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Autore: MartaDreamer    12/04/2012    1 recensioni
Che succederebbe se passassero gli anni?
Pensateci, perché la vera bellezza si nasconde all'interno dell'anima di una persona.
Questa dannata melodia mi sta succhiando l’anima,
vorrei per sempre vivere in questa vita fatta di cose dannate.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che gli occhi non vedono

QUELLO CHE GLI OCCHI NON VEDONO.

 

 Vorrei parlarti di un amore, un amore un po’ strampalato per noi pazzi sognatori.
Vorrei parlarti di un amore, un amore che di fine non ne ha.
Vorrei parlarti di un amore, un amore un po’ strano sorella, 
stringi la mia mano e ascolta le parole di chi,
ora, scrive con l’anima tra le dita.

Dita che parlano, mani frenetiche che vogliono urlare al mondo il mielato sussurro dei pensieri più nascosti. L'intensità di uno sguardo, la luce di un viso, il tuo bellissimo sorriso.
Ammira il volo delle farfalle sorella, quelle che ora regalano un dolce tepore al nostro stomaco.

Vorrei parlarti di un amore, un amore che va ben oltre due labbra che combaciano.
Vorrei parlarti di un amore, un amore un po' strano in questa terra di stranieri.
Vorrei parlarti di un amore, un amore che vive invece di emozioni.
Vorrei parlarti di un amore, un amore da cui è difficile scappare.

Chi vorrebbe far uscire dalla sua vita un pezzo di felicità? 
Chi non vorrebbe esser cullato dalla dolce sinfonia di milioni di cuori che ne formano uno?
Emozioni che non si spiegano, 
emozioni che se toccano l’anima giusta vi entrano e la sfregano dentro.
Urli liberatori, 
urli in questa stanza vuota piena di essi, mani che percepiscono il freddo metallo di una triad.
Tocchi delicati che sfiorano le corde di una chitarra e quelle del tuo cuore, 
al di là dell’eterna primavera che avviluppa la loro appariscenza.



Pelle rovente, 
sguardi invadenti,
è questa
la vita
degli animi incoscienti.

Carezze indiscrete, 
voglie bramose,
è questa 
la sorte 
degli animi freddi.

Passioni assetate,
mani che stringono,
ma il tratto di orizzonte 
è ancora 
indistinto.


Cadono i petali, 
appassiscono i fiori,
è tempo 
che la giovinezza
si consumi nei luoghi.


 

 

 

 

 

1995, autostrada di New Jersey. 9.00 p.m.

Piove forte.
Osservo le goccioline creare disegni irregolari sul finestrino della macchina del mio papà,
la pioggia mi mette sempre tristezza ed ho paura, perché dopo arrivano sempre i
fulmini.
Preferisco di gran lunga il sole perché quando è bel tempo
la mamma mi porta spesso a mangiare un gelato.
Mi raccomanda sempre di non esagerare, altrimenti mi viene male al pancino.
Voglio tanto bene alla mia mamma e anche al mio papà.
Quando mi chiedono a chi voglia più bene non so cosa dire,
rimango in silenzio e rispondo loro che non lo so.
Mi hanno regalato la tartarughina che ora stringo nelle manine,
l’ho chiamata Francis ed è la mia migliore amica.
“Jessica, amore”
“Si, mamma?”
“Siamo quasi arrivati”
Sbuffo.
“Non voglio andare a casa dei vostri amici, sono antipatici”
Incrocio le braccia e metto il broncio, cominciando ad osservare fuori.
Ride insieme al mio papà che mi guarda dallo specchietto della macchina.
“Cucciola, ti prometto che domani andiamo al Luna Park, ma stasera fai la brava.”
“Va bene, mamma! Ma voglio lo zucchero filato rosa!”
Dico alzando le braccine, come sono felice!
Ridono di nuovo scambiandosi un bacio pieno di amore, ma subito dopo la macchina ha
uno scossone.
“M-mamma?”
“Amore, amore della mamma!”
Un altro scossone, perché la macchina non smette di girare? Comincio a piangere, mamma ho paura, ho tanta paura. Che succede, papà?
Un forte stridio, delle urla, le urla dei miei genitori.
E poi il buio.





1998, spiaggia di Los Angeles. 5.30 p.m.

