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Autore: Hiraedd    09/04/2012    9 recensioni
James Potter, è esattamente come chiunque non abbia gli occhi rivestiti di prosciutto e i capelli rossi (qualunque riferimento a persone realmente esistenti è pienamente voluto) può osservare ogni giorno… simpatico, sempre pronto a far ridere gli altri, generoso, darebbe la vita per i suoi amici e per quelli più deboli.
Peter Minus, beh, è Minus. Facendo coppia con lui nell’aula di Trasfigurazione ho imparato a conoscerlo meglio. Sempre in seconda fila, senza essere visto, sembrerebbe più una pedina che un giocatore. In realtà, mi sono accorta, è un giocatore tanto quanto gli altri.
Sirius Black... Sirius definisce tutti i confini. Gira per il mondo con scritto in fronte “QUI FINISCONO I BLACK E COMINCIO IO”.
Remus Lupin è la mente diabolica del gruppo. È il classico esempio di persona che tira la pietra e nasconde la mano, non per codardia, ma per quieto vivere. O meglio, fa tirare la pietra agli altri, decisamente, e si mantiene la sua reputazione da Prefetto e bravo ragazzo. Tutto quello che ci mette, è il cervello. Decisamente un personaggio degno di stima, un idolo (Dai pensieri di Marlene McKinnon)
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mary MacDonald, Peter Minus, Remus Lupin | Coppie: James/Lily, Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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Dopo tanto tempo di attesa torno con il cinquantesimo capitolo, per inciso il primo  –di questa come di tutte le mie altre storie- dedicato a qualcuno in particolare.
 
Lo dedico ad una persona che non potrà leggerlo,
perché è in un letto di ospedale malato di un male cattivo,
con un dolore così grande che nessuno scrittore potrà mai inventare.
 
 
LILY
JAMES
SIRIUS
LèNE
EMMELINE
REMUS
ALICE
FRANK
MARY
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 
 
 
 
 
 
 
 

non faccio nomi, d’altronde il tuo non ti piace,
ma sappi, che è dedicato a te.
Per la nostra amicizia, per il bene che ti voglio e che ti ho voluto,
giorno dopo giorno,
imparando a conoscerti.
 
 
 
 
Non era questo che sognavo,
d’inverno,
quando sognavo questo*

 
 
 
 
