Storie originali > Favola
Segui la storia  |       
Autore: Sylphs    27/03/2012    2 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 15

 
 
 
 
 
 
Michael e Gervase, l’altro scagnozzo, trascinarono Isadora e il marchese all’interno del monastero che comunicava con la cattedrale. Senza tante cerimonie, li condussero ad una piccola porta di legno al secondo piano, che aprirono brutalmente. Si aprì su una stanzetta di pietra, con un inginocchiatoio in un angolo e una finestrella nel muro. Il pavimento era coperto da uno stinto tappeto rosso. Un crocefisso era appeso da un chiodo accanto all’inginocchiatoio.
“Benvenuti nella vostra nuova tana, Vostre Eccellenze” biascicò Michael. Lui e il suo compare spinsero padre e figlia dentro la stanzetta. Il marchese rotolò sul tappeto, ma Isadora si rialzò immediatamente e si gettò verso la porta con furia. Michael si ritrasse, li chiuse dentro e girò la chiave nella serratura. Quando la ragazza raggiunse la soglia, era troppo tardi. Al culmine della disperazione, batté i pugni sul legno inutilmente: “Fateci uscire!”
Continuò così per un bel pezzo mentre il marchese la osservava abbattuto dal pavimento. Lentamente, i colpi di Isadora si fecero sempre più deboli, e alla fine lei si lasciò scivolare a terra piangendo: “È tutto inutile…”
Il marchese la abbracciò stretta: “Non piangere, Isa. Ce la caveremo, vedrai” le accarezzava i capelli, che da boccoluti si stavano ammosciando. Lei scosse la testa e si strappò di dosso il velo: “È tutta colpa mia. Sono io che ho accettato di sposarlo”.
“No, Isadora. È colpa sua. Lui ci ha ingannati tutti, si è preso gioco di noi” la consolò il marchese, stringendola. Isadora continuava a piangere con forza: “Farà del male ai miei amici, papà. Io non posso permetterlo, non posso…” le parole le morirono in gola. Il marchese si separò da lei e la guardò stupito: “Isa!” esclamò: “Perché non me l’hai detto subito? Tu ti sei affezionata a…”
“È così, papà. E ora vi ho condannati tutti. L’ho condannato per una decisione affrettata. Se siamo chiusi qui è soprattutto merito mio” singhiozzò lei. Non si era mai sentita così priva di speranza. Era chiusa in quella stanza, e non poteva far nulla per uscire. Ma non poteva arrendersi! Doveva andare avanti per Katrina e suo padre, ma soprattutto per l’orco.
Si alzò e, barcollando, si diresse verso la finestra. Forse potevano fuggire da lì…ma quando si sporse, vide sotto di sé solo il vuoto, una voragine oscura di morte. Era impossibile a ognuno di loro di arrampicarsi sulle asperità delle mura della cattedrale. Si ritirò dalla finestra con crescente sconforto. Si passò la mano sul viso per toglierne con furia gli ultimi rimasugli di trucco. Il marchese giaceva accanto all’inginocchiatoio respirando appena. Anche lui non aveva idea di cosa fare.
Il rumore della chiave che girava nella serratura li fece sobbalzare. Si strinsero l’uno all’altra, appiattendosi contro la parete. Lord Fox entrò nella stanzetta seguito da Michael, che si piazzò a difesa della porta. Si avvicinò alla coppia tremante col ghigno da vincitore stampato in faccia. Isadora provò per lui un odio profondo. Suo marito. L’essere abominevole che li aveva chiusi lì dentro. La contemplò sornione: “Che peccato, cara. Ti si è sciupato il vestito, che è di gran lunga più prezioso di te”.
Lei digrignò i denti, ma non disse nulla. Lord Fox si inginocchiò alla loro altezza: “Sai, sei l’unica delle mie cinque mogli a cui mi sia mostrato per quello che sono. Dovresti ritenerti fortunata”.
