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Autore: Angel666    06/04/2012    4 recensioni
“E’ solo un gioco per te?” chiese lei.
“Esatto. Non è nient’altro che una partita; e io sono disposto a tutto pur di vincerla.”
Il caso del Serial Killer di Los Angeles raccontato dal punto di vista di un ostaggio molto speciale. Cosa lega la ragazza all'assassino? Quali piani ha in mente per lei? Quando giochi in nome della giustizia si trovano sempre pedine sacrificabili, l'importante è conoscere le regole del gioco e non venire eliminati. Please R&R!
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Beyond Birthday, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Rumer si trovava imprigionata in quel maledetto magazzino da una settimana precisa.
Vedeva l’alternarsi dei giorni passare sul muro bianco di fronte a lei.
Dopo la sera del primo omicidio non aveva avuto nessun'altra conversazione rilevante con Ryuzaki, anche se il loro rapporto era in un certo senso migliorato.
Il ragazzo le aveva fatto cambiare posizione, legandola a terra con la schiena attaccata al muro (dopo aver accuratamente controllato che non ci fossero altre schegge di vetro nelle vicinanze) e le lasciava abbastanza cibo e acqua davanti ai piedi, dal momento che passava la maggior parte delle sue giornate fuori casa. Ma la cosa migliore era che poteva andare al bagno due volte al giorno, anche se sotto sua stretta sorveglianza.
Sbuffò annoiata; non sapeva quando Ryuzaki avrebbe commesso il secondo omicidio, eppure aveva una strana sensazione.
Guardò la telecamera fissa davanti a lei: suo fratello riceveva quei nastri ogni giorno. Pensò che oramai doveva essersi fatto un’idea precisa di dove la tenevano nascosta, dall’alto della sua genialità.
Certo, l’obiettivo era posizionato in modo che non si capisse che tipo di stanza fosse, dal momento che veniva ripreso solo un muro bianco con delle tubature; ma se davvero L aveva più mezzi di una squadra d’intelligence, avrebbe come minimo controllare palmo a palmo quella dannata città pur di trovarla.
Los Angeles era una metropoli, e una settimana era troppo poco per controllarla tutta, bisognava ammettere; inoltre Ryuzaki non era tanto stupido da permettere alla polizia di risalire al mittente dei nastri.
Eppure Rumer sapeva che queste erano tutte scuse che trovava per sentirsi meglio: se suo fratello non l’aveva ancora trovata era per il semplice fatto che non aveva ancora deciso di intervenire.
Perché la sua inutile coinquilina aveva deciso di prendersi un mese di ferie proprio adesso? Non avevano neanche un magnifico rapporto, quindi di certo non l’avrebbe chiamata tutti i giorni.
Come spesso le capitava ultimamente, si mise a pensare a Ed: magari lui aveva avvertito la polizia, non vedendola più venire al lavoro.
Ma lei era considerata una tipa strana e non a torto; poteva benissimo aver deciso di cambiare città senza avvertire nessuno.
Maledizione! Quel suo stile di vita solitario ed estremo le aveva solo procurato un mare di guai.
Sentì i passi di Ryuzaki avvicinarsi, e infatti poco dopo apparve sulla soglia con la sua solita postura ingobbita.
Rumer, che era sdraiata di traverso per terra, non si preoccupò di mettersi a sedere, guardandolo dal basso verso l’alto con espressione interrogativa.
“Hai un odore  nauseante. Riesco a sentirlo dalla mia camera.” Disse mangiucchiandosi l’unghia del pollice, fissandola con i suoi enormi occhi da panda.
Quel pazzo riusciva sempre a farla rimanere senza parole: stavolta era stato il suo ammirabile tatto.
“Complimenti per i riflessi genio. Sono incatenata ad un muro da una settimana; il mio livello di igiene è pari a zero, e per di più siamo in Agosto. A Los Angeles.”
Per tutta risposta Ryuzaki si chinò a sganciare le manette. “Vieni.” La tirò su senza sforzo, caricandola in spalla.
“Ehi fermo! Mettimi giù!” urlò lei, iniziando a colpirlo debolmente sulla schiena ingobbita.
Lui non fece una piega e la portò in bagno, scaricandola senza molte cerimonie sul piatto della doccia.
Il getto di acqua ghiacciata sulla pelle calda le tolse il respiro per un momento.
