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As
always
"And I don't want the world to see me
'Cause I don't think that they'd understand
When everything's meant to be broken
I just want you to know who I am"
[Iris – Goo Goo Dolls]
17 Febbraio, Villa Stark, 11:30
Tony
fissò con disappunto i resti dell'armatura, poco
più che un blocco
di metallo semifuso che aveva poco a che vedere con le splendide
cromature rosso-oro che ricordava. La gamba destra era completamente
accartocciata e piegata in un'angolazione innaturale; il
braccio mancava del tutto, come tranciato di netto. Si portò
istintivamente la mano al moncherino: non riusciva a capire come
diavolo fosse successo. Aveva solo frammenti confusi di quei momenti,
anche se ricordava con chiarezza di essere stato pestato a sangue da
Stane già prima di finire sul tetto. Riusciva immaginare,
anche se
con sforzo e riluttanza, di essersi ferito la gamba in modo
irrimediabile durante un qualche tipo di colluttazione con Iron
Monger, ma non si spiegava comunque l'assenza totale del braccio, i
cui resti non erano neanche stati rinvenuti.
Scosse la testa e
voltò la sedia girevole per spostarsi alla sua scrivania:
meglio
rimanere nel presente. Prima o poi avrebbe ricordato, e non era
neanche così sicuro di volerlo fare.
Adesso doveva concentrarsi
e dare fondo a tutte le sue conoscenze per uscire dalla situazione in
cui si era cacciato.
Prima di tutto, doveva rendere comprensibili
i suoi appunti e schizzi, che erano decisamente senza capo
né coda e
del tutto campati in aria. Li esaminò per qualche minuto,
raccapezzandosi a poco a poco in quel miscuglio di linee e bozzetti.
La rozzezza di quei progetti gli riportò alla mente quelli
della
Mark I, ma scacciò il pensiero, preludio di ricordi poco
piacevoli.
Si concentrò nuovamente sul suo lavoro, riuscendo ad
estrapolare un
abbozzo di progetto vagamente plausibile, sebbene ancora lacunoso.
Per ora aveva uno schizzo grossolano della struttura meccanica del
braccio, che avrebbe poi tramutato in un modello virtuale più
preciso
e dettagliato. Avrebbe interamente dedicato un'altra sessione di
lavoro alle parti circuitali ed elettroniche, decisamente più
complesse.
Per prima cosa doveva trovare dei materiali che fossero
idonei: non fu semplice, e dovette ripassare la tavola periodica e le
leghe esistenti più di una volta prima di decidersi ad
appuntare
qualcosa sul foglio, in una grafia piuttosto incerta. Sbuffò
sconsolato: non aveva problemi ad usare la sinistra per lavorare, ma
era un'impresa riuscire a scrivere, e procedeva a rilento.
Decise
comunque di non sfruttare JARVIS, per il momento: la progettazione
era sempre più fruttuosa quando non si affidava
completamente
all'intelligenza artificiale nelle prime fasi.
Il telaio doveva
essere sicuramente di un materiale robusto, inossidabile e che
garantisse un minimo di elasticità, così da non
spezzarsi con gli
urti. Prese per un attimo in considerazione l'alluminio temprato, ma
sarebbe stato troppo fragile e soggetto alle alte temperature,
così
optò per il titanio. Iniziò a stilare una serie
di calcoli,
distribuendo il metallo sul volume approssimativo delle ossa del
braccio, ma si accorse che così avrebbe avuto un peso
complessivo di
quasi sei chili... decisamente troppi per un braccio umano. Si
bloccò
con la punta della matita a qualche millimetro dal foglio,
picchiettandovi appena mentre raccoglieva le idee.
"Titanio
cavo," si risolse infine.
Il peso totale sarebbe stato di
quattro chili e mezzo, comunque più del normale, ma se fosse
stato meno
la struttura avrebbe ceduto. I vari cavi di collegamento sarebbero
passati all'interno del telaio, al posto del midollo osseo.