Isadora gli sputò un fiotto di saliva al centro degli occhi. Lo fissò con un evidente sguardo di sfida. Lord Fox si ritrasse bruscamente. Senza fare una piega, si asciugò lo sputo dal viso, poi, altrettanto pacatamente, colpì la ragazza con uno schiaffo violentissimo. Lei accusò il colpo gemendo debolmente. Al marchese prese un colpo e strinse a sé la figlia: “Come osate?”
“Oso” disse Lord Fox con molta calma: “Ora è mia moglie e non deve permettersi di sfidarmi. Sono stato chiaro, sgualdrinella?”
Isadora aveva la mano appoggiata sulla guancia colpita e gli occhi lucidi. Non annuì, ma lo fissò con terrore. Lord Fox accostò il volto al suo: “Ho cambiato idea. Non ti porterò in nessuna foresta. Sarebbe una morte troppo elegante per una come te” fece una pausa, godendosi l’effetto delle sue parole: “Ti lascerò qui a marcire con tuo padre. Farò murare la porta e rimarrete in questa stanza senza né cibo né acqua”.
Isadora impallidì: “Sei un mostro…”
“Grazie, mi lusinghi” commentò Lord Fox: “Ma in realtà la cosa ha un significato poetico: un tempo le adultere venivano murate vive. Tu in un certo senso lo sei. Avanti, non guardarmi così: ti permetto di morire con tuo padre. Speriamo che sia tu la prima a soccombere. Poi, dopo molti anni, quando mi starò godendo gli ultimi fiorini del tuo patrimonio, farò abbattere il muro e mi gusterò la gradevole visione dei vostri scheletri abbracciati!” scoppiò in una risata folle e crudele. Isadora venne scossa da un fremito di terrore, ma con coraggio lo guardò negli occhi: “Che ne è dei miei amici?”
“Ah, loro” ghignò Lord Fox: “Li ho fatti rinchiudere nei sotterranei. Sai, ci sono molti sudditi di quell’orco i cui parenti erano stati rapiti e uccisi dal padre. Sono un pochino vendicativi. Saranno contenti di potersi sfogare su due prigionieri inermi”.
Gli occhi della ragazza divennero grandi di terrore: “Lasciali andare” disse con un fil di voce: “Loro non c’entrano niente. Farò qualunque cosa…”
“Ah, ma tu mi hai già ceduto il tuo patrimonio” sorrise Lord Fox: “Non voglio nient’altro da te. Non mi servi più”.
“Ho sempre saputo che eri una canaglia, fin da quando mi sorridesti in cucina” gridò Isadora. Lord Fox rise e si alzò: “Eppure mi hai sposato, mogliettina mia” la vide accasciarsi, annientata: “Sogni d’oro!”
Si ritirò e uscì dalla stanza. Michael scoccò un’occhiata divertita ai due prigionieri, poi uscì a sua volta, chiudendosi la porta alle spalle. Qualcosa cadde dalla sua casacca, ma Isadora non la notò subito. Era disperata, e le sembrava che tutt’intorno a lei ci fosse buio. Voltandosi, vide che il padre giaceva supino sul pavimento, semisvenuto: “Papà!” si inginocchiò accanto a lui e gli diede qualche schiaffo: “Reagisci, papà!”
Lui aprì debolmente gli occhi e fissò il soffitto spoglio della stanzetta con uno sguardo stralunato: “Murare la porta…niente acqua…scheletri…” balbettò.
“Stai su” gli disse Isadora. La porta venne aperta di nuovo e lei si voltò con un sussulto. Era di nuovo Lord Fox, che stavolta rimase sulla soglia: “Dimenticavo!” esclamò: “Voglio farvi un favore” gettò un pugnale sul pavimento: “Un regalo. Lo si concede sempre a chi è spacciato. Sapete, dopo alcuni giorni che passerete senza cibo né acqua, quel pugnale assumerà un’aria molto interessante. Addio!” scomparve ancora.
