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Autore: TheComet13    09/04/2012    2 recensioni
Sembrava una missione come tante altre per Maya, assassina professionista al servizio di un'organizzazione segreta. Eppure nei diciassette giorni in cui Maya ha osservato il suo bersaglio, qualcosa è iniziato a cambiare. Come può terminare la missione, quando il suo bersaglio è una donna che è inspiegabilmente riuscita a farle battere il cuore come nessun altro prima? Maya deve capire cosa conta di più per lei: l'amore verso quella donna misteriosa, o la lealtà nei confronti dell'organizzazione?
[ Questa storia si è classificata terza al concorso Love (Never) Fails]
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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NOTA DELL'AUTRICE: A fine capitolo, perchè non voglio spoilerare! u_u


Parte 3 – Born to die
 
Don’t make me sad, don’t make me cry
Sometimes love is not enough
And the road gets tough, I don’t know why
The road is long, we carry on
Try to have fun in the meantime
Come and take a walk on the wild side
Choose your last words
This is the last time
Cause you and I
We were born to die
 
Quando arrivarono a Detroit, la pioggia aveva appena iniziato a cadere. La desolata periferia della città aveva un aspetto ancora più squallido sotto quelle nuvole grigie e quelle gocce che cadevano pesanti.

Kathryn fermò la macchina davanti a un capannone dall’aria abbandonata. “Eccoci qui. Prendiamo i documenti e andiamocene alla svelta. Meno tempo restiamo qui e meglio è.”

Maya annuì e scese dalla macchina. All’ingresso del capannone, due uomini le percuisirono, ritirarono le loro pistole e le condussero al cospetto di un uomo dallo spiccato accento russo.

“Kathryn!” salutò l’uomo. “Quanti anni sono passati! Pensavo fossi morta.”

“Piacere di rivederti, Georgiy.” Kathryn strinse la mano dell’uomo. “Rimarrei a raccontarti di tutte le volte che sono riuscita a scampare alla morte, ma sono un po’ di fretta. Sono pronti i nostril documenti?”

Georgiy rise. “Sempre impaziente, donna. Non sei cambiata affatto. Non mi presenti alla tua incantevole compagna di viaggio?”

Maya fece per presentarsi, ma Kathryn la fermò. “Meno dettagli conosci su di noi, e meglio sarà per te, Georgiy. I documenti?”

L’uomo alzò le spalle. “Sono pronti per la stampa, con i dati che mi hai spedito. Mancano solo le vostre fotografie, quindi, se volete accomodarvi…”

Kathryn annuì, e si accomodò sullo sgabello che Georgiy le indicò, seguita poi da Maya. In meno di un’ora, i due passaporti erano pronti.

“Mayra Watson, cittadina britannica?” chiese Maya aprendo il suo nuovo documento.

“Sarà molto più semplice entrare in Inghilterra se siamo entrambe in possesso di un passaporto britannico. Abbiamo molti giorni di viaggio per lavorare sul tuo accento.” rispose Kathryn, o Caitlyn Harris, come risultava dal suo nuovo passaporto.

Le due donne pagarono Georgiy (profumatamente), e fecero per andarsene. “Oh, Georgiy” si voltò Kathryn prima di lasciare il capannone. “Cerca di continuare a credere che io sia morta. È meglio per tutti.”

“Ricevuto.” rispose l’uomo. “Addio, Kathryn.”

Le due donne si rimisero in macchina, Maya alla guida, direzione New York.

“Bene, e adesso sentiamo come te la cavi a imitare il mio accento, Mayra.” rise Kathryn, mentre si lasciavano Detroit alle spalle.

Dopo due ore di viaggio, Maya si trovò a ringraziare che il viaggio verso l’Inghilterra sarebbe durato parecchi giorni, perchè il suo accento inglese al momento era veramente penoso e mai sarebbe passata per cittadina britannica.

La strada verso New York era lunga, ci sarebbe voluto tutto il giorno per arrivare e Kathryn aveva accennato che avrebbe preferito fermarsi a dormire in qualche motel fuori città. Ora che avevano i documenti, potevano senza problemi prendersi una stanza per la notte.

Si fermarono per pranzo. Kathryn disse di aver bisogno di una connessione internet. Mentre mangiavano, Kathryn era intenta a scrivere qualcosa, o scrivere a qualcuno. Maya decise di non chiedere…il rapporto di Kathryn con il web era davvero troppo complicato per lei.

