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Autore: Brin    05/04/2012    1 recensioni
Non si può restare a guardare quando una mano sconosciuta porta via ciò che di più caro hai al mondo: questo è quanto Sari Kalabis sperimenta sulla propria pelle nel momento in cui uno dei pilastri della sua vita le viene strappato per sempre.
Non sa, però, che il desiderio di sapere perché la porterà su strade pericolose, lastricate di interessi a cui non dovrebbe avvicinarsi. Verso i sotterranei di un carcere da cui non si può uscire, nella pancia di un incubo folle e delirante che non dovrebbe esistere.
Genere: Fantasy, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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10



10.


LA CITTÀ DEI REIETTI



*


Erano diretti verso una piccola cittadina dimenticata dagli dei che si affacciava sulla costa a ovest del continente. Guardava direttamente sul Grande Mare, l’unica barriera naturale che separava i maghi dai demoni.
Amaya si era chiesta più volte come dovesse essere Shaula, madre di tutto ciò che era proibito nel regno dei maghi. Giungevano voci secondo cui quelle fossero terre morte, battute da un vento così gelido da somigliare al respiro della Morte. Secondo i più, perfino la natura risentiva del potere distruttivo dell’energia demoniaca propria della magia nera, e si diceva che le acque vicino alle coste avessero assunto molti secoli or sono un colore cupo e scuro, che si diffondeva lentamente come un cancro. Si diceva che neppure un singolo raggio di sole riuscisse a penetrare quelle acque così nere da sembrare maledette, ma Amaya aveva la vaga impressione che fossero tutte fantasie frutto di gente semplicemente spaventata.
Ogni cosa sembrava avvolta nel caos e distorta dalla paura, eppure la Corporazione esercitava un controllo quasi maniacale sulla situazione: era necessario che la popolazione non si facesse prendere dal terrore verso il nemico, che pensasse che la situazione era completamente sotto controllo. Questo è quello che desiderava Amos.
Lui controllava minuziosamente tutto ciò che accadeva nel regno, lo sapeva bene, ma non immaginava certo che uno sputo di terra come quello in cui si trovavano fosse il luogo in cui avvenivano tutti i traffici illeciti sfuggiti all’occhio vigile del mago.
Silas, la città dei reietti.
Ora che vi metteva piede per la prima volta, Amaya si rese conto che era esattamente come Volker l’aveva descritta durante il viaggio: cupa, tetra, perennemente battuta dalla pioggia e coperta da coltri di nubi che nascondevano il sole. Gli edifici dalla forma massiccia si stagliavano minacciosi a poca distanza dalla scogliera che dava sul mare, dalla quale giungeva il rumore di onde infrante.
Amaya sentì un brivido correrle lungo la schiena, e si strinse le braccia al petto. I vestiti stavano cominciando a inzupparsi, e i capelli erano ormai appiccicati al viso.
«Ora dove dobbiamo andare?»
Volker, accanto a lei, le rivolse un sorriso gioviale, che l’elfa non restituì.
«A cercare qualcuno che possa aiutarci. Sai che se sorridessi ogni tanto saresti più bella?»
Amaya per tutta risposta sbuffò, alzando gli occhi al cielo. La disinvoltura nel tono della voce dell’umano e la confidenza che si stava prendendo la irritavano.
Trattieniti, ti serve vivo. Fallo per Sari.
«Sta’ zitto e pensa a dove dobbiamo andare» borbottò, cercando di resistere all’impulso di girare sui tacchi e sbrigarsela da sola.
Volker per tutta risposta abbozzò un sorriso leggero e cordiale che stonava con i lineamenti duri e decisi del viso. Aveva già inquadrato il carattere rigido dell’elfa, ma metterla in difficoltà lo divertiva.
«Seguimi, e ricorda che quando arriveremo a destinazione non dovrai mai allontanarti da me.»
Amaya non replicò. In quella frase non c’era malizia, né ironia. Era la prima volta che lo sentiva parlare con una tale serietà, come se l’argomento fosse davvero importante. Le diede una strana sensazione, quasi di disagio.
La faccenda non prometteva bene.


