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Autore: Gloom    06/04/2012    1 recensioni
-Sai, essere figli di genitori che non si amano è una fregatura: dentro noi siamo per metà come un genitore e per metà come l‘altro. Se non sono riusciti a restare insieme loro, ancora più difficile sarà per noi. . . Perché loro si sono potuti separare; noi invece dobbiamo faticare per mettere d’accordo geni incompatibili dal principio.
 
L'Allegra Brigata non aveva altre ambizioni se non quella di passare indenne i sedici anni dei propri componenti. Ma quando mai le cose più semplici danno mostra di esserlo? Lauretta, Giak, Cicca, Margherita e Riccardo dalla loro hanno che si vogliono bene: per il resto, che si preparino pure ad una sfida dalla quale nessuno uscirà indenne... c'è una spiaggia alla fine della corsa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ovviamente Giak e Alex iniziarono a sentirsi: semplici messaggi che si trasformarono in chiacchierate, altre chiacchierate, al telefono e a voce; fino a quando, un paio di settimane dopo la riconciliazione, Giak non osò chiederle di uscire. Ci aveva pensato a lungo ed era arrivato ad una conclusione: le cose sono due: o sparisce di nuovo, e in quel caso me lo aspetto, oppure. . .
 Alex aveva scelto l’oppure.
Un sabato di inizio febbraio vide Giak alle prese con un’ansia alla quale non era mai abituato: non era mai successo che una ragazza gli interessasse così tanto. Durante la mattina Cicca, Riccardo, Margherita e Lauretta (sì, anche Lauretta) gli avevano consigliato tutto il consigliabile (i posti dove portarla, le frasi da dire e quelle da non dire, i punti in cui guardare), ma soprattutto si erano raccomandati con lui di tenere acceso il cellulare per tenerli aggiornati. Era per questo che lui l‘aveva appena spento, ed ora si accingeva a presentarsi sul luogo dell’appuntamento.
 
