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Autore: Essemcgregor    15/04/2012    3 recensioni
Smythofsky Student/Teacher.
David Karofsky non avrebbe mai creduto un giorno di ritrovarsi dietro una cattedra ad insegnare in una scuola privata maschile, soprattutto non pensava di poter insegnare in QUELLA scuola.
E proprio lì, nella prestigiosa Dalton Accademy, incontra Sebastian Smythe, studente non proprio modello.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

 
La sveglia suonò puntuale alle 6:00, Dave la zittì con un grugnito, tirando le coperte oltre la testa proprio come quando andava a scuola. Non sopportava il suono della sveglia, non aveva un buon rapporto con quell’oggetto, adorava svegliarsi dolcemente e quell’ammasso di plastica e ingranaggi di ferro, non contribuivano affatto.
La sua mente vagò per un po’ immersa nel mondo reale e nel mondo dei sogni, si rigirò di nuovo nel letto mentre piano piano, prendeva forma un nuovo sogno.
Cinque minuti dopo entrò suo padre spalancando la porta, andò verso le finestre scostandone le tende e lasciando che il sole penetrasse al suo interno.
- Sveglia dormiglione! La colazione sarà pronta in 10 minuti.-
Scrollò il corpo di Dave ancora avvolto dalle coperte ed uscì dalla camera fischiettando.
Dave grugnì di nuovo, avrebbe voluto dormire ancora un po’, magari fino a mezzogiorno e alzarsi per l’ora di pranzo. Cominciava ad apprezzare la teoria di Kurt che confermava che il sonno faceva bene alla salute, magari avrebbe potuto dormire altri cinque minuti in più.
- Dave non farmi salire di nuovo!-
La voce di suo padre lo fece sussultare, scalciò le coperte a terra, si alzò facendo leva sulle braccia rimanendo per un attimo a quattro zampe sul letto, si mise poi a sedere strofinandosi forte gli occhi, lanciando uno sguardo allo specchio. Non aveva di certo un bell’aspetto, non aveva pianto molto ieri notte, il sonno lo aveva colto quasi subito, ma aveva ancora gli occhi un po’ arrossati e le guance rosse.
Si era accorto di aver dormito vestito e che qualcuno, sicuramente suo padre, lo aveva coperto con un piumone per non fargli prendere freddo.
La chiamata di Kurt e Blaine lo aveva sconvolto, sia per la loro partenza per Los Angeles, sia per la notizia di Matt. Per quanto si sforzasse, non poteva evitare di sentire il suo cuore lacerarsi.
Quando finalmente si alzò, si trascinò dapprima in bagno per la sua toeletta mattutina: il viso era ancora rosso e gli occhi erano gonfi, riempì perciò il lavandino di acqua gelida, immergendovi il viso per alcuni secondi.
- Dave che hai in faccia?-
Quando comparve in cucina, suo padre lo guardò con sguardo preoccupato, alla fine l’acqua ghiacciata era servita a ben poco, sperava perciò che il gonfiore sarebbe diminuito durante la giornata.
- Ah si… colpa dell’acqua gelata, speravo mi aiutasse a svegliarmi.-
Scusa ridicola, ma era il meglio che riusciva a fare ancora intontito di sonno.
- Dave… se è successo qualcosa lo sai che devi dirmelo, no? Devo saperlo.-
Si chiese perché suo padre dovesse essere così apprensivo con lui. Una vocina dentro la sua testa bisbigliò “e ha ragione”, ma Dave la zittì con un grugnito. Sbatté la fronte contro il tavolo, rispetto a ieri si sentiva molto meglio, ma parlare di Matt gli faceva ancora male.
- Papà non ne voglio parlare.-
In tutta risposta Paul si sedette accanto al figlio cominciando ad accarezzarne la schiena.
- Si tratta del lavoro? Degli amici che hai lasciato a New York? Magari un amico… speciale?-
Il corpo del ragazzo sussultò dalle risate, possibile che suo padre riuscisse sempre ad azzeccare? Annuì tenendo sempre la fronte contro il tavolo, sperando che non si arrabbiasse troppo per avergli tenuto nascosto la sua relazione con Matt.
- E da quanto va avanti?-
Il suo tono era dolce, in caso fosse irritato, non lo dava a vedere. Dave non alzò gli occhi per evitare di incontrare il suo sguardo.
- Da un paio d’anni, ed è finita il giorno stesso in cui sono tornato qui.-
Paul passò una mano sulle spalle del figlio accarezzandole lentamente, non disse nulla un po’ per via del crescente imbarazzo, un po’ perché in quelle situazioni non sapeva mai cosa dire. Quello fu uno di quei pochi momenti in cui rimpianse l’assenza di sua moglie. Per quanto fosse omofoba e un’arpia, era brava a consolare il figlio.
Dave alzò la testa poco dopo sospirando, mise le sue ultime cose nella borsa che aveva posato sulla sedia accanto alla sua e dopo aver bevuto velocemente il caffè salutò il padre.