Isadora fissò la porta con aria accigliata, poi si alzò e si chinò a raccogliere il pugnale. Il marchese la fissò ad occhi sbarrati: “Non lo troverai già interessante, Isa!”
“Ma che dici? È solo che potrebbe tornare utile” rispose lei. Se lo infilò nel corpetto dell’abito rovinato. Poi attese. Sarebbe davvero finita così? Suo padre non le era di nessun aiuto, e neanche il pugnale che aveva infilato nelle vesti. Non c’era la possibilità di aiutare l’orco e Katrina? Ah, se solo il cielo le avesse mandato un miracolo!
All’improvviso una cosina minuscola sfrecciò attraverso la serratura e piombò stordita sul pavimento. Isadora sobbalzò, il marchese uscì un attimo dalla sua apatia. La cosina bianca sollevò la testolina e la fissò affettuosamente. Isadora lo riconobbe: “Armageddon!”
“Perfetto. Lui sì che ci aiuterà” commentò sarcastico il marchese. La ragazza prese il topolino fra le mani: “Armageddon! Pensavo che fossi arrabbiato con me!” lui le sfiorò la guancia col musetto. L’aveva perdonata. Commossa, Isadora se lo accostò al viso e si sfregarono naso contro naso. Il marchese emise un colpo di tosse: “Non per interrompere l’idillio, ma il tempo stringe, e io ho già fame!”
Isadora si riscosse e si portò Armageddon al petto, preoccupata. Era contenta di averlo ritrovato, ma effettivamente non poteva far nulla per loro…fu solo allora che si accorse dell’oggetto che Michael aveva perso. “Ehi!” si chinò a raccoglierlo, perplessa. Se lo rigirò tra le mani: “Una chiave?”
“Forse la nostra chiave?” chiese il marchese speranzoso. Isadora la infilò nella serratura, ma non riuscì a girarla: “No” sentenziò infine. In effetti la chiave usata da Michael per rinchiuderli era diversa: grande e d’ottone. Questa qui era piccola e argentata. Aveva un’aria familiare…all’improvviso ricordò dove l’aveva già vista e il viso le si illuminò: “Ma certo! Ce l’aveva Michael alla cintura quando mi ha trascinata via! Dev’essere la chiave che apre la cella dei miei amici”.
Il marchese sbuffò: “E cosa ce ne facciamo noi?”
Isadora si accigliò. Doveva riflettere. Intensamente. A passi lenti tornò alla finestra, si sporse giù. Sì, era impossibile scavalcarla per un essere umano, però il muro di cinta della cattedrale correva giù fino ai sotterranei…e c’erano uno o due stretti cornicioni collegati tra loro, senza contare le larghe finestre ogivali e le statue di marmo di sant’uomini che pendevano dalle mura. Calcolò velocemente le possibilità di giungere ai livelli inferiori calandosi dalla finestra…nessuna per un essere umano, ma per qualcuno di piccolo e agile…
“Armageddon” decise infine, fissando il topolino in piedi sulla sua mano destra: “Te la senti di affrontare un’impresa?” lui le rispose con un brillio negli occhietti. Il marchese sollevò un sopracciglio: “Che?”
“La vedi questa?” mostrò la chiave al topolino, che fece un cenno della piccola testa: “Bene. Devi portarla dall’orco. Ti ricordi di lui, vero?” Armageddon rispose con un altro cenno della testa. Ricordava. Gliel’aveva presentato l’ultimo giorno che era stata al maniero. Isadora sorrise: “Portala da lui, Armageddon. Lo aiuterà. Poi verrete a liberarci”.
“Perfetto!” esclamò il marchese, esasperato: “Affidiamoci al topo! Ci salverà!”
