1. Ottobre 2008
Nel
2004 avevo tutto quello che una ragazza potesse desiderare: avevo
degli amici fantastici, un ragazzo che mi amava ed una famiglia
altrettanto amorevole, pensavo che nulla sarebbe cambiato, che la mia
vita perfetta sarebbe rimasta intatta.
"Ho
sofferto tanto, un po' di felicità me la merito"
continuavo a ripetermi, anche quando vi era un intoppo a
quell'immacolata vita piena di gioie. Me lo ripetevo spesso quando
andavo a trovare mio padre, o nei mesi in cui non potevo vedere il
mio fidanzato.
Le cose belle, però, si sa che prima o poi
finiscono, così dodici mesi dopo era successo l'impensabile.
Ero
stata lasciata, l'unica persona che pensavo non mi potesse mai
abbandonare l'aveva fatto, senza spiegazioni. Senza un messaggio.
Niente. Marco se n'era semplicemente andato e con lui me n'ero
lentamente andata io. Per un lunghissimo anno sprofondai più
giù
dell'abisso. Io che ero logorroica dalla nascita caddi in un mutismo
sconvolgente, mi chiusi in me stessa e nel mio dolore. Non uscivo
più
con i miei amici. Non uscivo più con la mia famiglia.
Passavo le
giornate chiusa in camera ad ascoltare musica deprimente e piangere,
ero diventata lo stereotipo della donna in post-rottura, ma in genere
queste si riprendono dopo un paio di mesi, a me ce ne vollero
tredici. Alla fine un giorno di Marzo mi alzai dal letto con la
consapevolezza di dover reagire, chiamai il mio migliore amico ed
andai a fare shopping, poi mi tagliai tutti i capelli e li tinsi di
rosso, un rosso acceso come la rabbia che sentivo in corpo. I due
anni successivi mi servirono per stabilizzarmi. Iniziai a lavorare,
ripresi ad uscire, passivamente, con gli uomini e tornai ad essere
quella che ero un tempo. Ero perfino andata a vivere da sola, forse
ero stata così dipendente dal dolore che quello che
desideravo era
solo essere totalmente indipendente. Passarono così quattro
anni, ma
al contrario di quella volta, nel 2008 sentivo che sarebbe successo
qualcosa. Percepivo nell'aria il profumo del cambiamento, non
riuscivo a capire se era una fragranza che mi piaceva oppure che mi
avrebbe dato il volta stomaco, ma quando c'è un cambiamento
la
maggior parte delle volte non si può decidere se
abbracciarlo o
meno, lo si prende così come viene, pregando in qualcosa di
migliore. Purtroppo però, per quel che mi riguarda, ancora
sto
cercando di capire se, quella volta, cambiare fu un bene...
L'Iphone
vibrò sul comodino facendo quel rumore sordo che tanto
detestavo,
dopo qualche secondo partì "Rock off" degli Stones e
quello fu l'irrimediabile segno che dovevo rispondere.
«Pronto?» avevo la la voce ancora impastata dal sonno.
«Stai dormendo» disse una voce che conoscevo molto bene all'altro
capo del
telefono, non era una domanda, ma una semplice constatazione
accompagnata da uno sbuffo.
«Stavo dormendo» specificai
sbuffando a mia volta e rigirandomi in posizione supina.
«Sai che
giorno è?»
«Un freddo giovedì mattina di fine
Ottobre»
«Rebecca tra circa due ore si laurea una delle nostre
migliori
amiche, ti consiglio di muovere il culo» mi
suggerì il ragazzo,
sempre con un tono di voce molto pacato.
«Cazzo!» gridai,
invece, io. «E' quel
giovedì,
vero?»
chiesi conferma, sperando che mi stessi sbagliando.
«Sì.
Sbrigati, ti passo a prendere tra quarantacinque minuti.»
«Ok,
ce la posso fare» mormorai in preda al panico.
«Muoviti!» mi
incitò lui con uno sbuffo. «Non capisco
perché non ti decidi a
comprare una sveglia» chiese, più a se stesso.