- Ma come, non fai colazione?-
- Devo preparare una lezione e se tutto va bene riesco a farlo prima che suoni la campanella!-
Paul rimase fermo in cucina mentre vide il figlio prendere la giacca, le chiavi e uscire di corsa. Sentì la porta sbattere e poco dopo, il rumore della macchina che faceva retromarcia lungo il vialetto. Sospirò avvicinandosi al telefono, per quanto il suo cuore lo volesse, non poteva purtroppo proteggerlo anche da quel tipo di sofferenza. L’amore faceva parte del processo di crescita dopotutto, sperava solo che quell’esperienza non lo segnasse in modo negativo.
“Lascialo andare Paul, è grande ormai. Non succederà di nuovo.”
Alzò la cornetta lentamente mentre quel pensiero continuava a ronzargli nella testa e digitò un numero a memoria.
- Sì… è andato via. Puoi venire.-
 

 

Durante tutto il tragitto tra Lima e Westerville, Dave non fece altro che pensare alla lezione del giorno, aveva delle diapositive vecchie dell’Università bastava modificare qualche cosa e tagliare qualche pezzo e avrebbe potuto mettere su una lezione niente male.
Non ebbe tempo di pensare a Matt, non ebbe tempo di pensare a qualunque altra cosa che non fosse la sua prima lezione, ed era un bene per lui. Kurt gli aveva mandato un messaggio quando erano arrivati a Los Angeles, mandandogli i saluti di Blaine e dicendogli che lo avrebbero chiamato la sera stessa quando lui sarebbe tornato a casa.
Parcheggiò la macchina nel solito posto riservato agli insegnanti ed entrò nel grosso edificio. Quella che sembrava essere una bella giornata, si trasformò in una giornata uggiosa, grandi nuvoloni grigi minacciavano pioggia, anche la temperatura si era leggermente abbassata, costringendo Dave a ricacciare il suo cappotto dai sedili posteriori della macchina.
Quella mattina al posto di giacca e cravatta, preferì un semplice jeans nero, una maglietta bianca e una giacca blu scuro, comodo ed elegante allo stesso tempo.
Dai rumori che provenivano dal piano di sotto, era chiaro che i ragazzi e forse anche gli insegnanti, erano di sotto a fare ancora colazione. Si sentì sollevato al pensiero di non dover incontrare subito gli altri insegnanti, si diresse velocemente verso la sala insegnanti, percorrendo velocemente il corridoio deserto. Un paio di ragazzi sbucarono da dietro l’angolo correndo, fermandosi con aria inorridita vedendo Dave. Il ragazzone sapeva che era vietato correre per i corridoi, sicuramente i due ragazzi temevano una ramanzina da parte sua.
- Io non vi ho visti.-
Oltrepassò i due ragazzi che tirarono un sospiro di sollievo, affrettandosi a scendere le scale.
La sala insegnanti era vuota come previsto, occupò un tavolino in un angolo della stanza ed estrasse il suo computer portatile cominciando a lavorare su quelle diapositive. Era talmente preso, da non accorgersi nemmeno dell’entrata di alcuni insegnanti in aula, alzò lo sguardo sorpreso solo quando questi lo salutarono, ricambiandolo con cortesia, per poi tornare al suo lavoro. Dovette smettere quando sentì la mano di Mike posarsi amichevolmente sulla sua spalla, aveva in una mano una tazza fumante di caffè che poggiò accanto al suo computer.
- Buongiorno! Immaginavo che non avessi fatto colazione così ti ho portato il caffè.-
Lo sguardo del ragazzo andò da Mike alla tazza, sorrise confuso e accettò con un sorriso la gentile offerta.
- Stamattina pensavo ti saresti unito a noi per colazione, Simon ed io ti aspettavamo.-
Lo sguardo dei due cadde sull’uomo che in quel momento stava prendendo dei libri dal suo armadietto, quando incrociò il loro sguardo, si avvicinò sorridendo.
- David! Prima lezione eh? Buona fortuna.-
Dave sorrise chiudendo il portatile e infilando di nuovo in borsa, si alzò e bevve un sorso dalla sua tazza di caffè, solo in quel momento si accorse di quanto ne aveva bisogno. Il liquido caldo scese lungo la sua gola provocandogli un piacevole senso di calore.
- Grazie! Me ne servirà tanta, credo.-
Il ragazzone issò la borsa a tracolla sulla sua spalla dirigendosi verso la porta, seguito da Simon e Mike che cominciarono a snocciolare aneddoti per sopravvivere alla giornata. Quando furono di nuovo davanti la sua classe, lo invitarono nuovamente a pranzo fuori e lo lasciarono frettolosamente quando sentirono il suono della campanella.
La classe era già piena di ragazzi che, invece che stare seduti al proprio posto, erano in giro per l’aula, chiacchierando e scherzando con i propri compagni. Al suo ingresso divennero di nuovo seri, presero posto al proprio banco e rimasero alzati fino a che lui non si sedette.