Sospirò
quando si soffermò sullo snodo della spalla, trovando
difficoltà ad
eseguire calcoli così approssimativi: avrebbe dovuto
progettare
prima la piastra d'aggancio, ma per quella aveva bisogno
dell'assistenza di Ian, che al momento era troppo occupato col suo
lavoro vero per tener testa anche al "lavoro extra". Si
diede comunque da fare, lavorando con ciò che aveva, e si
trovò
infine a fissare un bozzetto della struttura di supporto, pur
schematico, in fase embrionale e corredato da appunti in un
calligrafia pessima.
Il
problema minore era risolto: ora doveva decidere come ricostruire i
"muscoli". Doveva realizzare il braccio nei minimi
dettagli, o avrebbe avuto difficoltà a controllarlo. Si rese
conto
che non avrebbe mai potuto riprodurre fedelmente la consistenza di un
braccio reale, per quanto la cosa sarebbe risultata più
gradevole,
così decise di usare semplicemente della fibra di carbonio.
Inutile
crearsi più problemi del necessario: si sarebbe abituato al
fatto di
avere un braccio più rigido dell'altro. Le
articolazioni gli
diedero filo da torcere, ma dopo molti fogli cestinati e colorite
imprecazioni riuscì ad abbozzarne un modello, sicuramente
migliorabile.
Certo,
il tutto doveva sfruttare l'alimentazione del micro-reattore che
doveva ancora
progettare, ma poco importava: sapeva già come fare e non
gli
avrebbe preso più di mezza giornata in condizioni normali;
adesso
era questione di un giorno al massimo. Se ce l'aveva fatta in una
grotta con gli scarti dei suoi stessi missili, adesso sarebbe stato
un gioco da ragazzi, nel suo laboratorio iper-accessoriato.
Gli
restava da fronteggiare l'ostacolo più grande, che aveva
appositamente lasciato per ultimo: i nervi.
C'erano decine di
leghe ed elementi conduttori, ma quanti potevano essere compatibili
con dei nervi umani? Ian gli aveva parlato del rischio di rigetto:
doveva prestare estrema attenzione nella scelta, perché
avrebbe
avuto un solo tentativo a disposizione. Se si fosse impiantato un
materiale incompatibile avrebbe anche potuto morire d'infezione o
andare in shock.
Si arrovellò sul problema per ore, scartando
ogni soluzione che gli veniva in mente; provò persino a
immaginare
elementi inesistenti, ma si ritrovò solo con un gran mal di
testa.
Rimase quasi tutto il pomeriggio nel laboratorio, pensando,
scrivendo qualche elemento-campione per poi cancellarlo e
distraendosi sempre più spesso nonostante la concentrazione
che si
era imposto di mantenere, interrotta sempre più spesso dalle
spiacevoli fitte ai moncherini: l'effetto degli antidolorifici stava
scemando e in teoria non avrebbe dovuto lasciare il letto per altre due settimane.
Iniziava a scoraggiarsi: forse Ian aveva ragione quando
diceva che non era ancora possibile riprodurre il funzionamento del
sistema nervoso. Aveva già preso in considerazione l'idea di
costruire delle protesi che non fossero collegate direttamente ai
suoi nervi, ma comandate a impulso come faceva con l'armatura, ma
quell'idea lo disturbava. Gli sembravano troppo fragili e non
riusciva a immaginarsele come vere e proprie parti di sé.
Senza
contare che, in quel caso, sarebbero state molto imprecise e propense
a staccarsi in situazioni più dinamiche, e lui non voleva
vivere in
una teca di cristallo per il resto della sua vita. Aveva
semplicemente accantonato l'idea, in una presa di posizione che
sapeva essere rischiosa.
Questo significava che doveva davvero
inventare lui una lega o addirittura un nuovo elemento che potesse
essere utilizzato per i suoi scopi. Si rendeva conto di quanto fosse
azzardata quell'impresa, oltre che molto probabilmente impossibile da
realizzare e era ancor più improbabilmente applicabile.