«Perché dopo
una settimana la tiro contro il muro» risposi schioccando la
lingua,
«che dovevo mettermi?!» gli domandai alzandomi di
scatto dal letto
ed in preda al panico.
«Il vestito viola, con quell'orribile
giacca nera» rispose lui con un altro sospiro. «Li
avevi messi
nella parte destra dell'armadio» aggiunse prevedendo
già la mia
futura domanda.
«Ok, ce la posso fare» mi dissi nuovamente cercando di
auto-convincermi.
«Fammi un favore, portami la colazione» lo implorai
toccandomi di
riflesso lo stomaco.
«Rebecca devi muoverti!» sbuffò il
ragazzo, il suo tono pacato si stava trasformando in un tono
palesemente irritato.
«Certo, certo» risposi sbrigativa mentre
entravo in bagno,«ricordati il caffè e il cornetto
al
pistacchio.»
«Altro?»
«Ti voglio bene David!» gli dissi,
poi mi specchiai e constatai che dovevo lavarmi anche i capelli,
segno che non ce l'avrei mai fatta ad essere pronta in tempo.
«Si
certo. Ci vediamo tra quaranta minuti.»
«Ma non erano
quarantacinque?»
«Ne hai persi cinque al telefono, ciao» e
David interruppe la chiamata.
Davide, o David, era il mio migliore
amico. Ci eravamo conosciuti in quinta elementare, poi ci eravamo
persi di vista e ritrovati al liceo; passammo un anno ad ignorarci, e
poi tramite amici in comune iniziammo ad uscire in gruppo, da quel
momento non ci dividemmo più. Sarebbe stato il ragazzo
perfetto:
avevamo gli stessi interessi, erano poche le cose che non
condividevamo e questo ci portava a vivere in simbiosi, eravamo
così
attaccati che la mia cara nonna, molte volte, mi aveva fatto
intendere che sapeva di una nostra fantomatica e nascosta storia
d'amore, ma purtroppo per la povera vecchietta David era totalmente
gay e molte volte ringraziai il cielo per il suo orientamento
sessuale che in molte situazioni si era rivelato un vero toccasana. I
suoi consigli, soprattutto in fatto di uomini, erano i più
azzeccati
perché vedeva con un occhio maschile e con uno femminile.
Sbuffai
uscendo da quella doccia che era durata troppo poco, mi frizionai i
capelli con l'asciugamano, e purtroppo non c'era tempo per la
piastra, così presi le gocce liscianti e me ne misi una dose
molto
abbondante sulla chioma rossa, poi mi misi a testa in giù ed
iniziai
ad asciugarli con il phon.
Ero stanca morta, l'ultimo giorno di lavoro mi aveva ammazzata e mai come quella volta ringraziai la fine di un lavoro, tra tutte le produzioni che mi avrebbero potuto chiamare era stata proprio la peggiore a farlo; mi era ritrovata a curare l'edizione di un gruppo di misogini
e superbi, diverse volte avevo pensato di licenziarmi, ma alla fine avevo continuato per non dargliela vinta, per una questione
d'orgoglio; quell'orgoglio enorme che molte volte mi aveva salvato,
ma che avevo anche perso e dovuto recuperare con il tempo.
L'Iphone
squillò di nuovo e sul display apparve la foto di Carlotta,
buttai
indietro i capelli e spensi il phon poggiandolo sul ripiano.
«Sei
sveglia!» constatò felice Carlotta.
«Mi ha svegliato David»
risposi cercando i collant che erano magicamente spariti dal cassetto
in cui ero convinta di trovarli.
«Ah. Effettivamente sarebbe
stato un miracolo...» ridacchiò Carlotta.
«Comunque tra cinque
minuti sono a casa tua.»
«Perché?» le domandai mettendo il
viva-voce ed iniziando a vestirmi.
«Non ti ricordi? Dovevi
truccarmi!» trillò la ragazza, «ci
vediamo tra pochi minuti» E
anche lei interruppe la telefonata; respirai sommessamente e corsi a
vestirmi, tra due minuti sarebbe salita Carlotta, tra quindici David
e io dovevo ancora truccarmi e finire di aggiustarmi i capelli,
quella giornata sarebbe stata faticosa, me lo sentivo.
