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Autore: Ginger_J    05/04/2012    2 recensioni
Rebecca e Marco, da sempre un mare di perplessità. In un paese corrotto che fa da cornice, tra incomprensioni, viaggi, amicizie, faide e forse troppo amore, ce la faranno a restare su questa barca che sembra navigare contro corrente?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1. Ottobre 2008


Nel 2004 avevo tutto quello che una ragazza potesse desiderare: avevo degli amici fantastici, un ragazzo che mi amava ed una famiglia altrettanto amorevole, pensavo che nulla sarebbe cambiato, che la mia vita perfetta sarebbe rimasta intatta.
"
Ho sofferto tanto, un po' di felicità me la merito" continuavo a ripetermi, anche quando vi era un intoppo a quell'immacolata vita piena di gioie. Me lo ripetevo spesso quando andavo a trovare mio padre, o nei mesi in cui non potevo vedere il mio fidanzato.
Le cose belle, però, si sa che prima o poi finiscono, così dodici mesi dopo era successo l'impensabile. Ero stata lasciata, l'unica persona che pensavo non mi potesse mai abbandonare l'aveva fatto, senza spiegazioni. Senza un messaggio. Niente. Marco se n'era semplicemente andato e con lui me n'ero lentamente andata io. Per un lunghissimo anno sprofondai più giù dell'abisso. Io che ero logorroica dalla nascita caddi in un mutismo sconvolgente, mi chiusi in me stessa e nel mio dolore. Non uscivo più con i miei amici. Non uscivo più con la mia famiglia. Passavo le giornate chiusa in camera ad ascoltare musica deprimente e piangere, ero diventata lo stereotipo della donna in post-rottura, ma in genere queste si riprendono dopo un paio di mesi, a me ce ne vollero tredici. Alla fine un giorno di Marzo mi alzai dal letto con la consapevolezza di dover reagire, chiamai il mio migliore amico ed andai a fare shopping, poi mi tagliai tutti i capelli e li tinsi di rosso, un rosso acceso come la rabbia che sentivo in corpo. I due anni successivi mi servirono per stabilizzarmi. Iniziai a lavorare, ripresi ad uscire, passivamente, con gli uomini e tornai ad essere quella che ero un tempo. Ero perfino andata a vivere da sola, forse ero stata così dipendente dal dolore che quello che desideravo era solo essere totalmente indipendente. Passarono così quattro anni, ma al contrario di quella volta, nel 2008 sentivo che sarebbe successo qualcosa. Percepivo nell'aria il profumo del cambiamento, non riuscivo a capire se era una fragranza che mi piaceva oppure che mi avrebbe dato il volta stomaco, ma quando c'è un cambiamento la maggior parte delle volte non si può decidere se abbracciarlo o meno, lo si prende così come viene, pregando in qualcosa di migliore. Purtroppo però, per quel che mi riguarda, ancora sto cercando di capire se, quella volta, cambiare fu un bene...


L'Iphone vibrò sul comodino facendo quel rumore sordo che tanto detestavo, dopo qualche secondo partì "Rock off" degli Stones e quello fu l'irrimediabile segno che dovevo rispondere.
«Pronto?» avevo la la voce ancora impastata dal sonno.
«Stai dormendo» disse una voce che conoscevo molto bene all'altro capo del telefono, non era una domanda, ma una semplice constatazione accompagnata da uno sbuffo.
«Stavo dormendo» specificai sbuffando a mia volta e rigirandomi in posizione supina.
«Sai che giorno è?»
«Un freddo giovedì mattina di fine Ottobre»
«Rebecca tra circa due ore si laurea una delle nostre migliori amiche, ti consiglio di muovere il culo» mi suggerì il ragazzo, sempre con un tono di voce molto pacato.
«Cazzo!» gridai, invece, io. «E'
quel giovedì, vero?» chiesi conferma, sperando che mi stessi sbagliando.
«Sì. Sbrigati, ti passo a prendere tra quarantacinque minuti.»
