L’amore è una cosa strana. Incredibile.
Inspiegabile. Agli inizi della sua militanza nel mondo omosessuale, visto che
ciò che cercava non si trovava (se non con scarse probabilità) nella testa di
un suo coetaneo, Manuel aveva provato in maggioranza uomini di mezza età, seri,
intelligenti e facoltosi sia economicamente che interiormente. In quegli uomini
che somigliavano al padre che non aveva mai avuto, Manuel trovava
un’interiorità immensa, anime forti ma allo stesso tempo dolci, che erano
felici di coccolare lui, un piccolo cucciolo di soli diciannove anni. Manuel
faceva tanto il forte, quello che non si scomponeva mai di fronte a nulla, che
dimostrava di essere indistruttibile, ma Dio solo avrebbe saputo dire di quante
coccole avrebbe avuto bisogno…
Il signor Chiaravalle era un uomo
incredibile. Riusciva a fare due lavori contemporaneamente, vendere case e
comprarne altrettante, per poi rivenderle. Un immobiliarista di tutto rispetto,
che se solo si fosse applicato di più nel suo lavoro, avrebbe potuto comprarsi
l’intera Torino, edifici pubblici esclusi. Sua moglie era molto avvezza allo
shopping, al quale dedicava parecchie ore del suo tempo, senza tuttavia
intaccare il patrimonio familiare, per quanto si sforzasse a colpi di carta di
credito (del marito). Era una mantenuta, che faceva la segretaria part-time
presso una casa editrice, e che nonostante avesse dato il nome a suo figlio,
non lo considerava più del necessario. Durante la sua infanzia la stanza di Manuel
era stata piena di giocattoli, belli e nuovissimi, ma lui ci giocava poco e
niente. Una volta imparato a leggere, il piccolo Manuel incominciò a scoprire i
libri, appassionandosi di romanzi d’amore che leggeva sua mamma prima, e di
libri fantastici poi. Lesse “Il Signore degli Anelli” in poco meno di un mese,
e all’età di quattordici anni arrivò a scrivere un racconto mai pubblicato,
capendo così che la sua strada sarebbe stata orientata verso la letteratura e
la filosofia. Con una famiglia così, aveva sempre avuto la strada spianata
verso tutti gli obiettivi della vita, ma con il denaro non aveva mai potuto
comprare la cosa che gli mancava di più: un po’ di affetto familiare.
- Papà, perché non ci sei mai a casa? –
era solito domandare Manuel quando, da piccolo, vedeva suo padre, in giacca e
cravatta, tornare dal lavoro.
Come sempre, quando il figlio gli
rivolgeva quella domanda, lui non rispondeva. Si limitava ad andare nella sua
stanza da letto, spogliarsi e mettersi a dormire. E il piccolo Manuel restava
lì, sul tappeto, a parlare con Nobo, il suo
orsacchiotto. Con il tempo, la voglia “di papà” che aveva Manuel anziché
sopirsi si acuì sempre di più, fino a che il ragazzo non si fidanzò con
l’anziano Adelmo. L’amore non ha età. Non ha forma. Non ha una spiegazione.
E Manuel ci credeva. Sperava soltanto
che finalmente sarebbe arrivato, colui che gli avrebbe dato tutto l’amore di
cui aveva bisogno, al lordo degli interessi.
*****
Dopo che Adelmo l’ebbe lasciato, in
quella piovosa sera, Manuel passò giorni bui. Si sentiva sperduto, abbandonato.
Si svegliava con il cuscino bagnato di lacrime, provava ad alzarsi per andare
all’università ma immancabilmente si rimetteva sotto le coperte e chiudeva gli
occhi. Nonostante il buio pesto che c’era nella stanza, lui non riusciva a
trovare pace. Riviveva più e più volte quel maledetto momento, quando il suo
uomo gli diceva che non poteva più andare avanti così. Chissà quanti suoi
coetanei avrebbero voluto avere un ragazzino di diciannove anni come fidanzato,
e invece lui aveva buttato al vento quell’opportunità… Perché lo aveva fatto?