In questi giorni la Black è spesso al maniero dei Lestrange.
I preparativi per il matrimonio incombono, benchè manchino ancora sei mesi e mezzo al grande evento, ed ovunque in giro per la casa si possono vedere diversi campionari di fiori e stoffe in attesa di essere esaminati e, puntualmente, scartati.
Dedico uno sguardo schifato all’ennesimo drappo di una qualche esotica seta bianca posata con noncuranza sul bracciolo di una delle poltrone accanto al camino est, nel grande salone, prima di accomodarmi con disinvoltura sulla poltrona vicino a mio fratello per leggere in tutta tranquillità i brani di Difesa da riassumere per compito.
-a quanto dicono sulla Gazzetta vi siete dati da fare. C’è voluto qualche giorno perché la notizia arrivasse alla stampa, a quanto pare, e tu non ne parli mai- mormora Rodolphus in tono lieve, minimamente interessato al catalogo di abiti da cerimonia che mia madre ha tanto insistito per mostrargli. Lo vedo alzare lo sguardo curioso –è stato come ti aspettavi?-.
Arriccio le labbra, passando distrattamente le dita sulla pagina degli Inferi del mio libro di Difesa Contro le Arti Oscure e ripensando al tardo pomeriggio di quattro giorni fa.
-capitanava Stroker, non è stato come mi aspettavo- mi limito a riassumere impassibile.
Stroker è, fondamentalmente, un idiota. Uno dei tanti che segue gli ordini più per paura che per altro.
-lo sarà, fidati, andando avanti lo sarà- mi risponde lui con un sorrisetto e uno sguardo speranzoso.
Annuisco.
Ho atteso con troppa ansia, e al compimento il tutto non ha retto il confronto. Capita, mi dico.
Sarà meglio, andando avanti tutto migliorerà, come dice Rodolphus.
-questa è la seconda volta che la Evans la scampa, quindi- continua lui voltando la pagina di quel catalogo.
-non c’era- ammetto controvoglia.
C’è chi non è stato contento di ciò. Il signore oscuro, tanto per nominarne uno.
Quella ragazza è sempre stata insopportabile, ma da quando ha deciso di fuggire la morte è diventata anche scomoda.
Mio fratello interrompe per un secondo la sua ricerca per fissarmi interdetto.
-ma non hai detto di averla vista lasciare Hogwarts?-.
-l’ha fatto, infatti- mormoro rivolto più a me stesso che a mio fratello. L’ho vista sul treno, insieme ai suoi amici –anche Black l’ha vista. Secondo lui era anche a Diagon Alley, dopo l’incendio, con i Potter-.
Lo sbuffo di risa da parte di mio fratello è inevitabile.
-babbanofili- sussurra in tono leggero –i Black si vantano tanto della loro antica casata, ma dovrebbero potare il proprio albero genealogico. Anche Bell dice che ormai troppi dei suoi parenti non seguono più le tradizioni della casa. I Potter. Nessuno di sano si vanterebbe di avere come cugina la paladina del bene Dorea Potter. E vogliamo parlare dei McKinnon? Se vuoi il mio parere, quello della più giovane dei loro, quella Marlene, è un affronto bello e buono a tutti i purosangue-.
-Black ha sbagliato a lasciar condurre tutto a sua madre- annuisco –se un simile affronto fosse stato fatto a me, sarebbe stata la condanna a morte di tutta la sua famiglia, sangue puro oppure no-.
Il silenzio succede di poco le mie parole.
C’era anche Black, a casa degli Evans.
Lui e il suo sguardo da cucciolo bastonato.
-la Evans è dai Potter, quindi?- chiede interessato Rodolphus.
Scrollo le spalle, cercando di non mostrare quanto la cosa mi bruci.
Nessuno scampa due volte indenne alla forza della mia bacchetta.
-è la possibilità più plausibile. Un attacco adesso è quanto di più stupido potremmo fare, Casa Potter è asserragliata dai membri di quello stupido ordine e…-
-devi aspettare Hogwarts, Rabastan- mormora dietro alle mie spalle la voce strascicata e folle di Bellatrix.
Mi volto appena per indirizzarle un cenno di saluto, mentre la vedo entrare dalla porta con passo lento e con la stessa disinvoltura con cui camminerebbe in casa sua.
Alla fine mi arriva davanti, posizionandosi alle spalle di mio fratello, bella e folle come la morte.
Più di un uomo si è invaghito di lei, di quegli occhi lucenti e grandi e di quel viso bello e spietato.
È nata senza il beneficio di una coscienza, la mia quasi-cognata.
 

