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Autore: LandOfMagic    11/04/2012    3 recensioni
Le sventure sembrano non finire per chi porta il cognome Potter. Come a dire, la storia si ripete... E se anche la piccola Lily Potter subisse lo stesso destino del padre? Come si svolgerà il primo anno ad Hogwarts tra nuovi professori, nuovi amici e vecchie conoscenze?
DAL CAP. 10:
“Non avevo dubbi che sarebbe stata smistata a Corvonero. È una secchiona, forse peggio della madre!” sussurrò Ron all’indirizzo di Harry.
“Ronald Weasley, ti ho sentito sai? Almeno io non ho dovuto Confondere l’esaminatore di guida per ottenere la patente babbana!” lo rimbeccò la moglie.
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Solo una piccola puntualizzazione prima del capitolo. Vi ricordo che il linguaggio di Hagrid è volutamente sgrammaticato per rendere meglio il personaggio un po' rozzo e non molto istruito.
Ringrazio di cuore tutti i lettori e le lettrici che mi stanno seguendo. E' grazie a voi che riesco a continuare questa storia.
Buona lettura!




8.
Diagon Alley: la culla della magia (parte II)


 
 

“Harry avrebbe voluto avere altre quattro paia di occhi.
Strada facendo, si girava di qua e di là nel tentativo di vedere tutto e subito:
i negozi, le cose esposte all’esterno, la gente che faceva le spese”
(Tratto da “Harry Potter e la Pietra Filosofale”)

 
 
 
 