«Ok, ce la posso fare» mormorai in preda al panico.
«Muoviti!» mi incitò lui con uno sbuffo. «Non capisco perché non ti decidi a comprare una sveglia» chiese, più a se stesso.
«Perché dopo una settimana la tiro contro il muro» risposi schioccando la lingua, «che dovevo mettermi?!» gli domandai alzandomi di scatto dal letto ed in preda al panico.
«Il vestito viola, con quell'orribile giacca nera» rispose lui con un altro sospiro. «Li avevi messi nella parte destra dell'armadio» aggiunse prevedendo già la mia futura domanda.
«Ok, ce la posso fare» mi dissi nuovamente cercando di auto-convincermi. «Fammi un favore, portami la colazione» lo implorai toccandomi di riflesso lo stomaco.
«Rebecca devi muoverti!» sbuffò il ragazzo, il suo tono pacato si stava trasformando in un tono palesemente irritato.
«Certo, certo» risposi sbrigativa mentre entravo in bagno,«ricordati il caffè e il cornetto al pistacchio.»
«Altro?»
«Ti voglio bene David!» gli dissi, poi mi specchiai e constatai che dovevo lavarmi anche i capelli, segno che non ce l'avrei mai fatta ad essere pronta in tempo.
«Si certo. Ci vediamo tra quaranta minuti.»
«Ma non erano quarantacinque?»
«Ne hai persi cinque al telefono, ciao» e David interruppe la chiamata.
Davide, o David, era il mio migliore amico. Ci eravamo conosciuti in quinta elementare, poi ci eravamo persi di vista e ritrovati al liceo; passammo un anno ad ignorarci, e poi tramite amici in comune iniziammo ad uscire in gruppo, da quel momento non ci dividemmo più. Sarebbe stato il ragazzo perfetto: avevamo gli stessi interessi, erano poche le cose che non condividevamo e questo ci portava a vivere in simbiosi, eravamo così attaccati che la mia cara nonna, molte volte, mi aveva fatto intendere che sapeva di una nostra fantomatica e nascosta storia d'amore, ma purtroppo per la povera vecchietta David era totalmente gay e molte volte ringraziai il cielo per il suo orientamento sessuale che in molte situazioni si era rivelato un vero toccasana. I suoi consigli, soprattutto in fatto di uomini, erano i più azzeccati perché vedeva con un occhio maschile e con uno femminile.
Sbuffai uscendo da quella doccia che era durata troppo poco, mi frizionai i capelli con l'asciugamano, e purtroppo non c'era tempo per la piastra, così presi le gocce liscianti e me ne misi una dose molto abbondante sulla chioma rossa, poi mi misi a testa in giù ed iniziai ad asciugarli con il phon.
Ero stanca morta, l'ultimo giorno di lavoro mi aveva ammazzata e mai come quella volta ringraziai la fine di un lavoro, tra tutte le produzioni che mi avrebbero potuto chiamare era stata proprio la peggiore a farlo; mi era ritrovata a curare l'edizione di un gruppo di misogini e superbi, diverse volte avevo pensato di licenziarmi, ma alla fine avevo continuato per non dargliela vinta, per una questione d'orgoglio; quell'orgoglio enorme che molte volte mi aveva salvato, ma che avevo anche perso e dovuto recuperare con il tempo.
L'Iphone squillò di nuovo e sul display apparve la foto di Carlotta, buttai indietro i capelli e spensi il phon poggiandolo sul ripiano.
«Sei sveglia!» constatò felice Carlotta.
«Mi ha svegliato David» risposi cercando i collant che erano magicamente spariti dal cassetto in cui ero convinta di trovarli.
«Ah. Effettivamente sarebbe stato un miracolo...» ridacchiò Carlotta. «Comunque tra cinque minuti sono a casa tua.»
«Perché?» le domandai mettendo il viva-voce ed iniziando a vestirmi.