Aspettava paziente all’inizio di quei venti metri di portici che Polverano offriva. Ogni tanto salutava dei conoscenti, decifrando i saluti da dietro le cuffiette, poi tornava ad aspettare. L’appuntamento era per le sei e lui era lì con qualche minuto di anticipo; non che fosse così impaziente, la colpa era di quello stupido autobus e dell’autista convinto di poter prendere le curve come alla Formula 1.
 Le sei arrivarono, passarono, ma di Alex neanche l’ombra. I Sum 41 cantavano già da un po’ mentre Giak si cominciava a preoccupare. Affondò le mani nelle tasche della giacca e a vederlo così, solo, con le cuffie alle orecchie e nient’altro che un cappotto e una sciarpa a proteggerlo da freddo, mi fa davvero tanta tenerezza.
 Era proprio così che Lauretta se lo stava immaginando, seduta in camera sua. A momenti sarebbe uscita con Sara e poi avrebbe raggiunto Riccardo e Cicca all’Aquilotto, ma nel frattempo fremeva di curiosità.
Giak non le toccava minimamente le corde del cuore, ne era sicura; solo che nutriva nei suoi confronti una specie curiosa di affetto, come se dovesse proteggerlo da qualcosa che gli avrebbe fatto molto molto male.
 Giak aspettava. Ormai la musica era rumore nelle sue orecchie e, per essere arrivato a quel punto, voleva dire che i pensieri avevano ormai preso il sopravvento. Stava rasentando la disperazione, quando la vide.
 Quant’era carina: portava un cappotto di stoffa lungo fino alle ginocchia, grigio chiaro. Su bavero c’era attaccata una spilla con un grosso fiore della stessa lana del cappotto. Portava anche una sciarpa scura, blu o forse nero, e sulla spalla una borsetta a tracolla. Jeans, e sopra ai jeans stivaletti scuri.
Dimostrava almeno due anni in più di quelli che aveva. Forse era il trucco, perfettamente posato su quegli occhi così intensi. Forse erano i capelli curati come quelli delle tipe in tv.
Forse era quella pelle maledettamente brillante e soffice, che faceva mozzare il respiro a Giak.
 -Ciao!- disse venendogli incontro, trafelata. Giak si staccò le cuffie dalle orecchie, col cuore che batteva. Cavolo, come batteva. L’ultima volta che si era trattato di una ragazza non l’aveva quasi sentito. Ma ora…
 -Ciao-.
 -È molto che aspetti?- chiese lei.
 -No, figurati. . . avevo la musica- disse come ad annullare quei maledetti quindici minuti di ritardo.
 -Scusa davvero, ma non mi ero resa conto. . . che facciamo, camminiamo un po’?- propose Alex. Giak annuì e passeggiarono per il corso.
 Era sempre stato facile parlare con lei, ma in quel momento Giak avvertiva una pressione sul torace tale da fargli dimenticare come funzionassero le sinapsi (e come questo fosse possibile, anatomicamente parlando, non sarebbe mai riuscito a spiegarselo). Tuttavia Alex era una buona conversatrice, quindi si salvò.
Passarono un altro paio di quarti d’ora, poi qualcosa cadde dal cielo.
 -Ferma, hai una cosa tra i capelli. . .- disse lui. Si bloccò.
 -Che c’è?-
 -Ehm, è sparito-.
 -Come sarebbe?-
Giak alzò lo sguardo, e contemporaneamente girò il palmo della mano verso l’alto:
 -Era un fiocco di neve. Nevica- disse con tono sognante.
 -Oh, wow-.
 I due rimasero per un po’ l’uno di fronte all’altra, mentre attorno a loro minuscoli granuli bianchi cominciavano a volteggiare.
 -Mi sa che è il caso di ripararsi, che ne dici?- sorrise lei.
 -Mi sa di sì. . .-
 -Vieni, ti porto in un posto. È tranquillo e caldo-.
Alex lo condusse attraverso un vicoletto talmente stretto che non vi erano ancora penetrati i fiocchi di neve, poi sbucarono in una piazzetta.
Entrarono in un bar piccolo e accogliente. C’erano diverse coppiette, ma anche gruppi di amiche attorno a diversi tè e cioccolate.
 -Sedici anni di vita e non sapevo dell’esistenza di questo poso. Spettacolare- disse Giak. Avrebbe voluto aggiungere che non ne era neanche poi così rammaricato, ma pensò fosse più saggio tacere.
 -Queste sono le basi, caro mio! Credo che scriverò un libro: come evitare che ti si gonfino i capelli quando sei fuori e comincia a nevicare-. Alex ridacchiò e Giak sorrise nel vederla ridere.
 -Ah, ecco qual era il problema!-
 -A parte quello, stavo morendo di freddo-.
 -Ti offro qualcosa-.
 -Lascia stare, faccio io. . .-
Una cameriera si avvicinò e, prima che Alex potesse dire qualunque cosa, Giak si affrettò:
 -Due cioccolate calde, una alla vaniglia e una bianca-.
 La cameriera annuì e tornò al bancone.
I due parlottarono fino a quando non arrivarono le cioccolate. Quando la cameriera l’ebbe posate e si fu allontanata di nuovo, Giak le mise davanti al naso di Alex:
 -Scegline una- disse. Alex abbassò lo sguardo, imbarazzata e sorridente.
-Sei un mostro- disse.
 -Dai!-
 Alex prese la cioccolata bianca. Avvicinò la tazza alle labbra e cominciò a sorseggiarla. Giak la fissò rapito e lei se ne accorse:
 -Non guardarmi così, mi imbarazzo!- sorrise. Le si erano colorate le guance di rosso.
 -Ottima scelta, signorina. Spero che la degustazione sia di suo gradimento-. Poi Giak le fece una linguaccia e ingollò un sorso dall’altra cioccolata come se fosse mezza pinta di birra.
L’esofago protestò per il calore, ma Giak lo mise a tacere. Non era quello il momento.
 
