Questa storia parla di un amore. Il mio amore. Un
amore che a volte si vede e a volte no, a volte è un'illusione e a volte la
pura verità, un amore mai iniziato e mai finito. Un
amore strano, contorto, incerto, che è tutto il contrario di quel che vuole far
sembrare. Un amore che fa soffrire… Ma è pur
sempre un amore. Anzi, un Amore, con la A maiuscola… che forse è sempre stato
solo dentro di me. E’ fonte di immensa gioia e al
tempo stesso di tristezza, che come un' onda gelida mi travolge, lasciandomi
dei ricordi che non ho mai vissuto
veramente, eppure sono così veri…
Capitolo 1: L'inizio.
Quel giorno era il primo giorno del liceo scientifico. Mi stavo riprendendo dallo
shock di un viaggio in autobus da sola, senza genitori, ed ero sinceramente
sorpresa del fatto che fossi riuscita a prendere quello giusto senza
sbagliarmi, quando subito appena scesa fui costretta a
seguire una marea di persone che si dirigeva a scuola. Noi del primo ovviamente
eravamo dietro, attenti bene a memorizzare la strada
per il ritorno, timorosi e tremanti come foglie.
Io ero assieme una mia amica,
Giada, che sarebbe venuta in classe con me. Entrambe non parlavamo. Credo che fossimo tutte e due con lo stomaco pieno di farfalle, quel
giorno… Scuola nuova, compagni di classe nuovi, professori nuovi… Una vita
nuova da definire e migliorare giorno dopo giorno.
Una mano si mise sulla mia
spalla:
-In che sezione vi hanno messo?- mi chiese un'altra nostra amica, Lisa,
riferendosi a me e Giada. Io mi resi conto appena di quello che disse, assorta
com'ero dai miei pensieri. Fu Giada a rispondere per me, visto che io al
momento non davo segni di vita:
-Ci hanno messe nel 1°D, come
tutti quelli della nostra città dello scientifico… Ehi Laura, non essere così
tesa, per quello basto e avanzo io!!
La vidi ridere con fare nervoso
guardando nella mia direzione. Anche Lisa sorrise.
Mi distolsi dalle mie riflessioni
e lanciai ad entrambe un'occhiata divertita, per quanto mi fosse
possibile.
Finalmente (si fa per dire)
giungemmo alla nostra nuova scuola e le viscere mi si cominciarono a
contorcere, facendomi rimpiangere i bei momenti che avevo vissuto alle scuole
medie… Quell'edificio, con le bandiere a mezz' asta legate con un nastro nero
per via del recente attacco alle Torri Gemelle, non mi diceva niente di buono.
Entrammo.
Io e Giada salutammo
Lisa per le scale e poi continuammo da sole per cercare la nostra aula, che non
era la stessa sua. Lei avrebbe cominciato il liceo linguistico, che era al
piano di sopra.
Trovammo la classe (molto ampia,
adatta ad ospitare 28 persone quali eravamo) quasi subito e ci sedemmo in terza fila… I posti stavano quasi finendo e di certo non
volevamo metterci nella prima!
Appoggiai lo zaino per terra con
una mano un po' tremante, dandomi un' occhiata intorno.
Molte facce le conoscevo, altre invece no. Ma non ci
stetti a pensare più di tanto, avevo 5 anni per conoscerli tutti… Gettai
nervosamente una ciocca di capelli sulle spalle, ignorando completamente il
morettino seduto proprio dietro di me…
Il nervosismo e il disagio per la
nuova situazione lasciarono presto il posto ad una mattinata trascorsa molto
lentamente. Facemmo conoscenza di alcuni dei professori, di cui qualcuno molto
esigente che, dopo una breve presentazione, già ci fece scrivere il programma
della loro materia durante l'anno scolastico, o addirittura qualcun altro si
mise immediatamente a fare lezione.
Io scrivevo copiosamente, cercando ogni tanto di lanciare qualche sguardo furtivo ad un ragazzo di una fila avanti a me che, almeno dal mio punto di vista, mi sembrava carino…
Ad un certo punto quando qualcuno
mi bisbigliò qualcosa.
-Scusa, mi presti il temperino?
Mi girai indietro e lo vidi. Non che fosse la prima vota,
sia chiaro…
Era Simone, uno che viveva nella
mia stessa città. Era alto e magrolino, coi capelli castano
scuri tirati tutti su col gel in
un modo che non gli si addiceva per nulla, gli occhi color nocciola, il naso a
patatina e le labbra abbastanza carnose. Quel giorno indossava dei jeans e una maglietta nera con sopra un giubbotto sempre
di jeans molto carino, che gli dava vagamente l’aria da James Dean versione
quattordicenne.
Beh, a parte il modo di portare i
capelli e i baffetti che cominciavano a fare capolino sotto il suo naso, era
tale e quale a com'era da piccolo.
Avevamo fatto l'asilo insieme, ed eravamo stati anche molto amici, finché lui - ancora devo capire come abbia fatto - non mi tagliò con le forbici nell'incavo fra il pollice e l'indice della mano destra, causandomi una ferita abbastanza profonda della quale porto ancora una piccola cicatrice.
Da lì in poi, offesa e arrabbiata come solo una buffa bambina che amava le gonnelline rosa poteva essere, lo ignorai completamente nonostante le sue continue suppliche di scusarlo che durarono diversi giorni; io però fui inflessibile, al che lui alla fine si arrese e si trovò un’altra amichetta, e lo stesso feci io.
Non ci fu più occasione di frequentare altre scuole insieme, fino a quel momento. Le elementari le facemmo in due plessi diversi, le medie in due classi separate… per me Simone era solo un ricordo sbiadito di un passato remoto, tant’è vero che fu mio padre, quando andammo per la prima volta alla segreteria del liceo per vedere in quale classe ero stata smistata, a farmi notare la presenza del “Tagliacarne”, così l’avevo soprannominato all’asilo dopo l’incidente con le forbici. Mi limitai ad annuire distrattamente e continuai a scrutare gli altri nomi sulla lista.
Ogni tanto, durante tutti gli
anni in cui non ci frequentavamo più, lo incrociavo a passeggio in giro d'estate,
ma vederlo non aveva mai suscitato in me nessuna particolare emozione, solo il
ricordo di quella ferita. Ovvio che non gli serbavo più il
benché minimo rancore per quello che era successo, ma il massimo che
riuscivo a fare, se mi soffermavo a pensare su di lui, era dire tra me e me "Che
idiota…".
E fu
così anche questa volta.
-Certo, tieni- gli risposi
asciutta, frugando nell’ astuccio e porgendogli il mio
temperino. Lui diede una rapida temperata alla sua matita e poi me le restituì.
-Grazie- disse.
Io abbozzai un sorriso di circostanza e lo ripresi, mettendolo in fretta nell'astuccio e continuando a scrivere, senza sapere che quel giorno, in quel preciso momento, la mia vita era cambiata per sempre.