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Autore: Ceridan    10/04/2012    2 recensioni
San Graziano, 1948, Antonio viene a sapere di un sistema molto interessante per far fortuna che lo spingerà lentamente a perdersi in un crescente desiderio di ricchezza e nel nome del proprio investimento per il futuro.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una tranquilla giornata di sole del 1948 nel paese di San Graziano, solo trecentoventi anime sparse qua e là tra colline e boschi di castagno. San Graziano contava di piccole case con le finestre anch’esse piccole, rimanenze del passato, e di alcuni negozi che le donne visitavano incessantemente lungo le mattinate, sia per comprare da mangiare per i propri uomini sia per trovarsi con le conoscenti a chiacchierare. C’erano il panettiere, il fabbro, il droghiere, il barbiere, tutta una serie di attività vivaci proprie dei paesi di campagna di quel tempo.

C’era anche il bar a San Graziano, il Bar Gallinella. Antonio era lì, con Pilucco, il suo meticcio bianco e nero, un cane di media taglia molto furbo e sempre alla ricerca di un boccone. Antonio conversava con Fedele, uno degli amici che aveva in paese, l’unico che avesse ancora un po’ di tempo da dedicare alla sana ricreazione da bar. Infatti i suoi amici erano per lo più sposati, a cinquant’anni non si può nemmeno pretendere di ritrovarli ogni giorno.

Fu in quella giornata che Antonio ebbe da Fedele un’informazione che presto si tramutò in idea. Parrebbe che i resti di cibo, di legna, di animali perfino, senza escludere qualunque tipo di immondizia che si scioglie, nel tempo possano trasformarsi in…petrolio. Questo Fedele disse. Sembra che quando si ritrovino insieme queste cose, pian piano diventino oro nero. Antonio subito finse di non essere interessato al discorso, ma dopo qualche minuto di pensieri ebbe la grande idea. Sì, Antonio aveva dietro casa, una casa lontana dalle altre, una vecchia buca. Era lì dai tempi di suo padre, quando un gran numero di soldati durante la guerra aveva scavato un canale largo una trentina di metri per depositarci pezzi d’artiglieria. Una volta spostato il tutto, il canale era stato chiuso, ma la buca no. Era ormai piena di erba, ma profonda ben quindici metri. I declivi si erano addolciti, ma con un po’ di lavoro, forse sarebbe potuto essere il posto giusto. Fedele aveva cambiato discorso già da una decina di minuti, Antonio riprese a parlare con lui. Tuttavia quell’idea viaggiava ormai nella sua mente. Fu un peccato che la scarsa istruzione dei due non arrivasse a suggerire che il processo avrebbe richiesto milioni di anni. Era gente semplice di un paese di contadini e artigiani semplici, la gente di San Graziano.

Antonio tornò a casa con Pilucco, si sedette a tavola e mangiò. Lui non era sposato come gli altri. Non tanto per l’aspetto quanto per il carattere molto deciso. Infatti quando Antonio prendeva una decisione, era quella fino alla fine. Tuttavia questa era più testardaggine che altro. La sera stessa passeggiò sul retro della casa con il cane e andò a guardare la buca. Era da preparare, da rifare, ma poteva andare bene.

Nei giorni seguenti, finito il suo lavoro al caseificio, nonostante la stanchezza, prendeva la pala e si calava nella buca. Tolse altra terra e rese le pareti ripide e nette, tolse l’erba, lavorò la forma del baratro. Per non restare prigioniero all’interno usò una corda che assicurava ad un vecchio ceppo di noce. Ci volle un mese, ma alla fine Antonio era soddisfatto. Aveva la sua buca e avrebbe potuto provare a rincorrere la fortuna. C’era voluto molto lavoro, ma era un investimento per il futuro.

Passò l’estate e nei primi tempi Antonio non faceva altro che buttare nella buca i resti dei suoi pasti. Ma non si scomodava se aveva solamente qualche osso di pollo, ma quando aveva un certo ammontare di resti, allora prendeva un sacco e con Pilucco li portava alla buca. Arrivato lì, svuotava il sacco e un insieme di verdure marce, ossi di animali e formaggi ammuffiti finivano sul fondo. Non succedeva nulla, ma si sa, ci vuole un po’ di tempo, un po’ di roba perché vi sia molto petrolio.

Quando l’autunno iniziò anch’esso a volgere al termine, Antonio aveva cambiato solo un po’ le proprie abitudini. Tutte le sere andava alla buca e vi buttava qualcosa, anche solo un nervo di pollo, una fetta di pane raffermo. A volte non portava nulla, se non aveva nulla, ma andava a controllare il lavoro. Sul fondo della buca vi era un insieme informe di poltiglia di colore scuro, tranne, ovviamente, i resti freschi. Aveva fatto il fondo, diceva Antonio. Aveva preparato la sua fortuna. Pensò anche di abbandonare, visto che gli sembrava un lavoro pesante e lungo, ma in fondo gli piaceva ed era il suo investimento.

