Capitolo 10
“Il prezzo da pagare”
Per una volta, Mu Si voleva vederci
chiaro. Appoggiatosi con la schiena contro una parete della
sala, in posizione defilata, incrociò le braccia e
cominciò a valutare la situazione.
La scena che si profilava davanti a lui non era molto diversa da quella
a cui aveva assistito diverse sere prima, anche se questa volta era
notte fonda e non scorgeva alcuna traccia di Ryoga, sostituito dal
dottor Tofu. Per il resto, di nuovo famiglia Tendo e compagnia si erano
radunate intorno ai tavoli e, proprio come l’altra volta,
tutti gli sguardi erano rivolti verso la vecchia, che dal canto suo
stava appollaiata sopra un tavolino più distante.
L’unica differenza che risaltava ai suoi occhi era
l’abbigliamento di Ukyo Kuonji. Mu Si non aveva una grande
familiarità con la cuoca di okonomiyaki ma, nelle occasioni
in cui l’aveva incontrata, non aveva potuto fare a meno di
notare il suo vestiario, così poco consono a una ragazza
giapponese; adesso, stava invece portando l’uniforme
scolastica del Furinkan, quella femminile che aveva visto tante volte
addosso ad Akane Tendo. Era sicuro che questa stranezza si ricollegasse
alla richiesta della vecchia mummia.
Trova Genma Saotome. Oppure Akane.
Sì, mi hai udito bene, non fare domande. Potresti trovarla
al posto suo o assieme a lui. Se possibile, porta subito entrambi qui
al ristorante.
L’aveva soddisfatta, almeno per la parte riguardante Genma:
certamente la presenza degli
altri non
corrispondeva a una volontà di Cologne, ma lui aveva pensato
bene di procurarsi qualche ‘testimone’, specie dopo
i discorsi su auree e trasformazioni che
aveva udito mentre entrava nell’istituto trovandovi il gruppo
al gran completo. Non che avesse capito poi molto dell’intera
faccenda, ma ormai la sua mente aveva escluso l’ipotesi
dell’ennesimo piano architettato dall’amazzone: no,
la situazione appariva più complicata. A questo punto,
ciò che lo turbava era piuttosto la telefonata di quella
notte: non ne conosceva il contenuto, dato che Cologne era stata veloce
a sottrargli la cornetta di mano, ma la voce, quella sì,
l’aveva ascoltata e identificata fin dal primo istante.
E, da quel che ricordava, la voce della guida delle Sorgenti Maledette
non era mai stata premonitrice di buone notizie.
“Allora, Obaba, si può sapere perché ci
hai convocati qui con tanto tempismo?!” Quella frase
così sgraziata, con suo stupore, era uscita dalla bocca di
Nabiki Tendo. Passò ancora in rassegna le varie facce, dove
stava Ranma? Eppure era sicuro che almeno lui fosse con loro.
“Rispondetemi voi: chi ha usato l’acqua della fonte Akanenichuan?”
Il tono di Cologne era duro ma non sembrava indispettito
dall’irriverenza della ragazza. Mu Si interruppe la ricerca e
spostò lo sguardo sul lungo bastone, che scorreva lentamente
lungo i presenti.
In quell’istante udì un verso di sorpresa,
proveniente dal padre di Ranma. “Tu… tu come fai a
saperlo?!” Protestò con veemenza.
Lei incrociò lo sguardo con quello di lui, che Mu Si
notò essere privo delle sue lenti, e Genma Saotome
sbiancò nel giro di qualche secondo.
“Stolto! Credevi di poter fare una cosa del genere a mia
insaputa?” Gli disse. “Quando mi è
arrivata la terza fiasca, inizialmente ho pensato a un errore. Tuttavia
non ho voluto escludere alcuna possibilità, così
vi ho tenuti tutti d’occhio quando avete attinto alle acque
maledette… e non mi è sfuggito a quale fiasca tu abbia
attinto. Ripeto la domanda: cosa hai fatto di quell’acqua?
L’hai usata tu? L’hai data a qualcun altro?
È stata versata su uno di voi?”
Mu Si annui tra sé. La
vecchia ha detto ‘Akanenichuan’. Come pensavo,
questo spiega il contenuto della sua richiesta. Allora
quello che si sono detti i Tendo prima… e la divisa che
indossa Ukyo… significa davvero che…
Nessuno rispose subito, ma la vecchia spostò la direzione
del bastone, arrestandolo in direzione della cuoca. Ukyo Kuonji fece un
passo in avanti, con aria insicura.
