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Autore: youknownothingjonsnow    31/03/2012    4 recensioni
Tutte quelle notti, tutte quelle mattinate noiose a scuola a immaginare come sarebbe stato questo momento.
Non avrei mai sognato che sarebbe stato anche meglio.
Ma ancora più incredibile era il fatto che tutto questo stesse accadendo a me.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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i felt to die.


La prima cosa che pensai fu che fosse un ladro rincorso dalla polizia.
Aveva la cuffia in piena estate, gli occhiali da sole per proteggere -o per nascondere- gli occhi, in più il suo respiro

era irregolare, come se avesse appena fatto un chilometro correndo nel giro di qualche minuto.
Il che ritornava alla mia supposizione iniziale. Non faceva una piega.
Attraverso i vetri vidi una folla urlante passare davanti all'hotel, come una mandria di bufali inferociti.
Due ragazze solitarie si separarono dal gruppo e una delle due indicò l'hotel, in cui entrarono.
Erano visibilmente eccitate, nel loro volto era dipinto un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
«Per caso è entrato un ragazzo alto, con una cuffia...?» chiese una di loro due, guardandosi intorno.
Il mio sguardo balenò sullo sconosciuto che, senza rendermene conto, si era seduto su una delle poltrone e leggeva il giornale,
il quale gli nascondeva interamente il volto. Oppure stava fingendo di leggere, quando in realtà il suo scopo
era quella di mascherarsi. Supposizioni entrambe possibili.
Ma proprio mentre stavo aprendo bocca per rispondere alle ragazze, lui scoprì il viso abbassando il giornale,
gesticolando e mimando con le labbra 'no'.
Rimasi di stucco, non capendo, poi quando intuii a cosa si riferisse, cercai di rispondere ma Valentina mi precedette.
«No, mi dispiace. Perché, lo state perseguitando?» disse con fare scherzoso.
A differenza mia, lei era una bravissima attrice, il che era un punto a suo vantaggio quando arrivava il momento di dover mentire.
All'inizio le ragazze si guardarono, incerte, poi scoppiarono a ridere.
«Più o meno!» dissero all'unisono tra una risata e l'altra.
Le guardai con le sopracciglia inarcate, mentre si dirigevano verso la porta. «Grazie mille! Arrivederci.» ci salutarono loro, girando l'angolo e
sparendo dalla nostra vista.
Lo sconosciuto si alzò e si avvicinò a noi.
«Vi sono debitore.» ci ringraziò con una voce sensuale, piacevole da sentire.
«Di niente.» sospirò Valentina. «Adesso però potresti darci qualche spiegazione? Chi sei? Perché sei entrato qua di colpo? Perché quelle ragazzine
ti inseguivano?» domandò lei a raffica, senza neanche respirare.
Il ragazzo rise e scosse la testa. La sua era una risata limpida, cristallina.
«Certo, certo, hai ragione. Allora, sono entrato qua perché volevo appunto scappare da loro. E mi inseguivano perché...perché gli ho fatto uno scherzo.»
rispose indugiando sull'ultima frase. Notai che non aveva risposto ad una delle domande, ma questo sembrò sfuggire a Vale.
«Ah okay!» esclamò lei, schietta.
Nonostante io la conoscessi da anni, non avevo mai capito se Valentina fosse una ragazza ingenua o facesse finta di esserlo.
Questo probabilmente sempre grazie alla sua bravura da attrice, futuro che a lei sarebbe piaciuto molto intraprendere.
«Hai intenzione di rimanere qua per molto?» intervenni io, spezzando l'imbarazzante silenzio che si era creato.
Tirò il cellulare dalla tasca, ignorandomi totalmente. Quel ragazzo cominciava ad innervosirmi.
Schiacciò qualche tasto del suo iPhone e lo portò all'orecchio.
Dall'espressione che dipinse il suo volto, capii che c'era qualcosa che non andava.
«Il mio amico ha il cellulare spento e io non so come tornare a casa, quindi...»
