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Autore: Carla Volturi    07/04/2012    3 recensioni
L’aria che respiriamo può portarci alla mente un ricordo di un evento particolare della nostra vita, un amicizia, un amore. E’l’aria, il sole, il mare a far incontrare Cecilia, giovane giornalista venticinquenne con Damiano, militare trentacinquenne.
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Baci da Carla.

CAPITOLO 14- LE MIE PAROLE


E’ decisamente raro svegliarsi al mattino in piena estate qui a Furore con un cielo cupo e tetro e la pioggia, che scende copiosa. Grosse nuvole, cariche d’acqua, lentamente fluttuano, divenendo sempre piu’ scure, sempre piu’ minacciose. Niente sole, stamane è completamente offuscato. Peccato per i turisti, i loro piani in merito alla tintarella sono andati leggermente a monte!. Ciò è palese dal lungomare silenzioso e solo, non c’è anima viva che si appresti a mangiare un gelato seduto al tavolo del bar, o ad incamminarsi con tanto di asciugamano sulla spalla verso la spiaggia.
Sbuffo, pensando che mi convenga restare a casa per l’intera giornata. Peraltro Carlo non sembra aver bisogno di me al bar. Brando mi ha lasciato un messaggio sul comodino, è in Capitaneria. Sono convinta che, quando è entrato in camera mia, mi abbia baciato sulla fronte. Chi non è a conoscenza del nostro grado di parentela senza dubbio penserebbe che siamo fidanzati. E invece no, il mio Brando non è altro che un fratello speciale e stupendo…il fratello che tutte vorrebbero. No aspettate un attimo, mi correggo: il fratello che tutte vorrebbero, eccetto quando conosci un ragazzo. Si perché è di un geloso che fa paura. Tuttavia non posso lamentarmi della sua condotta, ha saputo di Damiano e soprattutto di quel piccolo particolare che il suo collega non mi aveva menzionato eppure non si è scomposto piu’ di tanto. Ciò è abbastanza strano: quando lasciai Ermanno, dopo il suo tradimento, quasi non lo prendeva a mazzate per quello che mi aveva fatto, per quanto mi aveva fatta soffrire. Il mio Brando, il mio cavaliere per tutta la vita.
Sono seduta sullo sgabello azzurro in camera mia, al primo piano. Occhiali per la vista dalla montatura nera e matita tra i denti. Computer acceso e documento Word in bella vista, senza contare gli infiniti fogli che ho sulla scrivania. Sto tentando in tutti i modi di buttare giu’ un nuovo articolo, da inviare alla redazione del mio giornale. Stavolta mi tocca raccontare ai miei lettori del Fiordo e della messa in sicurezza della montagna. E’ vero che l’intervento da parte della Capitaneria e dei Carabinieri è terminato, ma è pur sempre giusto dire ai cittadini ciò che realmente è accaduto. Un altro po’ spacco gli incisivi superiori nel mordere violentemente la matita. La Capitaneria, eh? Il Fiordo, eh Cecilia? Tutti luoghi semplici, che non ti ricordano nulla. Proprio nulla.
Col cavolo! Ho un unico pensiero: Damiano. Anzi no, meglio specificare: Damiano e Mirella, sua moglie.
Stupido di un marinaretto da quattro soldi, voglio capire perché diavolo non mi ha parlato di lei. Perché diavolo non mi ha detto “Sai, sono sposato”. Non me ne frega nulla che sono separati, io non mi ci metto in mezzo ad una relazione cosi difficile. Non mi ci metto in mezzo ad un matrimonio. Voglio dire, ma chi mi garantisce che i sentimenti di Damiano siano veri nei miei confronti?. Sono poche settimane che ci conosciamo e sappiamo tutti come vanno a finire le storie estive: belle e passionali lasciano il tempo che trovano. Senza contare che io poco so di questo matrimonio…e se lui dovesse ripensarci, se lui dovesse ritornare con la moglie?. Il mio diverrebbe il ruolo di una stupida amante senza cervello, illusa ed abbandonata. Non voglio questo per me, non lo desidero. Lui parla di colpo di fulmine…eh si è vero, la bella e forte sbandata l’ho presa anche io per lui quel giorno, ma c’è tanta e molta differenza tra noi, io non devo dar conto a nessuno!.
