
di Sanae.
Il
portiere, piccato, stava per controbattere, ma Tsubasa non glielo permise.
“Genzo, con me è inutile. Si vede lontano un miglio che stai perdendo la
testa”.
La
conversazione fu interrotta dallo squillare insistente del suo cellulare. “Visto?
– disse ironicamente al portiere – sa anche quando esco dalla doccia… ciao
manager”.
Dall’altro capo del filo, la voce di Sanae squillava agitata: “Tsubasa,
ti prego, fa’ una ramanzina a Genzo. Io ho trovato il modo di portare Kathy a
casa tua, ci vediamo fra un paio d’ore” e riattaccò.
Tsubasa
finì di vestirsi in silenzio, e quando chiuse la cerniera della sacca si
rivolse a Genzo che stava sistemandosi i capelli davanti allo specchio. “Dammi
le chiavi che guido io e vieni a casa mia che dobbiamo parlare. Niente
repliche”. Sembrava proprio un papà che deve sgridare il figlio quattordicenne
che ha fatto uno sbaglio. Arrabbiato e intransigente, si sbatté la porta alle
spalle e lasciò il complesso seguito da un Genzo alquanto perplesso.
Sanae gridava dal piano inferiore: “Tu hai
bisogno di uscire, Kathy!”, l’altra non rispondeva e lei incalzava: “Dai,
scendi! Altrimenti i negozi chiudono”.
La testa
di Kathrin fece capolino dalle scale “Sanae, tu va’, compra quello che devi e
passa da Tsubasa. Poi ci vediamo domani, io devo finire di studiare”. Intanto
aveva iniziato a scendere le scale e man mano che si avvicinava all’amica,
vedeva sul suo volto dipingersi un cipiglio severo. “Tu vieni con me e mi
consigli, me lo avevi promesso. E se non ne hai voglia non c’è problema, ti
porto di peso!”.
Kathy era
quasi spaventata dal tono della voce con cui l’amica le si era rivolta .“Non so
cosa mettermi”, cercò di temporeggiare, ma l’altra le bruciò il piano. “Sai
meglio di me che potresti venire anche in pigiama, che staresti bene
ugualmente, non cercare scuse che non esistono”. Aveva ragione. In fondo,
doveva soltanto accompagnarla e distrarsi un pochino non avrebbe potuto farle
alcun male. La guardò e si arrese: “Mi metto le scarpe e arrivo”. Sanae ghignò
e si infilò la giacca di pelle, aspettandola sulla porta.
Stavano
camminando in una delle vie del centro e Anego parlava allegramente, come se
avesse dimenticato tutto quello che era successo. “Ho pensato di andare in un
bel negozio di articoli sportivi. Ho visto una maglia che sembrava disegnata
apposta per il mio Tsubasa”, le mani di Sanae si strinsero e si avvicinarono al
viso che aveva assunto una maschera sognante. Kathy sorrise, facendo finta di
non conoscerla, poiché i passanti la guardavano incuriositi. Doveva amarlo
proprio tanto. Per Sanae, Tsubasa era qualcosa di veramente importante: il loro
rapporto era basato sul bisogno reciproco l’uno dell’altra, e lei, era disposta
a seguirlo ovunque.
E lei,
invece? Cosa aveva intenzione di fare? Avrebbe avuto il coraggio di abbandonare
per prima l’orgoglio e far capire a Genzo che tra loro poteva nascere qualcosa
di prezioso?
Il
negozio si estendeva in un piano di mille metri quadri, diviso in settori.
Basket,
Tennis, Pallavolo, nuoto, sci e tanti altri.
Senza
nemmeno pensare, si diressero verso il reparto di calcio. Quest’ultimo era
diviso in due larghi corridoi di scaffali, dove scarpe di ogni tipo si
estendevano per la maggior parte di spazio. In uno stand, appese con cura,
brillava il bianco delle divise della nazionale.
Sanae
guardò Kathy sollevandone una: “Che dici, gliela compriamo la maglia di
Oozora?”. Scoppiarono a ridere e una giovane ragazza si avvicinò a loro
interrompendole: “Posso esservi utile?”. Sanae si ricompose e si voltò
indicando uno scaffale. “Vorrei vedere
“Genzo,
non puoi fare così! Kathrin non è Sanae… ti conosce da troppo poco tempo e lo
sappiamo tutti come ti comporti con le ragazze”.
Genzo si
faceva passare nervosamente un bicchiere tra le mani. Tsubasa sembrava
arrabbiato ed era ormai un’ora che lo aveva inchiodato al tavolo della cucina
con le sue ramanzine da bravo ragazzo. Quasi sembrava Misaki modello incazzato
e questo, non faceva che innervosire il portiere. Se non gli aveva ancora
risposto a dovere era perché il ragazzo non aveva sbagliato un colpo.
“Con lei
è diverso”.
Tsubasa
si sorprese nel sentir pronunciare quelle parole. “E allora? Lo vedi che sei un
cretino! Se continui così, rischi di perderla”. Stava perdendo le staffe,
quando la porta si aprì e le due ragazze entrarono in casa.
Le
vittime della situazione furono Kathy e Genzo. Si fissarono senza nemmeno
salutarsi. Rimasero fermi, divisi da una decina di metri. Kathy strinse i pugni
intorno ai manici della borsetta e il portiere posò bruscamente il bicchiere
sul tavolo. Il SGGK non accennava ad arrendersi e Kathy cercò di mantenere
intatta quel poco di dignità che le rimaneva.
Tsubasa,
nel frattempo, si era provato la maglia che Sanae gli aveva regalato e
sgattaiolò via di casa, seguito dalla manager, dopo che questa gli ebbe dato un
pizzicotto sul braccio. “Noi andiamo a cambiarla, ha sbagliato taglia”. Sanae,
gentilmente si rivolse all’amica. “Non ho portato le chiavi di casa” e
aspettando che Kathy le porgesse le proprie, guardò Genzo fermamente. “Vi
lascio queste di Tsubasa. Voi avete bisogno di chiarirvi”, e chiuse con un
tonfo lo spesso pannello blindato.
Scattò
come una molla per lasciare quell’appartamento.
Sapeva
che se fosse rimasta un minuto di più gli si sarebbe gettata tra le braccia.
Quei
tormentosi pensieri che le occupavano la mente nell’ultimo periodo la
innervosivano più del dovuto e lei vedeva sfuggire la propria razionalità come
il sole al tramonto. Si diresse a falcate verso la porta d’ingresso, ma Genzo
le strinse un polso in una presa gentile ma decisa. La stava fermando ancora e
quel semplice contatto le aveva fatto crollare tutte le difese che stavano
frantumandosi come vetri al suolo.