Alex disse a Giak che le sue amiche l’avrebbero aspettata per cena a una pizzeria vicino. Giak pagò le due cioccolate (“dai, faccio io!” aveva detto Alex, ma lui le aveva intrappolato i polsi e la cameriera alla cassa aveva alzato gli occhi al cielo mentre lui cercava gli spiccioli con una mano sola), poi uscirono dalla cioccolateria. La neve aveva già quasi attecchito per le vie più larghe e nel mezzo dei vicoli c’erano solo quei pochi fiocchi che erano riusciti a posarsi sui sampietrini, passando attraverso i tetti degli antichi palazzi.
 Giak e Alex non passarono per il corso questa volta: preferirono i vicoli semi bui e pressoché deserti.
 -Non hai freddo?- disse Alex a un tratto.
 -Dovrei?-
 -Be’ sì. Io sto camminando sotto questo tetto, vedi, ma tu per starmi affianco ti stai coprendo di neve-.
 Giak si fermò di scatto e alzò lo sguardo.
 -Hai ragione-. Poi si alzò il cappuccio della giacca sulla testa.
 -Così va meglio?-
 -Per te sì, ma per me no. . .-
 -Ragazza, o l’una o l’altra. Perché non ti va bene?-
 Alex sorrise, un po’ imbarazzata: -perché non posso vederti in faccia, con tutto questo cappuccio addosso-.
 Giak alzò gli occhi al cielo: stava per stringersi stupidamente nelle spalle, quando Alex gli si fece più vicina.
 -Be‘, almeno sei al caldo. . .- si avvicinò di più e lo baciò.
 Ora sì che Giak stava al caldo. Alex strinse le dita ai bordi del suo cappuccio, nascondendocisi sotto, e lui la cinse per le vita. Quando si staccarono ci fu il tempo di un rapido sorriso e poi seguì un altro bacio, e un altro, e un altro. . .  
 
-QUESTO È PER GIAK E PER LA SUA SERATA!!- esclamò Cicca alzando un bicchiere di super alcolico. Riccardo lo seguì a ruota e Lauretta idem, alzando anche il braccio di Margherita che, miracolosamente, aveva concesso agli amici quel sabato sera.
 Giak sorrise, mordendosi il labbro soddisfatto, poi alzò anche il suo bicchiere.
I cinque brindarono, poi avvicinarono i drink alle bocche e bevvero una lunga sorsata.
 Erano all’Aquilotto, come al solito, solo che adesso fuori c’era una bufera di neve che stava aumentando sempre più di intensità.
Dopo aver salutato Alex (e ce ne era voluto per salutarla), Giak aveva raggiunto gli amici per prendersi una pizza al taglio e loro avevano proceduto con l’interrogatorio, sperando che lui avesse qualcosa da raccontare. Be‘, ce l’aveva: aveva raccontato tutto con un sorriso sulla faccia che scaldò il cuore a Lauretta, Riccardo e Cicca, anche se loro non l’avrebbero mai ammesso davanti a lui.
 -Oddio, guardate come sta contento!- esclamò Margherita sorridendo.
 -Che bella cosa. Giak, sono davvero felice per te- aggiunse Lauretta.
In realtà lei ci aveva riflettuto: Alex non le stava particolarmente simpatica, ma vedere il suo amico così felice a causa sua le faceva conquistare diversi punti. Chissà, magari era davvero una brava ragazza.    
 -Grazie. . . sì, anche io. . . voglio dire. . .-
 -Ce l’hai fatta amico, ce l’hai fatta! Siamo tutti orgogliosi di te. . - questo era Cicca.
 -Già! Sei stato un grande. Non è da tutti adocchiare una ragazza sull’autobus, diventarci amico e poi. . . Giak, sei il mio mito!- esclamò Riccardo.     
 -Quando vi rivedrete?- chiese Margherita.
 -Boh. . . mi ha detto che ci saremmo sentiti stasera. . . però ehi, andateci piano: abbiamo pomiciato, ok, ma. . .-
 -Lascia stare le pippe mentali. Le ragazze non sono così bastarde: se le cose si mettono male, ma tanto non accadrà, stai sicuro che lei si farà sentire prima di fare qualunque bastardata. Tranquillo- disse Riccardo.
 -Ha ragione, fidati- sorrise Margherita.
 -Be‘, lo spero. . .- Giak non continuò la frase, ma sorrise e bevve l’ultimo sorso del drink.
 
