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Autore: shamrock13    12/04/2012    6 recensioni
Questa One-Shot partecipa al contest "L'inizio dalla fine - Malandrini contest", indetto da HPthebest
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Ennesima One-Shot nata da una curiosità di quelle che rimangono in testa una volta chiusi i libri della Rowling: come cavolo hanno fatto i Malandrini a perdersi la Mappa? Quello che avete letto è un tentativo di risposta che ho cercato di dare, spero sia risultato realistico e plausibile.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: George, e, Fred, Weasley, I, Malandrini
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Questa One-Shot partecipa al contest "L'inizio dalla fine - Malandrini contest", indetto da HPthebest
 
 

Passaggio di consegne
C’è sempre qualcuno che non ha buone intenzioni

 
 
Il grosso orologio dell’ingresso batté i due profondi rintocchi che annunciavano l’ora.
 
Non erano gli unici suoni nel corridoio.
 
Diversi ritratti respiravano profondamente o addirittura russavano nelle loro cornici. Un dolce sciabordio proveniva da un quadro raffigurante un tranquillo lago di montagna. Le onde che ne increspavano la superficie erano alte solo qualche centimetro. In un altro grande quadro, in ritardo di qualche minuto, la torre campanaria di una grossa cattedrale, il cui sagrato era solitamente affollato da molte persone, suonò le due nel silenzio notturno. Tutti i fedeli si erano ritirati nelle loro case.
 
Poco più in là un arazzo, sul quale era ricamato il triste epilogo del tentativo di Barnaba il Babbeo di insegnare la danza classica ai Troll, sbuffò pesantemente. “Perché siamo sempre noi due gli imbecilli puntuali agli appuntamenti?” domandò con tono nervoso e recriminatorio.
 
La voce ovviamente non proveniva dall’arazzo ma dallo stretto corridoio che questo nascondeva e, più precisamente da un alto ragazzo moro, decisamente bello, con dei vivaci e penetranti occhi grigi e le spalle larghe. Il mento dello studente del settimo anno era ricoperto da uno strato di barba lasciata volutamente né troppo lunga né troppo corta. Ad una prima occhiata poteva forse sembrare un segno di trasandatezza ma, a ben guardare, era un effetto estremamente curato e voluto.
 
“Tranquillo, Felpato.” La voce serena ed accomodante che gli rispose proveniva da un altro studente, alto quanto lui ma più magro, dal viso affilato e con delle pesanti ombre sotto gli occhi castani. Mentre quello che era stato chiamato Felpato era in piedi nel buio corridoio, appoggiato con una spalla al muro e le braccia conserte, Remus Lupin -conosciuto come Lunastorta solamente da altre tre, anzi quattro persone ora che Lily faceva coppia fissa con James- sedeva sul pavimento in pietra, le gambe allungate davanti a sé. “E’ solo qualche minuto.”
 
“Fidati, non sarà solo qualche minuto.” Lo rimbeccò il primo, allungando una mano verso di lui. “Tanto vale iniziare, che ne dici?”
 
Remus afferrò la mano di Sirius e si lasciò tirare in piedi. “Tanto sanno dove trovarci.” Acconsentì.
 
Quasi all’unisono i due estrassero le bacchette e lanciarono degli incantesimi rivelatori. Certi che il corridoio fosse deserto emersero dal passaggio segreto e presero a camminare avanti e indietro, rasentando una parete spoglia illuminata solo dalle loro bacchette.
 
Quando si fermarono, dal muro in pietra emerse una porta di legno chiaro, senza maniglie ma con una stretta fessura, come quelle per le lettere, a metà altezza. Sirius infilò in quella fessura la bacchetta, che gli fu strappata di mano con un secco rumore di risucchio e lo stesso fece poi Remus. Solo allora la porta si aprì.
 
I due entrarono, recuperarono dal pavimento le rispettive bacchette magiche e avanzarono in una spaziosa stanza affacciata sul parco di Hogwarts ; la luce della luna filtrava da delle enormi finestre. L’ampio caminetto era vuoto: la temperatura di maggio non richiedeva un fuoco.
 