L’avvicinò a sé e la baciò con passione. In un primo momento si abbandonò
al ragazzo, poi, all’improvviso lo allontanò facendosi spazio.
Genzo la
guardò perplesso. Non aveva il cappellino, non stava nascondendo le sue
emozioni sotto quella maledetta visiera, a modo suo stava cercando di rendersi
più “malleabile” con lei. Si perse per qualche secondo nel mare dei suoi occhi
scrutandone attentamente la profondità, ma Kathy sembrava non voler cedere.
“Una
relazione non può basarsi solo sull’attrazione fisica, Genzo!”.
Perse il
controllo e lui le cinse le spalle per fare in modo che lo guardasse in viso,
poi, non ottenendo risultati sfoderò l’ultima arma che gli era rimasta: “Schau
mir in die Augen... hättest du etwa von mir gedacht, dass ich so etwas tun
könnte...”[1].
Sollevò
lo sguardo e una smorfia di sorpresa le si dipinse sul volto.
“Aber du... wieso kannst du deutsch sprechen?!”[2].
Il suono duro e gutturale del
tedesco era profondamente diverso dalla musicalità della lingua a cui era
abituato, ma il modo in cui lei pronunciava ogni singola parola possedeva
un'armonia e una grazia tutte particolari.
Si
riscosse e continuò: “Aantworte mir!"
[3]e fu così costretta ad ammettere, non tanto a lui quanto a se stessa che la
risposta era un secco: “Nein!”[4].
Cominciava a non capire perché il discorso non arrivava a conclusione,
Kathy stava in silenzio, ferma davanti alla sua figura imponente.
“Und nun...?".[5]
Lei
sbottò, liberandosi in uno sfogo infantile. “Non dovevi lasciarmi sola!”. Lacrime
copiose iniziarono a rigarle il volto.
La
strinse tra le sue braccia. Quelle braccia forti che le circondarono le spalle
e la vita, le sparpagliarono per la schiena una calda sensazione di protezione.
Le posò le labbra sul collo e cominciò a baciarla. La sentiva sorridere e
ritrarsi. “…mi fai il solletico”. Si strinse sull’altra spalla e scoppiò in una
risata allegra. Lui sorrise beffardo. “Dann hat es ja genau das bewirkt, was es sollte..."[6]. La
risposta che ricevette fu un: “Dummkopf"[7] che non ammetteva repliche. Prima
che altri insulti le scappassero dalle labbra, le parole le morirono lì,
accarezzate dai sinuosi movimenti di quella di Genzo.
- “Guardami
negli occhi… ti ho mai dato questa impressione?”.
- “Ma
tu… come fai a parlare in tedesco?”.
- “Rispondimi!”.
- “No!”.
- “E
allora…?”.
- “Allora
hanno avuto l’effetto sperato…”.
- “Scemo”.
TOKYO, 27 NOVEMBRE
Nell’edificio che ospitava gli
uffici amministrativi della città di Tokyo, c’era un angolo di paradiso
terrestre chiamato sala degli specchi: un salone rettangolare con delle
splendide vetrate e tende di carta di riso arrotolate per metà su se stesse, un
pavimento di marmo italiano, bianco come il latte, lampade a terra di acciaio
progettate da uno dei migliori designer giapponesi, divani di pelle e di
acciaio circondati da bassi tavolini di cristallo e una lunga e stretta tavola
con un tovaglia di seta beige e fili d’argento “ereditata” dall’imperatore in
persona come riconoscimento.
Tra una finestra
e l’altra, nello stesso modo in cui era decorato il muro attorno alla porta
d’ingresso, mosaici di pezzi di specchio irregolari riflettevano la luce
creando giochi di riflessi che rimbalzavano da una parete all’altra,
moltiplicando il chiarore artificiale della stanza.
Quando il
telefonino squillò a voler significare che Genzo la stava aspettando sotto
casa, Kathy doveva ancora infilarsi gli orecchini e le décolleté. Aprì il
portone seguita da un ticchettare frenetico che attirò l’attenzione del
ragazzo. Era fasciata in un morbido cappotto sciancrato bianco, due fili lunghi
di oro bianco le pendevano sino a sfiorare il colletto; una borsetta di pelle
bianca era coordinata con le semplicissime scarpe col tacco da dodici
centimetri sulle quali Kathy peraltro sembrava non avere difficoltà, anzi il
modo in cui poggiava i piedi sulle piastrelle era così fine ed elegante che
quasi dava l’idea di non toccarlo realmente.
Genzo non
sapeva che sotto quell’innocente mise color neve lo aspettava il vestito
più elegante e raffinato che aveva mai visto spalmarsi sulle forme della
ragazza. Una pudica scollatura morbida sul seno le si legava dietro il collo e
lasciava tutta la schiena scoperta, terminando come una goccia rovesciata.
Teneva stretta tra le mani una stola color verde petrolio e Genzo capì che le
intenzioni di Kathy erano di abbandonare il cappotto sul sedile della sua
Jaguar nera. Così l’abitacolo si sarebbe riempito del suo profumo dolce e lui,
ogniqualvolta fosse entrato in quella macchina, avrebbe dato in escandescenze.
Le diede un bacio e mise in moto l’automobile, suscitando curiosità nei pochi
passanti che avevano sentito il rombo del motore. Si sentiva un po’ a disagio,
dimostrato dal fatto che si allentò il colletto (già sbottonato) della camicia
bianca e guardò Kathy con la coda dell’occhio. Avrebbe volentieri rinunciato ad
una pallosissima serata dove bisognava sorridere e stringere mani di
sconosciuti, tra i commenti delle malelingue signore neoquarantenni e gli
apprezzamenti di bavosi sessantenni. Sentì una fitta di gelosia e accarezzò la
mano di Kathy all’improvviso, approfittando del rosso del semaforo.
“Che
succede?” chiese lei, stupita dal gesto affettuoso.
Genzo,
invece di risponderle, la baciò. Sapeva che con le azioni avrebbe sicuramente
fatto meno casino che con le parole. Non che fosse dislessico, ma il suo
carattere non poteva cambiare, era uno di poche parole e non sarebbe stata di
certo una ragazzina a farlo diventare Cicerone.
Varcata
la soglia del salone, con Genzo alle sue spalle (nonostante i tacchi) più alto
di lei almeno dieci o dodici centimetri, Kathy fu abbagliata dall’ambiente.
Quella
coppia attirava l’attenzione di tutti i presenti: lui, il famoso portiere della
nazionale di fenomeni, lei così giovane e aggraziata. Al loro arrivo i presenti
si voltarono a guardare il preside dell’università Fuyuzuka che si avvicinava
meravigliato.