«Non ti ricordi? Dovevi truccarmi!» trillò la ragazza, «ci vediamo tra pochi minuti» E anche lei interruppe la telefonata; respirai sommessamente e corsi a vestirmi, tra due minuti sarebbe salita Carlotta, tra quindici David e io dovevo ancora truccarmi e finire di aggiustarmi i capelli, quella giornata sarebbe stata faticosa, me lo sentivo.
Andai in bagno e iniziai a litigare con i capelli che non trovavano pace, nel momento esatto che avevano deciso di collaborare facendosi raccogliere in uno chignon morbido il trillo del citofono mi fece sobbalzare, sbuffai affranta e mi diressi verso la porta, senza chiedere chi fosse aprii il portone di sotto e la porta di casa; dopo qualche minuto le porte dell'ascensore si aprirono e Carlotta entrò dentro casa. «Ancora così?» mi chiese poggiando la borsa sulla poltrona.
«Eh per cortesia... non ti ci mettere pure tu» risposi in acidità mentre tornavo in bagno, «intanto mettiti il fondotinta» le ordinai, così mentre lei armeggiava con i trucchi io ebbi il tempo per sistemarmi per lo meno i capelli; feci sedere Carlotta ed iniziai a truccarla in modo molto leggero, aveva la pelle molto chiara quindi non potevo osare molto con i colori, anche perché ero negata a dosare gli ombretti scuri. Quando ebbi finito feci giusto in tempo a mettermi il fondotinta ed un filo d'ombretto prima che un messaggio mi avvertì che David ci stava aspettando sotto casa.
«Mettimi il mascara, la terra e la matita nera nella pochette che sta nel terzo cassetto, per favore» chiesi a Carlotta mente, nel panico, correvo in camera a spostare il contenuto della borsa rossa in quella nera. Presi i tacchi in mano per evitare di cadere e rompermi qualcosa, mi infilai velocemente la giacca, chiusi bene la porta e mi diressi velocemente in ascensore, quando le porte si aprirono mi misi finalmente le scarpe ed uscimmo dal portone; ma quando mettemmo piede nella macchina di David lui mi guardò in cagnesco, se avesse avuto qualche potere mi avrebbe sicuramente incenerito per bene.
«Cinque minuti di ritardo, ce ne vorranno altri dieci per cercare parcheggio. Questa volta Elisa ti ammazza» constatò lui, poi mi diede la bustina bianca che conteneva la mia tanto agognata colazione e partì a tutta velocità con la sua Mercedes nuova di zecca. «Buongiorno tesoro» disse poi guardando Carlotta dallo specchietto retrovisore.
Sbuffai poggiando il bicchiere del caffè nel portavivande, misi il cornetto sul cruscotto e cercai di finirmi di truccare chiedendomi, però, come mi venne in mente l'idea di armeggiare con il mascara mentre David sfrecciava per le vie di Roma incurante del traffico e del fatto che la grandezza della sua macchina non era proprio adatta a certi sorpassi.
«Il fatto che non mi sia finito il pennellino del mascara nell'occhio la dice lunga sulle mie abilità di trucco» dissi fiera mentre chiudevo lo specchietto.
«Al tuo prossimo compleanno ti regaleremo un set di quindici sveglie» scherzò Carlotta.
«Dovrete aspettare quasi un anno... però per il tuo ti regalerò, sicuramente, un corso di trucco» schioccai la lingua e poi mi apprestai finalmente a fare colazione.
«Ti avverto: una sola macchia di caffè e ti taglio i capelli nel sonno» mi minacciò David osservandomi con la coda dell'occhio.
«Non ho dieci anni» sbuffai sentendomi colpita nell'orgoglio e addentai tristemente un pezzo di cornetto.
«Ti ho solo avvisato amore» sorrise il ragazzo prima di iniziare ad urlare contro una macchina che, a suo avviso, era meglio se andasse allo sfascio assieme al suo guidatore.
«Ma tra i suoi mille optional questa macchina non ha uno stereo?» chiesi iniziando a spingere tasti a caso.
«Togli le tue manacce da lì!» urlò David. «Faccio io, tu non toccare nulla»
«Porca puttana David, non sono mica una deficiente!»
