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Autore: StephEnKing1985    28/03/2012    1 recensioni
- Marco? - chiamò Manuel. Marco era lì seduto sul panettone di cemento a piangere sconsolato.
Manuel gli andò vicino e s'inginocchiò di fronte a lui, incontrando i suoi grandi occhi color cioccolato, ora bagnati dalle calde lacrime- Ehi - gli disse - Ma perché piangi? Guardati intorno. C'è Torino di notte che è tutta per noi. E poi... Ci sono io con te. - Gli sorrise e gli porse la mano. Marco lo guardò. In quegli occhi azzurri c'era molta più sincerità di quanta non ne avesse mai vista in vita sua... Quegli occhi color cristallo gli sorridevano, e sembravano dire "Non abbandonarmi, amico mio. Se mi abbandoni, tutto sarà stato vano." Marco allora prese quella mano e Manuel dolcemente lo tirò su. - Andiamo - disse soltanto.
- Ti voglio bene, Manuel. - sussurrò Marco all'orecchio di Manuel, mentre sotto di loro il Po scorreva tranquillo...
- Ti voglio bene anch'io, Marco. - rispose Manuel, stringendolo ancora di più nell'abbraccio.
*****

Marco e Manuel. Un anno d'età di differenza, anni luce differenti per modi di pensare ed agire. Eppure così simili, così saldamente uniti da un legame fraterno che li farà incontrare e sperare di nuovo nella vita. Sostegno l'uno dell'altro contro le delusioni della vita, prime fra tutte quelle d'amore. Una meravigliosa storia di amicizia, che vede protagonisti Marco De Cristina e Manuel Chiaravalle, già presenti nelle fiction di Notrix "Finalmente... Laureati!" e "Troppo bello per essere vero". In questo nuovo romanzo, Notrix ci conduce per mano verso un grande ed inesplorato parco (la città di Torino, che ha dato i natali a Marco e Manuel), dove la falsità e l'opportunismo sono elementi del paesaggio, e dove due ragazzi, così differenti in tutto e per tutto, trovano nell'amicizia una sicurezza contro le avversità della vita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’amore è una cosa strana. Incredibile. Inspiegabile. Agli inizi della sua militanza nel mondo omosessuale, visto che ciò che cercava non si trovava (se non con scarse probabilità) nella testa di un suo coetaneo, Manuel aveva provato in maggioranza uomini di mezza età, seri, intelligenti e facoltosi sia economicamente che interiormente. In quegli uomini che somigliavano al padre che non aveva mai avuto, Manuel trovava un’interiorità immensa, anime forti ma allo stesso tempo dolci, che erano felici di coccolare lui, un piccolo cucciolo di soli diciannove anni. Manuel faceva tanto il forte, quello che non si scomponeva mai di fronte a nulla, che dimostrava di essere indistruttibile, ma Dio solo avrebbe saputo dire di quante coccole avrebbe avuto bisogno…

Il signor Chiaravalle era un uomo incredibile. Riusciva a fare due lavori contemporaneamente, vendere case e comprarne altrettante, per poi rivenderle. Un immobiliarista di tutto rispetto, che se solo si fosse applicato di più nel suo lavoro, avrebbe potuto comprarsi l’intera Torino, edifici pubblici esclusi. Sua moglie era molto avvezza allo shopping, al quale dedicava parecchie ore del suo tempo, senza tuttavia intaccare il patrimonio familiare, per quanto si sforzasse a colpi di carta di credito (del marito). Era una mantenuta, che faceva la segretaria part-time presso una casa editrice, e che nonostante avesse dato il nome a suo figlio, non lo considerava più del necessario. Durante la sua infanzia la stanza di Manuel era stata piena di giocattoli, belli e nuovissimi, ma lui ci giocava poco e niente. Una volta imparato a leggere, il piccolo Manuel incominciò a scoprire i libri, appassionandosi di romanzi d’amore che leggeva sua mamma prima, e di libri fantastici poi. Lesse “Il Signore degli Anelli” in poco meno di un mese, e all’età di quattordici anni arrivò a scrivere un racconto mai pubblicato, capendo così che la sua strada sarebbe stata orientata verso la letteratura e la filosofia. Con una famiglia così, aveva sempre avuto la strada spianata verso tutti gli obiettivi della vita, ma con il denaro non aveva mai potuto comprare la cosa che gli mancava di più: un po’ di affetto familiare.  

- Papà, perché non ci sei mai a casa? – era solito domandare Manuel quando, da piccolo, vedeva suo padre, in giacca e cravatta, tornare dal lavoro.

Come sempre, quando il figlio gli rivolgeva quella domanda, lui non rispondeva. Si limitava ad andare nella sua stanza da letto, spogliarsi e mettersi a dormire. E il piccolo Manuel restava lì, sul tappeto, a parlare con Nobo, il suo orsacchiotto. Con il tempo, la voglia “di papà” che aveva Manuel anziché sopirsi si acuì sempre di più, fino a che il ragazzo non si fidanzò con l’anziano Adelmo. L’amore non ha età. Non ha forma. Non ha una spiegazione.

