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Heart of steel
"And honey, you should know
That I could never go on without you
Honey you are the rock
Upon which I stand"
[Green Eyes – Coldplay]
26 Febbraio, Villa Stark
«Ne
è sicuro, signor Stark?»
«Assolutamente.»
«Glielo chiederò
ancora una volta: ha l'assoluta certezza che funzioni, che sia
perfetto e che non avrà problemi?»
Tony deglutì, fissando
l'intrico di cavi che sporgeva dalla placca di metallo poggiata sulla
scrivania e il micro-reattore ancora inerte accanto ad essa. Aveva
passato l'ultima settimana a costruire la piastra d'aggancio della
protesi, concentrandosi sul punto di giunzione tra il suo braccio e
il metallo; era rimasto sveglio intere nottate per essere certo di
non tralasciare nulla, neanche il più piccolo dettaglio che
potesse
causare difficoltà... era sicuro, dannatamente sicuro che
funzionasse.
Ciononostante non poté reprimere il brivido di paura
che gli percorse la schiena quando rispose:
«Sì.»
Ian annuì, sistemandosi le pieghe dalla giacca:
non si fidava così ciecamente di lui, ma aveva imparato che,
sebbene
avesse un'opinione troppo alta di sé, non avrebbe mai
affermato
nulla in campo tecnico senza esserne sicuro al cento per cento. O
perlomeno convinto.
In quel periodo di progettazione serrata
avevano finito per instaurare un rapporto, se non di fiducia, almeno
di rispetto reciproco: lui dava per buone le sue supposizioni
tecniche e meccaniche e Tony si riponeva completamente nelle mani del
medico per la parte anatomica. Tra Tony che stemperava l'atmosfera
con la sua battuta pronta e il suo incrollabile ottimismo e Ian che
lo teneva a bada con burbera schiettezza e inclemente realismo,
avevano formato un team piuttosto equilibrato, arrivando a risultati
più che notevoli. Ne era prova la meraviglia biotecnologica
dinanzi
ai loro occhi.
Ian trasse un respiro profondo:
«Molto bene.
Ora non ci resta che applicarla e sperare che tutto vada bene. Quando
vuole operarsi?» chiese, aspettandosi già la
risposta.
Tony non
rispose subito, perso nei suoi pensieri, ma quando parlò lo
fece in
un tono assolutamente deciso:
«Domani.»
Ian sbuffò: come
previsto.
«Domani sarà difficile. Le ricordo che ho ancora
una
vita al di fuori di qui. E mille pratiche da sbrigare prima di poter
lasciare il mio posto al General.»
«Allora il prima possibile.»
Tony alzò le spalle a camuffare la sua impazienza.
«Se si sente
pronto io non ho problemi a operarla tra tre giorni, durante il
finesettimana. Così potrò monitorarla nelle ore
immediatamente
successive. Ho passato l'ultimo periodo a ripassare ogni singolo
passo dell'operazione, e poi posso sempre contare su JARVIS. Anche se
degli assistenti in carne ed ossa sarebbero meglio, per un'operazione
così delicata,» aggiunse.
«Non sono solo io a spingere per la
privacy a tutti i costi...» commentò Tony, in tono
lievemente
accusatorio.
«Non mi metta in mezzo alle sue beghe governative.
Io sono un semplice medico.»
Tony scosse la testa, contrariato.
Aveva ricevuto un lapidario specchietto da parte dello SHIELD che gli
raccomandava di mantenere "la massima riservatezza" in quel
frangente delicato, senza poi spiegare come avrebbe dovuto seguire
una direttiva del genere. In realtà si era stupito che non
si
fossero fatti vivi prima. Pepper stessa sembrava sorpresa dal loro
silenzio e gli aveva ribadito di non aver ricevuto ulteriori
informazioni da parte loro, ma aveva l'impressione che lo stesse
volutamente tenendo all'oscuro di qualcosa. O forse erano
semplicemente impegnati a gestire chissà quale minaccia
incombente,
dinanzi alla quale la sua momentanea inattività passava in
secondo
piano.
La voce di Ian lo riscosse dai suoi pensieri
irritati:
«Posso farcela anche da solo, anche se ci metterò
molto più tempo, aumentando i rischi per lei. Deve
però assicurarmi
la disponibilità dei suoi robot: sono bravo, ma io non ho
superpoteri.»
