Libri > Eragon
Segui la storia  |       
Autore: laramao    26/03/2012    3 recensioni
Una nuova alleanza si sta formando all'interno di Alagaësia. Le forze di Galbaorix crescono a dismisura e Eragon e Saphira, insieme ai Varden, dovranno trovarsi di fronte ad un nuovo drago, con o contro di loro. Alagaësia vedrà affrontarsi amori, tradimenti, scelte difficili che non solo il nostro Argetlam dovrà affrontare, ma che ognuno dovrà, nel suo piccolo, prendere. E fra le perdite, la vittoria sarà del più puro dei cuori.
" - E questo è il mio, Eragon - la sua mano si allungò verso il Cavaliere, mentre questo la prendeva delicatamente fra le sue. Piangeva, perchè l'aveva appena ritrovata, per poi perderla nuovamente."
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Eragon, Galbatorix, Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Eragon e Selena



Aveva sempre provato ad immaginare sua madre, ma averla davanti a sé era una completamente diversa. Se era stato tutti quegli anni a pensare a cosa le avrebbe detto, ora tutto era andato in fumo.
Erano rimasti abbracciati per molti minuti quando i doveri di Eragon l’avevano però allontanato da sua madre, la qual si era chiusa nella tenda di Arya a raccontarle di chissà cosa.
Eragon aveva provato un moto di stizza nei confronti dell’Elfa, una gelosia che lo rese stupido ai propri occhi. Arya conosceva sua madre, meglio di lui, e forse voleva delle risposte. La donna gliene doveva, ma gliene doveva tante anche a lui.
Così aveva lasciato perdere e si era dato ai propri compiti, cercando di svuotare la mente e liberarla da brutti pensieri, i quali rischiavano di catturarlo in qualsiasi momento. Solitamente far lavorare il corpo lo aveva aiutato, adesso sembrava tutto inutile.
Raggiunse Saphira in una radura al calar del sole. Lei era appena tornata da caccia. Le parlò dei suoi pensieri. Per qualche istante la dragonessa rimase in silenzio a guardarlo e Eragon sentì solamente un senso di tenerezza in lei, poi, con voce non troppo dolce, sbuffò.
A volte sei proprio un bambino.
Eragon parve irritato da quelle parole, e alzando il capo, osservò l’enorme testa di Saphira. Rideva.
Pensavo di riuscire a trovare conforto in te.
Ti sto prendendo in giro. È normale ciò che provi, e devo ammettere che Arya è stata poco dolce nei tuoi confronti. Avrebbe dovuto lasciarti del tempo per stare con tua madre.
E’ quello che penso anch’io.
Il Cavaliere si lasciò cadere pesantemente su un masso, giocando con un rametto che aveva trovato lì vicino. La terra era bagnata, così fu facile levigarla e imprimerci il passaggio del legno.
Saphira si accucciò, senza staccare gli occhi dal giovane.
Se vuoi vado a prenderla e la porto qua.
Non seppe perché, ma le parole di Saphira fecero ridere Eragon. Forse perché immagino la dragonessa che si alzava in volo, sradicava la tenda e portava via Selena fra gli artigli. Ne sarebbe stata capace!
Scosse la testa. No no, meglio se non fai niente.
Come vuoi. La dragonessa sembrava essersi offesa.
Passarono i minuti restanti a parlare del più e del meno, fin quando il sole non scomparve dietro alle colline, lasciando sulla piana un buio assoluto.
Eragon si alzò, e salutando Saphira che tornava a caccia – di notte le era più facile -, si avviò verso il campo Varden. Era un po’ che non vedeva Elvin, in effetti tutto il giorno. Decise di andarle a fare una visita.
Trovò la ragazza seduta fuori dalla sua tenda, intenta a pulire del vango da un paio di stivali. Quando vide arrivare Eragon, alzò la testa, sorridendogli.
- Alla fine era tua madre veramente.
Perfetto, Eragon avrebbe preferito non parlare della donna.
Si sedette accanto a lei, su un ceppo di legno che faceva da sgabello. Elvin passò all’altro stivale.
- Già. Di chi sono? – chiese, riferendosi agli stivali che la ragazza teneva in mano.