Andai in
bagno e iniziai a litigare con i capelli che non trovavano pace, nel
momento esatto che avevano deciso di collaborare facendosi
raccogliere in uno chignon morbido il trillo del citofono mi fece
sobbalzare, sbuffai affranta e mi diressi verso la porta, senza
chiedere chi fosse aprii il portone di sotto e la porta di casa; dopo
qualche minuto le porte dell'ascensore si aprirono e Carlotta
entrò
dentro casa. «Ancora così?» mi chiese
poggiando la borsa sulla
poltrona.
«Eh per cortesia... non ti ci mettere pure tu»
risposi
in acidità mentre tornavo in bagno, «intanto
mettiti il fondotinta»
le ordinai, così mentre lei armeggiava con i trucchi io ebbi
il
tempo per sistemarmi per lo meno i capelli; feci sedere Carlotta ed
iniziai a truccarla in modo molto leggero, aveva la pelle molto
chiara quindi non potevo osare molto con i colori, anche
perché ero
negata a dosare gli ombretti scuri. Quando ebbi finito feci giusto in
tempo a mettermi il fondotinta ed un filo d'ombretto prima che un
messaggio mi avvertì che David ci stava aspettando sotto
casa.
«Mettimi il mascara, la terra e la matita nera nella
pochette che sta nel terzo cassetto, per favore» chiesi a
Carlotta
mente, nel panico, correvo in camera a spostare il contenuto della
borsa rossa in quella nera. Presi i tacchi in mano per evitare di
cadere e rompermi qualcosa, mi infilai velocemente la giacca, chiusi
bene la porta e mi diressi velocemente in ascensore, quando le porte
si aprirono mi misi finalmente le scarpe ed uscimmo dal portone; ma
quando mettemmo piede nella macchina di David lui mi guardò
in
cagnesco, se avesse avuto qualche potere mi avrebbe sicuramente
incenerito per bene.
«Cinque minuti di ritardo, ce ne vorranno
altri dieci per cercare parcheggio. Questa volta Elisa ti
ammazza»
constatò lui, poi mi diede la bustina bianca che conteneva
la mia
tanto agognata colazione e partì a tutta velocità
con la sua
Mercedes nuova di zecca. «Buongiorno tesoro» disse
poi guardando
Carlotta dallo specchietto retrovisore.
Sbuffai
poggiando il bicchiere del caffè nel portavivande, misi il
cornetto
sul cruscotto e cercai di finirmi di truccare chiedendomi,
però,
come mi venne in mente l'idea di armeggiare con il mascara mentre
David sfrecciava per le vie di Roma incurante del traffico e del
fatto che la grandezza della sua macchina non era proprio adatta a
certi sorpassi.
«Il fatto che non mi sia finito il pennellino del
mascara nell'occhio la dice lunga sulle mie abilità di
trucco»
dissi fiera mentre chiudevo lo specchietto.
«Al tuo prossimo
compleanno ti regaleremo un set di quindici sveglie»
scherzò
Carlotta.
«Dovrete
aspettare quasi un anno... però per il tuo ti
regalerò,
sicuramente, un corso di trucco» schioccai la lingua e poi mi
apprestai finalmente a fare colazione.
«Ti avverto: una sola
macchia di caffè e ti taglio i capelli nel sonno»
mi minacciò
David osservandomi con la coda dell'occhio.
«Non ho dieci anni»
sbuffai sentendomi colpita nell'orgoglio e addentai tristemente un
pezzo di cornetto.
«Ti ho solo avvisato amore» sorrise il
ragazzo prima di iniziare ad urlare contro una macchina che, a suo
avviso, era meglio se andasse allo sfascio assieme al suo
guidatore.
«Ma tra i suoi mille optional questa macchina non ha
uno stereo?» chiesi iniziando a spingere tasti a caso.
«Togli le
tue manacce da lì!» urlò David.
«Faccio io, tu non toccare
nulla»
«Porca puttana David, non sono mica una deficiente!»
«No,
ma quando dormi poco combini più danni del solito»
«Vaffanculo!»
urlai, poi mi accoccolai meglio sul sedile ed inizia ad armeggiare
con l'Iphone fino a quando non trovai e feci partire una canzone di
Bob Dylan.