L’appello fu rapido, i ragazzi alzavano la mano di scatto, rispondendo “presente”, quando erano chiamati.
Non era abituato a quell’atmosfera, nel suo liceo era tutto più chiassoso, più famigliare. Prendere in giro il professore era d’obbligo, rendergli la mattinata difficile, un Must. In quella classe, non solo regnava il silenzio, ma sentiva il profondo divario che c’era tra studente e insegnante, un abisso che li poneva su livelli diversi, un abisso che a Dave non piaceva affatto.
All’Università si era abituato al bellissimo rapporto con i professori, erano un corso di poche persone e tutti conoscevano tutti, i professori erano attenti al bisogno di ogni singolo ragazzo e c’era un rapporto professionale e famigliare allo stesso tempo.
- Bene, oggi cominciamo con L’Hudson River School.-
Non si sentì per nulla stupito quando più di una mano si alzò quando fece alcune domande dirette sull’argomento. Avevano tutti in mano il programma dell’anno ed era ovvio che per avvantaggiarsi, studiavano in anticipo. Proseguì poi con la spiegazione in dettaglio di quella corrente artistica, nessuno fiatò durante l’ora. I ragazzi non avevano fatto altro che scrivere ogni cosa fosse detta, senza alzare mai lo sguardo dal foglio.
Attaccò il suo computer al proiettore per mostrare le diapositive da lui preparate e non poté fare a meno di notare gli sguardi sorpresi dei ragazzi quando cominciarono a prendere in esamina alcuni quadri dei maggiori esponenti della corrente.
Le occhiate confuse e un sommesso mormorio, interruppe il discorso di Dave che si voltò a guardarli incuriosito. Le chiacchiere cessarono e i ragazzi tornarono con la teste, chine sui banchi.
- Qualcosa non va?-
Inarcò un sopracciglio sperando che qualcuno parlasse, nessuno però sembrava averne in coraggio. Scrutò i volti dei ragazzi, tutti quanti avevano lo sguardo basso, tutti tranne uno.
- Non abbiamo mai preso in esamina le opere dei singoli autori.-
La sua voce fu tagliente, alcuni ragazzi alzarono lo sguardo lanciando occhiate di ammonimento al compagno di classe, occhiate che lui ignorò sfoggiando ancora di più quel ghigno strafottente.
Dave appoggiò le braccia sulla cattedra sporgendo il viso verso di lui con aria interessata, i ragazzi rimasero con il fiato sospeso in attesa di una sua reazione.
- Capisco. Una corrente artistica esiste perché i loro esponenti l’hanno resa tale, grazie alle loro opere. Penso sia utile conoscere almeno qualche opera dei maggiori esponenti, oltre che saper ripetere a pappagallino, ciò che dice il libro. Non trova signor… Smythe?-
Dovette cercare di nuovo il suo cognome sul registro con la coda dell’occhio, di lui ricordava solo il suo nome associato a quel ghigno strafottente e quello sguardo indagatore.
Il ragazzo non cambiò espressione del volto, anzi sembrava che tutto ciò lo divertisse parecchio.
- Non credo lei possa permettersi di apportare variazioni al programma, senza aver prima consultato il Preside.-
Dave inclinò la testa di lato.
- Non credo che approfondire un argomento possa essere definito una “variazione” del programma.-
Lo scambio di battute fu seguito dagli altri studenti con interesse, i loro visi andavano da Sebastian a Dave ad intermittenza, sembrava stessero seguendo una partita di tennis.
- Non credo che analizzare un quadro possa aiutarci a capire meglio la corrente artistica che studieremo. Non siamo di certo dei critici e tantomeno abbiamo le conoscenze sufficienti per poter fare un certo tipo di analisi.-
Dave sospirò prendendo il loro libro di testo, lo sfogliò velocemente prima di richiuderlo e guardarlo disgustato, lo agitò davanti al viso degli studenti per poi buttarlo oltre la cattedra. Il tonfo che ne seguì fece sobbalzare alcuni ragazzi delle prime file.
- I veri critici sono coloro che riescono a cogliere molto più del semplice “aspetto esteriore”. La loro analisi va oltre la pennellata, oltre l’uso o meno di chiaro scuri e cose del genere. Io non voglio sapere cosa hanno dipinto, se l’hanno fatto bene o meno. Voglio sapere cosa cercano di trasmettere i pittori con questi quadri, quali emozioni queste opere suscitano in voi.-
Sebastian scosse la testa sospirando divertito, alzò il libro e puntò il dito su uno dei paragrafi di quello che sembrava essere proprio il capitolo riguardante l’Hudson River School.
