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Autore: kiara_star    11/04/2012    4 recensioni
Erano passati tre anni e ancora riusciva a ricordarsi alla perfezione le sue parole, anzi poteva udirle così come le aveva pronunciate, con ogni singola vibrazione della sua voce. Con quel tono amaro a tratti disperato, ma allo stesso tempo pacato, come solo lui sapeva essere.... (una fic ambientata nel futuro di One Piece, o meglio dopo il suo ritrovamento. Naturalmente è una ZoroXSanji ^-*)
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La  forza di una rosa nella neve  

Le lacrime le rigavano il volto mentre quelle mani la tenevano ferma contro il muro.
- Avanti dacci tutto quello che hai, dolcezza- la voce roca e la puzza d’alcol. Le risate cattive che sentiva vicine. Non aveva la forza di urlare né di chiedere aiuto, non aveva la forza di far nulla, se no piangere.
- Ti prego – riuscì solo a singhiozzare mentre sentiva mani sporche alzarle la gonna.
- Se non ci dai niente dobbiamo divertirci in qualche altro modo – credeva di morire, avrebbe voluto che suo padre fosse lì, a proteggerla, ma era lontano. Impegnato in chissà quale missione, contro gentaglia come quella. Era sola e nessuno avrebbe potuto salvarla. E la sua unica colpa, era stata quella di voler passeggiare alla luce della luna.

Poi era stato un fulmine. Quelle mani che la lasciavano andare, il rumore sordo di un corpo che cadeva a terra con un tonfo
- E tu chi diavolo sei? – si era voltata ancora tremante a quelle parole incrociando il viso di un ragazzo biondo. Una sigaretta fra le labbra e le mani sprofondate nelle tasche.
- Brutti bastardi, che pensavate di fare?! – erano parole sicure e cariche di rabbia. In pochi attimi vide quel giovane correre verso i suoi aggressori e metterli a tappeto con pochi calci.
Non era ancora riuscita a spostare le spalle da quel muro. Vi era scivolata a terra, stringendo le braccia contro il suo stesso petto.
- Signorina – ora era a lei che si stava rivolgendo. Continuava a tremare e non era capace di proferire parola.
- Va tutto bene... ti hanno fatto del male? – lo vide inginocchiarsi davanti a lei e metterle una mano sulla testa. Era sussultata a quel tocco.
Ma era caldo e amico.
Era la mano del ragazzo che l’aveva salvata.
- N-no... – ma era ancora difficile per lei riprendersi. Si sentì sollevare e si ritrovò avvolta fra le sue braccia.
L’odore intenso del tabacco misto a quello di un buon dopobarba.
La cravatta azzurra di seta.
Si fece piccola piccola contro il suo corpo sentendosi finalmente protetta.

- Ora ti porto a casa, principessa – come il suo adorato papà... anche lui, la chiamava così.

 

 

Rimase a fissare la porta aperta, la porta dalla quale l’aveva visto uscire.
- Sa-Sanji – singhiozzò portandosi una mano alle labbra.

Quella volta sotto la luna, fra le sue braccia, mentre le diceva che andava tutto bene, mentre le prometteva che non le sarebbe più successo nulla di brutto... gli aveva creduto.
Quel ragazzo dal sorriso triste che aveva imparato ad amare così facilmente che neanche se ne era resa conto. Il giovane venuto dal nulla che aveva portato quella ventata d’aria buona nella sua vita. Il gentiluomo che aveva conquistato anche la fiducia di suo padre.
Un pirata, un fuorilegge, un bugiardo.
Chi era stato davvero? Quando le aveva sospirato di amarla... almeno li, era stato sincero?

Il dubbio, l’amara realtà, faceva male. Sentiva il suo corpo vibrare in ogni singola cellula, mille lacrime nascere da dentro e non esser capaci di venire fuori tutte.

Le gote calde e i singhiozzi che risuonavano nella stanza.
Ma ora, prima di sparire via, prima di giurarle per l’ennesima volta che sarebbe andato tutto bene... le aveva detto la verità? E allora perché sentiva di averlo perso, perché si stava chiedendo se fosse mai stato realmente suo... Almeno una sola volta...