- Miei. Ho deciso di provare a dare una mano.
- Vuoi scendere in battaglia?
Elvin scosse la testa, posando entrambi gli stivali a terra. Sospirò, posando le mani in grembo. – Non sono in grado, e me ne vergogno. Però se posso aiutare a scavare trincee, a piantare pali, o a spostare cose pesanti, lo farò. Inoltre, molte donne Varden hanno bisogno di me. – sorrise e una ciocca di capelli castana le scivolò lungo la spalla. – Con un paio di stivali starò più comoda, non credi?
Rise così come fece Eragon. Si guardò i suoi di stivali, notando che erano molto usati.
Passarono qualche secondo in silenzio, poi Eragon si alzò e la salutò. Pensava potessero dirsi di più. Fu Elvin a fermarlo. Lo prese per un polso.
- Rimani. Mi fai compagnia – c’era una nota di tristezza nella sua voce, e Eragon non riuscì a dirle di no. Si sedette nuovamente, aspettandosi qualche parole dalla ragazza, ma questa non parlò. Capì solo dopo che lo fece perché una guardia stava camminando proprio lì davanti.
- Ti vanno due passi? – domandò poi. La guardia non era intenzionata ad andarsene.
Eragon annuì, alzandosi e iniziando a passeggiare per l’accampamento. Solo una volta fuori Elvin prese parola.
- So che questo discorso l’abbiamo già fatto ma…io ho bisogno di sfogarmi.
Eragon annuì. Sapeva già a cosa si riferiva. Murtagh. Era sempre nei pensieri della ragazza, e ancora una volta si chiese come mai le ragazze che gli interessavano gli sfuggivano via, irraggiungibili. Da una parte ringraziò il fato però, perché il suo cuore ancora era legato ad Arya. Ricordava la prima volta che aveva incrociato il suo sguardo con quello dell’Elfa. Non l’avrebbe mai scordato.
Si fermarono davanti al fiume, laddove Elvin aveva visto sbucare Selena.
- Ti senti solo a volte?
Quella domanda arrivò così all’improvviso che Eragon ne fu sopraffatto. Si sentiva solo a volte? Si, era successo spesso, anche con Saphira.
Annuì – A volte mi succede, si.
Elvin sospirò, tenendosi nelle spalle. La notte era ancora fredda. – A me succede sempre di più. È come se mi sentissi fuori posto, fra voi. Voglio aiutare, e la gente accetta il mio aiuto, ne è felice, ma sento che il mio posto non è qui.
- E dov’è?
Elvin abbassò la testa, così che i capelli andarono a coprirle il volto. – Credo tu lo sappia.
- Allora perché non vai?
Elvin si voltò di scatto. Non si aspettava una risposta del genere. Si era preparata a lunghi discorsi, a parole calde di comprensione, e invece Eragon sembrava…apatico alla cosa.
Aprì la bocca un paio di volte senza però sapere cosa dire. Quando si rassegnò, e tornò a guardare il fiume lambire la radura.
- Non servirei mai Galbatorix.
Eragon si sentì felice di quella risposta e si lasciò sfuggire un sorriso. – Sai cosa mi insegnò Brom tempo fa? Che a volte vanno fatte delle scelte, e non sempre queste sono facili. A volte bisogna mettere da parte noi stessi e pensare al bene degli altri. Io e Saphira lo abbiamo accettato, per questo ci è più facile di altri comportarci così. Ma non siamo forti anzi, la gente vede meno di quello che siamo. Ma va bene così, perché è l’immagine che ci portiamo dietro che conta, non chi siamo veramente. – si fermò un attimo. Era così che doveva essere. Alla gente non interessava chi era Eragon Bromsson, ma chi era Eragon Ammazzaspettri, Eragon Shur'tugal. – Per questo mettiamo da parte i nostri sentimenti. Sappiamo che ci sono cose più importanti. – si sentiva un vecchio a fare quei discorsi. Ora era lui il mentore, non c’era più nessuno a insegnargli come fare. Era il suo turno.
Elvin era rimasta ad ascoltarlo, ma senza guardarlo. – Non è facile.
- Niente è facile. Cosa ti dice il tuo cuore?
