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Autore: LandOfMagic    29/03/2012    4 recensioni
Le sventure sembrano non finire per chi porta il cognome Potter. Come a dire, la storia si ripete... E se anche la piccola Lily Potter subisse lo stesso destino del padre? Come si svolgerà il primo anno ad Hogwarts tra nuovi professori, nuovi amici e vecchie conoscenze?
DAL CAP. 10:
“Non avevo dubbi che sarebbe stata smistata a Corvonero. È una secchiona, forse peggio della madre!” sussurrò Ron all’indirizzo di Harry.
“Ronald Weasley, ti ho sentito sai? Almeno io non ho dovuto Confondere l’esaminatore di guida per ottenere la patente babbana!” lo rimbeccò la moglie.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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AVVISO: Questo capitolo è liberamente ispirato alle vicende di Harry neonato in Harry Potter e la pietra filosofale. La figlia Lily ne segue le orme.
Compaiono ancora nuovi personaggi che sono di mia invenzione.
Grazie a PeaceS che si è aggiunta a darmi sostegno!
Buona lettura!

 


4. 
La bambina sopravvissuta

 
 
L'amore è un'erba spontanea e non una pianta in giardino.
Ippolito Nievo

 
 
A molte molte miglia di distanza, in un luogo dove il tempo pareva essersi fermato e la natura scandiva le giornate con i suoi lenti ritmi stagionali, sorgeva una piccola città diversa da tutte le altre. Non era abitata da maghi o streghe e non era nemmeno un insediamento babbano. Bensì era popolata unicamente dalle creature più docili e riservate che Harry Potter avesse mai conosciuto.
Il signore e la signora Goradiel, elfi delle colline della città d’Ambra, ne erano un chiaro esempio. Essi desideravano da un po’ un altro bambino, non importava se maschio o femmina. Volevano solo un piccolo batuffolo dalle orecchie a punta che riempisse le loro vite e che diventasse il bastone della loro vecchiaia. Il loro unico figlio Melvin era partito per il C.I.E. (Collegio d’Istruzione Elfica), un istituto privato gestito da un vecchio elfo sull’orlo della pensione, ed aveva abbandonato la casa paterna per farvi ritorno solo saltuariamente durante le vacanze.
La cosa più traumatica e preoccupante per degli elfi era senza dubbio l’invecchiamento: guardarsi un giorno allo specchio e scoprire che l’armoniosa e aggraziata bellezza che li accompagnava per tutta la loro lunga giovinezza stava sfiorendo lentamente come i petali avvizziti di una rosa che appassisce e perde il suo delicato profumo. L’arrivo di un bebè sarebbe stato una manna dal cielo per quelle due anime tristi e sconsolate.
Il signor Esilus Goradiel era nato in una famiglia di contadini e seguiva le orme del lavoro di suo padre. Era un ometto piuttosto basso e magrolino. Le sue orecchie esageratamente appuntite superavano di almeno un piede l’altezza della testa e gli erano valse l’appellativo di “Mr Timpano”. Tutti gli Ambrosiani convenivano che con quelle orecchie così lunghe riuscisse a captare le conversazioni anche dei borghi più remoti della città.
Sua moglie Pennetta era la cuoca del paese. Donnona alta e robusta, era ridicolo vederla passeggiare mano nella mano con il marito per le vie assolate di Ambra. Gestiva “La Locanda dei Quattro Elementi” e la sua cucina sopraffina era molto apprezzata dalla gente del luogo che spesso frequentava i suoi tavoli. Le sue crostate di Mirtilli Scoppiettini, così detti per il particolare scoppiettio che emettevano quando masticati, andavano a ruba durante la tradizionale sagra annuale di Sant’Ambrosio, l’elfo fondatore e patrono della città.
Ambra sorgeva sul pianale di una collina. Ogni strada, anche la più piccola, portava il nome di un fiore o di una pianta, elementi naturali tanto cari agli elfi, ed era lastricata di strati di resina gialla. Così come ricoperte di resina, più scura, erano tutte le abitazioni del popolino e la Residenza Signorile di Ferafer, Re degli Elfi delle Colline.
Quando i coniugi Goradiel si svegliarono la mattina di quel venerdì uguale a tanti altri giorni caldi e soleggiati, in quel cielo terso e limpido nulla faceva pensare che in realtà quello non sarebbe stato un giorno come tutti.