Remus si diresse verso un tavolo circolare attorno al quale erano sistemate quattro sedie in legno imbottite dall’aspetto molto comodo. Il tavolo era ingombro di volumi e pergamene, così come una delle alte librerie che coprivano uno dei due muri privi di finestre. Le altre scaffalature contenevano ogni sorta di oggetti: ampolle piene e vuote, scherzi magici, oggetti preziosi in modo oggettivo ed in modo soggettivo agli occhi di chi frequentava quella stanza.
 
“Sai, mi dispiacerà un sacco lasciare questo posto tra un mese.” Commentò Sirius, dirigendosi ad un piccolo armadio dalle ante in vetro posto accanto al camino. Estrasse dalla vetrinetta una bottiglia e versò due dita di liquido ambrato in altrettanti bicchieri mentre Remus recuperava alcune pergamene fitte di appunti dal tavolo.
 
“Potremmo lasciarne traccia sulla Mappa. C’è così tanto di tutto quello che abbiamo fatto qui dentro…” Rispose Remus, raggiungendolo. Il suo tono era vagamente nostalgico. Lasciò cadere le pergamene su uno dei due divani vicino al camino e prese il bicchiere che l’amico gli porgeva.
 
“Non credo sia il caso, questo posto è solo nostro.” Sirius bevve dal suo bicchiere in un sorso solo, poi si sedette comodamente sul divano. “E in ogni caso prima di poter pensare di lasciare una traccia dovremmo risolvere il problema di questa stanza.” Allungò la mano verso le pergamene e ne prese alcune, scorrendole con lo sguardo.
 
Remus si sedette all’altro capo del divano e fece altrettanto. “Beh, il fatto che sia indisegnabile l’abbiamo in qualche modo risolto, dovremmo solo trovare la variante giusta.”
 
“Non credo funzioni così.” Riflettè Sirius. “Quello che otteniamo finora è una porta. Una porta senza una stanza dietro, che compare sulla mappa di prova solo e soltanto se dentro c’è qualcuno. La stanza in sé non si lascia disegnare. E se non c’è dentro nessuno non compare nulla. Senza contare che questa utilissima e maledettissima stanza non ci lascia nemmeno annotare sulla Mappa come si possa fare per evocarla.” Riepilogò.
 
“Sì, ma l’ingombro della Stanza delle Necessità compare! Le altre stanze del castello si spostano per farle spazio.” intervenne Remus.
 
“Solo se è smodatamente grande e solo,come al solito, se c’è dentro qualcuno. Però…” Sirius si interruppe, aggrottando la fronte. “Forse è questa la debolezza da sfruttare. Se la mappa si accorge delle dimensioni della Stanza delle Necessità allora sa dell’esistenza della stanza stessa. Dobbiamo giocare su quello, come-”
 
“-come l’assedio alla rocca Fantasma!” concluse Remus per lui. “Guerre dei Goblin, 1071!” Si alzò, dirigendosi in fretta verso la libreria. “Grimstod e il suo contingente riuscirono a mappare le caverne dei goblin proprio in quel modo, perché non lo abbiamo mai preso in considerazione?”
 
Anche Sirius si era alzato ora, sembrava capire tutto. “Perché loro se ne accorsero solo quando rovesciarono sulla mappa una boccetta di inchiostro e quello si sparse su tutta la mappa tranne che sulle zone in cui erano presenti i cunicoli dei goblin, perché li avevano resi indisegnabili. Ci abbiamo provato anche noi al quarto anno, quando Rüf ci ha raccontato la storia, solo che-”
 
“Solo che eravamo tutti e quattro fuori dalla stanza e quindi non c’era niente da mostrare sulla mappa!”
 
Sirius lo guardò, fintamente accigliato. “Interrompimi ancora e ti affatturo.” Remus sbuffò, iniziando a sfogliare un grosso volume intitolato Storia della Cartografia Magica. “Tutto quello che abbiamo fatto è stato sporcare la mappa quella volta, ma perché diavolo non l’abbiamo fatto qui dentro? Abbiamo sempre fatto tutto qui dentro! Che idioti!”
 