- Tutto quello di cui abbiamo bisogno di sapere, è riassunto in poche righe: “Paesaggisti Americani che celebrano unicamente, attraverso diverse tecniche, la magnificenza e la vastità degli scenari naturali con una nuova pittura di paesaggio.” -
Dave sorrise, ricordò in quel momento come aveva conosciuto Matt: corso di Storia dell’Arte, stessa arroganza, stessa sicurezza di sé nel dire che quel corso era inutile. Eppure proprio in quell’inutile corso era sbocciato quel sentimento che li aveva legati per due anni. Sebastian aveva lo stesso sguardo sicuro, la stessa arroganza di Matt.
- I pittori dipingono non per i critici, non per essere classificati o raggruppati in una corrente artistica. Queste sono classificazioni che facciamo per comodità, ma il vero Artista, ha come obiettivo l’esprimere i propri sentimenti attraverso le proprie opere.-
Si alzò dalla sedia portandosi a lato del quadro proiettato sulla superficie bianca dietro di lui, lanciò uno sguardo a Sebastian che non disse più nulla, incrociò le braccia al petto, il ghigno era sparito dal suo volto e negli occhi c’era una strana luce battagliera.
- Per la prossima settimana vorrei che mi scriveste un piccolo tema, anche di una sola pagina, riguardo ciò che questo quadro in particolare, vi trasmette.-
Nessuno dei ragazzi alzò delle obiezioni, il quadro di Thomas Cole rimase su quella parete bianca fino al suono della campanella. In quel momento gli studenti si affrettarono a prendere le loro cose e dopo aver rivolto un saluto al professore, uscirono ordinatamente dalla classe. Al contrario del giorno prima, Sebastian non si era attardato.
Il giorno seguente, durante la lezione, Sebastian non fece altro che prendere appunti sul suo foglio, mentre Dave mostrava alcune opere di vari esponenti di quella corrente, analizzandone i colori, le ombre e il tipo di pennellata, parlò brevemente della biografia dei pittori, rispondendo poi alle domande dei pochi studenti interessati.
Quando la lezione giunse al termine, si passò una mano sul viso, gli studenti sfilarono davanti a lui ordinatamente, mentre lui ricordava loro il compito per la settimana seguente.
- Così non va.-
 

 

- Allora professor Karofsky, come sono andati queste prime due lezioni?-
Era strano sentirsi chiamare in quel modo, non gli piaceva sentirsi chiamare per cognome, sebbene doveva sopportarlo visto che era una regola in ambiente universitario e lavorativo, ma far precedere il suo cognome dall’appellativo professore, era ancora più strano.
La caffetteria era quasi vuota, c’erano pochi studenti che prendevano un caffè durante una pausa tra un laboratorio e l’altro, e sparsi qua e là, i professori rimasti per il pomeriggio.
Un uomo dai capelli brizzolati vestito con un completo di tweed, lo raggiunse velocemente posando una mano sulla sua spalla, Dave sorrise timidamente mentre un gruppo di studenti del primo anno, rivolse lui un saluto oltrepassandolo.
- Non è andata male signor Preside, grazie.-
L’uomo agitò la mano sbuffando.
- Io e tuo padre siamo grandi amici, chiamami pure Edward e diamoci del tu. Tutte queste formalità hanno cominciato a darmi a noia.-
Entrambi si avviarono al bancone e presero due tazze di caffè, Dave ci tenne ad informare il preside che aveva finalmente cominciato i suoi laboratori di Arte e a quanto pare gli studenti si erano trovati molto bene, a giudicare dall’entusiasmo.
Aveva deciso di cominciare da cose semplici, la maggior parte di loro era negata nel disegno, perciò aveva fornito qualche nozione di disegno artistico e tecnico, parlando di profondità, forme geometriche e altre nozioni teoriche che sarebbero tornate utili ai ragazzi nei loro disegni.
- I ragazzi sono educati, sto cercando di farli interessare alla materia poiché mi rendo conto che non siano facili da assimilare certi concetti.-
Il termine più esatto sarebbe stato “noioso”, ma evitò di usarlo. Anche a lui nel primo anno di Università aveva odiato storia dell’Arte, fino a quando non ebbe conosciuto il professor Tommasetti, un professore Italiano:
oltre che studiare storia dell’Arte Italiana, aveva trovato il modo per appassionare gli studenti alla materia.
- Noto con piacere che i giudizi sono positivi, per i corridoi si sente parlare bene di te.-
Dave ne fu felice, non sapeva cosa gli studenti dicessero di lui, ma era felice di riuscire a svolgere il suo lavoro per bene. Per quanto continuasse a pensare di non esserne all’altezza, ce la metteva tutta, cominciando tra l’altro ad abbattere quel muro tra lui e gli studenti. Apprezzava la Dalton per le sue regole rigide, ma non sopportava non poter instaurare un rapporto con gli studenti. Il Preside lo salutò velocemente raggiungendo un gruppo di insegnati già seduto ad un tavolo.