Pioveva ancora quando ripresero il viaggio verso la Grande Mela.

“Cosa pensi di fare quando arriveremo in Inghilterra? Vuoi andare a lavorare per la MI-6?” chiese Maya.

Kathryn scosse la testa. “Non ci penso neanche. Te l’ho detto, sono stanca di tutte queste cose. Sono stanca di segreti, fughe, armi e missioni. Voglio una vita normale. Troverò un lavoro, magari come tecnico informatico…un lavoro normale. E tu?”

“Si, anche io pensavo a qualcosa del genere. Non tecnico informatico, ovviamente, visto quanto poco ne so di computer. Ma comunque qualcosa di semplice. Magari finirò gli studi, visto che non sono mai riuscita a laurearmi.”

Kathryn rimase in silenzio per un po’ e poi si girò a fissare Maya con aria seria. “Devo confessarti una cosa.” iniziò incerta. Non sapeva come Maya avrebbe preso quello che stava per dirle. “Quando ero al computer prima…ho contattato la MI-6 e un notaio.” Maya la guardò senza capire. Un notaio? Perchè diavolo Kathryn aveva bisogno di un notaio? “Maya, in caso mi succedesse qualcosa prima di arrivare in Inghilterra…o anche dopo…voglio che tu abbia la casa. E voglio che la MI-6 ti protegga come dovrebbe proteggere me. Promettimi che qualunque cosa succeda, andrai lo stesso in Inghilterra, e sarai al sicuro. Puoi anche vendere la casa e vivere altrove, non importa, ma promettimi che non resterai negli Stati Uniti. È troppo rischioso. E promettimi…promettimi che mi lascerai indietro in caso succedesse qualcosa. Non fare l’eroe, Maya, non cercare di salvarmi se la situazione è disperata. Preferisco sapere che almeno tu sei al sicuro.”

“Stai scherzando, vero?” chiese Maya sconvolta. “Pensi davvero che potrei scappare in Inghilterra, a casa tua, lasciandoti indietro? Kathryn, no! Farei di tutto per salvarti, anche se la situazione potrebbe sembrare disperata. Non potrei mai lasciarti indietro!”

“Maya…” sospirò Kathryn. “Ti prego…”

“No!” esclamò decisa la ragazza. “Non è una discussione che voglio avere. Andremo in Inghilterra insieme. O non andremo proprio. Fine della storia.”

Il silenzio calò in macchina. La musica che usciva dalle casse non era che un flebile sottofondo, coperto dalle pesanti gocce di pioggia che continuavano a cadere. Maya era concentrata sulla strada, e Kathryn guardava fuori dal finestrino, immersa nei suoi pensieri. Maya sapeva che la discussione non sarebbe finita lì, e che Kathryn stava solo cercando delle argomentazioni valide per convincerla.

Era deprimente. La lunga autostrada, la pioggia, il silenzio in macchina, e il pensiero che una delle due avrebbe potuto non farcela a raggiungere la nave. O entrambe. Erano state estremamente fortunate a non essere ancora state trovate, lo sapevano bene. Ma l’organizzazione poteva rintracciarle da un momento all’altro e allora come sarebbe finita? Sarebbero riuscite a mettersi in salvo? Erano solo in due, e nonostante gli anni di addestramento e esperienza, non avrebbero avuto molte possibilità se l’organizzazione avesse mandato un’intera squadra di agenti. E se il peggio fosse veramente successo…Kathryn credeva davvero che Maya l’avrebbe lasciata e si sarebbe messa in salvo da sola? E lei? Cosa avrebbe fatto Kathryn se fosse stata Maya quella colpita? L’avrebbe lasciata indietro? Maya lanciò uno sguardo alla donna sedura al suo fianco. No ovviamente, non l’avrebbe mai fatto. Kathryn avrebbe fatto di tutto per salvarla o per proteggerla. E allora perchè lei non poteva fare lo stesso?

“Posso farti una domanda?” chiese. Kathryn annuì senza distogliere lo sguardo dalla strada. “Per caso…io assomiglio a Emma? O c’è qualcosa di me che te la ricorda? È per questo che stai cercando di proteggere me…perchè non sei riuscita a proteggere lei?”

Kathryn si voltò. “Accosta.” disse con tono piatto, la voce che non tradiva nessuna emozione. Maya fece come le era stato detto, pentendosi immediatamente di aver posto quella domanda a Kathryn. Avrebbe dovuto stare zitta e non riportare a galla il passato.

