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One way road
"Some might say they don't believe in Heaven
Go and tell it to the man who lives in Hell
Some might say you get what you've been given
If you don't get yours I won't get mine as well"
[Some Might Say – Oasis]
«Pepper,
mi ascolti, la prego!»
«Lei non sa quello che dice. Sembrava in
trance, almeno credo, ed è meglio che stia tranquillo fino a
che...»
Tony stava per alzare la voce, esasperato, completamente
euforico e allo stesso tempo disperato, ma il campanello elettronico
trillò con forza proprio in quel momento.
«Il dottor Mitchell è
arrivato e chiede di poter conferire in privato con la signorina
Potts,» gracchiò JARVIS.
«Aspetti qui e stia calmo. Torno
subito,» disse Pepper, facendo già per lasciare la
stanza. «E per
favore, non faccia sciocchezze.»
***
«Signorina
Potts, purtroppo la situazione non è delle
migliori,» inziò subito
Mitchell, «e in quanto medico non posso edulcorare i
fatti.»
Pepper
lo ascoltava attentamente, cercando comunque di rimanere positiva.
Mitchell aprì una ventiquattr'ore e ne tirò fuori
alcuni fascicoli
che poi le porse. La donna li aprì anche se li conosceva
praticamente a memoria, avendo passato l’ultimo mese in
ospedale e
quindi perfettamente consapevole delle condizioni fisiche di
Tony.
«Oggi farò una visita di controllo, principalmente
delle
analisi generali, ma verificherò ovviamente che i moncherini
si
stiano rimarginando senza complicazioni e che l'occhio non si sia
infettato.»
Pepper annuì rigidamente, scorrendo i documenti con
aria assente.
«È possibile, direi anche molto probabile, che il
signor Stark cada in depressione post-traumatica; in tal caso
bisognerà ricorrere a un supporto psicologico. Inoltre
avrà
sicuramente bisogno di assistenza giorno e notte, almeno per il primo
periodo di convalescenza,» elencò velocemente,
continuando a
frugare nella valigetta nera.
«A quello provvederò io,» rispose
prontamente lei, e il medico interruppe il suo tramestio di
scartoffie per rivolgerle uno sguardo sorpreso.
«Signorina Potts,
è un incarico piuttosto duro, forse sarebbe meglio qualcuno
di più
qualificato dal punto di vista medico e...»
«Ho già provveduto
a informarmi adeguatamente riguardo al caso del signor
Stark,» lo
interruppe, «e sto anche cercando di acquisire qualche
conoscenza
medica di base per essere d'aiuto. Ma il signor Stark d'ora in poi
avrà solo bisogno delle sue medicine e di qualcuno che lo
supporti,»
incrociò lo sguardo di Mitchell, che continuava a fissarla
con
innegabile scetticismo. «Sono anche l’unica persona
su cui il
signor Stark possa contare, e soprattutto l'unica di cui si
fidi.»
Si sentì quasi presuntuosa nel pronunciare quelle parole, ma
era
consapevole della loro veridicità. Non le importava cosa
avrebbe
pensato di lei il dottor Mitchell.
«Capisco...» Ian guardò
mestamente Pepper e il suo volto stanco e tirato per le notti
insonni: era chiaro come Stark non fosse l'unico a soffrire per quel
grave incidente.
«E poi è meglio non coinvolgere altre persone
"esterne", lo sa anche lei,» aggiunse Pepper,
guardinga.
«Sì, purtroppo ne sono stato informato,»
rispose
lui, sbrigativo e apparentemente seccato da quel commento
«Può
contare sulla mia discrezione,» aggiunse subito dopo, notando
il suo
sguardo preoccupato. «Non ho alcun interesse a ledere la
privacy del
signor Stark, anche se lui non mi sembra esattamente l'immagine della
riservatezza...»
«Decisamente no,» sospirò Pepper,
«ma è
importante che non trapeli nulla né delle sue condizioni
né del
resto,»
ribadì, consapevole di mettere pressione al medico, ma senza
riuscire a frenarsi.
