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Autore: Claire Piece    01/04/2012    4 recensioni
Nell’oscurità della mia camera non me ne ero accorta, ma erano di un colore diverso da quello che avevo visto ore prima.
Ora era un vero colore, naturale.
Erano iridi rosse.
Fui capace di non spaventarmene e improvvisamente capii che nel fondo del pozzo non ci avrei trovato elementi naturali comuni, ma ci avrei trovato del sangue.
Lo vidi spostarsi lento, parlò ancora vicino e mormorando “ Ti spaventano vero?”
“No…” bisbigliai “Li trovo orrendamente pieni di verità.”
Mi riaccostai per cercare un nuovo bacio ma lui sorridendo sghembo si allontanò appena e sussurrò “ In parte hai colto nel segno. Ma tu non puoi minimamente immaginare quante verità vedano.” Mi fissò per molto, serio.
I capelli corvini e la maglia altrettanto nera, fecero risaltare come una luce quel cremisi dei suoi occhi. Li vidi iniettarsi di sangue mentre mi guardava, sembrò volermi divorare, ma forse non è questa la sensazione più giusta per dire cosa provasse e cosa volesse realmente fare in quel momento Beyond .
Continuò a fissarmi e io non abbassai lo sguardo, non avrei mai perso nemmeno un attimo di quegli occhi.
Tornò poi a parlare piano e con sofferenza tentava di trattenere un impulso irrefrenabile che lo voleva spingere a fare qualcosa, ma non capivo bene cosa. Disse sotto voce solo poche parole prima di andarsene “Povera cappuccetto rosso è finita dritta, dritta nella bocca del lupo.”

Nella vita di una ragazza senza problemi, se non quelli della sua età, appare un'improvvisa ombra che oscurerà il sole che rendeva la sua vita serena e con una positiva monotonia.
L'apparizione di un misterioso personaggio le farà cambiare idea.
Salve a tutti.
Questa è diciamo una fan fiction sperimentale.
Vorrei divertirmi ad approfondire il personaggio di Beyond Birthday e ci proverò scrivendo questa storia.
Da subito ringrazio chi leggerà e spero sia di vostro gradimento.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beyond Birthday, L, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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                                         Dietro le spalle


Quando mi voltai vidi qualcosa a terra, ma non distinguevo molto bene.
Le luci dei lampioni non erano abbastanza forti da permettermi di vedere e capire da subito cosa fosse.
Così mi avvicinai, piano, con timore, sentivo l’appoggio lento e rullato del mio piede a terra.
Poi distinsi perfettamente la sagoma di una persona tra l’asfalto e il marciapiede.
Era riversa a terra, prona, di costituzione non magra, ma robusta e in sovrappeso. Vestita con una t-shirt rossa, pantaloncini neri e anfibi ai piedi.
Mi avvicinavo sempre più titubante, ma non riuscivo a smettere. Ero attratta dal voler vedere cosa avesse, chi fosse e se stesse male.
Nella mia testa ronzava il costante pensiero che quella persona non fosse viva.
La conferma arrivò a quello che stavo pensando, quando vidi del copioso sangue che scorreva e usciva in direzione della gola. Probabilmente gli era stata tagliata.
Osservai la scena davanti ai miei occhi inorridita. Poi mi guardai intorno, spostandomi convulsamente i capelli dalla faccia con le mani.
Non c’era nessuno.
Vivo a Los Angeles, la metropoli caotica per eccellenza, e quella sera non c’era anima viva!
Presa in ritardo dal trattenuto attacco di panico corsi in direzione dell’albero.
Quasi strappai Molly dal ramo dove era poggiata e scappai in casa chiudendomi dentro a chiave.
Guardai fuori dalla barra in vetro di lato al portone d’ingresso.
Non passava nessuno ed erano solo le dieci e mezza di sera, c’era solo e soltanto il corpo senza vita del tizio a terra!
Lasciai cadere Molly che atterrò sofficemente con le zampe a terra, presi il telefono cordless posato sul mobile in soggiorno e composi veloce il numero.
Uno squillo…
Un altro…
Poi un altro….
Controllai fuori di nuovo guardando dal vetro della porta.
Finalmente la risposta! << Pronto! Leonor.>>
“Papà!” Dissi sollevata e sobbalzando, iniziavo ad avere davvero paura.
