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Autore: Anto1    11/04/2012    8 recensioni
Serventi è di nuovo in circolazione. La sua smania di sconfiggere Gabriel lo porta a fare un patto con un demone. Prima di combatterlo, però, il Gesuita dovrà fare i conti con qualcosa di altrettanto oscuro: il suo stesso potere.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Il cuore di Gabriel batteva stranamente quella mattina, in maniera quasi aritmica, e la ragione era solo una: fra due interminabili ore sarebbe stato in terapia da Claudia; sarebbero stati soli in quel salottino, e lui avrebbe dovuto scoprire altro su quella possessione di cui non ricordava nulla. Tuttavia, non sapeva se quel battito frenetico fosse un battito d’amore o di nervosismo, o addirittura paura. Claudia si comportava stranamente dal giorno dell’esorcismo di Giada, e martedì scorso il suo atteggiamento era stato così freddo da gelargli il sangue nelle vene. Quella frase, soprattutto:  “sei… come tuo zio, o forse dovrei dire… come tuo padre?”, gli era ronzata in testa per tutta la settimana, ossessionandolo come una mosca fastidiosa, non lasciandogli un attimo di pace. Non sapeva se voleva vederla o no. Certamente, una parte di lui, quella più istintiva e irrazionale, ancora offesa per l’insulto subito, voleva telefonarle e dirle che non sarebbe venuto; la sua parte più razionale, invece, gli suggeriva di andare all’appuntamento e di trattare Claudia con la stessa freddezza con cui lei l’aveva accolto la volta scorsa, di vedere la donna soltanto come una psicologa, niente di più; e sia, avrebbe fatto così! Veloce, si alzò dal letto, si lavò, si vestì, fece colazione e uscì di casa, montando in sella alla sua moto.

Era una di quelle giornate di marzo fredde e uggiose, rischiarate da un sole malinconico e timido che cerca di fare capolino fra le nuvole grigie; una di quelle giornate che annunciano l’arrivo della primavera ma che ancora sono restie a separarsi dal freddo inverno. A Gabriel non piacevano affatto quelle giornate indecise, pensò, mentre sedeva fuori dall’ufficio di Claudia, ancora imbacuccato nel suo pesante cappotto nero. Di sicuro, non erano il massimo per rallegrare un umore già tetro, e che aspettava impazientemente che le lancette di quell’orologio a muro si decidessero a muoversi. Mancavano solo cinque minuti alle nove, e di Claudia ancora nessuna traccia. In compenso, Valentina era venuta fin troppo in orario, e non accennava a staccargli gli occhi di dosso da dietro lo schermo del computer. Poi, la porta si aprì, e Claudia entrò trafelata, trasportando una borsa a tracolla che sembrava essere molto pesante. Ancora affannata, disse a Gabriel di entrare, mentre con passo veloce lo precedeva, e poggiava la borsa sulla sua scrivania. L’uomo la seguì, muto e rigido, deciso a non far trasparire nessun segno gentile dal volto, che aveva nascosto dietro una maschera d’indifferenza e impassibilità.
“Gabriel, siediti.”
Qualcosa nel modo in cui lei aveva detto quelle parole fece vibrare nuovamente le corde del suo cuore, che riprese a battere come un tamburo.
“Fai come l’altra volta: chiudi gli occhi e ascolta il tuo respiro.”
Gabriel annuì, serio, e fece quanto gli veniva chiesto. Rivisse la sensazione di calma, di assenza pacifica di emozioni che provava ogni volta che chiudeva gli occhi e si concentrava. In quello stato d’immobilità, gli veniva più facile ascoltare la voce della donna che gli stava di fronte.
“Ti ricordi del giorno in cui hai esorcizzato Giada?”
“Sì.”
Nella sua mente, cominciava a formarsi il ricordo della stanza buia e tetra, della ragazza nel limbo, del demone nero e incorporeo, della meravigliosa figura di Claudia danzante.