“È… è così. Sono
stata io a usare l’acqua maledetta.” Disse con voce
flebile. “Ieri notte.”
“Così è già
accaduto.” Borbottò in risposta Cologne, che
osservò la ragazza con un’espressione cupa e poi
parve valutare tra sé le implicazioni di
quell’affermazione.
Un colpo di tosse forzato riscosse l’attenzione di tutti.
“Sentite, io… penso proprio di averne abbastanza
per stanotte. Vado a prendere un po’ d’aria qui
fuori.” Biascicò il Saotome adulto, che grondava
sudore ed effettivamente aveva l’aspetto di uno che non
riusciva a respirare. Non era il primo cui gli occhietti accusatori
della vecchia facessero quest’effetto, considerò
Mu Si.
“Solo un momento.” Lo riprese Nabiki, prima che si
avviasse. “Papà, vai con lui e tienilo
d’occhio. Ha creato abbastanza scompiglio, non
c’è bisogno di… perseverare.”
Soun Tendo sembrò voler obiettare qualcosa, poi ci
ripensò e uscì assieme all’amico,
dopodiché la vecchia si schiarì la voce ma venne
anticipata.
“In quanto a noi.” Ancora il tono pungente della
giovane Tendo. “Parli come se fossi completamente estranea a
questa faccenda, ma sapevi dell’acqua e non ne hai fatto
cenno. Ti conviene dosare le tue parole, e non mentirci
più.”
Mu Si deglutì. Da dove veniva la spavalderia di quella
ragazza? Sapeva che Nabiki Tendo non si lasciava intimorire facilmente,
ma tanto ardire non si addiceva nemmeno a lei, di solito
così controllata. E
ha appena dato un ordine a suo padre.
“A dire il vero”, rispose con calma la vecchia,
“gli unici ad aver tenuto nascosto qualcosa siete stati voi.
Io ho potuto soltanto osservare e trarre delle conclusioni. E fino a
stanotte, non mi ero resa conto della loro importanza.”
“Fino a stanotte. Che coincidenza bizzarra! E si potrebbe
allora sapere com’è che un istante fa sei andata a
colpo sicuro su Ukyo? Come avresti potuto sospettare proprio di lei,
senza avere tu stessa un ruolo in tutto ciò?”
“Questo”, disse, “è stato
più facile di quanto tu creda, ragazza mia. Si dà
il caso che stasera il suo ninja personale sia venuto a frugare nel
ristorante, molto interessato alle fiasche conservate nello sgabuzzino.
Sì, so tutto di Konatsu: la sua abilità
è notevole ma non poteva prevalere sui miei decenni di
esperienza. E so anche che questo povero kunoichi maschio non
è il tipo da prendere l’iniziativa, era
chiaramente stato mandato da qualcuno… e perciò
l’ho lasciato fare.”
Nabiki non fiatò, ma l’espressione sorpresa che il
suo sguardo si lasciò sfuggire fu piuttosto eloquente. La
vecchia sogghignò. “Così
l’avevi mandato tu? Non che m’interessi.”
“Nemmeno a noi.” Nabiki provava chiaramente a
riguadagnare la posizione di vantaggio. “È tardi e
abbiamo tutti sonno, sarai così cortese da non girare
intorno al punto?”
Ukyo, finora così dimessa, s’inserì nel
discorso. “So io cosa Obaba sta cercando di dirci. Quando mi
sono versata quell’acqua, non ho soltanto assunto le sue
sembianze. Akane è... dentro
di me. Le ho potuto parlare, la sento ancora nella mia
testa.” Sussultò, come realizzando di aver detto
la cosa sbagliata al momento sbagliato. “Non sono pazza!
Dovete credermi!”
“Tu fai silenzio.” La fulminò la giovane
Tendo. “Come ti ho detto prima, non abbiamo intenzione di
ascoltare un’altra delle tue patetiche…”
“Ma certo, avrebbe senso!” Esclamò Tofu.
Volgendo lo sguardo, Mu Si lo vide inginocchiato, intento a medicare un
Ranma seduto sul pavimento, entrambi parzialmente nascosti dalle sagome
in piedi di Kasumi e della signora Saotome. Capì
all’istante come mai non avesse individuato subito il proprio
rivale: non avvertiva alcuna traccia dello spirito combattivo che era
solito ricollegare alla sua presenza.