Il Signor Goradiel si vestì con la sua tenuta da lavoro: un grosso grembiulone verde pieno zeppo di tasche, contenenti ogni tipo di strumento che potesse tornare utile ad un contadino (forbici di vari tipi e misure per potare, cimare e recidere i fiori; un piccolo coltello da innesti e dei guanti di gomma), e dei calzoni corti che sfioravano l’orlo degli stivali sopra il ginocchio. La signora Goradiel invece lavorava ininterrottamente all’impasto di nuove focacce che avrebbe poi cotto nel grosso forno a legna della sua locanda. Le piaceva sperimentare sfiziose ricette da proporre come specialità nel suo menu.
Quando il sole già donava da qualche ora i suoi raggi benefici alle verdi distese delle colline, Esilus uscì di casa accompagnato dall’affettuoso saluto della moglie. Lo attendeva la consueta giornata di lavoro nei suoi campi coltivati.
Fu proprio all’incrocio tra Corso Betulla, dove si trovava la sua casetta, e Vicolo Pino Silvano che gli parve di notare qualcosa di insolito. Una lontra dalla pelliccia marrone intenso, che andava via via schiarendosi nella parte inferiore del corpo,  se ne stava seduta su una mattonella di resina della strada. Un paio di occhiali inforcati sul muso, era intenta a sfogliare le pagine di un libro con le zampine palmate. La lunga coda affusolata frustava l’aria ad ogni pagina voltata, come a scandire ogni movimento.
Gli sembrò una cosa alquanto inusuale poiché Ambra era sempre stata una città neutra, una sorta di Svizzera nel mondo magico: non vi avevano mai abitato altre creature all’infuori degli elfi e si era sempre tenuta in disparte nelle varie lotte che erano scoppiate nel corso dei secoli tra una fazione magica e l’altra. Gli Ambrosiani non avevano mai visto un essere magico che non fosse un elfo. Non che non fossero a conoscenza dell’esistenza di altre forme di vita, semplicemente per una scelta governativa della monarchia reggente non erano mai entrati in contatto con loro. Perciò, ora, vedere un mutaforma nella propria tranquilla cittadina era un evento assai sconvolgente per il mite signor Goradiel.
Riprese a camminare con passo deciso verso la Campagna Fertile, da sempre appezzamento di abbondanti e fruttuosi raccolti, e quando si voltò, rapito dalla curiosità, non credette ai suoi occhi quando si ritrovò a ricambiare lo sguardo della lontra. Possibile che quegli occhi vigili e indagatori stessero scrutando proprio i suoi? Forse il caldo e la luce gli stavano provocando delle visioni assurde. Scrollò le spalle, sulle quali portava il peso di un rastrello e di una zappa, e scacciò dalle mente quelle stranezze.
La sua giornata trascorse spensierata tra una vangata alle patate dolci, una potatina alle siepi di biancospino e una rastrellata delle zolle a riposo.
Dimentico degli strambi accadimenti di quella mattina, sulla via del ritorno a casa, era intenzionato a fermarsi alla “Taverna dell’Elfo Ubriaco” per un boccale di fresca birra piperita, quando davanti alla pesante porta di legno massiccio incrociò un capannello di uomini e donne con bizzarri cappelli a punta che levavano in alto calici colmi di sidro di mele, brindando ad eventi che il povero Esilus non fu in grado di comprendere.
“… hanno tentato di far risorgere l’Oscuro Signore …”
“… la piccola Lily si è salvata … proprio come il padre tanti anni fa …”
Fu tutto ciò che il signor Goradiel riuscì a cogliere di quei bisbigli eccitati. Cambiò idea e invece di fermarsi imboccò il viale ambrato di Corso Betulla.
A casa, Pennetta stava leggendo con interesse una copia de “Il Corriere degli Elfi”. Sibilla Bic, nota giornalista elfica, riportava nel suo articolo una serie di eventi stravaganti verificatisi il giorno prima in una contea della campagna inglese. Inspiegabili baluginii colorati nel cielo sopra la foresta e gravi disagi agli Uffici delle P.P, le Poste Prodigio (i gufi avevano ricevuto talmente tante consegne da andare in tilt). Evidentemente era accaduto qualcosa di davvero importante se si era scatenato un invio così ingente di corrispondenza cartacea.
Non era arrivata nemmeno a metà della lettura, quando il signor Goradiel entrò tutto trafelato dalla porta. Aveva appena rivisto la lontra di quella mattina, ancora ferma al solito posto. Era un comportamento normale per una lontra?