«No, ma quando dormi poco combini più danni del solito»
«Vaffanculo!» urlai, poi mi accoccolai meglio sul sedile ed inizia ad armeggiare con l'Iphone fino a quando non trovai e feci partire una canzone di Bob Dylan.
«E questo che sarebbe?» mi chiese con una smorfia disgustata sul viso.
«Musica» sorrisi tornando poi ad annuire con la testa a tempo di musica.
«Togli questa roba!» urlò David con disappunto; sentii Carlotta sbuffare dietro di me, sicuramente non era pronta a subirsi cinque minuti di grida su cosa fosse musica e su cosa no, infatti la vidi iniziare a giocare con una ciocca di capelli pronta ad essere spettatrice di quella guerra che andava avanti da anni, perché per quanto io e David potevamo essere uguali, la musica ci divideva quasi sempre: io amavo i Rolling Stone, i Beatles, Janis Joplin e tutto ciò che andava dagli anni sessanta alla metà degli ottanta; lui invece amava la musica commerciale e da discoteca.
Fortunatamente, o sfortunatamente, il telefono di David iniziò a suonare e la modalità "auto" attivò il viva-voce facendo spargere per tutto l'abitacolo le urla dell'altra nostra migliore amica, la laureanda.
«David! Dove diavolo sei?»
«Stiamo cercando parcheggio» mentì lui. «Sei in viva-voce» aggiunse poi.
«Ely come ti senti?» provai a chiedere addolcendo la voce.
«Se avessi i miei migliori amici accanto sarebbe meglio» rispose Elisa sbuffando.
«Luca è li?» le chiese Carlotta, cercando di distrarla.
«No, il mio ragazzo è andato a prendere i suoi genitori... circa due ore fa» rispose acida.
«Stiamo arrivando amore, un po' di pazienza» la rasserenò David, passando con il rosso e arrivando finalmente davanti La Sapienza.
«Sbrigatevi» sospirò Elisa, sbuffai interrompendo la chiamata.
«Lì a destra c'è un posto, corri!» trillò Carlotta, il ragazzo seguì il dito dell'amica e con pochissime manovre parcheggiò.
«E' tutto merito del park assist, non ti gasare» lo presi in giro spegnendo il suo entusiasmo, poi mi accesi una sigaretta e ci dirigemmo verso la facoltà di lettere classiche pronti a supportare, come facevamo da quasi sei anni, chi del gruppo aveva bisogno di una mano; forse era questo che ci aveva sempre tenuto uniti, la consapevolezza di esserci l'uno per l'altro, andando anche contro il resto del mondo.


«Non ci avevi mai detto che il tuo professore era un figo da paura!» disse David bevendo un po' del suo cocktail, Elisa ridacchiò e si accoccolò ancora di più su Luca; stava dando finalmente la sua festa di laurea, si era laureata con il massimo dei voti e da oggi poteva finalmente iniziare a cercare un lavoro e a gettare le basi per crearsi una famiglia tutta sua, in fin dei conti ero felice per lei.
«Non credevo fosse il tuo tipo» gli rispose la neo-laureata.
«Ely, tutti sono il suo tipo» ridacchiai mangiando un altra manciata di noccioline.
«Da che pulpito!» rise David, additandomi.
«Il fatto che mi piacciono dei ragazzi non implica l'andarci per forza a letto» cercai di difendermi, «comunque, se qui c'è qualcuno che dovrebbe parlare di ragazzi non sono di certo io» aggiunsi guardando Carlotta, «allora, com'è andata ieri sera?»
La ragazza guardò Luca, e al suo sguardo si aggiunse quello di tutti i presenti; il ragazzo di Elisa era diventano da tempo parte integrante del gruppo, ma la regola è che davanti a lui certe cose non si dicevano, e se io e -soprattutto- David riuscivamo a fare qualche eccezione, Carlotta era intransigente.