Il dottore ignorò l’irritazione della ragazza che
aveva interrotto e continuò: “Spiegherebbe il
disturbo del ki che sto
percependo in Ukyo. Non è ‘come
se’… ci sono sul
serio due
auree, sovrapposte tra loro. Venerabile Cologne, ci può
confermare che la seconda aura è quella di Akane?”
“Dottore, non ci si metta pure lei! La verità
è che…”
“Nabiki, ora basta. Lascia che parlino anche gli
altri.” La sorella maggiore aveva lasciato la sua posizione e
l’aveva raggiunta alle spalle, per stringerla tra le sue
braccia in un moto protettivo, forse, ma che, se non fosse provenuto da
Kasumi Tendo, avrebbe osato definire… minaccioso.
Nabiki tacque e la vecchia sorrise ancora, con aria soddisfatta.
“Sì, confermo. Posso affermare senza ombra di
dubbio che l’aura aggiunta che avete percepito appartiene ad
Akane. E ciò è avvenuto per via
dell’acqua della sorgente di Zhou
Chuan Xiang.”
Tofu comprendeva sempre di più. Durante i minuti trascorsi a
curare le ferite di Ranma, aveva avuto modo, poco a poco, di
rassicurarsi sulle condizioni del ragazzo e prestare maggiore
attenzione alle parole dell’anziana amazzone. Ho
annullato l’effetto del nervo che gli avevo stimolato,
così potrà muovere di nuovo il braccio. Il resto
non è così grave. L’aura è
ancora alterata, ma è dovuto più alla stanchezza
e allo stress di questi giorni che ad altro. Sebbene Ranma abbia
sicuramente avuto un esaurimento nervoso, per fortuna non è
ciò che temevo.
Adesso la sua attenzione era concentrata sulle strane condizioni di
Ukyo. Udendo Cologne parlare di Jusenkyo, sentì
l’esigenza di chiedere ulteriori chiarimenti.
“Si tratta dunque di un altro potere legato alle fonti
maledette?” Domandò. “Pensavo che la
loro unica proprietà fosse quella di riprodurre
l’aspetto della prima persona che vi ci
s’immerge.”
Cologne scosse piano il capo.
“Di norma è così, ma non sempre. Ad
esempio, le fonti Nannichuan e Niannichuan non
funzionano in questo modo… oppure adesso il consorte e gli
altri, invece di essere guariti dalle maledizioni, sarebbero diventati
delle ‘fotocopie’ del ragazzo cinese che diversi
secoli fa annegò nella sorgente magica. Pertanto, no, le
fonti non operano tutte nella stessa maniera.”
“È vero.” La nuova voce fece sussultare
sia Tofu che gli altri. “E poi io e Herb siamo caduti nella
stessa sorgente, ma le nostre trasformazioni erano molto
diverse.” Tutti si voltarono verso di lui, o meglio verso il
ragazzo al suo fianco, che si era rialzato di scatto; del resto, quelle
erano le prime parole pronunciate da Ranma da quando erano entrati.
Tofu lo scrutò attentamente, di profilo: poteva scorgere una
fiamma, che prima non c’era, luccicare nei suoi occhi. Una
luce che lui conosceva bene. Anche la sua aura si era fatta molto
più stabile.
Un barlume di speranza. Pensò. È
tutto quello che gli serviva. Chiaro, ora il suo spirito può
di nuovo focalizzarsi su un obiettivo, e in un certo senso
ciò gli è d’aiuto.
“Precisamente.” Annuì Cologne.
“Non avete assunto l’aspetto della ragazza cinese
vissuta millecinquecento anni or sono, invece i vostri corpi hanno
acquisito una forma distinta: non una a caso, ma la versione femminile
di voi stessi. Tecnicamente parlando, la sorgente ha adeguato il
proprio potere ai vostri spiriti vitali, modellando la trasformazione
in conseguenza di questo legame.”
“Perciò”, continuò Tofu,
“nemmeno l’Akanenichuan apparterrebbe
alla categoria classica?”
L’amazzone socchiuse gli occhi e mugugnò, prima di
rispondere.
“Lo avevo sospettato e così, giorni fa, ho
telefonato alla guida di Jusenkyo, che mi ha raccontato della
particolare origine della fonte.”
