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Autore: Il Cavaliere Nero    05/04/2012    5 recensioni
New York e Londra. Due città diverse. Due anni di distanza. Due ragazzi innamorati. Due vite che si scontrano e poi incontrano. Due strade che non possono più separarsi. Storia della storia dell’amore tra Shinichi e Ran:
(…) stava quasi già pensando di confessargli i suoi sentimenti –ci aveva provato, quel giorno, al Tropical Land! “Smettila di parlare di Sherlock Holmes! Vuoi capirlo o no che non vedevo l’ora di venire qui con te, tu non capisci cosa provo!” gli aveva urlato contro, ma lui era avvampato e, cercando di balbettare qualcosa, si era irrigidito completamente. Il coraggio aveva dunque abbandonato Ran, che subito si era finta divertita: “Ahah, perché ti imbarazzi tanto? Non sei affatto un bravo detective se non sei riuscito a capire che stavo scherzando!”

come si è evoluta nel corso del manga la loro vicenda?
[Presenti riferimenti ad eventi accaduti, in Italia, nel manga ma non ancora nell'anime]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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E a Tokyo, quando?

“Ehy, Kudo!”
La voce del detective dell’Ovest gli giunse un po’ troppo acuta, dall’altra parte del corridoio.
Si girò nella sua direzione, notando uno strano sorriso ad illuminargli il volto: sudò freddo.
Quando gli occhi di Heiji Hattori erano attraversati da quella luce, la sua energia vitale si convogliava nella sua anima per prendere la forma di una qualche frase assai pericolosa, e dannosa.
L’ultima volta che aveva scorto il suo sguardo brillare in quel modo, l’aveva sfidato.
Ovviamente, lui aveva vinto. Ma non prima di sentirsi apostrofare più e più volte “Kudo” non solo in presenza di Ran e Kogoro, ma persino di fronte alla ragazza che si atteggiava a detective.*
“Non c’è qualcosa che dovresti dire al tuo migliore amico?” calcò sulle ultime parole, circondandogli il collo con un braccio.
Conan fissò gli occhi sul volto del ragazzo dalla pelle scura, a pochi centimetri di distanza dal suo, mentre sorrideva sornione.
Improvvisamente capì, avvampando.
“Ovviamente no…” replicò, cercando di mascherare il rossore che pian piano gli imporporava le guance. Alle sue spalle, sentì Kazuha e Ran bisbigliare qualcosa tra loro:
“Come invidio Conan…” riuscì solo a captare.*
Toyama lo invidiava? Ma era impazzita, forse?
Avrebbe pagato oro per non avere quell’impiccione a scuoterlo per le spalle – impresa piuttosto facile per un diciasettenne che sfoggia la sua forza fisica con un bambino di sette anni-, mentre continuava a cantilenare:
“Non mentire…”
“Ti ho detto che non c’è niente!” rispose, spazientito. Chi diavolo l’aveva informato?
“Andiamo…” insistette Heiji “Dichiarami tutto!” insinuò con sguardo malizioso prima di scoppiare a ridere di gusto.
Il piccolo investigatore rimase in silenzio, squadrandolo con gli occhi assottigliati; poi si liberò dalla sua presa, maledicendolo in silenzio mentre si avviava verso l’uscita di quell’appartamento.
“Torna qua, non ti arrabbiare! Voglio sapere i dettagli!” sentì Hattori richiamarlo, ma non si fermò affatto. Chi gliel’aveva detto?
Sbuffò, raggiungendo Takagi mentre metteva le manette all’assassina che lui e il suo ‘migliore amico’, come lui stesso si era definito, avevano appena incastrato.
-Mhm, che razza di domande mi pongo…- si riprese poi, osservando Kazuha e Ran parlare accuratamente di chissà quale argomento.
Ricordava bene come la sua amica d’infanzia avesse riferito a Sonoko quanto era avvenuto a Londra; probabilmente, non aveva esitato a riporre la sua fiducia anche in Kazuha; peccato che la ragazza del Kansai non avesse temuto di mettere al corrente della questione anche il suo compagno di classe.
Sbuffò per la seconda volta, portando entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni.
-Questa notizia sta facendo il giro del mondo!- pensò, richiamando alla mente il bentornato con cui la piccola Haibara, gli occhi assottigliati e le labbra piegate in una smorfia di apparente indifferenza , lo aveva accolto nuovamente in Giappone:
“E allora? Non hai seguito le mie istruzioni, bensì assunto l’antidoto necessario al viaggio di ritorno per farti vedere dalla ragazza dell’agenzia investigativa! Spero almeno che tu non ti sia lasciato trascinare dal momento e non le abbia confessato nulla!”
Sul momento era avvampato, pensando che la scienziata si stesse riferendo alla sua dichiarazione; ma quando, fissandola negli occhi, non vi aveva letto altro che fastidio per le ‘istruzioni’ trasgredite, aveva compreso che Ai non sapeva nulla. Probabilmente, la sua intenzione era accettarsi che lui non avesse spifferato dell’apotoxina o dell’organizzazione –come già gli aveva impedito di fare la sera prima della recita scolastica del Teitan- .
D’altronde, come avrebbe potuto saperlo? Non lo aveva detto al dottor Agasa.
Non lo aveva detto a nessuno.
“Permettimi di ricordarti…” aveva però proseguito lei, istigata dal suo silenzio “…che quel farmaco ti permette di riacquistare il corpo da adulto per massimo ventiquattro ore. Sai bene cosa succederebbe se le dicessi la verità, tu stesso me lo rivelasti tempo fa!”
Il piccolo detective allora era trasalito, arrossendo.
“Vorrebbe vederti sempre con maggiore frequenza, e tu finiresti per ferirla!”
No, non si stava riferendo all’apotoxina e all’organizzazione.
Ai Haibara aveva intuito qualcosa, ma lui non aveva replicato in alcun modo, lasciandola nel dubbio; fortunatamente era poi intervenuta Ayumi nella discussione, invitandoli a giocare a nascondino e permettendogli di troncare lì il discorso. Erano affari suoi, dopotutto. Perché Ai s’intrometteva?
Inoltre, non aveva potuto fare altrimenti, la situazione gli era sfuggita di mano.
La biondina aveva ragione: lui stesso mesi prima, il giorno dopo San Valentino, si era sfogato con lei e con il professor Agasa; aveva rivelato loro di aver visto Ran piangere per lui, e di aver mangiato il suo cioccolato per farla sentire meglio.
