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Autore: ___MoonLight    06/04/2012    4 recensioni
«Tu sei riuscito a creare qualcosa di buono, non solo per te stesso. Qualcosa in cui credi.»
Tony gli riservò solo un ostinato silenzio, al che Bruce esitò.
«Ci credi ancora, vero?»
«Che importanza ha? Ho mandato tutto in fumo,» replicò piattamente lui.
«Sei già rinato dalle ceneri, Tony. Davvero non puoi farlo ancora?»

L'Afghanistan ha segnato Tony e gli ha donato l'opportunità di cambiare in meglio la sua vita. Ma il destino ha tutte le intenzioni di mettergli nuovamente i bastoni tra le ruote, e l'immagine corazzata che si è costruito e dietro la quale tenta di riparare i torti commessi e quelli subiti non è più abbastanza per proteggerlo. Cosa succede quando l'uomo diventa davvero di ferro, anche senza armatura?
[Storia completa e revisionata]
Genere: Commedia, Drammatico, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Pepper Potts, Tony Stark/Iron Man
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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 -
As always





"And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's meant to be broken
I just want you to know who I am"

[Iris – Goo Goo Dolls]



17 Febbraio, Villa Stark, 11:30

Tony fissò con disappunto i resti dell'armatura, poco più che un blocco di metallo semifuso che aveva poco a che vedere con le splendide cromature rosso-oro che ricordava. La gamba destra era completamente accartocciata e piegata in un'angolazione innaturale; il braccio mancava del tutto, come tranciato di netto. Si portò istintivamente la mano al moncherino: non riusciva a capire come diavolo fosse successo. Aveva solo frammenti confusi di quei momenti, anche se ricordava con chiarezza di essere stato pestato a sangue da Stane già prima di finire sul tetto. Riusciva immaginare, anche se con sforzo e riluttanza, di essersi ferito la gamba in modo irrimediabile durante un qualche tipo di colluttazione con Iron Monger, ma non si spiegava comunque l'assenza totale del braccio, i cui resti non erano neanche stati rinvenuti.
Scosse la testa e voltò la sedia girevole per spostarsi alla sua scrivania: meglio rimanere nel presente. Prima o poi avrebbe ricordato, e non era neanche così sicuro di volerlo fare.
Adesso doveva concentrarsi e dare fondo a tutte le sue conoscenze per uscire dalla situazione in cui si era cacciato.
Prima di tutto, doveva rendere comprensibili i suoi appunti e schizzi, che erano decisamente senza capo né coda e del tutto campati in aria. Li esaminò per qualche minuto, raccapezzandosi a poco a poco in quel miscuglio di linee e bozzetti. La rozzezza di quei progetti gli riportò alla mente quelli della Mark I, ma scacciò il pensiero, preludio di ricordi poco piacevoli. Si concentrò nuovamente sul suo lavoro, riuscendo ad estrapolare un abbozzo di progetto vagamente plausibile, sebbene ancora lacunoso. Per ora aveva uno schizzo grossolano della struttura meccanica del braccio, che avrebbe poi tramutato in un modello virtuale più preciso e dettagliato. Avrebbe interamente dedicato un'altra sessione di lavoro alle parti circuitali ed elettroniche, decisamente più complesse.
Per prima cosa doveva trovare dei materiali che fossero idonei: non fu semplice, e dovette ripassare la tavola periodica e le leghe esistenti più di una volta prima di decidersi ad appuntare qualcosa sul foglio, in una grafia piuttosto incerta. Sbuffò sconsolato: non aveva problemi ad usare la sinistra per lavorare, ma era un'impresa riuscire a scrivere, e procedeva a rilento.
Decise comunque di non sfruttare JARVIS, per il momento: la progettazione era sempre più fruttuosa quando non si affidava completamente all'intelligenza artificiale nelle prime fasi.
Il telaio doveva essere sicuramente di un materiale robusto, inossidabile e che garantisse un minimo di elasticità, così da non spezzarsi con gli urti. Prese per un attimo in considerazione l'alluminio temprato, ma sarebbe stato troppo fragile e soggetto alle alte temperature, così optò per il titanio. Iniziò a stilare una serie di calcoli, distribuendo il metallo sul volume approssimativo delle ossa del braccio, ma si accorse che così avrebbe avuto un peso complessivo di quasi sei chili... decisamente troppi per un braccio umano. Si bloccò con la punta della matita a qualche millimetro dal foglio, picchiettandovi appena mentre raccoglieva le idee.
"Titanio cavo," si risolse infine.