*

 
-è ora di andare, Lils-.
La voce di Emmeline, fioca ma ben udibile all’interno della penosa cappa di silenzio che avvolge Casa Potter, mi strappa da pensieri che non sono angoscianti o malinconici, ma tremendamente vivi.
È strano, a tutto avrei pensato, tutto, tranne che a questo, se me lo avessero detto:
quando leggi qualche libro, e arrivi proprio nel momento peggiore, quello in cui stenti a credere che la protagonista sia così forte da passare a testa alta pure quella nuova sventura, quando ti chiedi se non sia troppo chiedere al personaggio di una storia di rialzarsi e affrontare qualcos’altro, qualcosa che vada oltre le mille sventure che già le sono capitate, proprio in quel momento… beh, non si ha sempre come l’impressione che tutto si fermi, immobile, come a voler rendere un attimo di dolore con la vivida intensità di un’eternità straziante?
C’è un classico babbano che adoro fin da quando ho avuto, due estati fa, l’idea di leggerlo.
La signora delle Camelie mi ha sempre saputo prendere come altri libri non hanno invece mai saputo fare. Insomma, in quel libro c’è tutto! Traspare il vivido ritratto di un’eroina che ha fatto dell’amore la sua moneta, il cui lavoro è essere amata ma che, nel suo infelice destino, viene lasciata a morire da sola; c’è una sorta di feroce modernità, e un lieve amore per quella Parigi così particolare bloccata sulle soglie della metà dell’Ottocento. C’è tutto. E c’è anche quel momento in cui lo scrittore si sofferma sul dolore del protagonista, che non riesce a rassegnarsi alla morte di una donna che tanto ha amato e per la quale prova sensi di colpa oltremodo strazianti.
In quel preciso momento, all’interno della narrazione, il tempo pare quasi rallentare.
Quello che trovo strano è che, se anche i miei genitori sono morti, io davvero non riesco a rallentare:
la mia mente, i miei pensieri, sono sorprendentemente vivi; il mondo, fuori da questa finestra, da questa porta, vibra d’intensità. Persino i colori, normalmente quasi opachi sotto il cielo tipico della nostra nazione, paiono risplendere con vigore.
Dove diavolo è l’immobilità tipica di chi si crogiola nel dolore?
Gli scrittori sono forse tutti una manica di bugiardi, che sperperano parole per la sola gioia di poter rileggere la propria bravura?
Da giorni il dolore va e viene con la forza delle onde: il minuto prima è bruciante e accecante, quello dopo malinconico… ma comunque, sempre, eternamente vivo.
Come a ricordarmi che d’ora in poi non ho scelta, dovrò condividere con lui la mia vita, e che questa vita scorrerà indelebile come i ricordi che mi ossessionano la mente, e i sogni, e i pensieri.
-Lils, che mantello vuoi mett…-
-quello di velluto, mi da l’idea che ci sia piuttosto freddo, fuori- mormoro indicando la finestra.
Emmeline mi guarda da sotto le lunghe ciglia bionde, e annuisce compita.
In questi giorni non ho desiderato altro che lei, attorno. Lei e Dorcas Meadowes, che da un dolore del genere è uscita e rinata pur portandolo nel proprio cuore, là dove il vuoto lasciato da suo padre rischiava di renderla incompleta.
Sento gli occhi bruciare quando, per l’ennesima volta, li strofino con dita impazienti, per togliere quelle poche lacrime vigliacche che, a differenza delle altre, non hanno avuto il coraggio di lasciarsi cadere sul precipizio delle mie guance. Ho la pelle del viso irritata, le labbra screpolate e gonfie, le occhiaie accentuate e gli occhi rossi.
Lo so.
Ho la testa invasa dalle immagini di volti che ho paura di dimenticare: le labbra che mi hanno cantato la ninnananna da piccola, gli occhi che hanno pianto di commozione vedendomi tornare a casa dopo il primo anno a Hogwarts, le mani che mi intrecciavano i capelli e quella voce melodiosa che mi invitava a scendere da camera mia quando il pranzo era pronto in tavola.
Sono cose che nessuno potrà restituirmi, e la consapevolezza di ciò talvolta mi assale come acqua alla gola, quasi facendomi temere di non riuscire a respirare.
Ho alle spalle tre notti passate a piangere e ricordare, talvolta nella disperazione più misera, talvolta nella malinconia più struggente.
E questo silenzio, questa tensione…
Sanno di vita, nonostante tutto.
Posso sentire il mio cuore battere in sottofondo, posso udire il lento rumore del mio respiro. Quando piango, ascolto il gemito dei miei singhiozzi.
Ascolto, in questo silenzio, il canto della mia vita che di smettere di scorrere non ne vuole sapere.