Certamente non si era dilungato in particolari: non aveva detto di averle scattato una foto con il cellulare ed avergliela poi inviata come prova di essere passato di lì; e non aveva neppure fatto riferimento al nomignolo con cui si era firmato, Detective Kid. Un attimo di folle sincerità lo aveva sorpreso debole, scosso dalle lacrime della donna di cui era innamorato: cosa sperava di fare con quella firma? Si augurava che Ran intuisse e mettesse fine al suo tormento? Se fosse stato lei a smascherarlo e metterlo con le spalle al muro, certo non sarebbe stata colpa sua: la giovane karateka avrebbe saputo la verità senza che lui avesse alcuna macchia ad infangargli la coscienza.
Che ragionamento sciocco! La mattina dopo, se ne era reso conto: non poteva e non doveva lasciarsi andare ai sentimentalismi, non lui.
Il suo compito era di proteggere Ran, di impedirle in ogni modo di trovarsi in pericolo, coinvolta nelle trame dell’Organizzazione, non certo di cercare inconsciamente di rivelarle la sua vera identità: sarebbe stata una scelta egoista.
Ma una piccola parte di lui l’aveva sempre saputo, anche in quel momento:
“Quel cioccolato a forma di pesca era davvero delizioso!”* le aveva detto al telefono, lasciandole chiaramente intendere di non essere al corrente del significato che aver mangiato il suo dolce assumeva.
Quello non era un regalo di San Valentino: Ran non si impegnava in alcun modo con Shinichi, e Shinichi non si sbilanciava per niente nel loro rapporto.
Lei, dal canto suo, non gli aveva risposto nessun: “Ma che dici? Era a forma di cuore!” era sopraggiunto attraverso il telefono, ma solo: “L’ho comprato in un negozio davvero speciale…”
Avevano così messo a tacere momentaneamente la questione che, da anni, avevano in sospeso.
Ran per timidezza, Shinichi per cosa?
Per consapevolezza: riconoscere il valore di quel dono di cioccolato significava riconoscere ed anzi manifestare chiaramente i suoi sentimenti per la ragazza. E dopo averlo fatto? Lei sarebbe stata indubbiamente felice di una sua rivelazione, ma poi? Poi avrebbe voluto vederlo, ogni giorno di più; ogni ora lontano da lui la domanda: “Mi ama davvero?” l’avrebbe assalita, ogni notte il pensiero di poterlo abbracciare non l’avrebbe fatta dormire. E avrebbe pianto.
Avrebbe bagnato il suo volto di ancora più lacrime di quante già non ne versasse in quella condizione. Haibara aveva ragione: Shinichi stesso le aveva detto:
“Non la voglio far soffrire. Se non sto attento a quello che le dico, continuerà a desiderare d’incontrarmi! Continuerà a sognare qualcuno che potrebbe farla aspettare in eterno, ma io non voglio più vederla piangere. Meglio che mi cancelli dal suo cuore, piuttosto.”*
Poi, imbarazzato per quella confessione tanto profonda fatta ad una ragazza che oramai era una sua amica, si era affrettato a sdrammatizzare: “Sono ridicolo e infantile, vero?”
Ma quella battuta si era accompagnata ad un sorriso amaro.
Quel proposito, per quanto difficile, gli era parso corretto: l’unico modo per comportarsi con correttezza nei confronti di Ran.
Eppure nella sua mente avevano preso forma progetti ben diversi durante il festival scolastico.*
“Conan-kun!” lo richiamò una voce dai suoi pensieri.
“Cosa c’è, Ran-neechan?” le sorrise, scorgendo al suo fianco anche l’amica.
“Kazuha ed Heiji vanno direttamente in aeroporto, altrimenti rischiano di perdere il volo. Salutiamoli e andiamo in macchina, prima che inizi a piovere.”
Quindi, senza aspettare una replica, gli porse la mano; lui la osservò per qualche secondo, poi le sorrise infantilmente.
“Certo, Ran-Neechan!” rispose, redendo salda quella stretta: ma non appena sentì il tocco caldo della ragazza, percepì il cuore battergli violentemente nel petto.
Quelle dita gli avevano sfiorato il collo, in occasione del festival scolastico.
Quelle mani si erano adagiate sulle sue spalle, mentre lui percepiva chiaramente i suoi fianchi mentre le stringeva la vita in un abbraccio.
-Quella pettegola di Sonoko…- pensò arrossendo, mentre alzava lo sguardo per scrutare il corpo dell’amica d’infanzia intenta a prendere commiato da Kazuha. Era stata quell’impicciona di ereditiera a dirgli che, secondo il copione, Il Cavaliere Nero* doveva abbracciare la Principessa di Cuori e poi baciarla, senza mai pronunciare una parola.
E lui l’aveva fatto: prima si era beato del suo profumo, mentre la teneva stretta a sé; sebbene si trovassero su un palcoscenico, di fronte ad un pubblico agitato e chiacchierone – gli era parso di sentire la voce di Kogoro gridare: “Cosa fa quello là??”- e lei credesse che sotto quella maschera scura si nascondesse Araide, l’aveva lasciata andare davvero controvoglia: quanto tempo il desiderio di stringerla così a sé l’aveva colto, quante volte vedendola triste per la sua assenza aveva desiderato cingerla e sussurrarle all’orecchio: “Sono qui, Ran. Sono sempre stato qui”, quante parole era stato costretto a deglutire, incapace di compiere qualsiasi azione!
Era un bambino, non poteva abbracciarla come avrebbe fatto un uomo: le sue mani non sarebbero arrivate nemmeno a stringerle i fianchi.
Era Conan, non poteva abbracciarla come avrebbe fatto Shinichi: quel gesto avrebbe avuto il sapore d’affetto fraterno, non d’amore.
Quando finalmente aveva potuto circondarle la vita con le braccia, portare i loro corpi a stretto contatto, non aveva esitato un attimo a farlo; la sua mente, udite le parole di Sonoko –“Hai capito tutto? Il Cavaliere Nero afferra la principessa e le stampa un lunghissimo bacio sulle labbra. Ma non pronuncia mai una parola, chiaro?”- aveva rimosso immediatamente ogni sospetto; certo gli erano suonate strane, poco credibili: lui stesso, nei vestiti di Conan, aveva letto e recitato il copione in sua compagnia, per aiutarla; ma il desiderio di poter finalmente liberare i suoi istinti, invece di soffocarli, fu più convincente di qualsiasi raziocinio.