L’Osteria dei Boccali Volanti era il locale più rinomato e frequentato di tutta Diagon Alley, ovviamente dopo il Paiolo Magico. I suoi tavoli e le panche di legno cedrino avevano visto avvicendarsi una miriade di clienti che da tempi immemorabili si davano appuntamento lì per scambiare quattro chiacchiere, leggere una copia gratis de “La Gazzetta del Profeta” o fare una semplice bevuta.
L’oste Godurio Simposio era un nano attento ed oculato, con un autentico fiuto per gli affari. Aveva comprato la taverna dal precedente proprietario quando era solo una bettola sull’orlo del fallimento ed in pochissimo tempo l’aveva trasformata in un locale di successo.
Il fuoco sempre vivace e scoppiettante nel camino d’inverno ed i famosi tè speziati importati dalle regioni sud-orientali riscaldavano le membra degli avventori più impavidi che sfidavano il gelo delle serate invernali, quando la neve scendeva a fiocchi abbondanti e ammantava l’intero quartiere di una veste candida e spettrale. Per contro, la vicina gelateria, annessa al locale dopo la scomparsa dell’ex proprietario Florian Fortebraccio, allietava le afose giornate estive con squisite limonate ghiacciate, gustose bevande dissetanti di tradizione gnomica.
Quel giorno nella locanda si stava disputando una goliardica competizione tra un nutrito gruppetto di vampiri. La sfida consisteva nel riuscire a trangugiare in cinque minuti il maggior numero di calici di sangue di cinghiale. Gioco, a dir la verità, non molto apprezzato dalle altre razze magiche che avevano un’idea differente di quale fosse una buona bevuta e diversi gusti in fatto di dieta alimentare. Ciononostante, un folto capannello di spettatori si era radunato attorno al loro tavolo per scommettere sul probabile vincitore.
Artemio Venum, giovane esponente di una delle più antiche e nobili stirpi di vampiri guerrieri, era già a quota venti trascorso il primo minuto. Collo tozzo e taurino, fronte ampia e braccia nerborute che non nascondevano alla vista numerose cicatrici di guerra, già solo ad una prima occhiata superficiale incuteva nei più una sorta di timore reverenziale. Schiamazzi ed inni di incitamento erano udibili persino dalle botteghe e dai negozi circostanti.
A qualche sedia di distanza, una famigliola di nani era impegnata in una conversazione fitta fitta, davanti a coppe di siero di rapa rossa.
“Sono in arrivo una Bile di Topo e una Spremuta di Meningi di Lombrico!” gridò l’oste. Un minuto più tardi, due boccali decollarono dal suo bancone e attraversarono in volo tutta la stanza per depositarsi su un tavolo occupato interamente da folletti.
Mentre alla luce soffusa di una candela quasi consumata, se ne stava il Signor Pongi, immerso nella lettura di una circolare emessa dal Distretto per la Tutela e la Salvaguardia delle Creature Magiche in via d’estinzione. Lo distingueva un’espressione di concentrazione totale, come se si fosse trovato all’interno di una bolla, completamente estraneo ai rumori ed ai vocii del resto dell’osteria.
“Per mille pentole di San Patrizio!” sbottò rosso in volto alzandosi dal trespolo sul quale era seduto. “E’ inconcepibile!” si stropicciò il viso e si portò il foglio più vicino agli occhi, come per volersi accertare che ciò che aveva letto non fosse dovuto ad un offuscamento della vista o frutto della sua immaginazione. “Inaudito!” esclamò ancora più indignato. “Questa è la baggianata più grossa che io abbia mai letto!” si lisciò i baffi e sbatté con forza un piede per terra a sottolineare la sua irritazione.
“Cos’è una baggianata?” gli fece eco Lily. Era entrata in coda ad un gruppo di maghi e streghe, perlopiù ragazzi e ragazze della sua stessa età, e quando anche gli altri clienti si erano accorti della sua presenza per qualche istante nel locale era sceso un silenzio tombale, cosicché tutti erano riusciti ad udire nettamente la sua domanda ed ora attendevano con lei la risposta del leprecauno.
“Questa circolare! Puah!” sputacchiò schifato sul pezzo di carta che teneva ancora tra le mani. “Qui c’è scritto che il popolo dei Leprecauni si trova alla posizione numero due nella lista delle creature in via d’estinzione, secondo solo ai draghi di palude. Fesserie, io dico!” un’arteria gli pulsava ad intermittenza sul collo seguendo il ritmo del suo respiro rabbioso. “I Leprecauni sono uno dei popoli più prolifici che esistano!” alzò il tono di voce. “Scriverò immediatamente una vibrante lettera di protesta al Distretto e se necessario mi rivolgerò di persona al Consulente per la Difesa delle Creature Calunniate! Staremo a vedere se non porgeranno le loro scuse a tutti i Leprecauni che ancora respirano!”
“Sennò che fai a quelli del Distretto? Li minacci con il tuo spaventoso pungiglione? Ma che paura!” lo beffeggiò un ragazzino, acclamato da uno stuolo di compagni che scoppiarono a ridere per la sua battuta. Doveva essere poco più grande di Lily. Lunghi capelli biondi sulle spalle, abito dal taglio elegante cucito su misura e appena uscito dalla sartoria di Madama McClan, guanti di seta bianchi ad indicare un ragazzo di una casata di Purosangue, che di certo non era abituato a sporcarsi le mani. Gli altri ragazzini lo osservavano estasiati ed incantati come se fosse un mito dal quale trarre esempio, ma a Lily Potter era risultato istantaneamente antipatico.
Lily rammentò il monito del Preside Animum su quanto fosse permaloso il Signor Pongi quando si toccava un argomento così delicato per lui come l’aspetto fisico e pensò, con un brivido di pura soddisfazione, che quel ragazzino spocchioso l’avrebbe di certo pagata per la sua sfacciataggine.
Infatti, in men che non si dica, lo stesso corteo di ragazzini che fino ad un attimo prima lo stava adulando, ora lo additava con mormorii impressionati e gridolini di sconcerto. Stavano tutti osservando con orrore il pungiglione che gli spuntava a mo’ di coda dalle balze del suo nuovo vestito firmato.
Il Signor Pongi, gustando appieno il dolce sapore della vendetta, attraversò con fierezza la locanda diretto all’uscita, seguito da Lily che non riuscì a trattenere una risatina divertita, e dalle imprecazioni del ragazzo che non si addicevano per nulla ad una bocca nobile.
“Quando lo verrà a sapere mio padre, passerà dei guai. Lei non sa cosa significa mettersi contro un Malfoy!”
 