«Mi creda, non è la prima a farmi questo
discorso e devo dire che gli "altri" sono stati molto più
minacciosi e molto meno cordiali di lei,» Ian scosse
lievemente la
testa. «Lo sapevo che quel giorno avrei dovuto cedere il
turno di
notte a Stephen,» borbottò tra sé, a
metà tra il rassegnato e
l'incredulo, e chiuse con un gesto secco la valigetta.
«Le posso
assicurare che verrà adeguatamente ricompensato per tutto
ciò
che...»
«Signorina Potts, non ho intenzione di affrontare la
questione del mio compenso "extra" adesso,» la
fermò
subito lui. «Sono un medico e sto facendo il mio lavoro. Non
mi
interessano le circostanze particolari in cui mi trovo a svolgerlo.
Ne parleremo a tempo debito,» concluse con decisione.
Pepper
rimase leggermente spiazzata da quella risposta, ma anche
positivamente colpita dall'atteggiamento professionale di
Mitchell.
«La ringrazio.»
Lui si limitò a scrollare le
spalle, per poi riprendere a scorrere come se nulla fosse i dati
clinici del suo paziente.
«Dunque, le fornisco un breve
riepilogo,» esordì infine, chiudendo le scartoffie
e guardandola
con gravità. «È un bene che il signor
Stark sia rimasto più o
meno volontariamente in ospedale fino ad ora. Dovrebbe aver dato modo
ai moncherini di rimarginarsi quel tanto che basta per scongiurare
possibili infezioni al di fuori da un ambiente sterile,»
riportò
brevemente gli occhi a un foglio occupato da una tabella.
«Dalle
ultime analisi del sangue risulta qualche valore anomalo, ma di
questo dovrò discutere direttamente col signor Stark. Etica
professionale.» aggiunse a mo' di scusa.
Pepper si limitò ad
accigliarsi appena, senza però insistere. Mitchell stava
già
facendo uno strappo alla regola nel condividere con lei le
informazioni personali di Tony, e si sentiva già abbastanza
in colpa
per quello.
«In generale è una situazione molto più
rosea delle
aspettative, considerata la gravità e le circostanze
dell'incidente,»
concluse volutamente vago. «Quello che posso dirle e che
avrà credo
intuito, è che il signor Stark non potrà
più camminare, almeno per
un lungo periodo, ma spero che quando si sarà ripreso a
sufficienza
potrà ricorrere a qualche protesi all’avanguardia.
Si parla di un
periodo minimo di riposo di un anno.» Il modo in cui lo disse
faceva
intuire quanto dubitasse della capacità di Tony di "stare a
riposo" per tutto quel tempo.
Anche Pepper era molto scettica
al riguardo.
«Per il resto, purtroppo, non c'è molto che
possiamo fare,» concluse mestamente.
Pepper annuì appena,
tirata. Si costrinse a smettere di tormentarsi le mani e a mantenere
un atteggiamento composto.
«Capisco. Adesso dovremo informarlo,»
disse con titubanza.
«Avevo intenzione di farlo io, ma le volevo
chiedere se non preferisse farlo lei, dato che è la persona
più
simile a un familiare che il signor Stark abbia al momento. Se vuole
sarò comunque presente, nel caso avesse bisogno di un
supporto
medico,» Ian la guardò, cercando di confortarla in
qualche
modo.
«Lo farò io,» rispose lei, con fermezza
«E le sarei
grata se fosse presente anche lei.» Esitò,
abbassando fugacemente
lo sguardo prima di parlare di nuovo e odiandosi per la sua
indecisione:
«Non so come prenderà la notizia. Ciò
che mi
preoccupa veramente è che lui non sembra rendersi conto
della
gravità della cosa. Fa quasi finta che non sia successo
nulla.»
Ian
giunse le mani davanti a sé, come a raccogliere le parole
giuste.
«Il caso del signor Stark è estremamente
delicato,»
disse dopo qualche istante. «È comprensibile un
rigetto
dell’accaduto ed in particolare delle conseguenze. Mi ha
accennato
di avere un'amnesia riguardo a ciò che è accaduto
e ciò rafforza
l'ipotesi di un trauma, come le dicevo prima. Per ora ha solo bisogno
di tempo,» aggiunse, nel tentativo di rassicurarla
«Ma in seguito
le consiglio vivamente di fargli prendere in considerazione un
consulto psicologico.»