 

*

 
Respira a fondo l’aria fredda del vicolo, Dorcas Meadowes, nei tre secondi che succedono la materializzazione. La odia, la odia dal profondo fin da prima di superare l’esame.
Respira per dimenticare la sensazione di occlusione tipica della magia appena effettuata e la fitta di stordimento che ogni tanto ancora la coglie, quando ripensa al funerale a cui di lì a poco avrà occasione di partecipare.
È davvero stanca, Dorcas, quando ripensa a tutte le morti che ha dovuto scavalcare per arrivare dove è adesso.
E non solo quella di suo padre, o quella degli Evans, ma quella di ogni singolo paziente che da anni ormai le capita sotto mano, vittima di una guerra senza alcun senso.
-come stai, Cas?- le chiede Fabian con un sorriso intristito e un lieve bacio sulla guancia.
Niente nomignoli, tra loro, ne baci appassionati.
Dorcas è fatta come è fatta e Fabian sa amarla teneramente per come è, perché così esiste solo lei.
-ora che ci sei tu, meglio- sorride dolcemente la ragazza, ricambiando con una carezza lieve alla guancia dell’amato. Non è romantica, la sua risposta, ha più il suono di una constatazione.
Fabian è la sua ancora di salvataggio, l’unica persona a cui può aggrapparsi, e riesce ad amarlo in un modo spontaneo e sincero come non avrebbe mai pensato di poter fare.
Il ragazzo le porge il braccio, invitandola a reggersi a lui come un cavaliere d’altri tempi.
-Stur, Ben e Docco ci raggiungono là?- chiede Dorcas sospirando, guardandosi attorno per le strade decisamente poco affollate di Godric’s Hollow.
-si, anche se non so quanto potrà resistere Fenwick con tutti e due assieme- le risponde Fabian concedendosi un sorriso divertito –ogni tanto penso che prima o poi mi toccherà edificargli un monumento per la pazienza-.
Dorcas si limita ad un sorriso affettuoso in direzione dell’amico lontano, sicuramente intento a sorbirsi le lamentele di Dearborn e le entusiastiche uscite di Podmore, che non può fare a meno di essere se stesso nonostante la tristezza insita in una giornata come quella.
 

*

 
-signora Potter, buongiorno- saluto entrando in casa, rivolgendo a Dorea un sorriso triste –grazie per averci permesso di passare da qui prima di… si, insomma, per fare compagnia a Lily-.
Dorea mi risponde con un sorriso, sporgendosi verso di me per darmi un bacio su ogni guancia.
-figurati, Alice, avervi qui come supporto è un piacere- mormora rivolgendo un sorriso anche a Frank –Lily scenderà a momenti, Emmeline è andata a chiamarla, gli altri sono tutti in sala-.
Mano nella mano ci dirigiamo in sala, invitati dalla signora Potter, e affacciandoci possiamo vedere il vasto corredo di visi più o meno compostamente tristi che decora la sala come un arredo particolarmente tetro.
-Ali, per fortuna sei qui- mormora Lène abbracciandomi lievemente.
Ricambio l’abbraccio strapazzandola un po’, tanto ormai sono abituati ai miei abbracci da polpo, e sono sicura che ne hanno anche un po’ bisogno. C’è necessità, soprattutto in questi momenti bui, di qualcuno che mantenga la fede nell’amore.
-ehi, tesoro, va tutto bene?- mormoro in risposta lasciandole un bacio sulla guancia e portando le mani ad accarezzarle le gote, imporporate dalla tensione. So, dalle lettere di Mary, che Lily non si fa vedere da quando ha ricevuto la notizia.
Vedo Mary insolitamente tesa, seduta sulla poltrona dal cui bracciolo si è alzata Marlene. Accanto a lei, in piedi, Gideon e Fabian attendono compostamente  rivolti alle scale che portano al piano di sopra.
Mi sporgo verso i miei cugini per salutarli con un abbraccio, poi mi chino su Mary per baciarla sulla guancia, ed è quando sento le sue mani stringermi, o meglio, artigliarmi, il collo che mi accorgo di quanto anche lei debba risentire di tutto questo.
La stringo ancora un po’, sentendola respirare contro la pelle del mio collo, poi mi accorgo del suono del suo respiro, ora più calmo e controllato, e mi distacco lievemente, con un sorriso gentile.
-Emme è su?- le chiedo indicando il piano di sopra.
Lei annuisce guardandosi le mani dalle unghie tormentate.
Annuisco ancora, mentre vedo Frank fare il giro dei saluti e rispondere con un sorriso alle pacche sulle spalle di Sirius e James, al cortese abbraccio di Remus e allo squittio di Peter.