“Ti ricordi di aver sognato Claudia e di aver fatto l’amore con lei?”
“Sì.”
Come poteva dimenticarlo? Era stato il momento più bello che ricordasse: Claudia, vestita di un leggero vestito d’acqua; Claudia, che avvolgeva le gambe frementi intorno alla sua vita; Claudia, che si dissolveva come aria, lasciandolo solo e disperato.
“Che è successo, dopo?”
La sua mente ebbe un attimo di smarrimento, un attimo in cui davanti ai suoi occhi apparve come uno schermo bianco; poi, Gabriel tornò a vedere nero. Ma era come se la sua testa si rifiutasse di collaborare, di ricordare, come se volesse proteggerlo da qualcosa di troppo doloroso. Gli era successo più volte in passato, quando aveva cercato di ricordare cos’era successo quella notte a Villa Antinori, quando ancora credeva che sua madre fosse morta e innocente: ora, la sensazione era la stessa, se non più forte. Poi, i suoi sensi cominciarono ad assottigliarsi, a diventare più acuti, e qualcosa si fece strada lentamente nel suo cervello.
“Mi sono risvegliato, non solo praticamente: i miei sensi sembravano essere rinati, io mi sentivo rinato! Riuscivo a percepire il suono della voce di Claudia, catturandone ogni vibrazione, come se fosse quasi materiale, riuscivo a sentire il suo odore come non avevo mai fatto prima. Ho aperto gli occhi, e lei era lì davanti a me, ancora più bella della Claudia del sogno, forse perché la Claudia davanti a me era reale. Era lì, e sembrava fatta per appagare i miei sensi, i miei desideri, per farmi impazzire. Dovevo fare di quel sogno una realtà, dovevo farla mia, in quel luogo e in quel momento! Era come se tutta quella bellezza avesse ottenebrato il mio cervello: nella mia mente non esisteva che lei! Volevo sfiorare la sua pelle, assaggiarla! Non ero più io, qualcosa mi era entrato dentro, qualcosa che mi faceva sentire invincibile. Ho percorso con la lingua prima il collo di Claudia, poi sono entrato nella sua bocca, e…”
Poi l’aveva baciata avido, senza passione, senza amore; non si era curato della Giada bisognosa di aiuto, ma aveva cominciato a muoversi ancora vestito contro Claudia, famelico, e quando lei l’aveva rimproverato per la sua noncuranza, le aveva afferrato brutalmente la testa, spingendola contro la sua bocca. Vide sconcertato le sue mani abbassarle la cerniera dei pantaloni, ascoltò sbigottito la sua voce minacciarla di morte al tentativo di autodifesa di mordergli il labbro; col cuore che batteva all’impazzata per la montante paura, si rivide mentre abbassava i pantaloni suoi e di Claudia, pronto a violentarla, prima di sentire una lacrima cadergli sul petto, facendogli lanciare un urlo di dolore; prima di svenire.

“Ah… ah!!!” il suo respiro era gradualmente accelerato da quando aveva cominciato a ricordare, tanto che ora stava praticamente lottando per inspirare un po’ d’aria; lo sforzo stava affaticando il cuore e il cervello. Stringeva convulsamente le mani sulla pelle bianca del divano, quasi graffiandolo.
“Gabriel! Respira lentamente, stai avendo un attacco di panico!”
La voce di Claudia l’aveva fatto ritornare alla realtà: lentamente, il respiro si stabilizzò, e lui sentì ritornare tutte le sue facoltà mentali e il cuore battere a un ritmo più calmo. Quando riaprì gli occhi, però, il battito accelerò di nuovo,  inesorabilmente. Vedere quegli occhi tanto dolci e tanto preoccupati posati su di lui  e sentire quelle mani sulle sue guance lo riempì di una tristezza e di un senso di colpa infiniti. In un istante, fu come se tutto l’amore che provava per lei fosse rinato in tutta la sua disperata passione. Non ascoltando più il suo respiro ridiventato corto, né i battiti del suo cuore ormai impazzito, Gabriel si alzò di scatto: erano così vicini che quasi nemmeno un millimetro li separava, ma lui si avvicinò comunque, guardando il viso di lei sbiancare per la paura, mentre indietreggiava.