A Natale Antonio capì che il freddo poteva rallentare il processo. Tuttavia non volle coprire la buca perché quando pioveva l’acqua sembrava aiutare la decomposizione. Aveva fame ultimamente, infatti quando se la sentiva, non mangiava e raccoglieva il pranzo o la cena e la portava alla buca. Pilucco lo seguiva sperando di prendere qualche boccone, ma era inutile. Antonio, se decideva che saltava un pasto per la buca, lo faceva senza indugio. E Pilucco, in fondo, aveva già mangiato. Non dimagrì molto, non saltava certo molti pasti. Fu invece quando tornò la primavera che l’appetito gli calò, vedeva che il livello della poltiglia si era alzato e  aveva preso un bel colore nero. Erano comparsi i topi e Antonio pensò di cospargere la buca e intorno alla buca di veleno. Non avrebbe fatto male, si sarebbe lentamente trasformato in petrolio anche quello. Andava ancora al bar, parlava con Fedele, ma non raccontava a nessuno della buca. Era il suo investimento per il futuro e quando tutti l’avessero saputo, avrebbero riconosciuto il suo genio.

Il tempo passò velocemente tra il lavoro e le uscite al bar. Il lavoro sulla buca diventava ogni mese più curato, Antonio stava divenendo un esperto. Aveva capito che la presenza di liquidi aiutava la trasformazione. Così un giorno del Luglio 1949 decise che le bottiglie di vino non gli servivano più, o almeno non tutte. Prese quelle più vecchie e le vuotò nella buca. Il risultato doveva essere una maggiore velocità nella trasformazione. Vedeva la propria ricchezza materializzarsi lentamente. Ma un po’ di vino lo tenne per sé, per le sue cene.

Antonio organizzava sempre una cena d’estate. Invitava i suoi amici più stretti tra cui anche Fedele. Quell’anno, però, la sua voglia di festa era calata in favore del bisogno che gli amici portassero da mangiare. C’era una quantità di cibo che sarebbe bastata per almeno tre di quei banchetti, ma Antonio non organizzo nessun’altra cena e la gente a San Graziano si chiedeva cosa ne avesse fatto. Mangiava così tanto Antonio? Gli avanzi erano finiti nella buca la notte stessa della fine della festa e Antonio li buttò con una certa soddisfazione. Inoltre, nei giorni successivi, vista l’abbuffata, avrebbe potuto gettarvi anche pranzo e cena senza troppi problemi.

Ben presto decise anche che il suo stipendio poteva bastare per due persone, quindi avrebbe potuto fare spesa per due. Aveva fatto i conti bene, così cominciò a comprare cibo per sé e per la buca. Così, si diceva Antonio, non avrebbe dovuto più fare i digiuni perché avrebbe avuto i rifiuti a sufficienza per la sua buca. Ogni giorno un paio di pagnotte, almeno una bistecca e un paio di uova finivano nella buca. Il livello della poltiglia non cresceva più di tanto visto che in realtà una buona parte si degradava. Tuttavia l’aspetto era sempre più rassicurante.

La vita di Antonio era cambiata, ormai. L’inverno del ’49 fu duro perché fece freddo e lui aveva deciso che per finire prima la sua buca, doveva rinunciare anche a qualcuno dei suoi pasti. Prese a mangiare meno e dimagrì molto. Il vino ormai era finito tutto nella buca. Gli abitanti di San Graziano cominciavano a mormorare nei suoi confronti. Sembrava che casa di Antonio fosse diventata più vecchia nel giro di un anno. In effetti prima aveva qualche albero da frutta, ma lui aveva deciso di tagliarli il che rendeva l’intorno dell’abitazione molto spoglio. Inoltre decise che la legna era da destinare alla buca, così stava in casa al freddo utilizzando i propri cappotti. Casa di Antonio, all’interno, era diventata grigia e polverosa. Lui stava sempre al tavolo, quando non lavorava, ad ideare la mossa successiva per aumentare la resa della buca. Era sempre assorto in quel pensiero.

Si alzarono strane dicerie su Antonio quando comprò tutto il necessario per la cena di Natale che faceva solitamente e non organizzò nessuna festa. Fedele si preoccupava per lui, ma Antonio cambiava sempre discorso. Anche la selvaggina che Antonio prendeva a caccia finiva subito nella buca. Certo, gli animali appena morti erano un toccasana, caldi, umidi. Aveva cominciato a studiare la poltiglia nera, era sicuro che si stesse trasformando. Era diventato insensibile ai miasmi che salivano dalla buca, aveva aumentato la dose di veleno per topi per evitare che i ratti rovinassero il proprio lavoro. Meglio ancora, poi, se morivano dentro, avrebbero aiutato la buca.

