Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Segui la storia  |       
Autore: My Pride    28/03/2012    2 recensioni
La corda di un violino che si spezza produce una nota falsamente melodiosa;
all’orecchio dei morti risuona come lo stridio furente e vendicativo dell’acciaio.

Le malelingue erano sempre esistite, da che mondo era mondo, ma Don Zoroshia non vi aveva mai dato la benché minima importanza. O almeno fino a quel determinato momento.
«Il primo che si innamora è un uomo morto, Zoroshia»
«Allora io lo sono già da tempo, Sanjīno»
[ Ambientata durante il Mugiwara Theatre «Jingi-nai Time», ma non ha nulla a che fare con esso ]
[ ZoSan Centric || Riferimenti ZoLu, ZoNami e ZoRobin ad interpretazione strettamente personale ]
[ Terza classificata e vincitrice del Premio miglior trama al «Fangirl contest» indetto da Dark Aeris ]
[ Prima classificata e vincitrice del Premio Stile al contest «Dal numero alla storia» indetto da Akane_Hirai e valutato da Roro ]
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nami, Nico Robin, Roronoa Zoro, Sanji
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Adagio_4
ATTO IV
FASULLO REQUIEM IN RE MINORE


    Passare
due ore nell’inerzia più totale non era per niente da lui, specialmente se si teneva conto che non le aveva trascorse dormendo come suo solito né tantomeno si era allenato.
    Non aveva nemmeno toccato cibo con sommo disappunto dei cuochi, per quanto avessero evitato di far notare ad alta voce quella mancanza. Era chiaro come il sole che il loro capo non fosse per niente dell’umore giusto, e nessuno di loro, se poteva evitarlo, ci teneva a farlo imbufalire più del dovuto e rischiare così di ritrovarsi la testa staccata dal collo. Don Zoroshia ne sarebbe stato capace e loro lo sapevano fin troppo bene. Se contavano poi il fatto che il suo malumore durava da ben più di un giorno, beh... si rendevano perfettamente conto che fosse meglio tenerselo buono.
    Solo una persona si prendeva la libertà di fargli notare anche il più piccolo dettaglio, ed era proprio quando dibattevano che tutti, nessuno escluso, preferivano star fuori da quelle loro liti. Quel giorno non era stato da meno, e dabbasso riuscivano distintamente a sentire i toni accesi con cui Don Zoroshia e la signorina Namimōre stavano discutendo.
    «Cosa significa che non hai nessuna intenzione di andare a quell’incontro?» sbottò ancora una volta la donna, fissandolo insistentemente da quella posizione. Si trovavano entrambi nello studio al piano di sopra, chi seduto sulla poltrona e chi in piedi dall’altra parte della scrivania, con le mani poggiate sui fianchi snelli e una pelliccia a nasconderle le spalle esili. Lo sguardo che Namimōre stava rivolgendo a Zoroshia sembrava quasi sfociare nell’odio, e ciò voleva significare solo una cosa: quella conversazione implicava del denaro. Era risaputo ai più quanto i soldi fossero il punto debole della donna, e dover rinunciare anche ad un solo misero centesimo la mandava su tutte le furie.
    Zoroshia, però, dal canto suo non sembrava per niente interessato a darle ascolto. Sbadigliando e continuando a guardare fuori dalla finestra verso la quale aveva rivolto la poltrona, pareva piuttosto perso nei propri pensieri. «Ho ben altro da fare che star dietro alla tua avarizia, strega», rimbeccò scontroso. «Questo mese la quota mi è già stata pagata, quel borioso di Frankījo sta bene dov’è».
    «Ma che razza di capo sei?» sibilò inviperita, poggiando una mano sul bordo della scrivania con foga. «Hai il controllo di questo territorio, è giusto che tutti ti paghino il triplo di quanto pattuito, accidenti a te».
    «Se ci tieni così tanto, Namimōre, perché non vai tu stessa a reclamare quel denaro?» la schernì l’uomo, rimediando da lei un sonoro sbuffo.
    «Sei tu il capo». Nel dirlo storse il viso, quasi avesse letteralmente ingoiato un rospo. Non le era mai andata a genio quella situazione. «Spetta a te ritirare ciò che ti è dovuto».
    Zoroshia non poté fare a meno di abbozzare un sorriso, a quel dire, più che consapevole di quanto fosse costato alla donna pronunciare quelle parole. e avrebbe anche rigirato senza pietà il coltello nella piaga se un breve bussare alla porta non avesse costretto entrambi a voltarsi verso si essa con fare vagamente  accigliato. «Avanti», bofonchiò immediatamente lo spadaccino, indispettito da quell’improvvisa interruzione.
    Yosakūto fece capolino dalla soglia, fissando entrambi attraverso le lenti scure. «Scusi il disturbo, capo», disse tutto d’un fiato, volgendo poi la propria attenzione verso la donna, «ma la signorina Robīta ha chiesto di lei, signorina Namimōre. Afferma che è urgente».