Lei gli aveva sussurrato poche parole imbarazzate, muovendosi lievemente tra le sue braccia nel tentativo di liberarsi dalla stretta:
“Dottor Araide, questo non era nel copione…”
Gli aveva solleticato l’orecchio.
Presa coscienza della situazione, si era poi allontanata da lui, facendo leva sulle mani contro il suo petto: i battiti cardiaci erano notevolmente aumentati, quando aveva percepito il suo tocco delicato sull’addome.
“Sei forse tu, l’uomo che mio padre ha ferito con la spada e allontanato dalla nostra corte tanto tempo fa? Nessuno poteva mai immaginare che tu fossi un principe!”
Shinichi ricordava quelle parole.
“Ascolta: se non hai dimenticato la promessa che ci siamo fatti quando eravamo bambini, ti prego…”
Erano le battute che preparavano la scena al bacio.
“Posa le tue labbra sulle mie, e rivelami chi sei veramente!”*
Era accaduto tutto molto, troppo velocemente.
Per un istante aveva percepito una forza, un desiderio ardente spingerlo irrimediabilmente in direzione di quelle labbra chiare; l’istante dopo i suoi occhi si erano dilatati nell’udire un grido scomposto.
Eppure quell’emozione burrascosa, quell'istinto dirompente che gli aveva donato il coraggio di compiere un’azione simile non l’aveva abbandonato, tutt’altro; persisteva nella sua anima, nel suo cuore, e lo spingeva a desiderare di ricreare quel momento, assaporare quella bocca che da anni bramava.
“Dopo devo dirti una cosa importante, quindi non scappare come sempre!” le aveva sussurrato, solleticandole deliziosamente l'orecchioper ricambiarle il favore di pochi minuti prima.
Ma l’indagine l’aveva coinvolto, i meccanismi del cervello l’avevano trascinato nella dimensione dell’inchiesta, gli sguardi compiaciuti di Megure e Takagi l’avevano adulato tanto da privarlo di quel primordiale coraggio.
Il giorno seguente aveva finto di non ricordare nulla, addirittura beffandosi di lei- “E’ proprio vero che un bell’abito rende grazioso anche un vecchio carretto!”*- fin quando non era stato costretto a riprendere il discorso:
“Avevi detto di dovermi parlare di qualcosa d’importante, ricordi?”
“Ne sia sicura?” L’adrenalina che aveva velocemente percorso da capo a piedi il suo corpo sul palcoscenico aveva esaurito la sua corsa.
“Come no! Me lo hai detto durante la recita, di che si trattava?” Gli era parso di vedere qualcosa – una luce, forse?- nei suoi occhi…una speranza.
Chissà quanto sarebbe durata ancora l’apotoxina, chissà quanto avrebbe dovuto ancora aspettare prima di poter riassumere le sue vere sembianze. Non doveva sprecare un’occasione tanto importante.
“Ah, ho capito! Certo che me lo ricordo!” dopo un bel respiro, si era deciso a tornare sui suoi passi.
Ma di certo l’aula affollata del Teitan non era il luogo più adatto ad una dichiarazione.
“Vediamoci questa sera, alle otto, al Beika Center Building! E’ il ristorante con vista panoramica…lì ti spiegherò tutto!”
Ma l’orgoglio da detective gliel’aveva fatta di nuovo e il tempo era scaduto.
Inutile era stato ogni tentativo di confessarle i suoi sentimenti nei panni di Conan: Ran non aveva voluto sentire ragioni:
“Non fare quella faccia! Io ce l’ho con quel detective stakanovista che pianta tutto e corre non appena sente parlare di un omicidio! Beh, ti va un buon dessert, Conan?”
E l’ultima domanda aveva chiuso lì il discorso.
Dalla delusione trasparita chiaramente dai suoi occhi quella sera, dalla tristezza evidente sul suo volto nei giorni seguenti, alla decisione di non rivelarle nulla, il passo era stato davvero breve.
Shinichi credeva d’aver fatto la scelta giusta.
Anche quando sentiva Sonoko incitarla a chiedergli cosa provasse per lei*, anche quando udiva Kazuha suggerirle di metterlo spalle al muro con colorite metafore sportive – “I tiri a effetto non funzionano! La vittoria arriva con tiri diretti, nel mezzo!”*- la sua scelta rimaneva salda, stabile.
Ma quando vedeva Sonoko rispondere imbarazzata ai commenti di Makoto sui suoi vestiti leopardati*, quando scorgeva Kazuha domandarsi se Heiji fosse geloso di un mago*…quando vedeva la ricca ereditiera e il karateka chiacchierare, quando osservava i due ragazzi del Kansai litigare, allora la sua fermezza vacillava, rischiando di perdere l’equilibrio sotto i colpi dell’invidia. Della frustrazione. Del risentimento.
Non lo dava a vedere: certo tali sentimenti in Conan non avrebbero avuto ragione d’essere.
Non si sfogava: i suoi genitori erano già abbastanza impiccioni senza che lui andasse ad aggiungere legna al fuoco.
Non chiedeva consiglio: Agasa gli avrebbe risposto di portare pazienza, come quando non sapeva in che maniera reagire alla preoccupazione di Ran* - “Stai calmo! Lo sai che la fretta è una cattiva consigliera! Razionale, flemmatico e prudente! Non era così anche il tuo caro Holmes, Shinichi?”*- mentre Ai si sarebbe limitata ad un’alzata di spalle.
Non che non tenesse a tutti loro, tutt’altro: semplicemente, per quel genere di problemi, non gradiva l’interferenza di nessuno; l’orgoglio, coadiuvato in buona parte da timidezza, lo bloccavano in ogni possibile sfogo.
Cercava di soffocare quelle emozioni fastidiose, tentava di distrarsi, ripensando all’ultimo racconto giallo letto la sera prima: ma una sensazione di insaziabile fastidio non l’abbandonava mai, sin quando non tornava a casa e se ne stava da solo, per un po’, nella sua stanza, distogliendo l’attenzione da Sonoko e Makoto; o finchè non raggiungeva i Detective Boys e li aiutava in un’indagine, dimenticandosi di Heiji e Kazuha.
Eppure quando calava la notte e il russare di Kogoro gli impediva di chiudere occhio, non poteva fare a meno di tornare col pensiero a quei quattro ragazzi, che erano il simbolo di ciò che lui non poteva avere. Di ciò che gli era stato violentemente sottratto.
Heiji trascorreva il tempo ad apostrofare Kazuha come un’allieva e prenderla in giro per le gambe cicciotte, Kyogoku si animava suggerendo gonne più lunghe e maglie meno scollate a Sonoko: lui avrebbe tanto voluto prendere in giro Ran per l’atteggiamento da maschiaccio, fare il tifo per lei durante le gare di karate, sentire gridare il suo nome da lei mentre giocava un’importante partita di calcio.
