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Autore: Essemcgregor    10/04/2012    6 recensioni
Smythofsky Student/Teacher.
David Karofsky non avrebbe mai creduto un giorno di ritrovarsi dietro una cattedra ad insegnare in una scuola privata maschile, soprattutto non pensava di poter insegnare in QUELLA scuola.
E proprio lì, nella prestigiosa Dalton Accademy, incontra Sebastian Smythe, studente non proprio modello.
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Dave Karofsky, Sebastian Smythe, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Coming Back Home 



David Karofsky non aveva previsto nulla del genere per la sua vita, da giocatore di Football ad insegnante di una scuola privata. Aveva riscoperto il suo amore per lo studio non appena aveva messo piede all’Università, nonostante avesse avuto la sua opportunità di sfondare come giocatore di football, scelse di continuare a studiare, rimandando sempre quella scelta di accettare o meno, le offerte che gli venivano fatte da varie squadre di football.
Alla fine dell’Università, non aveva ancora fatto una scelta, aveva solo deciso di tornare a Lima, rivedere suo padre e prendersi del tempo per pensare al suo futuro. Decise di riporre la divisa della squadra di football dell’Università, insieme alla divisa di football del McKinley, il liceo da cui scappò al suo secondo anno, che al momento si trovava in un baule dentro l’armadio cabina.
 Una smorfia comparve sul suo volto ritrovandosi di nuovo di fronte quell’antro scuro, cercò di non alzare gli occhi al soffitto, raggiungendo con due falcate, il baule infondo, era ancora traumatico per lui rientrarvi, nonostante fossero passati anni dal suo tentato suicidio.
Prese il baule per una manica e lo trascinò fino al centro della stanza aprendolo lentamente: la sua vecchia divisa di football era riposta ben piegata al suo interno. Prese il casco rosso e bianco passando la mano sulla superficie semi ruvida, tastandone ogni piccola crepa o ammaccatura, sorridendo quando la sua mente tornò indietro a quei giorni.
Il numero 67 spiccava sulla maglia rossa, stesso numero che aveva richiesto per la sua divisa all’università: ne guardò il casco blu e giallo posato accanto a lui sul letto, accarezzando il fianco dove spiccava la testa di un’aquila. Sobbalzò quando sentì la sua porta aprirsi di scatto, il casco scivolò dalle mani ruzzolando fino all’ingresso.
- Mi hai spaventato.-
Un uomo dai capelli brizzolati, sorrise, ricambiando lo sguardo del giovane.
- Perdonami, non era mia intenzione. Che stai facendo?-
Il ragazzone scrollò le spalle, si alzò per raccogliere il casco riponendolo poi nel baule, insieme al resto della divisa.
- Ti manca New York?-
Dave scrollò le spalle sedendosi di nuovo sul letto, era tornato da poco e in quel momento sinceramente non aveva voglia di parlarne, ma poiché suo padre, al suo contrario, ne aveva voglia, dovette cedere e cercare di sforzarsi. L’uomo lo raggiunse sedendosi sulla poltrona di fronte, appoggiando i gomiti sulle gambe.
- Non lo so. Credo di sì, mi mancano i miei amici, tutto sommato mi ero costruito una vita lì.-
Suo padre annuì.
- 5 anni sono un bel lasso di tempo.-
Annuì tristemente, in cinque anni molte cose erano cambiate. I suoi genitori si erano infine lasciati, sua madre non riusciva ad accettare di avere un figlio gay: dal giorno del tentato suicidio, tutto era cambiato. Aveva cambiato di nuovo scuola, anche se per un ultimo anno, si era tenuto lontano dai guai, non aveva stretto amicizia con nessuno, limitandosi a giocare a football accettando ogni tanto di uscire con le ragazze che glielo chiedevano, trovando sempre più squallido doverle baciare a fine serata.
L’anno passò in fretta, si diplomò con voti semi-decenti, facendo poi richiesta ad una delle tante università di New York, stupendosi poi, quando era arrivata la lettera con risposta positiva alla sua domanda.
- A cosa pensi?-
Paul Karofsky aveva imparato a guardare suo figlio, ad interpretare ogni singola espressione del suo viso, viveva con la perenne ansia che potesse compiere di nuovo quel gesto: perciò quando vide l’espressione pensierosa sul suo viso, decise di indagare.
- A nulla papà. È che tutto è di nuovo cambiato. Ho finito l’Università e … sinceramente non so cosa fare del mio futuro.-
Entrambi rimasero in silenzio, Dave abbassò lo sguardo torturandosi le mani, in quei cinque anni era stato assalito dai sensi di colpa: aveva lasciato suo padre da solo in un momento piuttosto delicato. Ricordò come in quei giorni, la scelta di partire era stata la più semplice: allontanarsi da sua madre, non dover sopportare il suo sguardo accusatorio ogni giorno, non dover più supportare le sedute dallo psicologo. Tutto si era risolto andando a New York.
- Ho una buona notizia per te. O almeno credo che lo sia.-
Il ragazzone lo guardò inarcando un sopracciglio.
- Ti ho trovato un lavoro.-
Annuì lentamente, suo padre gli aveva trovato un lavoro. Sospirò, non era stata di certo la miglior mossa di suo padre, dopotutto era tornato solo per schiarirsi le idee e di certo non per trovare un lavoro che lo tenesse inchiodato lì. Paul inclinò la testa di lato, quasi intuendo i suoi pensieri.