«Ho capito» sbuffò il ragazzo alzandosi «vado a farmi un giro» annuì, guardando la sua fidanzata in cerca d'aiuto, ma anche Ely lo guardava con il nostro stesso sguardo.
«Grazie amore» gli disse lei, poi lo prese per la camicia e lo costrinse ad abbassarsi per farsi baciare; Luca sorrise e le passò una mano dietro la testa, stringendo Elisa ancora più a se e facendo durare quel bacio più del previsto.
«Vi prego, il diabete mi sta uccidendo» li interruppi con una delle mie solite battutine, la coppia si staccò e Luca prima di andarsene, mi fece la linguaccia, scompigliandomi poi i capelli al suo passaggio.
«Allora?» domandai guardando Carlotta che era già diventata paonazza in viso.
«Ci sei andata a letto?» le chiese David con la sua solita schiettezza.
«No!» gracchiò Carlotta spalancando gli occhi, «che diamine era solo il primo appuntamento!»
«E' solo un dettaglio, quello» sbuffò David alzando gli occhi al cielo.
«Vabè, raccontaci! Dove siete stati?» cercò di spronarla Elisa, con Carlotta era sempre così, quando doveva iniziare un discorso più o meno serio aveva sempre bisogno di una spintarella iniziale per poi prendere coraggio ed iniziare a parlare a macchinetta.
«Mi è venuto a prendere a casa, e poi mi ha portato in un ristorantino in centro, veramente carino...»
«Blà blà blà... arriviamo ai dettagli piccanti per favore?» la supplicò David versandosi un po' di champagne del bicchiere.
«Che palle che sei» borbottò Carlotta alzando gli occhi al cielo, «ci siamo baciati, a lungo»
«E basta?» fu la mia domanda, volevo sapere qualche dettaglio in più e magari anche ricordare cosa si provasse in certe situazioni, visto che era da tempo che non partecipavo ad un tradizionale primo appuntamento.
«Sì. E per il momento va più che bene» sentenziò Carlotta, poi lanciò uno sguardo ad Elisa sperando in un suo aiuto.
«Come bacia?» chiese quest'ultima abbozzando un sorriso.
«Alla nostra età la domanda più consona sarebbe "come scopa?"» ridacchiò David prima di ricevere una mia, non poco leggera, gomitata al fianco; Carlotta lo ignorò e rispose che era un discreto baciatore, ma che gli avrebbe dato una seconda chance per la galanteria che aveva dimostrato.
Quando Carlotta finì il suo racconto decidemmo che era arrivato il momento di animare la serata, troppa gente stava seduta sui divanetti e solo in pochi in pista a ballare, bevvi un lungo sorso del mio cocktail e sentii la gola pizzicare, scossi la testa e feci una smorfia mentre sentivo David prendermi per mano e portarmi al centro della pista pronto a coinvolgermi in qualche strano ballo dei suoi.


Il rumore incessante della pioggia mi svegliò definitivamente salvandomi dal finale di un terribile incubo. Mi passai una mano sulla fronte per togliermi i capelli che mi erano finiti davanti gli occhi, allungai la mano sul comodino e presi l'Iphone, me lo portai fino a pochi centimetri dagli occhi e tentai di mettere a fuoco constatando che la mia miopia stava peggiorando; mi resi conto che era appena mezzogiorno e che avevo dormito cinque ore scarse, mi voltai verso David che al contrario dormiva placidamente, ridacchiai ricordando che fino a qualche ora prima gli stavo tenendo la testa mentre vomitava.
Presi gli occhiali dal comodino e finalmente il mondo mi iniziava a sembrarmi un posto più bello e luminoso, mi alzai lentamente e, cercando di non svegliare il mio amico, anche se dubitavo che potesse succedere, mi trascinai fino alla cucina. La mia dipendenza dal caffè si faceva sentire.
