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Autore: _Lethe    02/04/2012    6 recensioni
Quando rimanere alla luce è troppo doloroso, quando le grida soffocano il vento, quando si perde tutto per una tela bucata. Scappare da un dipinto distrutto e sperare nell'abbraccio delle tenebre.
Storia partecipante al contest "Drabble di stile" indetto da Marge
Enjoy!
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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bucata

Autore: Lethe
Titolo:
Tutto per una tela bucata
Prompt:
Anafora
Raiting:
Verde
Avvertimenti:
Nessuno
Genere:
Introspettivo
Introduzione:
Quando rimanere alla luce è troppo doloroso, quando le grida soffocano il vento, quando si perde tutto per una tela bucata. Scappare da un dipinto distrutto e sperare nell'abbraccio delle tenebre.

IX classificata al contest “Drabble di Stile” includo alla fine la valutazione di Marge.


TUTTO PER UNA TELA BUCATA


Non vedo altro che i tuoi occhi bruciarmi la pelle.
Non vedo altro che le tue labbra, che mangiano le sue.
Non vedo altro che i miei piedi, che stracciano la luce dei lampioni e bucano la nebbia.
Corro con il vento alle spalle, con la tua risata nelle orecchie, accompagnata dalle tue parole, che tagliano la pelle, con il segno delle tue dita sul fianco, che mi spingono via.
Non sento i
suoi passi dietro i miei. Non sento le sue braccia che mi avvolgono. Non sento il suo calore quando mi stringe a sé.

Sento solo la mia voce gridare il tuo nome.



* * *

9° posto: Lethe “Tutto per una tela bucata” 


La tua storia mi ha dato procurato qualche perplessità. È sicuramente ben scritta, non ho trovato errori di grammatica né di stile, il lessico è preciso e ben scelto e le immagini che evochi sono suggestive. Mi sembra uno scritto di alta qualità. 
La mia domanda quando l’ho letta è stata: ma il titolo –e l’introduzione- cosa c’entrano? 
Leggendola più volte, io l’ho così interpretata: una persona scappa dopo aver visto qualcuno, che probabilmente ama, baciare un altro/a. Durante la sua fuga ha negli occhi le immagini dei due e di ciò che l’amato ha fatto: ridere, forse di lei, parlarle (forse per rifiutarla), spingerla via. Qualcun altro la sta rincorrendo, probabilmente per consolarla, ma lei non lo sente o comunque non vuole accettarlo, e continua ad invocare il nome dell’amato. Fin qui va tutto bene, è sicuramente un po’ “ermetica”, come storia, ma ha un suo senso (se l’ho capita bene). Il particolare della tela bucata e del dipinto proprio non l’ho capito, perché nella storia non c’è alcun riferimento ad esso, ed una storia dev’essere comprensibile senza l’aiuto dell’introduzione. 
Mi sono forse persa qualcosa? 
L’anafora c’è ed è ben utilizzata, la frase “non vedo altro che” ripetuta per tre volte sottolinea l’affastellarsi delle immagini nella mente del/della protagonista, così dolorose e così inevitabili, quindi sull’utilizzo del prompt non ho nulla da dire. 


La spiega ^^

In primo luogo, grazie per il 9° posto, per essere il primo contest su 17 mi sembra una buona posizione. Ecco poi la spiega.
So di essere stata un po' troppo ermetica, spesso e volentieri commetto questo errore, essendo io abituata a scrivere poesie brevi e ricche di significato, magari lascio come non chiaro cose che nella mia mente non hanno problemi, mentre invece potrebbero crearne nel lettore. è una mia mancanza, ma con la pratica vedrò di migliorarla :D
Per il titolo poi. Io l'ho inteso come un buttare del tempo, degli sforzi e dei sentimenti per un uomo che non vale niente, come un quadro rotto, una tela bucata insomma. So che non c'è un rifermento alla tela nella storia, ma il titolo richiama un po' questa cosa, aver speso tutto per una cosa che non vale niente... L'introduzione, so che era un po' sibillina, ma volevo rendere l'idea di una sensazione di difficoltà quasi fisica nella scoperta del proprio errore, di aver fatto affidamento su qualcuno che non sarebbe riuscito a darti quello che volevi, che non ti avrebbe reso niente che delusioni. Per questo "rimanere alla luce è troppo doloroso" o "sperare nell'abbraccio delle tenebre", per scacciare questo sentirsi stupida, per aver creduto in qualcosa a cui non valeva la pena credere.

  
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