Sembravano due statue greche, lui così maschio, lei così femmina.
“Buonasera signorina Mahlstedt. Sono felice di conoscere il suo
accompagnatore – strinse la mano che Genzo gli porse – se mi permette, state
molto bene assieme, glielo dico come lo farei con mia figlia”.
Kathy
arrossì al complimento. Non si aspettava una reazione del genere e anche se forse
qualcuno non se n’era ancora accorto, Genzo le circondava gelosamente la vita e
a quel complimento una scossa le percorse la schiena nuda. “La ringrazio. Anche
per avermi dato la possibilità di partecipare a quest’incontro, signore”.
L’omino canuto sorrise gentilmente e cominciò a farsi strada tra le persone,
presentando Kathrin a destra e a manca.
La serata
era quasi giunta al termine, Genzo sbuffava come un bollitore e Kathy
cominciava a soffrire le scarpe. Si stava facendo tardi e lei ormai aveva preso
in considerazione troppo proposte. Ne avrebbe sicuramente dimenticata qualcuna,
per cui si avvicinò al ragazzo e gli propose di tornare a casa, offerta
accettata all’istante.
Dopo aver
salutato e raccolto biglietti da visita tanto da non far più chiudere la
cerniera della borsetta, Kathy e Genzo lasciarono la sala degli specchi.
Nel mezzo
del corridoio e di un dialogo abbastanza concitato di Kathy, Genzo la strinse e
la baciò sulle labbra. Poi si appoggiò sulla sua fronte e sospirò. Lei sorrise
e gli accarezzò una guancia. Quando si voltarono, ritornando alla realtà,
davanti a loro Perrine Mahlstedt li guardava senza parlare, senza sapere cosa
dire.
“Mamma…”
La signora Mahlstedt, una bella donna di trentasei
anni scrutava Genzo, inquisitrice.
“Mamma,
lui è Genzo Wakabayashi, il mio ragazzo”
Perrine
aveva visto come si erano scambiati quei gesti affettuosi nel mezzo del
corridoio e in quel momento temeva per la sua bambina. Quel ragazzo era così
bello e affascinante. Le sembrava di averlo anche già visto da qualche parte ma
non riusciva a collegare dove.
Il
vestito di Armani che portava e la chiavi della Jaguar che stringeva tra le
mani inoltre, significavano che economicamente non doveva avere problemi. Il
nome dei Wakabayashi poi non le giungeva nuovo, senza le loro munifiche azioni
milionarie, molte delle aziende mondiali (tra le quali anche quella per cui lei
stessa lavorava) avrebbero fallito miseramente
“Signora
Mahlstedt è un piacere conoscerla”, Genzo parlò in tedesco e Perrine
si meravigliò. Annuì senza nemmeno accennare un sorriso. Assomigliava ad una
lastra di ghiaccio, piuttosto che una signora. A Genzo vennero in mente diverse
battute sconce, di quelle che si facevano sempre negli spogliatoi dopo le
partite sulle mamme degli avversari.
“Così,
come ogni figlia non hai voluto ascoltare i consigli di tua madre. Non solo ti
sei compromessa nella vita privata, ma l’hai anche portato in un’occasione come
questa che doveva riguardare te e solo te. Avevi tutta la vita davanti, ti sei
gettata tra le mani di un figlio di papà. Se credi che questa sia la felicità,
ti sbagli. Quando ti avrà usata a suo piacimento, ti butterà via come fa con i
vestiti vecchi, tanto potrà trovarsi sicuramente qualcuna meglio di te. Bambina
mia tu sei così bella, così intelligente..
perché Kathrin? Perché?”
Kathy
trasalì. “Come ti permetti? Come ti premetti di dirmi cosa devo farne della
mia vita, se a te per prima non è mai interessata? Mi hai fatto solo del male…
io non so nemmeno come si chiama l’uomo che ha deciso per metà la mia
esistenza! Mi hai messa al mondo per abbandonarmi a me stessa e ora esci fuori
dicendomi che le scelte che ho fatto da sola, senza l’aiuto di nessuno, sono
sbagliate. Tu sei stata la prima a buttarmi via come un vestito vecchio. Non mi
cercare più, vivi la tua vita. Lasciami stare, sono autosufficiente da quando
ho quindici anni, ormai è tardi per le ramanzine”.
Kathy
strinse la mano del ragazzo e oltrepassò la madre. Voleva allontanarsi,
scappare, tornare a casa. Si infilò in macchina e iniziò a singhiozzare, cosa
che fece per tutto il tragitto. Il SGGK fermò la macchina davanti alla villetta
sul mare e le aprì la portiera.
Kathy
aveva lasciato le scarpe sul tappetino dell’auto ed era scesa. Gettò le braccia
attorno al collo di Genzo e prese a singhiozzare così forte che nemmeno lui
sapeva come comportarsi. Si stava aggrappando con tutte le sue forze, si
sentiva completamente annientata.
Genzo le
accarezzava piano la schiena cercando di scaldarla, le baciava la tempia
dolcemente. Anche lui sentiva un groppo allo stomaco, così la prese in braccio
e la portò fino al patio. Sembrava essersi un po’ calmata e aprì la porta.
Sanae non era a casa. Fece entrare il ragazzo e si sedette sul divano, vicina a
lui.
“Mi dispiace Genzo, non avrei
voluto coinvolgerti. Le cose tra di noi sembrano andare bene ma per quanto
ancora sarà così?”
Wakabayashi la fissò incredulo:
in realtà, il primo ad essere titubante riguardo la loro relazione era proprio
lui. Quella ragazzina lo aveva spiazzato, si era intrufolata nella sua vita per
caso, senza dover combattere con nessun’altra per attirare la sua attenzione,
senza mai mettersi in gioco del tutto.
E lui, c’era cascato in pieno.
Tutti i suoi progetti sul ruolo che le donne
avrebbero dovuto occupare nella sua vita stava per essere sconvolto, la sua
difesa faceva acqua da tutte le parti e i pali della porta, per la prima volta
sembravano veramente troppo distanti l’uno dall’altro per poterla proteggerla.
Voleva
essere sincero con lei ma l’avrebbe fatto in modo tale che non se ne sarebbe
accorta… anzi forse sarebbe riuscita anche ad odiarlo. E quale momento migliore
se non quello?
“Non andrà avanti, non può
andare avanti”
la fissava in volto, impassibile. Aveva indossato
la maschera da uomo infallibile, quella
del ragazzo senza sentimenti, quella del maledetto SGGK a cui le ragazze cadono
ai piedi ad un suo schiocco di dita.