Dave ricambiò il saluto guardandosi poi intorno in cerca di un tavolo libero, quando vide la mano di Simon sventolare allegramente verso di lui, non poté non raggiungerlo al suo tavolo. Era la prima volta che lo vedeva da solo, di solito era sempre in compagnia di Mike
- Ti va di farmi compagnia?.-
Dave annuì lentamente sorseggiando il suo caffè.
- Allora… ti trovi bene qui?-
Erano passati solo un paio di giorni, ma ogni membro del corpo insegnanti gli aveva già posto la domanda, come se insegnasse in quella scuola da più tempo.
- È presto da dire, per il momento mi trovo bene.-
Simon abbozzò un sorriso soddisfatto della risposta.
- Gira voce che hai avuto una discussione con uno studente del terzo anno stamattina.-
Dave dovette pensarci su alcuni secondi prima di capire che si riferisse alla discussione avuta con Sebastian Smythe, riguardo i suoi metodi di insegnamento. Inarcò un sopracciglio, non l’aveva riportato nel registro di classe e tantomeno ne aveva parlato con qualcuno.
- Come lo sai?-
Simon scrollò le spalle sorridendo, i suoi occhi neri come il carbone si fissarono in quelli di Dave.
- Perché la scuola in un certo verso è come una piccola comunità: gli studenti sono meno di quelli che si trovano in un normale liceo, e tutti conoscono tutti. A quanto pare mentre tu e lo studente in questione discutevate, alcuni ragazzi hanno mandato dei messaggi e la notizia si è sparsa a macchia d’olio.-
Ecco qualcosa che non aveva considerato: i pettegolezzi. Un brivido passò lungo la sua schiena, fu proprio a causa di quel pettegolezzo che diede inizio alla sua fine: ll viso di Nick tornò alla sua mente insieme agli sguardi sprezzanti dei suoi ex-compagni di scuola.
- Non abbiamo discusso, è stato un semplice dibattito.-
Simon si sporse verso di lui.
- Si mormora che lo studente in questione ti abbia dato dello stronzo.-
Dave quasi soffocò con il suo caffè, deglutì a fatica cercando di non strozzarsi, si era dimenticato dell’effetto “passaparola”: più la notizia passava di persona in persona, più era arricchita di dettagli per rendere più interessante il pettegolezzo.
- Non ha detto nulla del genere. È stato un dibattito acceso ma dai toni contenuti, è normale che si creino momenti del genere.-
Ricordava i dibattiti durante le lezioni di storia dell’Arte, il più delle volte avvenivano tra il professor Tommasetti e Matt, che non accettava l’idea di studiare Storia dell’Arte Italiana oltre che quell’Americana: lo trovava una perdita di tempo.
- Lo sai che non devi coprirlo vero? Se davvero ha fatto qualcosa…-
- Simon davvero, non ha detto nulla del genere.-
Dave si alzò di scatto stringendo il suo bicchiere di carta con dentro il caffè, abbozzò un sorriso nervoso verso Simon e si scusò, dicendo di aver scordato alcuni appunti in Sala Insegnanti, appunti che aveva premura di riprendere prima di dimenticarsene.
Invece che andare in Sala Insegnanti, deviò verso l’ingresso della scuola, il cielo era ancora plumbeo, più scuro rispetto la mattina. Nonostante la minaccia della pioggia, decise di fare una piccola passeggiata. La conversazione con Simon lo aveva stizzito.
In quel momento sentì alcune voci provenire dai campi sportivi dietro la scuola, dove a quanto pare si stavano svolgendo gli allentamenti pomeridiani.
Prima che potesse rendersene conto, si ritrovò a camminare per la strada brecciata che portava verso la palestra, costeggiando i campi da tennis ed il campo da Lacrosse, le urla provenivano proprio da là. Lanciò uno sguardo verso il campo, sembrava fossero nel bel mezzo di un litigio.
- Smythe la prossima volta ti ficco quella mazza nel didietro.-
Quando sentì pronunciare il suo cognome, Dave lo cercò con lo sguardo: le due squadre indossavano la divisa di Lacrosse della scuola, sopra la maglia alcuni di loro indossavano una canotta rossa, forse per distinguere le due squadre.
- Ah davvero Black? Strano, l’ultima volta che ci siamo visti, e non vorrei sbagliare, sono io che ho messo qualcosa a te nel didietro.-
Alcune risatine si alzarono dal campo mentre alcuni ragazzi diedero pacche di approvazione al giovane. Dave inarcò un sopracciglio, un linguaggio del genere sarebbe stato punito severamente all’interno delle mura scolastiche, a quanto pare non vigeva la stessa regola nel campo da gioco.
Il coach della squadra accorse nel campo separando i due ragazzi che sembravano in procinto di saltarsi alla gola, urlò qualcosa che Dave non capì e tornò nuovamente a bordo campo.
Il gioco riprese dopo il fischio dell’arbitro, i suoi occhi seguirono Sebastian durante tutto l’allenamento: era agile e veloce, il suo corpo sinuoso riusciva a destreggiarsi bene in mezzo ai ragazzi che in confronto a lui, parevano lenti e goffi. I suoi lanci erano precisi, i tiri in porta andavano quasi sempre a segno.