Certo che sono una sfigata di prima categoria: prima le corna con Ermanno, ora Damiano e questa sorta di storia-non storia. Temo che debba farmi benedire da un buon prete, che galantemente mi caccerebbe dalla sua chiesa, poiché in famiglia siamo atei: nessuno si è sposato con rito religioso, nessuno ha ricevuto i sacramenti, almeno dalla parte della mia famiglia paterna. I miei genitori ci hanno lasciati liberi di scegliere, ma ne io, ne il mio gemello Brando, ne Carlo ed Elena abbiamo seguito una diversa strada. Stiamo bene cosi, ci rivolgiamo ai nostri nonni quando abbiamo bisogno di loro. Mi viene da ridere quando penso a ciò che si mormorava a Minori, città natale di mio padre e delle sue due sorelle. La gente affermava che noi Scala eravamo strani: mai una nostra presenza in chiesa, mai una confessione, mai una processione, mai un funerale. Quando è morto mio nonno, mio padre era sereno, nonostante avesse perso il suo di padre. Rimembro poco di quel giorno, ma un particolare è vivo nella mia mente: papà scese giu’ di casa, dirigendosi verso il piccolo morso di spiaggia, ove il nonno Carlo aveva in sosta la sua barchetta bianca. Senza fiatare, prese un ascia e tagliò il pezzo di legno dove era dipinto il nome dell’ imbarcazione, la “Lucia”. Ebbene quel pezzo, che può sembrare senza valore, oggi giace tranquillo dove riposano i miei nonni…insieme anche dopo la morte. Ci piace pensare che se ne stiano li, sulla loro barchetta a ridere, a scherzare, a visitare la loro grotta. Mi piacerebbe vivere un amore cosi intenso come il loro.
Sorriso sulle labbra. Mano a mo di pugno tra zigomo e tempia. Gomito sulla scrivania. Muscoli del braccio in tensione. E quel profumo di limoni gialli, che percepisco nell’aria solo quando osservo la foto dei miei nonni sorridenti. Mi mancano un bel po’.
I miei numerosi pensieri vengono distratti da una voce maschile, che urla piu’ non posso in direzione del balcone della mia stanza. Abbasso le palpebre. Scompare il mio sorriso. Batto con decisione il palmo della mano sul tavolo. E mo mi hai rotto. Ma come funziona qua? Prima fai il guaio e poi vuoi essere perdonato? Ci pensavi prima, bello mio. Ne ho ricevute abbastanza di fregature.
Non curante del pigiama rosso da me indossato, mi affaccio, beccandomi anche la pioggia. Stringo forte la ringhiera con una mano, con l’altra reggo il mio fianco sinistro. Sollevo leggermente il mento: “Che vuoi?”.
E’ inzuppato d’acqua dalla testa ai piedi. Capelli scuri tirati indietro. Occhi puntati sulla mia persona. Maglia marrone, che delinea perfettamente i muscoli del suo torace. Jeans scuro, decisamente scuro poiché bagnato. Affanna, lo denoto dal suo petto che si gonfia e sgonfia a ritmi impercettibili. Stai morendo, Damiano?. Sai sono cosi tremendamente incazzata, che quasi non mi importa. Non mi importa?.
Urlo isterica: “Allora? Che vuoi?”.
Parlarti”, replica, non distogliendo lo sguardo.
La pioggia fa si che i miei lunghi capelli si fissino come collante sulle mie guance. I piedi scalzi sono ormai perfettamente lavati: “Chi se ne frega delle tue chiacchiere”.
Non fare la bambina”, esclama, sicuro di se. L’ha fatto apposta, ne sono sicura.
Almeno io sono una bambina e non un cazzaro, caro il mio signor ho una moglie acida, ma non te lo dico perché ho avuto il colpo di fulmine”, alzo il braccio destro, “quello il fulmine ti doveva bruciare il cervello, idiota”.
Detto ciò, entro dentro e chiudo alle mie spalle il balcone. Mordo il labbro inferiore. Calcio qualcosa che in realtà non esiste. Stropiccio la pelle della mia fronte: mannaggia la miseria!. Mi piace da morire, ma prima di tutto mi piace vivere tranquilla. Come faccio ad esserlo se so che l’uomo verso il quale ho provato determinate emozioni è sposato?. Come faccio?.
Malgrado tutto, ogni cosa è decisamente evidente: lo mando cordialmente a quel paese, ma lo penso. Lo lascio sotto la pioggia da solo e gli corro incontro. Si perché sto scendendo le scale del primo piano per andare da lui. E per dirgli cosa poi? Mi sembra che sia stata ben chiara cinque minuti fa. Cavolo ma quante domande mi faccio? non è mai successo in vita mia. Ci voleva lui, Damiano, per mandarmi in crisi.
A passo svelto mi dirigo verso la porta principale. Sollevo la placchetta di ottone dello spioncino e scopro che lui semplicemente non è piu’ li, sul terrazzo, con la sua maglia e il suo jeans bagnato.
Anche questa volta è andato via, senza ottenere successo. Solo lui con il mio rimprovero. Le mie parole. 
  
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