«E questo che sarebbe?» mi chiese con una smorfia
disgustata sul viso.
«Musica» sorrisi tornando poi ad annuire
con la testa a tempo di musica.
«Togli questa roba!» urlò David
con disappunto; sentii Carlotta sbuffare dietro di me, sicuramente
non era pronta a subirsi cinque minuti di grida su cosa fosse musica
e su cosa no, infatti la vidi iniziare a giocare con una ciocca di
capelli pronta ad essere spettatrice di quella guerra che andava
avanti da anni, perché per quanto io e David potevamo essere
uguali,
la musica ci divideva quasi sempre: io amavo i Rolling Stone, i
Beatles, Janis Joplin e tutto ciò che andava dagli anni
sessanta
alla metà degli ottanta; lui invece amava la musica
commerciale e da
discoteca.
Fortunatamente, o sfortunatamente, il telefono di David
iniziò a suonare e la modalità "auto"
attivò il
viva-voce facendo spargere per tutto l'abitacolo le urla dell'altra
nostra migliore amica, la laureanda.
«David! Dove diavolo
sei?»
«Stiamo cercando parcheggio» mentì lui.
«Sei in
viva-voce» aggiunse poi.
«Ely come ti senti?» provai a chiedere
addolcendo la voce.
«Se avessi i miei migliori amici accanto
sarebbe meglio» rispose Elisa sbuffando.
«Luca è li?» le
chiese Carlotta, cercando di distrarla.
«No, il mio ragazzo è
andato a prendere i suoi genitori... circa due ore fa»
rispose
acida.
«Stiamo arrivando amore, un po' di pazienza» la
rasserenò
David, passando con il rosso e arrivando finalmente davanti La
Sapienza.
«Sbrigatevi» sospirò Elisa, sbuffai
interrompendo la
chiamata.
«Lì a destra c'è un posto,
corri!» trillò Carlotta,
il ragazzo seguì il dito dell'amica e con pochissime manovre
parcheggiò.
«E' tutto merito del park assist, non ti gasare» lo
presi in giro spegnendo il suo entusiasmo, poi mi accesi una
sigaretta e ci dirigemmo verso la facoltà di lettere
classiche
pronti a supportare, come facevamo da quasi sei anni, chi del gruppo
aveva bisogno di una mano; forse era questo che ci aveva sempre
tenuto uniti, la consapevolezza di esserci l'uno per l'altro, andando
anche contro il resto del mondo.
«Non
ci avevi mai detto che il tuo professore era un figo da
paura!»
disse David bevendo un po' del suo cocktail, Elisa ridacchiò
e si
accoccolò ancora di più su Luca; stava dando
finalmente la sua
festa di laurea, si era laureata con il massimo dei voti e da oggi
poteva finalmente iniziare a cercare un lavoro e a gettare le basi
per crearsi una famiglia tutta sua, in fin dei conti ero felice per
lei.
«Non credevo fosse il tuo tipo» gli rispose la
neo-laureata.
«Ely, tutti sono il suo tipo» ridacchiai mangiando
un altra manciata di noccioline.
«Da che pulpito!» rise David,
additandomi.
«Il
fatto che mi piacciono dei ragazzi non implica l'andarci per forza a
letto» cercai di difendermi, «comunque, se qui
c'è qualcuno che
dovrebbe parlare di ragazzi non sono di certo io» aggiunsi
guardando
Carlotta, «allora, com'è andata ieri
sera?»
La ragazza guardò
Luca, e al suo sguardo si aggiunse quello di tutti i presenti; il
ragazzo di Elisa era diventano da tempo parte integrante del gruppo,
ma la regola è che davanti a lui certe cose non si dicevano,
e se io
e -soprattutto- David riuscivamo a fare qualche eccezione, Carlotta
era intransigente.
«Ho capito» sbuffò il ragazzo alzandosi
«vado a farmi un giro» annuì, guardando
la sua fidanzata in cerca
d'aiuto, ma anche Ely lo guardava con il nostro stesso
sguardo.