Isadora non si prese la briga di ascoltare i suoi borbottii. Prese il pugnale e recise un lembo della gonna di paillette. Tanto era già rovinato, il vestito. Passò il nastro attorno al piccolo collo di Armageddon e ci legò insieme la chiave, che per fortuna era di piccole dimensioni. Il suo peso gravava un po’ il topolino, ma gli permetteva di muoversi agilmente. Isadora strinse bene il laccio che teneva avvinta la chiave al topino, poi fissò Armageddon dritto negli occhi. Era la loro ultima speranza: “Dovrai essere bravo e veloce, Armageddon. Ricorda che conto su di te” a lui scintillarono di nuovo gli occhi. Allora Isadora gli diede un bacio sulla testa, andò alla finestra e lo depositò dolcemente sul cornicione lì vicino. Ci entrava a malapena. Armageddon la guardò, e lei lo salutò con la mano, poi disse la frase caratteristica che gli faceva effetto: “Tocca a te, Armageddon!”
Il topolino assunse un’aria decisa, poi saltò giù dal cornicione e Isadora lo perse di vista. Era preoccupata per lui. Sperava davvero che ce la facesse. Il marchese era più scettico al riguardo: “Hai affidato la nostra sorte a quel ratto”.
“Topo di campagna” sottolineò lei: “Fidati, papà: Armageddon è magico. Tutti dicevano che la mamma era una specie di strega”.
Fuori dalla porta, Lord Fox ordinò ai suoi scagnozzi: “Murate la porta”.
E quando il primo colpo dei martelli che inchiodavano i mattoni risuonò nella stanzetta, il marchese e Isadora si strinsero l’uno all’altra. Lei guardò la finestra: “Ti prego, Armageddon…faccela…”
 
La cella in cui erano stati rinchiusi l’orco e Katrina era piccola e sudicia. Nient’altro che un cubicolo di pietra che puzzava di chiuso, con un pagliericcio in un angolo e una finestrella con le sbarre infossata nella parete. Era chiusa da una parete irta di sbarre di metallo che dava sul complesso di corridoi bui dei sotterranei. L’unica luce era quella delle torce appese ai muri.
Katrina, raggomitolata sul pagliericcio, guardava piena di sconforto l’orco che, furioso, tempestava di pugni e calci la parete di sbarre senza smuoverla di un millimetro. Erano ore che ci si accaniva contro inutilmente, a volte piangendo, a volte gridando. La serratura incastrata tra le sbarre non dava il minimo segno di cedimento. E per di più nella cella accanto alla loro c’era lo scheletro di un malcapitato incatenato alla parete, con un cartello di legno appeso al collo che diceva: eretico. L’eretico incuteva a Katrina un senso di gelo tremendo. Immaginava il proprio scheletro abbandonato in quella cella per anni, con un cartello che recitava: domestica pazza.
“Dannazione!” imprecò l’orco, dando una scossa violenta alle sbarre. Sconfortato, cadde bocconi sul pavimento di pietra e vi affondò le mani: “È inutile. Non cede”.
“Forse dovremmo chiedere aiuto all’eretico” disse Katrina con tono sognante. Nonostante fosse visibilmente disperato, l’orco la guardò in modo strano: “Che?”
“Scusatemi, padrone” scosse la testa, confusa: “Mi sento impazzire. Sto delirando”.
L’orco si abbandonò pesantemente contro una delle pareti di pietra: “È andato tutto storto, Katrina. Se solo Isadora non fosse in pericolo, chissà dove…” chiuse gli occhi, gli si contrasse il viso, poi balzò di nuovo in piedi, esplose in un urlo e riprese a colpire la parete di sbarre che li teneva imprigionati. Katrina lo osservò spassionatamente. Perfino lei aveva perso le speranze. Erano tutti spacciati. “Padrone, è inutile che vi accanite su quelle sbarre” disse stancamente: “Abbiamo perso”.
“Non possiamo lasciare Isadora nelle mani di quell’uomo!” gridò lui. Era esausto e sconfortato, ma non riusciva ad arrendersi, a differenza della compagna di cella. La quale guardò tristemente l’eretico: “Come ti capisco” sospirò.