«E quindi vuoi un passaggio.» finii io con tono scocciato, facendogli capire che ero infastidita dal comportamento che aveva assunto
prima nei miei confronti.
Mi guardò e il suo voltò si irradiò in un sorriso che faceva invidia alle stelle.
Probabilmente quello era uno dei soliti trucchetti per cercare di fare colpo sulle ragazze. Ma con me non abboccava, no.
«Noi due non abbiamo un'auto, mi dispiace.» indicai me e Valentina, facendo un'espressione falsamente dispiaciuta.
«Se vuole c'è un auto che è dell'hotel, possiamo imprestarglielo se volete.» disse la signorina allo sconosciuto come incantata.
Scossi la testa delusa e guardai Vale. Aveva una faccia da pesce lesso marinato.
Mi avvinai a lei. «Attenta che ti esce la bava dalla bocca, non credi?» le sussurrai, sogghignando.
Lei sembrò svegliarsi da quel sogno ad occhi aperti e mi guardò con un'aria sconcertata.
«Grazie mille.» ringraziò nuovamente il ragazzo rivolgendosi alla signorina che solo in quel momento mi ricordai si chiamasse Michelle.
«Immagino che una di noi deve venire con te, giusto?» borbottai, spostando con una mano i capelli dall'occhio.
«Ehm sì, oppure il capo mi uccide e l'auto deve essere nello stesso preciso luogo in cui l'avete preso, così non si renderà conto di nulla.» rispose Michelle,
scherzando.
«Vale, vai tu?» le domandai con gli occhioni spalancati, scongiurandola con lo sguardo.
Benché quel ragazzo la attirasse, mi guardò terrorizzata, facendomi capire che non aveva intenzione di muovere un muscolo.
Nonostante fosse una ragazza estroversa, era piuttosto timida con i ragazzi, aveva un blocco quando doveva uscire con uno di loro da sola.
Questo a causa di un fatto accaduto a 14 anni, quando un suo compagno di classe la invitò a bere qualcosa in un bar e lei accettò entusiasta,
infatuata com'era. Loro lì si baciarono e si misero insieme, causando l'euforia di lei.
Quando però Valentina lo raccontò alle sue amiche, queste sparsero la voce in giro, tanto che lo venne a sapere tutta la scuola.
Così iniziarono a chiamarla puttana, troia e cose simili. Certe ragazze la minacciarono, dicendole di lasciare il tizio con cui
stava. Non c'era un vero e proprio motivo in tutto questo, ma probabilmente il fatto che fosse il ragazzo più carino della scuola
e che gli andavano dietro decine di ragazzine era la scusa per insultarla.
Le sue amiche si separarono da lei, per paura che la gente iniziasse a sparlare anche di loro essendo amiche di Vale.
L'unica indifferente ai pettegolezzi ero io. Un giorno la vidi piangere disperata in bagno, le chiesi che cosa le fosse successo, anche se lo sapevo
perfettamente, e lei mi raccontò tutto, disperata com'era di confidarsi con qualcuno. E questo fu l'inizio della nostra lunga amicizia.
Quello fu però un periodo molto buio per lei, tanto che l'idea di uscire con un essere di sesso opposto diventò impensabile, quasi un incubo.
Aveva così tanta paura che raramente, se non mai, usciva con un ragazzo, anche se questo gli piaceva veramente.
Ecco la motivazione per cui aveva avuto una o due relazioni, ma nessuna delle due era durata più di due settimane.
Purtroppo neanche con il tempo lei riuscì a cambiare e le rimase come un 'trauma infantile', mettiamola così.
Ricordando tutto questo, mi addolcii e mi arresi, pensando che anche solo provare a convincerla sarebbe stato tempo sprecato.
«E va bene...» sospirai, sconfitta. «Andiamo, ti accompagno io a casa.» dissi rivolgendomi allo sconosciuto di cui, mi chiesi, prima o poi avrei mai scoperto
il nome?