Era a questa domanda che non riusciva a rispondersi. In quei giorni aveva perso
ogni cognizione di spazio e tempo. Ormai erano entità che non avevano più alcun
senso per lui. Naufragava in un oceano di dolore e frustrazione. Non ce la
faceva più, e i suoi genitori non gli erano di nessun aiuto.
Così una mattina, al colmo della
disperazione, si alzò dal letto. In casa non c’era nessuno, entrambi i genitori
erano al lavoro. Uscì dalla stanza e si diresse in bagno. Sapeva che sua madre
teneva una scorta di tranquillanti nell’armadietto dei medicinali, anche se
giudicava una cosa innaturale dover prendere dei medicinali per ristabilire un
equilibrio mentale. Purtroppo però il suo equilibrio mentale era quello che era
in quei giorni, e con gli esami in avvicinamento, doveva fare qualcosa.
Frugò nell’armadietto, estraendone
aspirine, cerotti, bende, disinfettanti… Quando questi furono tutti sul pianale
della lavatrice in bella mostra, Manuel si ritrovò a contemplare l’armadietto
vuoto. I tranquillanti non c’erano. Guardò di nuovo il campionario dei
medicinali, sentendo di nuovo la disperazione che si impadroniva di lui
facendolo piangere. Prese in mano delle gocce, ma non era tranquillante, bensì
collirio.
- No.. no… - piagnucolò, sedendosi sul
water a gambe incrociate, accasciandosi al muro e piangendo come un bimbo.
Niente tranquillante. Le opzioni erano due: tornare in camera e mettersi a
letto, oppure uscire e andare a comprarne una scatola o una boccetta. Mentre
piangeva, vide sul lavandino qualcosa che luccicava: suo padre era da sempre
stato un tradizionalista, tanto che per radersi non utilizzava i rasoi
convenzionali o quelli elettrici. Lui usava un vecchio rasoio apribile con la
lama lunga, di quelli che si vedevano presso i barbieri, oppure nei vecchi
film. Quella lama, così perfetta e scintillante, sembrava un passaporto nelle
mani di chi voleva fuggire. Lo richiamava irresistibilmente, promettendogli un
mondo migliore e la risoluzione di tutti i mali, una volta che l’avesse
utilizzato.
Velocemente, aprì a tutto regime il
rubinetto dell’acqua calda. Mise il tappo nel lavandino e attese. L’acqua
scorreva forte, fumante. Talmente calda che il vapore appannò lo specchio per
più di metà. Nell’altra mano Manuel stringeva il rasoio, non sapendo bene da
che parte incominciare. Se avesse dovuto dare un colpo secco mentre era con la
mano nell’acqua calda, se avesse dovuto bagnarsi la mano e poi tagliare… se
avesse dovuto tagliare una volta dentro.
- E poi, cosa succede? – si domandò,
lentamente. Quella domanda rimase sospesa nell’aria, finché non sentì una
vocina dentro di sé.
Non
succederà niente. Proprio niente. Non lo saprai mai, perché quando si è morti,
non si ha più cognizione di nulla. Nulla esiste più, soltanto il riposo eterno.
Si guardò nello specchio, tenendo il
rasoio alto. Della vita e della morte aveva studiato parecchio in filosofia, ma
non ne sapeva abbastanza da poter dire che cosa ci sarebbe stato dopo. Il
problema era se sarebbe stato veramente utile. Non sapeva nemmeno quello.
Sconsolato, schiacciò il pulsante che comandava l’apertura del tappo del
lavandino, provocando lo sgorgare dell’acqua giù per il tubo. Ripose il rasoio
dove l’aveva trovato e rimise a posto le medicine nell’armadietto. Pianse di
nuovo e se ne tornò a letto. Anche se non avrebbe dormito per sempre, almeno
avrebbe potuto sperare che il giorno dopo sarebbe stato migliore.