«Grazie amore» gli disse lei, poi lo prese per la
camicia e lo costrinse ad abbassarsi per farsi baciare; Luca sorrise
e le passò una mano dietro la testa, stringendo Elisa ancora
più a
se e facendo durare quel bacio più del previsto.
«Vi prego, il
diabete mi sta uccidendo» li interruppi con una delle mie
solite
battutine, la coppia si staccò e Luca prima di andarsene, mi
fece la
linguaccia, scompigliandomi poi i capelli al suo passaggio.
«Allora?»
domandai guardando Carlotta che era già diventata paonazza
in
viso.
«Ci sei andata a letto?» le chiese David con la sua
solita
schiettezza.
«No!» gracchiò Carlotta spalancando gli
occhi,
«che diamine era solo il primo appuntamento!»
«E' solo un
dettaglio, quello» sbuffò David alzando gli occhi
al cielo.
«Vabè,
raccontaci! Dove siete stati?» cercò di spronarla
Elisa, con
Carlotta era sempre così, quando doveva iniziare un discorso
più o
meno serio aveva sempre bisogno di una spintarella iniziale per poi
prendere coraggio ed iniziare a parlare a macchinetta.
«Mi
è venuto a prendere a casa, e poi mi ha portato in un
ristorantino
in centro, veramente carino...»
«Blà blà blà... arriviamo ai
dettagli piccanti per favore?» la supplicò David
versandosi un po'
di champagne del bicchiere.
«Che
palle che sei» borbottò Carlotta alzando gli occhi
al cielo, «ci
siamo baciati, a lungo»
«E basta?» fu la mia domanda, volevo
sapere qualche dettaglio in più e magari anche ricordare
cosa si
provasse in certe situazioni, visto che era da tempo che non
partecipavo ad un tradizionale primo appuntamento.
«Sì. E per il
momento va più che bene» sentenziò
Carlotta, poi lanciò uno
sguardo ad Elisa sperando in un suo aiuto.
«Come bacia?» chiese
quest'ultima abbozzando un sorriso.
«Alla nostra età la domanda
più consona sarebbe "come scopa?"»
ridacchiò David prima
di ricevere una mia, non poco leggera, gomitata al fianco; Carlotta
lo ignorò e rispose che era un discreto baciatore, ma che
gli
avrebbe dato una seconda chance per la galanteria che aveva
dimostrato.
Quando Carlotta finì il suo racconto decidemmo che
era arrivato il momento di animare la serata, troppa gente stava
seduta sui divanetti e solo in pochi in pista a ballare, bevvi un
lungo sorso del mio cocktail e sentii la gola pizzicare, scossi la
testa e feci una smorfia mentre sentivo David prendermi per mano e
portarmi al centro della pista pronto a coinvolgermi in qualche
strano ballo dei suoi.
Il
rumore incessante della pioggia mi svegliò definitivamente
salvandomi dal finale di un terribile incubo. Mi passai una mano
sulla fronte per togliermi i capelli che mi erano finiti davanti gli
occhi, allungai la mano sul comodino e presi l'Iphone, me lo portai
fino a pochi centimetri dagli occhi e tentai di mettere a fuoco
constatando che la mia miopia stava peggiorando; mi resi conto che
era appena mezzogiorno e che avevo dormito cinque ore scarse, mi
voltai verso David che al contrario dormiva placidamente, ridacchiai
ricordando che fino a qualche ora prima gli stavo tenendo la testa
mentre vomitava.
Presi gli occhiali dal comodino e finalmente il
mondo mi iniziava a sembrarmi un posto più bello e luminoso,
mi
alzai lentamente e, cercando di non svegliare il mio amico, anche se
dubitavo che potesse succedere, mi trascinai fino alla cucina. La mia
dipendenza dal caffè si faceva sentire.
Lo versai nella mia tazza
preferita e mi sedetti sul divanetto sotto la finestra, guardai fuori
dai vetri semi-appannati e mi incantai ad osservare la pioggia che
ininterrottamente lavava ogni cosa, che rendeva tutto più
pulito.