Mousse dovette aver intuito la sua confusione, poiché
abbandonò la propria postazione e gli venne incontro.
“Penso di dovervi spiegare. La sorgente fu creata dai nostri
nemici”, disse, “scavando una nuova pozza nel luogo
maledetto. Akane Tendo vi fu fatta immergere e, in seguito, una donna
della stirpe del monte Hooh, di nome Kima, si bagnò nella
fonte per assumere le sue sembianze e ingannarci…
Tuttavia”, continuò leggermente a disagio,
“non mi sembrava che in lei fosse avvenuto qualcosa di simile
a ciò di cui stava parlando Ukyo.”
“Proprio questo mi ha fatto pensare”,
annuì Cologne, “che l’acqua usata per
l’Akanenichuan fosse
del primo tipo, tale da limitarsi a copiare l’aspetto. Anche
questo tipo di acqua interagisce con lo spirito del
‘posseduto’, ma il legame è
più debole e quindi insufficiente ad adattarsi del tutto al
corpo: del resto, se così non fosse, si comporterebbe come
una Niannichuan trasformando
in donne tutti coloro che vi si bagnassero.”
“Perciò Ukyo sta di nuovo mentendo.”
Concluse Nabiki.
“Sarebbe potuto essere. Ed è anche questo il
motivo per cui non ho fatto parola di questa fonte, anzi ho subito
accantonato ogni pensiero al riguardo. E invece avevo sottovalutato la
situazione. L’ho compreso solo stasera, quando in seguito
alla visita di Konatsu ho ripreso a indagare, fino a intuire la
verità.” Cologne si schiarì la voce.
“Ciò che è successo non dipende dalla Akanenichuan,
bensì dall’acqua miracolosa di Jusendo. Meglio
ancora… dalla combinazione di entrambi i
fenomeni.”
“Parla chiaro, vecchia!” Sbraitò Ranma
in uno scatto improvviso, scagliandosi contro di lei e sollevandola per
la veste. Tofu si morse il labbro per non aver previsto quella reazione
e non averlo trattenuto. “Stai dicendo che Akane è
davvero ancora viva? Che possiamo salvarla anche
se…” Avvertì nitidamente la rabbia
placarsi e far posto a quello stesso disturbo dell’aura che
lo aveva preoccupato tanto. Sono
uno stupido, considerò Tofu, scuotendo la testa. Adesso
capisco di cosa si trattava. Ranma esitò, poi
riprese: “Anche se… se io… non
ho…”
Cologne, con somma sorpresa degli altri, non si era sottratta al gesto
del ragazzo. Guardò il giovane Saotome fisso negli occhi, ma
con una profondità diversa da quella che aveva rivolto a
tutti loro poco prima.
“Consorte”, disse infine, “la
verità è che tu ‘hai’. Tu hai
fatto in tempo, quel giorno. Bagnasti il corpo di Akane con
l’acqua miracolosa, e l’acqua funzionò:
prova ne è che il corpo è rimasto integro fino ad
ora.”
Ranma rimase paralizzato, mollando la presa.
“Sì, consorte. Tu eri riuscito a
salvarla.” Ripeté Cologne.
Genma inspirò a pieni polmoni. Il freddo pungente
dell’esterno per lui era un refrigerio, adesso più
che mai. Udendo un secondo respiro, accelerato, forse nervoso, si
ricordò di non essere solo e si volse verso il proprio
accompagnatore.
“Tendo. Sei tu, vero?” Tra la penombra e la miopia,
quasi non avrebbe potuto giurarlo.
Non ricevette risposta, né la cosa lo disturbò.
Avrebbe dovuto parlare molto,
nei prossimi giorni: per adesso era riuscito a scampare a quella
vecchia spugna essiccata, ma restavano i Tendo e, soprattutto, dubitava
che Nodoka avesse trovato onorevole il
proprio comportamento e sapeva bene che, a sua moglie, non era
possibile sfuggire in eterno. In quanto a Ranma… almeno in
questo caso, era certo che non avessero niente da dirsi.
Non si sentiva pentito di quanto aveva architettato. Pazienza se era
venuto tutto allo scoperto, pazienza se le cose non erano andate come
se le era immaginate. Pazienza se aveva perso anche l’ultima
briciola di rispetto che il figlio sentiva di dovergli portare, Genma
riteneva di aver fatto di tutto e di più come genitore e di
non aver altro da dare in quel ruolo.