Quando la macchina si fermò, Kathryn prese le mani di Maya nelle sue. “Maya, tu ed Emma…siete due persone diverse. Completamente diverse. Fisicamente e caratterialmente. Non devi mai pensare che possa metterti a confronto con lei. Tu sei molto più forte di lei, e so che sei capace di difenderti da sola. Ma si, ho paura che tu possa rimanere uccisa a causa mia, come è successo a lei. È così strano? È colpa mia se sei in questo casino ora. E non voglio che ti succeda niente, ma soprattutto non voglio che tu rischi la tua vita per proteggere me.”

“Kathryn, non lo vedi che lo sto già facendo? Dal momento in cui mi sono rifiutata di ucciderti e ho deciso di scappare con te, ho messo a rischio la mia vita per la tua. E va bene così, non sono pentita di questo e non me ne pentirò in futuro. Non c’è bisogno che tu mi protegga. Non succederà a me quello che è successo a Emma. Ma capisci che non posso prometterti di mettermi in salvo sapendo che tu sei in pericolo…magari ferita…non posso farlo, come so che tu non lo faresti se fosse il contrario. Quindi ora cerchiamo di arrivare a New York prima che ci rintraccino e di salire su quella maledetta nave, così potremo lasciarci tutto questo alle spalle.”

Kathryn sospirò. Maya era testarda. Era inutile cercare di combattere quella battaglia con lei…soprattutto quando avevano una battaglia molto più grande e difficile in corso. “D’accordo. Andiamo.”

Erano a poco più di un centinaio di miglia da New York quando uscirono dall’Interstate per cenare. Si fermarono in una piccola stazione di servizio, con benzinaio e fast food. “Quando saremo in Inghilterra, ti porter a cena in un ristorante decente. Sono stufa di questi diners e fast food. Mi sembra di non aver mangiato altro per giorni.” sbuffò Katheryn.

“Questo perchè non abbiamo mangiato altro per due giorni.” rise Maya. “A me non importa, il cibo alla base era sicuramente peggio di questi hamburgers, ma sarà piacevole mangiare qualcosa di non unto. Dio solo sa cosa mangeremo su quella nave…l’idea di una cena in un ristorante è una prospettiva allettante.”

“Per un attimo avevo dimenticato che abbiamo davanti una lunga traversata.” mugugnò l’inglese. “Vorrei poter chiudere gli occhi stanotte e riaprirli quando saremo al sicuro a Southampton.”

Finito di cenare, Maya si fermò all’interno del minimarket della stazione di servizio per pagare la benzina e comprare un paio di bottiglie d’acqua per la notte, mentre Kathryn faceva il pieno. Quando i due SUV neri arrivarono, Kathryn capì subito che erano nei guai. Aveva lavorato nell’organizzazione per troppo tempo, e per altrettanto tempo era scappata da LORO, per non riconoscere il tipo di macchina. “Merda!” imprecò. Si voltò di scatto verso il minimarket, da cui Maya stave uscendo. “Maya, sali in macchina, veloce!” urlò.

Maya vide le due macchine e anche lei capì, e iniziò a correre.

Accadde tutto molto velocemente. Gli uomini uscirono dagli SUV e iniziarono a sparare in direzione di Maya, che correva verso la macchina, cercando di schivare i proiettili. Kathryn staccò la pompa dalla macchina, lasciandola cadere per terra, e anche lei aprì il fuoco contro gli agenti dell’organizzazione, indietreggiando verso il sedile del passeggero. Maya si lanciò nel posto del guidatore e avviò il motore, aspettando che Kathryn salisse in macchina.

“Vai!” le urlò Kathryn, sporgendosi dalla portiera ancora mezza aperta. Quando furono abbastanza lontane, Kathryn sparò un proiettile verso i serbatoi di benzina, e il liquido che lei stessa aveva lasciato cadere a terra, causando un’esplosione. Questo avrebbe dato loro il tempo necessario per allontanarsi. Non era sicura che gli agenti dell’organizzazione fossero rimasti colpiti dall’esplosione, ma ci sperava.

“Merda!” imprecò di nuovo. “Come diavolo hanno fatto a trovarci?”

“Kathryn…” sussurrò Maya.