“Gabriel… che cosa vuoi fare?” la sua voce era un fremito impotente, quasi una preghiera.
Perché si era alzato di scatto e si era avvicinato a lei? Perché i suoi occhi erano così limpidi e pieni di lacrime? Era orribilmente così simile al Gabriel che aveva tentato di violentarla, e tuttavia così diverso! Irrigidendosi, cercò con le mani qualcosa su cui potersi appoggiare, perché sentiva che le sue gambe tremanti non avrebbero retto il suo peso. Stava per temere il peggio, quando accadde qualcosa che lei non aveva previsto: lui si gettò ai suoi piedi.
Sì, quella era la cosa giusta da fare, pensava, in ginocchio, gli occhi imploranti perdono fissi in quegli sbigottiti di lei, le braccia strette intorno alle sue gambe.
“Claudia… Claudia, oh, Dio mio, perdonami! Perdonami!” mormorò fra i singhiozzi, poggiando la fronte sulle sue cosce.
La psicologa guardò impietosita il corpo tremante del Gesuita, sentì le sue lacrime calde bagnarle i pantaloni, avvertendo quel calore crescere anche nel suo cuore. Alzò la testa al cielo come per chiedere se quello fosse un sogno, o se stesse accadendo davvero, quando lui si alzò lentamente e, con gli occhi umidi di pianto, sfiorò delicatamente, quasi temesse di farle male, l’ecchimosi che le aveva lasciato quando le aveva morso ferocemente il collo, non ancora guarita del tutto.
“Non è possibile… non posso, non posso averti fatto questo!” mormorò, guardandola spaventato come a chiederle conferma; a vedere quegli occhi nocciola volgersi verso il basso, gli si strinse il cuore. Gabriel sentì crescere dentro di sé una rabbia e un odio contro sé stesso talmente forti da meravigliarlo. Furioso, cominciò a camminare per il salottino, cercando di reprimere la voglia di spaccare tutto quello che gli capitava davanti affondando convulsamente le mani nei capelli. Come aveva potuto farle una cosa del genere? Come aveva potuto tentare di violentarla? Perché non era riuscito a combattere la volontà di un essere maligno? Pensava che il suo amore per lei fosse così forte da poter sconfiggere anche un demone. Un pensiero orrendo lo paralizzò: era stato il demone o lui stesso a volerla violentare?
“Perché mi aiuti quando la persona che dovrebbe ricevere aiuto sei proprio tu? Dovresti odiarmi, ma mi aiuti. Perché?” chiese, voltandosi a guardarla.
Gli occhi di Claudia, caldi e tristi allo stesso tempo, anticiparono la risposta “perché ti amo!”
Gabriel dovette fare appello a tutta la sua forza fisica e mentale per ascoltare quella risposta.
“Ripetilo!” un mormorio, una supplica, un dolce ordine.
“Ti amo!” quelle stesse parole, ripetute con ancora più affetto e passione di prima, lo attirarono come una calamita a lei.
 Le prese le mani, stringendole fra le sue, accarezzandole.
“Dimmi come ti sei sentita dopo quello che è successo. Dimmi tutto e non tralasciare neppure un particolare. Ti prego, ho bisogno di sapere!”
Claudia ebbe un attimo di esitazione; dire all’uomo che amava tutti i suoi desideri più intimi, tutte le sue paure, svelargli il suo cuore, era una cosa molto più difficile che fare lo stesso con un perfetto estraneo. Tuttavia, non sapeva resistere a quegli occhi azzurri prima così scostanti e in cui ora era ricomparso tutto l’amore che ricordava, un amore che risvegliava la speranza nel suo cuore. Sospirando, sciolse le mani dalle sue, e prese a camminare per la stanza come lui aveva fatto pochi secondi prima, ma più calma.