Invidiai la natura provando -invece- pena per gli esseri umani, i
loro sensi di colpa, i loro errori, non venivano mai veramente via
dopo una doccia, e neanche dopo cento; tanti anni fa ci avevo provato
anche io, stetti tre ore sotto la doccia e ripetei per una settimana
quell'azione, ma non ci fu niente da fare, appena uscivo dal box i
sensi di colpa, la malinconia e l'angoscia riaffioravano più
prepotentemente di prima ed io stavo peggio.
Ripensare a quel
periodo della mia vita mi fece venire la pelle d'oca, quei terribili
mesi in cui ero diventata un vegetale umano sembravano così
lontani,
eppure tre anni non erano niente; tre anni in cui avevo toccato il
fondo più volte prima di risalire con una dura corazza a
farmi da
scudo, da quel momento non avevo più permesso a nessuno di
distruggerla.
Mi
asciugai un lacrima che era scesa al pensiero di quei momenti e
tornai in camera da letto decisa a svegliare David, perché
c'era
solo un modo per scacciare quella malinconia che mi si era ammassata
dentro...
«Dà» provai a chiamarlo dolcemente per
tre volte, poi
iniziai a scuoterlo alzando
di due toni la voce. «David svegliati!» sbuffai,
avvicinandomi per
constatare se, effettivamente, stesse ancora respirando e quando ne
ebbi la conferma iniziai a tirargli una serie di cuscinate in
faccia.
«Ma che problema ti assilla?» gracchiò
lui
nascondendosi sotto il piumone.
«Ho avuto un momento di pura
depressione, devo fare shopping per dimenticare» cinguettai.
«I
cervelli nuovi non sono in saldo» biascicò lui con
uno sbuffo e
girandosi dall'altro lato.
«Magari c'è la svendita dei migliori
amici» pensai ad alta voce, poi poi mi alzai dal letto e
presi dei
vestiti dall'armadio, «alzati, lavati e vestiti»
«Che palle che
sei» borbottò David togliendosi di dosso il
pesante piumone, «ma
dove vuoi andare con questo tempo?!» mi chiese, sconvolto,
dopo
essersi accorto dell'acquazzone che c'era di fuori.
«Centro
commerciale» risposi scuotendo le spalle.
«Ti ho già detto che
ti odio?»
«Sì, almeno un milione di volte da quando ci
conosciamo»
Gli
feci la linguaccia e mi andai a gettare sul divano. Per ingannare
l'attesa accesi la televisione, fare zapping era un ottimo passatempo
soprattutto quando in televisione non c'era un bel niente da vedere;
passai in rassegna più di cinquanta canali e mi interruppi
solo
quando mi resi conto che era il mio telefono a squillare, lessi il
nome sul display e risposi: «Buongiorno
splendore!»
«Questa pioggia mi annoia» sbuffò
Carlotta, «ti
va di vedere un film?»
«Vieni tu da noi?» le chiesi lanciando
uno sguardo al ripiano della libreria che avevo adibito a
videoteca.
«Noi?»
«Sì, c'è David. Ieri sera era in
condizioni pessime, l'ho obbligato a restare qui»
«Meno male»
sentì sospirare Carlotta, «comunque ok, ci vediamo
tra un
pò»
«Tesoro, porta da mangiare; io non ho avuto il tempo di
fare la spesa»
«Genuino o schifezza?»
«Schifezza, il
genuino ce l'ho anche io» ridacchiai tirandomi su dal divano,
«Luca
ed Elisa staranno dormendo, chiamarli è inutile...
vero?»
«Sì,
sicuramente dormono. Siamo solo noi tre» constatò
Carlotta.
«Soli
e felici, a vita» scherzai alludendo anche alle nostre vite
sentimentali.
«Oddio, felici è una parola grossa...»
«A me
non manca niente» pensai ad alta voce mentre cercavo il
pacchetto di
sigarette nella borsa.
«Però se avessimo quella cosa in più
sarebbe meglio, non trovi?» cercò di convincermi
Carlotta.
«Parla
per te» ribattei stizzita trovando finalmente anche
l'accendino.