Prese a
sorseggiare con fare distratto un bibitone di clorofilla, assorto nei
suoi ragionamenti anche per ignorarne il sapore nauseante. Ian gli
aveva fatto notare che c'era una percentuale anomala di palladio nel
suo sangue, e che avrebbe fatto bene a disintossicarsi prima che
raggiungesse valori preoccupanti. Tony aveva sudato freddo per un
istante, ma se l'era aspettato: era consapevole delle possibili
ripercussioni del reattore sul suo corpo e aveva iniziato ad assumere
clorofilla e integratori non appena rientrato dall'Afghanistan. A
Pepper aveva spacciato la cosa come una semplice precauzione, cosa di
cui era abbastanza convinto anche lui. La percentuale di palladio era
molto bassa e sicuramente imputabile al fatto che si era dimenticato
di assumere il suo "succo d'erba" durante il mese di
ricovero. Si sentiva ridicolo a bere quegli intrugli, ma viste le sue
condizioni di salute già precarie non aveva intenzione di
rischiare.
Poggiò disgustato la bottiglia e tornò a
scervellarsi
per venire a capo del problema dei nervi. Dopo un'altra ora buttata,
decise di dedicarsi alla miniaturizzazione del reattore: era
decisamente più semplice, e poteva comunque essere
riutilizzato per
qualcos'altro, oltre ad alimentare degli arti meccanici.
Era
consapevole di star evitando le difficoltà, ma in quel
momento
sentiva il disperato bisogno di fare qualcosa di concreto, o sarebbe
impazzito. Si spostò al banco di lavoro slittando con la
sedia e lo
trovò in disordine come l'aveva lasciato un mese prima.
Osservò il
progetto abbandonato sul tavolo: il potenziamento dei propulsori
dell'armatura. Sbuffò, accartocciò il foglio e lo
cestinò
all'istante. Era l'ultima cosa a cui voleva pensare.
«Tu,
ferrovecchio. Vieni qui,» ordinò, rivolgendosi a
Dum-E fermo in un
angolo.
Al suono della sua voce il robot telescopico si rianimò
all'istante e si portò vicino al tavolo con un ronzio, in
attesa di
ordini.
«Bene, vedi di fare esattamente quel che ti dico, o ti
formatto la scheda madre e ti degrado a robot-spazzino. Mi serve
palladio, tanto palladio; è in quelle cassette là
in fondo. JARVIS,
tu recupera un modello del mio reattore e proiettane un esploso
dettagliato.» Esitò brevemente prima di
continuare: «E tieni conto
che non ho né una visione bifocale, né due mani,
quindi organizza
le schermate e gli ologrammi di conseguenza.»
«Ovviamente,
signore.»
Tony
si convinse di aver solo immaginato la punta di compassione che aveva
animato la voce metallica del maggiordomo virtuale.
Mentre
parlava, il robot era già arrivato in fondo al laboratorio,
dove in
delle casse blindate erano custoditi tutti i materiali di cui Tony
aveva bisogno per costruire qualunque cosa desiderasse.
«Ha
deciso di riaffidarsi alla tecnologia?»
commentò a un tratto
JARVIS, con un sottotono ironico teoricamente impossibile per un
computer.
Proiettò un ologramma sul piano di proiezione accanto a
lui, rappresentante il suo reattore arc. Tony gli diede una
schicchera e i vari componenti si separarono, mostrandone tutti i
particolari interni.
«Non vedo alternative...» mugugnò tra sé. «Evidenzia i
componenti base.»
Il nucleo, il rivestimento esterno e un cavo si
illuminarono; Tony passò una mano sulla proiezione e le
parti
superflue furono rimosse.
Ingrandì il nucleo con una lieve
pressione delle dita, studiandolo attentamente.
Il robot gli aveva
intanto portato il palladio che gli serviva ed emise un lieve cigolio
metallico quando concluse il suo compito.
«Bravo, sei riuscito a
non rompere niente. Adesso torna all'angolo della vergogna e
ripulisci quel macello.» Accennò ai resti della
Mark III. «Fondila,
disintegrala, scomponila molecolarmente: non mi interessa, basta che
sparisca dalla mia vista,» ordinò secco, senza
smettere di studiare
il nucleo del reattore in cerca del modo per renderlo più
compatto.
«JARVIS, proiettami una clavicola.»
Il
computer eseguì e Tony ingrandì l'osso per poi
farlo ruotare su se
stesso.
«Il
reattore dovrebbe impiantarsi qui, il più vicino possibile
alla
protesi per evitare di disperdere energia,» indicò
l'estremità
dell'osso che avrebbe dovuto congiungersi all'òmero.