“AHHHH!!!” probabilmente quell’urlo lo avevano sentito fino in strada.
Ryuzaki la teneva incollata al muro con un braccio, mentre con l’altro reggeva il rubinetto della doccia, come quando si lava un cane.
“E’ ghiacciata!” si lamentò la ragazza.
“Mi dispiace, ma qui non c’è l’acqua calda.” Disse lui tranquillamente, passandole un flacone bianco.
Bagnoschiuma alla fragola. “Scherzi?” disse guardandolo sconvolta.
“Era in offerta.” Un sorriso enigmatico gli illuminò il volto.
Rumer aveva la pelle d’oca e i vestiti completamente incollati al corpo. “Hai intenzione di rimanere qui tutto il tempo?” chiese.
“Certo. Non vorrei che provassi a fare qualche mossa azzardata come l’ultima volta.”
“Sei proprio un maniaco!” sbottò furibonda.
Ryuzaki alzò gli occhi al cielo di fronte alla reticenza della ragazza; non capiva tutto quel pudore improvviso: l’aveva vista in situazioni ben più imbarazzanti. “Credimi, in questo momento non ispireresti pensieri impuri neppure ad un erotomane condannato all’isolamento. E’ uno dei motivi per cui ho tolto lo specchio.” Biascicò annoiato.
“Se il tuo era un tentativo di fare una battuta non sei stato divertente, sappilo.”
“Hai a disposizione tre minuti, dopo di che passerà un’altra settimana prima che potrai usare la doccia di nuovo. Io ne approfitterei se fossi in te.”
Rumer aveva uno sguardo di fuoco “Bene!” sbottò.
Prese a spogliarsi con gesti meccanici, senza però levarsi la biancheria, e ad insaponarsi con forza. Voleva togliersi dalla pelle tutto lo sporco, il sudore, il sangue e l’umiliazione di quei giorni.
Il profumo stucchevole della fragola riempì presto il bagno. Dopo l’impatto iniziale, l’acqua fredda non era poi così male, in fondo era piena estate. Sentì i muscoli sciogliersi lentamente sotto quel getto, regalandole nuova vitalità.
Per un attimo si dimenticò persino che il suo aguzzino la stava guardando; chiuse gli occhi mentre l’acqua le scorreva tra i lunghi capelli scuri, appesantendoli sulla schiena. Si lasciò scappare un sospiro di piacere.
Ryuzaki la osservava insaponarsi come si osserva un muro bianco: senza il minimo interesse. Non sapeva per quale motivo la cosa le creasse una punta di fastidio, orgoglio femminile forse. Insomma non si era mai considerata bella, tutt’altro: aveva le forme di un ragazzino e quel periodo di torture non doveva aver certo giovato sul suo fisico. Ma era pur sempre una donna!
Magari Ryuzaki era gay, pensò la ragazza osservandolo di sottecchi. Questo avrebbe spiegato anche quella malsana ossessione nei confronti di suo fratello.
“So a cosa stai pensando.” Disse lui d’un tratto, porgendole un asciugamano ruvido ma pulito.
“A si? Sentiamo.”
“Credi che io preferisca gli uomini perché non ti trovo desiderabile.”
Rumer si congelò sul posto, mentre cercava di legarsi addosso l’asciugamano.
“Come diavolo hai fatto?” si sentì imporporare le guance dalla vergogna.
“Ho tirato a indovinare. Sembravi quasi contrariata prima quando non ho fatto apprezzamenti sul tuo corpo. Voi donne siete tutte uguali.” Sbuffò.
“Dunque è vero?” chiese lei.
“Non che la cosa ti riguardi, ma no. E per la cronaca: tu sei molto più carina di tuo fratello.” Disse atono.
Rumer abbassò lo sguardo imbarazzata, finché lui non parlò di nuovo.
“Tieni, puoi indossare questo vestito mentre lavo la tua roba.” Le porse un semplice abito rosso senza maniche.
“Immagino che tu non abbia intenzione di voltarti, giusto?” Il ragazzo annuì.
Rumer si fece scivolare l’abito sopra la testa e poi, con movimenti contorti, sfilò da sotto l’asciugamano e la biancheria bagnata.
“Sei una persona davvero buffa, lo sai?” chiese Ryuzaki.
Il vestito era un po’ largo, ma era pulito e molto carino.
“Dove lo hai preso?”