***

 
Il Serraglio Stregato era una delle poche botteghe rimaste aperte anche durante il periodo di terrore diffusosi dopo il ritorno di Lord Voldemort.
Oltre a vendere animali, accessori vari per la loro cura e mangimi, i nuovi proprietari, Rolf Scamandro e sua moglie Luna Lovegood, offrivano anche consulenze in materia di allevamento e di addestramento delle creature magiche.
L’interno era molto angusto, di certo non era il posto ideale per chi soffriva di claustrofobia. Questo fu il primo pensiero di Lily non appena ebbe messo piede nel negozio.
Lo spazio per i clienti era ristretto e limitato, ogni angolo del locale era occupato da gabbie, teche di vetro, voliere e scatole di ogni dimensione.
Il saluto di benvenuto che Rolf Scamandro rivolse alla ragazzina ed a Sir. Pongi venne quasi soffocato dai fischi dei corvi e dei merli rinchiusi nelle gabbie che pendevano dalle travi del soffitto, dai gracidii dei rospi viola nella teca di fianco al bancone e dai miagolii insistenti di una cucciolata di kneazle.
“Posso esserle utile, Signorina Potter?”
“Vorrei dare un’occhiata, sto cercando un animale da portare ad Hogwarts per il mio primo anno”
Il suo sguardo meravigliato cadde su un coniglio bianco che continuava a trasformarsi in un cappello a cilindro e poi di nuovo in coniglio, accompagnando ogni metamorfosi con uno schiocco secco.
“Quello è un ConiglioMagus, è in grado di trasformarsi a suo piacimento… proprio come un animagus!” esclamò fiero il Signor Scamandro. “E’ una razza molto rara e pensa che questo esemplare ha più di cinquant’anni!”
“Amico mio, hai ancora delle uova di Jobberknoll?” sulla soglia si era appena stagliato un uomo gigantesco. Aveva il viso quasi nascosto da lunghi capelli ispidi ed ingrigiti e da una folta barba incolta, che lo rendevano simile ad un selvaggio nell’aspetto. Si era flesso faticosamente sulle ginocchia ed aveva infilato solo la testa all’interno del negozio, dato che la sua notevole stazza fisica e l’evidente angustia della stanza non gli permettevano di entrare agevolmente.
“Hagrid, vecchio mio, dovrei averne ancora un paio nel retro. Vado a controllare” Rolf si allontanò e sparì dietro una porticina di legno.
Il gigante fece vagare lo sguardo all’interno ed incontrò quello limpido e vivace di Lily.
“Lily Potter!” esclamò con voce commossa. “Ma guardati come sei cresciuta! Mi ricordo di te che eri solo una bimbetta quando tuo padre ti portò da me il giorno che la povera Ginny…” trattenne un singhiozzo di dispiacere.
“Tu conosci mio padre?”
“Ma certo! Grande uomo e grande amico Harry Potter!”
Lily intanto stava osservando con rapimento una teca di snasi, animaletti molto simili a delle talpe, con una spessa pelliccia nera ed un muso lungo e pronunciato. Alcuni in particolar modo stavano cercando il modo di rompere il vetro che li circondava, probabilmente per evadere dalla gabbia.
“Oh, te li sconsilio propio quelli! Ad Hogwarts farebbero solo disastri. A loro piace rompere e distruggere tutto” fece Hagrid, scuotendo il testone.
Rolf Scamandro fece ritorno dal retro con una busta di carta in mano che consegnò prontamente ad Hagrid, dal quale ricevette in cambio alcune banconote.
“Ti serve altro, vecchio mio?”
Hagrid sospirò, triste. “Thor è morto” spiegò in tono sconsolato. “Era tanto vecchio. È sempre stato un bravo cagnolone, anche se aveva paura perfino della sua ombra. Vorrei tanto un altro cucciolo”
“Al momento non ho cuccioli di cane in negozio, ma se provi a tornare tra qualche giorno mi dovrebbero arrivare dei nuovi esemplari”
“Va bene. Arrivederci, piccola Potter. Ci rivediamo ad Hogwarts” Hagrid salutò Lily con un cenno della sua manona.
“Arrivederci, Signor Hagrid”la ragazzina non fece nemmeno in tempo a voltarsi che il gigante era già sparito dalla sua vista, smaterializzato in un battibaleno.
“Allora ha trovato qualcosa di interessante, signorina Potter?” le domandò Rolf Scamandro aggirando il bancone ed avvicinandosi.
“Sono molto indecisa. Ci sono un sacco di animali strani e a me piacciono tutti” sbuffò, combattuta su quale esemplare scegliere.
“Bene, ha già dato un’occhiata al reparto dei gufi?”
Rolf le indicò la zona più remota del negozio. Al riparo di tendaggi scuri e lontane a qualsiasi fonte di luce, erano ammassate una discreta quantità di voliere stipate di uccelli notturni delle razze più differenti: allocchi, gufi reali, civette delle nevi e barbagianni comuni.