E non poteva.
Kazuha poteva telefonare ad Heiji e chiedergli di correre in suo aiuto perché c’era stato un omicidio, Sonoko poteva contare su Makoto, che l’avrebbe difesa da una banda di criminali assassini*; e Ran?
Ran poteva telefonare a Shinichi e ricevere, per tutta risposta, la voce registrata e meccanica della segreteria telefonica.
Non era affatto giusto.
Allora gli tornavano alla mente i sogni, le aspettative di pochi mesi prima: quando era un liceale e frequentava la scuola, quando aveva diciassette anni e usciva con Ran.
Ricordava con un sorriso divertito che gli increspava le labbra, immaginarsi la ragazza confessargli il suo amore – era successo al Tropical Land: lei l’aveva preso per un braccio trascinandolo verso il treno dei misteri, distraendolo dallo spettacolo di due fidanzati che si scambiavano un bacio; e lui aveva permesso alla sua mente di vagare e figurarsi Ran, vestita d’un bellissimo abito rosa, gettargli le braccia al collo: “Shinichi, anche io ti amo!” *- , ricordava il cuore perdere un battito quando lei, arrabbiata per il fallimento del padre, frantumava un muro di roccia con un solo pugno.
E si perdeva nei ricordi, prendendo sonno.
Quando, la mattina dopo, si svegliava, a fargli compagnia solo un senso indefinito d’inquietudine e amarezza. Guardandosi allo specchio, mentre si lavava i denti, scrutava la sua immagine riflessa: un bambino. Un bambino di sette anni.
Una volta gli era capitato di sorridere al suo riflesso, prendendosi gioco di se stesso: se quando aveva realmente sette anni qualcuno gli avesse detto che si sarebbe innamorato di Ran, sarebbe prorotto in una fragorosa risata. Avere un debole per una bambina che non si decide a chiamarlo per cognome?*
Eppure già quando erano bambini le voleva molto bene.
A questa considerazione aveva scosso la testa, riprendendosi ad alta voce: “Ma a cosa sto pensando?”
Certi sentimentalismi non erano da lui.
L’occasione di una vera distrazione, qualcosa che avrebbe potuto, dopo tanto tempo, renderlo davvero felice era comparsa inaspettata, come un fulmine a ciel sereno: la signora Diana aveva invitato lui, Ran e Kogoro a Londra, ed Haibara era riuscita a risolvere il problema del passaporto concedendogli due pasticche d’aptx.
Cosa avrebbe potuto desiderare di meglio?
“Prima andrò a Baker Street, poi a Hyde Park, dove Sherlock Holmes e Watson passeggiavano insieme! Dopo di che andrò al British Museum, che Holmes frequentava per svolgere ricerche!” come fosse un fiume in piena: “Se avrò tempo andrò a Dartmoor, dov’era ambientato Il Mastino Dei Baskerville, e anche alle cascate di Reichenbach, dove Holmes precipitò insieme al professor Moriarty!”*
Ran gli aveva telefonato più volte, informandolo del loro viaggio e chiedendogli quali souvenir desiderasse ricevere…e rischiando di scoprire che dall’altro capo del cellulare di Shinichi, fosse Conan a parlare.
L’aveva salutata frettolosamente, e lei si era adirata. Da lì in poi, aveva commesso uno sbaglio dopo l’altro: aveva risposto al cellulare di Shinichi senza l’ausilio del modulatore di voce, si era comportato con tanta leggerezza da lasciarsi sfuggire la sua posizione a Londra, aveva permesso a Ran di capire che si trovava lì, non era riuscito a sfuggirle, si era rinchiuso in una cabina telefonica da lei presidiata.
Infine, non aveva visto alternative: pur di non farle scoprire la sua vera identità, si era affrettato ad ingoiare la seconda pillola di apotoxina, riacquistando il corpo di un ragazzo.
Aveva temuto la sua rabbia, udendo l’ira trasparire dalle sue parole:
“Oramai non puoi più scappare. Spiegami la situazione…SHINICHI!”.
Aveva odiato le sue lacrime: tutta la fatica, tutti gli sforzi, tutti i sentimenti repressi…tutto era stato vano.
Quando provava a dimostrarle i suoi sentimenti la feriva; quando cercava di tenerle nascoste le sue emozioni la feriva allo stesso modo.
Non era bravo in quel campo: e mai più di allora gli pesò questa mancanza.
“L-lei aveva ragione! L’amore vale zero! Per quanto se ne accumuli, alla fine si finisce sempre sconfitti!”
Non sapeva più cosa fare. Facendo appello all’ultimo briciolo di sangue freddo rimastogli, aveva cercato di calmarla:
“Ma che stai dicendo?”
Di indirizzare il discorso su qualcos’altro:
“Hai conosciuto Minerva Glass? C’era un bambino con lei?”
Non era servito: la giovane continuava a trattenere le lacrime, scossa da mille fremiti.
“Ehi, calmati!” L’ultimo tentativo.
“Calmarmi? Se davvero ti definisci un detective dovresti capire cosa racchiude il mio cuore!”* gli aveva gridato, sollevando il volto per puntargli addosso uno sguardo addolorato. Poi aveva strizzato gli occhi, nel vano tentativo di contenere le lacrime.
“IDIOTA!!”
E, rivolgendogli le spalle, era corsa via.
E, per la prima volta, in lui aveva avuto la meglio l’istinto: senza ragionare neppure per un istante l’aveva rincorsa, gridandole di fermarsi, di aspettarlo.
L’impusilvità, nascosta in un angolo remoto del suo animo, era esplosa in tutta la sua forza per soggiogare temporaneamente la lucidità: infatti se avesse continuato ad agire secondo ragione, probabilmente avrebbe inventato una scusa credibile, e non avrebbe tradito il proposito che mesi prima aveva rivelato ad Haibara.
“Non la voglio far soffrire. Se non sto attento a quello che le dico, continuerà a desiderare d’incontrarmi! Continuerà a sognare qualcuno che potrebbe farla aspettare in eterno, ma io non voglio più vederla piangere. Meglio che mi cancelli dal suo cuore, piuttosto.”
Quelle parole erano ben distanti dalla sua testa, nell’oblio totale della sua memoria.
Ciò che gli interessava era raggiungere Ran, nient’altro.
Aumentando la velocità era riuscito, seppur con fatica, ad afferrarle un braccio per costringerla a fermarsi: “No! Lasciami andare!” aveva reagito, senza neppure degnarlo di uno sguardo.