Gli
stava anche riuscendo bene, la commedia.
Se non fosse riuscito a realizzarsi nel mondo del
calcio avrebbe potuto tentare con la recitazione.
Kathy
abbassò lo sguardo e non disse nulla. Non riusciva a sostenere il suo sguardo,
era la prima volta che lo vedeva convinto delle sue azioni, la prima volta che
le stava calpestando i suoi sentimenti, conscio di farlo, senza nemmeno avere
la decenza di nascondersi dietro al suo inseparabile cappellino. Si alzò dal
divano seguita a ruota da Genzo.
“Credo
sia il momento di salutarci”
Kathy si avvicinò alla porta e l’aprì. Appena il
ragazzo uscì e accostò la zanzariera si voltò.
Lo vide che stava per dire qualcosa ma non gliene
diede la possibilità, afferrò la maniglia della porta e la sbatté contro lo
stipite.
Si infilò nella sua macchina
sportiva e sbatté le chiavi, il cellulare e il portafoglio sul sedile del
passeggero. Dietro di lui sentiva invadente il profumo di Kathy, sapeva che
c’era il suo cappotto abbandonato a qualche centimetro dalla sua nuca. Si passò
una mano tra i capelli e sospirò tamburellando sul volante. Davanti a lui si
materializzò una toyota grigio metallizzata che si accostò senza tanta grazia.
Riconobbe all’istante sia l’auto, sia chi ne uscì.
Kathy
si era rannicchiata nelle coperte colorate del divano. Si sentiva sola.
Terribilmente sola.
Sentì
bussare alla porta. Non avrebbe aperto nemmeno sotto tortura se non avesse
sentito Kojiro parlare. Si alzò dal divano trascinandosi dietro le coperte e
seminandole per la sala. Aprì la porta lentamente.
Kojiro
dall’altra parte della zanzariera rimase intontito. Aveva il trucco disfatto ma
Kathy era davvero bellissima. Ci fece un pensierino all’istante: se Wakabayashi
non fosse stato coinvolto... si riscosse, dimentico del reale motivo per cui
era arrivato fino lì.
“Ehi,
che succede?”
il mascara le colava lungo le guance arrossate e
Kathy si affrettava a cancellarlo via con la punta delle dita. Tirò su col naso
un’ultima volta prima di gettargli le braccia al collo, in punta di piedi.
Tutto
quello che Genzo vide fu Kathrin aggrapparsi a Hyuga e appiccicare il suo corpo
a quello dell’attaccante senza tanti convenevoli. Il primo pensiero fu quello
di scendere dalla macchina e prenderlo a pungni ma si rese conto che allo stato
s’animo di Kathy (già compromesso da Perrine) aveva aggiunto la sua fantastica
decisione di lasciarla.
Si
sentiva un leone in gabbia: il fatto che lei non avesse aspettato più di dieci
minuti per buttarsi nella braccia di un altro lo infastì a tal punto che mise
in moto l’auto e ripartì a gran velocità attirando l’attenzione dei due,
incrementata da qualche imprecazione di Kathrin.
TOKYO, 16 DICEMBRE
La giornata della fatidica
partita contro
Kojiro, dopo aver passato la
nottata a casa di Kathy tra una chiacchiera e una bella tazza di tè ai fiori di
loto di Sanae, aveva compromesso il suo già instabile rapporto con il portiere.
E quella sera in particolar modo, il SGGK gli avrebbe volentieri spaccato la
faccia.
Taro passava più tempo di Sanae
in compagnia di Kathy e tra di loro si era instaurata una solida amicizia,
basata sul rispetto e la fiducia reciproci e questi nuovi legami, altro non facevano
che istigare l’autocontrollo di Genzo, che sembrava non essersi completamente
ripreso dal distacco della tedesca.
Sanae e
Kathy avevano trafficato tutto il girono per preparare una bella cenetta tra
ragazze. Finalmente le manager si sarebbero riunite e tutte avevano espresso il
chiaro desiderio di riavere nel gruppo “l’infiltrata”. Yayoi si sarebbe
sicuramente cimentata nel preparare uno dei suoi fantastici antipasti e Yoshiko
avrebbe preparato le famose tortine allo zenzero dell’Hokkaido.
Poco dopo le sette e mezza erano
già tutte riunite intorno al divano. Sul tavolino di cristallo Sanae aveva
poggiato un piatto di vetro colorato con le tartine e aveva preparato i
bicchieri con i drink.
Yoshiko fu l’ultima ad arrivare,
accolta da un caloroso abbraccio di Patty, che le aveva aperto la porta.
“Ragazze, ma siete splendide!
Kathy hai tagliato i capelli!”
Tra i pettegolezzi, le risate e
le prese in giro la serata passò velocemente, come succede quando si è tra
ragazze e si sta lontane per lunghi periodi di tempo.
“Kathy... come va con
Wakabayashi-kun?”
Fu Yayoi ad affrontare
l’argomento, rimasto taboo praticamente per tutta la sera. Kathy si
limitò a stringersi nelle spalle e sorridere. Non avrebbe parlato di lui in
quel frangente. Non perché non si fidasse di loro, ma sapeva che si sarebbe
rovinata la serata. Farsi compatire non le piaceva, sapeva che perdere la testa
per il SGGK aveva i suoi rischi, lei aveva scelto di correrli ed ora doveva
fare i conti con i relativi effetti.
A distoglierle
dall’imbarazzo era stata proprio Sanae che aveva afferrato i cappotti e aveva
ordinato a tutte di correre nella sua stanza a darsi una ritoccata al trucco.
Avrebbe combattuto con le fidanzatine perfette e le avrebbe trascinate con sé
nella discoteca più bella di Tokyo anche se non sapeva cosa sarebbe aspettato
loro: l’ultima volta in cui aveva sentito Tsubasa era stata durante la
mattinata quando lui le aveva mandato un sms.
KATHRIN MAHLSTEDT, TOKYO, 17 DICEMBRE
Sanae l’aveva avvertita. In fondo,
con tutti i locali notturni che esistevano in quel formicaio che era Tokyo si
sarebbero per forza dovuti incontrare in quel posto? Non era poi un locale a
tre piani?
Un brivido di freddo le percorse
la schiena quando lo vide, strafottente e nel suo solito alone di mistero,
circondato dai ragazzi della squadra, davanti ai primi bottoni slacciati della
camicia, il suo Jack e cola. Il suo abbigliamento così lineare ed elegante.
Anche se aveva messo i suoi Levi’s 501 sotto la giacca elegante, sembrava che
la scelta fosse stato compito di un costumista.
Magari glielo ha consigliato
davvero lo stilista della famiglia Price.. pensò malignamente.