“Ho fatto scorta di Radigorde in quel nuovo negozio di Ortofrutta per Infusi e Pozioni” esclamò trillante la moglie di Rolf, entrando a piccoli saltelli eccitati. Portava un ridicolo copricapo a punta, interamente rivestito di rapanelli arancioni, e una collana di tappi di burrobirra. In mano reggeva una cassetta di legno colma di bulbi verdi simili a cipolle, che prese subito a seminare alla rinfusa su tutto il pavimento del negozio e su alcuni spazi vuoti sulle mensole.
“A che servono?” domandò Lily, incuriosita dalla stravaganza di quella signora.
Gli occhi grandi e sporgenti di Luna, che le avevano sempre conferito fin da ragazzina un’aria di perenne sorpresa, si fissarono su Lily. Quest’ultima, però, non si stupì di quel suo sguardo, dal momento che ormai chiunque incontrasse sembrava guardarla in quel modo. Probabilmente la maggior parte delle persone era influenzata dalla nomea che gravitava da sempre attorno al cognome Potter, oppure di primo acchito pensavano di avere a che fare con il fantasma di Ginny Weasley, data la sorprendente somiglianza di Lily con la madre.
“Oh, abbiamo un’invasione di Plimpi Ghiottoni in negozio. Le Radigorde servono ad allontanarli”
“Luna, tesoro, non erano Nargilli fino a ieri?” fece il marito, confuso e divertito allo stesso tempo. Ormai era abituato alle stranezze della moglie e si può dire, anzi, che l’avesse sposata proprio per il suo carattere particolare e mai noioso.
“Si… ma poi questa mattina ho trovato sul retro delle briciole di Zuccotti di Zucca. Solo un Plimpo Ghiottone può averle lasciate!” sentenziò con sicurezza.
Rolf Scamandro si avvicinò a Lily e a Sir. Pongi. “Shh, in realtà sono stato io! Li devo magiare di nascosto perché lei non vuole. Dice che attirano i Ragnospori” e scrollò le spalle, come per arrendersi alle idee folli della donna che aveva sposato.
Lily non poté fare a meno di pensare a quanto fosse buffa quella donna con tutte le sue invenzioni fantasiose e Sir. Pongi nascose un risolino sotto i baffi.
“Ecco fatto, i Plimpi non dovrebbero più darci fastidio ora!” Luna si pulì le mani in un vecchio grembiule appeso accanto alla porta d’ingresso e si guardò attorno soddisfatta. La bottega, a dire il vero, appariva ancora più caotica e confusionaria di prima con tutti quei bulbi verdi disseminati ovunque.
“Lily Potter!” esclamò di punto in bianco. Come se fino ad un attimo prima fosse stata troppo impegnata nella sua occupazione di disinfestazione per accorgersi di chi aveva di fronte. “Mio marito ti ha già servito?”
“Si, mi stava aiutando a scegliere…”
“Le volevo mostrare un paio di gufi…” intervenne Rolf.
“Gufi? Ah, no no no! Ho io qualcosa che potrebbe andare di certo meglio… Aspettatemi…” Luna si fiondò all’angolo opposto del reparto degli uccelli notturni e ne tornò qualche secondo più tardi con una cesta tra le mani.
Straripava di Puffole Pigmee. Piccole palle pelose di varie sfumature tra il rosa ed il viola. Stavano tutte dormendo, ogni tanto qualcuna si muoveva e si agitava nel sonno emettendo dei respiri profondi.
“Che carine! Cosa sono?” Lily eccitata le avrebbe volute accarezzare tutte quante.
“Sono Puffole Pigmee, animali dolcissimi che cantano a Natale” le spiegò Luna, appoggiando la cesta su un tavolino libero. “Ne vuoi una?”
Lily fece un cenno affermativo con il capo, troppo intenta ad ammirarle per parlare.
“Benissimo. Però non sarai tu a dover scegliere, sarà la Puffola a scegliere te. Un po’ come le bacchette, no? Non è il mago che sceglie la bacchetta, ma il contrario” continuò Luna.
“E quindi cosa devo fare?”
“Devi solo presentarti e al suono della tua voce una di loro si sveglierà e sarà la Puffola che ti avrà scelto”
“D’accordo!”
Lily si avvicinò alla cesta.
“Ciao a tutte! Io mi chiamo Lily Potter e vorrei tanto che una di voi mi scegliesse e venisse con me ad Hogwarts!”
Una delle Puffole si mosse rotolando ed aprì due occhioni neri nascosti da un folto ciuffo di pelo fucsia.
“Forte!” esultò Lily.
Rolf Scamandro osservava la scena con immenso stupore, come se avesse appena assistito ad un evento rarissimo.
“Rolf, caro, che c’è da essere così sconvolti?” gli domandò la moglie sorridente.
“Ma quello non è…”
“Si, è Arnold! Sapevo che avrebbe riconosciuto Lily, d’altronde è tale e quale a sua madre!”
 