L'occhiataccia di Tony gli bastò per capire quanto il suo
commento
fosse a sproposito e si schiarì la gola prima di continuare:
«Basta
che la signorina Potts si tenga a disposizione in caso di emergenza;
non importa se non è qualificata: le dirò io cosa
fare se sarà
necessario,» spiegò, senza nascondere il suo
disappunto.
«Sarà
felicissima di prendere parte a un'altra operazione chirurgica poco
ortodossa...» commentò Tony, lasciandosi scappare
un sorriso sotto
i baffi. «I robot sono a sua disposizione, ma si assicuri che
distinguano la destra dalla sinistra prima di iniziare a
tagliuzzarmi,» sbuffò, in un macabro tentativo
d'ironia che Ian non
sembrò apprezzare particolarmente.
«La ringrazio per aver
accettato la mia offerta,» aggiunse poi, più serio.
«Potevo
forse rifiutare? Per un lavoro così sono anche disposto a
passar
sopra a qualche dettaglio poco convenzionale... come un'operazione in
casa propria,» commentò Ian con franchezza.
Tony alzò le
spalle, come a dire che per lui la stravaganza era la norma.
Era
contento di aver offerto quel lavoro a Ian. Era una persona
competente e capace, oltre che perfettamente in grado di tenergli
testa, ed era proprio quella qualità a valergli la stima che
provava
nei suoi confronti, nonostante si trovasse spesso in disaccordo con
lui. In fin dei conti era lo stesso criterio che aveva adottato
nell'assumere Pepper e non si era mai pentito di quella
scelta.
Inoltre la sezione biotecnologie mediche delle Stark
Industries languiva da un po'. Dopo la chiusura del reparto bellico
erano stati costretti ad operare una redistribuzione radicale dei
fondi, oltre che ammortizzare la perdita di molti dei loro
finanziatori. Tony aveva deciso di puntare sull'energia pulita per
rilanciare l'azienda, finendo per trascurare molti dei dipartimenti
minori al punto da essere obbligato a congelarne alcuni –
rimpiangeva ancora la chiusura della sezione spaziale. Magari il
contributo del dottor Mitchell non sarebbe stato decisivo, ma era
qualcosa.
Il medico aveva un curriculum impressionante e
risultava come mentore di alcuni dei chirurghi più illustri
del
Paese: Tony si era chiesto a più riprese perché
mai una mente come
la sua si limitasse a lavorare al General Hospital di Los Angeles,
pur in una posizione di rilievo, piuttosto che in una qualche prestigiosa clinica privata in Svizzera. Fissò l'uomo seduto davanti
a
lui, ingrigito e dal volto che sembrava scolpito in una tavola di
legno in cui fossero state incastonate due acquamarine.
Per ora, Ian
rimaneva per lui un enigma.
«Quante possibilità di successo ho?»
chiese all'improvviso, anche per rompere il silenzio che si era
protratto un po' troppo a lungo.
Mitchell sembrò prendere per un
attimo in considerazione l'idea di mentirgli, poi parve
ripensarci.
«Di solito non scoraggio un paziente prima di un
intervento, ma trattandosi di un'operazione mai eseguita prima
d'ora...» s'interruppe, titubante. «Il 45% circa.
Né più né
meno.»
Tony si aspettava una cifra simile, ma fu comunque un duro
colpo.
«La prego, continui a parlare nella mia lingua:
probabilità di rigetto e di decesso?» chiese,
sforzandosi di
mantenere la calma.
«Rigetto più o meno 60%... forse 65. Morte,
fortunatamente, sotto al 30%.»
«Fortunatamente? Non capisco
nulla di medicina, ma di statistiche ne so qualcosa: è
comunque
molto alta. Esattamente, cosa potrebbe andar storto?»
«Mille
cose, e lo sa bene, ma a meno che non le recida per sbaglio un
arteria il rischio più grande è che si infetti la
ferita; allora
bisognerebbe riempirla di antibiotici o, in casi estremi, asportare e
reimpiantare la protesi. Idem, se non peggio, se il suo corpo non
dovesse accettarla come tale. Dobbiamo anche sperare che in
seguito l'osteointegrazione degli agganci in titanio faccia il suo
corso.»