«Sarà difficile... li ha sempre
rifiutati categoricamente,» Pepper incrociò le
braccia.
«Sempre?»
«Anche
in seguito al... al suo rapimento, un anno fa.» Le era
difficile
ripensare a quei tre mesi di assenza proprio in quella situazione
così delicata.
Ian diede segno di essere al corrente della cosa –
d'altronde la scomparsa di Tony aveva coperto i notiziari per
settimane.
«Vedremo di persuaderlo al più presto,
allora,»
disse Ian. «Se non ne ha ancora dato segno, è
probabile che in
seguito a quest'ultimo shock emergano anche i sintomi dello stress
post-traumatico accumulato,» si bloccò nel notare
l'espressione
preoccupata di Pepper, che dal canto suo era scivolata in riflessioni
contorte e poco piacevoli.
L'armatura e ciò che comportava poteva
essere considerata un'esternazione di quello stress? Fu riscossa
dalla voce cordiale ma risoluta del medico:
«Non pensiamoci
adesso. Per ora dobbiamo solo esporgli i fatti.»
«Non so se li
accetterà mai.»
«Dovrà
farlo, se vuole continuare a vivere. E non mi sembra affatto il
genere di persona che si lascia abbattere facilmente, dopo tutto
quello che gli è successo,» concluse con fare
incoraggiante.
Pepper
sorrise tristemente, volendo però credere a quelle parole, e
restituì le cartelle a Mitchell.
«Signorina Potts?«
«Mi
dica.»
«Riterrei più prudente tenerlo all'oscuro degli
ultimi
eventi: un ulteriore accumulo di stress in un frangente così
delicato sarebbe insostenibile per lui.»
«Sono d'accordo,
cercherò di informarlo quando si sarà
ristabilito; dopotutto
abbiamo ancora un mese... spero che nel frattempo avrà
raggiunto una
situazione di stallo.»
Ian si limitò ad annuire, e Pepper capì
che anche lui era dubbioso al riguardo. Il medico esaminò
con cura
gli strumenti che aveva con sé in previsione della visita.
«Sarà
meglio andare; ci starà aspettando,» disse
chiudendo con uno scatto
la valigetta e seguendo Pepper verso la camera del suo paziente.
***
Pepper
si era appena chiusa la porta alle spalle che Tony si fiondò
come
poté verso la scrivania addossata alla parete.
Afferrò un foglio,
dissestando la risma ordinata in un angolo, e riuscì a
recuperare
una matita con la punta. Il braccio sano gli doleva per lo sforzo di
spingere la sedia a rotelle, ma iniziò a scrivere con
impeto,
maledicendo di non essere mancino. Zittì JARVIS che si
intromise
tentando di offrirgli aiuto con la progettazione e si trovò
a
scrivere sempre più freneticamente. Più in
fretta, prima che tutto
svanisse, prima di perdere di nuovo la speranza...
Stava ancora
scrivendo e disegnando quando Pepper e Ian rientrarono nella stanza,
spezzando lo stato di estrema concentrazione nella quale era
sprofondato. Si girò di colpo, stringendo nel pugno
trionfante un
mazzo di schizzi, bozze e appunti a stento decifrabili.
«Signor
Stark, non dovrebbe neanche muoversi dal letto nelle sue...»
cominciò Mitchell, avvicinandosi esterrefatto.
Tony non gli diede
neanche il tempo di finire che piantò le carte a un palmo
dagli
occhi stralunati del medico, bloccando la sua avanzata:
«È
possibile?!» proruppe, a metà tra un grido e una
domanda, con la
voce che rasentava il panico.