Fu mentre lei cercava di prendere sonno che l’orco, voltandosi un attimo per riprendere fiato, vide una figurina bianca che lo scrutava dalla finestrella. Ricambiò con uno sguardo vuoto, non riconoscendolo. Poi guardò meglio: “Katrina!” esclamò. La domestica, che aveva già cominciato a russare, si riprese con un sussulto e inghiottì il filo di bavetta che le era colato dalle labbra: “Che? È successo qualcosa?”
L’orco, con la speranza che gli illuminava il viso, corse verso la finestrella. Allora non ebbe più dubbi: “Armageddon!” gridò, sorridendo al topolino bianco che entrava soddisfatto nella cella: “Sei grande!” aveva infatti una piccola chiave argentata legata al collo da un laccio. Katrina spalancò gli occhi: “Ma quella non è..”
L’orco sciolse la chiave dal nastro e la brandì con aria trionfante. Ma Armageddon non aveva finito. Allungò una zampetta e lo toccò sul braccio, poi, quando ebbe la sua attenzione, prese a fare una serie di cenni frenetici, squittendo. L’orco li seguiva perplesso, cercando di raccapezzarci qualcosa: “Su? Che cosa è su?”
Armageddon alzò gli occhi al cielo. Si spostò dalla finestra, scivolò fino al pavimento, poi prese da terra un bastoncino. Lo piazzò sul pavimento e tracciò una serie di abbozzati disegni, che denotavano un animo sorprendentemente sviluppato. L’orco e Katrina si inginocchiarono lì accanto, perplessi. Armageddon disegnò un teschio con gli occhi simili a quelli di Lord Fox. Katrina scoppiò a ridere: “L’eretico! Parla dell’eretico!”
Il topolino scosse la testa. L’orco fece lo stesso: “No, è qualcos’altro” scrutò il disegno stilizzato accarezzandosi il mento, poi fece un tentativo: “Pericolo?” Armageddon annuì freneticamente e passò al secondo disegno. Fece due file di punte aguzze in salita. Katrina si accigliò: “Un uccello con quaranta becchi?”
“No” disse l’orco, gli occhi stretti dalla concentrazione: “Sembrano più…due rampe di scale?” il topolino annuì, e allora l’orco ragionò: “Pericolo…due scale…pericolo al secondo piano…”
Armageddon disegnò due sagome che somigliavano vagamente a due esseri umani. Uno lo fece ciccione, tanto che sembrava una palla, l’altro esile, con gli occhioni e una montagna di capelli. Katrina rise: “Che divertente! Un budino coi capelli e una gattina con gli occhioni!”
Armageddon si spiaccicò una zampa sulla faccia, senza speranza. Fissò l’orco sperando che lui capisse. Questi sfiorò l’ultimo disegno, confuso: “Sembrerebbero…” impallidì: “Il marchese e Isadora!”
Armageddon collegò le due sagome al teschio e alle due rampe di scale. Katrina emise un gemito: “Cielo, gli hanno scagliato contro due frecce?”
“No” l’orco era pallido: “Il marchese e Isadora…in pericolo…al secondo piano!” scattò in piedi come una molla, la chiave stretta in mano, e corse verso le sbarre: “Presto!” Katrina lo raggiunse prendendo tra le mani Armageddon e borbottando: “Io resto dell’idea che erano un budino e una gattina!”
L’orco fece passare la mano attraverso le sbarre, infilò la chiave nella serratura e aprì la cella. Al che fece un cenno agli altri due e si mise a correre in direzione delle scale che portavano ai piani alti. A metà strada si imbatterono in uno degli scagnozzi di Fox, che si allarmò subito: “Che ci fate fuori dalla cella?”