Il giorno dopo tutti si svegliarono sotto una coltre bianca che fece squittire di gioia Daniele, costringendo Giak a prenderlo a palle di neve per soddisfarlo. Il nostro uomo si sottopose di buon grado al gioco, ma tutto era dovuto a quei messaggi sdolcinati che si era scambiato con Alex la sera prima, perché riuscirono a garantirgli un buon umore stupefacente.
 Giak e Daniele uscirono sotto casa a distruggersi di neve e poco ci volle perché si unisse, seppur restando un po’ sulle sue, Lucio. Così i tre fratelli trascorsero una piacevole e cruenta mattinata sulla neve, lasciando dentro casa quei genitori che volevano rendere tetra anche la domenica mattina.
 
 Lauretta e Margherita invece passarono il tempo al telefono, discutendo della nuova coppia. Erano entrambe felici, anche se Margherita era convinta che, sotto sotto, Lauretta fosse gelosa; tuttavia, per quanto potesse negare, Margherita restava convinta, così dopo un po’ l’amica lasciò perdere.
 
Cicca ronfava beatamente. Lui non aveva fratelli con cui giocare o amiche pettegole con cui chiacchierare. Ronfava e stava pure bene così. Forse verso mezzogiorno si sarebbe alzato, ma chissà. Ancora non si era accorto che fuori tutto era bianco, e ancora non sapeva quanto sarebbe diventato euforico alla vista di tutta quella neve e alla notizia che il tg regionale avrebbe diramato verso le sette di sera.
 