Kathryn si girò verso la sua compagna, e inorridì alla vista del sangue che fuoriusciva dal braccio di Maya. Il proiettile l’aveva colpita nel braccio destro, e lì si era conficcato. Il sangue usciva a fiotti. Cercò di non farsi prendere dal panico alla vista della sua compagna ferita, e di ragionare. Maya non avrebbe potuto continuare a guidare per molto, e sicuramente avrebbe avuto bisogno di essere medicata. E avrebbero dovuto abbandonare quella macchina, perchè ormai LORO l’avrebbero riconosciuta. L’idea le venne alla vista di un motel, con alcune macchine parcheggiate fuori.

“Fermati lì.” ordinò a Maya. Quando si fermarono, le passò una delle maglie che tenevano sul sedile posteriore. “Ho bisogno che tu comprima la ferita per evitare il rischio di dissanguarti. Puoi farlo?” Maya annuì. Il dolore era così forte da impedirle di formare una frase di senso compiuto. Avrebbe solo voluto urlare.

Kathryn scese dalla macchina e si diresse verso una delle vetture parcheggiate. Entro poco tempo, era riuscita ad entrare e a farla partire. “Coraggio, salta su!” urlò a Maya, che si trascinò verso la macchina.

Kathryn uscì dal parcheggio. “In questo modo vedranno la macchina e penseranno che ci siamo fermate al motel. Questo dovrebbe far perdere a loro un po’ di tempo, e farcene guadagnare a noi.” Poi tirò fuori il suo iPhone. “Cercami un motel nelle vicinanze.” scandì lentamente al Siri.

La ricerca procurò quattro risultati, tutti nel giro di una decina di miglia. Kathryn sorpassò i primi due, e si fermò al terzo. Prima di scendere dalla macchina, strinse la maglia intorno al braccio ferito di Maya e l’aiutò a infilarsi la giacca, per evitare di destare sospetti se qualcuno l’avesse vista. Cercò nella sua borsa uno dei tanti documenti falsi, quello con il nome più diverso dal suo, e finalmente si avviò alla reception, lasciando Maya nascosta. In questo modo, se LORO fossero arrivati a quel motel e avessero fatto domande, nessuno avrebbe potuto dire di aver visto due donne insieme prendere una stanza. Prima di entrare, costrinse la sua lunga chioma scura sotto una parrucca bionda che teneva in valigia. Più di una volta era dovuta ricorrere a questi mezzi per scappare dall’organizzazione. La foto nel documento ritraeva una donna con i capelli corti e biondi. Se LORO avessero domandato di una donna corrispondente alla descrizione di Kathryn, il ragazzo alla reception non avrebbe sicuramente pensato a lei.

Una volta in camera, Kathryn tirò fuori dalla sua valigia un kit di pronto soccorso e si dedicò alla ferita di Maya. Fortunatamente, il proiettile non era andato troppo in profondità, e Kathryn riuscì a rimuoverlo facilmente. Medicò la ferita e la chiuse con dei punti. “Ho paura che ti rimarrà una bella cicatrice. Non sono mai stata portata per il ricamo.” si scusò, ma Maya scosse la testa. “Hai fatto molto di più di quanto sarai stata in grado di fare io.”

Kathryn le sorrise, poi le passò un paio di pillole. “Per alleviare il dolore. Ora dormi. Hai perso un bel po’ di sangue, e hai bisogno di riposarti. Io rimarrò a fare la guardia.”

Probabilmente LORO ci avrebbero messo ore per trovarle. Kathryn si era allontanata dalla rotta più ovvia, e non aveva scelto il primo motel sulla sua strada. Senza contare che nessuno sarebbe potuto risalire a lei dal nome sul documento che aveva fornito. Con un po’ di fortuna, Maya avrebbe potuto riposare quasi fino all’alba prima di dover ripartire.