Presi le chiavi che Michelle mi diede e uscii dall'hotel, sentendo il passo del ragazzo alle mie spalle.
«Se non ti dispiace, vorrei guidare io.» mi raggiunse e afferrò le chiavi che avevo in mano.
Mi fermai di colpo e lo guardai stupita superarmi ed entrare in macchina. Da dove veniva tutta questa confidenza?
Riluttante, lo seguii ed entrai in auto, senza degnarlo di uno sguardo.
Durante il tragitto non ci rivolgemmo parola, anche se spesso sentivo i suoi occhi puntati su di me.
Continuava a tenere gli occhiali nonostante a coprire il sole ci fossero dei grandi nuvoloni scuri che minacciavano l'imminente arrivo di pioggia.
Dopo qualche minuto sentii dei gridi e più andavamo avanti, più questi si facevano forti.
Sviammo in una via ed arrivammo davanti ad una grande villa color panna, dove c'era il tumulto di prima che si era appostato lì e continuava ad urlare
parole incomprensibili.
«Oh merda...» sussurrò il ragazzo. Capii dal suo tono di voce che qualcosa lo preoccupava.
«Perché quelle ragazzine sono davanti a questa villa? E' casa tua?» gli domandai.
«Sì, è casa mia. Senti, ti va se andiamo a prenderci qualcosa?» e senza lasciarmi il tempo di rispondere, sfrecciò via dal vicolo.
«Ehm...okay.» risposi, incerta, rendendomi conto di star facendo una grande cazzata.
Avevo accettato di uscire con un ragazzo che conoscevo a malapena da mezz'ora?
Lo vidi sorridere beffardo alla mia risposta.
«Che cazzo sto facendo?» sussurrai tra me e me, tenendo la testa tra le mani.
«C'è qualcosa che non va?» mi chiese con un sorriso sornione stampato sul suo viso.
«No, niente.» risposi fredda, ricomponendomi.
E a lui cosa interessava se stavo bene o no? 
Il ragazzo ad un tratto spense l'auto. Mi guardai intorno sconcertata, realizzando che ci trovavamo davanti ad uno Starbucks.
Scendemmo dalla macchina ed entrammo nel rinomato bar.
Ad accoglierci furono il dolce aroma di cacao, vaniglia e caffè e il vociare dei numerosi clienti.
Le pareti erano beige, mentre le sedie e il bancone erano marroncino chiaro.
Ci accomodammo in uno dei tanti tavoli di mogano. Non ebbi il tempo di prendere il menù che arrivò una ragazza a servirci.
«Cosa volete prendere?» ci domandò lei gentilmente.
«Un frappuccino, grazie.» rispose il ragazzo con tono suadente.
«Anch'io.» borbottai distratta, mentre stavo accuratamente analizzando quello che ormai non era più uno sconosciuto, ma non potevo chiamarlo in
altro modo non sapendo il suo nome.
La signorina ci sorrise per poi voltarsi.
Seguì un silenzio imbarazzante, fin quando la ragazza tornò portandoci i nostri frappuccini.
«Da dove vieni?» mi chiese lui, sorseggiando la sua bevanda. «Non ti ho mai vista da queste parti.»
«Sono italiana.» sospirai, cercando accuratamente di non incrociare i suoi occhi di cui le iridi mi erano ancora sconosciute.
«Parli bene, non sembrerebbe.» si complimentò con me.
«Grazie.» borbottai, poco convincente.
«Senti, perché quelle ragazzine erano davanti a casa tua?» sbottai, non riuscendo a trattenere la curiosità.
«Te l'ho detto, gli ho fatto uno scherzo.» mi ricordò lui.
«Devi aver fatto qualcosa di terribile se ti hanno invaso il giardino tutte quelle persone.» constatai io, alzando un sopracciglio.
«Sì, diciamo di sì.» rise lui, scuotendo la testa come a cancellare quel pensiero.
Lo guardai corrucciata, finendo di bene il mio frappuccino.