<< Perché mi chiami a quest’ora al telefono cellulare? Sono a lavoro, non posso parlarti con calma da….>>
“Perfetto. Direi che posso dirtelo allora, è ancora meglio se sei a lavoro.” Sospirai interrompendolo e guardai di nuovo fuori.
<< Come? Perfetto? E’ successo qualcosa? >> Disse seria la voce maschile ma cristallina di mio padre.
“Sì.” Chiusi gli occhi, li riaprii, osservai ancora fuori, ancora attratta dall’orrore e continuai “Papà, hanno ucciso un uomo sul marciapiede davanti casa nostra.” Mentre rimanevo fissa con gli occhi a scrutare, in quella situazione inquietante, il carezzevole tocco della coda di Molly sulle mie caviglie fu per me un conforto immenso.
Mezz’ora dopo la polizia arrivò e con essa anche mio padre.
Iniziarono a fare i vari rilevamenti e operazioni del caso, tormentandomi poi con una marea di domande.
Cominciò anche ad arrivare un discreto numero di persone del vicinato a guardare. Le facce preoccupate, intimorite, intrise della paura al pensiero che anche loro avrebbero potuto essere la vittima. Ma nella mescolanza di timore trovai una faccia nel mezzo tra le altre, leggermente sorridente, il sorriso di una bocca ben fatta e virile.
Aveva il classico riso che si fa quando si pensa o si dice “Ben ti sta.”
Alzai gli occhi per vedere bene chi fosse, ma quella persona si voltò e sparì nel caos del momento.
Dopo il lungo osservare quella scena che conoscevo fin troppo bene, ne ebbi anch’io abbastanza.
Mi rifugiai in casa, camminai pigra in cucina e mi preparai un tè anche se in quell’occasione sarebbe stata meglio una tisana rilassante.
Sedetti sull’alto sgabello alternando sorsi a soffi per raffreddare il tè.
Sentii arrivare mio padre che non entrò in cucina, ma si appoggiò con la spalla sull’architrave della porta.
Lui è molto alto, moro di capelli, ha una notevole muscolatura e chiarissimo di pelle quanto me. Il suo viso è tondo ma un po’ più spigoloso sul mento, i suoi tratti sono molto duri e una leggerissima barba contorna la sua mascella. Purtroppo il suo lavoro non gli consente di curarsi molto spesso. Credo che anche questo particolare estetico, insieme alla sua incostanza nel mantenere i suoi impegni, sia uno dei motivi per cui alla mamma non sia piaciuto più stare con lui. Ma la cosa che mi piace di più in mio padre sono i suoi occhi, scurissimi come i miei, hanno un taglio molto dolce per essere gli occhi di un uomo e possiede delle ciglia abbastanza lunghe.
I suoi occhi quando mi guardano si illuminano come non mai.
“Allora come ti senti? Voi dormire da me stasera?” Disse pacato e premuroso, si tolse la sua giacca di jeans e la lanciò sul ripiano in marmo. Lui è solito girare sempre in borghese.
“Sto bene, tranquillo. Rimarrò a casa. E poi chi la sente mamma, già immagino…” Non finii di rispondere a papà che la mamma piombò in cucina e mi abbraccio con un’espressione impensierita in viso .
“Ecco era questo che intendevo.” Dissi ironica guardando con faccia paziente papà che nel frattempo se la rideva.
“Leonor! Tesoro della mamma. Tutto bene? Ti sei fatta male? Ti hanno fatto qualcosa?” La mamma si scostò per guardarmi in viso e nel totale per vedere se non avessi niente di rotto.
“Sì, tutto bene solo un po’ scossa.” Dissi abbassando lo sguardo per poi portarlo su papà.
“Oh, mi dispiace, stasera avrei dovuto restare in casa con te…se solo non… Dawson, credi che…” Interruppi le chiacchiere ansiose di mia madre fulminea altrimenti avrebbe fatto impazzire sia me che il papà.
“No. Mamma, non è colpa tua, non è colpa di nessuno. E’ successo. Tutto qui. Sono stata testimone dell’omicidio del pazzo maniaco che da tempo faceva notizia qui a Los Angeles. Io adesso non mi preoccuperei di come sto io, ma di chi è stato a far fuori il tizio.” Dissi cercando di sapere qualcosa da papà, rivolgendogli uno sguardo interrogativo.