«Certo, certo» tagliò corto Carlotta che
si rese
conto che stava iniziando ad affrontare l'argomento taboo,
«comunque
ho preso tutto il cibo necessario, potremmo sfamare una squadra di
rugby.»
«Mmh... i giocatori di rugby non sono niente male»
mormorai andandomi a togliere le scarpe.
«Non avevo dubbi!» rise
Carlotta, «ci vediamo tra un pochino»
«Ok. Intanto faccio le
pop-corn; è l'unica cosa che ho» le dissi entrando
in cucina, presi
la padella e mentre versavo i chicchi di mais scoppiai a ridere da
sola pensando alle urla che prossimamente si sarebbero sparse per
casa, con quel pensiero mi diressi in camera da letto e cambiai jeans
con un paio di vecchi leggins scoloriti, poi entrai in bagno e riposi
le scarpe nell'enorme scarpiera.
«Ti sei cambiata per stare più
comoda, vero?» mi domandò David mentre si passava
una mano sui
capelli bagnati.
«Certo amore mio» trillai sfarfallando le
lunghe ciglia.
«Rebecca!» gracchiò lui, «cosa
mi nascondi?!»
mi chiese, assottigliando lo sguardo.
«Ma niente... mi ha
chiamato Carlotta e... c'è stato un piccolissimo cambio di
programmi» borbottai iniziando ad attorcigliarmi una ciocca
di
capelli attorno al dito, «nulla di grave eh. Solo che
restiamo a
casa a guardare un film» specificai, con un sorriso, prima di
uscire
in tutta fretta dal bagno e dirigermi velocemente verso la cucina,
una volta arrivata ai fornelli spensi il gas sotto la padella
scoppiettante di pop-corn e poi mi voltai alla ricerca di David, ma
di lui e la sua ira non vi era neanche l'ombra; perplessa mi diressi
di nuovo verso la camera, camminavo lentamente per paura che David
potesse sbucare da dietro qualche mobile e mettermi paura, ma quando
arrivai sulla porta lo trovai sdraiato a stella sul letto, con la
faccia completamente schiacciata sul cuscino.
«Non avrai
intenzione di...»
«Non ti azzardare a parlare!» mi zittì
lui,
«ora tu aspetti Carlotta e insieme vi vedete qualche film
pietoso,
io arriverò per i titoli di coda»
ordinò.
«Uffa, che palle»
borbottai, poi andai ad aprire a Carlotta che aveva già
suonato il
campanello tre volte.
«Ma David?» mi domandò poggiando il
cappotto su una sedia.
«Dorme. Ci raggiunge per i titoli di coda»
risposi alzando gli occhi al cielo, poi andai in cucina a prendere la
ciotola delle pop-corn e mi sedetti sul divano con Carlotta,
«tu che
hai nella bustona?» le chiesi osservando il sacchetto di
plastica ai
piedi del divano.
«Tavolette di cioccolata e caramelle gommose...
e anche qualche lattina di coca-cola» mi sorrise Carlotta
svuotando
il contenuto della busta sul divano.
«Io ho la birra» aggiunsi
sorridendo, «direi che possiamo iniziare» proclamai
aprendo una
tavoletta di cioccolato bianco.
«Che film hai scelto?» mi
domandò Carlotta prendendo una manciata di pop-corn dalla
ciotola.
«Benjamin Button» risposi telegrafa.
«Ottima
scelta!» asserì lei mentre il film iniziava, poi
si zittì, ma
l'iniziale silenzio durò per i primi cinque minuti,
perché si
trasformò in uno scambio assiduo di commenti sulle battute
dei
personaggi, sulla storia e su tutto ciò di cui si poteva
parlare;
adoravo vedere i film con Carlotta proprio per questo, durante le
proiezioni non stavamo zitte un minuto, ci confrontavano subito,
ridevamo, ma allo stesso tempo riuscivamo a seguire il film in modo
impeccabile, e le cose -anche quel piovoso pomeriggio di Ottobre-
andarono così.
David
si era svegliato giusto in tempo per vedere l'ultima mezz'ora di
film, avevo poggiato la testa sulle sue gambe lasciando che mi
accarezzasse i lunghi capelli rossi mentre mi beavo dell'effetto
calmante della nicotina.