Pum pum.
Pum pum.
Pum pum.
Dove sono?
Mamma? Papà?
Sento una voce, una bellissima voce.
Muovo le mie gambine ricoperte da una vestina di seta,
i morbidi boccoli biondi incorniciano
le guance  velate di un rosso pallido.
Pum pum.
Pum pum.
Pum pum.
Questa melodia, questo contorcersi di emozioni mi stanno rubando battiti di cuore, eppure non apro gli occhietti. Preferisco godermi il momento, queste note che creano un abbraccio perfetto sono molto meglio degli urli dei miei genitori e dei piatti che vanno a frantumarsi sul pavimento. Non ricordo quando mi sono addormentata.
“A simple fear to wash you away.
An open mind canceled it today”
Non fermarti.
“A silent song that’s in your words.
A different taste that’s in your mind”
Melodia, pura melodia.
Emozione, pura emozione.
Chi sei? Da dove provieni? Sei un angelo forse, mamma mi parla sempre degli angeli.
Mi racconta sempre che papà è un angelo a cui hanno spezzato le ali, ma sai una cosa?
Quando me lo dice non mi guarda negli occhi, e se c’è una cosa che la mia mammina mi ha insegnato
è che una persona mente quando abbassa lo sguardo.
Una folata di vento dolce e profumata
accarezza i miei capelli ed aprendo gli occhi un sorriso prende vita sul mio viso.
La spiaggia di Los Angeles sembra quasi infinita,
la sabbia tiepida sfiora le parti di me che non sono coperte dalla vestina.
Alzo il busto e porto le mani al cielo, dietro la testa.

Il cielo.
Contenitore di sogni e promesse mai mantenute.
Distesa azzurra e mistica del mondo, dell’universo.
Regno dei disincantati che accoglie la Luna, il Sole, le stelle.

Pum pum.
Pum pum.
Pum pum.
Questa dannata melodia mi sta succhiando l’anima,
vorrei per sempre vivere in questa vita fatta di cose dannate.
“Marta? Marta?”
Un’altra voce, più lontana e quasi ultraterrena sta urlando il mio nome.
Non l’ascolto, non voglio andarmene.
Preferisco rimanere qui ad ascoltare il mio angelo custode.
Preferisco asciugare le mie lacrime riempendo l’anima di lui e non ascoltando
i miei genitori litigare tra di loro, sputare i loro pensieri più infidi e cattivi tra
le urla dei loro pensieri repressi nella notte.
Sono scappata di nuovo, questa volta non la passerò liscia, ma ne vale la pena.
Volgo lo sguardo al mare.
Solo ora mi accorgo di quanto sia bello, questa canzone oscura la bellezza della natura del mondo, illuminando il mio cuore, facendo capolino come l’arcobaleno dopo la tempesta.
Faccio forza alzandomi sulle gambine e mi avvicino alla battigia, bagnandomi i piedini.
“This is the life on mars.”
Questa è la vita su Marte.
Pum pum.
Pum pum.
Pum pum.
Se dovessi spiegare l’infinito di questa frase dovrei prenderla e allargarne le lettere.
Se dovessi spiegare l’effetto che mi sta provocando dovrei strapparvi il cuore, riempirlo d’amore.
Non so cosa mi stia succedendo, sembra quasi che una distesa di polvere rossa stia prendendo il sopravvento
sul paesaggio marittimo.
Una volta papà mi raccontò di Marte.
 È l’unico ricordo bello che ho di lui.
Comincio a camminare, il cuore detta la direzione mentre mi spoglio di ogni mia angustia, di ogni ferita incisa dalla delusione.
Decido di tornare indietro ma…
...


Il cuore si è fermato.
Quei capelli scuri e lunghi, illuminati dal caleidoscopio di colori che gli regala il sole al tramonto.
La curva perfetta tra la fronte e il nasino all’insù, che lascia spazio a due labbra sottili e semichiuse.
La chitarra stretta al petto nudo, il sorriso che mi sta rivolgendo.
Quanto vorrei reincarnarmi in quel sorriso, meraviglia del mondo.

Perché il tuo sorriso  si pianta nei meandri del cuore, nel profondo della schiena.

Un sorriso che non è un sorriso, ma un sorriso soltanto,

prende continuamente forma nei volti degli sconosciuti.

Eppure solo il tuo mi rende felice, che sorridi anche nelle iridi innocenti.