“Questo sarà il vero mistero. Perché chi lo ha ucciso è bravo e non un tipo qualunque, non ha lasciato una sola traccia…” Papà iniziò a illustrarci le sue idee gesticolando con le mani, probabilmente non si sentiva molto a suo agio. Notai, nel suo gesticolare, che indossava ancora la fede al dito. Lui non aveva mai accettato di buon grado il divorzio dalla mamma, ma non aveva acconsentito.
Non poteva pretendere di essere amato e l'aveva lasciata andare.
Dopo aver fatto riemergere i ricordi di mio padre col cuore spezzato di quattro anni prima, tornai a concentrarmi su di lui che stava parlando “. ..chiunque abbia ucciso quel maniaco, non ha fatto capire né a te cosa stesse succedendo né alla vittima. Tant’è vero che ti sei dovuta avvicinare per capire cosa fosse accaduto. Ma escludo che, chi ha ucciso quel pazzo potrebbe farvi qualcosa. Probabilmente il maniaco aveva dei nemici oppure era scomodo a qualche organizzazione criminale che fa lavoretti simili per minacce, forse altro ancora. Le miei sono ipotesi tirate a caso, le indagini vere e proprie le inizieremo domani. Le seguirò anche io se può farvi stare tranquille.” Papà espose il tutto con un tono che cercava di essere rassicurante, anche i particolari che avrebbero dovuto allarmarci, come ad esempio l’essere prese di mira da un nuovo molestatore.
E’ proprio un poliziotto.
“Oh, sì. Dawson, sarebbe molto confortante sapere che sei nelle indagini, davvero.” Mia madre cominciò a sentirsi più calma, il suo tono di voce era tornato più melodioso e meno stridente.
“Bene, anche io mi sento più tranquilla allora. Ora però ho proprio sonno vado a dormire. Domani Jesse mi aspetta a scuola.” Scesi dallo sgabello e lasciai la tazza dai cui avevo bevuto il tè nel lavello.
Salii di sopra nella mia stanza.
Sulle scale le gambe erano pesanti, dovevo proprio averla percepita come si deve tutta quella paura. Indossai il mio pigiama estivo, composto da una canotta bianca a fantasia fiorata e da dei pantaloncini rossi che richiamavano il colore dei fiori.
Stavo per infilarmi sotto le coperte quando decisi di dare un’ultima sbirciata all'esterno.
Andai alla finestra. Sollevai un lembo della tendina dal vetro e guardai.
C’era la calma, non c’era più il corpo rovesciato a terra, non c’erano più i curiosi del quartiere, non c’era più il baccano e l’alternarsi delle luci rosse e blu delle sirene della polizia.
Sembrava quasi che non fosse successo nulla.
Una specie di pulizia e ordine aveva spazzato via i germi dell’efferatezza e il macabro omicidio.
La cosa che mi colpì, fu che non avevo le immagini traumatizzanti che avevo visto quella sera ben memorizzate nella mia testa, ritornavano sfocate e questo non per la sola paura che tende a nasconderle, a non volerle mostrare, ma perché in parte non ne ero totalmente terrorizzata.
Io in generale non amo agitarmi e tendo ad analizzare la situazione, senza farmi prendere troppo dall’emotività oppure sono semplicemente pazza e insensibile.
Distratta dai miei pensieri di quel momento osservavo fuori senza interesse, giravo il mio sguardo come abitudine, come quando si scruta all’esterno senza un apparente scopo.
Ed ecco che arrivò di nuovo quell’improvvisa ondata di interesse per un particolare che colpì i miei occhi.
Il furgoncino! Parcheggiato a dieci metri da casa mia, dal lato opposto davanti la casa della signora Rosemary.
Il ragazzo tutto fare mi ritornò in mente e mi distrasse dalle brutte sensazioni avute in quella serata.
Quando vidi il furgoncino supposi subito senza una particolare attenzione e logica, che anche lui forse abitasse dalle miei parti, che forse non era un tipo lì di passaggio.
Ma quando era arrivato nel mio quartiere?
Abbandonai la domanda, alla fin fine me l’ero posta pur sapendo che non avrei mai avuto una risposta immediata e mi lasciai andare all’aspetto puramente frivolo che mi faceva stranamente piacere. Al ragazzo, alla sua persona poco definita e fugace.