“Esilus, caro, che ti è successo? Sembri aver visto un fantasma!” la moglie, messo da parte il giornale, gli si fece incontro premurosa e lo aiutò a togliersi il pesante grembiule da contadino.
“A dir la verità, ho visto di peggio!” convenne lui, passandosi una mano sulla fronte imperlata di sudore. “Credo di star diventando pazzo!” ammise lasciandosi sprofondare con uno sbuffo rassegnato in una morbida poltrona.
“Stai vaneggiando! Dev’essere il caldo forse …” Pennetta si massaggiò il mento, come persa in una riflessione che sembrava richiederle un notevole sforzo di concentrazione. “… ti vado a preparare una tisana di biancospino …” decise, infine, avviandosi verso la sua stanza preferita, la cucina. “Ti aiuterà a rilassarti dalla fatica. Te lo continuo a ripetere ogni santo giorno che stai lavorando troppo in quei campi. Per di più sotto questo sole! Quando vorrai dare retta alla tua vecchia moglie?” seguitò a parlargli anche mentre si destreggiava tra infusi e colini, armeggiando ai fornelli.
“Hai ragione, mia cara” le rispose il marito. Un sospiro di accettazione gli uscì dalle labbra sottili. “Grazie” soggiunse quando la signora Goradiel fece di nuovo capolino in soggiorno reggendo un vassoio con due tazzone fumanti d’infuso di biancospino. Pennetta appoggiò con estrema cura il vassoio su un tavolino basso e porse una tazza al coniuge, l’altra la tenne per sé.
“Pennetta, cara, tu hai notato qualcosa di strano oggi alla locanda?” le domandò il marito con una certa apprensione nella voce.
“No,  a parte alcuni forestieri, forse” la signora Goradiel mescolava la tisana con un cucchiaino di legno per fare in modo che le zollette di zucchero si sciogliessero a dovere.
“Forestieri, hai detto?” Esilus formulò quella domanda con vivo interesse. Non aveva ancora toccato un goccio dell’infuso che la moglie aveva preparato così amorevolmente per lui.
“Si, alcuni forestieri … elfi delle Terre del Nord, probabilmente …” replicò lei con un sorriso tranquillo, senza l’ombra di alcuna preoccupazione. “…portavano ridicoli cappelli a punta” aggiunse poi, ricordando lo stravagante abbigliamento che sfoggiavano.
“Quelli non sono forestieri!” puntualizzò il signor Goradiel, severo. “E nemmeno elfi!” si lisciò i simpatici baffetti grigi con fare pensieroso.
“Per la buona misericordia di Sant’Ambrosio, chi sono dunque?” Pennetta saettò in piedi, allarmata, la bocca spalancata per lo stupore.
“Non lo so… ne ho visti un paio anch’io, stavano alla Taverna dell’Elfo Ubriaco…” Esilus mandò giù in un sorso solo l’infuso “… quello che so di certo è che non sono come noi!” e sbatté con forza la tazza vuota sul tavolino. Il fragile ripiano di vetro si incrinò con un rumore sinistro ed una miriade di crepe si formarono in superficie come le tante diramazioni stradali di una mappa cittadina.
“Sei il solito maldestro!” lo riprese Pennetta, accigliata. “Guarda che hai fatto! Questo era il regalo di nozze del povero zio Agrestus!” una luce malinconica le baluginò negli occhi al ricordo della triste dipartita di quel sant’elfo, schiacciato da un carro di fieno nella Piazza del Mercato. “A volte mi domando se tu sia davvero figlio di elfi! Non sei per niente aggraziato!” Pennetta riprese la sua ramanzina.
“Perdonami, cara… è che sono tremendamente preoccupato per quei loschi figuri che si aggirano in città”. Decise di non farle menzione dell’inquietante presenza della lontra occhialuta proprio davanti alla loro casa, dal momento che lei non sembrava averla notata.
Forse era stato veramente il caldo a fargli immaginare di vedere cose che non esistevano.

 
***
 
La luna era la regina indiscussa del cielo quella notte. Un cerchio di luce fatata attorniato da un corteo di stelle, damigelle invidiose che vivevano nella sua ombra e venivano eclissate dal suo argenteo splendore.
Spandeva la sua luce spettrale su tutta la città dormiente e cullava i signori Goradiel in un sonno tormentato da incubi popolati da strani esseri bizzarri mai visti prima.