Remus muoveva la testa a scatti, guardando ora il libro ora alcuni appunti. “Vieni qui, dammi una mano. Cerca-”
 
Il suono improvviso di una bacchetta che veniva sputata dalla porta e rimbalzava sul pavimento fece alzare lo sguardo ad entrambi, che andarono a posarlo su un grosso orologio a muro. Erano le due e mezza.
 
“Beh, lieto che tu ti sia unito a noi…” Sirius lasciò la frase in sospeso fino a che dalla porta non comparve un atro ragazzo. “…James.”
 
James Potter, trafelato ed in disordine, raggiunse i suoi amici in silenzio, alzando le mani come a chiedere scusa. Era più basso dei due ragazzi che lo attendevano ma aveva un fisico asciutto ed atletico che nessuno degli altri possedeva, frutto di sei anni di allenamenti di Quidditch. I suoi capelli erano in disordine, ma non più del solito. Sotto il maglione della divisa scolastica però si vedeva bene che la camicia aveva almeno i primi due o tre bottoni slacciati e la cravatta non era neanche lontanamente annodata come avrebbe dovuto. Un lembo della camicia inoltre pendeva fuori dai pantaloni come una bandiera bianca, chiedendo resa.
 
“Ti sei azzuffato con qualcuno?” Domandò candidamente Remus, fingendosi preoccupato.
 
“Chiunque fosse te le ha suonate per bene, amico.” Continuò Sirius, inarcando un sopracciglio. Con fare canino poi annusò l’aria. “Sì sì, sento adrenalina, sudore, tensione… Dev’essere stata proprio una rissa coi fiocchi.”
 
Anche Remus fiutò in direzione dell’amico. “Oh, hai ragione. E ti dirò di più… L’aggressore non era particolarmente corpulento né dotato di una forza straordinaria.”
 
“Il tuo fiuto è nettamente migliore del mio, collega canino. Quale aroma te l’ha suggerito?” domandò Siruis, come se fosse accademicamente interessato alla discussione. James intanto si lasciò cadere sulla sedia che occupava di solito, apparentemente disinteressato al dialogo tra i due.
 
“Sono indeciso tra quello di lavanda che impregna il suo maglione, decisamente un profumo da donna, e quello di fragola che gli appesta i capelli, decisamente uno shampoo da donna.” Concluse Remus, ghignando.
 
“Ramoso, ti sei fatto mettere sotto da una ragazza?” chiese Sirius, sconvolto, calcando più del dovuto le parole ‘mettere sotto’.
 
“Finitela voi due!” proruppe James, levandosi il maglione e rivelando la camicia che, a parte il bottone centrale, era completamente slacciata, così come la cravatta che gli pendeva sciolta attorno al collo. Si liberò anche di quella e iniziò a riabbottonarsi con cura.
 
“E quello che hai sul collo cosa sarebbe?” intervenne Remus. James si portò la destra alla gola, coprendo la macchia rossa che vi spiccava. Rapido si alzò, diede le spalle ai due e, febbrilmente, cercò di chiudersi la camicia più in fretta che poteva.
 
“Ha tutta l’aria di uno sfogo allergico James!” continuò Sirius, a metà tra il preoccupato e il canzonatorio. “Forse dovremmo portarti da Madama Chips…”
 
“La volete smettere? Imbecilli…” li insultò James. “Lo sapete dov’ero, chiudiamola qui!”
 
“Hai ragione.” Convnne Sirius. “In fondo è solo da quaranta minuti che aspettiamo i tuoi porci comodi.” Remus sghignazzò alla battuta dell’amico.
 
“Sì, sì, va bene.” Concesse James. “Sono in ritardo, scusate tanto.” Aveva finalmente riabbottonato la camicia e si era voltato verso i due. “Come procede?”
 
