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Autore: Giulia_G    02/04/2012    1 recensioni
«E’ la mia prima volta» dissi, tutto d’un fiato, chiudendo gli occhi e attendendo una sua risposta. Mi sarei aspettata uno di quei suoi sorrisi da togliere il respiro, un bacio appassionato o una parola dolce, ma tutto quello che ottenni fu il fatto che si bloccò, rimanendo fermo per più di un minuto nella stessa posizione.
«Merda» esplose, più ad alta voce di quanto mi sarei aspettata, mettendosi a sedere e abbandonando la testa tra le mani.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con il secondo capitolo (: Premetto che qui si dirà chi è uno dei protagonisti, mentre ne verrà introdotto un altro, per ora sconosciuto *w* Ho letto e riletto questa storia decine di volte, e continuo a dire che a me piace molto, e che probabilmente rimarrà una delle mie preferite, tra le tante cagate che ho scritto xD Però non voglio peccare di presuntuosità, quindi lascio a voi il giudizio ;)
Mi raccomando, recensite. A chi legge non costa niente, e per chi scrive è davvero un piacere immenso leggere le recensioni, credetemi.
Ah, se avete scritto qualcosa anche voi lasciatemi il link in un messaggio personale (non nella recensione perchè mi sembra di aver capito che non si può) che passo dalla vostra ff (:
Un bacio a tutti, fatemi sapere cosa ne pensate (:
Giulia.




«Cosa…?» provai a chiedere, ma le parole mi si fermarono in gola.
«Merda» ripeté. Si alzò dal letto, portandosi dietro un cuscino, con il quale si coprì mentre camminava nervoso per la camera. Continuava a ripetere quella parola, battendosi una mano sulla fronte e urlando cose senza senso. Parlava da solo, senza aspettare che rispondessi e senza preoccuparsi del fatto che in quella stanza ci fossi anche io.
Lo seguivo con lo sguardo mentre faceva avanti e indietro da un muro all’altro, fermandosi ogni tanto per lanciarmi un’occhiata e ripartire immediatamente dopo.
«Si può sapere cos’hai?» riuscii a domandare, iniziando a spaventarmi per il suo comportamento. Mi ero seduta anche io sul bordo del materasso, cercando le parole giuste da dirgli perché si tranquillizzasse. Era giusto che si agitasse per ciò che gli avevo detto, ma non mi sembrava il caso che mettesse su tutto quel teatrino.
«Quando diavolo avevi intenzione di dirmelo?» scoppiò, gridandomi in faccia. Sembrava stesse per piangere, ma lo conoscevo troppo bene per credere che da un momento all’altro si sarebbe lasciato sopraffare dalle lacrime. Era troppo orgoglioso, troppo pieno di sé per ammettere che qualcosa avrebbe potuto anche solo scalfirlo.
«Io… Non pensavo che… Perché hai reagito così?» balbettai.
«Come pensavi che avrei reagito?» strillò ancora. Io stavo parlando piano, perché urlava così? Perché non mi aveva semplicemente sorriso, raccontandomi quanto fosse bella per lui l’idea di essere il primo con cui avrei fatto l’amore?
«Pensavo che ne saresti stato felice» ammisi, abbassando la testa. Non riuscivo a sostenere il suo sguardo, nonostante fosse uno dei più meravigliosi nei quali fossi mai sprofondata.
Sbuffò, tornando contro il muro. Raccolse le mutande dal pavimento e se le infilò velocemente, battendo poi un pugno contro la parete.
«Che cazzo hai?» gli chiesi ancora, alzando il volume della voce per raggiungere il livello che stava aveva usato lui. Gli andai incontro, evitando del tutto il contatto fisico ma tentando di creare quello visivo. Si voltò lentamente, con un’espressione in viso che non gli era mai appartenuta. Era arrabbiato, ma allo stesso tempo pareva non gli interessasse niente della situazione.
«Niente, non ho niente» disse, scoppiando in una risata isterica. Lo guardai storto, cercando di comprendere cosa gli passasse per la testa, ma non riuscivo assolutamente a trovare un punto d’incontro tra ciò che sentivo io e quello che immaginavo stesse provando lui.
«Harry!» lo chiamai. Continuava a ridere, come se non avessi neanche parlato.
«Non posso, non posso fare sesso con te» concluse serio, come se quello fosse il risultato di ore intere di riflessione.
«Come sarebbe a dire che non puoi?» chiesi una spiegazione, calcando con la voce sull’ultima parola. Mi chinai a raccogliere i miei vestiti da terra e uno a uno me li misi addosso, capendo che non ci sarebbe più stato bisogno di rimanere mezza nuda.
«Non posso, non voglio, mettila come vuoi» ripeté. Aveva colpito esattamente nel punto più debole. Gli rivolsi ancora un’occhiata disgustata, poi mi avviai verso la porta, spalancandola e richiudendola alle mie spalle con un tonfo. Corsi fino alla porta d’entrata, infilandomi la maglietta e le scarpe che avevo lasciato davanti al divano quando ero arrivata. Afferrai la cartella della scuola e uscii da quella casa come se si trattasse di un castello di vampiri assetati del mio sangue.
«Vaffanculo» gli gridai, pur sapendo che dalla strada non mi avrebbe sentita. Le lacrime uscirono da sole, senza che fossi io a controllarle. Non avevo neanche la forza di fermarle, figurarsi se sarei stata in grado di andare molto lontano sulle mie stesse gambe. Mi accasciai sulla prima panchina che trovai nel viale, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e cercando qualcosa che mi permettesse di avere una visione diversa di tutta quella situazione, ma non trovai neanche un piccolo squarcio di positività. Il pianto faceva il suo corso senza che io neanche me ne rendessi conto, intenta a ripercorrere tutte le immagini e le parole che invece avrei dovuto scacciare dalla mente. Lo rividi spostarsi dal mio corpo, allontanarsi e percorrere la stanza a grandi passi, mentre io rimanevo inerme sul letto a osservarlo. Non riuscivo a capacitarmi che avesse potuto parlarmi come aveva fatto e di comportarsi in quel modo, ma allo stesso tempo non ne ero affatto sorpresa. Anzi, mi stupii di non essermi accorta prima della possibilità che ciò accadesse.
Sentivo la mia voce che bofonchiava frasi senza senso, rotta dai singhiozzi, ma non le prestavo attenzione. Tutti i rumori intorno a me, che in un'altra circostanza avrei apprezzato di gran lunga, in quel momento diventarono un disturbo. Non desiderai altro che il silenzio, volevo solo che ogni ticchettio, tonfo e fruscio intorno a me cessassero, lasciandomi da sola con i miei pensieri. Le mani erano bagnate, ma mi accorsi troppo tardi che non lo erano a causa delle mie lacrime.
Perfetto, pioveva. Neanche il cielo aveva pietà di me.
Non passarono neanche sessanta secondi, che mi ritrovai inzuppata dalla testa ai piedi, fatta eccezione solo per il volto, ben coperto. Pensai di alzarmi e correre verso casa, ma realizzai che non sarebbe di certo servito a tornare asciutta. E comunque avevo ancora più di un’ora e mezza di autonomia; l’avrei sicuramente trascorsa su quella panca, solo in compagnia di quei fastidiosi elementi della natura.
«Allyson?» mi sentii chiamare, da quella che probabilmente era l’unica persona di cui avevo bisogno in quel momento. Alzai la testa, permettendo alle gocce di acqua di segnarmi anche il viso, trascinandosi dietro il trucco nero che ancora le lacrime non erano riuscite a portar via.
  
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