“Ho fatto un incubo” disse, all’improvviso, fermandosi per guardarlo dritto negli occhi “quando sono tornata a casa, la sera dopo quello che è successo, non sono riuscita a dormire bene, e ho fatto un incubo. Era molto simile al sogno che facevo quasi ogni notte, dopo che mi hai lasciata.”
“Quale sogno?” chiese Gabriel, divorato dalla curiosità.
Claudia deglutì a fatica. Quello era il giorno della verità. “Quando mi hai lasciata, non sono riuscita a farmene una ragione. Avevo bisogno di te, delle tue labbra, del tuo corpo; ti pensavo per tutto il giorno e specialmente la notte, quando t’incontravo nei miei sogni. La situazione era sempre quella: fuori diluviava, e io ero nel mio letto, spaventata; tu entravi nella camera, mi abbracciavi, e finivamo per fare l’amore. Il tempo intorno a noi cambiava: non c’era più il temporale, e noi ci ritrovavamo nudi in mezzo a un paesaggio innevato. Quando mi svegliavo… oh!” smise di raccontare, ricordando all’improvviso la sensazione delle mani di Gabriel sul suo corpo. Sorrise, chiudendo gli occhi come in estasi, e cingendo sé stessa con le braccia, come per riprodurre quel brivido.
Gabriel, il cuore che batteva all’impazzata, la pregò di continuare, scosso da quell’estasi quasi divina.
“Che cosa succedeva?”
Claudia aprì gli occhi, arrossendo leggermente, il corpo che fremeva tutto per avergli rivelato di essere lui l’oggetto del suo sogno più intimo.
“Ti sentivo dentro di me come se quello che avevamo fatto nel sogno fosse davvero successo.”
Gabriel, ancora alzato, si sedette all’improvviso, cercando di dare un controllo alla reazione chimica che stava avvenendo dentro di lui. “Continua, ti prego!”
“Quella notte, invece, non è andata proprio così: quella notte tu usavi la parte oscura del tuo potere per trascinarmi con te nell’inferno, e ordinavi ad alcuni demoni di tenermi ferma, dicendogli che ce ne sarebbe stato anche per loro” si bloccò, spaventata dalla reazione di Gabriel: il respiro corto, si teneva la testa fra le mani, afferrandosi i capelli come se avesse voluto strapparseli dalla testa; sospirando, Claudia continuò “ero bloccata, non potevo fare niente per fermarti, potevo solo subire in silenzio. Mi hai fatto male, molto male; non era come l’avevo sempre sognato, o perlomeno come avevo sempre sognato te, perché ti ho desiderato e ti desidero ancora come non ho mai desiderato un uomo in vita mia, ma quella notte tu… non eri l’uomo che amavo.”
Cominciò a piangere silenziosamente; ogni tanto, dei singhiozzi si facevano strada fra quelle lacrime leggere. Gabriel, il cuore spezzato e pieno di rimorso per l’orrore che aveva commesso, le si avvicinò lentamente e le prese la testa fra le mani, asciugandole le lacrime.
“Ora ho capito perché ti sei comportata così freddamente con me durante questi giorni. Hai ragione: sono proprio uguale a mio zio” disse, mortificato.
“No, Gabriel. Io ero arrabbiata e impaurita, non sono riuscita a fermare le parole…” le dita dell’uomo sulla sua bocca la zittirono all’istante.
“Non parlare, adesso; ascolta!” e, dolcemente, avvicinò la testa della donna al suo petto.

Tu-tump… tu-tump… tu-tump


Claudia rimase come impietrita a sentire quel suono così melodioso, quel meraviglioso battito che testimoniava che l’uomo che amava era vivo. Pensava di sapere cosa significasse amare la vita, ma in quel momento credeva di non averla mai amata abbastanza.