Mitchell tentennò, strizzò gli
occhi dietro gli occhiali squadrati e prese con cautela i fogli;
prese ad esaminarli con sguardo assorto, mettendo momentaneamente in
secondo piano l'inattesa esuberanza del suo paziente mentre Pepper si
fermava accanto a lui allibita. Distinse il disegno mal riuscito di
una sottospecie di macchina, o almeno credeva che assomigliasse ad
una macchina: era un medico, non un ingegnere. Richiamava vagamente
un albero spoglio, ma con le radici dalla parte sbagliata. Lo schizzo
era confuso con appunti di formule meccaniche e leve per lui
incomprensibili, bozzetti di altri componenti indecifrabili e,
più
in basso, quella che sembrava un'accurata selezione di elementi
chimici – quelli
li riconosceva, almeno – molti dei quali sbarrati, altri
collegati
con freccette, altri ancora cerchiati e con un punto interrogativo
accanto. Ancora sotto, una fitta serie di formule semicancellate si
protraeva fino al margine estremo del foglio, per poi continuare sui
successivi, sui quali campeggiavano ulteriori disegni di circuiti e
di quelli che sembravano reattori arc – li riconobbe solo
perché
ne vedeva uno vero in quel momento, infisso nel torace del suo
paziente, altrimenti li avrebbe presi per dei congegni alieni, visto
il modo maldestro in cui erano disegnati.
«Che cosa dovrebbe
essere?» chieste infine cautamente, sistemandosi meglio gli
occhiali.
«Una protesi!» replicò entusiasta Tony.
«Protesi?»
Mitchell capovolse il foglio, cercando di dare un senso a
quell'accozzaglia di forme, e in effetti distinse delle dita, quelle
che aveva scambiato per i rami di un albero; le "radici"
erano in realtà una miriade di fili e cavi.
«È la protesi di un
braccio,» riprese velocemente Tony, «attraversato
da nervi
artificiali, cioè dei cavetti di un materiale conduttivo, ma
non
troppo, altrimenti finirei fulminato, e... e insomma, svolgono la
funzione di terminazioni nervose ad impulsi elettrochimici collegate
al sistema nervoso. Ma non direttamente: non posso farmi fare una
lobotomia, ci vorrebbe un... un microchip alimentato con un
mini-reattore a sua volta collegato col reattore cardiaco... e qui
sorgono i problemi, perché il palladio... forse con un
catalizzatore!» ragionò interrompendo il suo fiume
di parole e
tormentandosi il pizzetto mentre rifletteva. «Insomma, so
come realizzarlo, ma non so se
funzionerà, ma... ma se
funzionasse potrei recuperare completamente l'utilizzo degli
arti!»
parlò senza quasi respirare, farfugliando mentre rincorreva
i suoi
pensieri già alla ricerca di un modo per realizzare la sua
idea.
Non
dovette fare una bella impressione ai suoi due ascoltatori,
perché
si scambiarono un'occhiata perplessa, credendolo probabilmente preda
di un delirium
tremens
dettato dall'astinenza dai sedativi.
Fece per riprendere a
parlare, ma il medico lo interruppe, frastornato:
«Signor Stark,
per l'amor del cielo, si esprima nella mia
lingua! Sono un medico, non un ingegnere!» Ian espresse ad
alta voce
il suo precedente pensiero, mentre cercava di seguire il ragionamento
del suo paziente.
Sembrò capire il riferimento al sistema
nervoso, ma era evidentemente dubbioso. Dopotutto, stava blaterando
riguardo a una tecnologia inesistente.
«Tony, per favore,»
intervenne Pepper stancamente, decidendosi a intervenire; sembrava
seriamente convinta che stesse delirando.
«No, dovete
ascoltarmi!» tuonò lui.
Ian e Pepper ammutolirono, cogliendo
l'estrema urgenza del suo tono, e aspettarono che continuasse.
«Lo
so che vi sembro impazzito, e magari lo sono,»
confessò, lottando
con la sua stessa lingua per formare quelle parole, «ma ho
passato
settimane a vegetare in ospedale pensando di non avere scampo. Adesso
invece sento di aver trovato una via d'uscita. Questa è
l'unica
possibilità che ho adesso, e devo almeno provare a metterla
in
pratica.» Si fermò, guardando direttamente negli
occhi Pepper «Non
posso trascorrere il resto della mia vita su una sedia a rotelle. Lei
sa che non posso,» disse, quasi implorante, sperando che lei
capisse
e ripensasse a quel giorno di sei mesi prima, quando le aveva chiesto
di sostenerlo nell'unica cosa giusta che sentiva di aver fatto in
vita sua.
«Lo so,» riuscì a dire lei, sostenendo
il suo
sguardo, e fu tutto ciò di cui aveva bisogno per sentirsi di
nuovo
saldo nelle sue convinzioni.