Tony si mosse nervosamente sulla sedia,
irrequieto.
«Molto bene... cioè, male. Insomma, detesto non
avere la situazione sotto controllo. Non che così cambi
qualcosa, ma
sapere a cosa vado incontro è già un passo
avanti.»
Ci fu
un'altra pausa, durante la quale Tony fissò intensamente la
protesi
e il micro-reattore, come se così potesse svelarne gli
eventuali
difetti.
Nel suo studio, probabilmente la stanza meno utilizzata a
Villa Stark, scese un silenzio interrotto solo dal ticchettio
dell'orologio a muro. Tony guardò nervoso fuori dalla
vetrata e
seguì il profilo della costa californiana che si perdeva
all'orizzonte, in cerca di una calma che stentava a trovare.
«Pepper
lo sa? Intendo, riguardo alle possibilità di
successo,» si decise a
chiedere.
«Non ancora, devo...»
«Perfetto, non glielo dica.
È già abbastanza preoccupata e si
infurierà quando le dirò che mi
opero così presto,» commentò, passandosi
la mano sul volto
tirato.
Ian evitò di rispondere, ma era chiaramente in disaccordo
con quella decisione. D'altronde, la parola del paziente era legge.
Si alzò dalla sedia sgranchendosi le gambe e prese la
piastra
d'aggancio e il micro-reattore con accortezza.
«Vuole che la chiami e la informi
almeno dell'operazione?» si offrì, volendo
diminuire lo stress per
Tony: un accumulo di tensione in quei giorni avrebbe potuto
ostacolare l'anestesia totale.
«Magari glielo accenni e le dica
di venire qui... provvederò io a spiegarle tutto nei
particolari.
Grazie,» aggiunse in ritardo, ma il medico era già
uscito.
"E
ora, un bel sorriso. Magari non la prenderà così
male."
***
«Il
reattore le ha fritto il cervello?»
«Ancora no, per fortuna. Le
assicuro che sono nel pieno possesso delle mie facoltà
mentali, un
po' meno di quelle fisiche.»
Pepper si morse il labbro,
angosciata; ogni suo gesto esprimeva preoccupazione, ansia e
nervosismo. Ponderò per un secondo se prenderla in giro per
questo,
ma ci ripensò rapidamente capendo che farlo sarebbe stato
solo
crudele da parte sua.
«Pepper, mi sento pronto. Non come vorrei,
questo no, ma sono abbastanza calmo per farmi operare tra pochi
giorni. Se aspettassi ancora non so come potrei reagire. Forse con un
attacco di panico, non lo so. Cerchi di capirmi,» aggiunse
intensamente, tentando di catturare il suo sguardo, ma lei continuava
a sfuggirlo.
La donna si appoggiò alla scrivania dietro di sé,
fissando
il pavimento di parquet lucido e stringendo le braccia attorno al
proprio corpo come per impedirsi di crollare come un castello di
carte. Tony si sporse appena dalla sedia a rotelle, ma era troppo
lontano per raggiungerla e fece per rinunciare. Pepper però colse il suo
movimento e si accostò appena a lui per permettergli di
sfiorarle il
braccio, in un gesto che lui sperò fosse rassicurante.
La donna
scosse appena la testa, tormentandosi le mani. Era impallidita e Tony
riusciva a vedere chiaramente ciascuna delle lentiggini che le
costellavano il volto fine. Non riuscì a distogliere lo
sguardo. Si
rese conto di quanto la stesse facendo preoccupare e di cosa doveva
essere stato per lei quel periodo. Aumentò appena la presa
sul suo
braccio e quello parve riscuoterla; posò una mano su quella di Tony
sua, riuscendo finalmente a esprimersi:
«Non può operarsi adesso, è
tutto troppo affrettato. Non è pronto, non credo proprio che
lei sia
pronto per una cosa simile,» disse d'un fiato, parlando
con
impeto e gesticolando molto, come le capitava sempre quando era
agitata.
Tony scosse la testa con un mezzo sorriso.
«È lei
che non è pronta,» disse, prendendola in
contropiede.
Capiva
perfettamente la sua posizione: aveva rischiato troppe volte di
perderlo, e sapevano entrambi di non avere nessuno se non
l'altro.