Si sentì avvampare come una
ragazzina e improvvisamente si chiese quanti giorni fossero trascorsi dall’ultima
volta che lo aveva incontrato. Era di una bellezza imbarazzante, maschia,
possente, forse quasi indecente.
Si corresse: i suoi pensieri,
erano indecenti.
Eppure non riusciva a smettere
di guardarlo ed era ben conscia del fatto che prima o poi, come solo lui sapeva
fare, si sarebbe sentito osservato e avrebbe incrociato i suoi occhi.
Magari prosciugandole la lingua
e privandola dell’ossigeno che le circolava, a fatica, nei polmoni.
I commenti estasiati di Yoshiko
e le lamentele di Sanae la riportarono alla realtà e le bastarono una manciata
di secondi per realizzare che almeno quattro ragazze si stavano mettendo in
bella mostra, cercando di accaparrarsi lo sgabello sulla migliore linea d’aria
delle profonde pozze di petrolio che erano gli occhi del SGGK.
Stupide, si limitò a commentare tra sé
e sé.
Consapevole
del fatto che avrebbe voluto con tutte le sue forze appartenergli ancora, si
limitò a guardare con un’occhiata a dir poco minacciosa le ragazze che erano
intente a contemplare il SGGK.
E si sentì subito colpevole.
Quali diritti voleva accaparrare su di lui? A cosa poteva appellarsi in
quel momento, se non ai ricordi? E sapeva che se si fosse lasciata andare ai
ricordi sarebbe stata risucchiata nel buco nero da cui era spuntata un mazzo di
giorni prima.
Sanae le aveva promesso che si sarebbero divertite come delle sedicenni
ubriache. Era giunta l’ora di lasciarsi andare.
Yoshiko si era lanciata addosso
a Matsuyama e Yayoi si era limitata ad accarezzare la testa di Jun. Tra di
loro, in ogni caso, quella più
scocciata sembrava proprio essere Nakazawa che si era avvicinata con il broncio
e rispolverando l’animo bollente della piccola Anego, aveva esordito con un
diretto “Non avevate altri posti dove andare a divertirvi?!” per poi afferrare
per un braccio Kathy e gettarsi in pista, lasciando Artù allibito tra la
cerchia dei suoi cavalieri della tavola rotonda.
Kathy era rimasta qualche passo
indietro, incapace di manifestare alcuna reazione.
Guardava fissa negli occhi Genzo
e i suoi occhi di ghiaccio sembravano diventati freddi e impenetrabili. Taro si
alzò di scatto e si precipitò verso di lei, gli era bastata un’occhiata fugace
verso Tsubasa per comprendere e prima che succedesse il pandemonio si era
avvicinato e la aveva salutata affettuosamente. Osservò le mosse intirizzite di
Genzo, porre fine al suo drink e chiederne un altro al barman.
Alla fine aveva perso lui
l’affronto, alzandosi e lasciandola impalata come un baccalà a fissare il vuoto
o era stata lei a perdere senza nemmeno utilizzare la cavalleria?
Dopo una lunghissima mezz’ora
dove aveva cercato di non pensare e si era gettata in pista con Sanae doveva
ammettere di essersi anche divertita. Aveva comunque capito che il SGGK non le
aveva ancora staccato gli occhi di dosso, come a volerla controllare,
studiandola nei minimi particolari.
Si consolò pensando che,
perlomeno, dalla brutta fine della loro relazione qualcosa di buono ci aveva
guadagnato: aveva riconquistato l’agognata taglia quaranta in poco meno di un
mese ed era spesso uscita per vetrine, trovando i nuovi pezzi che indossava
anche in quell’occasione.
Il suo dieci centimetri di tacco
le stava distruggendo le caviglie. Certo, le piacevano un sacco i tacchi alti e
anche se non ne aveva realmente il bisogno, per uscire ne sfoggiava un sacco di
modelli elaborati, particolari e dolorosissimi.
Ecco spiegato il motivo del suo
istantaneo desiderio di sedersi al banco per far respirare i suoi poveri piedi.
Yoshiko e Yayoi erano andate in bagno e Tsubasa aveva raggiunto Sanae in pista,
colto da un’improvvisa fitta di gelosia, dopo che uno spaventapasseri – come
lui l’aveva istantaneamente definito – stava cercando di provarci con la sua
fidanzata.
Kathy stava per chiedere il suo
Malibu e Ananas, quando sullo sgabello a fianco al suo, la figura imponente di
Kojiro Hyuga faceva la sua prima apparizione.
“Cosa beve, signorina?” chiese
prima di abbracciarla e baciarla sulla guancia.
Si scusò per non averlo salutato
in precedenza ma lui la tranquillizzò raccontandole che non era presente al
loro arrivo perché era impegnato a dissuadere una sua ammiratrice che stava
insistendo un po’ troppo per i suoi gusti.
Kathy sorrise.
Dai racconti di Sanae, Kojiro
doveva essere il negativo di Genzo, difettoso, con lo stesso insopportabile
carattere. Stranamente con lei però, Kojiro, si era sempre comportato da vero
gentleman e aveva anche avuto modo di spiegare il perché di quella situazione
prima che diventasse imbarazzante.
Quella ragazza gli ricordava la
più piccola delle sue sorelle quando sorrideva ed era finito con l’affezionarsi
a lei anche se aveva avuto davvero poche occasioni per passare del tempo in sua
compagnia.
Il barman appoggiò davanti a
loro il vodka lemon di Kojiro e la consumazione di Kathy.
Kojiro le stava parlando del più
e del meno, senza mai avvicinarsi alla questione Wakabayashi e Kathy gliene era
infinitamente grata. Apprese che in Italia, la vita di un calciatore doveva
essere davvero movimentata: inaugurazioni, festini, presenze nel mondo della
mondanità, relazioni sentimentali con una Velina. Che diavolo erano le Veline?
E chi aveva inventato un nome tanto stupido?
Ah, certo. Annuì, comprendendo
la relazione necessaria di Hyuga.
Immaginava che li stesse
osservando e sorrise sornione rivolto a Kathy.
“Non è giusto che una bella
ragazza come te si strugga per un testa di cazzo come quello. Mi dispiace
tesoro, ma a Torino ho giusto un paio di relazioni da mandare avanti e per
quanto tu sia deliziosa non riuscirei a sostenerne un’altra. Possiamo comunque
divertirci.. credo”- poi dopo aver pensato un po’ aggiunse- “e insomma, sono
giovane e fresco, non posso mica fare la fine di Matsuyama o dell’altro
rammollito di Oozora!”
Kathy
sorrise, aveva capito perché Kojiro si stesse comportando così con lei e molto
probabilmente si aspettava il peggio.