- Di andare.
- E la tua mente?
- Di restare. C’è chi ha bisogno di me.
Eragon si girò posandole una mano sulla spalla. Le sorrise, per poi voltarsi e andarsene a passo lento, lasciandola sola.
Il vento le scompigliava i capelli e portava con sé ricordi di quando lo aveva incontrato, a quando tutto era iniziato e a come fosse convinta e sicura di tutto. E’ più difficile di quanto sembri.
Era debole, lo era sempre stata.



La mattina dopo arrivò troppo presto e le palpebre di Eragon ne risentirono. Si alzò stiracchiandosi e beandosi del buongiorno di Saphira, al quale rispose con uno sbadiglio. Con l’avvenire della primavera la dragonessa era sempre più arzilla la mattina, grazie ai caldi raggi solari che le irradiavano la corazza luminosa.
Si alzò indossando gli stivali e lavandosi la faccia nel catino lì vicino. Quell’acqua doveva essere cambiata.
Poi uscì, indossando il panciotto e dirigendosi verso il padiglione di Nasuada. Gli si stringeva ancora il cuore ogni volta che lo vedeva.
Passarono la giornata a parlare di strategie e del fatto che Murtagh ancora non aveva mosso piede contro di loro.
- Stanno covando qualcosa – aveva detto Jormondur durante la seduta delle due del pomeriggio, quando ancora non si erano viste guardie di Galbatorix marciare contro di loro. – Le nostre sentinelle dicono che se ne stanno in panciolle a bere vino. Perché!? – aveva tuonato, lasciando cadere pesantemente il pugno sulla carta di Alagaesia.
Se lo chiedeva anche Eragon: perché Murtagh non si muoveva? Sapeva di Selena?
- No – fu sua madre a togliergli ogni dubbio – Galbatorix pensa che io sia morta. Non è quello.
- Suggerisci qualcosa, Aiedail? – avevano iniziato a chiamarla così gli elfi, e Arya si era adeguata, perché era comparsa come compare la Stella del Mattino, illuminando di speranza. Perché se lei era viva, allora tutto era possibile.
La donna si mosse lenta sulla sedia su cui era posata. – So che Morzan fu costretto da Galbatorix, prima di morire, a consegnargli l’Eldunarì del suo drago. – un brusio pervase la tenda. Nessuno si aspettava una cosa del genere – Galbatorix custodisce gelosamente quell’Eldunarì, perché se dato in mani giuste è molto potente.
Arya parve la più preoccupata, ma non si intromise, anzi rimase a guardare Selena, intimandola di continuare. La donna continuò il suo racconto, spiegando come quel cuore dei cuori era stato dato a Murtagh e come ora lui si stesse allenando per usarne la massima energia.
Eragon si stupì di come la sua voce non cambiò a pronunciare quel nome. Era comunque suo figlio e il ragazzo si aspettava un comportamento diverso. Invece sembrava come se anche per lei non fosse altro che il nemico.
Decisero così di mandare qualcuno in perlustrazione, ma nessuno dei presenti era volenteroso di andare a spiare il nemico. Si offrì Eragon, ma la richiesta venne respinta.
- Se dovessero catturarti cosa faremo? – era intervenuto Jormondur, le mani appoggiate aperte sul tavolo.
- Sono un Cavaliere, non sono così facile da catturare – Eragon si era sentito alquanto sottovalutato da quelle parole. Ma doveva ammettere che aveva ragione. Era solo per orgoglio che gli rispose. Saphira era più arrabbiata di lui ed emise un ringhio, ma in pochi la degnarono di attenzione. Oramai la conoscevano.
- Jormondur ha ragione Eragon, è troppo pericoloso – stavolta fu Arya a parlare e quello fu più doloroso di qualunque altra cosa. Anche lei lo vedeva come Jormondur.
Anche la proposta di Roran fu scartata. Non era abile a muoversi di soppiatto, era una facile preda, specialmente per le spie di Galbatorix.