 

*

 
Sono nella sala principale di Casa Potter e aspettando che Emme e Lily scendano di sotto, accompagnate da Dorcas, non posso fare a meno di chiedermi cosa mai sarebbe successo se questa tragedia fosse successa un anno fa.
Sarebbe riuscita Lily a sopravvivere a un dolore tanto forte senza l’appoggio della metà delle persone qui presenti?
Gli ultimi mesi hanno visto una delle più grandi evoluzioni in atto all’interno dell’intero settimo anno di Hogwarts, soprattutto grifondoro.
La neonata amicizia tra Lily e Sirius, lo sbocciare del rapporto mio e di Emmeline, quello tanto atteso e mai sperato tra Lily e James, questa strana cosa che vede partecipi Sirius e Lène, Alice e Frank sempre vicini, Mary che è a metà tra l’essere semplicemente una delle ragazze e l’essere un malandrino in piena regola, l’aver svelato il mio segreto a quella che, a conti fatti, è la mia migliore amica.
È come se una storia da tempo scritta avesse trovato il modo di svilupparsi come doveva, con, in sottofondo, il rumore e il fastidio della guerra, le vittime e gli eroi, che molto spesso sono la stessa cosa.

 

*

 
Emmeline mi precede verso la sala, le spalle ritte e i capelli sciolti a guidarmi, il capo alzato e, anche se non posso vederle, le lacrime agli occhi.
Supera Dorcas, le fa un cenno con il viso e so che un sorriso spunta sulle sue labbra, le sta simpatica a pelle.
Io la seguo, la mente ben fissa sui miei passi, perché da li non può scappare, e perdersi nei meandri di pensieri troppo vivi per un momento tanto cupo, e triste. Un passo dopo l’altro, supero la porta.
Passo davanti alla camera di James, vedo quella di Sirius, innaturalmente in ordine, mi pare di capire. Ha addirittura il letto rifatto, un po’ maldestramente, le lenzuola un po’ scomposte, non ordinate come le mie quando il letto me lo rifaceva la mamma, come lo trovavo quando tornavo da Hogwarts, con le mie lenzuola preferite verdi e viola.
Recupero i miei pensieri, pensando che si stanno avventurando su sentieri pericolosi, e sposto lo sguardo sulle scale, sulla balaustra di legno tirato a lucido, dove neppure un’impronta smuove la superfice d’ebano tanto perfetta. Guardo il primo scalino, poi il secondo, e il terzo, in uno scivolo che finisce sul pavimento di moquette bianca della sala… chissà come fa Dorea a tenerla così linda, papà si dannava sempre l’anima dicendo che scegliere quella moquette panna che arredava casa nostra era stata l’idea più stupida che avesse mai avuto, questa e l’affidarsi alle previsioni dell’oroscopo il giorno in cui aveva deciso di non seguire la sua vocazione d’artista invece di studiare legge.
In fondo alla scala, come una piccola folla che aspetti la croce d’apertura della processione, stanno le persone che ormai, a conti fatti, sono quelle che per me contano più della vita stessa.
Perché avrei dato la vita, per la mia famiglia, ma me l’hanno portata via.
Perché insieme a mia madre e a mio padre non si sono portati via anche questo cuore che pulsa in maniera quasi dolorosa all’interno della mia gabbia toracica? Quasi mi stordisce, questo rumore vivo.
Vedo Marlene, che non mostra mai il proprio dolore, con gli occhi scuri arrossati per le lacrime trattenute, e Mary che cerca di lottare con il suo sarcasmo, perché qualche frase divertente venga fuori e spezzi questa cappa di silenzio opprimente, che palpita di vita in un giorno in cui la vita non dovrebbe calcare la scena di questo macabro teatro.
James mi guarda spiritato, sono giorni che non lo vedo, e Sirius lo sorregge con una mano sulla spalla, come a dargli forza, il fratello che non ha avuto naturalmente ma che si è scelto.
Io una sorella l’ho avuta, naturalmente, ma non l’ho sentita e so già, così come i vecchi sentono la pioggia nell’aria a causa dei dolori alle articolazioni, so già che mi incolpa di tutto, e anche di più.

