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Autore: Kiary92    29/03/2012    1 recensioni
Il mio nome è Jane Harvey e ho 27 anni. Sono nata a New York il 18 dicembre 1992 e pensavo di essere felice fino a qualche tempo fa: oltre che a lavorare come infermiera al Metropolitan Hospital Center sulla First Avenue, studiavo per diventare medico, il mio fidanzato mi aveva chiesto di sposarlo, avevo trovato casa e avevo un bel gruzzolo sul conto corrente che aumentava ogni mese per il povero stipendio che mi spettava di diritto. Vivevo una bella vita, se così la si poteva definire, ed ora è andato tutto a farsi fottere.
A New York è scoppiato il finimondo o la fine del mondo, ancora non mi è chiaro. Alcuni la chiamano apocalisse.
Senza nemmeno rendermi conto dell'accaduto, mi sono ritrovata assieme a delle altre persone, che nemmeno conosco, in un teatro completamente barricato. Ogni finestra è sigillata con delle assi di compensato, assi di legno e sbarre di metallo, la porta principale era bloccata con delle spesse sbarre di ferro per impedire a quelle cose di entrare ed ucciderci tutti. Questa non è più la terra dell'uomo: il mondo è diventato il regno dei morti.
Genere: Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The evil land
Il regno dei morti

Il mio nome è Jane Harvey e ho 27 anni. Sono nata a New York il 18 dicembre 1992 e pensavo di essere felice fino a qualche tempo fa: oltre che a lavorare come infermiera al Metropolitan Hospital Center sulla First Avenue, studiavo per diventare medico, il mio fidanzato mi aveva chiesto di sposarlo, avevo trovato casa e avevo un bel gruzzolo sul conto corrente che aumentava ogni mese per il povero stipendio che mi spettava di diritto. Vivevo una bella vita, se così la si poteva definire, ed ora è andato tutto a farsi fottere.
A New York è scoppiato il finimondo o la fine del mondo, ancora non mi è chiaro. Alcuni la chiamano apocalisse.
Senza nemmeno rendermi conto dell'accaduto, mi sono ritrovata assieme a delle altre persone, che nemmeno conosco, in un teatro completamente barricato. Ogni finestra è sigillata con delle assi di compensato, assi di legno e sbarre di metallo, la porta principale era bloccata con delle spesse sbarre di ferro per impedire a quelle cose di entrare ed ucciderci tutti.
Tutto è accaduto così in fretta che non lo ricordo nemmeno, e quando ci penso riesco soltanto a vedere morte e sangue.
Questa non è più la terra dell'uomo: il mondo è diventato il regno dei morti.
Tutto è accaduto qualche anno fa. Un batterio sconosciuto ha infettato alcune persone, morte pochi giorni dopo, stroncate da chissà cosa. L'autopsia non venne nemmeno fatta e sapete perché? Perché i cadaveri erano semplicemente spariti. Poco dopo si presentarono altri casi di questo insolito virus e, come sempre, i cadaveri si alzavano sulle proprie gambe ed uscivano dall'ospedale, provando ad uccidere chiunque gli capitasse a tiro, guidati soltanto dal loro bisogno primario: nutrirsi.
Difficile da credere vero? La penserei come voi, se non avessi visto con i miei occhi uno di quei bastardi alzarsi dalla barella, come se niente fosse anche se avevo dichiarato il decesso trenta minuti prima. Ha tentato di uccidermi, ma sono riuscita a piantargli un bisturi in mezzo agli occhi.
Oggi il virus si è diffuso in tutto il mondo. Non sappiamo se ci sono superstiti, non sappiamo quanti di quei cosi sono là fuori ad aspettarci, non sappiamo se tutto tornerà alla normalità e non sappiamo se vivremo abbastanza per vederla. Si dice che la speranza sia l’ultima a morire ma, purtroppo per me, è stata la prima ad andarsene.
 