Così si erano trovati a chiedersi chi fosse il più adatto. Arya era troppo importante per rischiare così, per questo neanche si era proposta, quando a Eragon venne in mente Elvin. Voleva riscattarsi ed era abbastanza leggera da non fare confusione. I presenti si guardarono. Non sapevano che Elvin era rimasta imbambolata davanti ai nemici a Uru’bean e anche Roran si astenne dal farne parole. Sapevano entrambi quando la ragazza si era sentita in colpa per quel frangente.
Alla fine furono tutti d’accordo e Arya mandò un elfo a chiamare la ragazza. Elvin arrivò dopo poco.
Guardò i presenti con fare spaesato e chiese spiegazioni ad Eragon tramite uno sguardo fugace. Questo si limitò a scuotere la testa e ad indicare Jormondur. L’uomo spiegò ad Elvin cosa doveva fare. La ragazza sembrò stupita della proposta e si ritrovò a chiedere: - Perché me? – ne aveva parlato la sera prima con Eragon e l’idea di andare a spiare Murtagh non le piaceva, tralasciando il fatto della mera figura ad Uru’bean. Perché Eragon le faceva questo? Cosa voleva che diventasse? Forse per farle scegliere?
“Cosa ti dice il tuo cuore? Di andare. E la tua mente? Di restare. C’è chi ha bisogno di me.” Vuole che scelga. Alla fine annuì, accettando, e una volta sciolta la seduta, Arya le si affiancò veloce e leggera. Si chiese perché non avessero scelto lei per quel compito. Era più adatta. Ma soprattutto, più determinata.
Le posò una mano sulla spalla e Elvin la trovò insolitamente fredda.
- Andrai domani, quindi oggi abbiamo tempo per addestrarti. – la voce dell’Elfa era come affaticata da qualcosa. Elvin si chiese come mai.
- Addestrarmi? – chiese, senza capire.
- Pensi di entrare nell’accampamento senza esserti allenata adeguatamente?
Elvin si sentì una stupida a non averci pensato prima: - Pensi che un giorno basti?
Arya scosse la testa: - No, ma ce lo faremo bastare. – poi le fece cennò di seguirla, e agilmente si allontanò dall’accampamento. Passando di fianco ad Eragon bisbigliò due parole, in elfico. Eragon la osservò allontanarsi, rapito dai suoi movimenti. Sospirò. Si diresse dove lo aveva indirizzato Arya.
Saphira gli fu accanto.
Raggiunse la collinetta indicatagli dopo una quindicina di minuti e si bloccò davanti alla figura seduta a terra: Selena. Ebbe un fremito.
Vuoi che me ne vada? Chiese Saphira, ferma a due metri di distanza da lui.
No, resta con me.
D’accordo.

Si avvicinarono alla donna che se ne stava seduta a gambe incrociate, il vento che le scompigliava i boccoli striati di grigio. Per la sua età, aveva davvero dei bei capelli.
- Mi spiace di non averti potuto parlare prima. – la sua voce. Eragon aveva sempre cercato di immaginarla che gli cantava la ninna nanna prima di andare a letto, o che gli raccontava storie di draghi ed elfi. Ora era lui quelle storie.
- Tranquilla – si sedette accanto a lei – Anche io ho avuto poco tempo – mentì. Non se la sentiva di fargliela pesare. Non adesso. – Come sei tornata?
Quella domanda gli venne talmente spontanea che la madre si abbandonò ad una risatina. Poi gli passò un fiore. Era ancora un bocciolo rosa.
Eragon lo prese, rigirandoselo fra le dita. Il silenzio che precedeva un grande racconto, tipico di Brom. Pensò che lei lo doveva aver conosciuto davvero bene. Gli sarebbe piaciuto chiedergli di lui. Magari dopo.
Selena lanciò un ultimo sguardo al figlio per poi iniziare a parlare, lo sguardo perso in lontananza. Si vedeva il fumo dell’accampamento di Murtagh.
- Quando ho scoperto di essere incinta di te ho avuta paura. Non volevo che tu crescessi sotto Morzan. Ho contattato Brom, sperando che lui potesse darmi una mano. Ero confinata nel castello di Morzan. Non voleva che uscissi. Aveva notato qualcosa che non andava. Le mi missioni duravano troppo e spesso non portavo neanche a termine il mio compito. Palese che andassi da Brom. Era l’unico che riusciva a salvarmi da quella che era la prigione di Morzan.