Riccardo invece si era dovuto svegliare troppo presto, in un orario considerato ingrato per una domenica mattina.
La colpa era di suo fratello: aveva approfittato del fatto che i genitori erano usciti e si era messo a provare nuove canzoni per il suo gruppo.
Riccardo si girò dall’altro lato, grugnendo, ma non riuscì a riprendere sonno. Accidenti a Mauro.
 Dopo un quarto d’ora si srotolò dal piumone e si alzò, massaggiandosi le tempie. Non che avesse bevuto molto la sera prima, ma svegliarsi con quegli accordi appena accennati non era proprio un toccasana.
Mauro non se la cavava male, per carità: quando poi venivano anche alcuni degli altri membri del gruppo era piacevole a sentirsi. Spesso veniva il bassista, a volte anche la cantante (e quando arrivava lei Riccardo si rifaceva gli occhi, eccome). Erano al completo con il batterista, anche se quando veniva anche lui difficilmente combinavano qualcosa, dato che ovviamente non si portava dietro il suo strumento.
Ma sentirlo strimpellare da solo, quando cercava di imparare canzoni nuove, non era altrettanto piacevole.
 Riccardo scese nella taverna e fece cenno a Mauro di piantarla.
Lui smise di suonare solo per intimargli di non rompere.
 -Ma devi provare proprio di mattina?- esclamò Riccardo.
 -Evidentemente sì!-
 -Voglio dormire! Ricomincia oggi pomeriggio, sennò te la rompo quella chitarra-.
 -Oggi pomeriggio ho da fare, quindi posso provare solo ora-.
 -E che dovrai fare di così importante?!-
 Mauro non rispose, ma arricciò le labbra in un ghigno e pizzicò le corde della chitarra.
 -Allora?- lo incalzò Riccardo, che già di prima mattina doveva smaltire l’incazzatura.
 -Devo uscire con una-.
Riccardo alzò un sopracciglio, perplesso.
 -Con chi?- chiese.
 -Perché dovrei dirtelo?-
 -Perché mi voglio fare i fatti tuoi-.
 Mauro soppesò l’ipotesi di riferire al fratello quello che voleva sapere.
 -Non la conosci-.
 -E tu che ne sai?-
 -Sei una rottura. Si chiama Bianca, ok?-
 -Bianca e poi?-
 -Bianca Glossa. Non la conosci, è più grande di te-.
 Riccardo scartabellò nel suo archivio mentale.
 -La sorella di Fabrizio?-
 -Eh, quella-.
 -So chi è, ha solo un anno più di me. È carina. . . ma tanto non te la da. Non quando c’è il fratello che le fa da guardia del corpo-.
 -Tu lascia fare, lascia fare. Anzi, già che ci siamo prendo la tua cinta, quella di pelle con la fibbia grande-.
 -No! La mia cinta non si tocca!-
Riccardo si lanciò all’inseguimento del fratello, che aveva poggiato con amore la chitarra e ora correva a perdifiato verso la cinta che bramava per sé. 
 Mauro riuscì ad entrare nella camera del piccolo, ma Riccardo gli si gettò addosso, bloccandolo sul letto ancora sfatto.
 -Andiamo, solo per oggi!-
 -Anche la maglietta con la fiamma era “solo per oggi“, invece sono settimane che la metti!-
 -Si ma una cinta non è una maglia. . . lasciami!- Mauro si divincolò.
 -Sempre a litigare!- proruppe una voce.
 Riccardo alzò lo sguardo e Mauro approfittò di quell’attimo di distrazione per sgusciare via dalla presa. Ma quando li aveva messi su tutti quei muscoli, il piccoletto?
 Sulla soglia della stanza c’era la madre, ancora vestita e con il cappotto in mano. I genitori dovevano essere appena tornati.
 -Gli ho chiesto se mi presta la sua cinta, ma non vuole!- si lamentò Mauro. Era lo stesso che pochi mesi prima era diventato maggiorenne, ma a piagnucolare era sempre un asso.
 -Riccardo, prestagliela: che ti costa?-
Riccardo alzò gli occhi al cielo: ormai aveva capito che ribattere era inutile. Quando il cocco della mamma andava a frignare, l’ultimogenito non aveva più speranze di uscire soddisfatto dalla controversia.
 -Quanto scommettiamo che se la tiene lui?- disse, lanciandogli la cinta con rabbia. Mauro la fece cadere prima di raccoglierla, e fu a quel punto che Riccardo gli disse addio.
 -Possibile che non riusciate ad andare d’accordo su niente? Riccardo, ma perché sei sempre così duro? Ti ha chiesto un favore!-
 -L’ho appena soddisfatto, non te ne sei accorta?-
 -Abbassa la voce-
 -Ci perdo sempre! Ma chi se ne frega tanto. Non mi importa, tanto appena faccio diciotto anni me ne vado. Mica come questo qui, che ancora frigna come un bambino!- esclamò Riccardo. 
 -Oh ma non rompere!- si intromise Mauro, che nel frattempo se la stava svignando.
 -Tranquillo, non romperò più, ormai non mi importa di scassare la balle a voialtri!-
 -Riccardo!-
 -Di che ti lamenti? Non venirmi a dire che mi comporto male io, perché il mio dovere lo faccio-.
 -Non è che, siccome hai tutti voti alti, allora sei a posto-.
 -Che altro pretendi, che strisci dietro a ogni ordine di Mauro?-
 -Sii più accomodante!-
 Con ‘sta ceppa!!
 Riccardo non rispose, ma si voltò e finse di mettere in ordine alcuni libri mentre aspettava che la madre lo lasciasse solo.
 Era sempre così: lui e Mauro che erano quasi tranquilli, a parte i soliti screzi tra fratelli; dopo una breve lotta glie l’avrebbe data la cinta, lo sapevano tutti e due. Poi però arrivavano i genitori, e lì Riccardo sbottava. Non li sopportava, non sopportava come stessero sempre dalla parte di Mauro. Ogni volta che si parlava di lui i loro occhi brillavano di orgoglio, come non succedeva mai quando si trattava di Riccardo.
Lui era riuscito a pensare di tutto: che era il figlio riuscito peggio; che non avrebbe mai eguagliato Mauro; che sarebbe sempre rimasto un fallimento.
E li detestava, li detestava.



Giusto perché sapevo che tifavate per Alex e Giak <3
  
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