«No,» ammise lei. «Non sono pronta a
vederla morire
sotto i ferri o per qualunque altro motivo, come non ero pronta un
anno fa quando...» si lasciò sfuggire,
interrompendosi di colpo nel
realizzare ciò che stava per dire.
«Pepper...» lo sguardo di
Tony si fece improvvisamente più cupo: non voleva che
pensasse a
quello.
Non era giusto che quell'evento tormentasse anche lei.
«Mi
dispiace, non volevo...»
«Va tutto bene, Pep. Anzi, visto che
parla dell'Afghanistan...» esitò brevemente per
scrutare la sua
reazione, concludendo che fosse abbastanza calma per continuare:
«...
insomma, non vorrei peggiorare la situazione ma là ho
affrontato di
peggio: mi hanno operato a cuore aperto, senza anestesia e con degli
strumenti chirurgici medievali. E sono ancora vivo,» disse
d'un
fiato, pentendosi di aver voluto continuare per forza.
Non
riusciva ancora a parlarne con leggerezza senza sentire una punta di
disagio in fondo allo stomaco. Dovette prendere un grosso respiro per
calmarsi, ma riuscì a sfoggiare la sua solita aria spavalda.
«Andrà
tutto bene: non muoio così facilmente.»
Le fece
l'occhiolino,
cercando di infonderle un po’ di coraggio anche se era lui il
primo
ad averne bisogno.
La donna non sembrò affatto convinta, ma gli
strinse la mano tra le sue, in un tentativo di incoraggiarsi a
vicenda.
«Non mi preoccupa solo l'operazione. Anche il... il
dopo,»
confessò infine Pepper, lasciando intendere il resto.
«Vedo che
Ian l'ha comunque informata,» commentò lui seccato.
«Ho minacciato
di impedirgli l'operazione se non mi avesse detto chiaramente quali
erano i rischi. E lei dovrebbe sapere che non può
nascondermi
nulla.»
Tentò un sorrisetto nervoso senza molto
successo e Tony lo
ricambiò con spontaneità: tipico di Pepper.
Riusciva ad essere
terrificante, quando voleva. E lui lo sapeva molto bene.
Pepper
fece per tornare a tormentarsi inconsciamente le mani, ma Tony la
trattenne con fermezza, intrecciando le dita alle sue per
impedirglielo, pur consapevole dell'estraneità di quel gesto nel
loro
rapporto. Intuì lo sguardo perplesso di Pepper posarsi su di
lui, ma
lo sfuggì, concentrandosi sulla gamba dei suoi pantaloni
vuota e
annodata all'altezza del ginocchio. Lei non si sottrasse al contatto
e Tony si sentì stupidamente felice.
«Si impianterà tutto il
braccio?» chiese infine Pepper per rompere quel silenzio, e
sciolse
infine la stretta che la univa alla mano di Tony; lui la
lasciò
andare subito, ritraendosi un po' a malincuore.
«No, solo la
piastra di base, quella che si collega ai nervi, e il micro-reattore.
Il resto lo impianterò dopo da solo,»
spiegò poi con
disinvoltura; mentre parlava fece un cenno verso la propria spalla
mutilata. «Ah, un'altra cosa che la farà
infuriare,» aggiunse,
sbirciando di sottecchi lo sguardo ora esasperato della donna.
«Non
mi operano in ospedale. Si ricorda la stanza inutile?»
«L'ex-camera
di suo padre?»
«Esatto... eviterebbe di pronunciare la parola
"padre"? Lo sa che mi irrita. Comunque, dovrà essere
smantellata e sterilizzata da cima a fondo in modo che sia linda e
pinta entro venerdì. Basterà equipaggiarla con le
apparecchiature
mediche che avevamo ordinato tempo fa e sarà una sala
operatoria
funzionale in tutto e per tutto. Almeno è servita a
qualcosa, alla
fine,» commentò acido, senza riuscire a
trattenersi. «Entro lunedì potrò
iniziare a lavorare sul serio,» concluse poi
sorridendo ottimisticamente.
Parlava come se niente fosse, sovrappensiero. Pepper
lo osservò con attenzione, cercando di leggere la sua
espressione
impertinente, ma oltre intravide solo una serena noncuranza.
Non
sembrava veramente preoccupato, e forse era quello che preoccupava di
più lei.