Quando scappai Brom non era lì a prendermi. Doveva essere successo qualcosa, ma non avevo tempo di indagare. Così presi un cavallo dalle scuderie e me ne andai. Non fu facile, specialmente perché tu eri ormai al sesto mese e cominciavi a pesare. Per due volte rischiai di partorirti prematuro.
Quando raggiunsi Carvahall ero stremata. Tua zia mi curò e mi fece partorire. Roran era nato da pochi anni.
Quando hai aperto gli occhi e mi hai guardata ero così felice, perché sapevo che eri vivo e che eri salvo. Morzan non ti avrebbe mai avuto. Anche perché se avesse scoperto tutto, non solo avrebbe ucciso me ma anche te, e volevo assolutamente evitarlo.
Rimasi al villaggio per qualche giorno quando venni a sapere che Morzan era sulle mie tracce. Nessuno sapeva che ero io la donna del Cavaliere così mantenni il segreto, e me ne andai. -
Eragon sentì una nota di tristezza in quelle parole e fece per toccarle una mano, quando Selena riprese e lui la ritrasse.
- Sapevo che Brom si era trasferito al villaggio e gli chiesi di badare a te, di non lasciare che nessuno ti facesse del male. Ma poi venni a sapere che Morzan era stato ucciso da tuo padre. -
Brom chiamato così lasciarono in Eragon un calore che non aveva mai provato prima. Ma fu piacevole.
- Galbatorix però mi credeva viva e io dovetti andarmene. Attraversai tutta la Valle Palancar e me ne andai al Nord, facendo gli ultimi rifornimenti a Ceunon. E’ un bel posto lassù.
Il silenzio li avvolse nuovamente, interrotto solo da qualche uccello che si librava alto nel cielo e che attirava l’attenzione di Saphira. Ma la dragonessa era comunque attenta alle parole della donna. Teneva d’occhio le reazioni di Eragon.
- Come hai convinto Galbatorix che eri morta? – chiese poi Eragon, scegliendo quale domanda fosse più pertinente, se quella, o perché non portò via Murtagh con sé. Quella era una domanda che lo aveva sempre consumato, ma forse non era la persona giusta per farla. Ora che Selena era tornata, Murtagh avrebbe potuto parlarci.
Selena abbozzò un sorriso stanco, legando due boccioli assieme. – Mi tagliai una mano e la detti ad uno dei suoi sicari. Una ragazza dai capelli corti e il viso aggraziato. Non ne ho più avuto notizie.
Eragon fece per parlare ma Selena lo zittì con un cenno della mano: - So cosa vuoi dire, ho tutte e due le mani. Vero. Incontrai uno stregone e me la feci curare. Lassù al Nord la magia è diversa, si è sviluppata molto nel settore della medicina. Comunque, Galbatorix fece analizzare la mia mano e si convinse che ero morta davvero, almeno così mi disse il sicario in una lettera.
Mi tenevo sempre in contatto con Alagaësia e venni a sapere che eri diventato un Cavaliere. Così mi misi in cammino per ritrovarti. È stato un lungo viaggio, faticoso per la mia età che avanza, ma alla fine ti ho trovato – si voltò finalmente verso il figlio, sorridendo di un sorriso lucente e sincero. Gli sfiorò una mano – Sono felice di incontrarti, finalmente.
Eragon fu pervaso da un brivido caldo che gli partì dalla punta dei piedi fino alla nuca e strinse la mano della madre. – Anche io. – E lo era, immensamente. Per un periodo aveva odiato sua madre, che sebbene gli dicessero per una buona ragione, lo aveva abbandonato; ma ora, a sentire quel racconto, tutta la rabbia e la frustrazione per essere stato abbandonato, era sparite.
Saphira emise un brontolio di soddisfazione e passò del calore ad entrambi. Selena fu felice di quel contatto.
- Grazie Bjartskular – le disse, posandole una mano sul muso.
- Brom com’era? – era curioso, troppo curioso di sapere di suo padre.
Selena parve rabbuiarsi per un istante, poi tornò serena, come prima: - Tuo padre era una testa dura. Quando si metteva in testa qualcosa nessuno gli faceva cambiare idea.