“Allora ti sei svegliata, finalmente! Pensavo che non volessi più aprire gli occhi”
Afferma con un risolino, guardandomi negli occhi.
Comincio ad osservarlo nelle sue gemme preziose,
negli zaffiri che hanno preso il posto delle iridi.
Non gli rispondo, non ho niente da dire.


Anzi, ci sarebbe una cosa in effetti.
Mi siedo accanto a lui, cingendogli un braccio con le mie piccoline.
“Grazie, signore”
Ride, ancora più forte.
“Signore?”
Rido anche io mostrandogli la linguaccia, ma dopo qualche secondo la sua espressione si indurisce
e i suoi occhi diventano più freddi del ghiaccio.
“Stavi piangendo”.
Non è una domanda, ma un’affermazione.
Rimaniamo alcuni minuti nella totale quiete,
il cantico dei gabbiani che riempie il silenzio.
“Sai”
Insinua.
“C’è posto”
“Posto? Dove?”
Lo guardo con aria interrogativa mentre con un pollice mi accarezza la guancia.
“Su Marte”

Sorride, offrendomi la mano. L’afferro di rimando.


Perché il tuo sorriso  si pianta nei meandri del cuore, nel profondo della schiena.

Un sorriso che non è un sorriso, ma un sorriso soltanto,

prende continuamente forma nei volti degli sconosciuti.

Eppure solo il tuo mi rende felice, che sorridi anche nelle iridi innocenti.




“Marta? Marta? Svegliati!”









Molti anni dopo, Los Angeles.  7.30 a.m.

“Marta? ti prego svegliati, sono le 7 e mezza!” – tutto quello che ricevette fu un cuscino che la colpì in pieno petto e qualche minaccia intonata da una voce impastata dal sonno.
Jessica si avvicinò alla finestra e con un sorrisetto malizioso stampato sul viso spalancò con fin troppa foga le ante bianche, affinché i caldi raggi del sole illuminassero per bene la stanza dell’amica. La luce creava un magnifico caleidoscopio di colori sui capelli miele di Marta, intenta a grugnire e a coprirsi gli occhi castani per l’improvviso chiarore che le creava un fastidioso bruciore alle iridi ancora assonate, alcune lacrime incastrate tra le ciglia per i ricordi che a volte affioravano attraverso i sogni.
“Hai due secondi per alzarti…1…” - nemmeno il tempo di terminare la conta che un mormorato ronfare si diffuse per tutta la camera, incrementando il nervosismo della giovane che, presa da uno dei suoi soliti attacchi di irritabilità, tolse le coperte di dosso alla dormigliona che non si accorse nemmeno del gesto della ragazza. Lei a sua volta si strinse nelle spalle continuando a russare e si voltò dando le spalle alla coetanea. “Ah, quindi dovrò riuscirci con le cattive maniere”- cominciò a frugare freneticamente nella borsa, un insieme disordinato di cianfrusaglie varie che ogni volta si prometteva di sistemare, e tra uno sbuffo e l’altro ne fece uscire un Ipod rigorosamente di ultima generazione. Si assicurò indossando le cuffiette di mettere la canzone giusta, e completata l’operazione  le infilò con non poca noncuranza  all’interno delle orecchie di Marta, avvicinandosi cautamente al letto per non inciampare in qualcosa.
Alzò al massimo il volume, tanto da poter sentire le note di Attack e la voce di Jared risuonare nell’aria.

“3…2…1..” – “AHIA”. Gli scream funzionavano sempre. Non poté trattenere una risata sentendo il tonfo dell’amica caduta dal letto. Si guardava attorno confusa e frastornata, completamente intontita dal sonno. Si accorse di Jessica piegata in due per il ridere e le lanciò un’occhiataccia assassina, puntandole un dito contro. “TU” – insinuò . “Ma un modo decente per svegliarmi NO?” – Andò incontro l’amica e cominciò a farle il solletico, conscia della sensibilità di Jess. La osservò ridere a crepapelle mentre si faceva rossa in viso per l’aria mancante, decise allora di staccarsi sedendosi di nuovo sul letto con un sorrisetto beffardo stampato in volto, portando l’altra a braccetto con sé.
“No, ti prego! Non riaddormentarti, devi andare a lavoro cretina” -
Disse, rialzandosi da terra e riacquistando un colorito normale.
Marta sbadigliò senza nemmeno mettersi la mano davanti alla bocca, si passò una mano nei capelli già abbastanza aggrovigliati.
La finezza fatta persona.