***
29
Febbraio, Villa Stark
«Signor
Stark, se è pronto possiamo cominciare l'anestesia. Si
assicuri di
essere calmo e rilassato, o potrebbero sorgere
complicazioni,» lo
informò Ian, facendosi loro incontro con una flebo per nulla
rassicurante in mano.
«Ricevuto. Sono calmissimo,» lo
rassicurò
lui.
Pepper lo fissò esitante.
«Sono pronto,» le ribadì Tony,
con una sicurezza che non sentiva sua.
L'ago fece più male
di quanto si fosse aspettato, tanto che gli strappò
un'esclamazione di
sorpresa, più che di dolore. Sentì subito il
braccio intorpidirsi e
un velo freddo che gli avvolgeva il resto del corpo. Non percepiva
già più la flebo.
«Dovrebbe addormentarsi entro dieci
minuti al massimo. Non si agiti, deve abbandonarsi al sonno,»
lo
avvertì Ian, notando lo sguardo di puro panico che Tony
rivolse a
Pepper.
Ian indossava mantellina e grembriule sterili, mascherina e
cuffia; solo i suoi occhi azzurri schermati dagli occhiali erano
visibili, e si fissarono penetranti su di lui.
«Io sono di là,
sterilizzo gli strumenti, controllo che sia tutto in ordine e torno.
Signorina Potts, si assicuri che stia calmo e tenga a portata di mano
l'abbigliamento chirurgico: non si sa mai,» le ingiunse a
voce più
bassa, sparendo oltre la porta a tenuta stagna che Tony aveva fatto
installare a tempo record.
Pepper sperò con tutto il cuore che
Ian non avrebbe avuto bisogno del suo aiuto. Non era assolutamente in
grado di affrontare la visione di Tony sotto i ferri.
Questi era
sdraiato sulla brandina, con un panno a coprire fianchi e inguine e lo sguardo
rivolto al soffitto. Respirava affannosamente e non sembrava affatto
sul punto di addormentarsi. Pepper spostò la sedia accanto a
lui,
senza cercare di nascondere la sua ansia, ma quando vide che era
più
teso che mai assunse un'espressione che sperava fosse
rassicurante. Gli strinse la mano, sperando che la sentisse
ancora, e lui ricambiò la stretta con forza, come
aggrappandosi a
lei.
«Non funzionerà. Andrà storto qualcosa,
me lo sento... ho
sbagliato sicuramente qualche calcolo,» sussurrò
concitato,
sentendosi invadere dalla paura che trapelava dal velo allentato del proprio autocontrollo.
«Tony Stark che dubita della sua
genialità?» chiese ironica Pepper, cercando di
tranquillizzarlo e
di tranquillizzare anche se stessa. «Non ha sbagliato niente;
non
ricordo sinceramente una sola volta in cui abbia sbagliato qualcosa nel
suo campo,»
ribattè lei, decisa, ma le sue parole non parvero fare
effetto.
«Ma
che mi è venuto in mente? Potevo vivere benissimo anche
senza
quest'assurda idea delle protesi... mi sento una cavia da
laboratorio! Dannazione, sono un idiota!» imprecò,
tremante.
Stavolta Pepper si accigliò. Forse il sedativo lo stava
disinibendo più di quanto si stesse rendendo conto, e si
chiese se
quello che stava parlando fosse il vero Tony, quello che aveva
intravisto solo raramente oltre la sua maschera di spavalderia.
«Lei
ha la possibilità di ricostruirsi una vita, al contrario di
molta
altra gente: non la getti via così alla leggera,»
lo rimproverò
infine.
Tony emise un sospiro sibilante, annuendo appena.
«Giusto.
Ho... ho fatto una promessa,» farfugliò, e per un attimo
non sembrò
neanche essere cosciente di dove fosse. «Ormai non posso
tirarmi
indietro,» mormorò appena, sentendosi chiudere
l'occhio man mano
che il sedativo faceva effetto. «Se penso che dovrò
rifarlo anche
per la gamba...» rabbrividì, non sapendo se ne
avrebbe avuto il
coraggio e, soprattutto, se ne sarebbe stato in grado.