“Perché, non ti piace? Penso che il rosso sia un colore che ti doni molto.”
“No, non è per quello…ero solo curiosa.” Aveva uno strano profumo addosso, si vedeva che era usato.
“Appartiene alla madre della mia prossima vittima.”
Fu come essere colpita in pieno da un fulmine “Come?”
“Gliel’ho sottratto oggi, durante il mio ultimo sopralluogo. Lei non c’era ovviamente: è partita per un viaggio di lavoro.”
Rumer era tentata di strapparselo di dosso, ma non riuscì a muoversi, mentre cercava di assimilare l’ultima informazione ricevuta.
“Hai detto madre della vittima?” il respiro si era incastrato in gola, rendendole la voce strozzata.
“Si.” Ryuzaki la stava fissando con interesse.
“Quanti…” non riuscì a finire la frase, ma lui parve capire lo stesso.
“Tredici anni. Si chiama Quarter Queen.”
Tredici anni? Era una bambina! Rumer fu pervasa dall’orrore, mentre il bagno prese a girare vorticosamente e il fiato abbandonava del tutto i suoi polmoni.
“O mio Dio.” Si portò una mano alla bocca, iniziando a tremare.
“Rumer, calmati.” Ryuzaki adesso aveva l’aria preoccupata. Doveva essere sbianca di colpo, perché le afferrò i polsi e le ordinò di respirare, scuotendola con forza.
Scivolarono insieme sul pavimento del bagno, lui in ginocchio davanti a lei.
“Come puoi fare una cosa del genere? E’ soltanto una bambina.”  urlò.
“Sarebbe morta comunque domani.” La stretta sui polsi si intensificò leggermente.
“Smettila di dire così, sei un mostro!” Rumer iniziò a piangere senza ritegno. Lui aspettò in silenzio che i suoi singhiozzi scemassero, senza mai lasciarla andare.
“Perché proprio lei?” chiese dopo un po’.
“Era necessario che andasse così. Fa tutto parte di un piano più grande; lo capirai presto.” Il suo tono era più incolore del solito.
Non sarebbe servito a nulla tentare di fargli cambiare idea. Senza aggiungere altro si fece trascinare e incatenare nella stanza, come se fosse una bambola rotta.
Non toccò cibo quella sera, e restò sveglia per tutta la notte.
Alle prime luci dell’alba del 4 agosto Ryuzaki uscì da quel magazzino abbandonato, mentre Rumer scivolava in un sonno agitato.
 
La svegliò l’intenso odore dolciastro della marmellata di fragole. Ryuzaki era accovacciato davanti a lei, intento a leccarsi con gusto le lunghe dita pallide. Il rosso sulle sue dita, così simile al sangue, le fece venire i brividi di colpo.
Rumer guardò fuori dalla finestra: aveva dormito tutto il giorno, e ora la notte stava calando su L.A.
Senza dire una parola afferrò la bottiglietta d’acqua e la scolò d’un fiato.
“Hai intenzione di continuare lo sciopero della fame?” chiese Ryuzaki.
“Lasciami in pace.”
“Perché ti comporti così?”
Lei lo guardò sbigottita “E me lo chiedi pure? Ho addosso il vestito di una donna a cui hai appena ammazzato la figlia! Riesco a sentire il suo odore.”
“Tu non la conoscevi.”
“Non c’entra niente.”
“Allora spiegami per quale motivo hai reagito in questo modo. Non è la prima persona che uccido da quando sei qui. La scorsa volta ho ammazzato un uomo di 44 anni: l’ho strangolato e gli ho inciso 12 numeri sul petto con un coltello. Vuoi forse dirmi che è meno grave? Eppure tu non hai battuto ciglio anzi, ti sei messa a giocare con me alla piccola investigatrice.”
Rumer era disgustata dalle sue parole. “Non mi sono mai divertita in questa storia Ryuzaki. Mi hai rapito, torturato e umiliato nei modi peggiori che possano esistere, e mi parli di gioco? Sapevo che eri un folle ma non pensavo fino a questo punto!” Aveva il fiato corto per la collera.
Il killer l’aveva fissata per tutto il tempo con espressione indecifrabile “Non pensavo che saresti crollata così in fretta, Rumer; ti credevo più forte.” Disse con disappunto.
Lei non ci vide più: caricò tutto il peso del corpo sulle gambe e gli sferrò un potente calcio al fianco destro.