“Lo senti? Questo cuore batte per te da quando ti ho incontrato per la prima volta. E’ tuo, solo tuo, e oggi ti dimostrerò quanto ti amo: frenerò l’istinto di baciarti e di possederti perché ti amo! Voglio passare il resto della seduta stringendoti al mio petto.”
La condusse per mano fino al divano, la fece sedere vicino a sé, ammirando per un istante i suoi meravigliosi occhi prima di riavvicinare la sua testa al suo petto. A Claudia sembrò di essere tornata bambina e di stare ascoltando una melodia deliziosa, ma appoggiare la testa sopra il petto del giovane prete, poter stringere quel corpo che celava muscoli ben definiti, sentire le sue dita fra i suoi capelli era molto meglio. Le sembrò di aver dormito, quando con riluttanza mezz’ora dopo si staccò da lui.
“Devi andare, Gabriel! Sono le dieci, io devo visitare Giada” disse, incerta. Non voleva lasciarlo, non voleva che se ne andasse, ma doveva. Lui annuì, ma, quando lei si fu alzata per scrivere il prossimo appuntamento sul suo taccuino, che sarebbe stato martedì prossimo, le prese di nuovo la mano, dandole uno sguardo così ardente da farla tremare.
“Tu guarirai da questo trauma, te lo prometto! Ti proteggerò da tutto e da tutti, persino da me! Non ti farò mai più del male!” il viso di Gabriel si avvicinò al suo, seguito dal suo corpo; le labbra del giovane prete che sfioravano le sue le fecero tremare le ginocchia; quel leggero tocco, durato solo pochi secondi, era stato sufficiente per farle scorrere un brivido lungo la schiena, tanto che si ritrovò ad occhi chiusi a desiderare altro, qualcosa di proibito e sensuale: un ultimo tocco, un ultimo bacio; si ritrovò di nuovo a desiderare di chiedergli di darle il suo corpo, il suo cuore, anche lì, nel suo ufficio; a pregarlo di farle scoprire altre emozioni, e di insegnarle ad amare come non aveva amato mai.

“Ciao, Giada. Come stai?”
La ragazza sorrise, ascoltando il turbamento nella voce del Gesuita.
“Meglio. Ho mandato via Valentina con una scusa, così da restare un po’ soli.”
“Co… come?” chiese Gabriel, dubbioso e perplesso.
Giada rise “non saltare subito alle conclusioni… si vede che sei rimasto molto tempo con Claudia. Com’è andata?” chiese, inclinando il capo e guardandolo di sottecchi. Lo sguardo sconvolto di Gabriel le rivelò che l’uomo aveva fatto la scoperta più importante, quella che lei stessa attendeva. La ragazza annuì, comprensiva, e gli posò una mano sulla fronte. In un attimo, il prete fu invaso da un’emozione così forte e pura da togliergli il respiro; rivide quello che Claudia gli aveva raccontato pochi minuti fa, solo che ora non lo stava vivendo da esterno, ma da protagonista: lui era Claudia: la psicologa che si era follemente innamorata di un prete, di un bellissimo principe dall’armatura scintillante, senza macchia e senza paura; di un uomo che nonostante le avesse fatto il torto più grande, non aveva smesso di amare più della sua stessa vita, e che ancora incontrava, nudo, nei suoi sogni.
L’emozione pura e ammaliante svanì, e Gabriel si ritrovò a guardare allibito Giada, una ragazza minuta che sorrideva, dicendo “sì, è l’amore che Claudia prova per te.”
La vide entrare nello studio; fissò quella porta a bocca aperta per un tempo infinito, sbalordito per aver provato l’amore disperato che Claudia provava per lui, un amore di donna, un sentimento tenero come un fiore e forte come il vento.




Eccovi il 9 capitolo. Spero vi sia piaciuto. Scusate se faccio tutto molto a rilento e fatico far riconciliare Claudia e Gabriel, ma ho intenzione di scrivere bene questa storia; e poi, spero non vi dispiacciano le storie lunghe, perché questa sarà molto, molto lunga. Ditemi cosa ne pensate! Anto.
  
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