Spostò lo
sguardo appannato su Pepper e si sentì crudele per lasciarsi
andare
a simili scenate di panico davanti a lei: la stava solo facendo
soffrire. Si impose, per l'ennesima volta, la calma, anche se
già si
sentiva fluttuare in uno strano limbo di grigia oscurità.
Era
semplice, dopotutto: doveva solo addormentarsi e poi si sarebbe
risvegliato senza problemi, cercò di autoconvincersi. E se
anche non
si fosse risvegliato, non si sarebbe comunque accorto di nulla.
Giusto?
«Signorina Potts... la proposta di trasferirsi qui in pianta
stabile è ancora valida,» sorrise a fatica,
tentando di distrarsi
da quello che stava per accadere.
Pepper sembrò per un momento
spiazzata dal repentino cambio di tono e argomento, ma poi assunse
un'espressione più tranquilla.
«Credo proprio che accetterò,
signor Stark, ma...»
«Avrà una sua camera, non si preoccupi,»
la anticipò con un debole sogghigno ironico. «Basta
che quando mi
sveglio lei sia qui,» aggiunse piano, come parlando da una
grande
distanza e chiedendosi se il sedativo non lo stesse facendo
delirare.
Pepper per tutta risposta gli strinse un po' più forte
la mano.
Ian rientrò in quel momento, armato di una torcetta
elettrica. Si avvicinò a Tony e gliela puntò
nell'occhio,
osservando la pupilla, che reagì debolmente alla luce.
«Ho
freddo...» bofonchiò Tony; sembrava
momentaneamente distaccato
dalla realtà e aveva l'occhio semichiuso.
Mormorò qualche altra
frase sconnessa, prima di addormentarsi docilmente e con
un'espressione serena sul volto. Ian lo trasferì con
attenzione in
sala operatoria, rivolgendo un cenno d'intesa a Pepper. Lei si
sedette di nuovo, poggiando il viso tra le mani e preparandosi a una
lunga attesa.
***
«Non
va bene! Non va affatto bene! Lo sta rigettando! Il bisturi cinque,
Potts, il cinque!»
«Mitchell, il reattore sta...»
«Mi dia
quel bisturi! Tamponi qui e prema forte! Non lasci o lo
perdiamo!»
«Il cuore! Mitchell!»
«No...»
«Tony!»
***
Non
era così male essere in anestesia totale,
riflettè Tony da qualche
parte tra la realtà e l'oblio. L'oscurità era di
tanto in tanto
inframmezzata da un lampo blu. Non capiva se fosse sveglio o meno. Era
sospeso in una dimensione di passaggio non meglio identificata,
simile al coma, ma meno profondo. Poteva anche essere morto da quel
che riusciva a sentire, cioè niente. Era come scivolare in
un
pacifico dormiveglia.
Percepì un barlume di coscienza.
"Dove
sono?"
***
Luce.
Luce ovunque, così forte da trapassargli gli occhi; la
sentiva quasi
brillare nella mente, per quanto era intensa. Poi arrivò il
dolore,
smorzato e soffuso, ma costante. Le macchie di colore che gli
danzavano davanti agli occhi assunsero contorni più
definiti, e fu
in grado di distinguere... un volto?
«Pepper...» rantolò a
fatica, ricollegando la chiazza rossastra ai i suoi capelli.
Gli
sembrò che stesse sorridendo, ma tutto era ancora sfocato...
e gli
girava la testa come una trottola impazzita. Sentì la sua
voce,
distorta e lontana; gli ferì le orecchie e sentì
l'istinto di
tapparsele, se solo avesse capito dov'era il resto del suo
corpo.
"Sono vivo," realizzò in ritardo, quando
finalmente avvertì una lontana percezione di sé.
La vista gli si
schiarì un poco, e riconobbe il soffitto della sua stanza.
Mosse la
testa, felice di riuscirci, e scoprì di avere una flebo
piantata nel
braccio, così evitò di muoversi troppo.
"Dov'è
andata...?"
Si guardò intorno confuso e la vide rientrare di
corsa nella stanza per sedersi accanto a lui sul letto. Stava dicendo
qualcosa, ma le parole erano un'accozzaglia indistinguibile di suoni. Lei
dovette rendersi conto che era ancora in stato confusionale,
perché
smise di parlare, limitandosi a rivolgergli un sorriso raggiante.