 

*

 

L’errore annulla qualsiasi passato nell’istante in cui arriva a bruciare qualsiasi futuro*

 
 
Non ho mai pensato che mi sarebbe piaciuto.
In realtà, non ho mai pensato che mi dovesse piacere. Andava fatto, per il bene e la gloria della famiglia Black, per mia madre che ci teneva così tanto, per mia cugina i cui occhi brillano di follia, per il blasone che mi da uno spessore sin da quando sono nato. Andava fatto, per quel fratello che due anni fa mi ha abbandonato, lasciandomi questo posto nel quale devo entrare per forza.
Quello che non avevo calcolato era che mi disgustasse tanto.
Sono poche, le cose che mi disgustano profondamente.
Mio fratello, anche se una parte in fondo a me, molto in fondo, non può non stimarlo per le scelte che ha avuto il coraggio di fare. I sanguesporco, anche se in fondo nemmeno così tanto. La mania di sangue di quel pazzo di Lestrange, anche se più che disgustarmi mi spaventa.
Non è stato il marchio in se -anche se il fatto di essere stato marchiato come un vitello pronto per il macello inizia a non piacermi più così tanto- che ha spento quei pochi sogni di gloria che mi sono permesso di fare, e nemmeno l’attacco ai coniugi Evans se considerato come un attacco isolato.
A disgustarmi è stato l’assoluta mancanza di gloria in tutto ciò.
Non c’è alcun onore, nell’inginocchiarsi davanti a chi ti considera meno della polvere.
Tutto ciò che si è consumato, in quella stanza illuminata da una luce pomeridiana che già da se sapeva di maligno, è stato un orrore, che puzza di sangue e ha il colore del buio.
 