«Signore,
la protesi...»
«Penserò dopo alla protesi in sé,
adesso
disattiva i chip vocali e fa' parlare me,» afferrò
il nucleo con la
mano e lo compresse, riducendolo alle dimensioni di una noce.
«Squadralo; una forma curva è difficile da
adattare.»
La
pallina luminosa diventò un prisma esagonale. Tony
sospirò.
«Ok,
lasciamo perdere la geometria e dagli la forma di un
microchip,»
ordinò infine.
JARVIS eseguì e gli fece assumere la forma
desiderata. Tony valutò l'ipotetico progetto con aria
critica.
«JARVIS,
togli quel cavo di alimentazione aggiuntivo: sarà
un'unità
autosufficiente.»
«Pensavo volesse alimentarla con il suo
reattore cardiaco,» considerò l'altro, eseguendo
però la
richiesta.
«No, meglio non sovraccaricarlo troppo,» disse,
picchiettando con l'unghia sulla piastra metallica nel suo petto.
«Con un'unità autonoma dovrebbe ridursi il rischio
di
malfunzionamenti. E poi devo già cambiare un nucleo di
palladio a
settimana quando utilizzo normalmente l'armatura, meglio limitare il
dispendio di energia,» ragionò, seppur restio a
includere la sua
"attività extra" nei calcoli.
Osservò
il modello che galleggiava a un palmo dal suo viso, e, potendo, avrebbe incrociato le braccia con soddisfazione.
«Bene, mi
sembra una buona struttura di partenza. Poi Ian deciderà se
è
congeniale alla zona in cui deve impiantarla. Ora, calcola quanto
palladio servirà per alimentarlo e considera che deve essere
in
grado di funzionare da sé per almeno cinquant'anni. Vorrei
arrivare
alla vecchiaia,» aggiunse sarcastico.
JARVIS non iniziò nemmeno
ad eseguire i calcoli:
«Signore, non posso calcolare il palladio
necessario senza la...»
«Protesi, ho capito,» sbuffò lui.
«Ragiona indipendentemente dalla protesi, voglio solo farmi
un'idea.»
«Calcoli eseguiti. Palladio necessario: 0.50
grammi.»
«Così
tanto? Mi fiderò...»
«Signore, le consiglio di trovare
un'alternativa al palladio perché...»
«... a lungo andare mi
intossicherà. Smettila di ripetere cose che già
so, e ti ricordo che se tutto va bene mi ritroverò a breve
con due
arti meccanici; l'intossicazione è il mio ultimo problema. A
proposito, ordina altre scorte di clorofilla, devo recuperare
l'astinenza,» borbottò seccato, richiamando con un
gesto Dum-E.
«Adesso, seguimi alla lettera, o farai la fine dell'armatura.
Devi
fondere il palladio; fatti aiutare dal tuo amichetto.»
Lanciò un
fischio leggero e U si mosse appena, quasi rallegrandosi.
Tony
inserì una chiavetta USB in Dum-E, sulla quale aveva
trasposto il
progetto.
«Ora,
collega i circuiti e prendi tutto il materiale necessario,» continuò, rivolgendosi poi a U. «Tu invece prendimi gli occhiali protettivi, un
guanto e i
soliti attrezzi. Intendo adesso,
non tra un'ora... marsc'!»
li incitò, vedendoli esitare, e quelli schizzarono all'opera.
Tony
si accomodò meglio sulla sedia, osservando ora il modello
che
ruotava lentamente davanti a lui, ora il banco di lavoro pronto
all'utilizzo. Si sentiva di nuovo padrone della situazione,
nonostante adesso sarebbe stato costretto a lavorare con un braccio
solo, affidandosi ai robot per sostituire quello mancante.
«JARVIS,
intanto proietta sull'altro schermo la tavola periodica e un elenco
di tutte le leghe esistenti... giusto per essere sicuri che non mi
sia dimenticato nulla. Poi combina tra loro tutti gli elementi in
tutte le combinazioni possibili e testale su questo modello di
protesi.» Sollevò il foglio con la bozza e il
computer lo
scannerizzò. «Perfezionalo, questo è
una schifezza; togli i
difetti, analizza la grafia e memorizzala: non la cambierò
per un
po'.»
