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Autore: Laurana Lauranthalasa Efp    10/04/2012    1 recensioni
Dicono che per risalire, bisogna prima aver toccato il fondo.
Senti che sei pronta.
Ora la penna scorre veloce sul foglio bianco.
I pensieri hanno fretta di mettersi in fila.
Ti agiti un poco. Ma in fondo non è nulla... stai solo scrivendo un racconto. Il tuo.
Le parole sotto la pelle sono graffi che fanno male. Da morire.
E' una vita che non escono . Adesso è venuto il momento.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Ricordi che successe l’ultimo anno delle scuole medie. Avevi tredici anni e quell’estate eri sbocciata come una piccola rosa a primavera. Il corpo si era fatto femminile e anche se l’animo era ancora da bambina, lo stesso non si poteva dire del portamento, delle gambe affusolate strette nei jeans e nelle forme che la maglietta rivelava agli sguardi curiosi e sfacciati dei ragazzi più grandi.
 Peccato che fra quei ragazzi ci fosse anche Enzo.
 E tutti sapevano del vizietto, chiamiamolo così, di quel ragazzo gentile ed educato.
 Tutti in paese lo sapevano. Tutti.
Ad eccezione di te.
Abitava a pochi isolati da casa tua, lo conoscevi da una vita e nulla avrebbe fatto presagire quello che ti sarebbe successo in un caldo pomeriggio di inizio Giugno.
Eri appena uscita da casa, alle tre del pomeriggio non c’era anima viva in giro, e con il blocco dei disegni nella borsa eri diretta al parco giochi dove avevi intenzione di startene in santa pace a ritrarre le oche che pigramente sonnecchiavano nello stagno.
A metà strada, lo vedesti sbucare da un vialetto laterale della via e con un sorriso stampato in volto ti invitò a casa sua a vedere la sua moto nuova. Ti spiegò che era il regalo per la promozione e gli avrebbe fatto piacere farti fare un giro. Così. Per provarla.
Ci pensasti su un attimo, poi fiduciosa lo seguisti fino davanti all’uscio della sua villa. Aprì il cancello e prendendoti per mano ti accompagno fino al garage. Era una rimessa molto grande, con finestre ampie e luminose, che però a causa del sole erano drappeggiate con tende scure e pesanti.
Ti fece entrare e fu a quel punto che capisti che qualcosa non andava.
La moto non c’era.
Sentire le sua mano sulla bocca, mentre l’altra chiudeva la porta a chiave fu un tutt’uno.
Provasti a gridare ma non ci riuscisti. Ti mancava anche il fiato e la paura stava prendendo il sopravvento.
Sentivi le sue mani che frugavano sotto la maglietta e il suo fiato caldo e rantolante sul collo ti dava il disgusto. Impaziente, ti sollevò di peso per adagiarti su di una botte del vino. Le schegge ti penetrarono nelle braccia e nella parte alta delle gambe. Eri incastrata fra il legno e il suo corpo, sentivi l’eccitazione che cresceva fra le sue gambe e il terrore ti prese la mente.
“Stai ferma o non uscirai di qui!”
“Ti prego non farlo! No, Enzo, ti prego!”
Il grido ti uscì dalla gola, ma fu tutto inutile.
La mano alzò la gonna e ti frugò in mezzo alle cosce, senza delicatezza, senza nessuna remora. Faceva male e le lacrime presero a scorrerti sul viso insieme ai singhiozzi e al suo respiro eccitato.
Paralizzata dall’orrore sentisti la cerniera dei suoi pantaloni scendere di scatto.
Il tempo si fermò.
Non guardasti mentre lo tirava fuori. Non volevi vedere niente.
Girasti il viso da una parte e lui si prese senza nessuna pietà la tua innocenza.
 Per non impazzire di dolore e di terrore ti concentrasti sulle lunghe ombre disegnate dalle tende sopra i muri. Arrivavano fino a terra e strisciavano negli angoli come dei piccoli serpenti.
 Pensasti che oltre al corpo non doveva averla vinta sulla tua mente e così fuggisti via con il pensiero. Lontano da quell’orrore.
Poi il tempo riprese a fluire.
Con uno strattone ti tirò giù dalla botte.
“Sistemati i vestiti E vattene. Se fai parola con qualcuno sei morta.”
Il tono era secco, senza replica. Cattivo.
Aprì la porta e con uno spintone ti mando fuori.
La luce del sole ti abbagliò per pochi secondi.
Poi le gambe presero vita e corsero forte, talmente tanto che il fiato ti mancò alla svelta.
Esausta, arrivasti a tentoni davanti alla fontana del parco.
Dalle gambe ti scendeva un poco di sangue misto ad un liquido chiaro e appiccicoso.
Il suo seme.
Ti venne da vomitare.
Febbrilmente le mani cercarono l’acqua. Pulirono in qualche maniera tutto quell’orrore da cui eri appena scampata.
Mentre le lacrime ti scendevano giù e i tuoi singhiozzi rompevano il silenzio, una mano si appoggiò sulla tua spalla.
Ti girasti di scatto, pronta a colpire se fosse stato ancora lui.
Di fronte a te stava tua cugina Mirella.
Un tempo odiavi a morte tua cugina, poi maturando le cose si sistemarono da sole.
Ti guardava seria, preoccupata.
Fu il suo sguardo a colpirti.
I suoi occhi erano dolenti, come se il tuo dolore fosse il suo. Vedesti delle lacrime fra le sue ciglia.
 E allora capisti. Capisti tutto.
Le parole ti uscirono sussurrando.
“Anche tu?”
“Si. E’ successo anche a me.”
“E non hai detto nulla?”
“No. Non ho detto nulla. Non crederebbero a delle bambine, a delle ragazzine. Direbbero che guardiamo troppi film.”
 “ Quante volte ti è successo?”
“Un paio. Poi mi ha lasciato in pace. Quando sarà stanco di te, toccherà ad un’altra.”
“Non voglio che succeda ancora.” Stavi per rimetterti a piangere.
Sospirando, Mirella ti prese per mano.
“Vieni, ti porto a casa. Ci sono io con te.”
Ti guardi i graffi sulle gambe e sulle braccia.
“Che diremo a mamma?”
“Niente. Al limite diremo che sei caduta in bicicletta.”
 
Quella notte la passasti seduta davanti alla finestra. Terrorizzata al pensiero che Enzo ti entrasse in camera, che ti prendesse ancora come aveva fatto al pomeriggio.  E così fù per la notte seguente, e anche quella dopo.
Ancora oggi, dopo anni da quell’episodio, ti capita di svegliarti nel cuore della notte e ti sentire nella mente il suo respiro rantolante sul collo.
 Allora ti alzi, vai alla finestra e attendi che arrivi mattina.
   
 
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