Il peso totale sarebbe stato di quattro chili e mezzo, comunque più del normale, ma se fosse stato meno la struttura avrebbe ceduto. I vari cavi di collegamento sarebbero passati all'interno del telaio, al posto del midollo osseo. Sospirò quando si soffermò sullo snodo della spalla, trovando difficoltà ad eseguire calcoli così approssimativi: avrebbe dovuto progettare prima la piastra d'aggancio, ma per quella aveva bisogno dell'assistenza di Ian, che al momento era troppo occupato col suo lavoro vero per tener testa anche al "lavoro extra". Si diede comunque da fare, lavorando con ciò che aveva, e si trovò infine a fissare un bozzetto della struttura di supporto, pur schematico, in fase embrionale e corredato da appunti in un calligrafia pessima.
Il problema minore era risolto: ora doveva decidere come ricostruire i "muscoli". Doveva realizzare il braccio nei minimi dettagli, o avrebbe avuto difficoltà a controllarlo. Si rese conto che non avrebbe mai potuto riprodurre fedelmente la consistenza di un braccio reale, per quanto la cosa sarebbe risultata più gradevole, così decise di usare semplicemente della fibra di carbonio. Inutile crearsi più problemi del necessario: si sarebbe abituato al fatto di avere un braccio più rigido dell'altro. Le articolazioni gli diedero filo da torcere, ma dopo molti fogli cestinati e colorite imprecazioni riuscì ad abbozzarne un modello, sicuramente migliorabile.
Certo, il tutto doveva sfruttare l'alimentazione del micro-reattore che doveva
ancora progettare, ma poco importava: sapeva già come fare e non gli avrebbe preso più di mezza giornata in condizioni normali; adesso era questione di un giorno al massimo. Se ce l'aveva fatta in una grotta con gli scarti dei suoi stessi missili, adesso sarebbe stato un gioco da ragazzi, nel suo laboratorio iper-accessoriato.
Gli restava da fronteggiare l'ostacolo più grande, che aveva appositamente lasciato per ultimo: i nervi.
C'erano decine di leghe ed elementi conduttori, ma quanti potevano essere compatibili con dei nervi umani? Ian gli aveva parlato del rischio di rigetto: doveva prestare estrema attenzione nella scelta, perché avrebbe avuto un solo tentativo a disposizione. Se si fosse impiantato un materiale incompatibile avrebbe anche potuto morire d'infezione o andare in shock.
Si arrovellò sul problema per ore, scartando ogni soluzione che gli veniva in mente; provò persino a immaginare elementi inesistenti, ma si ritrovò solo con un gran mal di testa.
Rimase quasi tutto il pomeriggio nel laboratorio, pensando, scrivendo qualche elemento-campione per poi cancellarlo e distraendosi sempre più spesso nonostante la concentrazione che si era imposto di mantenere, interrotta sempre più spesso dalle spiacevoli fitte ai moncherini: l'effetto degli antidolorifici stava scemando e in teoria non avrebbe dovuto lasciare il letto per altre due settimane.
Iniziava a scoraggiarsi: forse Ian aveva ragione quando diceva che non era ancora possibile riprodurre il funzionamento del sistema nervoso. Aveva già preso in considerazione l'idea di costruire delle protesi che non fossero collegate direttamente ai suoi nervi, ma comandate a impulso come faceva con l'armatura, ma quell'idea lo disturbava. Gli sembravano troppo fragili e non riusciva a immaginarsele come vere e proprie parti di sé. Senza contare che, in quel caso, sarebbero state molto imprecise e propense a staccarsi in situazioni più dinamiche, e lui non voleva vivere in una teca di cristallo per il resto della sua vita. Aveva semplicemente accantonato l'idea, in una presa di posizione che sapeva essere rischiosa.
Questo significava che doveva davvero inventare lui una lega o addirittura un nuovo elemento che potesse essere utilizzato per i suoi scopi. Si rendeva conto di quanto fosse azzardata quell'impresa, oltre che molto probabilmente impossibile da realizzare e era ancor più improbabilmente applicabile.
Prese a sorseggiare con fare distratto un bibitone di clorofilla, assorto nei suoi ragionamenti anche per ignorarne il sapore nauseante. Ian gli aveva fatto notare che c'era una percentuale anomala di palladio nel suo sangue, e che avrebbe fatto bene a disintossicarsi prima che raggiungesse valori preoccupanti. Tony aveva sudato freddo per un istante, ma se l'era aspettato: era consapevole delle possibili ripercussioni del reattore sul suo corpo e aveva iniziato ad assumere clorofilla e integratori non appena rientrato dall'Afghanistan. A Pepper aveva spacciato la cosa come una semplice precauzione, cosa di cui era abbastanza convinto anche lui. La percentuale di palladio era molto bassa e sicuramente imputabile al fatto che si era dimenticato di assumere il suo "succo d'erba" durante il mese di ricovero. Si sentiva ridicolo a bere quegli intrugli, ma viste le sue condizioni di salute già precarie non aveva intenzione di rischiare.
Poggiò disgustato la bottiglia e tornò a scervellarsi per venire a capo del problema dei nervi. Dopo un'altra ora buttata, decise di dedicarsi alla miniaturizzazione del reattore: era decisamente più semplice, e poteva comunque essere riutilizzato per qualcos'altro, oltre ad alimentare degli arti meccanici.