Lanciò un'occhiata all'angolo cucina e si
rivolse di nuovo
all'IA:
«E fammi un caffè. Hai dieci
minuti.»
***
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17 Febbraio, 18:45, Villa Stark
Quando
Pepper entrò nel laboratorio, richiamata dagli improperi e
dagli
schianti che ne provenivano, non si aspettava di vedere quello che le
si parò di fronte: Tony era seduto al banco di lavoro con DUM-E di fronte e inveiva pesantemente contro il robot
che,
stando alle parole del suo ideatore, non notava la differenza tra destra e
sinistra.
«La sinistra è questa!
La destra è quest'altra!
Per te è il contrario, ma non dovrebbe essere
così difficile!» si
sgolò, gesticolando contro di lui. «No,
maledizione...» si lamentò
esausto, quando il robot scattò in quella che era
presumibilmente la
direzione opposta al volere del suo creatore.
Lo scatto della
porta richiamò la sua attenzione:
«Salve, Pepper,» la accolse,
improvvisamente calmo.
«Buonasera, signor Stark,» esordì lei,
trattenendo un sorriso nel vedere come cercasse di mascherare la sua
evidente irritazione nei confronti del robot, a cui continuava a
scoccare occhiate risentite.
Era una scena a cui era decisamente abituata, al contrario dell'aspetto di Tony, che come sempre le causò un moto di dolore, tristezza e ammirazione nel vederlo comunque attivo e dedicato ai suoi progetti.
«Ho pensato di portarle un
caffè.»
Tony
s'illuminò in volto a quella notizia e accolse la tazzina
con la
stessa reverenza che avrebbe riservato a una reliquia sacra.
«Grazie,
non ne posso più di bere quella roba.»
Additò le due borracce di
clorofilla vuote sul bancone dell'angolo-cucina e prese un rapido
sorso della bevanda, sobbalzando quando gli ustionò
palesemente la
bocca.
Pepper
fece finta di non accorgersene, per amor del suo orgoglio.
In quel
momento Dum-E si ritrasse leggermente dal banco di lavoro, attirando
la sua attenzione.
«Tu! Non credere di averla scampata!
Quello-va-a-destra. Destra,.»
sottolineò infine.
«La vedo estremamente preso dal lavoro,»
osservò Pepper, sorridendo appena.
«Sì, infatti, forse tra una
decina d'anni l'avrò anche completato, di questo
passo,» sibilò,
riservando un'occhiata velenosa ai suoi robot, nonostante Pepper
sapesse che in fondo li adorava.
Scosse la testa: la pazienza non
era mai stata una delle sue doti migliori.
«Bene, se è tutto,
signor Stark...»
«Non è tutto,» la contraddisse lui;
schioccò
le dita e le schermate che gli aleggiavano intorno scomparvero.
Si
fece improvvisamente serio, ma mantenne un'espressione serena, come
se stesse per tenere un discorso davanti a qualcuno.
«Pepper,
dolcezza, venga qui,» iniziò con un sorrisetto
sornione, facendole
cenno di avvicinarsi.
«Tony,
qualunque
cosa lei abbia in mente...»
«La farò comunque, quindi mi
risparmi la predica.»
«Come sempre...» sospirò lei,
decidendosi però ad affiancarlo.
«Mi serve una mano. Anzi, due,»
si corresse con un'ironia che Pepper non era certa di come dovesse
accogliere.
«Basta che non mi chieda di operare a cuore
aperto,»
ribatté severa.
«Basta con quella storia, le giuro
che non le chiederò mai più niente del
genere,» sospirò
teatralmente lui.
Pepper attese pazientemente che arrivasse al
dunque.
«Mi aiuterebbe a togliermi la maglietta?» disse
infine
lui d'un fiato, rivolgendole la sua famigerata espressione da cane
bastonato.
Pepper non tentò neanche di mascherare la sua
esasperazione:
«Tony, capisco che abbia degli istinti da sfogare,
ma li sfoghi in
solitudine.»