Il dj stava blaterando qualcosa
che Kathy non comprese appieno.
Hyuga si alzò e convinse Kathy a
ballare con lui “Dolcezza, in realtà non so ballare, ma con i lenti ho sentito
dire che funzionano anche quelli un po’.. lignei”. Ci volle qualche
secondo perché lei si sentì in equilibrio sulle scarpe e questa volta non era
di certo perché le facessero male le scarpe.
Aicha, adattata in inglese, era loro canzone.
Ed era stato lui a chiamarla
Beauty per tante volte, quando voleva prenderla un po’ in giro e scherzare con
lei. Si convinse che il freddo allo stomaco che stava provando lo avesse
procurato il Malibu e Ananas con ghiaccio, anche se non riusciva a prendersi
davvero così gioco di se stessa.
Kathy chiuse gli occhi
all’improvviso, sentiva le lacrime bruciarle le ciglia e raschiarle la gola.
Si chiese perché diavolo si era
lasciata trascinare in quella situazione tanto ambigua. Si era trattenuta per
davvero per poche strofe della canzone, perché tutto sommato Kojiro era diverso
ma assomigliava al suo Genzo.
Così alto e così muscoloso, le
spalle larghe e gli addominali scolpiti, i capelli che aveva finalmente
accorciato scendevano ordinatamente scomposti e gli sfioravano il lobo delle
orecchie.
Non era particolarmente elegante
ma era a conoscenza del fatto che un sacco di ragazze in quel momento la
stessero invidiando.
Appoggiò il capo sul mento di
Kojiro sospirando.
“Io sto davvero male” disse soltanto.
Si sorprese, ammendo a se stessa
il proprio stato d’animo.
Kathy alzò gli occhi, Kojiro le
stava accarezzando la testa dolcemente. Gli aveva detto di stare tranquilla,
non avrebbe dovuto raccontargli nulla. Avrebbe solo dovuto fermarlo quando
fosse giunto il momento. E Kathy sapeva che il momento ormai era giunto, stava
per avere un collasso nervoso.
Aveva davvero cercato di passare
una bella serata divertendosi oppure desiderava ardentemente che Genzo la
osservasse fare la stupida con Hyuga per tutta la sera e ripensasse ai bei
momenti che avevano condiviso?
Si diede dell’idiota, sapeva
benissimo a cosa l’avrebbe riportata quella canzone. Non avrebbe retto ancora
per molto e aveva bisogno di rinfrescarsi il viso prima che sciogliesse in
pochi secondi il lungo e accurato make up che le aveva fatto Yoshiko, per cui,
si scusò con Kojiro e si diresse verso il bagno delle ragazze.
Quando entrò nell’angusto
bagnetto delle ragazze si sorprese che in uno spazio tanto ristretto si fossero
concentrate almeno una quindicina di ragazze. Tutto quel cicaleccio la
infastidì e riuscì ad individuare un paio di ragazze che la osservarono
stupite. Una delle due si era per fino avvicinata e le aveva chiesto se poteva
provarci con Genzo.
Parlò in tedesco, cercando di
sembrare più seria possibile, cercando di limitarsi a far capire a quelle due
che non aveva intenzione di parlare di Genzo e che non voleva accaparrarsi dei
diritti su di lui.
Quando si ritrovò ancora una
volta fuori dal bagno e la musica alta la colpì nuovamente, strinse tra le mani
la sua borsetta e andò a salutare tutti quanti. Voleva andare a casa e voleva
prendersi la macchina, tanto sapeva che le ragazze avrebbero rimediato un
passaggio, in ogni caso.
Le altre ragazze cercarono di
convincerla a restare ancora per un po’. Si erano anche offerte di tornare a
casa prima a patto che lei si fermasse con loro.
L’unica che si astenne da ogni
commento, che la guardò negli occhi e capì, fu Sanae che sotto sotto si sentiva
anche in colpa. Le sorrise e annuì abbassando mestamente il capo, cercando di
farle capire che avrebbero poi parlato a casa.
Kathy cominciò a salutare i
ragazzi uno ad uno, lasciando per ultimi Kojiro e Genzo. Ma
Aveva davanti Genzo che la
osservava con disprezzo. La sua solita impassibilità, tranne quella stretta che
gli stava tagliando l’angolo delle labbra. Lo faceva quando era nervoso,
cercando di non farsi notare, torturava con i canini l’angolo del labbro
inferiore. Glielo aveva visto fare poche volte, quando litigavano o quando
doveva disputare una partita davvero importante. Lo fissò dritto negli occhi
senza riuscire a salutarlo.
Forse neanche voleva.
Se l’avesse salutato avrebbe
mostrato bandiera bianca al nemico e non era nemmeno sicura che lui avrebbe poi
considerato né tanto meno ricambiato il suo saluto. Per cui si riscosse e
voltandosi fece un gesto con la mano a
tutti, prima che sentisse una giacca enorme sulle spalle e il braccio di Kojiro
che le circondava la vita.
La macchina si trovava a pochi
metri dall’uscita. Il freddo le tagliava la faccia e un paio di lacrime
solitarie le si erano quasi congelate sulle guance già arrossate. Hyuga le
aveva anche aperto la portiera e non capiva perché ci mettesse tanto a entrare
in macchina.
La riaprì e si ritrovò davanti ad una scena
raccapricciante: Kojiro si teneva tre dita sulle labbra e tra loro scorreva del
sangue. Anche Genzo aveva un segnaccio che si stava gonfiando sullo zigomo
destro e si premeva forte una mano sotto le costole. Si guardavano in cagnesco.
Se Tsubasa stava cercando di
trattenere il SGGK, Taro lo imitava con
Sconvolta, sbarrò gli occhi e
sbatté lentamente le palpebre.
“Taro, per piacere, ho bisogno
di andare a casa. Kojiro grazie di tutto. Non avresti dovuto, mi dispiace”
Gli
porse un fazzoletto prima di voltarsi verso il SGGK. Lo osservò, piantandogli
gli occhi negli occhi, con disprezzo e senza proferire parola si infilò in
macchina, seguito da Misaki che si mise alla guida e si allontanò velocemente.
GENZO WAKABAYASHI,
TOKYO, 17 DICEMBRE
Genzo immaginava che quello non
sarebbe stato il locale adatto. Per tanti motivi: era un luogo troppo
frequentato, troppo conosciuto, sempre stracarico, ma si trattava di uno dei
più belli della città e non se l’era sentita di rifiutare.
Era anche a pezzi per
l’allenamento a cui erano stati sottoposti e il pensiero di poter passare una
spensierata serata tra amici lo risollevava parecchio.