Tony udì un fischio acuto e fu come se qualcuno avesse
finalmente
deciso di restituirgli l'udito; strizzò l'occhio, assordato,
poi
riportò lo sguardo su Pepper restituendole spontaneo il
sorriso,
ancora un po' intontito.
«Sono vivo!» esclamò con voce
gracchiante e stupendosi della sua stessa vitalità,
nonostante fosse
continuamente assalito dalle vertigini.
«Sì. Sì, è vivo, per fortuna...»
disse Pepper con voce un po' rotta dall'emozione.
«Cosa è
successo? È andato tutto bene?»
«Sì, è andato bene. Ma ha
rischiato tanto... veramente tanto,» mormorò
Pepper,
improvvisamente seria.
«Ci sono state complicazioni?»
«Molte.
Il micro-reattore ha interferito col reattore principale appena Ian
l'ha impiantato. Ha rischiato di rigettarlo.»
«Non l'avevo
previsto; non... non sarebbe dovuto accadere, il micro-reattore
è
troppo piccolo per...» gli finì il fiato e dovette
fermarsi per
riprendere il controllo della sua bocca impastata.
Faticava a
decifrare ciò che gli stava dicendo Pepper.
«... poi si è
stabilizzato, ma ha avuto un arresto cardiaco. Abbiamo davvero temuto
di perderla.»
Tony riuscì ad avere un moto di sorpresa
nonostante la spossatezza che sentiva.
«Lei era lì?» mormorò
incredulo.
«Ho dovuto aiutare Mitchell; da solo non ce l'avrebbe
fatta.»
Tony non poté fare altro che guardarla con sguardo
perso, ammirato e allo stesso tempo senza parole. Aprì e
chiuse la
bocca un paio di volte, per poi rassegnarsi a rivolgerle un semplice,
enorme sorriso di gratitudine.
Trovò solo allora il coraggio di
guardarsi il moncherino: la piastra metallica che era la base della
protesi sembrava aderire perfettamente alla sua pelle, circondata da
una fasciatura che nascondeva i punti di sutura esterni. C'era una
medicazione che copriva l'estremità distale della clavicola, dove
immaginò fosse
impiantato il micro-arc.
«Ce l'ha fatta...» mormorò incredulo,
sfiorando il bordo metallico con i polpastrelli.
«Anche lei,»
lo corresse Pepper, con il sorriso che non riusciva ad abbandonare le
sue labbra e gli occhi un po' lucidi.
Tony si sarebbe messo a
ridere e urlare dalla felicità se solo ne avesse avuta la
forza, ma
era veramente esausto, così si limitò ad emettere
una risatina,
soffocata in un accesso di tosse.
«Gliel'ho detto che ce l'avrei
fatta; dovrebbe imparare a fidarsi di me,»
commentò con un mezzo
ghigno sicuro di sé.
Pepper scosse la testa senza sapere come
esprimere il proprio sollievo, ma Tony lo fece al posto suo:
ignorando il dolore, si sollevò a sedere e
catturò Pepper in un
abbraccio improvviso, stringendola a sé col braccio sano e
ignorando
la sua esclamazione di sorpresa.
Fece male, dannatamente male, ma
si sentì scoppiare di gioia quando udì la risata
spontanea e un po' rotta dalle lacrime di
Pepper risuonargli nel petto.
Revisione effettuata il 15/02/2018
Note Delle Autrici:
Ta-daaa, siamo di nuovo qua. Contente? u.u *parte coro di fischi* coffcoff, comunque, non ci stanchiamo mai di tormentare Tony... non si era notato eh? Ma, dopotutto, adesso sarà felice per un po'... e ora arriveranno gli altri problemi! :D
Dunque, ci siamo date a un fluff spaventoso... speriamo di non aver esagerato ^^'
Ringraziamo come sempre alliearthur, Rogue92 e sofy96 che hanno recensito gli scorsi capitoli <3
Alla prossima! :D
Moon&Light
P.S. Piccola precisazione: Pepper aiuta Mitchell nell'operazione, ma non partecipa in prima persona. Ci spieghiamo: gli passa solo gli strumenti, controlla le apparecchiature e ferma il sangue (insomma, non impugna bisturi e roba varia, sarebbe ridicolo). Per tutto il resto... c'è JARVIS & la sospensione dell'incredulità :D
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