“Continuerà a sognare qualcuno che potrebbe farla aspettare in eterno, ma io non voglio più vederla piangere”
Le lacrime bagnavano il suo volto, contratto in una smorfia di pura delusione:
“Lasciami andare, Shinichi!”
In quel momento al ragazzo si strinse il cuore.
Ran stava soffrendo enormemente, di nuovo a causa sua: pensava che lui non la volesse tra i piedi, che la reputasse una seccatrice.
Forse Ran stava iniziando a desiderare di poterlo dimenticare.
“Meglio che mi cancelli dal suo cuore, piuttosto.”
E lui non poteva permetterlo.
“Sei la ragazza più difficile che io conosca, talmente diversi sono i sentimenti che provi contemporaneamente! Anche se io fossi Holmes per me sarebbe impossibile capirti, perché il cuore della donna che si ama… come potrebbe essere oggetto di deduzione?* ”
Solo dopo essersi specchiato nei suoi occhi carichi di sorpresa aveva realizzato le sue stesse parole.
Aveva deglutito, in imbarazzo, e poi lasciato andare il suo braccio come per dimostrarle che, in fin dei conti, non gli importava più di tanto che lei sapesse: il suo corpo era tornato nuovamente quello di un detective razionale e distaccato. Ma la sua mente no:
“E come potrebbe l’amore valere quanto lo zero? Non farmi ridere! Lo zero è il valore da cui ogni cosa trae origine! Se non ci fosse, nulla potrebbe mai nascere…nulla si porterebbe a termine! Dillo alla regina dei campi da tennis…diglielo!*” aveva continuato, imperterrito, con gli occhi però chiusi perché Ran non potesse cogliervi la lotta che in quel frangente si stava consumando in lui.
La ragione lo accusava d’aver sbagliato, il sentimento di non aver mai fatto scelta più saggia.
Chi ascoltare?
Shinichi Kudo era un detective, dopotutto.
Il raziocinio era tornato a soffocare l’impulso e lui, rosso in volto, non aveva aggiunto altro.
Quella svista aveva avuto luogo a Londra, come se fosse una dimensione alternativa che con Tokyo non aveva niente a che fare; una volta fatto rientro nella loro città natale tutto sarebbe tornato come prima, senza alcun problema.
“Allaccia la cintura di sicurezza, Conan-kun” le parole di Ran lo fecero sussultare, ma ebbero l’effetto di catapultarlo nuovamente nel presente.
Il bambino annuì, seguendo le istruzioni, mentre la ragazza si voltava per donargli un sorriso sincero.
“Vorrebbe vederti sempre con maggiore frequenza, e tu finiresti per ferirla!”
Le parole di Haibara si fecero di nuovo prepotentemente largo nella sua testa.
Stavolta però, ricordò anche quale era stata la sua muta risposta:
-Non ho potuto fare altrimenti, Ran non dava segno di volerla finire…-
Sorrise.
Quel giorno, a Londra, non era stato un bravo detective: aveva ripetutamente sbagliato.
Forse sarebbe stato sufficiente uscire dalla cabina telefonica nei panni di Conan, lamentandosi di non voler tornare in albergo ma di continuare a visitare la città col professore; in effetti, lei aveva chiesto ai passanti di un giapponese, non di un ragazzo di diciassette anni: gli avrebbe creduto e non si sarebbe arrabbiata con Shinichi. Forse tutti quegli errori –la conversazione senza modulatore, il Big Ben, la rinuncia al piano- lui li aveva voluti; era incorso volontariamente in quell’assurda situazione, si era messo nei guai da solo.
Forse aveva voluto trovare un pretesto, facendo appello alla sua componente arazionale, per dirle quello che provava.
Tic tic tic.
Un leggero suono attirò la sua attenzione, costringendolo a voltarsi: Hattori lo fissava dal vetro dell’automobile, picchiettando l'indice sulla superficie pulita.
Gli fece segno di abbassare il finestrino.
Conan lanciò allora uno sguardo a Ran e Kogoro, seduti nei posti anteriori ad ascoltare gli ultimi saluti di Kazuha.
Sbuffando, tirò giù il finestrino:
“Che altro c’è?!” sbottò, gli occhi ridotti a due fessure sottili.
Il detective del Kansai scosse la testa.
“Nulla” rispose, placido “Volevo salutarti.”
“Ciao.” Disse secco, facendo per sollevare il finestrino.
“Spero che sia andata bene.” Aggiunse però Hattori, repentino, quando il vetro li divideva per metà.
“Prego?”
“Spero che…sia andata bene. Nel senso, mi auguro che tutto si sia svolto come volevi.”
Gli sorrise, ma per tutta risposta ottenne uno sguardo interrogativo.
Ridacchiò, grattandosi la guancia con un dito: “Di averle detto tutto in modo carino, ecco…non so come avessi deciso di farlo…”
Conan lanciò uno sguardo rapido alla ragazza, ancora intenta a parlare con l’amica. Quindi tornò a puntare gli occhi sulla sagoma del ragazzo scuro.
“Non…avevo deciso…” gli rivelò, arrossendo un po’ “E’ capitato…”
“Beh…se avrai bisogno di qualcosa, sai dove trovarmi. Anche se, di questo genere di argomenti, non mi intendo molto.”
“Lo so, signorino Kazuha è una mia allieva!” lo prese in giro, alzando un sopracciglio.
Heiji fece per replicare, indispettito, ma l'interpellata si affiancò a lui, agitando la mano in segno di saluto: la privacy era terminata.
Terminando di sollevare il finestrino, Conan notò lo sguardo seccato di Hattori, colpito nel vivo.
E sorrise soddisfatto mentre Kogoro accendeva il motore.
"Venite a trovarci presto a Osaka!" fu l'ultimo grido che sentì prima che il suo Oji-san cominciasse a lamentarsi: “Sto morendo di fame!”
“Oh, abbi pazienza! Appena arriviamo a casa vi preparerò del buon curry! A te piace il curry, vero, Conan?”
Ran era sorridente.
Da quando erano tornati da Londra, gli appariva radiosa, solare. Possibile che…?
"Certo!" annuì.
-Vorrà dire che dovrò sbrigarmi ad incastrare i membri dell’organizzazione e riprendermi la mia vecchia vita!- decretò, poggiando il mento sulla mano e fissando lo sguardo fuori dalla vettura: le case scorrevano veloci, mescolandosi al buio della notte.
Forse era il caso di cadere in quella svista anche a Tokyo, nella loro dimensione; perchè quella dichiarazione non avesse valenza onirica, ma reale.
Perchè Ran sapesse che Shinichi era innamorato di lei.