“Abbastanza bene.” Rispose Remus. “Forse abbiamo trovato un modo per fregarla.” Alludendo alla stanza “Crediamo basti modificare l’incanto-”
 
“Dov’è Peter?” Lo interruppe James.
 
“Di sicuro non è a pomiciare. Non con una ragazza almeno.” Buttò lì Sirius.
 
“La Mappa cosa dice?”
 
“Ce l’ha lui la Mappa.” Disse Remus. “Non era in dormitorio, vero?” Domandò, con un largo sorriso sul viso.
 
James arrossì ancora. “No.”
 
“Maledizione!” imprecò Sirius. “Stupido Codaliscia! Vuoi vedere che quel cretino si è cacciato in un guaio?”
 
“Non offenderlo.” Lo redarguì Remus. “E non è detto che si sia cacciato in un guaio. Era in biblioteca a studiare dopo cena. Si sarà addormentato lì come al solito, non è la prima volta che la Pince non si accorge di lui e lo chiude dentro, no?”
 
“Beh, quindi o è ancora lì oppure sarà per strada e arriverà tra poco. Almeno la strada è corta.” Disse James, facendo spallucce. “Dalla biblioteca deve solo scendere la scala a chiocciola dietro allo scaffale di Lettura dei Tarocchi. Da lì, passare il doppio corridoio Est dei sotterranei, prendere il motacarichi nascosto delle cucine e così può sbucare proprio in mezzo al passaggio di Barnaba il Babbeo.” Proseguì, citando a memoria i passaggi che loro stessi avevano scoperto. “Quindi, vediamo di capire come finire questa dannata Mappa prima dei M.A.G.O., che dite?”
 
Remus era come bloccato, inorridito. “Il doppio corridoio Est?”
 
“Sì.” Disse James.
 
“Quello segreto, che corre parallelo al corridoio dell’ufficio di Gazza?”
 
“Quello.” Confermò James, perplesso. Al contempo Sirius si lascio sfuggire un’imprecazione decisamente volgare e James si voltò verso di lui con aria interrogativa.
 
“Non è più segreto.” Spiegò Remus. “Due Corvonero del terzo anno oggi hanno fatto detonare dei petardi magici davanti alla porta dell’ufficio di Gazza. Petardi ingrossati con un incantesimo Engorgio.”
 
Ora anche James aveva l’aria inorridita. “Dannati bambocci.”
 
“Muoviamoci.” Disse Sirius. “E’ saltata la porta dell’ufficio del Magonò e mezza parete divisoria tra i due corridoi. Quello scemo di Peter si sarà fatto prendere assieme alla Mappa.”
 
Usciti dalla Stanza delle Necessità, che quella sera, come molte altre sere prima di essa, era il loro Covo, senza troppa cautela i tre si fiondarono nel passaggio segreto dietro l’arazzo e, nervosamente, si calarono uno alla volta nello stretto passaggio del montacarichi delle cucine che li portava fino ai sotterranei. Appena misero piede nella parte ancora integra del doppio corridoio Est sentirono chiaramente una voce gracchiante, interrotta da alcuni striduli urli di dolore.
 
“Maledizione!” imprecò Sirius, lanciandosi per primo verso lo squarcio nella parete una decina di metri più avanti. Gli altri due lo seguirono a breve distanza e si fermarono alle sue spalle una volta raggiunta l’apertura, rimanendo in ascolto.
 
“E così il piccolo Peter Minus, senza la protezione dei suoi amici grandi e grossi, se ne va in giro solo soletto in piena notte, con una pergamena che insulta la gente e una bracciata di libri illegalmente sottratti alla biblioteca.” La voce di Argus Gazza era pervasa da una selvaggia eccitazione mentre parlava a Peter tentando di mantenere un tono dolce e delicato.
 
“Li ho presi in prestito regolarmente…” piagnucolò il ragazzo. Ovviamente mentiva.
 
“Non vedo la ricevuta, Minus. Dimmi, dove li stavi portando?” Sentirono i passi di Gazza mentre questo si spostava per l’ufficio ma non poterono vederlo restando nascosti.
 