    Namimōre si accigliò e scoccò una rapida occhiata a Zoroshia, che a quella comunicazione non aveva fatto una piega. Anzi, forse appariva persino contento, poiché in quel modo si sarebbe liberato finalmente di lei. Forse non lo avrebbe mai ammesso, ma gli si leggeva perfettamente in viso. Che stronzo. «Arrivo subito», affermò poi distratta, fulminando l’altro con lo sguardo. «E tu vedi di fare quanto detto».
    «Fuori di qui», rimbrottò in risposta Zoroshia ad entrambi, tornando a guardare fuori dalla finestra senza dar peso alle colorite imprecazioni che parvero accompagnare Namimōre. Si rilassò soltanto quando sentì la porta richiudersi furentemente alle sue spalle, poggiandosi mollemente contro la poltrona.
    Non voleva pensare a niente, in quel momento. Una sgradevole sensazione si era impadronita di lui nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi, quel giorno, e non era riuscito a capire che cosa avesse voluto significare. Aveva provato a concentrarsi sui propri doveri, a meditare e ad allenarsi con la spada come aveva sempre fatto prima dell’incontro - quel dannatissimo incontro, maledizione - con Sanjīno, ma i suoi sforzi non erano valsi a nulla. E, se proprio doveva essere sincero con se stesso, non era nemmeno riuscito a chiudere occhio decentemente. Si era persino acceso una sigaretta e aveva tentato di concentrarsi unicamente su quel piccolo quanto nocivo piacere, ma non l’aveva nemmeno consumata a metà; l’aveva subito spenta nel posacenere con uno sbuffo innervosito, girandosi su un fianco per provare a dormire. Peccato, però, che non ci fosse riuscito comunque, ed era dunque quella una delle cause del suo malumore.
    Perso com’era in quei pensieri, neanche si rese conto di aver reclinato di poco la testa contro lo schienale della poltrona e aver chiuso stancamente la palpebra; si accorse di essersi finalmente addormentato solo quando, senza il minimo preavviso, si sentì chiamare da una voce squillante, e fu imprecando che, dopo essersi massaggiato la fronte e la testa che gli doleva - ma quanto aveva dormito, accidenti? -, volse lo sguardo in direzione della porta, spalancatasi in quell’esatto momento senza che lui desse a quello scocciatore il permesso di disturbarlo. «Che accidenti hai da urlare in quel modo, tu?» sbottò, rivolgendogli un’occhiata così furiosa da farlo sussultare e indietreggiare involontariamente.
    L’uomo deglutì, tentando di non distogliere lo sguardo dall’occhio del suo interlocutore. «Mi spiace, capo», si scusò frettolosamente, torcendosi le dita. «Ma, ecco... si tratta di Don Rufiōne».
    Avrebbe dovuto immaginarlo che c’entrasse quel cretino, dannazione. In quegli ultimi sei anni ne aveva davvero combinate di cotte e di crude, ancor più di quanto fosse abituato a fare. «Che diavolo ha fatto quell’imbecille, adesso?»
    «Vede, il fatto è che...» Sembrò fermarsi quasi per trovare le parole adatte, guardandosi intorno come se la mobilia dello studio potesse in qualche modo aiutarlo. Come avrebbe potuto parlare, sapendo che ciò che stava per comunicare avrebbe scatenato le ire del capo? Però era a conoscenza anche del fatto che sarebbe stato ancor peggio se l’avesse scoperto da terzi in un secondo momento, dunque, dopo aver tratto un lungo respiro per farsi coraggio, puntò lo sguardo dritto sul volto di Zoroshia, che lo scrutava austero e arcigno dalla poltrona sulla quale era accomodato. «Pare che stanotte qualcuno si sia infiltrato nella sua residenza, capo», snocciolò rapidamente, quasi temesse che interrompersi avrebbe compromesso persino la sua vita. E forse non era così lontano dalla verità, conoscendo lo spadaccino. «Don Rufiōne ha esalato l’ultimo respiro».
    Zoroshia si accigliò, e definire incredula l’espressione che si era dipinta sul suo viso sarebbe stato un eufemismo bello e buono. Rufiōne... morto? Proprio quel Rufiōne, l’uomo che nemmeno una cannonata sarebbe riuscito ad uccidere? Cosa diavolo andava blaterando, quel mentecatto? «Perché vieni a raccontarmi certe stronzate?» rimbeccò inviperito, sbattendo pesantemente una mano sulla pregiata scrivania in legno di noce e facendo trasalire al contempo il povero disgraziato di turno.
    «È la pura verità, capo!» squittì quest’ultimo, trovando estremamente saggio compiere un altro passo indietro quando vide lo spadaccino ergersi in piedi in tutta la sua minacciosa altezza. Neanche lui aveva creduto a quanto gli avevano raccontato, eppure era andata esattamente in quel modo: Don Rufiōne era passato a miglior vita, per quanto fosse impossibile da concepire conoscendo il tipo.