Si ritrovò seduta sul letto a stringere fra le dita le lenzuola. A mordersi le labbra quasi a lacerarle mentre il bianco del suo abito era ormai sporco di lacrime e mascara...
Quella giornata da sogno, il suo sogno, era svanito velocemente. Così veloce da non permetterle di respirare. Così veloce da averle estirpato il cuore dal petto e lei, non lo sentiva più battere.
Eppure l’aveva capito subito.
Nel suo animo ora in frantumi l’aveva sempre saputo.
Quegli occhi azzurri avevano sempre guardato il mare con malinconia, c’era una vita di cui lei non sapeva nulla che però lui continuava ancora ad amare. Una vita lontano da lei, in cui Keira, ora ne era certa, non sarebbe mai potuta entrare.
Guardò al di là della finestra.
Le nubi grigie, le piccole gocce che iniziavano a picchiettare contro un vetro ancora integro.
Il frusciare del vento.
La pioggia che tanto aveva bramato scendere sulle sue nozze, era una tempesta che la stava schiacciando. Una tormenta di fuoco che le stava bruciando la carne e l’anima.
Il suo principe... quale crudele menzogna.

- Signorina – da quella porta una figura esile. Un soldato coperto di ferite che barcollava verso di lei.
- Signorina Keira, come sta? – le afferrò la mano ma lei non seppe dire niente. Come quella notte contro il muro.
Scosse solo la testa mentre lacrime dense continuavano a sporcarle il viso.
- Dobbiamo andare via, quel pirata... potrebbe farle del male – quel pirata... il giovane dai capelli di smeraldo che aveva trovato così buffo.
Si pulì con il dorso della mano una guancia e si alzò
- Io... devo parlare con lui – cercò di essere il più forte possibile. Cercò di non far spezzare le parole fra i denti ma il soldato la guardava senza capire.
- Signorina dobbiamo andare via – provò a tirarla ma lei si sottrasse alla presa.
- Ho detto che gli voglio parlare! – urlò stringendo i pugni.
Rabbia, dolore, angoscia.
Quando da bambina lo faceva per capriccio, ora era un bisogno quasi fisico.
Aspettò che il marine si capacitasse. Che le porgesse una mano e la portasse attraverso il corridoio mezzo sfasciato. Attraverso le porte di legno che erano finite in mille schegge a ricoprire il pavimento. Poi lo vide frenarsi davanti alla porta e farle un gesto.
- E’ fuori, ma... signorina... mi permetta di dirle...- non glielo permise. Fece un passo e poi un altro.
La pioggia era divenuta impetuosa. Il prato era zuppo di acqua e sangue. Cercò la chioma verde e la vide.
L’uno contro l’altro.
Amici, compagni, alleati... qualsiasi cosa fossero stati o erano, ora non aveva più importanza.
- Tu... pirata – inghiottì quando lui la guardò, quando Sanji le urlò di rientrare, quando la voce di suo padre risuonò fra il picchiare della pioggia.
I suoi occhi erano colmi di determinazione, la fissavano silenti e lei si sentì ancora più piccola e impotente.
- Pirata.... voglio che tu sappia che... che Sanji... lui è l’uomo che amo – quanto male facevano quelle parole, quanta sofferenza provocava quello sguardo freddo. Lo sguardo di un guerriero. Sentì nuovamente la voce di suo padre ma non ebbe il coraggio di guardarlo.
- Perciò... ora tu...- quante lacrime poteva ancora versare? Quelle che il cielo le stava lanciando contro, quelle che il suo cuore spento non aveva più forza di produrre. Le lacrime che solo un amore folle e disperato può provocare.
- Ti chiedo... di.. di portarlo via con te... te ne prego – quegli occhi ora parevano esprimere qualcosa di diverso, che lei non avrebbe mai compreso. Non lei. Una giovane donzella innamorata dell’uomo sbagliato che ne sapeva della lotta? Che ne sapeva del rispetto di un avversario?
Lei ormai, non voleva sapere più nulla.