*


Avevano continuato a camminare in silenzio tra la gente, l’uno di fianco all’altra. Amaya ne aveva approfittato per lanciare qualche furtiva occhiata a Volker di soppiatto, studiandolo con attenzione.
A giudicare dall’aspetto era legittimo pensare che fosse una persona poco raccomandabile e, in effetti, non ispirava certo fiducia di primo acchito.
La benda che gli copriva l’occhio sinistro sembrava addirittura essere un avvertimento, o almeno ad Amaya dava quest’impressione, ma il sesto senso della ragazza le diceva chiaramente che non era poi così terribile come poteva apparire.
Ben più problematico era il suo atteggiamento, così sfrontato da rasentare a tratti la malizia. L’idea di dover stare in compagnia di un buffone come lui non la allettava particolarmente, ma si rendeva perfettamente conto che non avrebbe potuto continuare a ignorare a lungo l’umano.
Ma nulla imponeva una conversazione intima: bastavano anche poche parole, tanto per rompere il ghiaccio. Decise di fare uno sforzo.
«Quella da dove arriva?» domandò, indicando la benda. Volker accarezzò il tessuto nero che gli copriva l’occhio, con un inaspettato sorriso amaro. Amaya quasi si pentì di aver posto la domanda.
«Mi ricorda cosa devo fare.»
L’elfa ritornò in silenzio, guardando la strada di fronte a sé. Aveva la sensazione di aver toccato un argomento delicato di cui l’uomo non amava parlare. Decise di non insistere.
«Siamo arrivati.»
Quando Amaya sollevò lo sguardo, si accorse di essere all’entrata di quello che appariva come un locale pubblico. All’esterno, un nutrito numero di persone occupava l’entrata, ciarlando a voce alta. Alcuni avevano un aspetto poco raccomandabile, altri avevano volti contratti in ghigni per nulla rassicuranti, ma Amaya capì subito che non erano lì per caso.
C’era chi cercava qualcosa che non poteva essere reperito da nessun altra parte, qualcosa che era proibito nella maniera più assoluta nel regno, e c’era chi era lì per concludere qualche affare interessante. Amaya divenne consapevole di avere mille occhi puntati addosso che la studiavano, ridevano di lei, così palesemente fuori posto tra quella manica di criminali.
Si sentì a disagio.
Volker la afferrò per un polso trascinandola dentro al locale, e l’elfa provò un fastidioso moto di gratitudine verso di lui.
Quando varcò la soglia d’entrata venne sorpresa da una musica particolare, ammaliante, ma diffusa a volume così alto da ferire il suo udito sensibile. Con una smorfia si tappò le orecchie, cercando di proteggersi da quel suono troppo forte per una della propria razza.
C’erano persone che ballavano ovunque, in pista o all’interno di gabbie assicurate al soffitto. Intrugli dai colori bizzarri e luminescenti vagavano su vassoi trasportati da uomini bellissimi, androgini, e Amaya si guardò attorno stordita.
«Che posto è questo?»
«Il posto in cui troveremo quello che stiamo cercando. Mi raccomando, stammi vicino.»
Amaya non se lo fece ripetere due volte, improvvisamente dimentica della propria insofferenza verso l’uomo. Si sentiva come un pesce fuor d’acqua, e aveva l’impressione che se si fosse persa sarebbe stata agguantata da qualche trafficante di oggetti demoniaci. Si stava già cacciando in guai non indifferenti e non ne voleva altri.
Seguì Volker tra la folla, ignorando gli sguardi insistenti che le scivolavano addosso. Si diressero verso un bancone, dietro il quale un donnone ben piazzato trafficava con le bottiglie di alcolici. Quando Amaya si avvicinò abbastanza da poterne vedere i movimenti, si accorse che gli intrugli che aveva visto passare erano preparati da lei.
Si muoveva veloce, precisa, sicura. Non si accorse dei due e alzò lo sguardo solo quando Volker tossicchiò.
«Non ti hanno ancora ammazzato?» domandò con noncuranza, ritornando al proprio lavoro. L’uomo sghignazzò, scuotendo appena il capo.
«Anche a me fa piacere rivederti Kaja.»
«Non ti avevano arrestato? Come diavolo hai fatto a fuggire?»
«È una lunga storia» Volker si strinse nelle spalle, strizzando l’occhio ad Amaya. «Piuttosto, sai dov’è Zorlan?»