Magari si sarebbero ritrovati a
prendersi in giro l’uno con l’altro alticci per le troppe consumazioni
ordinate, o avrebbero fatto un paio di quelle stupide scommesse sulle ragazze e
avrebbero torturato i fidanzatini, pagandone qualcuna perché si sedesse sulle
ginocchia di Matsuyama, che tra tutti, era quello meno portato ad assimilare
alcool.
Per lui la serata avrebbe potuto
finire come un tempo, quando si risvegliava nell’appartamento di una bella
ragazza di cui conosceva a malapena il nome e da dove sarebbe poi sgattaiolato
via nel cuore della notte.
Sospirò e seguì il gruppo per
sedersi al tavolino indicato dal gestore del locale, che riconosciuti i ragazzi
sembrava aver riservato loro il tavolo migliore: quello abbastanza nascosto dal
quale si godeva della migliore visuale sulla pista e lungo tutto il bancone del
bar.
Una bella ragazza in minigonna,
truccata in modo piuttosto pesante si avvicinò con un blocchetto che spuntava
da una tasca e chiese cosa avrebbe dovuto portare, per poi raggiungerli una
manciata di secondi più tardi con ogni tipo di snack e una grossa coppa di
frutta di stagione immersa nel ghiaccio.
Su di lei si intavolò la prima
serie di grotteschi commenti e battute a susseguirsi.
I poveri malcapitati come al
solito, cercavano di limitarsi nello sfottere gli altri perché sapevano che li
avrebbero di certo fatti morire e le litigate che seguivano con le loro ragazze
erano devastanti.
Jun si guardò la camicia per
l’ultima volta e si rese conto che aveva scelto quella che preferiva, per cui
esordì con una preghiera “… non fatemi bruciare anche questa”.
Genzo sorrise ripensando alla
volta che tempo addietro, Misugi e Yayoi avevano da poco traslocato nel loro modesto
attico per intraprendere una convivenza che si era rivelata a dir poco
disastrosa le volte in cui il ragazzo usciva con gli amici.
Quella ragazza sembrava tanto
dolce e carina, ma secondo i racconti del suo ragazzo era gelosa quanto Medea e
per evitare interminabili scenate e musi lunghi per giornate intere, Jun era
stata costretto a nascondere la propria camicia in macchina e a darle fuoco
prima di uno degli allenamenti, davanti agli occhi del gruppetto di compagni di
squadra.
Altre volte l’aveva portata di
nascosto in lavanderia suscitando ancor più sospetti. Prevedeva una mesta fine
anche per quella Ralph Lauren nuova.
Il SGGK aveva preso il suo
solito Jack e cola e si guardava intorno stranito.
Sembrava davvero essere tornato
tutto come una volta, quando Kathy non era perennemente nei suoi pensieri. I
ragazzi intorno a lui continuavano a puntare e commentare le ragazze che
sfilavano a pochi passi da loro.
Va bene che erano entrati
davvero tardi e che, ingiustamente, il tavolo era stato loro concesso solo in
via del tutto onoraria da un gruppo di giovani che aveva deciso di limitarsi ad
entrare normalmente, con tutto offerto da Misugi&Co., magliette, autografi
e fotografie comprese; ma dopo poco più di venti minuti Taro e Kojiro stavano
spalla spalla a confabulare su quale tipo di ragazza fosse più adatta: una
rossa tutto pepe che ballava con delle amiche o una brunetta ricciolina con uno
sguardo terribilmente sensuale o ancora sulla bionda tutta curve che stava
generosamente mostrando il proprio decolleté ad uno dei baristi, spalleggiata
dalle amiche che le facevano segno dal tavolino nell’angolo della sala dove si
trovavano.
Matsuyama aveva appena fatto una
battutaccia a Hyuga, conscio del fatto che sarebbe scattato in piedi e si
sarebbe lanciato sulla bionda dimostrandogli esattamente il contrario.
Gli bastarono pochi secondi per
convincerla, che dalla sua posizione Genzo lo vide passarle una mano dietro la
schiena e baciarla all’improvviso davanti alle amiche scioccate e al barista
che si rodeva dietro il bancone. Sorrise dichiarando un Hikaru già sconfitto
ancor più umiliato.
Abbassò il viso sul suo
bicchiere e cominciò a giocherellare con i cubetti di ghiaccio.
Stava studiando la situazione e
cercando una qualche ragazza su cui poi scommettere di riportare ai compagni
almeno il suo reggiseno. Uno dei loro squallidi giochini che non facevano altro
che aumentare la fama da sciupafemmine che quel borioso di un SGGK si era
creato dai tempi dell’adolescenza in terra germanica.
Quando alzò lo sguardo per
cercare la malcapitata individuò una biondina di schiena con un taglio scalato
poco sotto le spalle, di un caldo colore di grano dorato, che accarezzava un
top legato dietro il collo, con una stampa scozzese dalla base azzurra, e un
paio di jens neri che coprivano per intero una soffocante scarpina dotata di un
tacco quasi per certo molto, molto alto. Non era una di quelle ragazze secche
secche, non lo vedeva ma già immagina un bel seno florido e le gambe tornite,
fasciate nel tessuto spesso del pantalone.
Decise che quella sarebbe stata
la sua preda.
All’improvviso gli sembrò di
aver sentito la voce di Nakazawa e a confermare la sua terribile previsione, si
erano manifestate le altre ragazze, già incollate ai loro rispettivi fidanzati.
La biondina che aveva tanto studiato finalmente si
voltò e per Wakabayashi fu a dir poco
uno shock.
Aveva tagliato i suoi capelli,
ma che diavolo aveva fatto nell’arco di tempo che non si erano visti per
diventare tanto diversa? Cominciò a mordersi l’angolo del labbro.
Gli stava puntando gli occhi
addosso, sentiva quelle iridi di ghiaccio infiammarlo tutto intorno.
Si impose di non alzare più lo
sguardo, per non incrociare lo sguardo di lei e riuscì a perdere il controllo
solo nel momento in cui lei era stata sorpresa dal gesto di Misaki. L’aveva
sentito alzarsi di scatto e raggiungerla allegro, per abbracciarla e salutarla
affettuosamente.
Avrebbe voluto tiragli un pugno
dritto dritto in faccia, eppure si limitò a stringere convulsamente i pugni
sulle cosce, cercando di provare un dolore fisico più forte della gelosia.
Dio, aveva ammesso di essere
corroso dalla gelosia che provava per quella ragazza anche se non gli
apparteneva più.