Era consapevole di star evitando le difficoltà, ma in quel momento sentiva il disperato bisogno di fare qualcosa di concreto, o sarebbe impazzito. Si spostò al banco di lavoro slittando con la sedia e lo trovò in disordine come l'aveva lasciato un mese prima. Osservò il progetto abbandonato sul tavolo: il potenziamento dei propulsori dell'armatura. Sbuffò, accartocciò il foglio e lo cestinò all'istante. Era l'ultima cosa a cui voleva pensare.
«Tu, ferrovecchio. Vieni qui,» ordinò, rivolgendosi a Dum-E fermo in un angolo.
Al suono della sua voce il robot telescopico si rianimò all'istante e si portò vicino al tavolo con un ronzio, in attesa di ordini.
«Bene, vedi di fare esattamente quel che ti dico, o ti formatto la scheda madre e ti degrado a robot-spazzino. Mi serve palladio, tanto palladio; è in quelle cassette là in fondo. JARVIS, tu recupera un modello del mio reattore e proiettane un esploso dettagliato.» Esitò brevemente prima di continuare: «E tieni conto che non ho né una visione bifocale, né due mani, quindi organizza le schermate e gli ologrammi di conseguenza.»
«Ovviamente, signore.»
Tony si convinse di aver solo immaginato la punta di compassione che aveva animato la voce metallica del maggiordomo virtuale.
Mentre parlava, il robot era già arrivato in fondo al laboratorio, dove in delle casse blindate erano custoditi tutti i materiali di cui Tony aveva bisogno per costruire qualunque cosa desiderasse.
«Ha deciso di riaffidarsi alla tecnologia?» commentò a un tratto JARVIS, con un sottotono ironico teoricamente impossibile per un computer.
Proiettò un ologramma sul piano di proiezione accanto a lui, rappresentante il suo reattore arc. Tony gli diede una schicchera e i vari componenti si separarono, mostrandone tutti i particolari interni.
«Non vedo alternative...» mugugnò tra sé. «Evidenzia i componenti base.»
Il nucleo, il rivestimento esterno e un cavo si illuminarono; Tony passò una mano sulla proiezione e le parti superflue furono rimosse. Ingrandì il nucleo con una lieve pressione delle dita, studiandolo attentamente.
Il robot gli aveva intanto portato il palladio che gli serviva ed emise un lieve cigolio metallico quando concluse il suo compito.
«Bravo, sei riuscito a non rompere niente. Adesso torna all'angolo della vergogna e ripulisci quel macello.» Accennò ai resti della Mark III. «Fondila, disintegrala, scomponila molecolarmente: non mi interessa, basta che sparisca dalla mia vista,» ordinò secco, senza smettere di studiare il nucleo del reattore in cerca del modo per renderlo più compatto. «JARVIS, proiettami una clavicola.»
Il computer eseguì e Tony ingrandì l'osso per poi farlo ruotare su se stesso.
«Il reattore dovrebbe impiantarsi qui, il più vicino possibile alla protesi per evitare di disperdere energia,» indicò l'estremità dell'osso che avrebbe dovuto congiungersi all'òmero.
«Signore, la protesi...»
«Penserò dopo alla protesi in sé, adesso disattiva i chip vocali e fa' parlare me,» afferrò il nucleo con la mano e lo compresse, riducendolo alle dimensioni di una noce. «Squadralo; una forma curva è difficile da adattare.»
La pallina luminosa diventò un prisma esagonale. Tony sospirò.
«Ok, lasciamo perdere la geometria e dagli la forma di un microchip,» ordinò infine.
JARVIS eseguì e gli fece assumere la forma desiderata. Tony valutò l'ipotetico progetto con aria critica.
«JARVIS, togli quel cavo di alimentazione aggiuntivo: sarà un'unità autosufficiente.»
«Pensavo volesse alimentarla con il suo reattore cardiaco,» considerò l'altro, eseguendo però la richiesta.
«No, meglio non sovraccaricarlo troppo,» disse, picchiettando con l'unghia sulla piastra metallica nel suo petto. «Con un'unità autonoma dovrebbe ridursi il rischio di malfunzionamenti. E poi devo già cambiare un nucleo di palladio a settimana quando utilizzo normalmente l'armatura, meglio limitare il dispendio di energia,» ragionò, seppur restio a includere la sua "attività extra" nei calcoli.
Osservò il modello che galleggiava a un palmo dal suo viso, e, potendo, avrebbe incrociato le braccia con soddisfazione.
«Bene, mi sembra una buona struttura di partenza. Poi Ian deciderà se è congeniale alla zona in cui deve impiantarla. Ora, calcola quanto palladio servirà per alimentarlo e considera che deve essere in grado di funzionare da sé per almeno cinquant'anni. Vorrei arrivare alla vecchiaia,» aggiunse sarcastico.
JARVIS non iniziò nemmeno ad eseguire i calcoli:
«Signore, non posso calcolare il palladio necessario senza la...»
«Protesi, ho capito,» sbuffò lui. «Ragiona indipendentemente dalla protesi, voglio solo farmi un'idea.»
«Calcoli eseguiti. Palladio necessario: 0.50 grammi.»