Era li. Con il fiato ancora corto. Con l’acqua che aveva appesantito la sua coda bionda e la guardava. Come fosse una fragile rosa che si ergeva in un campo innevato. La sua piccola Keira...
Nel suo bel vestito bianco. Con il viso arrossato e grondate di lacrime, con i pugni stretti e con un amore così forte, che neanche lui, che d’amore aveva finto di viverne, era stato mai in grado di provare.
- Keira – avrebbe potuto si sarebbe odiato di più, più di quanto non facesse già, più di quanto meritasse. E poi guardò lui, a pochi metri da sé. Fermo con le katane strette fra le dita che la fissava. Come una tigre che fissa una delicata gazzella ferita.
La pioggia che aveva chiesto la sera prima, era ora divenuta una tempesta. Mentre il cielo veniva tagliato da lampi e fulmini, mentre poteva vedere anche il generale con le lacrime agli occhi, mentre il mare urlava sputando alte onde.
A che era valsa la sua recita? Perché aveva visto il crollare di ogni possibile speranza con un batter di ciglia? Si era portato dietro il dolore di quella perdita, la sua mano ferita aveva provocato più sofferenza agli altri di quanta ne avesse provocata a lui.
Rufy... Nami...  i suoi compagni, la sua ciurma, la sua famiglia.... quello stupido spadaccino..... e ora lei, Keira. Ognuno di loro aveva sofferto e tutto a causa sua. Tutto per colpa di quella ferita che non aveva mai avuto il coraggio di affrontare, per colpa di un sogno che si era trasformato in un incubo...


Quegli occhi verdi li ricordava bene, li aveva incrociati per la prima volta nel suo studio e poi li aveva odiati. Odiati per ciò che lasciavano trapelare, li aveva odiati perché avevano avuto la sua immagine riflessa per tre lunghissimi anni. E ricordava la sua chioma color castagna, ora stretta in una coda non più perfetta.
Una fragile donna che in quel momento non aveva nulla da invidiare ad alcun soldato. Una donna che in lacrime gli stava chiedendo di portare l’uomo che amava lontano la lei. Una donna che stava mettendo il suo amore davanti a tutto, davanti alla sua stessa felicità, alla sua stessa dignità... al suo orgoglio. Ciò che lui a suo tempo, non era stato capace di fare. Mettere da parte l’orgoglio e dirgli di non andare. Ora lì, di fronte a sé, vedeva una ragazza tremante che l’aveva messo davanti alla sua stessa incapacità, alla sua sconfitta più dolorosa. Come la sua Kuina... forti come nessun altro. Ne era certo, solo una donna era capace di tanta forza.  

- Keira non dire stupidaggini – lo vide correre verso di lei schizzando gocce d’acqua ad ogni falcata.
- Io non ti lascerò – l’aveva stretta a sé e Zoro aveva sentito un enorme vuoto dentro.
Stava davvero facendo la cosa più giusta?
In ogni scontro, in ogni guerra, ci sono sempre due desideri a contrapporsi. Per realizzare il suo, avrebbe dovuto schiacciare quello del suo avversario. Non si era mai fatto alcuno scrupolo, eppure ora davanti alle lacrime di quella ragazza, il suo egoistico scopo pareva avere meno senso.
- Sanji, ti prego – ma lei lo allontanò. Vide il suo cuoco fare qualche passo indietro e tenere le braccia  a mezz’aria con lo sguardo confuso.
- Io voglio che tu sia felice... e non importa se per esserlo devo lasciarti andare... – un tenero sorriso  le aveva piegato le labbra.

- Ma io non...- bella, bellissima. Dolce come non l’aveva mai vista. Con il viso sporco di trucco e i capelli in disordine. Con l’acqua che le bagnava l’orlo dell’ampio abito e le dita tremanti.
- La tua felicità, Sanji... lo sai bene non sarà mai con me – e quei gli occhi verdi come un prato guardavano lui, quel testardo spadaccino.
La sua felicità... come quella notte alla taverna, così come la prima volta a Coconut Village. Non aveva mai preteso di essere felice, non sentiva di meritarlo in fondo. Era stato egoista e meschino, aveva riempito l’aria che respirava di rabbia e rimpianti, i frammenti del suo sogno sfasciato avevano continuato a torturarlo per tutte le notti che aveva vissuto da allora.
Triste, angosciante, disperato... il suo animo pareva spezzarsi a metà. Fra la strada giusta e quella sbagliata, fra la sua nuova vita e quella che si era lasciato alle spalle ma che in quel momento gli stava dando la possibilità di ritornare.
La sua ciurma... la sua sola, vera famiglia...
Abbassò il capo. Indegno di guardarla, indegno delle sue lacrime e più che mai indegno del suo amore.
- Sparisci dalla vita di mia figlia! – il generale Edward era traballante sulle sue stesse gambe. Un padre che stringeva fra le braccia sua figlia, la sua principessa. Un padre che lo stava guardando con odio e con rabbia, che avesse potuto, gli avrebbe strappato il cuore dal petto.
Si sentì mancare il terreno sotto i piedi. Le sue forti gambe lo stavano abbandonando. L’acqua che scendeva dal cielo pesava come un macigno sulla sua testa.
Avrebbe ceduto.
Sarebbe crollato e questa volta non ci sarebbe stata maschera a risollevarlo da terra.