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Precisazioni:
*…ragazza-detective: Sera Masumi, file 778-780, volume 74 (Est vs West).
*Heiji che chiede a Conan informazioni su Londra: Scena che ho trovato spassosissima: file 786, volume 75.
*Le parole di Ai: volume 72. Non ho adottato la traduzione dell’edizione italiana, bensì quella inglese che mi sembra più letterale al giapponese.
* San Valentino e seguenti: Tutto l’episodio a cui faccio riferimento è nel volume 33.
* Anche qui, volume 33.
*Recital scolastico del Cavaliere Nero e della Principessa di Cuori: Volume 26.
*Come per il primo capitolo, faccio ampio sfoggio del mio nick XD Scusate questo vezzo!
*Recita: Le battute riportate sono quelle dell’anime tradotto dalla Mediaset in italiano, non del manga. Dovrebbe essere l’episodio 193. Ho voluto citare queste frasi perché dai tempi in cui avevo visto per la prima volta l’episodio le avevo adorate, sentendole pronunciare dai doppiatori italiani. Fu in quell’occasione che scelsi il mio nickname: ho voluto ripercorrere in queste righe, un po’ anche le mie emozioni.
*Battutona (!) di Shinichi: Questa citazione invece è del manga. Non riporto quella dell’anime perché era stato tradotto in modo errato, a mio giudizio: “Se ti riferisci al costume di scena ti stava a pennello, anche se una scollatura un po’ più profonda non avrebbe guastato!”
*Heiji geloso di un mago: Volume 47, file 8,9 10.
*Suggerimento di Agasa che cita Holmes: volume 2, file 6.
*Sonoko che dice a Ran di chiedere i sentimenti che Shinichi prova per lei: volume 28, file 11.
* Makoto che difende Sonoko: volume52, file9-10.
*Volume 33
*Shinichi chiede a Ran di chiamarlo per cognome quando ancora erano dei bambini: volume 55, file 6-7 *Ricordi di Shinichi: volume 1.
*Conan a Londra: Volume 71.
*Se davvero ti definisci un detective…: La traduzione italiana nel manga 72 è un po’ diversa. Tuttavia avevo tradotto così la versione inglese nel primo capitolo di questa fic e ho voluto mantenermi coerente.
*Il cuore della donna…: Vedi sopra.