“In dormitorio, gliel’ho già detto. Mi sono addormentato in biblioteca e-” il rumore di una scudisciata improvvisa, seguita dall’urlo di dolore di Peter fece trasalire i tre ragazzi.
 
“E come avresti fatto ad uscirne? Solo Madama Pince ha le chiavi della biblioteca! Gliele hai sottratte ragazzo?”
 
“N-no, io-” Un’altra scudisciata e un altro urlo di dolore.
 
“Imbecille.” Sussurrò Sirius gelido.
 
“Le balle non è mai stato capace di dirle.” Convenne James. Remus taceva, atterrito. A differenza di James e Sirius, che avevano già subìto quel trattamento, lui non era nemmeno mai stato nell’ufficio di Gazza.
 
“E quella cosa che hai detto…” Il tono di Gazza si era fatto nuovamente dolce e tranquillo. “Com’è che hai detto? ‘Fatto il Misfatto’? Che cos’è? Ha a che fare con Potter e Black?” Sputò quei due nomi come un boccone amarissimo, digrignando i denti. “Ti conviene vuotare il sacco, Minus. Abbiamo tutta la notte.”
 
“No, la prego. Non-” All’ennesima scudisciata Sirius fece per scattare avanti, ma James lo trattenne e lo tirò indietro di qualche metro, aiutato da Remus. I tre si accovacciarono.
 
“Dobbiamo tirarlo fuori da lì, quello tra poco canta.” Ringhiò Sirius.
 
Remus parve riscuotersi. “Non può trattare così gli studenti. Voi… Ha fatto così anche con voi?”
 
“Cosa credevi?” gli chiese James, duro.
 
“Ma voi ci scherzavate sempre su, pensavo fosse…”
 
“Senti, ci preoccuperemo dei diritti dei giovani maghi in un secondo momento se per te va bene.” Sirius stava montando in collera rapidamente. “Ora io vado di là, gli faccio saltare un braccio, o la testa, e voi togliete le catene a Peter.”
 
Remus era allibito. “Non mi pare-”
 
“No, va benone!” Esclamo James. “E possiamo farlo senza farci scoprire! Sirius, devi trasformarti. Un morso a Gazza e poi scappi. Figurati se quello non cerca di prenderti: ‘Non sono ammessi cani all’interno dell’edificio, e le giuro di averne visto uno, professoressa!’” James scimmiottò le parole che Gazza aveva usato con la McGranitt quando una volta, per poco, non aveva scoperto che Sirius era un Animagus. “Io e Remus poi entriamo e lo sleghiamo.”
 
Sirius si concesse solo un cenno d’assenso, poi si trasformò e partì di corsa. James e Remus non fecero in tempo a raggiungere la breccia nel muro che già Gazza urlava di dolore. “Maledetto cagnaccio bastardo!” Imprecò. “Di nuovo tu… Questa volta ti prendo e appendo la tua pellaccia al muro del mio ufficio, vieni qui!”
 
Sentirono i passi delle quattro zampe di Sirius rapidi nel corridoio e quelli di Gazza che lo seguiva zoppicando. Sirius lo aveva azzannato ad un polpaccio e, da quella sera, ogni volta che il tempo si preparava a cambiare Gazza si sarebbe ricordato di quel grosso cane nero.
 
Quando i passi furono ragionevolmente lontani James e Remus entrarono nell’ufficio.
 
Peter dava loro le spalle e aveva le braccia sollevate, tenute sospese dalle catene che pendevano dal soffitto. Il tronco nudo era ricoperto da un velo di sudore e, sulla schiena, spiccavano rossastri i segni delle scudisciate ricevute. Le tre che avevano sentito dal corridoio erano state solo una parte della razione ricevuta dal ragazzo. Uno di quei segni sanguinava e la cintola dei pantaloni di Peter era macchiata di rosso scuro nel punto in cui il sangue era colato.
 
Alohomora!” appena Remus pronunciò l’incantesimo Peter si afflosciò sul pavimento con un gemito.
 