E Manuel ci credeva. Sperava soltanto che finalmente sarebbe arrivato, colui che gli avrebbe dato tutto l’amore di cui aveva bisogno, al lordo degli interessi.

 

*****

 

Dopo che Adelmo l’ebbe lasciato, in quella piovosa sera, Manuel passò giorni bui. Si sentiva sperduto, abbandonato. Si svegliava con il cuscino bagnato di lacrime, provava ad alzarsi per andare all’università ma immancabilmente si rimetteva sotto le coperte e chiudeva gli occhi. Nonostante il buio pesto che c’era nella stanza, lui non riusciva a trovare pace. Riviveva più e più volte quel maledetto momento, quando il suo uomo gli diceva che non poteva più andare avanti così. Chissà quanti suoi coetanei avrebbero voluto avere un ragazzino di diciannove anni come fidanzato, e invece lui aveva buttato al vento quell’opportunità… Perché lo aveva fatto? Era a questa domanda che non riusciva a rispondersi. In quei giorni aveva perso ogni cognizione di spazio e tempo. Ormai erano entità che non avevano più alcun senso per lui. Naufragava in un oceano di dolore e frustrazione. Non ce la faceva più, e i suoi genitori non gli erano di nessun aiuto.

Così una mattina, al colmo della disperazione, si alzò dal letto. In casa non c’era nessuno, entrambi i genitori erano al lavoro. Uscì dalla stanza e si diresse in bagno. Sapeva che sua madre teneva una scorta di tranquillanti nell’armadietto dei medicinali, anche se giudicava una cosa innaturale dover prendere dei medicinali per ristabilire un equilibrio mentale. Purtroppo però il suo equilibrio mentale era quello che era in quei giorni, e con gli esami in avvicinamento, doveva fare qualcosa.

Frugò nell’armadietto, estraendone aspirine, cerotti, bende, disinfettanti… Quando questi furono tutti sul pianale della lavatrice in bella mostra, Manuel si ritrovò a contemplare l’armadietto vuoto. I tranquillanti non c’erano. Guardò di nuovo il campionario dei medicinali, sentendo di nuovo la disperazione che si impadroniva di lui facendolo piangere. Prese in mano delle gocce, ma non era tranquillante, bensì collirio.

- No.. no… - piagnucolò, sedendosi sul water a gambe incrociate, accasciandosi al muro e piangendo come un bimbo. Niente tranquillante. Le opzioni erano due: tornare in camera e mettersi a letto, oppure uscire e andare a comprarne una scatola o una boccetta. Mentre piangeva, vide sul lavandino qualcosa che luccicava: suo padre era da sempre stato un tradizionalista, tanto che per radersi non utilizzava i rasoi convenzionali o quelli elettrici. Lui usava un vecchio rasoio apribile con la lama lunga, di quelli che si vedevano presso i barbieri, oppure nei vecchi film. Quella lama, così perfetta e scintillante, sembrava un passaporto nelle mani di chi voleva fuggire. Lo richiamava irresistibilmente, promettendogli un mondo migliore e la risoluzione di tutti i mali, una volta che l’avesse utilizzato.

Velocemente, aprì a tutto regime il rubinetto dell’acqua calda. Mise il tappo nel lavandino e attese. L’acqua scorreva forte, fumante. Talmente calda che il vapore appannò lo specchio per più di metà. Nell’altra mano Manuel stringeva il rasoio, non sapendo bene da che parte incominciare. Se avesse dovuto dare un colpo secco mentre era con la mano nell’acqua calda, se avesse dovuto bagnarsi la mano e poi tagliare… se avesse dovuto tagliare una volta dentro.

- E poi, cosa succede? – si domandò, lentamente. Quella domanda rimase sospesa nell’aria, finché non sentì una vocina dentro di sé.

Non succederà niente. Proprio niente. Non lo saprai mai, perché quando si è morti, non si ha più cognizione di nulla. Nulla esiste più, soltanto il riposo eterno.

Si guardò nello specchio, tenendo il rasoio alto. Della vita e della morte aveva studiato parecchio in filosofia, ma non ne sapeva abbastanza da poter dire che cosa ci sarebbe stato dopo. Il problema era se sarebbe stato veramente utile. Non sapeva nemmeno quello. Sconsolato, schiacciò il pulsante che comandava l’apertura del tappo del lavandino, provocando lo sgorgare dell’acqua giù per il tubo. Ripose il rasoio dove l’aveva trovato e rimise a posto le medicine nell’armadietto. Pianse di nuovo e se ne tornò a letto. Anche se non avrebbe dormito per sempre, almeno avrebbe potuto sperare che il giorno dopo sarebbe stato migliore.

   
 
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