^***^ ^***^ ^***^

Note dell’autrice: Ta-dan! Rieccomi qui XD Non posso assolutamente cominciare un’altra fic prima di portare a termine questa. Ho approfittato delle vacanze di Pasqua per terminare questo capitolo – spero di poter postare presto l’ultimo aggiornamento, una sorta di epilogo.
Descrivere il punto di vista di Shinichi è stato difficile, devo ammettere! Mentre con Ran, tuttavia, riesco a calarmi bene nella parte, con lui il compito è più delicato: innanzitutto è un ragazzo e non ho idea di come ragionino in questo senso i ragazzi XD In secundis, non è un ragazzo qualunque: il suo carattere è composto da mille sfaccettature, ho cercato di cogliere quelle che più gradisco nel tentativo comunque non di renderlo OOC. Ho voluto evidenziare come si finga virile, ma in realtà sia molto romantico (molti suoi gesti superano di gran lunga i concetti di galanteria tradizionale, ma decidere di non farsi avanti con la ragazza che si ama per non metterla in pericolo non è forse un gesto romantico?). Spero di non averlo reso troppo smielato, sarebbe un Shinichiomicidio XD.
Come ho scritto nelle note, le parti della dichiarazione non sono riprese dal manga 72 pubblicato in Italia ; mi sono rifatta alla versione inglese, trovata online, e da lì ho tradotto in modo piuttosto libero le parole di Ran e Shinichi. Questo perché il primo capitolo di questa fic risale a prima che la dichiarazione arrivasse in Italia XD ed io ho voluto renderle omaggio portando in un ‘bell’italiano’ il discorso. Poi, per coerenza, ho deciso di lasciare anche in questo secondo capitolo la stessa traduzione; inoltre, in questo modo ho l’impressione di partecipare in qualche modo anche io al loro rapporto ^^ una specie di empatia…vabbeh, è tardi e sono stanca, meglio che la smetta di dire sciocchezze XD
L’esordio di questo capitolo trae origine da un fatto effettivamente descritto da Gosho; ma lo sviluppo del colloquio tra Heiji e Conan è una mia modifica, come ho voluto immaginare siano andate le cose oltre il finale “Non devi dire niente al tuo migliore amico?” disegnato nell’ultima vignetta del file.
Per quanto riguardo lo stile, invece…ho voluto provare qualcosa di un tantino diverso da quello de Un Silenzio Controproducente: ultimamente ho letto Joyce e Woolf, si vede?XD Spero di non aver esagerato con la prosa e non aver reso tutto una sorta di enorme –ed incomprensibile!- flusso di coscienza (‘Stream of counciousness!!” direbbe la mia insegnante di inglese XD).
Ora, scusandomi per l’atroce ritardo (ma oramai ci sarete abituati! XD) rispondo ai recensori del primo capitolo:

_Rob_ Mia carissima! Ciao :D
Come sempre, sei stata gentilissima. Spero che tu possa dire altrettanto anche per la caratterizzazione di Shin, sono un po’ dubbiosa…mi sono presa la libertà di interpretare la sua dichiarazione alla luce di mie convinzioni, spero non opinabili XD
Un grande bacione e a presto ;)

SaraKudo: Ciao!!
Innanzittutto, mi scuso per il ritardo. In secondo luogo, ti ringrazio molto.
Anche io sono una grandissima fan ShinRan –le frasi del recital scolastico scritte in questo capitolo, non ho neppure avuto bisogno di andarle a rivedere. Le ricordavo a memoria per quante volte ho visto quell’episodio! XD- e devo ammettere che speravo da anni in uno sviluppo serio del loro rapporto. Tuttavia quella dichiarazione era totalmente inaspettata: è stata una sorpresa (naturalmente molto gradita!!) leggerla. Spero che anche la parte di Shin ti sia piaciuta. Descrivere Ran per me è stato un po’ più facile, sono riuscita bene a mettermi nei suoi panni. Con lui invece…in questa storia prevale l’idea che Shin si sia dichiarato perché in fin dei conti lo desiderava davvero. Non so se è la motivazione esatta, spero non risulti melensa! Ancora grazie e un bacio

Honeymoon: Ciao! ^^
Ti ringrazio infinitamente e mi scuso per il colossale ritardo! Cercherò di postare l’ultimo capitolo con maggiore celerità.
Anche io ho adorato quel momento, inoltre non me l’aspettavo affatto! Quindi è stata una doppia sorpresa. :D Spero che ti sia piaciuta anche la parte col nostro caro investigatore.
Bye bye

Miwa Ciao!
Ricevere tanti complimenti (grazie!!!) da qualcuno che non è del pairing ShinRan è un gran piacere :D Significa che non sei in qualche modo influenzata nel tuo giudizio, ma capace di rimanere imparziale. Inoltre, sono contenta di essere riuscita a trasmetterti qualcosa a proposito di questa coppia. Spero d’essere stata capace di fare altrettanto anche con questo aggiornamento.
Un bacio

@SognoDiUnaNotteDiMezzaEstate: Ciao!! :D
E’ un piacere sapere che hai letto anche questa storia! Nel frattempo hai letto manga e visto gli episodi relativi alla dichiarazione?? Sono belli, vero? *-* Il pezzo iniziale con Hattori, descritto all’inizio di questo capitolo, fa riferimento ad alcuni spoiler. Spero di non averti rovinato di nuovo la sorpresa!!
Inoltre, spero che anche questo aggiornamento ti sia piaciuto!
Un enorme bacio

Shine_ Hey!
Oramai ottobre è passato da un pezzo, sono stata ben lenta :(…hai letto il 72 in italiano? Bello davvero *_____________*
Nel frattempo Un Silenzio Controproducente è finito :P Ti ringrazio molto per i complimenti, mi fa piacere sapere che ti piacesse (spero siano stati di tuo gradimento anche gli ultimi capitoli!). Anche io trovo Shin molto tenero in alcune sue manifestazioni XD ed onestamente, proprio per questo, avevo trovato troppo strano che di fronte ad una Ran in lacrime avesse continuato a preoccuparsi del caso e di Minerva. Ho deciso allora di leggere questa sua fissa come un modo per evitare lo ‘scontro’ con Ran, spero possa essere un’interpretazione fattibile: so che Shin è un maniaco dei misteri, ma sino a questo punto…! Mi auguro poi di non essere stata OOC. Descrivere il suo punto di vista è stato piuttosto difficile. Ciao! :D

Yume88: Hey!!
Hai letto anche questa? *-* e mi inserisci tra gli autori preferiti?? Ma è un onoreeeee *________* L’avevo detto e lo ripeto: tu sei davvero troppo gentile!!!
Leggere il tuo commento mi ha dato la spinta finale per postare questa parte; esclusi gli ultimi ritocchi, era pronta da un po’ ma temevo a pubblicarla perché temo di essere andato OOC…speriamo di no! Un bacione

Bene.
Prometto che cercherò di postare l’ultimo capitolo entro la prossima settimana –dovrò ricominciare a studiare e non credo avrò tanto tanto tempo nei prossimi due mesi per dedicarmi alla scrittura! ;__; -
Grazie ancora di cuore per l’affetto, i complimenti…e soprattutto, la pazienza.
All’ultimo capitolo,

Cavy-Chan

   
 
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