Ma forse non serviva.
Ora, mentre sentiva le dita rudi di Zoro cingergli il polso, mentre vedeva i suoi occhi guardarlo senza più accusare. Mentre la pioggia cadeva su quei capelli assurdamente verdi, ora forse non sarebbe servita alcuna maschera.

Stavolta non ti lascio andare via” pareva sussurrargli quel sorriso, che se avesse potuto, avrebbe definito dolce. Di una dolcezza disarmante, di quella stessa dolcezza di cui non lo credeva capace, che gli aveva regalato un numero di volte così infimo che le poteva ricordare tutte.

- Zoro... – e come mai si era sentito prima di quel momento, ora era certo. Certo della sua decisione, certo dei suoi sbagli, certo della serena vita a cui stava rinunciando, ma più che mai, certo di quel folle sentimento che aveva odiato e di cui era stato passivamente vittima per così tanto tempo.
Strinse i pugni facendo scivolare via da quelle forti dita il suo polso e la guardò, per chiederle scusa, per chiedere un perdono impossibile da essere concesso, ma ancor più forte, per dirle grazie. Ringraziarla per l’amore in cui l’aveva cullato in quegli anni, e che ora lo stava spingendo lontano da lei, solo e unicamente per vederlo felice.

- Non ti odio... Sanji... non potrei mai farlo – e quelle labbra rosse ora bagnate di lacrime gli sorridevano e rendevano la sua scelta crudelmente semplice.
- Io... – ma le parole erano difficili da pronunciare. Sospirarle un grazie non sarebbe bastato, urlarle uno perdonami ancora meno. Non gli restava null’altro che sorriderle, chiudere gli occhi e regalarle il suo ultimo inchino.
Ma non sarebbe passato giorno senza averla nel cuore, senza che il suo dolce ricordo riempisse i momenti di tristezza. La forza della sua fragilità sarebbe stata la sua coperta per proteggersi dalle difficoltà che avrebbe incontrato d’ora in avanti. I suoi occhi dolci e i suoi capelli color castagna gli sarebbero apparsi in sogno e gli avrebbero ricordato sempre che anche lui era degno di essere amato, che in un tempo lontano una dolce fanciulla aveva rinunciato alla sua felicità per la sua, per la felicità di un cuoco sciocco ed egoista. Che quella stessa felicità in cui non aveva mai realmente creduto era lì, ad un battito di ciglia e a lui bastava solo allungare la mano e avere il coraggio di afferrarla. Il suo dolce sacrificio sarebbe stato un monito per non arrendersi mai, perché l’avesse fatto, avrebbe ferito anche il suo delicato ricordo. L’avrebbe sempre amata in fondo, perché come gli aveva detto quella pazza di Giselle, si può amare in mille modi diversi, e quell’amore puro come una piuma d’angelo gli avrebbe sempre riscaldato il cuore.
- Forza, ci stanno aspettando – non aveva ascoltato realmente quelle parole, ma aveva iniziato a correre dietro quella testa verde, aveva spinto le sue gambe a muoversi velocemente per non potersi voltare indietro. L’acqua che scoppiettava ad ogni ampia falcata e quella che invece gli versavano le nuvole dal cielo  parevano purificarlo da ogni peccato, da ogni immonda colpa di cui si era forse ingiustamente fatto carico. Ogni cosa scivolava via da lui.
Davanti a sé solo la schiena di Zoro e lo scintillio di quegli orecchini d’oro. Sorrise appena, conscio della follia in cui stava cadendo, ma che voleva vivere fino alla fine, insieme alle lacrime che avrebbe versato e a quelle che sarebbero rimaste celate nel cuore.
Di dolore e di gioia.