Ian era rimasto in un rispettoso
silenzio, cogliendo la gravità di quello scambio a lui solo
vagamente comprensibile.
«Allora, è possibile?»
sospirò ancora
Tony, accennando ai progetti.
Non aveva assolutamente preso in
considerazione l'evenienza che il suo progetto fosse irrealizzabile.
Aveva semplicemente buttato su carta ciò che gli era parsa
un'illuminazione folgorante, spuntata da chissà quale
recesso del
suo inconscio. Ma potevano sorgere mille complicazioni contro le
quali non avrebbe potuto fare nulla. Dopotutto, al contrario di Ian,
lui non era un medico. Era un genio, ma sapeva poco e nulla di
anatomia: lo stretto indispensabile per adattare l'armatura alle sue
esigenze e per medicarsi da solo.
"L'armatura..." gli
fece capolino nella mente il problema di come esattamente avrebbe
continuato la sua attività di "supereroe" – anche
se al
momento era ancora solo un consulente – ma lo
scacciò: una cosa
alla volta. Doveva prima diventare normale; poi avrebbe pensato a
diventare anche super. Forse poco tempo prima avrebbe affrontato i
problemi contemporaneamente, ma adesso non poteva permettersi di
sbagliare qualcosa facendo tutto troppo in fretta.
Mitchell guardò
ancora una volta ciò che ora per lui era un semplice
scarabocchio su
un foglio spiegazzato, e che per l'uomo che aveva di fronte poteva
diventare una ragione di vita.
Esitò prima di rispondere.
«Mi
presenti un progetto più dettagliato e vedrò di
giudicarlo dal
punto di vista medico.»
«Ma pensa
che
sia possibile?» chiese ancora Tony: voleva una risposta netta
al più
presto, perché illudersi nella situazione in cui si trovava
sarebbe
stato devastante.
Ian sospirò, ripiegò con cura il foglio
spiegzzato e lo infilò nella tasca della giacca, poi
incrociò le
braccia, come preparandosi a spiegare qualcosa di molto complesso a
un bambino lento di comprendonio.
«In linea teorica sarebbe
possibile,» esordì, facendo trattenere il respiro
a Tony, in attesa
del continuo «Per quanto riguarda la sua applicazione... devo
ammettere che non ne ho la più pallida idea. Protesi del
genere sono
state ideate da anni, ma mai realizzate, prima di tutto per l'enorme
costo umano ed economico che comporterebbero i vari test e i
materiali...»
«I costi non sono un problema. Io sarò la cavia,
ci sono abituato,» e diede una schicchera al reattore con
fare
indifferente. «E ho un impero finanziario che... Pepper, ho ancora
un impero finanziario, vero?» sobbalzò, girandosi
verso di
lei.
«Fortunatamente per tutti noi, sì. E andrebbe
anche a
gonfie vele...»
Ian le rivolse un'occhiata gelida, e gli occhi di
Pepper saettarono a loro volta nella sua direzione.
«... se il
suo proprietario ritornasse ad occuparsene,»
completò in
fretta.
Tony li osservò per qualche istante,
accigliato.
«Benissimo, c'è qualcosa che non devo sapere,
vero?
Ovviamente,»
si rispose, bloccando con un gesto Pepper che stava per ribattere.
«Non mi interessa, o almeno, non ancora. Mitchell, mi stava
dicendo
delle protesi attualmente esistenti.»
«Sì, giusto. Dicevo che
il problema sono innanzitutto i materiali: la fibra di carbonio o
vetro va bene per le protesi fisse. Sono l'ideale per arti amputati
sotto l'articolazione, ma nel suo caso...»
«Gomito e ginocchio
sono andati, lo so,» completo piattamente Tony, sentendo uno
strano
senso di distacco nel parlare del proprio corpo.
«Per quanto
riguarda le protesi per gli arti superiori, sono ancora del tutto
teoriche: finchè una protesi deve sostenere solo il peso
corporeo e
permettere a qualcuno muoversi non ci sono grossi problemi dal punto
di vista tecnico. Se si passa a parlare di mani, dita e
capacità
motorie proprie, il discorso cambia. Si tratta di congegni
estremamente rudimentali, che consentono di svolgere le basiche
funzioni ed azioni quotidiane. Per quanto riguarda una protesi
collegata ai nervi umani e rispondente con precisione agli impulsi
nervosi, non c'è ancora stato alcun progresso tangibile. La
protesi
è un prolungamento inanimato del corpo, non una sua parte
integrante.»