Lo versai nella mia tazza preferita e mi sedetti sul divanetto sotto la finestra, guardai fuori dai vetri semi-appannati e mi incantai ad osservare la pioggia che ininterrottamente lavava ogni cosa, che rendeva tutto più pulito. Invidiai la natura provando -invece- pena per gli esseri umani, i loro sensi di colpa, i loro errori, non venivano mai veramente via dopo una doccia, e neanche dopo cento; tanti anni fa ci avevo provato anche io, stetti tre ore sotto la doccia e ripetei per una settimana quell'azione, ma non ci fu niente da fare, appena uscivo dal box i sensi di colpa, la malinconia e l'angoscia riaffioravano più prepotentemente di prima ed io stavo peggio.
Ripensare a quel periodo della mia vita mi fece venire la pelle d'oca, quei terribili mesi in cui ero diventata un vegetale umano sembravano così lontani, eppure tre anni non erano niente; tre anni in cui avevo toccato il fondo più volte prima di risalire con una dura corazza a farmi da scudo, da quel momento non avevo più permesso a nessuno di
distruggerla.
Mi asciugai un lacrima che era scesa al pensiero di quei momenti e tornai in camera da letto decisa a svegliare David, perché c'era solo un modo per scacciare quella malinconia che mi si era ammassata dentro...
«Dà» provai a chiamarlo dolcemente per tre volte, poi iniziai a scuoterlo
alzando di due toni la voce. «David svegliati!» sbuffai, avvicinandomi per constatare se, effettivamente, stesse ancora respirando e quando ne ebbi la conferma iniziai a tirargli una serie di cuscinate in faccia.
«Ma che problema ti assilla?» gracchiò lui nascondendosi sotto il piumone.
«Ho avuto un momento di pura depressione, devo fare shopping per dimenticare» cinguettai.
«I cervelli nuovi non sono in saldo» biascicò lui con uno sbuffo e girandosi dall'altro lato.
«Magari c'è la svendita dei migliori amici» pensai ad alta voce, poi poi mi alzai dal letto e presi dei vestiti dall'armadio, «alzati, lavati e vestiti»
«Che palle che sei» borbottò David togliendosi di dosso il pesante piumone, «ma dove vuoi andare con questo tempo?!» mi chiese, sconvolto, dopo essersi accorto dell'acquazzone che c'era di fuori.
«Centro commerciale» risposi scuotendo le spalle.
«Ti ho già detto che ti odio?»
«Sì, almeno un milione di volte da quando ci conosciamo»

Gli feci la linguaccia e mi andai a gettare sul divano. Per ingannare l'attesa accesi la televisione, fare zapping era un ottimo passatempo soprattutto quando in televisione non c'era un bel niente da vedere; passai in rassegna più di cinquanta canali e mi interruppi solo quando mi resi conto che era il mio telefono a squillare, lessi il nome sul display e risposi: «Buongiorno splendore!»
«Questa pioggia mi annoia» sbuffò Carlotta, «ti va di vedere un film?»
«Vieni tu da noi?» le chiesi lanciando uno sguardo al ripiano della libreria che avevo adibito a videoteca.
«Noi?»
«Sì, c'è David. Ieri sera era in condizioni pessime, l'ho obbligato a restare qui»
«Meno male» sentì sospirare Carlotta, «comunque ok, ci vediamo tra un pò»
«Tesoro, porta da mangiare; io non ho avuto il tempo di fare la spesa»
«Genuino o schifezza?»
«Schifezza, il genuino ce l'ho anche io» ridacchiai tirandomi su dal divano, «Luca ed Elisa staranno dormendo, chiamarli è inutile... vero?»
«Sì, sicuramente dormono. Siamo solo noi tre» constatò Carlotta.
«Soli e felici, a vita» scherzai alludendo anche alle nostre vite sentimentali.
«Oddio, felici è una parola grossa...»
«A me non manca niente» pensai ad alta voce mentre cercavo il pacchetto di sigarette nella borsa.
«Però se avessimo quella cosa in più sarebbe meglio, non trovi?» cercò di convincermi Carlotta.
«Parla per te» ribattei stizzita trovando finalmente anche l'accendino.