«Così tanto? Mi fiderò...»
«Signore, le consiglio di trovare un'alternativa al palladio perché...»
«... a lungo andare mi intossicherà. Smettila di ripetere cose che
già so, e ti ricordo che se tutto va bene mi ritroverò a breve con due arti meccanici; l'intossicazione è il mio ultimo problema. A proposito, ordina altre scorte di clorofilla, devo recuperare l'astinenza,» borbottò seccato, richiamando con un gesto Dum-E. «Adesso, seguimi alla lettera, o farai la fine dell'armatura. Devi fondere il palladio; fatti aiutare dal tuo amichetto.»
Lanciò un fischio leggero e U si mosse appena, quasi rallegrandosi. Tony inserì una chiavetta USB in Dum-E, sulla quale aveva trasposto il progetto.
«Ora, collega i circuiti e prendi tutto il materiale necessario,» continuò, rivolgendosi poi a U. «Tu invece prendimi gli occhiali protettivi, un guanto e i soliti attrezzi. Intendo
adesso, non tra un'ora... marsc'!» li incitò, vedendoli esitare, e quelli schizzarono all'opera.
Tony si accomodò meglio sulla sedia, osservando ora il modello che ruotava lentamente davanti a lui, ora il banco di lavoro pronto all'utilizzo. Si sentiva di nuovo padrone della situazione, nonostante adesso sarebbe stato costretto a lavorare con un braccio solo, affidandosi ai robot per sostituire quello mancante.
«JARVIS, intanto proietta sull'altro schermo la tavola periodica e un elenco di tutte le leghe esistenti... giusto per essere sicuri che non mi sia dimenticato nulla. Poi combina tra loro tutti gli elementi in tutte le combinazioni possibili e testale su questo modello di protesi.» Sollevò il foglio con la bozza e il computer lo scannerizzò. «Perfezionalo, questo è una schifezza; togli i difetti, analizza la grafia e memorizzala: non la cambierò per un po'.»
Lanciò un'occhiata all'angolo cucina e si rivolse di nuovo all'IA:
«E fammi un caffè. Hai dieci minuti.»