«Quindi per me quelle "normali" non
sarebbero applicabili.» concluse Tony, accigliandosi
pensieroso.
«Sfortunatamente sì. L'idea dei nervi artificiali
non è nuova, ma per ora non esiste un materiale adatto a
sostituirli. E anche se ci fosse, ciò implicherebbe ricreare
l'arto
in tutte le sue componenti: tendini, muscoli, legamenti, cartilagine
e quant'altro. È estremamente complesso.»
«Ho progettato
un'armatura con un'interfaccia che risponde ai miei movimenti,
perché
non dovrei riuscirci con una semplice gamba o un braccio?»
commentò
infine Tony, sovrappensiero.
Ian sospirò e si scambiò
un'occhiata con Pepper: aveva ragione sul fatto che Tony e la
discrezione si trovassero agli antipodi, considerando che gli aveva
appena confessato esplicitamente di essere lui il supereroe corazzato
di cui il mondo parlava da sei mesi. La donna gli fece un
impercettibile cenno di diniego col capo: non
adesso.
L'identità segreta di Tony era l'ultimo dei loro problemi.
Ian
prese a raccolta i suoi pensieri, cercando di elaborare una risposta
di senso compiuto dal poco che sapeva riguardo all'armatura: da
qualche tempo era comparsa a più riprese in zone di guerra,
ponendo
fine a svariati conflitti armati. Paradossalmente non c'erano video
che lo testimoniassero, se non quelli sgranati del recente scontro
alle Stark Industries, principale fonte d'informazioni al riguardo.
Si passò una mano tra i capelli grigi, mettendo insieme i
pochi
pezzi di cui disponeva.
«Premettendo che non capisco
assolutamente nulla di robotica...» sospirò,
«E che non so niente
di certo sulla sua armatura, se non che vola e spara raggi
laser...»
«Sono propulsori,» lo corresse in automatico
l'altro,
per poi rendersi finalmente conto di ciò di cui stavano
parlando.
«Merda, aspetti. Lei non dovrebbe sapere...»
s'interruppe e si
voltò verso Pepper, che si limitò a fissarlo
scura in volto.
«Ormai
è un po' tardi per pensarci, non crede?»
Tony emise un verso
indistinto, muovendosi a disagio sulla sedia a rotelle.
«Mh. Mi
sono lasciato trasportare. Doc, non lo dica troppo in giro,
ok?»
tentò di sdrammatizzare, agitandosi appena al pensiero che
la sua
identità segreta diventasse pubblica.
Lui scosse la testa e
decise di continuare come se nulla fosse accaduto.
«Dicevo... dal
poco che ho intuito, cioè molto poco, lei non invia segnali
neurali
all'armatura, ma essa si limita ad assecondare i suoi movimenti...
dico bene?»
«Più
o meno, sì, è un po' più complicato di
così,» concesse Tony, un
po' seccato dall'estrema semplificazione del medico.
«Ne sono
convinto; comunque, per qualcosa di esterno non sorgono problemi:
l'armatura riceve i suoi impulsi motori e si muove di conseguenza.
Come pensa di collegare, e soprattutto alimentare, un qualcosa di
inerte che fa parte del suo stesso corpo? Per inciso, l'ipotesi di un
rigetto non è da escludere: succede con gli organi,
è possibile che
sia lo stesso per gli arti.»
Tony soppesò la domanda, assorto e
cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. Comprendeva benissimo
la difficoltà del collegare i nervi artificiali a quelli
recisi –
sempre che esistesse un materiale in grado di riprodurli – e
di far
sì che rispondessero al suo volere.
«Per l'alimentazione, c'è
il reattore arc,» ragionò lentamente, portando
d'istinto la mano al
petto e picchiettando sul cilindro metallico.
Gli sembrava quasi
scontato affidare alla tecnologia che gli aveva salvato la vita il
compito di risollevarla. Lo sguardo di Ian esprimeva invece tutta la
sua scetticità riguardo a quello che considerava un
attentato alla
salute. E forse non aveva tutti i torti.