«Certo, certo» tagliò corto Carlotta che si rese conto che stava iniziando ad affrontare l'argomento taboo, «comunque ho preso tutto il cibo necessario, potremmo sfamare una squadra di rugby.»
«Mmh... i giocatori di rugby non sono niente male» mormorai andandomi a togliere le scarpe.
«Non avevo dubbi!» rise Carlotta, «ci vediamo tra un pochino»
«Ok. Intanto faccio le pop-corn; è l'unica cosa che ho» le dissi entrando in cucina, presi la padella e mentre versavo i chicchi di mais scoppiai a ridere da sola pensando alle urla che prossimamente si sarebbero sparse per casa, con quel pensiero mi diressi in camera da letto e cambiai jeans con un paio di vecchi leggins scoloriti, poi entrai in bagno e riposi le scarpe nell'enorme scarpiera.
«Ti sei cambiata per stare più comoda, vero?» mi domandò David mentre si passava una mano sui capelli bagnati.
«Certo amore mio» trillai sfarfallando le lunghe ciglia.
«Rebecca!» gracchiò lui, «cosa mi nascondi?!» mi chiese, assottigliando lo sguardo.
«Ma niente... mi ha chiamato Carlotta e... c'è stato un piccolissimo cambio di programmi» borbottai iniziando ad attorcigliarmi una ciocca di capelli attorno al dito, «nulla di grave eh. Solo che restiamo a casa a guardare un film» specificai, con un sorriso, prima di uscire in tutta fretta dal bagno e dirigermi velocemente verso la cucina, una volta arrivata ai fornelli spensi il gas sotto la padella scoppiettante di pop-corn e poi mi voltai alla ricerca di David, ma di lui e la sua ira non vi era neanche l'ombra; perplessa mi diressi di nuovo verso la camera, camminavo lentamente per paura che David potesse sbucare da dietro qualche mobile e mettermi paura, ma quando arrivai sulla porta lo trovai sdraiato a stella sul letto, con la faccia completamente schiacciata sul cuscino.
«Non avrai intenzione di...»
«Non ti azzardare a parlare!» mi zittì lui, «ora tu aspetti Carlotta e insieme vi vedete qualche film pietoso, io arriverò per i titoli di coda» ordinò.
«Uffa, che palle» borbottai, poi andai ad aprire a Carlotta che aveva già suonato il campanello tre volte.
«Ma David?» mi domandò poggiando il cappotto su una sedia.
«Dorme. Ci raggiunge per i titoli di coda» risposi alzando gli occhi al cielo, poi andai in cucina a prendere la ciotola delle pop-corn e mi sedetti sul divano con Carlotta, «tu che hai nella bustona?» le chiesi osservando il sacchetto di plastica ai piedi del divano.
«Tavolette di cioccolata e caramelle gommose... e anche qualche lattina di coca-cola» mi sorrise Carlotta svuotando il contenuto della busta sul divano.
«Io ho la birra» aggiunsi sorridendo, «direi che possiamo iniziare» proclamai aprendo una tavoletta di cioccolato bianco.
«Che film hai scelto?» mi domandò Carlotta prendendo una manciata di pop-corn dalla ciotola.
«Benjamin Button» risposi telegrafa.
«Ottima scelta!» asserì lei mentre il film iniziava, poi si zittì, ma l'iniziale silenzio durò per i primi cinque minuti, perché si trasformò in uno scambio assiduo di commenti sulle battute dei personaggi, sulla storia e su tutto ciò di cui si poteva parlare; adoravo vedere i film con Carlotta proprio per questo, durante le proiezioni non stavamo zitte un minuto, ci confrontavano subito, ridevamo, ma allo stesso tempo riuscivamo a seguire il film in modo impeccabile, e le cose -anche quel piovoso pomeriggio di Ottobre- andarono così.


David si era svegliato giusto in tempo per vedere l'ultima mezz'ora di film, avevo poggiato la testa sulle sue gambe lasciando che mi accarezzasse i lunghi capelli rossi mentre mi beavo dell'effetto calmante della nicotina.