“Non sono affari tuoi” ringhiò l’orco. Un pugno bastò a spedirlo tra le stelle. Lo superarono correndo e presero a salire le scale a rotta di collo, l’orco sempre in testa. Mentre attraversavano il primo piano, incominciarono a sentire il rumore di varie piccozze che inchiodavano mattoni. L’orco divenne ancora più pallido: “In fretta, in fretta…”
Katrina, tornata di colpo presente a se stessa, strinse Armageddon: “Cosa sta succedendo là sopra?”
Il rumore diventava sempre più forte via via che si avvicinavano. Ad un certo punto sentirono uno scagnozzo esclamare: “Scendo un attimo a prendere un altro carico di mattoni”.
L’orco si appiattì al muro e intimò agli altri due di fare lo stesso, poi si posò un dito sulle labbra. Attese che il ceffo fosse arrivato, poi stese la gamba e gli fece lo sgambetto. Con un urlo strozzato, l’energumeno crollò a terra. L’orco gli fu sopra in un attimo, immobilizzandolo quando gli piantò il ginocchio sul petto. Lo sollevò afferrandolo per la casacca a lo fissò minaccioso: “Che sta succedendo?”
Lui, pallido in viso, balbettò: “Stanno murando la porta…”
All’orco si mozzò il fiato. Lo lasciò lì e riprese a salire con Katrina subito dietro. Percorsero un breve tratto di corridoio, poi avvistarono il resto degli scagnozzi di Lord Fox raccolto intorno ad una porta di legno murata a metà da una parete di mattoni rossi che prendevano da una carriola lì accanto, ricoprivano di colla e assicuravano con martelli e piccozze. Katrina trasalì: “Ma è orribile!”
Furioso, l’orco si gettò su di loro con un urlo. Stavolta aveva dalla sua l’elemento sorpresa, e si immise nella mischia con forza, pronto a prendersi la sua rivincita.
 
Lord Fox si stava godendo il suo trionfo con Michael al primo piano, spaparanzato su un divano di velluto, pescando cioccolatini al caramello da una ciotolina che lo scagnozzo gli porgeva. Il suono delle piccozze era dolce musica per le sue orecchie.
Però, la dolce musica venne turbata da una nota stonata. Di colpo le piccozze si interruppero per lasciare il posto a grida, imprecazioni e colpi. Si tirò su di scatto: “Che succede?”
Michael assunse un’aria sperduta: “Non saprei…”
Arrivò correndo uno dei suoi scagnozzi, pesto e malconcio, che gridò terrorizzato: “Signore! L’orco e la domestica si sono liberati e stanno cercando di salvare gli altri due prigionieri!”
Per la prima volta, il viso di Lord Fox venne incrinato da una smorfia di fastidio: “Non hanno ancora capito chi è che comanda!” si alzò in piedi e si assicurò una spada al fianco: “Stavolta me ne occuperò di persona”.
 
L’orco ebbe la meglio sugli avversari. Riuscì ad abbatterli quasi tutti, i pochi rimasti fuggirono. Katrina e Armageddon sospirarono di sollievo. Una volta liberatosi degli avversari, l’orco si voltò in direzione della porta murata a metà. Si rivolse seccamente agli altri due: “State indietro” al che prese una piccola rincorsa, si mise in verticale rispetto alla porta, trasse un lieve sospiro e vi si buttò contro. La colpì con una spallata. La porta tremò, ma non cedette. L’orco fece una smorfia, ripartì e la colpì ancora. Si udì il suono secco di un cardine che saltava. Katrina lo incitò, fremente: “Non mollate, padrone, non mollate!”
L’orco lanciò un grido e partì alla carica per la terza volta, avendo l’accortezza di colpire il legno e non i mattoni. Finalmente, con un botto, la porta cedette e si aprì di colpo. L’orco sarebbe caduto, non ci fosse stato il muro a metà che lo tratteneva dov’era. Aprendosi, la porta rivelò una stanzetta semibuia, sgombra. In un angolo, due sagome erano strette l’una all’altra, tremanti, e da loro proveniva il suono di un pianto sommesso. All’orco si illuminarono gli occhi: “Isadora!”