Le previsioni di Kathryn si rivelarono azzeccate. Erano le sei del mattino, quando la donna andò a svegliare Maya, che dopo aver dormito stava decisamente meglio. Kathryn cambiò la medicazione alla ferita, fece prendere a Maya un altro antidolorifico, e poi si rimisero in viaggio. Avevano cinque ore per arrivare al porto di New York, incontrarsi con il contatto di Kathryn e salire sulla nave, che sarebbe salpata alle undici in punto. Di tempo ce n’era a sufficienza, erano solo un centinaio di miglia in fondo…quello che Kathryn temeva è che quelle ore in più che avevano a disposizione potessero dare all’organizzazione l’opportunità di trovarle. Le avevano ritracciate una volta, potevano farlo ancora. Senza contare che ormai la loro meta era abbastanza ovvia. Certo, probabilmente LORO non sarebbero arrivati a pensare che Kathryn avesse scelto una nave come via di fuga. Sicuramente avrebbero mandato a controllare tutti gli aeroporti di New York, e magari anche quello di Newark, e tutti gli aeroporti del raggio di cento miglia. Ma era anche vero che potevano aver mandato agenti in postazione quella notte, e aver incaricato altri di cercarle per la strada. Era rischioso. Kathryn aveva davvero sperato di riuscire ad arrivare a New York senza complicazioni. Come diavolo avevano fatto a trovarle? Avevano disattivato il localizzatore a Clear Lake due giorni prima, quindi era da lì che avevano iniziato a cercarle. C’erano almeno una decina di aeroporti in zona, più o meno grandi, da cui sarebbero potute partire. E anche se non avessero cercato negli aeroporti, la via di fuga più ovvia sarebbe stata verso il Canada. Ma no, Kathryn e Maya avevano scelto la rotta meno ovvia, deviando verso Detroit e poi procedendo per New York. Che Georgyi le avesse tradite? Anche se fosse, non sapeva dov’erano dirette. Avrebbe solo potuto dire che erano state lì a Detroit per dei documenti falsi, che tra l’altro non avevano ancora usato, quindi anche l’ipotesi che le avessero rintracciate cercando i nomi sui passaporti era da escludere. Più ci pensava, più Kathryn non riusciva a spiegarsi come avessero fatto a trovarle. Ripercorse con la mente ogni singolo dettaglio di quei due giorni per trovare una spiegazione plausibile. E finalmente capì. Le telecamere alla stazione di servizio. Probabilmente avevano colto dei fotogrammi delle loro immagini e l’organizzazione aveva mandato gli agenti più vicini a eliminarle. Kathryn sospirò. E pensare che era stata proprio lei a insegnare ai tecnici dell’organizzazione come sintonizzarsi su tutte le telecamere di sorveglianza degli Stati Uniti e ricercare i volti. Ma ora non c’era tempo di soffermarsi sugli errori passati. Doveva arrivare a New York e salire con Maya su quella dannata nave, fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto in vita sua.

Tutta la pioggia del giorno prima era scomparsa, lasciando posto a un cielo senza nuvole. C’era traffico all’ingresso della città, cosa di cui Kathryn ringraziò. Se loro erano bloccate nel traffico, lo sarebbero stati anche gli agenti dell’organizzazione, e inoltre in questo modo avrebbero perso un po’ di tempo e non sarebbero arrivate al porto con troppo anticipo. Era troppo pericoloso rimanere nello stesso luogo a lungo, fosse stata anche la nave che le avrebbe condotte in Inghilterra.

Maya stava molto meglio, il dolore della ferita era sopportabile, e anche il suo umore era migliorato. Le due donne cercarono di fare conversazione per coprire l’evidente apprensione. Kathryn chiese a Maya se era in grado di proseguire a piedi da un certo punto in poi, e Maya annuì. Così, decisero di lasciare la macchina da qualche parte vicino a Tribeca. Kathryn tirò fuori dalla borsa due parrucche e grossi occhiali da sole, in modo da non essere riconosciute dalle telecamere, e proseguirono in metropolitana verso il porto di Brooklyn. Raggrupparono tutti i loro averi in un borsone, per lo più armi, soldi e lo stretto necessario a livello di indumenti. Avrebbero potuto ricomprare tutto in Inghilterra.

Il tragitto in metropolitana fu lungo, e entrambe le donne erano nervose. Sarebbe stato difficile spiegare il quantitativo decisamente anormale di armi e contanti che trasportavano, se fossero state sottoposte a dei controlli. Ma fortunatamente, riuscirono a raggiungere il porto senza intoppi. Kathryn si mise al telefono ed entro pochi minuti un uomo che si presentò come Patrick venne ad accoglierle.

“La nave salperà tra circa un’ora. Potete darmi il vostro bagaglio e lo farò recapitare nel vostro alloggio. Vi farei salire subito a bordo, ma stiamo finendo gli ultimi controlli e il capitano non vuole passeggeri. Prendetevi un caffè e qualcosa da mangiare, potrebbe essere l’ultimo pasto decente da qui fino in Inghilterra, perchè purtroppo il cibo a bordo è pessimo. Ci ritroviamo qui tra una mezz’ora, d’accordo?”