Kaja guardò Volker, seria in volto.
«Vieni con me.»
Li condusse per corridoi accessibili solo al personale. Erano vecchi e umidi, Amaya lo capì dall’odore di muffa che impregnava le pareti.
Si chiese dove stessero andando e chi fosse questo Zorlan. Probabilmente era un pezzo grosso, a giudicare dallo sguardo della donna. Si fermarono davanti a una porta di legno, alla fine del corridoio. La musica era diventata null’altro che un rumore lontano.
Kaja bussò due volte, ma nessuno rispose.
«Capo, è tornato Volker.»
«Fallo entrare.»
Quando Amaya entrò al seguito dell’evaso, si ritrovò in una stanza in cui l’unica fonte di luce erano delle candele posate qua e là.
Nonostante la penombra, riuscì chiaramente a distinguere un numero impressionante di volumi corposi e oggetti dalle forme più disparate, riposti con cura maniacale nei ripiani di un mobile.
Un uomo era seduto dietro a un tavolo. Amaya ne colse immediatamente i lineamenti delicati e armoniosi, di una bellezza squisitamente elegante. I capelli neri, perfettamente pettinati, risaltavano sulla carnagione pallida del volto.
A giudicare dall’aspetto, doveva essere vicino alla mezza età.
«Molte voci ti davano per spacciato, Volker» esordì l’uomo alzandosi in piedi, rivelando una lunga tunica di raso nero decorata con motivi argentati. Quando si accorse di Amaya, un sorrisetto lascivo gli curvò le labbra.
«E lei?»
«Lei è con me, Zorlan. Sono qua perché mi serve un favore.»
L’uomo annuì, invitando Volker a proseguire con un cenno della mano.
«Ho assoluto bisogno di avere un drago al più presto, un esemplare veloce che sappia coprire in breve tempo una distanza abbastanza lunga.»
Zorlan studiò Volker, prima di guardare Amaya sospettoso.
«Che dovete fare con un drago? »
«Penso che tu abbia sentito la notizia della fuga di quell’assassino da Artika.»
Zorlan annuì grave, e Volker indicò Amaya con un cenno del capo.
«Ha preso in ostaggio una sua amica, e se aiuterò la polizia a riprenderlo mi faranno fuggire dal regno. »
Contro ogni aspettativa di Amaya, Zorlan scoppiò in una risata roca.
«E tu vorresti un drago per cercare dall’alto questo fuggiasco? Non essere sciocco Volker: ti hanno promesso la libertà, ma dove potresti andare? Non puoi stare nel regno dei maghi e non puoi cercare asilo tra i demoni. Lo sai bene questo, sai che non puoi andare da chi ti ha fatto quello» terminò indicando la benda sull’occhio sinistro del fuggiasco.
Amaya all’improvviso capì. Pensò a quello che gli aveva ingenuamente chiesto riguardo al suo occhio sinistro, e cominciò a pensare a lui sotto una luce diversa. Per la prima volta, provò pietà per quell’uomo. Quando lo guardò, si accorse dell’espressione irata sul viso di Volker.
«Ho detto che voglio questo drago. Quello che farò poi non è affar tuo.»
Un sorriso calcolatore curvò le labbra di Zorlan.
«Non ti conviene parlare così a chi ti ha aiutato per così tanto tempo. Ricordati che mi sei debitore, Volker. »
«Ti sarei debitore se avessi ottenuto dei risultati, ma non sono arrivato da nessuna parte. Ora per favore, ho bisogno di questo drago.»
Zorlan rimase in silenzio per un momento che ad Amaya parve interminabile, e l’elfa ebbe quasi l’impressione che volesse prendersi gioco di loro.
«Cosa ti fa pensare che io abbia un drago, Volker?»
«Non prendermi in giro, abbiamo fatto affari in passato e so…» il fuggiasco fu interrotto bruscamente da Zorlan. «E se tutto questo fosse solo un trucco per incastrarmi? Se stessi aiutando la polizia a catturarci? Credi che sia così sciocco da ammettere di possedere un drago?»
Amaya sorrise in silenzio di fronte l’astuzia di Zorlan, e attese di sentire la risposta di Volker.
«Credi che farei mai una cosa del genere? Io, a te? Andiamo, lo sai che di me ti puoi fidare. Aiutami a non tornare ad Artika.»
Zorlan rimase ancora una volta in silenzio per qualche istante. Volker lo guardò con aria speranzosa, e quando lo sentì sospirare capì all’istante di aver vinto.
«Forse me ne pentirò, ma va bene. Ti darò questo drago.»

   
 
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