Era stato lui a volerlo in
fondo, di che doveva lamentarsi? Del fatto che la serata tra maschi era andata
a farsi fottere o che i suoi perversi pensieri che aveva dedicato a quel
figurino si fossero istantaneamente distrutti rivelando di essere malsane proiezioni di momenti realmente
vissuti?
Afferrò malamente il bicchiere e
pose fine all’esistenza del cocktail prima di alzarsi e allontanarsi dal
tavolo, con la scusa di chiedere qualcos’altro e sfuggire alle occhiate
inquisitrici – così come le vedeva – della sua Kathy.
Razza di idiota. Era quasi un mese che quella
ragazza non gli apparteneva più. Non era sua.
Nella mezz’ora che seguì
l’incontro, Genzo, il cui sangue ribolliva furiosamente nelle vene, passò il
tempo con un cruccio indecifrabile e disperso nel mutismo assoluto. Non aveva
risposto o partecipato a nessuna delle conversazioni, non aveva fatto alcun
cenno quando tutti si erano alzati e si erano sparsi per il locale. Quasi non
aveva considerato la ragazza che gli era passata più volte davanti al muso,
intento com’era nell’osservare Kathy e fare lo scan di tutti gli esseri
viventi di sesso maschile che le si avvicinavano e la sfioravano.
Era
rimasto solo, seduto al tavolino, tentato a raggiungere la ragazza quando anche
lei sola si era seduta sullo sgabello del bancone e gli stava mostrando ancora
una volta la profonda scollatura del top e un filo di perizoma azzurro fare
capolino tra i bordi ben definiti dei suoi indumenti(sebbene fosse sempre stata
un tipino dolce e riservato, sapeva come vestirsi e le piaceva farlo).
Hyuga le si avvicinò. Dov’era
finita l’altra bionda tutta curve? Cosa voleva quel maledetto da Kathy? Se solo
avesse… si ritrovò a pensare che sarebbe stato più tranquillo. Se Kojiro ci
avesse provato con Kathrin lo avrebbe pestato a sangue, come avevano già fatto
tante volte, in passato. E come aveva evitato di fare in una particolare
occasione.
A complicare la situazione c’era
stato quell’incompetente di disc jockey che si dilettava a torturarlo con i
suoi dischi osceni. Tra tutte le canzoni che c’erano in circolazione, quale
situazione avrebbe dovuto scaldare in un locale del genere, quando per ogni
persona che decideva di metterci piede poteva scommettere la giugulare che
sarebbe finita a letto con uno sconosciuto?
Se la ricordava quella canzone
maledetta, perché sembrava averlo fatto apposto nella settimana precedente a
svegliarlo dolcemente, sollevarlo da un sogno che stava prendendo forma in modo
maniacale. Quando l’aveva spenta, non molto delicatamente, aveva strappato i
fili e l’aveva tirata contro il muro in uno scatto di isteria, per poi buttarsi
sotto la doccia per riprendersi.
In linea d’aria davanti alla sua
postazione, il quadretto di Kojiro e la sua ex, teneramente abbracciati,
sembrava di fargli vivere una situazione da film dell’orrore. Nei seguenti
dieci minuti aveva la vista annebbiata e respirava a fatica, la rabbia stava
per avere il sopravvento e il cuore glielo dimostrava sbattendo tanto forte a fargli
sentire male anche allo sterno.
A camuffare quella situazione si erano
riuniti tutti intorno al tavolo, Hyuga compreso che lo osservava inquisitore
dall’alto del suo metro e ottantasei. Lo fissò duro, il viso contratto in una
smorfia ambigua, l’angolo del labbro torturato.
TOKYO, 17 DICEMBRE
(primo mattino)
“Merci, mon amour”
A Kathy era rimasto un briciolo
di sense of humor ed era sicura di volerlo utilizzare per ringraziare
Taro. Era stato così gentile, l’aveva accompagnata senza proferir parola, nel
silenzio denso che aleggiava nell’abitacolo dell’automobile.
“A bientôt mon cœur”
Rispose il ragazzo
abbracciandola e schioccandole un bacio fraterno sulla fronte. Gli faceva tanta
tenerezza, sballottata come un giocattolo per le sfide sadiche che si
lanciavano Hyuga e Wakabayashi.
Kathy stava per richiudere la
porta quando l’immagine di Genzo le si materializzò davanti. Affannato, con lo
zigomo gonfio, spinse la zanzariera e si avvicinò a lei, spingendola in casa e
chiudendosi la porta alle spalle.
In una frazione di secondo le
strinse la mano tra la sua e l’avvicinò a sé passandogli l’altra dietro la
schiena. I loro visi erano vicini ma il SGGK non era sicuro che ciò che aveva
in mente sarebbe stato davvero una mossa azzeccata.
Si stava giocando il tutto per
tutto.
Posò le labbra sulle sue
delicatamente, sfiorandogliele appena. Kathy sembrava impietrita, il cuore le
batteva all’impazzata, non sapeva se accettare o rifiutare il bacio di Genzo.
Era ancora perdutamente
innamorata di lui?
Lui la baciò con più passione,
sentiva la sua mano grande sfiorarle la nuca in una carezza carica di desiderio
e si abbandonò tra le braccia di Eros. Che poi quella notte si fosse
impossessato del corpo di Genzo, non faceva molta differenza.
Era ricaduta nella sua trappola
l’ennesima volta. In fondo, le bastava guardarlo per perdere di nuovo la testa
e quelle settimane passate lontana da lui l’avevano spiazzata, le avevano
lasciato un senso di malinconia e di tristezza per tutta la giornata.
“Genzo tu non puoi comportarti
così. Io non sono la tua marionetta, non puoi calpestare così ignobilmente i
miei sentimenti, non è giusto, non te lo permetto”
Il ragazzo l’abbracciò senza
parlare. Si beava di quel contatto fisico, gli era mancato tanto accarezzare il
suo corpo, stringerla tra le braccia. Forse per la prima volta nella sua vita,
capiva che non era lui quello da proteggere. La strinse di più.
“Non sono bravo con le parole.
Ho sbagliato Kathy, ho sbagliato tutto. Volevo che tu mi odiassi, non avrei
sopportato di vederti soffrire. Ma... l’ho visto da come mi guardavi che tra
noi non era cambiato niente. È vero, mi sono comportato da fottuto bastardo ma
non riesco più a starti lontano. Cerca di capirmi, io non posso legarmi alle
persone, non posso permettermi di fare soffrire chi mi vuole bene davvero,
soprattutto se si tratta di te”
“Sì, sei proprio un fottuto
bastardo Wakabayashi” Kathy sospirò e appoggiò la testa al torace muscoloso
del ragazzo, circondandogli gelosamente la vita.
Era tornato da lei, finalmente.