Il fine giustifica i mezzi: aveva condotto la sua vita intera seguendo
alla lettera questo motto, e non vedeva perché sarebbe
dovuto cambiare di punto in bianco proprio ora che era avanti con gli
anni. I fatti, poi, gli avevano dato ragione anche questa volta: il
ragazzo si era finalmente scosso dal suo torpore, stava solo a lui non
ricadere nel suo stucchevole stato di depressione.
Ma nessuno avrebbe compreso le proprie ragioni. Lo sapeva, era abituato
anche a questo, gli stava bene così. Genma sospettava che
non fosse ancora finita, lo strano sfogo di Ukyo e la convocazione di
Obaba lasciavano presagire qualcos’altro. Ma qualunque cosa
stesse succedendo non lo riguardava più; a nessuno,
tantomeno Nodoka, importava realmente di lui, e sapeva che era ora di
tornare nell’ombra. Dopo gli inevitabili
‘confronti’ dei primi giorni, tutti si sarebbero
gradualmente dimenticati del vecchio panda, come sempre.
Strinse le palpebre, cercando di mettere a fuoco la figura che
continuava a stagliarsi davanti a lui in assoluto silenzio. Cosa
ci fa ancora qui?
“Fossi in te tornerei lì dentro.” Disse.
“La vecchia sembrava sul punto di dire qualcosa di
importante.”
Soun sbuffò, avvicinandoglisi come per tenerlo sotto
controllo. “Le mie figlie mi informeranno, di qualunque cosa
si tratti… qualunque disastro tu abbia combinato con la tua
idea sconsiderata.” La sua voce, così misurata,
avrebbe perfino potuto ingannare uno che non lo conoscesse a fondo come
lui. E che non fosse in grado di avvertire la sua aura crescere
d’intensità. “C’è
una cosa più importante, che non è possibile
rimandare.”
Genma sollevò un sopracciglio. “E sarebbe? Mi
spiace avvisarti che non sono in vena di una chiacchierata.”
“Puoi stare tranquillo, Saotome.” Fu la replica
dell’amico di sempre, mentre assumeva la posa
d’attacco. “Adesso tu e io combatteremo.”
Ukyo sentì di nuovo le lacrime salirle agli occhi.
No, non era da lei, ma come avrebbe potuto reagire diversamente a
quella improvvisa sensazione di sollievo, a quel peso che le era stato
tolto dalla coscienza? Akane
è viva, pensò. La vecchia del
Nekohanten stava confermando ogni cosa, dunque quanto accaduto poco fa
non era un parto della sua immaginazione. Quel dialogo era reale. Akane
è viva, pensò, e tutto
si sistemerà.
“Credimi, ti capisco”, le aveva detto Akane nel
‘sogno’, “anch’io sono confusa
quanto te. Quando stanotte ho nuovamente sentito una voce… la tua voce
nella mia testa, credevo davvero di essere impazzita e ti ho urlato di
lasciarmi in pace. Poi il signor Saotome mi ha… ci ha
assalite e fatte addormentare, ed è stato in quel momento:
per la prima volta ho avvertito nitidamente la tua presenza.
È stato tutto così improvviso e violento, non
capivo e ho istintivamente cercato di ricordare, così senza
volerlo ho messo in moto i tuoi ricordi.”
“Va bene… almeno credo”, le aveva
risposto Ukyo, “ma l’ultimo ricordo che ho visto
non può essere mio, io non sono mai stata a Jusenkyo. Oppure
è…”
“Un ricordo che appartiene a me. Non volevi calmarti e
ascoltarmi, così ho cercato di darti una prova…
che è tutto vero, che non sono un tuo senso di
colpa.”
In quel preciso istante Ukyo si era svegliata, trovando di fronte a
sé lo sguardo rassicurante del dottor Tofu e quello
accusatore di Nabiki. Ma la voce di Akane non era cessata. E ancora
adesso la udiva nitidamente.
Sentendosi osservata da alcuni dei presenti, arrossì e si
scosse dai propri pensieri. Vide Obaba scostare Ranma da sé
con delicatezza, prima di riprendere a parlare. “La ragazza
vi ha detto la verità. Quando ha usato su di sé
l’acqua maledetta, non poteva sapere che Jusendo aveva
interferito con i suoi effetti.”