“Lo so, lo so. Che palle, non mi va di star ad ascoltare il capo-cameriere! Al posto della voce ha qualcosa che somiglia di più allo starnazzare di un’oca e le sue storielle sulla propria giovinezza hanno per me lo stesso interesse che provoca un comodino dell’ Ikea” - affermò, alzandosi e portando gli occhi al cielo. “Ti prego Marta, non ricominciare!– mormorò, ultimando la frase con una smorfia. “Dai, dopo andiamo a mangiarci un bel gelato” – esclamò con un sorriso. Non ricevette risposta, i versi d’approvazione dell’amica lasciavano trasparire la decisione appena presa. “Sei sempre la solita. Basta che vedi qualcosa da mangiare e potresti anche andare in capo al mondo per averla” – si portò una mano sul fianco finché sentì i passi dell’amica dirigersi nel bagno con la bava alla bocca. “Cibo..” – mugugnò, prima di chiudere la porta. 
Erano le 16 quando le due ragazze lasciarono il loro nuovo appartamento di Los Angeles. Jessica indossava un pantalone di lino bianco e una maglietta verde acqua, mentre l’altra un pantaloncino di jeans con una maglietta a mezze maniche azzurra , ai piedi le converse rigorosamente dello stesso colore. Decisero di uscire e di andare nel grande parco giusto per fare due passi. Il sole, che stava raggiungendo la sua vetta più alta prima di mezzogiorno, faceva capolino nel cielo come l’arcobaleno dopo la tempesta. Il dolce vento accarezzava i capelli rossi di Jessica e quelli biondo miele di Marta, rubandone i pensieri per trasportarli in un mondo lontano, familiare, adagiandoli sulla terra rossa di Marte.
Ebbene si, al collo portavano due triad.

Si conoscevano fin dall’asilo e dopo 20 anni,  tra litigi e risate, avevano rafforzato il rapporto che le legava come non mai, riuscendo a creare quel filo indissolubile che univa i loro cuori e quelli di un milione di altre persone. Prima di entrare in quella rete di emozioni che si contorcevano creando una danza meravigliosa, non avevano mai provato l'incredibile sensazione di stringere la mano afferrando l'aria e non sentirsi per niente sole. Alle due piaceva pensare che quell'esile soffio di vento che sentivano tra le dita passasse sui visi degli altri Echelon, che quell'incredibile sensazione potevano provarla solo loro.
Ed era così.
I mars avevano salvato le loro vite, avevano dato loro una marcia in più per la realizzazione dei loro sogni. Avevano sempre visto la vita come un estenuante pista da corsa. Vi erano gli avversari da combattere, gli ostacoli da superare e quella sottile linea d’orizzonte che simboleggiava il traguardo dei loro sogni. Peccato che quest’ultima diventava sempre più lontana, era tutto un circolo vizioso, una lotta continua e complicata; ma loro erano sempre li, con il sorriso dipinto sul volto anche nei momenti più bui della loro vita.
Chi erano gli altri per dire stop ai loro sogni?
Chi erano, se non persone ipocrite che non vedevano il mondo come lo facevano loro? 

Avevano raggiunto Marte, Marte aveva aperto loro i cancelli.
Eppure, nonostante tutto l’amore che provavano per loro,
non avevano mai avuto la fortuna di incontrare i loro idoli, se idoli si potevano chiamare: la loro famiglia.
Solo Marta, tanti anni fa, aveva potuto provare la sensazione di un battito rubato conoscendo un angelo proveniente da Marte.
Solo una volta aveva avuto la possibilità di abbracciarlo, di sentire il suo profumo e di ascoltare la sua voce dal vivo.
Solo una volta lo aveva incontrato, e quella volta era bastata per farle capire che ormai non aveva più scampo.
Scampo dalla sua voce.
Dalla sua anima.
Dal suo cuore.
Da dolce e piccola bambina che era, mentre era in vacanza a Los Angeles, lo aveva stretto in un abbraccio.
Da allora il suo sogno più grande era quello di rincontrarlo, poterlo vedere in compagnia di Shannon e Tomo.
Ma era passato troppo tempo.