Quando le campane della chiesa batterono la mezzanotte, si intravide un movimento all’angolo della strada. Un paio di scarpe sbucarono dall’ombra di un cespuglio selvatico. Un paio di pantofole usurate sbucarono dalle fronde di un cespuglio di mirto selvatico. Due gambette snelle avanzarono schiacciate dal peso di un  ventre prominente. Il mantello, una perfetta riproduzione della mappa delle costellazioni, aderiva al pancione gonfio per poi ricadere in una curva più morbida sui fianchi e sulle gambe. Sulla testa pressoché calva portava un cappello a punta con inserti di piume di araba fenice.
Era Sereno Animum, il nuovo Preside di Hogwarts subentrato dopo il pensionamento della McGranitt. Ed era un tipo decisamente molto più strambo di tutti quelli avvistati dagli Ambrosiani quel giorno. Fortunatamente tutta la città era immersa in un sonno profondo, cosicché nessun elfo poté stupirsi di quello che stava succedendo.
Sereno Animum si portò proprio accanto alla lontra e la scrutò con attenzione, facendo apparire dal nulla una lanterna ad olio.
“Professor Mutor!” sentenziò qualche istante dopo con sicurezza. “Lieto di trovarla qui!” aggiunse con il suo tono abitualmente pacato e cordiale. D’altronde era Sereno di nome e di fatto.
“Come ha fatto a sapere che sono io?” domandò l’altro, ammirato.
“Riconoscerei i suoi occhiali ovunque! Montatura di conchiglie del Mar Dolce!” ribatté con convinzione. “Impossibile sbagliarsi!” aggiunse, divertito.
“Devo decisamente migliorare i miei travestimenti!” bofonchiò il professore a bassa voce.
Quando Sereno si girò a guardarlo per rispondergli, la lontra non c’era più. Al suo posto era apparso un buffo ometto dal volto oblungo, con un mantello variopinto ed i capelli raccolti in una coda di cavallo. Sul naso adunco erano appoggiati gli stessi occhiali che aveva portato l’animaletto.
“Esilarante detto da un insegnante di trasfigurazione!” commentò l’altro ridacchiando.   
“Oh bé, non si finisce mai di imparare, mio caro!” constatò Aquilino Mutor.
“E di stupire” rincarò Sereno. Staccò una piuma di fenice dal suo cappello e la utilizzò per grattarsi furiosamente la schiena. “Da quando abbiamo portato i ragazzi in visita alla Pineta Rovesciata, questo prurito continua ad infastidirmi. Devo essermi appoggiato sbadatamente al tronco di qualche Abete Orticante” spiegò agitandosi ridicolmente negli spasmi del prurito.
“Già… Ma a proposito di cose stupefacenti…” l’altro cambiò discorso “… è vero quello che si mormora?”
“Sarebbe a dire?”
Il Professor Mutor raccolse l’invito di Sereno a specificare.
“Si vocifera che una perfida fattucchiera abbia tentato di risvegliare Tu-Sai-Chi… e che Ginny Weasley sia morta per proteggere la figlioletta… povera anima!” fece il Professore, rattristandosi sempre più mano a mano che procedeva nel racconto.
“Purtroppo è tutto vero” ammise Sereno con un cenno sconsolato del capo.
“E l’intervento di Harry Potter?”
“A quanto si dice, quando Eldrid ha tentato di sacrificare la bimba si è aperto un cono di luce accecante nel cielo. Il Noce Infernale si è ridotto ad un ammasso di rami anneriti e secchi, come se fosse stato arso dalle fiamme, e la strega si è eclissata in una nuvola di polvere.” Sereno Animum riportò per filo e per segno ciò di cui era venuto a conoscenza.
“Morta?” si rallegrò Aquilino, portavoce di quella speranza che stava prendendo largo nei cuori della maggior parte della popolazione magica.
“Non ne sono molto convinto, al contrario di molti. Forse è solo sparita, in attesa di tornare in un secondo momento.”
“Spero vivamente che lei si sbagli”
“Ah, lo spero anch’io, Signor Mutor. Sarei sorprendentemente felice di sbagliarmi!”
“E la bimba? Cosa ne sarà di lei?” la preoccupazione malcelata  nella voce.
“Samael Anatas è in volo in questo momento. La sta portando qui.”
“Ha affidato la piccola nelle mani di un vampiro?” fece l’altro, sconvolto da quella notizia.