- Bene, basta così per oggi.-
Dave sussultò quando vide il coach della squadra riemergere dagli spalti, fece un piccolo discorso al gruppo e li lasciò andare dopo qualche minuto. I ragazzi fecero un po’ di stretching prima di andare sotto le docce e fu in quel momento che gli occhi di Sebastian incrociarono quelli di Dave.
Un piccolo sorriso simile ad una smorfia si aprì sul suo volto, con la scusa di fare una piccola corsa intorno al campo, lo raggiunse, costeggiando la rete di recinzione. Si fermò davanti a lui piegandosi sulle gambe continuando il suo stretching, lanciò uno sguardo ai suoi compagni assicurandosi che nessuno di loro li potesse vedere, solo quando entrarono negli spogliatoi, smise di fare stretching.
- A cosa devo quest’ onore professore?-
Non seppe dire se il tono usato fosse sprezzante o ironico.
- Nessun motivo in particolare.-
Il ragazzo si alzò appoggiando le mani contro la rete, aveva il fiato corto. Dave poté notare piccole gocce di sudore imperlargli la fronte, i suoi occhi verdi in quel momento erano ancora più luminosi, forse risaltati dal rossore sul suo viso.
- Pensavo fosse venuto a vedermi giocare.-
Dave inarcò un sopracciglio.
- Non sapevo neanche che lei giocasse a Lacrosse signor Smythe.-
Il castano stese le labbra in un sorriso.
- Diamoci del tu almeno fuori ambiente scolastico. Preferisco mi si chiami Sebastian.-
Il moretto annuì senza sorridere, non sapeva se permettere lo stesso, al ragazzo di fronte a lui.
L’altro si asciugò il sudore della fronte con la manica lanciandogli un’occhiata piuttosto eloquente, si staccò dalla recinzione indietreggiando di qualche passo.
- Bene… a domani professore.-
Si voltò di scatto e corse fino a raggiungere gli spogliatoi, Dave rimase fermo dov’era fino a quando non lo vide scomparire. Non seppe dire cosa lo aveva turbato di più, se il suo modo strafottente di fare o il modo in cui lo aveva guardato prima di andare via. Quello sguardo, era come se lo avesse spogliato con gli occhi, si era sentito vulnerabile, nudo di fronte a lui.
Deglutì, spaventato da quei pensieri e riprese a camminare percorrendo la stessa strada da dove era venuto. Di colpo il complesso di campi da gioco non aveva più alcun interesse per lui.
 


 
Come promesso, Kurt chiamò proprio durante l’ora di cena. Paul guardò il figlio incuriosito, lasciò che si alzasse da tavola per raggiungere la poltrona in salotto, si accomodò tra i cuscini portandosi il telefono all’orecchio.
- Sì?-
La voce di Kurt esplose nelle sue orecchie come al solito, solo che al contrario del giorno prima, non c’era alcun rumore di sottofondo se non la voce di Blaine.
- Dave! Allora com’è andata? Gli studenti ti adorano? Immagino di sì. È difficile non adorarti dopo tutto.-
Le parole di Kurt fecero sorridere il ragazzone, si passò una mano sul viso gettandosi di nuovo nel passato, la visione dello sguardo spaventato di Kurt, lo fece quasi sussultare.
- Sto bene ed è andata molto bene. Mi adorano… credo.-
“A parte Sebastian Smythe.”
Evitò di pronunciare quelle parole tenendole per sé.
- Sono felice di saperlo! Ah, sei in vivavoce così sente anche Blaine.-
Seguì un piccolo resoconto della giornata, condito dalle domande di Blaine e dai commenti di Kurt. Raccontò di Simon e Mike, gli unici due membri del corpo insegnanti con il quale aveva legato di più. In quel momento Kurt tossicchiò in modo piuttosto eloquente.
- Dave non vorrei dirti una stupidaggine ma… sembra che Mike sia interessato a te.-
Il castano non disse nulla, si strofinò gli occhi per la stanchezza soffocando uno sbadiglio.
- Sei tu che sei malizioso Kurt, secondo me vuole solo essere gentile.-
Blaine confermò le parole di Dave ricevendo una risposta secca da Kurt che cominciò poi il suo sproloquio riguardo il linguaggio del corpo, discorso che Dave stanco com’era, non riuscì a seguire.
Suo padre si affacciò dalla cucina inclinando la testa di lato, a quanto pare aspettava lui per continuare a cenare, scusa che Dave colse al volo per interrompere il battibecco tra Kurt e Blaine.
- Scusate ragazzi devo andare, stavo cenando e ho lasciato papà da solo.-
I ragazzi si scusarono e dopo un altro breve battibecco tra di loro, lo salutarono chiudendo la chiamata. Dave si alzò dalla poltrona, tornò in cucina lanciando uno sguardo di scuse verso il padre, sedendosi di nuovo a tavola.