«Non dovrebbe essere
troppo complesso, dopotutto il prototipo di questo l'ho costruito con
un mucchio di rottami. Non ho mai pensato a potenziarlo o modificarlo
perché andava benissimo così. Non ci
vorrà molto a miniaturizzarlo
ulteriormente, ha visto i progetti,» concluse, additando la
tasca
dove il medico aveva riposto i fogli.
«Signor Stark, lei è
probabilmente in grado di progettare e realizzare senza problemi
qualunque cosa le venga in mente, ma non si dimentichi
dell'applicazione pratica. Sarebbe necessaria una drastica operazione
chirurgica anche a livello microscopico.»
«Lei è un
neurochirurgo ed è stato lei ad operarmi, quindi se le
fornissi un
prototipo completo, con tutte le informazioni e i dati
necessari...»
«Rimaniamo coi piedi per terra,» tagliò
corto
Mitchell, evidentemente colto alla sprovvista da quella richiesta
prematura.
«Lo farei, se potessi,» buttò
lì Tony con
leggerezza, muovendo appena il piede superstite.
Ian si schiarì
la gola a disagio, rendendosi conto della gaffe.
«Potrei
riuscire ad operarla in futuro, ma dipende esclusivamente da quel che
riuscirà a concludere coi suoi progetti
strampalati,» riparò
infine, con circospezione.
Tony non si sentì particolarmente
oppresso da quella responsabilità: almeno riguardava
unicamente se
stesso, non come quando produceva armi.
«Signorina Potts, lei che
ne pensa?» chiese, senza guardarla direttamente.
Lei esitò,
combattuta, ma Tony sorrise nel scorgere la sua espressione: ormai la
conosceva troppo bene e sapeva che l'avrebbe appoggiato.
«Dico
che è una follia, ma appunto per questo potrebbe
funzionare,»
disse, con un sorriso sottile, il primo spontaneo che le aveva visto
in volto da quando si era svegliato: si sentì rianimare solo
a
vedere quel piccolo gesto. «Basta che non mi costringa a
compiere
altre operazioni semi-chirurgiche poco ortodosse...» aggiunse
lei,
guardandolo storto con fare ironico.
Tony sogghignò al ricordo
dell'ultima sostituzione del reattore, mentre Ian alzava un
sopracciglio, perplesso, senza però indagare ulteriormente.
«Molto
bene, dopo quest'esauriente chiacchierata, che si è conclusa
all'opposto di come pensavo, dovrò sottoporla lo stesso a un
controllo,» disse poi, schiarendosi la voce e cacciandosi lo
stetoscopio nelle orecchie dando quindi inizio alla visita.
Pepper
posò gentilmente una mano sulla spalla di Tony, ma lui ci
badò a
malapena, troppo occupato a elaborare formule, ad annotare
mentalmente percentuali e proporzioni e a sviluppare quel progetto
per ora effimero che avrebbe potuto rimetterlo letteralmente in
piedi.
C'era
una via d'uscita: non doveva far altro che crearla.
Revisione effettuata il 12/02/2018
Note Delle Autrici:
Hurrà! Dopo tanto angst, non poteva mancare un capitolo di "risollevamento morale" per il povero Tony... e altri seguiranno :)
La parte più tragica è passata (anche se non sarà l'ultima) [Edit: non è neanche la più tragica, in effetti] e ora le cose si fanno -per quanto possibile- più leggere.
Dunque. abbiamo dovuto istruirci sulle basi fondamentali di: ingegneria biomedica, chimica, tra poco anche un po' di fisica e anatomia. Non siamo medici (magari!) e sono conoscenze superficiali, quindi se notate stronzate fate un fischio :'D
D'ora in poi i capitoli conterranno sempre parti un po' "tecniche", visto che implicheranno la realizzazzione delle protesi, e ci sbizzarriremo con le varie funzionalità di JARVIS.
Speriamo che le parti non risultino troppo pesanti; se sì, fatecelo notare.
Infine, ringraziamo tantissimo sofy96, alliearthur e Rogue92 che hanno aggiunto la storia tra le seguite ed hanno recensito gli scorsi capitoli.
Grazie :) <3
Alla prossima!
Moon&Light
© Marvel