«No,
no! Ha frainteso! Lo sapevo, dovevo essere più chiaro, ma
non ci
riesco. Non deve spogliarmi...
ma deve spogliarmi,»
disse con due differenti inflessioni di voce che non avvalorarono
esattamente la sua causa. «Non so se sono stato chiaro, in
effetti...» meditò poi, un po' scoraggiato.
«Lampante, direi.»
Pepper si prese la radice del naso tra le dita, imponendosi calma e
compostezza.
«Vuole spiegarmi perché vuole che io
la spogli? E che
sia una buona
motivazione che non implichi risvolti improbabili,» lo
avvisò,
glaciale.
«Le
assicuro che c'è un motivo assolutamente valido che non
implicherà
alcun divieto ai minori, quindi...»
«Tony.»
Pepper cominciava seriamente a spazientirsi, oltre che a provare un
sottile senso di disagio.
«Insomma...
può aiutarmi?» sbottò lui, facendosi
più serio per qualche
istante. «Se si scandalizza sono sicuro di poter rintracciare
un po'
di "spazzatura" che...»
«Questo
non volevo sentirlo,» commentò lei, avvicinandosi
e aiutandolo un
po' bruscamente a sfilarsi la maglietta.
«... e i pantaloni,»
aggiunse Tony, con una voce piccola che non gli si
addiceva.
«Anche?!»
«Non la sto invitando ad azioni
sconsiderate, signorina Potts. Anche se... Come non detto!»
si
corresse rapido, notando l'occhiata omicida della donna.
«Almeno
può sbottonarseli da solo?» gli chiese, nervosa.
«Se il braccio
collabora, sì,» sospirò lui, iniziando
a trafficare con la zip dei
jeans e concludendo che forse d'ora in poi avrebbe fatto meglio a
indossare solo tute e pigiami.
Nonostante il suo sarcasmo
spigliato iniziava a trovare la situazione altrettanto
imbarazzante.
Nei giorni che aveva passato a casa finora aveva
tentato di essere il più autonomo possibile, ma era stato
inevitabile accettare l'aiuto di Pepper anche per gesti quotidiani
come abbottonarsi una camicia o calarsi in una vasca da bagno senza
rompersi l'osso del collo. Cercava sempre di buttare la cosa
sull'ironico, canzonando le reazioni imbarazzate di Pepper, ma in
fondo lo trovava umiliante. E lo sarebbe stato ancora di più
se
avesse dovuto affidarsi a un infermiere sconosciuto; Pepper sembrava
averlo intuito e non aveva avanzato la proposta di assumerne uno.
Aveva apprezzato immensamente quella tacita intesa.
Anche adesso
fingeva disinvoltura, ma si rendeva conto della situazione anomala in
cui si trovavano a navigare entrambi.
«Bene, ora... non si
agiti,» la avvertì scalciando il pantalone e la
scarpa dalla gamba
buona, trattenendo una smorfia quando la stoffa strusciò sul
moncherino.
«Sono calmissima,» Pepper chiuse brevemente gli
occhi in un gesto che diceva tutto il contrario.
«Sicura di
essere pronta?»
«Ma che cosa diavolo mi deve chiedere?!»
«Mi
tolga le bende.»
Pepper lo fissò per un momento, senza
capire.
«Cosa?»
«Ha capito bene. Prima l'occhio e poi le
altre. Anzi, meglio il contrario,» si corresse dopo un
momento.
«Lei
si è fatto spogliare per qualcosa che non
farò?» incrociò le braccia lei,
fissandolo minacciosa.
«Dov'è
il problema?»
«Il problema, signor Stark, è che non mi sembra
nelle condizioni...»
«Pepper,
in un mese di ricovero non sono mai riuscito a guardarle quando mi
medicavano, e anche qui l'ho sempre evitato. È capace, l'ha già fatto una volta e mi fido di lei.» Fece una breve pausa, comprimendo le labbra, e Pepper abbassò gli occhi a quella confessione insolitamente esplicita. «E credo che sia il momento di
guardare in faccia la realtà, no?»
voltò leggermente la testa,
così da porre la donna nel suo angolo cieco per non dover
vedere i
suoi occhi colmi di preoccupazione.
«Credo che ci siano modi meno
scioccanti per farlo,» finì per mormorare lei, e
il suo tono
addolorato lo fece avvampare di verogna.