Ryuzaki lo schivò per un pelo, balzando all’indietro e lasciando cadere il barattolo di marmellata che si infranse ai suoi piedi.
“Maledetto!” urlò “Ho resistito fin troppo invece. Non sono il tuo animale da compagnia, sono una persona.”
Dentro di sé, sapeva perfettamente che urlare come una pazza non sarebbe servito a nulla se non a farlo arrabbiare, ma aveva bisogno di sfogarsi in qualche modo. “Vuoi sapere perché me la sono presa tanto? Perché quella era solo un bambina, ecco dove sta la differenza! Una bambina che doveva ancora crescere, fare le proprie esperienze, sbagliare e imparare a vivere; ma soprattutto che non aveva alcuna possibilità di difendersi di fronte ad un uomo come te.”
Ryuzaki le si avvicinò di colpo, cogliendola di sorpresa, e la spinse con forza contro la parete, avvicinando la bocca al suo orecchio* “Ascoltami bene Rumer, perché non voglio che ci siano dei rancori tra di noi, proprio ora che abbiamo imparato ad andare d’accordo. Tu non hai mai compreso davvero il motivo per cui io lo stia facendo. So che non mi credi, ma quando scelgo una vittima uno dei fattori in base a cui lo faccio è davvero la loro data di morte.
Mi ritengo molto più di un assassino qualsiasi che uccide per il solo gusto di farlo. Ti sembro forse il tipo di persona che si diverte a sventare e mutilare bambine a caso? No!
Io ho un dono e mi limito semplicemente ad usarlo per uno scopo più grande; sono solo un mezzo. Un mezzo per dimostrare che la giustizia su cui si basa L è una giustizia fittizia. E’ facile nascondersi dietro ad una lettera ed essere libero di usare mezzi e uomini di tutto il mondo per compiacere i propri scopi. Non si dice forse che la giustizia è uguale per tutti? Che uguaglianza c’è nel nascondersi, Rumer? L è solo un opportunista. Ma io non lo sono e sto semplicemente cerando di dimostrare quanto tutto questo sia patetico.”
Quel discorso era un concentrato di pura follia; Rumer avrebbe voluto urlargli tacere, ma il fiato era bloccato in gola, mentre sentiva il corpo di Ryuzaki tremare contro il suo e le sue mani artigliarle le spalle, tenendola inchiodata al muro, senza lasciarle alcuna via di scampo.
“Quando ti dico che con Quarter Queen non c’era niente di personale, capisci che ti dico la verità? Anche tu sei una vittima di L se ci pensi bene. Ha fatto qualcosa per proteggerti in tutti in questi anni, quando hai vissuto per strada, quando sei stata aggredita, quando da piccola vivevi in quel terribile orfanotrofio? No. Ha fatto qualcosa per prevenire che qualcuno ti rapisse per ricattarlo, ricoprendo lui un ruolo così importante? No. Ma soprattutto, ha fatto qualcosa per venirti a salvare da quando sei rinchiusa qui dentro, sebbene fosse al corrente delle torture che hai subito in base ai nastri che gli ho inviato ogni singolo giorno? No, maledizione!”
“Stai zitto!” ruggì allora tra le lacrime, come risvegliata da uno stato di trance.
Ma lui continuò imperterrito, stringendola ancora più forte a sé “ Nonostante abbia forze e mezzi a sufficienza per farlo non ha mosso un dito. Perché a L non importa non importa nulla al di fuori della sua sfera d’azione, a meno che non gli intralci il percorso. E’ questo quello che sto cercando di fare: io gli sto dando fastidio. Sono l’unico che può fare una cosa del genere, l’unico che può sbattergli in faccia la verità, perché io sono come lui. Mi hanno fatto diventare come lui! Tutto quello che mi sto limitando a fare è prendere il corso della natura degli eventi ed usarlo a mio piacimento. Io ho sfidato L e lui ha accettato la sfida. Quindi non biasimare solo me, perché in questa storia la colpa si trova nel mezzo.” Concluse, staccandosi finalmente da lei, per guardarla in faccia con i suoi occhi cremisi.
Rumer lo fissò con odio, riprendendo finalmente fiato, con la testa in confusione “Lasciami sola. Non voglio starti a sentire stanotte: lasciami almeno il diritto di crollare in pace.” Si rannicchiò su se stessa, poggiando la testa sulle ginocchia per non dover soccombere sotto il suo sguardo di fuoco, mentre Ryuzaki si decideva finalmente ad abbandonare la stanza in silenzio.