***

-

17 Febbraio, 18:45, Villa Stark

Quando Pepper entrò nel laboratorio, richiamata dagli improperi e dagli schianti che ne provenivano, non si aspettava di vedere quello che le si parò di fronte: Tony era seduto al banco di lavoro con DUM-E di fronte e inveiva pesantemente contro il robot che, stando alle parole del suo ideatore, non notava la differenza tra destra e sinistra.
«La sinistra è
questa! La destra è quest'altra! Per te è il contrario, ma non dovrebbe essere così difficile!» si sgolò, gesticolando contro di lui. «No, maledizione...» si lamentò esausto, quando il robot scattò in quella che era presumibilmente la direzione opposta al volere del suo creatore.
Lo scatto della porta richiamò la sua attenzione:
«Salve, Pepper,» la accolse, improvvisamente calmo.
«Buonasera, signor Stark,» esordì lei, trattenendo un sorriso nel vedere come cercasse di mascherare la sua evidente irritazione nei confronti del robot, a cui continuava a scoccare occhiate risentite.
Era una scena a cui era decisamente abituata, al contrario dell'aspetto di Tony, che come sempre le causò un moto di dolore, tristezza e ammirazione nel vederlo comunque attivo e dedicato ai suoi progetti.
«Ho pensato di portarle un caffè.»
Tony s'illuminò in volto a quella notizia e accolse la tazzina con la stessa reverenza che avrebbe riservato a una reliquia sacra.
«Grazie, non ne posso più di bere quella roba.» Additò le due borracce di clorofilla vuote sul bancone dell'angolo-cucina e prese un rapido sorso della bevanda, sobbalzando quando gli ustionò palesemente la bocca.
Pepper fece finta di non accorgersene, per amor del suo orgoglio.
In quel momento Dum-E si ritrasse leggermente dal banco di lavoro, attirando la sua attenzione.
«Tu! Non credere di averla scampata! Quello-va-a-destra.
Destra,.» sottolineò infine.
«La vedo estremamente preso dal lavoro,» osservò Pepper, sorridendo appena.
«Sì, infatti, forse tra una decina d'anni l'avrò anche completato, di questo passo,» sibilò, riservando un'occhiata velenosa ai suoi robot, nonostante Pepper sapesse che in fondo li adorava.
Scosse la testa: la pazienza non era mai stata una delle sue doti migliori.
«Bene, se è tutto, signor Stark...»
«Non è tutto,» la contraddisse lui; schioccò le dita e le schermate che gli aleggiavano intorno scomparvero.
Si fece improvvisamente serio, ma mantenne un'espressione serena, come se stesse per tenere un discorso davanti a qualcuno.
«Pepper, dolcezza, venga qui,» iniziò con un sorrisetto sornione, facendole cenno di avvicinarsi.
«Tony,
qualunque cosa lei abbia in mente...»
«La farò comunque, quindi mi risparmi la predica.»
«Come sempre...» sospirò lei, decidendosi però ad affiancarlo.
«Mi serve una mano. Anzi, due,» si corresse con un'ironia che Pepper non era certa di come dovesse accogliere.
«Basta che non mi chieda di operare a cuore aperto,» ribatté severa.
«Basta con quella storia, le
giuro che non le chiederò mai più niente del genere,» sospirò teatralmente lui.
Pepper attese pazientemente che arrivasse al dunque.
«Mi aiuterebbe a togliermi la maglietta?» disse infine lui d'un fiato, rivolgendole la sua famigerata espressione da cane bastonato.
Pepper non tentò neanche di mascherare la sua esasperazione:
«Tony, capisco che abbia degli istinti da sfogare, ma li sfoghi
in solitudine
«No, no! Ha frainteso! Lo sapevo, dovevo essere più chiaro, ma non ci riesco. Non deve
spogliarmi... ma deve spogliarmi,» disse con due differenti inflessioni di voce che non avvalorarono esattamente la sua causa. «Non so se sono stato chiaro, in effetti...» meditò poi, un po' scoraggiato.
«Lampante, direi.»
Pepper si prese la radice del naso tra le dita, imponendosi calma e compostezza.
«Vuole spiegarmi perché vuole che io la spogli? E che sia una
buona motivazione che non implichi risvolti improbabili,» lo avvisò, glaciale.