Mi si aprì un sorriso e presa dalla curiosa positività delle mie supposizione su di lui andai al letto. Coprii le mie gambe con l’azzurrino, leggero lenzuolo e mi addormentai con la tiepida aria che lasciai entrare dalla finestra.

Straordinario come nonostante il terribile spettacolo della sera prima, fossi riuscita a dormire senza fare incubi o sogni al riguardo.
Quando scesi sotto in cucina, questa era inondata della luce del sole delle nove che filtrava dalla porta-finestra e trovai la mamma in piedi, ancora in tenuta da notte, intenta a fare dei pancake.
L’odore dolciastro e vanigliato mi risvegliò dal torpore del sonno.
Il ripiano in marmo era imbandito: succo d’arancia, succo d’acero, mirtilli, fragole e panna. Due semplici piattini bianchi contrastavano con le tovagliette rosse plastificate poste sotto di essi. I bicchieri e le forchette brillavano di riflesso alla luce del sole. Era tutto così perfetto e sereno.
Mi sollevai sulle punte dei piedi scalzi, per sedermi sul panchetto. Nel frattempo la mamma impiattava due pancake nel mio piatto e di seguito ne mise altri due nel suo.
Aspettai che si sedesse anche lei per inondare i miei di succo d’acero e buttarci poi delle fragole.
Misi il primo boccone in bocca e mi sentii in paradiso, i pancake della mamma non li batteva nessuno, la ricetta era della nonna tramandata di generazione in generazione. Ma con la voglia che ho io di cucinare credo che non ne sarò una degna erede.
“Allora Leo. Come ti senti?” La mamma parlò distrattamente mentre tagliava il suo primo pezzo della sua dolce frittella con la forchetta.
“Bene. Credo. Non ho avuto brutti sogni o roba del genere, quindi direi che sono a posto.” Dissi con noncuranza e fin troppo tranquilla.
“Sei proprio la figlia dell’agente Dawson White.” La mamma abbassò lo sguardo sul suo piatto e iniziò a sorridere tra sé e sé della sua affermazione, poi continuò “ Ecco in cosa siete davvero simili. Non vi tocca nulla. Può cadere il mondo ma voi non vi tirereste più in là, nemmeno se vi pregassero in ginocchio. Vi piace il pericolo e non vi sconvolge.”
“Dici? Sai anche io a volte mi stupisco della mia non capacità a provare normali sensazioni di paura.” Abbozzai un sorriso mentre masticavo.
“Vorrei avere anche io un po’ meno paura Leonor. Ma guardati, sembra ieri che eri così piccina e ora sei una bella ragazza. Ogni volta che sei là fuori ho sempre paura.” Una vena di commozione velò il viso della mamma mentre allungava la sua mano sui miei capelli, che quella mattina erano più ondulati del solito.
“Mamma, pensa che andrà tutto bene e non domandarti altro. Le domande creano la paura e il conoscerne le risposte no. Quindi sai già la risposta, io sto bene. Ho la testa sulle spalle e non mi succederà nulla. Almeno per i prossimi ventotto giorni!” Esplosi in una risata fragorosa e contagiai anche lei distraendola dai suoi cattivi pensieri.
Finita la colazione andai in camera e mi vestii. Indossai la t-shirt a maniche corte gialla, che faceva risaltare i miei capelli castani scurissimi e che ricadevano appena sul giro collo. Infilai dei pantaloncini jeans e le mie amate converse. Poi di ottimo umore uscii. Presi la mia bici e pedalai verso la scuola distante da casa un paio di kilometri.
Arrivata incatenai la bicicletta alla staccionata in ferro del parcheggio e raggiunsi Jesse che era sdraiata su una coperta adagiata sull’immenso prato della scuola.
“Siamo di buon umore oggi?” Sentenziò Jesse ancora con gli occhi bassi sul libro.
“Cavolo! Leggi nel pensiero. Perché non hai alzato la testa neanche per un secondo da quando sono arrivata.”
“Da quanto ci conosciamo Leo?” Disse con tono monotono e assonnato, spostandosi una bionda ciocca di capelli finitale davanti agli occhi.
“Da ormai quattro anni.” Risposi ingenuamente.
“Beh, allora non mi stupirei fossi in te.” Affermò ridendo e staccando di poco lo sguardo dal testo che stava leggendo.
