Se avessero potuto
chiedere a Shikamaru Nara cosa fosse la cosa più fastidiosa
al mondo, in quel
momento, lui avrebbe risposto senza alcuna esitazione.
I gatti.
E non sarebbe servito
a nulla parlargli dei loro teneri musetti, o delle loro dolci fusa,
meno che
mai del loro verso simpatico.
Vi avrebbe guardato in
cagnesco, prima di infilare la testa sotto il cuscino e mormorare con
voce
assonnata un – seccatura, sono le tre del mattino
–
Shikamaru
aprì un occhio, sbadigliando.
-
dannato
gatto – biascicò, alzandosi di scatto –
strepiti peggio di mia madre –
Si rigirò tra le lenzuola, chiedendosi a cosa fosse servito
andarsene a vivere in un sottotetto a cento chilometri da casa, quando
c’era
sempre qualche seccatura a svegliarlo nel cuore della notte.
-
un
altro miagolio e ti stendo – sibilò poi,
voltandosi
verso la porta a vetri, scorgendo nel buio la sagoma affusolata del
micio.
Un attimo di silenzio raccolse la sua intimidazione, prima,
almeno, che un nuovo miagolio rompesse l’aria ferma della
notte.
-
mi
vuoi far impazzire – decretò il moro, rigirandosi
–
ma non credere che Shikamaru si faccia mettere sotto da un gatto
così minuscolo
–
Le ultime parole famose.
Come
Shikamaru si fosse ritrovato sul terrazzino, con il
gatto tra le braccia, non avrebbe saputo spiegarlo.
Con una Lucky Strike che bruciava tra le dita, fissava
inespressivo l’orizzonte in una posa assorta.
O in coma.
Molto più probabilmente in coma, dato che il gatto aveva
iniziato a leccargli un dito senza ottenere il rantolo di disappunto
sperato.
Il moro gettò la cicca sul pavimento annerito, sgranchendosi
le gambe.
-
si
torna a casa, gattaccio – disse poi, laconico, camminando
lentamente, una mano ben piantata nella tasca del pigiama – e
se questo vuol
dire incontrare quella seccatura della tua padrona…-
deglutì rumorosamente
–
bhe, sono pronto –
Più per sadico divertimento che per altro, che sia chiaro.
E, seppur fosse certa che gatto e Nara si fossero affezionati più tra loro di quanto lo fossero a lei, decise comunque di aprire la finestra.
- ehi,
sono le tre e mezza del mattino, la gente onesta
dorme – disse, appoggiandosi allo stipite della grossa
finestra, lasciando che
la spallina del pigiama le scivolasse sul braccio.
Shikamaru sbadigliò appoggiandosi al davanzale,annoiato
–
per questo avevo la certezza di trovarti ancora in piedi -.
La bionda si imbronciò, lottando con la propria forza di
volontà – vattene, prima che decida di lanciarti
alla scoperta
della gravità
– rispose, gli occhi stretti a fessura
rivolti alle sue spalle, oltre l’inferriata che separava il
ragazzo da un volo
di qualche metro.
Shikamaru si stiracchiò, osservando il gatto entrare
languido nella stanza della padrona, ondeggiando il muso dalla grossa
macchia
nera.
-
mi
ha fatto passare il sonno – sbuffò poi, rovistando
alla ricerca di una sigaretta nella tasca.
-
Non
credevo che il mio gatto facesse miracoli, piagnone
– Temari ghignò,le braccia serrate sotto al seno.
-
Seccatura
–
Soprattutto perché avrebbe dovuto chiedere a Temari di
smettere di baciarlo e alle sue mani di accarezzarlo.
E quello era qualcosa di troppo ardito, per un tipo così.
Forse per un attimo avrebbe anche smesso di chiedersi come
quel gatto riusciva ogni sera a intrufolarsi fino in camera sua.
O perché finiva sempre per riportarlo lui, a zonzo sul quel
terrazzo in riva al mare.
E forse una risposta se l’era già data.
Forse quando Temari aveva appoggiato la testa sulla sua
spalla la prima notte, lasciandogli un bacio sulla pelle sudata.
C’era una volta una gatta
Che aveva una macchia nera sul muso e
Una vecchia soffitta vicino al mare
Con una finestra
A un passo dal cielo blu.