«Le assicuro che c'è un motivo assolutamente valido che non implicherà alcun divieto ai minori, quindi...»
«
Tony.» Pepper cominciava seriamente a spazientirsi, oltre che a provare un sottile senso di disagio.
«Insomma... può aiutarmi?» sbottò lui, facendosi più serio per qualche istante. «Se si scandalizza sono sicuro di poter rintracciare un po' di "spazzatura" che...»
«
Questo non volevo sentirlo,» commentò lei, avvicinandosi e aiutandolo un po' bruscamente a sfilarsi la maglietta.
«... e i pantaloni,» aggiunse Tony, con una voce piccola che non gli si addiceva.
«Anche?!»
«Non la sto invitando ad azioni sconsiderate, signorina Potts. Anche se... Come non detto!» si corresse rapido, notando l'occhiata omicida della donna.
«Almeno può sbottonarseli da solo?» gli chiese, nervosa.
«Se il braccio collabora, sì,» sospirò lui, iniziando a trafficare con la zip dei jeans e concludendo che forse d'ora in poi avrebbe fatto meglio a indossare solo tute e pigiami.
Nonostante il suo sarcasmo spigliato iniziava a trovare la situazione altrettanto imbarazzante.
Nei giorni che aveva passato a casa finora aveva tentato di essere il più autonomo possibile, ma era stato inevitabile accettare l'aiuto di Pepper anche per gesti quotidiani come abbottonarsi una camicia o calarsi in una vasca da bagno senza rompersi l'osso del collo. Cercava sempre di buttare la cosa sull'ironico, canzonando le reazioni imbarazzate di Pepper, ma in fondo lo trovava umiliante. E lo sarebbe stato ancora di più se avesse dovuto affidarsi a un infermiere sconosciuto; Pepper sembrava averlo intuito e non aveva avanzato la proposta di assumerne uno. Aveva apprezzato immensamente quella tacita intesa.
Anche adesso fingeva disinvoltura, ma si rendeva conto della situazione anomala in cui si trovavano a navigare entrambi.
«Bene, ora... non si agiti,» la avvertì scalciando il pantalone e la scarpa dalla gamba buona, trattenendo una smorfia quando la stoffa strusciò sul moncherino.
«Sono calmissima,» Pepper chiuse brevemente gli occhi in un gesto che diceva tutto il contrario.
«Sicura di essere pronta?»
«Ma che cosa diavolo mi deve chiedere?!»
«Mi tolga le bende.»
Pepper lo fissò per un momento, senza capire.
«Cosa?»
«Ha capito bene. Prima l'occhio e poi le altre. Anzi, meglio il contrario,» si corresse dopo un momento.
«Lei si è fatto spogliare per qualcosa che
non farò?» incrociò le braccia lei, fissandolo minacciosa.
«Dov'è il problema?»
«Il problema, signor Stark, è che non mi sembra nelle
condizioni...»
«Pepper, in un mese di ricovero non sono mai riuscito a guardarle quando mi medicavano, e anche qui l'ho sempre evitato. È capace, l'ha già fatto una volta e mi fido di lei.» Fece una breve pausa, comprimendo le labbra, e Pepper abbassò gli occhi a quella confessione insolitamente esplicita. «E credo che sia il momento di guardare in faccia la realtà, no?» voltò leggermente la testa, così da porre la donna nel suo angolo cieco per non dover vedere i suoi occhi colmi di preoccupazione.
«Credo che ci siano modi meno scioccanti per farlo,» finì per mormorare lei, e il suo tono addolorato lo fece avvampare di verogna.
Non voleva essere compatito.
«Cosa c'è? Mi ritiene forse instabile?» sbottò, troppo duramente.
«Non intendevo
questo. Ha subìto un trauma e questa non è una buona idea per superarlo. Non è assolutamente una buona idea,» concluse decisa, tentando di farlo ragionare.
«Si sta preoccupando per qualcosa che dovrebbe preoccupare me,» si ritrovò ad alzare un poco il tono lui.
«Come sempre, del resto.»
«Neanch'io intendevo
questo
«Per favore, lo dico per lei,» insistette ancora.
«Anch'io lo dico per me!» sbottò Tony, innervosito, e Pepper sobbalzò. «Non vorrà mica farmi prendere un raffreddore,» aggiunse più conciliante, nel tentativo di mitigare il suo scatto.