“Tiralo su dannazione, non abbiamo tanto tempo!” Imprecò James, che stava frugando tra le carte della scrivania di Gazza. “Dov’è, dov’è… Dove diavolo è la mappa?”
 
“Ce l’ha lui…” biascicò Peter, mentre Remus cercava di sostenerlo senza premere sulle recenti ferite, non senza sforzo. “L’ha messa in tasca. Mi dispiace, io-”
 
“Lascia perdere, ci pensiamo dopo. Dobbiamo andare.” James, esasperato, afferrò Peter per l’altro braccio e lo guidò  verso l’uscita. Meno di dieci minuti dopo si trovavano di nuovo nella stanza delle necessità e Remus stava applicando dell’unguento curativo sulla schiena di Peter.
 
“Non sapevo del buco nel muro. Quando ci sono passato è scattato un allarme che quel maniaco aveva posizionato nel corridoio, così mi ha preso. Ho fatto appena in tempo a cancellare la mappa. Mi dispiace James, mi dispiace tanto. Non volevo, davvero, è solo che-”
 
“Non fa niente Peter. Non gli hai detto nulla vero?” Peter scosse la testa con decisione.
 
“Bene. Un mese e saremo fuori, non dovrai più preoccuparti per Gazza. Se Sirius non l’ha sbranato ci penserà domani Remus.” Gli disse James, ammiccando. Il prefetto di Grifondoro commentò con un ringhio quell’affermazione.
 
“La prossima volta che suona l’allarme però potresti trasformarti in topo e sgusciare via, non ti pare?” suggerì James, divertito allo sguardo imbarazzato che Peter gli lanciò in risposta. Probabilmente non ci aveva nemmeno pensato.
 
Mezz’ora più tardi Peter dormiva su uno dei divani mentre Remus si stava documentando sulle punizioni corporali come parte integrante dell’istruzione magica, scrivendo un documento da presentare la mattina successiva al preside.
 
Sirius e James, accanto ad una finestra, parlottavano a bassa voce.
 
“E così la Mappa è andata.”
 
“Già. Come metà del polpaccio di Gazza. Com’era?” chiese James.
 
Sirius storse il naso. “So che tecnicamente non si potrebbe definire cannibalismo, però preferirei sorvolare se non ti dispiace. E’ un’esperienza che vorrei dimenticare in fretta.”
 
James ridacchiò, poi guardò fuori. Sirius riprese: “Devo ammettere che il piccolo Codaliscia ha dimostrato un certo fegato. Non avrei mai scommesso un soldo bucato su di lui in un confronto col Magonò.”
 
James annuì serio. “Forse merita un po’ più di fiducia da parte nostra.”
 

***

 
“Il professor Silente mi sentirà stavolta! Eccome se mi sentirà, ciccina… Un intero corridoio imbrattato, due statue orribilmente sfigurate e c’erano solo loro lì! Vedrai, vedrai, riusciremo a farli cacciare oggi e…”
 
L’incessante sproloquio emesso dal vecchio custode con tono zuccherino, rivolto alle orecchie della sua gattaccia spelacchiata, si spense, perdendosi dietro un angolo del corridoio dei sotterranei in cui Gazza aveva allestito il suo puzzolente ufficio, la cui porta era rimasta aperta. Nonostante le sinistre catene che pendevano dal soffitto, i due ragazzi dai capelli rossi che sedevano su due sgabelli al centro della stanza parevano perfettamente a loro agio, quasi si trovassero nel familiare salotto di casa.
 
“Un intero corridoio imbrattato!” disse Fred, con tono risentito.
 
“E due statue orribilmente sfigurate!” gli fece eco George, spalancando gli occhi con aria incredula.
 
“C’è sempre stato del tenero tra quei due, lo sa tutta la scuola.” Proseguì Fred.
 
“Almeno oggi anche loro l’hanno ammesso a sé stessi.” Concluse George, convinto.
 