***

 
Quando avevano lasciato il Serraglio, ultima tappa delle compere scolastiche, il cielo si era scurito e le nuvole avevano iniziato a riversare una pioggerellina fitta e insistente.
Ombrelli e cappucci stavano spuntando come funghi in ogni angolo e tutte le locande, i pub e la gelateria stavano trasportando all’interno i tavolini e le sedie per fare posto alla baraonda di avventori che, sorpresi dalla pioggia, cercavano riparo.  
Le goccioline sottili creavano anelli concentrici nelle pozzanghere che si erano formate nelle vie lastricate di Diagon Alley e Lily si divertiva a rimirare il suo riflesso sfocato in quegli specchi d’acqua piovana, per poi distruggerlo con un movimento svelto del piede.
L’acqua scivolava in rivoli veloci appannando i vetri dello Speziale, rendendo quasi impossibile sbirciare all’interno, e tamburellava con ticchettii pesanti sul tendone che copriva la porta d’ingresso.
“Sangue di Salamandra! Venti zinchetti al litro! Spine di Pesce Scorpione! Dodici Zinchetti all’etto!” gridava un procacciatore di clienti sull’uscio per sovrastare il rumore della pioggia.
Sir. Pongi sospinse Lily all’interno, nell’attesa che l’acquazzone diminuisse d’intensità.
Questa volta la giovane Potter si ritrovò in una stanza decisamente larga e profonda. Sfortunatamente, però, vi regnava una puzza fastidiosa di uova marce e cavoli putridi e sebbene lo spazio non mancasse, si doveva comunque fare attenzione a dove si mettevano i piedi per evitare di incappare in qualche macchia di liquido viscido o in qualche cartaccia viscosa.
Il leprecauno scrollò la sua criniera fulva e una cascata di goccioline bagnarono la moquette bordeaux, peraltro già impregnata delle orme umide e infangate di altri clienti.
Lily oltrepassò una fila di barili semirovesciati e di vasi contenenti spezie ed essenze dai profumi esotici e si fermò ad osservare con stupore alcune boccette dal contenuto colorato e una collezione di piume che tappezzava la parete nord della bottega.
Poco più avanti, attorniato da una ristretta cerchia di intenditori, il Professor Lumacorno stava presentando quella che, a suo “modesto” parere, si sarebbe rivelata la scoperta del secolo.
“La Pozione Rivitalizzante, cari miei, non è da confondere con la Pozione Rigeneratrice, meglio conosciuta come Distillato della Morte Vivente” stava annunciando il Professor Lumacorno sgranocchiando un’immancabile fetta di ananas candito, sprofondato comodamente in una poltrona in pelle. “Quest’ultima ha potere di guarigione nel risvegliare una persona da un sonno indotto magicamente. Ma, cambiando sensibilmente le dosi degli ingredienti, con precisione millesimale, si potrebbero ottenere effetti ancora più eclatanti” diede un altro morso alla frutta candita e fece una piccola pausa ad effetto per creare suspense negli ascoltatori. Si lisciò i baffoni bianchi e le pieghe del mantello che si arricciava sul pancione prominente.
“Quello di cui vi sto parlando, amici maghi ed amiche streghe, è una potentissima pozione in grado di far ritornare le persone da stati vegetativi molto gravi, comparabili alla morte, se non di resuscitare direttamente i cadaveri! La mia per ora è solo pura teoria, ma sono certo che con una buona pratica ed una spietata serie di esperimenti potrò presto farla divenire realtà”
Dapprima calò un silenzio tombale su tutto il pubblico, poi si udirono mormorii di sorpresa intervallati da critiche scettiche. C’era chi sosteneva che fosse un’impresa utopica, una fantasia di un vecchio Serpeverde ancora troppo attaccato all’ambizione ed al profitto personale e chi pensava che sarebbe stata una scoperta rivoluzionaria che avrebbe completamente cambiato il modo di fare pozioni; altri che con sconcerto la ritenevano una ricerca pericolosa e letale se fosse caduta nelle mani sbagliate. E forse questi ultimi non erano poi così lontani dalla verità.
Di certo, c’era anche qualcuno, nascosto nell’ombra, pronto ad utilizzare quell’innovazione per scopi non proprio benevoli. 
   
 
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