Mi ricorda qualcuno.
Ma zitta.

Saphira ridacchiò ma lasciò perdere. Era il momento di madre e figlio.
Per un istante pensò che era anche sua madre, in un certo senso, ma scacciò quel pensiero. Lei era figlia di draghi!
- Ma quando gli morì il suo drago – indicò la dragonessa – Saphira, ne rimase distrutto. Era irriconoscibile, e dovetti faticare per rivedere in lui l’uomo che avevo amato. Era lì, sepolto dal dolore.
Fu in quel periodo che mi accorsi di rimanere incinte e bè…il resto della storia la sai.
Eragon annuì. Era una storia triste.
- La prima volta che ci incontrammo fu dopo una mia missione. Se ne stava a ridere e scherzare con altri due Cavalieri in una taverna. Ancora ve ne erano molti. All’inizio non mi interessò, e presi da bere, sedendomi ad un tavolino da sola. Poi anche lui rimase solo e si avvicinò a me. Palese che volesse provarci, ma lo lasciai fare. L’amore sbocciò quasi subito. Era un uomo intraprendente, sicuro di sé anche se in quella sua sicurezza ostentata ogni tanto vacillava. Aveva bisogno di qualcuno che credesse in lui, non come Morzan. Ma la cosa che più mi colpì fu la sua bontà. Non avevo mai incontrato un uomo più buono.
Eragon abbassò lo sguardo. Suo padre era davvero un grand’uomo.
- Devi andare fiero di Brom
- Lo sono. – era vero. Durante l’inseguimento dei Ra’zac aveva imparato a conoscerlo, o almeno così credeva, ma si era accorto che c’era ancora tanto che non sapeva di lui. – Avrei voluto conoscerlo.
Selena gli posò una mano sulla spalla. Saphira soffiò appena. – Non sempre tutto va come dovrebbe. Ma sappi questo: è molto fiero di te.
Ad Eragon scappò una risatina. – Come fai ad esserne sicura? Io non valgo la metà di quello che era lui.
La mano di Selena si staccò e il suo sguardo si fece serio. - Tu non sei Brom, è vero, ma non è vero che non vali.
Eragon si sentì improvvisamente stupido. Prima era Garrow a fargli le paternali, ora il discorsetto arrivava dritto dritto da sua madre.
- Tu sei Eragon, Cavaliere dei Draghi. Questo nome non è affibbiato a chiunque. Sai cosa significa “Shur'tugal”?
- Cavaliere dei Draghi.
- No. Non solo almeno. Nella parola, come ogni parola dell’Antica Lingua, è nascosto un significato più grande. Shur'tugal è l’essere Cavaliere dei Draghi, è il meritarselo. Non ha tutti viene affibbiato questo nome, questo merito. Cosa che alla fine è. Tu ti sei meritato quel nome, per questo gli elfi ti chiamano tale.
Eragon alzò lo sguardo su quello della madre, per poi guardare Saphira. La dragonessa annuì.
Non c’aveva mai pensato.
Abbozzò un sorriso a sua madre: - Grazie.
Le scosse la testa e l’abbracciò. Quel corpo piccolo e gracile…sembrava si potesse rompere sotto la stretta delle sue mani.
Chiuse gli occhi. Ora sapeva e sapeva chi era Brom, sebbene in parte.
Alzò lo sguardo al cielo. Prima o poi si sarebbero ricongiunti, e sarebbe stati insieme, per sempre.




Rieccomi, riuscita a continuare. Spero che Selena non sia sembrata troppo odiosa ahah xD All’inizio io l’avevo un po’ in antipatia, ops.
Comunque ringrazio ancora stefy_81 che continua a recensire questa storia e senza la quale non andrei avanti.
Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo piacimento. Ho voluto incentrarlo molto sul legame tra Eragon e Selena, sperando anche di aver fatto capire cosa prova la madre nel parlare al figlio.
Hai ragione, anche stavolta Murtagh è stato sorpassato, ma non sarà l’ultima. Povero, mi vorrà male prima o poi! :D

Vi aspetto al prossimo capitolo!!!
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Eragon / Vai alla pagina dell'autore: laramao