Pepper era ancora titubante, indecisa se assecondarlo o meno, come era accaduto in mille altre occasioni molto più spensierate di quella.
«Se proprio non vuole aiutarmi lo farò da solo,» stabilì lui, tornando a guardarla con sguardo deciso.
Era chiaro che nessuna menomazione fisica avrebbe mai potuto intaccare la sua incrollabile testardaggine. Pepper sapeva che lo avrebbe fatto veramente, a costo di farsi male... e non voleva sentirsi responsabile
anche per quello.
«Stia fermo,» si risolse infine, avvicinandosi.
La donna iniziò a sciogliere la benda della spalla con delicatezza, notando che Tony si mordeva il labbro pur di non lamentarsi; doveva costargli molta fatica, poiché artigliava con la mano il bracciolo della sedia. Anche Pepper doveva sforzarsi per compiere quel lavoro ingrato che le aveva praticamente imposto, ma provava anche pena per lui e non si sentiva di negargli quello che dopotutto era un favore che non avrebbe potuto compiere da solo.
Quando arrivò a scoprire i punti ancora freschi esitò, perché Tony tremava dal dolore e stentava a rimanere fermo. Tolse con un gesto rapido la benda per porre fine a quella sofferenza, pentendosi di aver accettato la sua richiesta.
Tony teneva la testa girata dall'altra parte; sembrava aver improvvisamente cambiato idea e non fece cenno di voler guardare, ma annuì appena quando la vide esitare, invitandola a non fermarsi.
Pepper passò alla gamba, dandogli tempo di raccogliere le forze per affrontare quell'ennesimo ostacolo. Quando gli aveva cambiato le bende l'ultima volta era decisamente più inibito dagli antidolorifici, e lei decisamente meno nervosa. Adesso era combattuta tra l'ammirarlo e il considerarlo un masochista. Quelle bende furono più difficili da rimuovere: più di una volta Tony si lasciò sfuggire un'esclamazione soffocata a stento; contrasse involontariamente il muscolo e questo gli provocò uno spasmo di dolore.
Pepper si fermò un momento per farlo riprendere, ma Tony la incoraggiò a continuare, così finì di scoprire ciò che rimaneva dell'arto troncato di netto. Si era quasi abituata a quella vista, per quanto dolorosa anche per lei, ma non riusciva a immaginare come avrebbe reagito lui nel fronteggiarla.
Fece per passare alla benda sull'occhio, ma a quel punto Tony la bloccò con fermezza. Si tolse a tentoni il cerotto e sussultò quando sentì l'aria fresca lambirgli la pelle sensibile e martoriata del viso.
Si bloccò con l'unico occhio chiuso, improvvisamente incapace di muoversi. Era smanioso di sapere, ma allo stesso tempo temeva ciò che avrebbe potuto vedere. Temeva di poter odiare il suo corpo in maniera definitiva.
Pepper gli strinse con dolcezza la mano mentre aspettava che Tony riaprisse l'occhio per guardarsi totalmente dopo tutto quel tempo, per vedere ciò che era diventato.
«Pepper... non ce la faccio,» boccheggiò infine lui, incominciando ad agitarsi.
Lei non seppe cosa fare. Non voleva incoraggiarlo, voleva solo che rimettesse quelle dannate bende, non per disgusto, ma per semplice buon senso: non stava soffrendo solo lui a quella vista. Gli fece una semplice, ma incoraggiante carezza sulla guancia, lasciando scivolare la mano sino al collo per trasmettergli un po' di conforto. Solo a quel punto Tony aprì l'occhio per fissarlo nei suoi, incoraggianti e limpidi. Pepper lo fissò di rimando. Lui annuì una volta, come ad autoconvincersi.
Abbassò di scatto lo sguardo verso il moncherino della spalla e si sentì contrarre lo stomaco per lo shock. La pelle era arrossata, i punti gonfi e di un rosso acceso e malsano. Si costrinse a guardare anche la gamba, in condizioni anche peggiori: stavolta fu un pugno nello stomaco. Infine, si voltò alla sua sinistra, verso lo schermo di un computer spento. Pepper era ammutolita e lo fissava in attesa di una qualunque reazione emotiva.