Non voleva essere
compatito.
«Cosa c'è? Mi ritiene forse instabile?» sbottò, troppo duramente.
«Non
intendevo questo.
Ha subìto un trauma e questa non è una buona idea per
superarlo. Non
è assolutamente
una buona idea,» concluse decisa, tentando di farlo ragionare.
«Si
sta preoccupando per qualcosa che dovrebbe preoccupare me,»
si
ritrovò ad alzare un poco il tono lui.
«Come sempre, del
resto.»
«Neanch'io intendevo questo.»
«Per
favore, lo dico per lei,» insistette ancora.
«Anch'io lo dico
per me!» sbottò Tony, innervosito, e Pepper
sobbalzò. «Non vorrà
mica farmi prendere un raffreddore,» aggiunse più
conciliante, nel
tentativo di mitigare il suo scatto.
Pepper era ancora titubante,
indecisa se assecondarlo o meno, come era accaduto in mille altre
occasioni molto più spensierate di quella.
«Se proprio non vuole
aiutarmi lo farò da solo,» stabilì lui,
tornando a guardarla con
sguardo deciso.
Era chiaro che nessuna menomazione fisica avrebbe
mai potuto intaccare la sua incrollabile testardaggine. Pepper sapeva
che lo avrebbe fatto veramente, a costo di farsi male... e non voleva
sentirsi responsabile anche
per quello.
«Stia fermo,» si risolse infine, avvicinandosi.
La
donna iniziò a sciogliere la benda della spalla con
delicatezza,
notando che Tony si mordeva il labbro pur di non lamentarsi; doveva
costargli molta fatica, poiché artigliava con la mano il
bracciolo
della sedia. Anche Pepper doveva sforzarsi per compiere quel lavoro
ingrato che le aveva praticamente imposto, ma provava anche pena per
lui e non si sentiva di negargli quello che dopotutto era un favore
che non avrebbe potuto compiere da solo.
Quando arrivò a scoprire
i punti ancora freschi esitò, perché Tony tremava
dal dolore e
stentava a rimanere fermo. Tolse con un gesto rapido la benda per
porre fine a quella sofferenza, pentendosi di aver accettato la sua
richiesta.
Tony teneva la testa girata dall'altra parte; sembrava
aver improvvisamente cambiato idea e non fece cenno di voler
guardare, ma annuì appena quando la vide esitare,
invitandola a non
fermarsi.
Pepper passò alla gamba, dandogli tempo di raccogliere
le forze per affrontare quell'ennesimo ostacolo. Quando gli aveva cambiato le bende l'ultima volta era decisamente più inibito dagli antidolorifici, e lei decisamente meno nervosa. Adesso era combattuta tra
l'ammirarlo e il considerarlo un masochista. Quelle bende furono
più
difficili da rimuovere: più di una volta Tony si
lasciò sfuggire
un'esclamazione soffocata a stento; contrasse involontariamente il
muscolo e questo gli provocò uno spasmo di dolore.
Pepper si
fermò un momento per farlo riprendere, ma Tony la
incoraggiò a
continuare, così finì di scoprire ciò
che rimaneva dell'arto
troncato di netto. Si
era quasi abituata a quella vista, per quanto dolorosa anche per lei,
ma non riusciva a immaginare come avrebbe reagito lui nel
fronteggiarla.
Fece
per passare alla benda sull'occhio, ma a quel punto Tony la
bloccò
con fermezza. Si tolse a tentoni il cerotto e sussultò
quando sentì
l'aria fresca lambirgli la pelle sensibile e martoriata del viso.
Si
bloccò con l'unico occhio chiuso, improvvisamente incapace
di
muoversi. Era smanioso di sapere, ma allo stesso tempo temeva
ciò
che avrebbe potuto vedere. Temeva di poter odiare il suo corpo in
maniera definitiva.
Pepper gli strinse con dolcezza la mano mentre
aspettava che Tony riaprisse l'occhio per guardarsi totalmente dopo
tutto quel tempo, per vedere ciò che era diventato.
«Pepper...
non ce la faccio,» boccheggiò infine lui,
incominciando ad
agitarsi.