“Mi sorprende, Professore! Non mi dica che una persona intelligente e stimata come lei nutre ancora dei pregiudizi!” ribatté uno strabiliato Sereno Animum. “Sono più che certo che Samael non farà alcunché di male alla bambina. Egli gode della mia più incondizionata fiducia! Ragion per cui, da quest’anno gli affiderò anche la cattedra di Insegnante di Volo” aggiunse in un tono che non ammetteva repliche.
Prima che il Professor Mutor potesse aprire la bocca per ribattere, si udì un distinto battito d’ali ed una figura nera si stagliò contro la superficie argentea della luna. Con gli artigli delle zampe tratteneva saldamente un fagotto di stoffa.
“Eccolo!” lo indicò Sereno Animum.
“Perché non ha lasciato che fosse Harry Potter a portarla?” avanzò Aquilino.
“Abbiamo convenuto che fosse più sicuro che la portasse un persona meno riconoscibile, senza legami di parentela o di sangue, nel caso qualcuno li seguisse! Harry li avrebbe seguiti da lontano … sarà qui a momenti, vedrà!”
“E perché non Hagrid allora?”
“Le pare che Hagrid sia poco riconoscibile?”
Il pipistrello si misurò in un atterraggio felpato e depositò il fagotto a pochi passi dai due uomini. Un visetto furbo e al contempo dolce fece capolino tra gli strati di coperte che l’avvolgevano.
“Com’è andata? Vi ha visti qualcuno?” si informò prontamente Sereno Animum, con una piuma del suo buffo copricapo prese a solleticare le manine della bambina che emise sommessi gridolini divertiti. Sembrava conscia anche lei dell’importanza del non farsi udire da nessuno.
“Tutto a posto. Ha dormito durante tutto il viaggio e sono certo che non ci abbiano né visti né seguiti” rispose Samael, tornato alle sue sembianze umane. Un giovane uomo dai lunghi capelli scuri, in contrasto con l'incarnato mortalmente pallido, si ergeva ritto dinnanzi a loro in tutta la sua imponente statura.
Si udì un lieve tonfo qualche metro più in là, poi la figura di Harry emerse dall’ombra di una casa.
“Ti sei materializzato?” lo rimproverò Aquilino. “E se qualcuno ti avesse visto usare la magia?”
Harry scosse la testa in segno di diniego. Era troppo sconvolto per parlare. Era un incubo. La storia che si ripeteva. Solo che lui non era più un bambino di due anni ignaro del Male che lo voleva sopraffare, era un adulto che aveva visto morire la propria moglie e tentare di uccidere anche la propria figlioletta. Ora poteva capire che cosa dovevano aver provato i suoi genitori negli istanti prima di soccombere.
“Se sono rimasti dei seguaci di Tu-Sai-Chi, devono essersi dati alla fuga disperdendosi dopo la scomparsa di Eldrid!” ipotizzò Sereno, decidendo di sviare il discorso.
“Così pare” sentenziò Samael, lo sguardo da animale predatore capace di scrutare nell’oscurità. Non c’era nessuno in vista.
“Come misura precauzionale radunerò una squadra di Auror e disporrò l’immediata ricerca dei fuggitivi. Chi verrà catturato vivo, sarà poi rinchiuso ad Azkaban” Sereno Animum rese note le sue intenzioni, il volto improvvisamente severo ed autoritario. “Ci assicureremo che non possano più nuocere ad alcuno” precisò.
“Sono desolato per la tragica morte di Ginny” il Preside, stregone dotato di grande sensibilità, espresse tutto il suo cordoglio nell’espressione più addolorata che un uomo potesse assumere. Poggiò una mano sulla spalla di Harry come a volerlo sollevare dal doloroso peso che doveva portare.
“Lo siamo tutti” intervenne Aquilino, anch’egli sinceramente dispiaciuto.
“Lo so. Era una brava moglie e una splendida mamma” Harry abbassò frettolosamente gli occhi lucidi. “Che ne sarà ora di Lily?” sviò immediatamente il discorso, per non abbandonarsi a spiacevoli ricordi dolorosi che facevano troppo male anche ad un uomo che aveva visto la morte in faccia innumerevoli volte.
“Credo che la mossa più saggia sia quella di lasciarla qui” iniziò a spiegare Sereno Animum. “Il Professor Mutor si trova qui da questa mattina ed ha potuto studiare attentamente tutti gli Ambrosiani...” aggiunse. “…quali sono le sue conclusioni, Professore?”