Quattro piani più sopra, nel corridoio di Incantesimi, le statue di Ermengarda la Chiromante e di Sigfrid il Valoroso, che di solito guardavano i due capi del corridoio stesso dandosi le spalle, erano ora strette in un abbraccio mozzafiato, fronte contro fronte fissandosi negli occhi. Il muro dietro di loro, una volta grigio, era dipinto a colori vivaci e mostrava un prato fiorito sotto ad un cielo azzurro.
 
Sarebbe stato terribilmente romantico se Sigfrid non fosse stato vestito con il tarmato smoking che Gazza usava per le grandi occasioni e se a Ermengarda non fossero state appiccicate delle orecchie e una coda dall’aria decisamente felina.
 
Gazza li aveva, per così dire, scoperti mentre i due gemelli assieme ad un ammirato professor Vitious commentavano l’incantesimo che avevano usato per spostare e cambiare posa alle statue, piuttosto avanzato per degli studenti del secondo anno.
 
Nell’umido ufficio sotterraneo Fred e George si stavano guardando intorno con interesse. Sebbene ci fossero già stati, era la prima volta che si ritrovavano lì da soli. “Troviamo un modo per far fruttare questa incredibile opportunità?” domandò il primo.
 
“Assolutamente Fred.” Rispose il fratello, alzandosi.
 
Senza remore né esitazioni i due inziarono a perquisire l’ufficio, trovando però schedari e cassetti irrimediabilmente chiusi, finché…
 
“George, ci siamo!” La voce di Fred era eccitata: aveva aperto un grosso armadio, pieno zeppo di cassetti e cassettini all’interno. Uno, dalla serratura vecchia e arrugginita, aveva ben presto ceduto agli sforzi del ragazzo che, in un attimo, era stato raggiunto dal fratello.
 
Trattenendo il fiato Fred aprì il vecchio cassetto tarlato mentre George sbirciava da sopra la sua spalla. Ciò che i gemelli videro li deluse tremendamente.
 
Il cassetto conteneva solamente un paio di Caccabombe rinsecchite ormai scadute, due vecchie scatole di Gelatine Tuttigusti +1 contraffatte (qualcuno le faceva ancora girare ad Hogwarts, i gusti che si pescavano da quelle scatole erano tutti orribilmente sgradevoli) e una pergamena ingiallita priva di scritte.
 
“Che fregatura!” esclamò George deluso. Fred, sospirando, fece per allungare una mano verso il contenuto del cassetto ma il fratello lo fermò.
 
“Cosa c’è?” domandò Fred.
 
“Ci vuoi davvero infilare la mano?” George lo guardava con le sopracciglia sollevate. “Non credo che il Magonò abbia stregato i cassetti ma chissà cosa potrebbe esserci in agguato lì dentro…”
 
Fred guardò di nuovo il cassetto con sospetto, poi estrasse la bacchetta. “Forse è meglio non rischiare.” Convenne. Iniziò quindi a rimestare nel cassetto con la bacchetta, spostando gli oggetti che vi erano contenuti per vedere se si fossero persi qualcosa nella loro prima ispezione.
 
Trasalirono entrambi all’improvviso.
 
La pergamena, toccata dalla bacchetta, non era più vuota.
 

I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso sono lieti di incontrare infine qualcuno che non sia il vecchio, inquietante e puzzolente Argus Gazza.
Fred Weasley, è una delizia fare la tua conoscenza.

 
“Acci…” mormorò Fred.
 
Gettando al vento ogni cautela George allungò la mano e afferrò il foglio. Altre parole sostituirono le prime.
 

I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso salutano George Weasley, piccolo delinquente dai capelli rossi.

 
Mentre portavano la pergamena alla luce di una lanterna, incuriositi, i due gemelli videro scomparire l’inchiostro dalla superficie macchiata del foglio. La appoggiarono sulla scrivania di Gazza, chinandosi su di essa.
 
George diede di gomito a Fred. “Faglielo rifare!”
 
Fred lo guardò perplesso. “Rifare cosa? Non so nemmeno come ho fatto!”
 
George estrasse la bacchetta. “Forse…” riflettè, abbassandola sul foglio.
 