Quando Kurt e Blaine lo chiamavano, non era mai questione di minuti, ma di ore.
- Erano i tuoi amici di New York?-
Dave scosse il capo.
- Sì e no. Erano Kurt e Blaine… sai i miei amici di Lima.-
Paul annuì sorridendo, ricordava benissimo Kurt.
- Quante cose sono cambiate. Prima lo tormentavi a scuola e ora siete molto amici.-
Il moretto annuì, Kurt era stato la sua ancora di salvezza dopo il suo tentato suicidio, lo aveva aiutato e supportato anche nel momento in cui aveva fatto coming out. Non era stato facile, non era stato piacevole ma sapere che Kurt era lì per lui quando tutti quanti gli avevano voltato le spalle, era per lui più di quanto potesse desiderare.
Per un paio d’anni era convinto di esserne innamorato, innamorato di lui, del suo coraggio, del suo essere così sicuro di sé e fiero di quello che è.
Il pensiero di Kurt e i suoi occhi azzurri vennero sostituiti da un ghigno e da un paio di occhi verdi come smeraldi, le labbra sottili rosee s’incurvarono in un piccolo sorriso, lo stesso sorriso che gli rivolse quel pomeriggio durante il loro piccolo incontro al campo di Lacrosse.
- Dave tutto bene?-
Si riscosse dai suoi pensieri rendendosi conto solo in quel momento di essere rimasto con il trancio di pizza sollevato a mezz’aria. Si affrettò a staccare un morso annuendo mentre masticava. Doveva smetterla di fare quei pensieri, doveva smetterla di pensare a Sebastian Smythe e a quel suo maledettissimo sorriso.
Si ritrovò in camera sotto le coperte, immerso nel buio, lo sguardo perso nel vuoto.
Non riusciva a capire cosa di quel ragazzo, lo aveva sconvolto: il suo modo di fare? Il suo essere così schietto e strafottente? Non aveva avuto paura di esprimere il suo pensiero, ben sapendo che quel gesto poteva anche costargli un viaggetto in Presidenza. Come Matt.
Forse Mike non aveva del tutto ragione, non tutti i ragazzi erano così interessati a tenere il proprio curriculum immacolato, perché da come Sebastian si comportava, sembrava davvero non gli importasse più di tanto.
Non parlò a nessun altro di quella piccola discussione.
Nonostante i pettegolezzi a scuola si fossero diffusi velocemente, nessuno si azzardò mai a fare domande: nè gli insegnanti, né il Preside stesso.
- Non capisco ancora perché non vuoi denunciare il suo comportamento.-
Mike e Dave erano seduti in Sala Professori occupando le poltroncine vicino il caminetto, Dave era sprofondato nella sua, le gambe incrociate, Mike invece era proteso verso di lui, i gomiti poggiati sulle gambe.
- Non ha fatto nulla di male, sono solo un supplente, è normale che reagisca in questo modo. Ed è stato educato.-
Mike scrollò le spalle, continuava a non capire perché Dave fosse così ostinato.
- David non capisci? Ti ha mancato di rispetto.-
Mike continuò dicendo che Sebastian era una sorta di abbonato alla Presidenza, finiva lì dentro almeno un paio di volte la settimana per i motivi più disparati: scherzi ad insegnati o studenti, linguaggio colorito, ed altre cose che Dave già non ricordava più.
In un liceo pubblico, di rado finivi in Presidenza per una cosa del genere. Lui e i suoi compagni della squadra di football lanciavano granite, buttavano i “perdenti” dentro il bidone gigante della spazzatura del parcheggio e mai nessuno li aveva denunciati o mandati dal preside. Doveva ammettere che erano anche bravi loro non farsi beccare. Ora capiva perché Kurt si sentisse così  protetto in quelle quattro mura, le regole comportamentali erano molto più rigide.
- Senti, io devo andare. Ci vediamo dopo ok?-
Mike batté la mano sulla sua spalla sorridendo, poi uscì dall’aula velocemente, chiudendo la porta proprio nell’esatto momento in cui suonò la campanella.
Le lezioni con le altre classi non andavano poi così male, il modo in cui Dave insegnava, la passione che metteva nel suo lavoro, era contagiosa. La maggior parte degli studenti lo avevano preso in simpatia ed il rapporto che cominciava ad instaurarsi con ogni studente, cominciava davvero a gratificarlo.
I laboratori pomeridiani divennero molto più piacevoli e divertenti, quando dopo le prime lezioni di teoria, avevano cominciato a fare qualcosa di pratico.
Avevano cominciato da poco a fare qualche piccola scultura con la pasta di sale ed era quasi difficile non ridere di fronte le “opere d’arte” che venivano fuori.
- L’arte è arte e anche questa sorta di… barboncino… è arte!-
ll proprietario dell’opera tossicchiò.