Le due donne annuirono, non propriamente felici di dover aspettare prima di imbarcarsi. Sarebbero state molto più al sicuro a bordo della nave che in giro per il porto. Ma purtroppo, non dipendeva da loro. Era già tanto che fossero riuscite a trovare qualcuno disposto ad accoglierle su una nave merci, non potevano chiedere di più. Così si diressero a mangiare qualcosa, come Patrick aveva suggerito.

“Sei nervosa?” chiese Maya a Kathryn.

Kathryn avrebbe voluto mentire per rassicurare la sua compagna, ma il suo volto tradiva tutto quello che stava provando. Sì, era nervosa, molto più di quanto lo era stata nei giorni precedenti. Erano così vicine alla liberazione…Kathryn aveva aspettato anni per quel momento, e ora non poteva fare a meno di agitarsi. Possibile che fosse stato così facile? (Certo, lasciando fuori l’incontro della sera precedente e la ferita al braccio di Maya.)

 Mezz’ora era passata, e Patrick le stava aspettando dove si erano incontrati prima. “Pronte a salire a bordo?” chiese.

Fosse stata un’altra persona, Kathryn non avrebbe prestato attenzione a ciò che la circondava, e si sarebbe concentrata solo sull’imminente imbarco. Ma Kathryn era Kathryn, e tutti quegli anni di esperienza nella CIA, nell’organizzazione, e poi come fuggitiva, le avevano insegnato di non abbassare mai la guardia. Scrutava ogni volto intorno a sè con la coda nell’occhio, e fu così che li vide. Cinque agenti dell’organizzazione, che avanzavano a passo sicuro verso di loro.

“Sai sparare?” disse rivolta a Patrick, che annuì confuso. “Bene!” Kathryn gli mise in mano una pistola, e sguainò la sua. “Spara!” Gli ordinò indicando gli agenti.

Nel giro di qualche secondo, il porto si trasformò in una zona di panico totale. Gli spari e le grida spaventate della gente coprivano persino i fischi delle navi.

Kathryn, Maya e Patrick corsero verso il molo, schivando proiettili e girandosi per sparare a loro volta. In quella corsa frenetica, non si fermarono neanche una volta a verificare che non ci fossero state casualità. Non erano degli assassini, ma in quel momento c’era in gioco la loro salvezza. Non avevano tempo di farsi problemi per i civili presenti nel porto (che per fortuna erano quasi tutti scomparsi dopo il primo sparo). Tre agenti caddero, feriti o morti, mentre Kathryn, Maya e Patrick raggiunsero la nave. Patrick salì a bordo per primo, urlando al capitano di anticipare la partenza, mentre le due donne rispondevano al fuoco nemico e si portavano verso la passerella d’imbarco. Maya stava per salire a bordo, quando sentì un proiettile avvicinarsi a lei. Stava per essere colpita. Si voltò di scatto, e vide Kathryn lanciarsi nella sua direzione, e fermare il proiettile con il suo corpo. La donna cadde a terra, colpita al petto.

“No!” urlò Maya, sparando verso i due agenti rimasti, e uccidendone uno.

Il sangue di Kathryn iniziò a ricoprire il suolo del molo. “Vai! Sali sulla nave! Lasciami qui!” Kathryn disse a fatica.

“No! Non ti lascio qui!” rispose Maya, cercando di sollevare il corpo di Kathryn da terra, per trascinarla verso la passerella.

“Maya…” sussurrò la donna ferita. Stava perdendo troppo sangue, e persino respirare era diventato difficile.

“No!”

L’ultimo agente si avvicinò alle due donne. “È finita, Maya.” disse freddo, puntando la pistola contro la fronte della donna. “Avete perso.”

Premette il grilletto. Il proiettile si conficcò nel cranio di Maya, che cadde priva di vita sopra a Kathryn, che nello stesso momento esalò il suo ultimo respiro.

L’agente ripose la pistola nella fodera, e si allontanò soddisfatto. Missione compiuta.



NOTA DELL'AUTRICE: Ok, non odiatemi! Questa storia non è ancora finita, c'è ancora un brevissimo epilogo che posterò entro un paio di giorni.
Non ho molto altro da dire, se non che non sono mai stata al porto di Brooklyn quindi non so com'è fatto...non so neanche se è da lì che partono le navi merci per l'Inghilterra, ma facciamo finta di si.
Questa è la prima volta che scrivo una storia d'azione, quindi chiedo scusa se le scene delle sparatorie sono state un po' troppo sbrigative
Per il resto non c'è altro da dire, se non al solito di lasciarmi qualche recensione (si, ok, potete insultarmi). That's it.
  
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