«Vogliamo prendere la pizza?» ci chiese
Carlotta mentre sul televisore scorrevano i titoli di coda.
«Io,
sinceramente, sto scoppiando» le risposi toccandomi la
pancia, «però
possiamo ordinarne un paio, al massimo ve le portate a casa e ve le
mangiate domani»
«Io ho una fame assurda, quindi per me va bene
tutto» dichiarò David.
«E ci credo, tutto quello che avevi
mangiato lo hai vomitato» gli ricordai contraendo il volto in
una
smorfia; lo squillare del cellulare mi fece sobbalzare, mi allungai a
prenderlo e sorrise vedendo che finalmente i miei genitori mi stavano
chiamando.
Mamma e papà si erano trasferiti in un piccolo paesino
della Calabria due anni prima; quando mia nonna materna morì
decisero che era venuto il momento di ritirarsi in campagna per una
vita più tranquilla e per godersi, ancora, della compagnia
di mio
nonno, il padre di mio padre.
«Madre!» dissi alzandomi da terra,
ma non feci in tempo a muovermi che sentii le gambe vacillare e mi
accasciai di nuovo, «ma quando?» le chiesi con gli
occhi sbarrati;
ebbi come l'impressione di essere stata colpita in pieno stomaco da
un pugile professionista.
«E' successo ieri notte, ma non
volevamo rovinare la festa di Elisa; a proposito... falle i nostri
auguri» mi spiegò mia madre, sospirando.
«Metto qualcosa in
valigia e scendo in macchina»
«Rebecca, non è un viaggio che
puoi affrontare con la smart» mi rammentò.
«Ok, allora...»
cercai di pensare a qualcosa, guardai l'orologio che avevo al polso e
sospirai cercando di trattenere le lacrime e trovare un' alternativa.
«Qui ci sono David e Carlotta, mi faccio dare un passaggio in
stazione, prendo il treno delle sei, così per le undici sono
lì»
«Tuo padre dice di stare tranquilla e di prendere il primo
treno domani mattina, oramai non c'è molto da fare
qui...»
«Va
bene» sospirai sconfitta, David e Carlotta mi guardavano
senza fare
domande, anche se avevano intuito che fosse successo qualcosa di
grave. «Zio?» chiesi poi tirandomi indietro i
capelli.
«Arriva
tra un'ora, con tua cugina» mi rispose mia madre sospirando.
«Ci
vediamo domani allora» la salutai con un filo di voce, poi
poggiai
il telefono sul tappetto e guardai i miei amici, «domani vado
in
Calabria, è morto mio nonno» dissi prima di
scoppiare
definitivamente a piangere.
***
Note finali:
Eppure resta nasce sette
mesi fa.
Eppure resta nasce dopo una storia finita male, nasce come una
valvola di sfogo e si è trasformata in un'avventura. Il
titolo... c'è chi dice che è una frase di
Montale, c'è chi ne reclama la maternità, io non
lo so, so solo che amo questa frase e che l'ho trovata mesi fa su una
pagina di Facebook come, appunto, citazione di Montale xD
Racchiude un
po' tutte le passioni della mia vita: il mare, gli amici, l'amore
travolgente ecc.. ma c'è anche dell'altro; c'è la
tematica
dell'illegalità che, purtroppo, al giorno d'oggi nei paesini
del sud
è ancora fin troppo presente, c'è un piccolo
paesino dove la vita
non è sempre facile e ci sono i tradizionali scontri
famigliari.
Spero che resterete a farmi compagnia in
quest'avventura che per me significa veramente molto, forse troppo;
finisco, quindi, col ringraziare chiunque si sia fermato a leggere
questo primo capitolo e tutti quelli che lo commenteranno.
Infine
un Grazie speciale va a Kate che c'è
sempre stata, che non mi
ha mai abbandonata e che molte volte mi ha spinto a proseguire questa
storia e mi ha convinto a pubblicarla. Ti voglio bene patata! E
grazie a Pind autrice della bellisima grafica.
Ho veramente terminato, un bacio e spero di “vedervi” al prossimo capitolo.
-J