Ed ora eccole qui, a Los Angeles, giovani, belle e desiderose di vivere la vita al meglio.
Si stesero sull’erba verde e soffice , le fronde degli alberi le riparavano dal sole pomeridiano.
Marta cominciò ad osservare la volta celeste, era sempre stato il suo colore preferito.
Alzò le braccia in alto come quel pomeriggio del 1998 e le portò dietro la testa.
Sospirò, un sospiro di rimpianto, di tristezza.
Una lacrima scese dal viso perdendosi nell’infinito azzurro.
In quella lacrima vi erano Shannon, Tomo, Jared.
Vi era Marte.
Casa.
Jessica in quel momento le accarezzò una guancia con il pollice, come fece lui.
“Stai piangendo” - disse, sentendole la pelle umida. Anche questa non era una domanda.
“E’ troppo tardi Jess! Da poco ci siamo trasferite a Los Angeles ed è passato troppo tempo dalla loro ultima…” – venne interrotta dall’amica che rotolò verso di lei e la strinse in un abbraccio.
“Mai perdere la speranza, Marta! L’hai sempre detto anche tu” – sorrise cercando di consolarla, ma in cuor suo anche lei stava soffrendo. Dopo essersi ritirati i 30 seconds to mars giravano per il mondo, girava voce che solo pochissime volte tornassero a casa. Le due ragazze non provenivano da famiglie molto benestanti e solo dopo tanti anni avevano finalmente racimolato i soldi necessari per trasferirsi nella città dei loro sogni.
Appena poteva la ragazza dai capelli biondi ritornava alla spiaggia in compagnia della sua sua amica, il suo sguardo vagava da persona a persona, sconosciuti sul cui viso non si formavano dei sorrisi, ma dei sorrisi soltanto. Solo il suo, lo specchio della sua anima, si piantò nei meandri del cuore e nel profondo della schiena. Solo il suo sorriso la rendeva felice, che sorrideva anche nelle iridi innocenti. “Hai ragione…”- sussurrò volgendo gli occhi alla ragazza. “Ti voglio bene, Jess” – “Anche io, Marta. Tantissimo, e lo sai”.

 

Spiaggia di Los Angeles, un anno dopo.

 La sabbia sfiorava i miei piedi nudi,  il rumore delle onde fungeva da balsamo a quella che le persone chiamano malinconia. Avevo la sua foto tra la mano destra e il petto, la stringevo forte tra le mie dita come se volessi donarle vita propria.
Vorrei conoscere il segreto della morte, ma come?  Un gufo dagli occhi notturni non  può svelare il mistero della luce, perché cieco ad essa. In quel momento sentivo il suo spirito che mi abbracciava, mi attanagliava in una morsa fredda. Come il fiume e come il mare, come la notte e le stelle, la vita e la morte sono una cosa sola. La mia anima non aveva più speranza, laddove giaceva al di là si trovava la muta conoscenza di ciò che è oltre la vita.
Cos’è morire, se non stare nudi nel vento e disciogliersi nel sole?
E dare l'ultimo respiro, che cos'è se non liberarlo dal suo flusso inquieto, affinché possa involarsi finalmente e spaziare disancorato alla ricerca della pace eterna? Abbassai la testa, poggiai la mia fronte sulle ginocchia. Non so quante ore fossero trascorse, le lacrime rigavano il mio viso e bruciavano la pelle come acido, come veleno che scorreva nelle vene e riempiva la mia anima di dolore.
Mi alzai, seppur faticosamente, da terra e decisi di avviarmi a casa. Afferrai le mie cose ma…
“Ahi” . “Oddio, mi scusi tanto signore! Non volevo.. Io…”

 

Sconosciuto pov.

Osservai la ragazza dai capelli rossi, si guardava intorno confusa.
“Di nulla, scusi lei. Osservavo il mare e non vedevo dove stessi andando” – risposi gentilmente e con un risolino. Le raccolsi la borsa e feci per dargliela ma lei continuava a guardare fisso in un punto, come se non esistessi. Fu allora che mi accorsi della triad e…del bastone bianco che le era caduto ai piedi.