Flashback-> 1 gennaio 1978
 
Fremo, un po’ per il freddo dato dall’ansia, un po’ per il timore di non essere all’altezza.
Ho visto gli occhi di mia madre brillare per me, in questi giorni. Non per un nome che le ha portato gloria, ma per un figlio che ha scelto la strada giusta.
Era una di quelle piccole gioie che non avevo mai provato, fino a pochi giorni fa.
Lestrange, accanto a me, pare aver perso quello sguardo sicuro con cui normalmente si scherma. Pare essere semplicemente vuoto, un contenitore da riempire di nuove esperienze, di nuove follie.
-Black, Lestrange- ci chiama all’ordine Dolohov, lo sguardo maligno rischiarato da un blando divertimento –la Evans la lasciamo a voi, vedete di non farvela scappare come è successo l’ultima volta-.
Lestrange pare ringhiare in risposta, non gli piace gli si ricordi che ha fallito.
Credo odi la Evans più di quanto non sappia dire, per il semplice fatto di essergli sopravvissuta: se hai alle spalle un gran corredo di morti, una vittima illesa può anche passare, ma se sei alle prime armi, se alle spalle hai solo qualche cadavere senza neanche nomi importanti, il fallimento può decretare la tua morte.
Ancora una risata, il pallido luccichio di denti in un sorriso che di benevolo ha nulla, poi una mezza giravolta e il pop della materializzazione.
Crack.
La piccola sala dalla moquette color panna è deserta, un arredamento che sa di calore e famiglia a fare da unico occupante della stanza, il tipico arredamento che a casa mia stonerebbe.
-Trevor, dove hai lasciato la cartellina con le bollette?- la voce di una donna, morbida, si leva dalla stanza accanto. Deve essere la cucina, si sentono alcuni rumori, un piatto spostato, acqua corrente, uno strano scampanellio e poi, quando Antonin si muove verso la porta, quando la sua figura si staglia sulla soglia, il suono di qualcosa in frantumi, probabilmente un piatto.
-cosa… che…-
La voce adesso è esitante e spaventata e, quando mi avvicino a Antonin, posso vedere l’espressione di assoluta paura sul viso della donna. Non ha i lineamenti della figlia, ma più allungati, e l’unica cosa che la riconduce alla figlia è, a parer mio, il colore dei capelli, fulvi come il manto di una volpe.
È un attimo, la donna ci guarda, spaventata, e prova ad urlare, poi finisce a terra, legata da un colpo della bacchetta di Antonin, che a quanto pare ha voglia di divertirsi. Legata, non immobilizzata, perché le prede che non urlano non concedono piena soddisfazione.
Mi guarda, gli occhi cattivi oltre la maschera.
-Black, non dovevi cercare la Evans?-.
Sussulto, scosto lo sguardo dalla donna a terra, che ha iniziato ad imprecare e a minacciare.
La Evans a quanto pare non ha ereditato da suo padre il caratterino.
Non ci metto molto a capire che la Evans non c’è, al piano di sopra apriamo la prima porta, una stanza matrimoniale, la seconda, una stanza sul giallognolo ben ordinata e inequivocabilmente vuota, la terza, rosata sulle pareti, la sciarpa di grifondoro appesa ad una parete, unico segno di magia in un mondo che non ne comprende e non dovrebbe nemmeno conoscerne l’esistenza… il segno di un abominio.
Dal piano di sotto iniziano le urla, devono aver trovato anche l’uomo, ma la donna urla di più, scalpita ed inveisce ancora un po’, poi le resta solo la forza di urlare, e forse di piangere.
Non sono vere, mi dico quando, all’ennesimo urlo, un fremito di disgusto mi coglie non sono urla vere.
Ma perché dovrei mentirmi per qualcosa che ho voluto per tutti questi anni?
Allora mi costringo a scendere.
-non c’è- mormoro in direzione di Lestrange, che come un lupo affamato sembra seguire l’olfatto verso la sua preda.
-dannati sanguesporco- risponde inveendo –chiediamo agli altri, se Antonin e Lucius non hanno già finito con loro-.
Quello che si conclude nel pomeriggio, è un massacro. Un massacro che sa di sangue e vigliaccheria, che non ha nulla della gloria tanto decantata da Bellatrix, che ha l’odore del vomito che vorrei rigettare e della paura che mi asserraglia la mente. È disgusto, puro e semplice, e malignità.
Come quella luce che penetra dalla finestra bagnando di falso calore i volti pallidi e sporchi di sangue di quell’uomo e quella donna, gli occhi sgranati di lui, quelli già vacui di lei.
-dicci dov’è tua figlia- è quello che continua a chiedere Dolohov.
-non lo so- ripetono a turno.
E il sangue, e la barbarie di una bestia accecata dalla follia.
E il disgusto, perché io non voglio diventare una bestia.
E la cognizione, che il primo passo per diventare una bestia è farsi marchiare come carne da macello.
E un pentimento che arriva troppo tardi, insieme alla vigliaccheria e alla consapevolezza che non avrò mai il coraggio di tirarmi indietro.
 