- Veramente è un albero.-
La classe si aprì ad una risata fragorosa, mentre il ragazzo in questione arrossì fino alla punta dei capelli.
- Smettetela di ridere! La prossima volta vi farò vedere un quadro di Picasso, il qui presente albero/barboncino vi risulterà normale rispetto ai suoi quadri.-
Il ragazzino sorrise riconoscente, tornando a lavorare sulla sua scultura fino alla fine dell’ora. Dave ritornò alla cattedra approfittando del lavoro dei ragazzi per stendere la lezione che avrebbe dovuto fare Venerdì ai ragazzi del terzo anno. Cominciò a pensare che forse nessuno di loro avrebbe portato il tema richiesto, già si era preparato alla marea di scuse che avrebbero accantonato il giorno seguente.  
 

 

- Professore?-
Dave alzò gli occhi dal registro di classe, era giunto finalmente il Venerdì mattina, aveva appena finito di fare l’appello e stava giusto riportando sul registro, gli argomenti che avrebbero trattato quel giorno.
Aveva evitato accuratamente di guardare Sebastian, imponendo al suo sguardo di puntare qualsiasi cosa tranne che il suo viso, cosa piuttosto difficile visto che non era l’unico studente seduto da quella parte dell’aula.
Uno studente aveva la mano alzata e l’aria intimorita, scostò con un gesto del capo il ciuffo di capelli biondi dalla fronte, abbassando la mano quando Dave sorrise lui.
- Ha presente il compito che ci ha assegnato?-
Il moretto annuì lentamente, si stava già preparando a sentire una scusa ben costruita sul perché non avesse svolto il compito.
- Ecco vede, abbiamo fatto una piccola associazione di idee. L’arte è … arte giusto?-
Dave non capiva dove volesse arrivare, annuì di nuovo aggrottando questa volta le sopracciglia.
- E la musica è arte non è vero?-
Altro consenso.
- Bene. Noi abbiamo deciso di svolgere il compito in modo un po’ diverso dal metodo tradizionale. Ci è sembrato di capire che lei è un po’ anticonformista, insomma un prof fuori dalle regole, tipo il professore di Dead Poets Society.-
Dave sorrise per il paragone, si sentì quasi onorato di essere paragonato a Robin Williams, attore che tra l’altro ammirava moltissimo. Dead Poets Society, tra l’altro, era uno dei suoi film preferiti.
Cominciò a sentirsi una sorta di John Keating futurista, sebbene più giovane e forse più grasso. Cominciò a chiedersi se era il caso di salire su una cattedra e urlare: Oh capitano mio capitano!
Il suo pensiero andò a Blaine, Kurt spesso lo prendeva in giro dicendo che quando era nei Warblers e cantava o si esibiva, saliva su qualunque pezzo di mobilio gli capitasse a tiro. Dal semplice tavolinetto da thè, alle poltrone in pelle. Scacciò la visione di Blaine che saltellava come un pazzo sulla poltrona dell’aula canto della Dalton, tornando a concentrarsi sul biondino di fronte a lui.
- Lei è… Jeff Sterling giusto?-
Il ragazzo annuì.
- Abbiamo deciso di lavorare su un quadro diverso da quello proposto da lei, spero non sia un problema.-
Dave scosse la testa, era piuttosto stupito che avessero preso un’iniziativa del genere.
- Ehm… ok va bene. Vi lascio carta bianca. Basta che non mi facciate salire sulla cattedra, non credo possa reggere il mio peso!-
Si levò una piccola risata, Jeff sorrise al professore alzandosi in piedi e facendo cenno anche ai suoi compagni di fare lo stesso. I ragazzi spostarono i banchi accantonandoli contro il muro dell’aula insieme alle sedie, poi un gruppetto più piccolo si mise al centro, Dave notò che anche Sebastian prese posto in mezzo a loro, era al fianco di Jeff, ma al contrario degli altri membri, fece un passo avanti.
- Bene, lei ci ha chiesto cosa suscita in noi il quadro di Thomas Cole. -
Questa volta fu Sebastian a parlare, Dave non poté non alzare lo sguardo verso di lui. I loro occhi s’incontrarono e di nuovo sentì quel senso di disagio impossessarsi di lui, sembrò che Sebastian lo stesse spogliando con gli occhi.
- Non siamo molto bravi a parole, ma siamo molto bravi a cantare.-



Ok ok ce l'ho fatta! Intanto finisco di lavorare al capitolo 3! 
Comunque sia devo ringraziare voi che avete recensito perchè davvero, mi date coraggio. 
Ringrazio Dave per il supporto morale fisico mentale... se non fosse per te questa FF non esisterebbe *O*
Ringrazio la mia adorata nipote Trucy
La mia adorata moglie Tomoyo ( leggi e commenta donna u.u <3 )
Ringrazio tutti voi che avete letto e che avete messo la storia tra le seguite.
Se vi va lasciatelo un commentino :) mi rendereste davvero felice!

   
 
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