Quella voce. La sua voce.
“Oh mio dio” – Non ci potevo credere.
Pum pum.
Pum pum.
Pum pum.
Sentivo il cuore battere forte, battere come il suo quel pomeriggio di tantissimi anni fa.
Ce l’ho fatta, Marta. Ce l’abbiamo fatta. Come vorrei che tu fossi qui con me, ora.
Come lo vorrei amica mia. Mi è rimasta solo la tua foto, non la posso vedere
ma la porto sempre con me. Maledetto sia il giorno in cui quell’incidente in macchina da piccola portò via la mia vista, dannato sia quello in cui mi hanno portato via te.
È morta, signorina. Ci dispiace, abbiamo fatto il possibile.
Potevo sentire i suoi occhi scrutarmi, contemplare ogni mia singola lacrima scavasse il mio viso.
Potevo sentire il mio cuore urlare di gioia dopo così tanto tempo.
Potevo sentire il sangue scorrermi nelle vene, sentirmi viva.
“Ma tu…” – annuì intuendo immediatamente la sua domanda.
“Sai, J-Jared” – tentennai a pronunciare il suo nome, a dargli del tu. Ma lo sentivo così…Vicino.
“è frustante, tutto questo. A volte la gente ride di me, mi prende in giro davanti a tutti con gesti che non potrò mai vedere né capire. Le persone sono cattive, sono menefreghiste ma bisogna sempre andare avanti a testa alta e lo dico perché sono così vuote, non sanno quello che ho passato e che sto passando. Ma sai una cosa?” – continuai, non essendo a conoscenza del reale motivo per cui gli stessi dicendo quelle cose, “grazie a lei, grazie a voi… I-io…Mi sono sentita viva. Voi siete v-vita per me, non fa niente se non potevo contemplare tutto ciò che mi circondava, poter constatare coi miei occhi la vostra bellezza, perdermi nelle tue iridi per le quali il cielo prova invidia. Mi bastava poter sentire. Ascoltare voi.” Mi accarezzò la guancia destra con il pollice, rimase in silenzio. Prese le mie mani e persi un battito quando le portò al suo viso.
Sfiorai i suoi capelli, non sapevo di che colore fossero.
Erano morbidi al tatto ed emanavano un buon profumo. Scesi con le dita fino alla fronte, delle piccole rughette d’età segnavano il suo viso. Delineai il suo nasino all’insù, le sue labbra sottili, le braccia e il petto che non tardai ad avvolgere con le mie braccia. Ero a casa, ero su Marte.
Forse vi ero sempre stata. Con il tocco più delicato che potesse esistere mi sfiorò le mani, le stesse
che avevano sfiorato il suo bellissimo viso. 
Mani che avevano stretto un mp3.
Mani gelose, frenetiche, che avevano sempre cercato nelle piccole cose un qualcosa che appartenesse a loro. Ed ora lo avevano trovato.
“Shhh, non piangere piccola mia.” - lo sentii sorridere e darmi un tenero bacio sulla fronte. “La riconosci?” – gli mostrai la foto di Marta, la tenni in aria finché non l’afferrò.

Autore pov.

Eccome se la riconobbe. A Jared venne un sussultò, le immagini di una piccola bambina dai riccioli biondi le riaffiorò nella mente. Era uguale,  bella come in quel tramonto del 1998.
Lo sapeva che era speciale, lo era come la ragazza dai capelli mogano a cui qualcuno aveva tolto la vista, ma aveva donato un grandissimo cuore.
Non chiese cosa fosse successo a Marta, e mentre sentì Tomo e suo fratello chiamarlo da lontano le prese di nuovo la mano, mentre con l’altra si torturava i capelli brizzolati, più grigi che neri.

“Sai”
Insinuò.
“C’è posto”
“Posto? Dove?”
Lo guardò con aria interrogativa mentre con un pollice le accarezzava la guancia.
“Su Marte”

Sorrise offrendole la mano. L’afferrò di rimando.

 

“C’è sempre posto”- disse sorridendo, sperando che la ragazza dai capelli d’oro avesse raccontato la scena alla sua amica.
Jessica sorrise, era felice.

Poteva quasi sentire lo spirito della fanciulla trastullarle intorno, rideva con lei, era felice con lei.
“Marta, è sempre bello come una volta?” – Chiese sussurrando tra se e se. Fu allora che il vento le scosse dolcemente i capelli, che fu quasi certa di aver sentito tra il rumore delle onde un: “è mai importato qualcosa, Jessica?”
  
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