«Specchio,» mormorò Tony a JARVIS, e quello fece sì che lo schermo restituisse la sua immagine.
Portò incredulo la mano allo sfregio che occupava il suo volto, dove un tempo c'era stato il suo occhio sinistro. Lo tastò appena, incurante della scossa di dolore che ciò gli provocò. La ferita si stava lentamente rimarginando, ma era ancora arrossata e repellente alla vista; un taglio profondo gli solcava il sopracciglio per poi perdersi nella massa gonfia e contorta che era diventata la sua palpebra, chiusa per sempre dai punti di sutura. Si coprì cautamente la piaga, celando il suo volto deturpato, e per un attimo vide se stesso, per poi notare gli arti mancanti e terribilmente sbagliati nel suo riflesso. Vide lo smarrimento nel suo stesso sguardo, ora concentrato nell'unica iride nocciola che gli rimaneva.
Guardò di sfuggita Pepper nello schermo.
«Penso che possa bastare,» le disse.
Ammise a se stesso che non era del tutto preparato e chinò il capo.
«Mi aiuti a rivestirmi, per favore,» chiese piano, esitando a incrociare il suo sguardo.
Lei eseguì senza parlare, cambiandogli le medicazioni con cura ed efficienza.
Finito di rivestirsi con qualche difficoltà, si abbandonò allo schienale della sedia, inerte. Sentiva la testa vuota e leggera, come se avesse respiranto a lungo troppo profondamente.
«JARVIS, hai fatto le analisi che ti avevo chiesto?» si sentì dire, come se nulla fosse successo.
«Sì, signore. Ho trovato una lega che forse fa al caso nostro...»
La donna era rimasta impalata di fronte a lui, sentendosi fuori luogo, di troppo e risentita per quell'improvviso cambio di atteggiamento.
«Adesso è tutto, signor Stark?» chiese, gelida.
"Ha finito di farsi del male?" pensò invece tra sé.
«È tutto, signorina Potts. Può andare,» aggiunse, goffamente.
Pepper si voltò senza aggiungere altro se non un atono "buon lavoro".
«Pepper?» la chiamò Tony prima che aprisse la porta.
La donna si voltò appena.
«Grazie. Davvero,» le sorrise incerto e Pepper ebbe l'impressione che le stesse chiedendo scusa.
«È perdonato.»
"Come sempre..." sospirò tra sé.




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Revisione effettuata il 13/02/2018

Note Delle Autrici:

Ok, questo capitolo è un bel miscuglio di generi... si passa dal tecnico all'ironico fino all'angst totale. Per non parlare del fluff... sì, in alcuni punti c'è scappata la mano, ma ci sembrava il caso di stemperare i capitoli precedenti.
Comunque, we're back (in black). Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e ringraziamo Rogue92, AriCastle66, Silvia_sic1995 e alliearthur che hanno commentato e hanno inserito qusta FF tra le seguite... grazie a tutte!
Al prossimo capitolo! :D

Moon&Light

P.S. Ammettetelo: avete TUTTE pensato male... 

 




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