Mi alzai, dirigendomi verso il bancone. Sentii una mano afferrare il mio braccio. «Dove stai andando?» mi chiese con fare sensuale.
«A pagare, no?» gli risposi, cercando di liberarmi dalla presa.
«Ad un appuntamento è il ragazzo che paga, mi dispiace.» mi sorrise beffardo e mi superò.
Un appuntamento? Da quando quello era un appuntamento?
Mi stavo innervosendo sempre di più.
Mi diressi verso l'auto ed entrai dentro. Ripensai alle sue parole. Cosa gli era saltato in mente a quello?
Io avevo accettato di andare a prendere un caffè solo perché non avevo altra scelta, dovevo riportare l'auto all'hotel.
Sentii il cellulare vibrare nella tasca. Lo presi e vidi 3 chiamate perse e 5 messaggi.
'Dove cazzo sei?' diceva il primo. Gli altri erano tutti piuttosto simili, così passai all'ultimo.
'Katerina o mi rispondi adesso oppure questa notte sarà la peggiore della tua vita.' sorrisi leggendo queste parole.
Stavo per rispondere, quando sentii la porta sbattere. Non alzai lo sguardo dal cellulare e continuai a scrivere.
'Scusami, tra poco torno, credo.' scrissi frettolosamente e inviai il messaggio.
Sentivo lo sguardo del ragazzo addosso e questo mi metteva a disagio.
Alzai gli occhi e incrociai i suoi, cosa che mi fece arrossire, anche se erano ancora nascosti dagli occhiali. Mi sentivo messa sotto esame.
«Da quando questo è un appuntamento?» gli domandai fredda, sperando che il mio tono di voce non mi tradisse.
«Da quando tu hai accettato di uscire con me.» affermò convinto, sorridendo ironico come al suo solito.
Inarcai le sopracciglia. Mi sentivo presa in giro. «Avevo altre scelte?»
«Mmmh.» assunse un'espressione falsamente pensosa. «No.»
Alzai gli occhi al cielo. Perché tutti i deficienti capitavano a me?
Finalmente si decise ad accendere l'auto e partimmo.
Dopo qualche minuto arrivammo a casa sua. Fortunatamente, il giardino era sgombro e non c'era più nemmeno l'ombra di qualche
ragazzina.
«Grazie per avermi accompagnato.» mi ringraziò lui. 
«Figurati.» abbassai lo sguardo, non riuscendo a reggere il suo.
«Ci vediamo.» scese dall'auto e davanti alla porta di casa lo vidi dimenarsi. Solo dopo qualche secondo capii che mi stava salutando.
Scoppiai a ridere, per poi ricambiare il saluto.
Entrò, dopo avermi riservato un sorriso a trentadue denti.
In quel momento mi ricordai che ancora non sapevo il suo nome.
Scesi dall'auto, trascinata dalla curiosità.
Mi diressi cercando di non far rumore verso l'entrata e vidi nel campanello il cognome.
Mi sentii morire.



Fuck yeah.
Innanzitutto, perdonatemi immensamente per il ritardo çç
il mio tempo purtroppo scarseggia e non riesco più a scrivere i capitoli.
oltretutto non avevo idea di come continuare e come vedete è anche molto lungo D:
il finale mi è appena venuto in mente, anche perché ho terminato adesso di scrivere il capitolo.
ho aggiornato oggi dato che l'ho promesso a Valentina ed Elisa lol :3
scusatemi immensamente se fa schifo, ma davvero, non sapevo che altro scrivere.
l'idea mi è venuta ora, come vi ho detto prima, ed è l'unica che mi è sembrata decente ee
grazie a chi segue le mie storie, a chi l'ha messa tra le preferite e a chi recensisce c:
un ringraziamento speciale a Claudia, Vanessa, Eli, Vale ed Ele, come al solito ♥
appuntamento al prossimo capitolo uu

kess.

Ps. ho riletto velocemente, quindi scusatemi se ci sono errori o altro D:
   
 
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