Buon sangue non mente. Le vostre bacchette la dicono lunga, siete dei veri Malandrini.
Siamo in errore?

 
Fred e George si guardarono negli occhi, in parte eccitati ed in parte spaventati.
 
Anche Fred estrasse la bacchetta, andandola poi a posare accanto a quella del fratello. “Direi proprio di no!”
 

I signori Lunastorta, Codaliscia, Felpato e Ramoso, stanchi della prigionia, vi domandano aiuto per evadere. In cambio vi sarà donata la chiave suprema per diventare i più grandi fuorilegge che Hogwarts abbia mai conosciuto.
 
Per lo meno da vent’anni a questa parte.

 
Un lampo attraversò gli occhi dei due gemelli mentre leggevano quelle parole. “Affare fatto!” esclamarono all’unisono.
 
La pergamena mutò di nuovo. Il blasone di Hogwarts comparve nella parte alta della pergamena mentre al centro di essa iniziavano a comparire dei disegnini piuttosto rozzi, come se fossero stati tracciati da un bambino.
 
Dapprima si disegnò quello che sembrava un rotolo di pergamena che poi si srotolò, diventando soltanto un rettangolo dai contorni sghembi. Apparve poi, a lato della pergamena, un omino stilizzato che reggeva quella che, senza dubbio alcuno, era una bacchetta magica. Camminò, si fermò davanti al foglio, usò la bacchetta per grattarsi la testa e poi la abbassò, a picchiettare il rettangolino che indicava la pergamena.
 
Sopra la sua testa comparve quello che era, senza ombra di dubbio, un fumetto. Al suo interno si leggevano le parole:
 

Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.

 
L’omino ripetè il gesto. Questa volta nel fumetto Fred e George poterono leggere:
 

Fatto il misfatto.

 
A questo punto la pergamena si svuotò di nuovo, lasciando i due gemelli divertiti e nervosi.
 
“Pronto?” domandò George;  le istruzioni erano abbastanza chiare.
 
“Pronto!” rispose Fred.
 
All’unisono alzarono le bacchette e le abbassarono, toccando la pergamena uno volta soltanto. Entrambi dissero: “Giuriamo solennemente di non avere buone intenzioni!”
 
Con gli occhi sgranati e le bocche spalancate, per la prima volta, i due fratelli Weasley osservarono la Mappa del Malandrino prendere forma davanti a loro. Sarebbero per sempre stati in debito con Mastro Gazza per averli catturati e trascinati nelle segrete quel giorno, lo sapevano entrambi.
 
 
 
 

NOTE DELL’AUTORE
 
Ennesima One-Shot nata da una curiosità di quelle che rimangono in testa una volta chiusi i libri della Rowling: come cavolo hanno fatto i Malandrini a perdersi la Mappa? Quello che avete letto è un tentativo di risposta che ho cercato di dare, spero sia risultato realistico e plausibile.
 
Mi prendo qualche riga per scrivere due parole su come è nata questa storia. Quando l’ho iniziata non avevo mai scritto nulla sui Malandrini ed ero un po’ in difficoltà. In più l’ispirazione mi ha colto non tanto sulla parte dello smarrimento della Mappa ma sul suo ritrovamento da parte dei gemelli Weasley. Il finale dunque è stato scritto per primo.
 
Credo si noti lo stacco netto tra le due parti, soprattutto nel tono in cui sono scritte. La parte dei Weasley è decisamente più leggera e comica, simile all’inizio del racconto sul ‘versante’ Malandrini. La prima parte prende però verso la fine delle tinte un po’ più fosche. Inizialmente non era mia intenzione ma, come spesso mi accade, più che pianificare mi sono limitato a ‘seguire ed osservare’ i personaggi, alle prese con le peculiarità delle loro vite e della Hogwarts del loro tempo.
 
Spero che sia riuscita bene, era un episodio al quale all’inizio non avrei dato un soldo bucato, per citare Sirius, ma che poi mi ha preso un sacco. Mi farebbe piacere sapere che ne pensate.
 
Non smettete di leggere!
 
N.

  
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