Le strade erano deserte, quel temporale le aveva svuotate tutte, e forse il casino che aveva combinato lo spadaccino avevano dato una mano. Riconobbe alla destra l’insegna della locanda.
Giselle, l’avrebbe voluta salutare, avrebbe voluto dire grazie anche a lei, che senza che se ne rendesse conto, era stata un po’ una mamma per entrambi. Per entrambi, che di un amore materno erano sempre stati orfani.
- Giselle! – urlò facendo voltare lo spadaccino. Facendo arrestare anche la sua corsa.
- Giselle! Sono io, vieni fuori! – prese profondi respiri e aspettò che la porta si aprisse, che la donna si affacciasse sulla soglia.
- Ce l’hai fatta, ragazzo – sorrise verso Zoro e lo vide annuire appena.
- Grazie di tutto, Giselle – le parole di Sanji, il suo sguardo che aveva riacquistato luce, che brillava anche sotto la pioggia le riempirono gli occhi di lacrime. Si portò una mano sulla bocca facendo loro segno di andare.
- Coraggio, andiamo – alle parole di Zoro ripresero la corsa, verso il molo, verso la sua rinascita.
Ripresero la corsa, benché il temporale non dava cenno di diminuire.
- Eccolo – urlò Zoro indicando una piccola imbarcazione. Sanji si sentì ancora più strano quando la mano di lui si avvolse attorno al suo polso e iniziarono a scendere insieme verso la barca.
- Sei stato tu a fare tutto quel trambusto, figliolo? – borbottò
Bert mentre sistemava le funi. Il marinaio non ricevette risposta, vide il ragazzo sedersi e accanto a lui...
- Santi numi, ma tu non sei il direttore dell’Elisir? – rimase leggermente spiazzato. Che diamine ci faceva con un tipo poco raccomandabile come quello?! Neanche stavolta ricevette risposta, ma solo un intimazione a muoversi, perché era già tardi.
- Queste sono le coordinazioni, portaci lì e muoviti – comandò ancora lo spadaccino consegnandosi un foglietto. Gli occhi dell’uomo si mossero a richiamo ma il pirata non parve accusarlo minimamente.
- Giovani d’oggi... senza più rispetto – borbottò ancora mentre la barca iniziava ad uscire dal molo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

To Be Continued...

 

 

 

 

 

Anche se in ritardo sulla tabella di marcia (e vi chiedo scusa per questo >.<), questa è la prima parte dell’ultimo capitolo, pubblicherò la seconda prossimamente. PROMESSO! ^-^
Ne approfitto quindi per fare ora i ringraziamenti a tutti voi, che mi avete seguito e incoraggiato nella stesura di questa storia.
Ho letteralmente adorato scriverla. È di sicuro una delle mie preferite e ammetto, che la concludo con una profonda tristezza. Nel bene e nel male mi ha fatto sognare ed emozionare scriverla, ho immaginato ogni singola scena che ho descritto e spero che anche a voi siano arrivate le stesse emozioni che provavo io. Sono molto orgogliosa della storia che ne è venuta fuori e di questo devo anche, e soprattutto ringraziare voi. Le vostre parole e le vostre dimostrazioni d’affetto hanno reso la stesura de Il mare del Silenzio una bellissima avventura  XD
Era nata da un’idea ispirata dalla canzone  La voce del silenzio cantata dal magico Andrea Bocelli. Sarebbe dovuta durare un paio di capitoli ed invece è arrivata fino a 10!
Grazie quindi ancora a tutti! ^_^

Spero crediate alla mie parole perché sono sincere e vengono dal cuore.  Ho capito quanto scrivere mi dia e quanto sia importante per me, anche se è solo una stupida fanfic che verrà dimenticata fra le pagine del forum, ed è giusto così ^_^
E dopo questo strambo ringraziamento pre-finale vi saluto XD
e vi do appuntamento fra un paio di giorni con l’ultimo aggiornamento ^.*

kiss kiss Chiara

  
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