Fine flashback
 

*

 
I signori Evans devono essere stati molto amati, in vita.
Questa guerra sta mietendo un sacco di vittime, e la pena che provo è davvero enorme. E una sottile paura, che mi ingombra il cuore, la consapevolezza di vedere la morte troppo vicina.
Attorno alla bara chiusa, posata sul campo ricoperto di neve, c’è un sacco di folla, in lacrime o dispiaciuta, tutti vestiti di nero. Magici o babbani, in mezzo a tanto dolore non li si distinge nemmeno.
Risalta tra la folla lo stravagante abbigliamento di Silente, il particolare copricapo della McGrannitt e il panciotto color smeraldo di un commosso Horace Lumacorno. Tutti e tre, oltre a risaltare, attirano un gran numero di sguardi incuriositi tra le lacrime e i fazzoletti usati.
Lily resiste, stoica, ritta sui due piedi, la testa ben alta, le guance rigate da lacrime silenziose. Pare non voler distogliere lo sguardo dalla bara ricoperta di peonie e garofani, le mani attorcigliate strette l’una all’altra, il corpo snello lontano da tutti, come a non voler essere toccata da nessuno.
In questo momento non riesco a vedere la Lily Evans che ogni tanto mi sorride gentile, che in passato mi ha aiutato a fare qualche compito, la Lily Evans che fino a qualche mese fa urlava contro Prongs.
James è accanto a lei, lo sguardo tenuto basso, forse ferito da tanta immeritata distanza.
Mi chiedo come sarebbe essere al posto della mamma e del papà di Lily, e la paura mi coglie di nuovo.
Quando il sacerdote babbano raccoglie l’attenzione con le sue preghiere simili a nenie, non posso non unirmi a lui.
Io non voglio morire.
 

*

 
C’è qualcosa di sorprendentemente vero in tutto questo dolore, qualcosa che non si limita a toccare ma a travolgere con l’intensità di un ciclone.
La mia Alice, accanto a me, si accascia abbarbicandosi al mio braccio mentre piange singhiozzando a viva voce, e nemmeno io riesco a trattenere quelle poche lacrime che il vivo dolore di Lily, di Mary e di Lène riesce a strapparmi. Anche Emmeline, poco più indietro, singhiozza piano, la testa sulla spalla di Remus.
Odio veder soffrire la gente, soprattutto se le persone che soffrono sono amici miei.
Da dove mi trovo posso osservare il viso severo e intristito di Albus Silente, e quello rigato dalle lacrime di Minerva McGrannitt, che pur piangendo non riesce a non conservare la solita serietà.
Alice mi ha indicato Petunia Evans con un cenno, prima, poi mi ci ha trascinato davanti per andare, con voce nasale e attutita dal pianto, a farle le condoglianze.
Non l’ha mai sopportata, ma non per questo riesce a far finta di nulla. Io ho iniziato a non sopportare Petunia Evans nel momento stesso in cui, con voce gelida e un’occhiata mortifera, ci ha invitato ad abbandonare il funerale portando con noi quel “mostro di sua sorella”.
Quanto rancore in tanto dolore?
Come sia arrivata ad odiare sua sorella, lo sa solo lei.
Non posso pensare di provare tanto astio per un membro della mia famiglia.

 
 
 
 
 
 
*ovviamente le citazioni sono di Baricco.
 
NOTE:
 
eccomi!
Lo so, con che faccia mi presento qui dopo più di un mese, ad elemosinare scuse per non farmi picchiare dalla folla inferocita?
Purtroppo questo non è un periodo facile, speriamo passi il più in fretta possibile.
 
Vorrei passare ai ringraziamenti, credo proprio sia arrivato il momento di ringraziarvi tutti davvero davvero.
Ok, oggi sono sentimentale, ma ci sono alcuni tra voi che mi seguono e commentano ogni mio capitolo, con buffa dedizione e talvolta pronti a strigliarmi a dovere, scrivendo parole che mi fanno sorridere nonostante il momento non sia dei migliori.
Grazie a tutti, odio fare nomi e quindi non li farò, ma chi mi sa risollevare il morale con una semplice recensione sa che parlo proprio di lei, o di lui. Grazie davvero.
 
E grazie a chi si è recensito in una botta sola un sacco di miei capitoli, è stato davvero commovente.
 
Detto questo, prometto di non dimenticarmi mai di voi, di non interrompere questa storia assolutamente e di tornare il più in fretta possibile… e anche di rispondere alle recensioni!
 
Un sacco di promesse,
quanto al resto non ho altro da dire,
spero che la storia continui ad essere di vostro gradimento,
un bacio
Hir
   
 
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