    Fu un attimo, e, prima ancora che potesse rendersene realmente conto, il freddo acciaio della lama di Zoroshia gli sfiorò la gola, facendolo trasalire; ebbe quasi l’assoluta certezza che presto sarebbe sopraggiunta la fine, ma un qualunque Dio, per quanto avesse rischiato davvero di sfiorare la morte, parve avere misericordia di lui. Pur non riponendo le armi, difatti, Zoroshia si dimostrò magnanimo ed ebbe un minimo di compassione, limitandosi solo a pressare di poco il filo della katana contro il suo collo, procurandogli un taglio netto ma non profondo. «Hai visto il cadavere di Rufiōne con i tuoi occhi?»
    L’uomo tremò impercettibilmente, affrontando però lo sguardo del suo interlocutore con tutta la risolutezza che riuscì a trovare in quel frangente. «No, capo», esalò a mezza voce, pentendosi di quella sincerità quando la lama gli sfiorò nuovamente la carotide.
    «Allora come puoi affermare che sia morto?»
    «A questo posso rispondere io», si intromise senza alcun riguardo una terza voce, ed entrambi gli uomini volsero lo sguardo in direzione della porta, vedendo la figura di Namimōre stagliarsi sulla soglia. Aveva incrociato le braccia al di sotto del seno e li fissava, poggiata con la schiena contro lo stipite. Si era anche liberata della pelliccia che aveva indossato fino a poche ore addietro, e il suo viso appariva persino stravolto. «Robīta ha ritenuto giusto portarmi questa», soggiunse, tirando fuori dalla scollatura del bel vestito nero un foglietto spiegazzato quando ricevette la loro completa attenzione; mantenendolo con due dita, poi, si diresse a passi sicuri e calcolati all’interno dello studio, consegnandolo nelle mani di Zoroshia stesso.
    Quest’ultimo allontanò con rabbia il messaggero che, ringraziando sottovoce Namimōre per quel suo provvidenziale intervento, pensò bene di darsela subito a gambe non appena colse l’espressione furibonda che si era dipinta sul volto di Zoroshia, il cui occhio era fisso su quel foglietto che aveva appena aperto. «Che cosa significa questo?» domandò, scandendo bene le parole ad una ad una ed enfatizzando soprattutto sull’ultima.
    Namimōre, però, si limitò semplicemente a scrollare di poco le spalle esili, poggiando poi una mano sui fianchi. «Pare sia un invito, Zoroshia», rimbeccò, senza dar peso all’occhiataccia che l’uomo le rivolse per l’essere stato chiamato per nome. «Un invito da parte del colpevole, a quanto sembra», aggiunse in tono ironico, quasi fosse convinta che si trattasse di un pessimo scherzo.
    «Quanta presunzione!» sbraitò iracondo lo spadaccino, accartocciando il foglio nel proprio pugno; scostò di lato Namimōre e, con la lama della katana distesa lungo un fianco, si diresse rapidamente verso la porta, sentendo però uno strano sentimento diradarsi come veleno in tutto il suo corpo.
    Ignorò i richiami della donna, incamminandosi a passo di marcia per il lungo disimpegno che lo separava dai piani inferiori e dalla porta di ingresso, tralasciando momentaneamente la questione che sembrava avere in sospeso con quel demonio di Robīta.
    Aveva decisamente esagerato, stavolta. Aveva compiuto una mossa azzardata che mai si sarebbe sognato fosse capace di mettere in atto, e forse era stato proprio il modo in cui l’aveva svolta che lo mandava letteralmente su tutte le furie. Si sarebbe aspettato tutto tranne quello, da uno come lui.
    Nemmeno si preoccupò delle voci concitate che sentì risuonare intorno a lui quando raggiunse il grande atrio che dava sul portone, spalancandolo senza ritegno prima di richiuderselo ferocemente alle spalle. Il faccia a faccia che aveva sempre ritardato era giunto, infine. L’aver atteso tutti quegli anni aveva solo fatto sì che l’odio reciproco crescesse, raggiungendo il culmine fino a far esplodere entrambi.
    Nessun pareggio di sorta sarebbe stato contemplato, aveva deciso. Quella lunga notte si sarebbe conclusa con un solo vincitore
.








_Note conclusive (E inconcludenti) dell'autrice
Aye, esattamente. Avete letto più che bene. Rufiōne è morto. Indi per cui, nay, non era Zoroshia quello da assassinare, bensì il povero Capitano Rufiōne, e tutto solo per... lo scoprirete nel prossimo ed ultimo capitolo, ecco *Cerca di scansare i lanci di pomodori per questa sua bastardaggine*
Mi preme inoltre dire che abbiamo finalmente ricevuto i risultati del contest e, sebbene non sia stata la giudice che l'ha indetto a farci avere i suddetti di risultati, sono più che soddisfatta del lavoro svolto da Ro-chan, che ci è gentilmente venuta in contro e ha letto le nostre storie per farci da giudice
Fiera di dire, dunque, che alla fine questa storia si è classificata Prima vincendo il Premio Stile, per quanto io non fossi realmente sicura di consegnare una cosa del genere per il poco approccio che avevo con il fandom durante i primi periodi di stesura.
Ciò detto, al prossimo e ultimo capitolo. ♥




Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo alla causa pro-recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: My Pride