 
Restò molto tempo al buio, con le braccia serrata attorno alle ginocchia, ad ascoltare il battito furioso del suo cuore.
Non aveva mai provato tanta rabbia e paura in tutta la sua vita. Si impose di calmarsi, ma le parole di Ryuzaki non facevano altro che rimbombarle nel cervello.
Uccidere era sbagliato, su questo non c’erano dubbi. Ma alcuni crimini erano peggio di altri, o no? Da quando aveva conosciuto quell’uomo sentiva che tutte le sue conoscenze venivano puntualmente messe in discussione.
Sciocchezze. Non doveva farsi incantare dalle sue parole. Però era vero  che aveva reagito in modo diverso stavolta.
Quell’uomo era stato strangolato e usato come lavagna per scrivere; ma una bambina era sempre una bambina.
Quarter Queen: non riusciva a togliersi quel nome dalla testa. Era insolito, sicuramente molto raro da trovare in giro.
Più se lo ripeteva in testa, più capiva che c’era qualcosa di strano nascosto dietro. Sapeva bene che Ryuzaki non aveva un legame personale con le sue vittime, quindi doveva sceglierle in base a connotati precisi.
Che le vittime si conoscessero tra loro? Magari Believe Bridesmaid era un amico della madre di Quarter. No, si sentì di escludere questa ipotesi. Sarebbe stato troppo facile per la polizia trovare un collegamento.
Believe Bridesmaid. Quarter Queen.
Entrambi avevano uguali le iniziali del nome e del cognome; poteva essere solo una coincidenza?
Il suo sguardo vagò per la stanza fino a posarsi sulla scritta nera nel centro del pavimento: l’enigma dello scorso omicidio.
Ryuzaki aveva detto che sul petto della vittima erano stati incisi dodici numeri. I numeri non solo corrispondevano a delle pagine, ma anche a delle lettere all’interno di queste.
Quarter Queen: 12 lettere.
Non era affatto una coincidenza, quella bambina era già stata scelta come seconda vittima da tempo.
Il suo cervello stava lavorando freneticamente alimentato dalla rabbia: chiuse gli occhi e si focalizzò sui due nomi.
Believe Bridesmaid era un adulto mentre, Quarter Queen era una bambina.
B. B. e Q. Q.
Sentiva che era sulla pista giusta, ma mancava un dettaglio: la B e la Q non erano lettere simili, e solitamente un serial Killer sceglie sempre elementi in comune che uniscano le vittime.
L’assassino aveva detto che c’era un motivo se quella bambina era stata scelta come vittima. Per quale motivo bisognerebbe uccidere una bambina? Non era altro che un essere piccolo e indifeso.
Piccolo.
E se quella fosse la chiave? Se Quarter Queen fosse stata uccisa proprio perché era una bambina?
Sospirò.
Era solo un gioco, una partita tra due geni: il detective e il criminale. Non c’era posto per lei, dotata di un cervello assolutamente normale.
Eppure Ryuzaki seminava apposta indizi sulle scene del crimine, quindi anche stavolta doveva averne lasciato uno. Se per Quarter era troppo tardi, forse per la prossima vittima si poteva ancora fare qualcosa.
Ma lei non sapeva assolutamente nulla di questo omicidio; avrebbe dovuto farsi raccontare ogni dettaglio dal killer, e non sapeva se avrebbe retto.
Alzò la testa di scatto guardando la telecamera; doveva provarci a qualunque costo.
Era l’unica persona ad essere a conoscenza di quei crimini, quindi aveva il dovere morale di intervenire.
Doveva solo calcolare bene i tempi.
Tra il primo omicidio e il secondo erano passati 4 giorni: questo voleva dire che, se Ryuzaki seguiva una linea temporale tra i delitti, le restavano ancora tre giorni. Se riusciva a farlo parlare senza destare troppi sospetti L avrebbe avuto il nastro il giorno prima del terzo omicidio.
Poteva bastare, si disse.
 
 
 
*il discorso di B è liberamente tratto dal discorso che fa Joker nel film “Il cavaliere oscuro.” Non so perché abbia pensato a lui, ma credo che tra geni folli ci sia sempre un certo feeling.
 

   
 
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