- Jane? Gesù, vuoi svegliarti? -
Apro gli occhi ed osservo il vecchio Richard, con il solito cappello sulla testa per nascondere la testa pelata, gli occhi scuri spiccavano sul viso pallido e stanco e in bocca teneva una sigaretta. Mi strofino gli occhi e sollevo appena la testa dal cuscino - Che succede? -
- Che succede? Che succede? Cosa dovrebbe succedere? Sono mesi che non succede mai niente! -
- Allora perché mi hai svegliata? - domando, portando una mano alla caviglia fasciata. Il giorno prima sono riuscita ad inciampare su un morto di merda ed a slogarla.
- Jess sta male -
Mi metto a sedere e mi alzo, incamminandomi lentamente verso la porta che conduceva alla sala principale, zoppicando - Le avevo detto di non mangiare quella roba - sussurro, aprendo la porta ed entrando nell'ingresso di quello che una volta era il Hudson Theatre: sulla porta d'entrata, ovviamente barricata, c'è Michael, un omone grande e grosso di origini brasiliane appassionato di insetti, che faceva di guardia, poi Jess, un'ex detenuta con i capelli tagliati corti e con le braccia muscolose piene di tatuaggi. A volte mi sembra di essere l'unica donna da quanto è delicata.
Poi c'è Alan, in piedi accanto a Jess, che le strofina una mano sulla schiena mentre lei vomita l'anima in un secchio ammaccato, poi c'è Chuck, un ragazzino afroamericano che passa tutto il tempo seduto ad intagliare delle assi di legno o ad inciderci sopra dei ritratti. Non sappiamo nemmeno il suo nome: non parla mai, e Chuck è il nome che gli ha dato Richard per chiamarlo. C'è William, della mia stessa età, che non la smette un attimo di provarci con me, ed infine c'è sempre il duro di turno: Dan. è sempre da solo, in disparte, e non riesco proprio a capire perché lo fa, insomma, siamo tutti sulla stessa barca, non serve a niente restare soli.
Mi avvicino a Jess, che smette per un secondo di vomitare solo per riprendere il fiato e ricominciare, e le tiro uno schiaffo affettuoso sul collo - Cosa ti avevo detto Jess? Non devi mangiarle le noccioline, sei allergica -
- Fanculo te e i tuoi cazzo di consigli - mi sbraita contro tra i conati di vomito - Preferisco morire per le noccioline piuttosto che essere mangiata da quelle cose -
Prendo la siringa, che avevo già preparato ore prima, dal tavolo lì accanto e gliela pianto nel collo. Sapevo che quella testona avrebbe mangiato quelle dannate arachidi e avevo già preparato tutto - Tra un po' dovresti stare meglio. Io torno a dormire - dico, ripercorrendo a ritroso la strada verso la camera ed incrociando Richard che usciva. Non appena entro, mi butto a peso morto sul letto e guardo l'ora sull'orologio che ho al polso: 3.47. Lancio un'imprecazione e mi giro su un fianco, sperando di prendere sonno.
Maledico i santi e l'inferno quando sento la porta della stanza aprirsi con un cigolio sinistro. Non posso fare a meno di lanciare un sospiro e passarmi una mano nei capelli biondi leggermente spettinati - Vattene William, non ho voglia di starti a sentire mentre spari puttanate -
- Non vorrei deluderti, ma io non sono William -
Sorpresa, mi volto verso la persona che ha parlato: è Dan, fermo davanti alla porta con le mani nelle tasche dei jeans scuri. Sarà anche un duro, bastardo, insensibile ed apparentemente senza cuore, ma devo ammettere che è estremamente affascinante con quei capelli castani leggermente mossi e sempre in disordine, che gli danno un'aria un po' selvaggia, il viso abbronzato, gli occhi scuri con delle strane tonalità verdi e quello sguardo da bastardo ma seducente allo stesso tempo.
Mi strofino il dorso della mano su entrambi gli occhi e lancio un sospiro, leggermente sorpresa per la sua presenza nella stanza: di solito non parla mai con nessuno o se ne salta fuori con le solite frasi che si dicono alla fine dei film horror - Scusami Dan, pensavo fossi William. Sta cominciando ad essere veramente logorroico -
- Lo capisco, vedo quando ti parla - mi risponde lui, avanzando lentamente verso il letto, mentre i miei neuroni cercano inutilmente di riprendere possesso del cervello conquistato dagli ormoni. Non dovrei pensare a certe cose ma: il mio fidanzato/futuro e stronzo marito probabilmente è morto, o sta morendo, oppure è una di quelle cose che girano per la città in attesa di carne fresca per organizzare un buffet con gli amici, e poi Dan attira l'attenzione.
- Hai bisogno di qualcosa? - domando, sperando che risponda: "Ho bisogno di sfogarmi con te in qualche modo su una qualsiasi superficie piana" oppure "No, niente. Ti lascio dormire per tre giorni di fila e tentare il letargo".
- Lo so che ti sto disturbando, ma vorresti…-
Non dire sesso, non dire sesso, non dire sesso, non dire sesso. Dio mio, non dire sesso.  
- Darmi un’occhiata alla schiena? L'altro giorno, mentre ero fuori, ho preso una bella botta e faccio fatica a respirare - mi risponde Dan, proprio davanti a me, togliendosi le mani dalle tasche e mettendole in quelle del giubbotto di pelle - Non vorrei che fosse una cosa grave -
Grazie al cielo. Annuisco e mi alzo in piedi, facendolo accomodare sul mio letto mentre io lo osservo attentamente mentre prendo lo stetoscopio dal cassetto del comodino - Togliti la giacca e la maglia - gli ordino in tono freddo e professionale e lui obbedisce, sfilandosi la giacca e togliendosi la maglietta, appoggiandole entrambe accanto a lui.
Faccio il giro del letto per osservare la sua schiena: non è molto muscoloso, ma aveva comunque un bel corpo. Dopo essere arrossita come una bambina, gli appoggio lo stetoscopio sulla schiena e gli chiedo di fare dei profondi respiri, ma sembra tutto a posto. Lascio perdere lo stetoscopio ed inizio a tastargli la schiena, sperando di trovare il punto esatto dove Dan aveva preso la botta.
- Ahi -
Rido piano e torno davanti a lui - È solo una botta, niente di che. Guarirai presto -
Dan annuì, infilandosi nuovamente la maglietta e tenendo la giacca di pelle sottobraccio - Tu come ti senti? Nessuno si preoccupa della salute della nostra infermiera -
- Meglio - rispondo: Dan sa della mia caviglia, dato che è stato lui a soccorrermi quando sono inciampata come una deficiente - Non posso fare altro che aspettare che guarisca da sola, sono a corto di medicinali. Ti avrei dato una pomata per alleviarti un po’ di dolore, in modo che tu possa dormire un po’, ma abbiamo finito quasi tutto -
- Mi stai dicendo che vuoi uscire? -
Annuì - Ci andrò da sola se necessario -
- Devo ricordarti cos’è successo l’ultima volta, signorina Harvey? -
Lanciò un sospiro - Sono inciampata su un morto, lo so Dan -
- Faremo una spedizione, così possiamo recuperare anche delle armi e del cibo. Ne parleremo più tardi -
  
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