Fingendo meraviglia alla risposta di Jesse mi adagiai anch’io sulla coperta.
Sentire il sole sulla pelle era piacevole e la leggera ombra di un albero vicino a noi creava il giusto compromesso di refrigerio e calore.
Io e Jesse adoravamo stare in quel modo. Lei teneva compagnia a me e io a lei, alternavamo chiacchiere futili, discussioni sullo studio e prendevamo in giro i vari professori, da caso clinico, di cui disponeva il nostro liceo.
Ci saremmo divertite anche se avessimo dovuto trovare qualcosa di interessante nell’aria.
Presa dalla spensieratezza della situazione domandai rilassata “Allora com’è stato il ballo?”.
“No, io direi: Allora come ti senti dopo aver visto un omicidio in diretta?” Rispose Jesse sarcastica.
“Ti ha chiamata...” Dissi arrendevole e assumendo un’espressione scocciata.
"Sì.” Disse secca Jesse.
La mamma ovviamente aveva chiamato Jesse quella mattina e le aveva raccontato tutto.
Il fatto è che non avevo voglia di parlarne, avevo scacciato via il malessere di quella situazione. Perfino il mio inconscio aveva capito che era il caso di lasciar perdere e ora grazie ad una semplice domanda sull’accaduto stava per far tornare quel senso di disagio della sera prima. “Sarà la centesima volta che lo dico. Sto bene. Maledizione! Ma la mamma non può stare buona! A parte che ti avrà chiamata prima della nostra chiacchierata di questa mattina.” Sbuffai nervosa dopo il mio sfogo e proseguii “ Sì, posso dire di stare bene. Comunque non è stata una bella visione. Un attimo prima ero a prendere la mia gatta su un albero e un attimo dopo avevo un morto dietro le spalle.”
“Leonor! Parli in una maniera così distaccata da non sembrare nemmeno umana. Ti invidio davvero. Io non riuscirei reagire come fai tu.” Disse Jesse stupita e anche leggermente sconvolta.
“Grazie. Sei la seconda persona oggi che me lo dice.” Dissi ridendo e guardandola con la coda dell’occhio. Le sue reazioni sono la cosa più comica che io conosca.
Mentre ero immersa nello scherzo, si ripeté quello strano episodio che avevo avuto in quegli ultimi due giorni.
Mi colse quell’improvvisa sensazione.
Quell’intrigante richiamo.
Mi voltai e lo vidi.
Stava passeggiando ma si fermò sulla stradina pavimentata che attraversava il prato della scuola.
Era lui ma questa volta non era vestito da lavoro.
I capelli neri, con indosso dei semplici jeans di un blu chiaro, scolorito e una maglia grigia a maniche corte.
Mi dava le spalle ma si voltò quasi subito.
Non riuscii a distinguere i particolari del suo volto, era troppo lontano, ma notai che mi guardava con insistenza e in maniera sfacciata.
Io rimasi a mia volta ad osservarlo, ma la sensazione sbarazzina e rilassata che avevo provato nel pensarlo la sera prima sparì.
Lo percepivo diversamente, non riuscivo a sorridergli o a rispondere al suo sguardo nella maniera più idonea, sebbene ci fossimo visti altre volte seppur di sfuggita.
Rimasi ferma a guardarlo seria e lui a quel mio atteggiamento sorrise.
Un sorriso ambiguo.
Mi sembrò di averlo visto da qualche altra parte, era un sorriso famelico, dispettoso, lo adoravo e ne ero spaventata allo stesso tempo.
“Hai fatto colpo Leo.” Disse ridacchiando sotto i baffi Jesse , ma sempre rimanendo con la testa giù sui libri.
Nonostante le parole di Jesse, io e il ragazzo continuammo a guardarci finché la sagoma di uno studente-passante portò via la sua immagine dai miei occhi, come se fosse stato solo frutto della mia immaginazione.


Ciao a tutti!
Come state? Io sono nel pieno delle stranezze primaverili di tutti i tipi -.-.
So che non sarà entusiasmante il capitolo, ma sto cercando di seguire un filo o percorso ben preciso della storia che ho in mente. Forse per questo non sarà esaltante. Chiedo perdono in anticipo.
Ringrazio tutti i lettori di tutti i tipi e i recensori.
Grazie grazie e baci baci da Ama82

   
 
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