Quando scoccò il 1950, faceva freddo e a causa del poco cibo e del continuo freddo Pilucco si ammalò. Aveva già dieci anni e Antonio non sapeva che fare. Guaiva in continuazione e probabilmente non ci sarebbe stato molto da sperare. Antonio non si sentì troppo in colpa quando portò Pilucco in braccio fino alla buca e lo buttò dentro. In fondo non c’era nulla da fare e almeno lo avrebbe aiutato. Il vecchio compagno picchiò sul fondo della buca e prese a guaire più forte. Antonio ebbe un sussulto di rimorso, ma quando pensò alla ricchezza che la buca poteva portargli, si scosse e tornò a casa. Non ci vollero più di dieci minuti perché i lamenti dalla buca non si sentissero più.

Rimasto solo in casa aumentò la quota di cibo destinata alla buca, mangiava ormai poco e faceva poco caso alle stagioni che si susseguivano. In paese non si vedeva mai se non per fare le spese. Girava voce che fosse diventato pazzo o che fosse depresso, nessuno si avvicinava più alla sua casa che era decadente e grigia. Anche lui stava diventando grigio e non parlava più volentieri con nessuno. Aveva smesso di andare a caccia, il necessario per la buca poteva essere comprato. Fu nei mesi estivi che fu licenziato dal lavoro, forse a causa delle leggende su di lui.

Sparirono alcune pecore dalle case vicine, ma nessuno poteva accusarlo. Antonio viveva di notte e dalla sua dimora non si vedevano mai luci filtrare dagli scuri. Le quantità di cibarie buttate nella buca erano aumentate e tutti gli animali che trovava finivano là dentro. Il livello della poltiglia era notevolmente aumentato e ormai Antonio assaporava il risultato del proprio investimento in lavoro. Finirono anche i soldi, ma rimanevano gli animali nel circondario. Mangiava quando poteva, se trovava qualcosa, ma la priorità andava alla buca. Quando fosse riuscito ad avere il petrolio, non avrebbe più avuto problemi.

Un giorno di primavera Fedele  si convinse ad andare da lui e lo trovò. Gli spiegò che era preoccupato, che in paese si diceva che s’incamminava di notte nel bosco dietro casa, che era un uomo lupo, che era un pazzo. Cercò di convincerlo a farsi curare in ospedale. In effetti Antonio era molto deperito, ma quando Fedele disse di voler vedere cosa faceva là dietro, Antonio accettò subito. Fu una cosa veloce, ci vollero solo dieci minuti per giungere alla buca. Fedele ebbe un conato di vomito nel sentire la tremenda puzza e nel vedere i resti di animali mescolati a cibi marci, a legna a pezzi, ad escrementi di vario tipo. Ai suoi occhi sembrò l’inferno, ma non lo vide per molto. Antonio lo colpì con un bastone. Poi picchiò ancora e ancora, fino a che sentì che il respiro non c’era più. Buttò Fedele nella buca, nessuno poteva rivelare del suo investimento e in fondo anche Fedele gli avrebbe dato una mano. Il corpo dell’amico sprofondò quasi interamente nella melma scura. Antonio era dispiaciuto per Fedele, ma la vita è fatta di priorità. Fedele era stato molto irrispettoso nei suoi confronti e non c’era tempo da perdere. Doveva trovare altri sistemi per finire la buca.

Nell’afa dell’estate Antonio si era indebolito ulteriormente. Nessuno lo vedeva o si avvicinava alla sua casa. Parlava da solo e non usciva più. Nella buca buttava i mobili di casa, buttava la legna del bosco vicino, buttava i gatti che catturava. Una sera, al crepuscolo, si trovava là, fissava la buca e guardava la melma nera. Si era formata una pozza in un angolo. Era certamente petrolio, stava ormai finendo, il proprio enorme lavoro sarebbe stato premiato. Ma era troppo debole. Una fitta al petto lo fece inginocchiare, gli sembrava che le braccia facessero male e respirava a fatica. Perse l’equilibrio del tutto, cercò di aggrapparsi all’orlo dello scavo, ma non aveva più forze. Scivolò dolcemente lungo la parete della buca, si fermò sul fondo. Antonio cadde nella melma e con le ultime forze si tenne a galla con un pezzo di legno, mentre il cuore cessava di battere.

Quando chiuse gli occhi, non era nemmeno molto preoccupato.

In fondo…era il suo investimento per il futuro.

   
 
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