Lei non seppe cosa fare. Non voleva incoraggiarlo,
voleva solo che rimettesse quelle dannate bende, non per disgusto, ma
per semplice buon senso: non stava soffrendo solo lui a quella vista.
Gli fece una semplice, ma incoraggiante carezza sulla guancia,
lasciando scivolare la mano sino al collo per trasmettergli un po' di
conforto. Solo a quel punto Tony aprì l'occhio per fissarlo
nei
suoi, incoraggianti e limpidi. Pepper lo fissò di rimando.
Lui annuì
una volta, come ad autoconvincersi.
Abbassò di scatto lo sguardo
verso il moncherino della spalla e si sentì contrarre lo
stomaco per
lo shock. La pelle era arrossata, i punti gonfi e di un rosso acceso
e malsano. Si costrinse a guardare anche la gamba, in condizioni anche peggiori: stavolta fu un
pugno nello stomaco. Infine, si voltò alla sua sinistra,
verso lo
schermo di un computer spento. Pepper era ammutolita e lo fissava in
attesa di una qualunque reazione emotiva.
«Specchio,»
mormorò Tony a JARVIS, e quello fece sì che lo
schermo restituisse
la sua immagine.
Portò incredulo la mano allo sfregio che
occupava il suo volto, dove un tempo c'era stato il suo occhio
sinistro. Lo tastò appena, incurante della scossa di dolore
che ciò
gli provocò. La ferita si stava lentamente rimarginando, ma
era
ancora arrossata e repellente alla vista; un taglio profondo gli
solcava il sopracciglio per poi perdersi nella massa gonfia e
contorta che era diventata la sua palpebra, chiusa per sempre dai
punti di sutura. Si coprì cautamente la piaga, celando il
suo volto
deturpato, e per un attimo vide se stesso, per poi notare gli arti
mancanti e terribilmente sbagliati nel suo riflesso. Vide lo
smarrimento nel suo stesso sguardo, ora concentrato nell'unica iride
nocciola che gli rimaneva.
Guardò di sfuggita Pepper nello
schermo.
«Penso che possa bastare,» le disse.
Ammise a se
stesso che non era del tutto preparato e chinò il capo.
«Mi
aiuti a rivestirmi, per favore,» chiese piano, esitando a
incrociare
il suo sguardo.
Lei eseguì senza parlare, cambiandogli le
medicazioni con cura ed efficienza.
Finito di rivestirsi con
qualche difficoltà, si abbandonò allo schienale
della sedia,
inerte. Sentiva la testa vuota e leggera, come se avesse respiranto a
lungo troppo profondamente.
«JARVIS, hai fatto le analisi che ti
avevo chiesto?» si sentì dire, come se nulla fosse
successo.
«Sì,
signore. Ho trovato una lega che forse fa al caso nostro...»
La
donna era rimasta impalata di fronte a lui, sentendosi fuori luogo,
di troppo e risentita per quell'improvviso cambio di
atteggiamento.
«Adesso è tutto, signor Stark?» chiese,
gelida.
"Ha finito di farsi del male?" pensò invece tra
sé.
«È tutto, signorina Potts. Può
andare,» aggiunse,
goffamente.
Pepper si voltò senza aggiungere altro se non un
atono "buon lavoro".
«Pepper?» la chiamò Tony prima
che aprisse la porta.
La donna si voltò appena.
«Grazie.
Davvero,» le sorrise incerto e Pepper ebbe l'impressione che
le
stesse chiedendo scusa.
«È perdonato.»
"Come sempre..."
sospirò tra sé.
Revisione effettuata il 13/02/2018
Note Delle Autrici:
Ok, questo capitolo è un bel miscuglio di generi... si passa dal tecnico all'ironico fino all'angst totale. Per non parlare del fluff... sì, in alcuni punti c'è scappata la mano, ma ci sembrava il caso di stemperare i capitoli precedenti.
Comunque, we're back (in black). Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto e ringraziamo Rogue92, AriCastle66, Silvia_sic1995 e alliearthur che hanno commentato e hanno inserito qusta FF tra le seguite... grazie a tutte!
Al prossimo capitolo! :D
Moon&Light
P.S. Ammettetelo: avete TUTTE pensato male...
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