“Dunque, vediamo…” tirò fuori dalla tasca interna del suo mantello un taccuino in pelle e ne sfogliò le pagine fino a trovare quella desiderata. “… ci sarebbe la famiglia Darmawien, ma hanno già tre figli, dei quali uno è il Consigliere della Giunta per l’Espulsione degli Immigrati Magici… quindi non è il caso di affidare la bimba a loro, non ne sarebbero contenti, credo. Magari se si scoprisse che la bambina ha qualche potere, la espatrierebbero Dio solo sa dove! In questa città non vedono di buon occhio le altre creature magiche, a meno che non abbiano le orecchie a punta!” con una piuma di barbagianni scarabocchiò una croce sul nome dei Darmawien.
“Le garantisco che Lily non ha alcun potere magico… me ne sono accertato di persona. È una piccola maganò. La accoglieranno bene, ne sono certo!” lo interruppe Sereno.
“Allora forse la signora Comarian…” si concesse qualche secondo per riflettere “… mmm, no, non va bene… ho scoperto che è la pettegola del paese, affidarla a lei significherebbe far sapere subito a tutti che la bambina si trova qui e magari metterla in pericolo!” un’altra croce su quel nome.
“Poi c’è Padre Eremitus, ma è un prete, quindi non…”
“Signor Mutor, è venuto qui a fare un censimento o ha trovato qualcuno di adatto?” sbottò Samael scocciato per l’attesa.
Il Professore tacque di colpo, l’espressione ferita del suo volto denotava una profonda permalosità di carattere.
“Suvvia, non se la prenda, Aquilino! Il nostro amico, qui, è solo ansioso di sapere” ci pensò Sereno a quietare gli animi. “Samael, devo ricordarti che non tutti apprezzano il tuo spiccato senso dell’umorismo. Il Signor Mutor, in quanto serio e stimato docente, nonché brillante intellettuale e scrittore di testi magici, non è uso a queste battute di spirito… ragion per cui, cerca di mostrargli un po’ di rispetto!” si rivolse poi al redivivo.
“Voglia perdonarmi, esimio Professor Mutor” il vampiro si esibì in un inchino eccessivamente esagerato. “Cortesemente, mi potrebbe concedere l’immenso onore di profferire con quella sua saggia bocca il nome della famiglia da lei prescelta con cotanta scrupolosa diligenza?” e poi “Così va meglio?” sorridendo estasiato e strizzando l’occhiolino ad un rassegnato Sereno Animum.
“Ma certo, ma certo!” rispose quell’altro, tutto trepidante ed entusiasta di quella soddisfacente dimostrazione di rispetto, ignaro delle intenzioni ironiche del vampiro, celate tra le righe. Riprese a scartare i fogli del suo taccuino con attenta concentrazione.
“Ah si, ecco finalmente! I coniugi Goradiel sono ciò che fa al caso nostro!” esclamò rallegrandosi. “Sono due rispettabili cittadini, desiderosi di avere un altro figlio” aggiunse.
“Bene! Sono certo che ameranno Lily e si prenderanno cura di lei… anche se non è un elfo” garantì Sereno con sicurezza.
“Dunque è deciso?” domandò Harry tentando di nascondere la malinconia nella voce.
“E’ meglio così per tutti, Harry! La bambina sarà più al sicuro qui, protetta dagli elfi che non tollerano l’invasione di altre razze. Con noi per adesso sarebbe esposta a troppi pericoli… almeno finché non ci accerteremo che la minaccia è lontana” Sereno gli ripeté il discorso che avevano già affrontato quella mattina presto quando si erano incontrati nel suo studio per discutere il da farsi.
“Nessuno verrebbe a cercarla qui” concordò  Aquilino.
“D’accordo” fece Potter con aria di rassegnata accettazione.
“Ma potrai sempre starle accanto e tenerla d’occhio…” gli concesse Sereno “…senza farti notare, però” gli ricordò infine. “E quando i tempi saranno maturi, verrai a riprendertela!”
Con la mestizia nel cuore ed una solenne promessa da mantenere, Harry Potter  salutò la figlioletta e si allontanò senza alcun rumore nella notte. Quando si voltò indietro per un ultimo sguardo, anche il Preside Animum, il Professor Mutor e Samael il Redivivo erano scomparsi lasciando quel tenero fagottino davanti al cancello dei signori Goradiel.
In tutte le vie della città, nascosti da indiscreti occhi elfici, si erano radunati un sacco di maghi e di streghe.
Erano giunti fin lì per rendere omaggio e brindare a “Lily Potter, la bambina sopravvissuta”
   
 
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