Nell’udire la voce tonante ma gioiosa, la sagoma più esile si riscosse, si sciolse dall’abbraccio dell’altra e sollevò la testa di scatto. I capelli biondi si scostarono dal viso. Isadora fissò con gli occhi spalancati l’orco sulla soglia, poi una luce le aprì il volto e sorrise gioiosamente: “Sei tu!”
“Che cosa credete di fare?” sibilò la voce astuta di Lord Fox. Lo videro che li fissava malevolo dall’entrata del corridoio. L’orco fece cenno a Isadora e al marchese di raggiungerlo: “Al calesse, presto!”
La ragazza si alzò subito in piedi, aiutò il padre a fare lo stesso e corse con lui fuori dalla stanzetta, scavalcando la metà di muro costruita. Al che corsero, Isadora, il marchese, l’orco e Katrina con Armageddon in grembo in direzione dell’uscita della cattedrale. “Non potete fuggire!” gridò Lord Fox, mettendosi a inseguirli con Michael alle calcagna.
Il gruppo che fuggiva udiva i passi veloci dei due furfanti che risuonavano secchi alle loro spalle. Tornato al primo piano, corse fuori dalla cattedrale, dirigendosi verso il calesse fermo lì di fronte. La folla di invitati, tra cui c’era anche Natalie, che si era assiepata proprio lì, perplessa da quanto stava succedendo, decise di seguire il bizzarro gruppo di inseguiti e inseguitori.
L’orco fu il primo a raggiungere il calesse. In un solo istante vi saltò sopra, afferrò le redini e le tirò. I cavalli, che si erano assopiti, si ripresero con un nitrito e si misero a trottare sulla via. Subito dopo l’orco ad issarsi al volo fu Katrina. Non potevano perdere tempo a salirci uno per volta perché Lord Fox li avrebbe raggiunti. Isadora e il marchese correvano dietro al calesse in corsa. Katrina allungò loro una mano, dato che l’orco era concentrato nella guida: “Non mollate! Aggrappatevi alla mia mano!”
Lord Fox digrignò i denti quando vide il calesse allontanarsi. Michael, ansimante, chiese: “Li lasciamo andare, signore?”
“Se mollo la mocciosa, posso scordarmi il patrimonio” sibilò Lord Fox. Saltò in groppa al suo cavallo nero e partì al galoppo dietro al calesse, seguito subito dopo da un esausto Michael, che preferì cavalcare su un corsiero rossiccio.
Il marchese si aggrappò ai bordi di legno del calesse, sudato come una fontana. Katrina lo afferrò per la casacca e lo tirò su a fatica, trascinandosi dietro la sua enorme mole. Il marchese rotolò goffamente dentro al calesse che usciva in fretta da Soledad, diretto al maniero. I due cavalli di Fox e Michael erano troppo vicini, troppo! Percuotevano furiosamente il terreno con gli zoccoli, scagliando via zolle di terra.
Restava solo Isadora fuori dal calesse. La ragazza gli correva dietro, sempre più affaticata e ansimante. La gonna dell’abito da sposa la impicciava, e il mezzo acquistava velocità! Katrina si sporse fino allo spasimo: “Prendi la mia mano, Isa!”
Isadora allungò la sua, stringendola nel vuoto a pochi centimetri da quella della vecchia domestica. Sul viso le si dipinse un’espressione disperata: “Non ce la faccio!”
Katrina fissò terrorizzata i due cavalli in avvicinamento: “Non arrenderti. Ci sei quasi” la vide sforzarsi disperatamente di acquistare velocità, ma anziché accelerare, la sua corsa rallentava. Continuava a stringere il vuoto: “Non ce la faccio!” ripeté, gli occhi lucidi.