«Vogliamo prendere la pizza?» ci chiese Carlotta mentre sul televisore scorrevano i titoli di coda.
«Io, sinceramente, sto scoppiando» le risposi toccandomi la pancia, «però possiamo ordinarne un paio, al massimo ve le portate a casa e ve le mangiate domani»
«Io ho una fame assurda, quindi per me va bene tutto» dichiarò David.
«E ci credo, tutto quello che avevi mangiato lo hai vomitato» gli ricordai contraendo il volto in una smorfia; lo squillare del cellulare mi fece sobbalzare, mi allungai a prenderlo e sorrise vedendo che finalmente i miei genitori mi stavano chiamando.
Mamma e papà si erano trasferiti in un piccolo paesino della Calabria due anni prima; quando mia nonna materna morì decisero che era venuto il momento di ritirarsi in campagna per una vita più tranquilla e per godersi, ancora, della compagnia di mio nonno, il padre di mio padre.
«Madre!» dissi alzandomi da terra, ma non feci in tempo a muovermi che sentii le gambe vacillare e mi accasciai di nuovo, «ma quando?» le chiesi con gli occhi sbarrati; ebbi come l'impressione di essere stata colpita in pieno stomaco da un pugile professionista.
«E' successo ieri notte, ma non volevamo rovinare la festa di Elisa; a proposito... falle i nostri auguri» mi spiegò mia madre, sospirando.
«Metto qualcosa in valigia e scendo in macchina»
«Rebecca, non è un viaggio che puoi affrontare con la smart» mi rammentò.
«Ok, allora...» cercai di pensare a qualcosa, guardai l'orologio che avevo al polso e sospirai cercando di trattenere le lacrime e trovare un' alternativa. «Qui ci sono David e Carlotta, mi faccio dare un passaggio in stazione, prendo il treno delle sei, così per le undici sono lì»
«Tuo padre dice di stare tranquilla e di prendere il primo treno domani mattina, oramai non c'è molto da fare qui...»
«Va bene» sospirai sconfitta, David e Carlotta mi guardavano senza fare domande, anche se avevano intuito che fosse successo qualcosa di grave. «Zio?» chiesi poi tirandomi indietro i capelli.
«Arriva tra un'ora, con tua cugina» mi rispose mia madre sospirando.
«Ci vediamo domani allora» la salutai con un filo di voce, poi poggiai il telefono sul tappetto e guardai i miei amici, «domani vado in Calabria, è morto mio nonno» dissi prima di scoppiare definitivamente a piangere.


***

Note finali:


Eppure resta nasce sette mesi fa. Eppure resta nasce dopo una storia finita male, nasce come una valvola di sfogo e si è trasformata in un'avventura. Il titolo... c'è chi dice che è una frase di Montale, c'è chi ne reclama la maternità, io non lo so, so solo che amo questa frase e che l'ho trovata mesi fa su una pagina di Facebook come, appunto, citazione di Montale xD
Racchiude un po' tutte le passioni della mia vita: il mare, gli amici, l'amore travolgente ecc.. ma c'è anche dell'altro; c'è la tematica dell'illegalità che, purtroppo, al giorno d'oggi nei paesini del sud è ancora fin troppo presente, c'è un piccolo paesino dove la vita non è sempre facile e ci sono i tradizionali scontri famigliari.
Spero che resterete a farmi compagnia in quest'avventura che per me significa veramente molto, forse troppo; finisco, quindi, col ringraziare chiunque si sia fermato a leggere questo primo capitolo e tutti quelli che lo commenteranno.
Infine un Grazie speciale va a Kate che c'è sempre stata, che non mi ha mai abbandonata e che molte volte mi ha spinto a proseguire questa storia e mi ha convinto a pubblicarla. Ti voglio bene patata! E grazie a Pind autrice della bellisima grafica.


Ho veramente terminato, un bacio e spero di “vedervi” al prossimo capitolo.

-J


  
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