Tofu accennò: “Quindi, quella che Ranma ha visto,
che tutti noi abbiamo visto… non era semplicemente Ukyo con
le sembianze di Akane…”
“Vedete”, disse Obaba, “quando veniste al
Nekohanten la prima volta e mi raccontaste di come la fonte di Jusendo
avesse reidratato Akane, qualcosa non mi tornava. Vi avevo parlato
dell’immenso potere di quell’acqua, tale perfino da
preservare un corpo umano dagli effetti della morte. Proprio per questo
ero incredula che la ragazza non si fosse salvata, nonostante il
consorte avesse usato l’acqua in tempo. Infatti, quando Akane
ha chiuso gli occhi, la tamashii,
ovvero la parte senziente della sua anima, si è separata dal
corpo: ma ciò non comportava che non potesse farvi
ritorno.”
L’amazzone inclinò il capo. “Anzi,
appena il consorte ha curato il corpo con l’acqua di Jusendo,
il ricongiungimento sarebbe dovuto essere immediato. Pertanto, se
così non è stato, significa semplicemente che qualcosa l’ha
impedito.”
“La tamashii di
Akane aveva già trovato un’altra
dimora.” Concluse il dottore, annuendo.
“Già. La sorgente Akanenichuan.
Anche se la fonte è del tipo semplice, che copia solo
l’aspetto, il legame instaurato con lo spirito di lei che per
prima vi era stata immersa è bastato ad attirarlo a
sé nel momento stesso della separazione… e
imprigionarlo al suo interno. Pertanto, sì, potremmo dire
che sotto le sembianze di Akane c’era il corpo di Ukyo. Ma,
nel corpo di Ukyo, c’era la vera Akane.”
I presenti si alzarono dalle sedie, mentre quelli già in
piedi cercarono di dire qualcosa. Obaba li seppe zittire con una
semplice occhiata, tutti tranne uno.
“Perciò”, disse Ran-chan, con voce
incredibilmente calma, “esiste un modo
per far tornare Akane. Per esempio, se noi ora bagnassimo Ukyo con
l’acqua fredda…”
La cuoca di okonomiyaki si morse istintivamente le labbra, avvertendo
una stretta al cuore. Mi
ha chiamato Ukyo, non Ucchan, non riuscì a
impedirsi di pensare. È
arrabbiato con me per quello che gli ho fatto? Già, come
potrebbe non esserlo?!
Ma non era tipo da piangersi addosso, decisamente: si sarebbe fatta
perdonare, avrebbe guadagnato la propria redenzione agli occhi di
Ranma. A qualunque costo.
Obaba non aveva risposto subito. Il suo sguardo si era rabbuiato.
“Non è così semplice. Io…
devo dirvi ancora una cosa. L’effetto della fonte di Jusendo
sta per esaurirsi: precisamente ciò avverrà fra
poche ore, quando sorgerà l’alba. Passato quel
momento, non sarà più possibile fare
alcunché.”
“Allora sbrighiamoci!” Ranma batté un
pugno sul tavolo, con molta meno calma di prima. “Dopo tutto
quello che ci hai detto, non
può non
esserci una maniera per salvarla. Sputa il rospo,
vecchiaccia!”
L’amazzone sospirò.
“Un modo esiste. E, come ho detto, abbiamo tempo solo fino
all’alba per attuarlo. Ma il prezzo da pagare…
potrebbe essere troppo alto.”
Un prezzo da pagare. Ukyo si lasciò sfuggire un sorriso
amaro. Nulla poteva essere troppo alto, a suo modo di vedere, dopo
ciò che aveva passato.
“Parla!” disse, decisa. “Siamo pronti a
qualunque cosa.”
Obaba si voltò verso di lei, con uno sguardo indecifrabile.
“Solo tu”, mormorò. “Dipende
da te. Pensi veramente di essere disposta a tutto?”
In una frazione di secondo, Ukyo passò in rassegna i
sacrifici di un’intera esistenza. L’abbandono della
propria femminilità, la rinuncia a una vita normale. I duri
allenamenti, gli innumerevoli momenti di sconforto. Le promesse non
mantenute, le vendette accantonate. L’orgoglio calpestato.
“Non lo penso. Lo sono.” Rispose, sentendosi
più sincera di quanto mai fosse stata.
La vecchia annuì.
“Ebbene, affinché Akane possa tornare in
vita… tu, Ukyo Kuonji, dovrai morire.”