L’orco si accorse di quella difficoltà gettando un rapido sguardo da dietro la spalla. Fu fulmineo come sempre: afferrò Katrina per la spalla ossuta e la trasse al posto del guidatore, consegnandole le redini: “Guida tu” lei, ritrovandosi le due strisce di pelle tra le mani, le fissò sperduta: “Guidare?”
L’orco scansò un terrorizzato marchese e si mise verso Isadora che continuava a correre, perdendo rapidamente velocità. Aveva le braccia più lunghe di Katrina e le allungò la mano sporgendosi nel vuoto fino alla cintola: “Afferrami la mano, Isadora!”
Lei ansimò disperatamente, ma poi si fece forza. Prese alcuni forti respiri, accelerò leggermente il passo e tornò a tendere la mano. Con un ultimo sforzo, l’orco riuscì ad afferrargliela. Gliela strinse: “Tieniti!” le gridò. Lei continuava a correre. L’orco, digrignando i denti dallo sforzo, la trasse a sé stringendole la mano. Isadora gettò un fugace sguardo dietro di sé e impallidì: Lord Fox era vicino. Rivolgendosi di nuovo all’orco, gli gridò: “Non mi lasciare!” sapeva che il Lord voleva lei. L’orco continuava a tenerle la mano: “Non ti lascio” d’improvviso la afferrò per le ascelle e la tirò verso di sé. Il corpo della ragazza scivolò dentro al calesse in corsa. Un lembo di vestito si lacerò e rimase impigliato tra le ruote. Il marchese sospirò di sollievo.
Isadora si liberò della gonna che le si era attorcigliata addosso con alcuni strattoni. L’orco le si avvicinò carponi: “Stai bene?” le chiese preoccupato. Lei a malapena riuscì ad annuire: “Sì…sì, io…”
“Perdonami per non averti creduto” le disse lui con disperazione. Isadora accennò un sorriso amaro: “Non preoccuparti: ti capisco. Ora ti capisco. Perdona me per non aver creduto a te subito”.
“Ti capisco” sorrise l’orco.
“Non per interrompervi” farfugliò il marchese: “Ma quei due si stanno avvicinando!” indicò i cavalli che inseguivano forsennatamente il calesse. L’orco si rivolse accigliato a Katrina: “Vai più veloce! Dobbiamo raggiungere il maniero prima di loro!”
“Io faccio del mio meglio!” si lamentò Katrina, che veniva sbalzata in aria ad ogni scossone del calesse. Armageddon scivolò via da lei, zampettò fino alla padroncina e le diede un colpo di muso sulla mano. Isadora gli sorrise: “E bravo il mio topino. Sono davvero fiera di te”.
“Sì” disse il marchese: “Non sei così male come pensavo, ratto”.
“Topo di campagna!” insorse la figlia.
Il calesse si infilò nella foresta oscura e lo stesso fecero i due cavalli. Lord Fox, sempre più furioso, gridò a Michael che cavalcava subito dietro di lui: “Non perdiamoli di vista!” strinse le mani sulle redini: “Avrò i tuoi soldi, mocciosa” pensò: “Dovessi affrontare di tutto pur di ucciderti!”
La sagoma del maniero apparve ai loro occhi, inaspettato baluardo di salvezza. Katrina non attese nemmeno di fermare il calesse: come la sera prima, saltò giù direttamente, imitata dal resto della compagnia. L’orco corse verso il portone con le mani protese a spalancarlo. Isadora sorrise e sentì di essere finalmente tornata a casa: “Salve, vecchio mio” pensò guardando affettuosamente il castello nero: “Non pensavo che ti avrei rivisto”.
L’orco spalancò il portone e vi appoggiò la schiena: “Dentro, presto!” gridò loro. Lasciò entrare tutti e tre, poi, quando si fu assicurato che erano al sicuro, entrò a sua volta e fece per chiudere il portone…ma un piede coperto da uno stivale luccicante si interpose tra lo stipite e l’uscio, bloccandolo.
“Non credo proprio che tu lo farai” sibilò Lord Fox.

 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Sylphs