- Non è un lavoro fisso, ho pensato però che ti sarebbe piaciuto stare qui con il tuo vecchio, ancora per un po’.-
Dave fece cenno di continuare, mentre aggrottava le sopracciglia.
- Ti ricordi della Dalton Academy?-
Il ragazzo ebbe quasi un sussulto, come poteva scordare quella scuola? La scuola dove Kurt si era rifugiato per sfuggire a lui e ai suoi ex compagni della squadra di football.
Un piccolo sorriso amaro comparve sul suo volto: nonostante fossero passati degli anni, nonostante lui e Kurt ora fossero grandi amici, erano ricordi che ancora bruciavano. Ricordi del vecchio se stesso con i quali non ancora riusciva a convivere. Kurt aveva intrapreso una brillante carriera a Broadway, coronando quindi il suo sogno, ogni tanto veniva preso come protagonista o co-protagonista o personaggio secondario per qualche film, spesso musical, per via della sua voce così particolare.
Kurt era stato un ottimo amico, ed è stato grazie a lui se quei cinque anni a New York, erano stati i più belli della sua vita. Il suo rapporto con Blaine andava a gonfie vele, tanto che i due si sarebbero sposati l’anno seguente. Blaine dopo anni di tentennamenti, si era finalmente deciso a fargli la fatidica domanda, con tanto di anello comprato da Tiffany. 
- Cercano un supplente per Storia dell’Arte e ho pensato a te.-
Nonostante fosse quasi sicuro che ciò che aveva studiato all’università fosse più che sufficiente per un liceo, non riuscì a non pensare a come lui potesse improvvisarsi insegnante. Non ci si era mai visto, anzi al liceo non aveva un buon rapporto con il corpo docente, a parte i docenti di educazione fisica.
- Papà io come insegnante… non sono sicuro.-
Paul si alzò dando una piccola pacca sulla spalla del figlio.
- Pensaci ok? Si tratta solo di pochi mesi, giusto il tempo che la professoressa esca dalla maternità, poi potrai tornare a New York.-
Quando Dave alzò lo sguardo, suo padre aveva già lasciato la stanza, lasciando la porta aperta. Si stupì di come suo padre riuscisse a capire immediatamente cosa stesse pensando, notò però la piccola nota di amarezza che accompagnarono le sue ultime parole. Deglutì alzandosi, spingendo poi il baule dentro l’armadio, con un calcio. Quando chiuse le ante in legno alle sue spalle, sospirò: non aveva molte alternative, aveva comunque deciso di rimanere a Lima per un po’, tanto valeva occupare quel periodo di tempo facendo qualcosa di utile.
 



La Dalton Academy era una scuola privata maschile, tra le più prestigiose dell’Ohio. Non ci aveva mai messo piede, ma da quello che diceva Kurt, era tutta un’altra storia rispetto al McKinley. Lo studio era preso seriamente, e la preparazione era superiore rispetto a qualsiasi scuola pubblica. Per quel motivo Dave era leggermente intimorito, la sua preparazione sarebbe stata sufficiente per una scuola di quel livello?
L’attuale Preside era un caro amico di suo padre, motivo per il quale era riuscito a fargli ottenere quel piccolo posto.
Si sistemò meglio la cravatta che portava attorno al collo, la allentò un poco, per evitare di sentirla troppo stretta, sfiorando la piccola cicatrice poco sotto l’orecchio. Deglutì lanciando uno sguardo alla segretaria che stava riordinando dei fogli sulla sua scrivania: gli aveva detto che il Preside lo avrebbe ricevuto il prima possibile.
Quando la porta di legno si aprì, si aspettò di vedere l’uomo andargli incontro, invece notò due ragazzi uscire dalla porta, uno di loro sbuffava, l’altro invece aveva le mani in tasca e l’aria annoiata.
Entrambi passarono di fronte a lui, il primo non lo degnò di uno sguardo, il secondo invece rallentò il passo per lanciargli un’occhiata: i suoi occhi verdi indugiarono su Dave, dapprima si fissarono sul suo viso, poi passarono ad esaminarne l’intera figura. Il ghigno che comparve poi sul suo volto, lo mise a disagio.
Dave sostenne quello sguardo finché il ragazzo non lo oltrepassò, notò soltanto che era leggermente più alto di lui, e sicuramente più esile.
- Signor Karofsky!-
La voce del Preside lo fece sobbalzare, sembrava quasi che fosse tornato al liceo, si aspettava di ritrovarsi di fronte al Preside Figgins, che lo rimproverava per qualcosa che aveva fatto, o che si lamentava per il suo scarso rendimento scolastico.
Invece dell’uomo Indo-Americano, di fronte a lui vi era un uomo alto, i capelli ormai bianchi erano pettinati con un’ordinata riga a un lato, i suoi occhi azzurri accompagnarono il suo sorriso mentre mosse un passò verso di lui. Allungò la mano stringendo poi quella di Dave, vigorosamente, mentre lo invitava ad entrare.
- Mi chiamo Edward Williams.-
Dave entrò nella grossa stanza memorizzando il nome dell’uomo: la Presidenza era stata ricavata usando una delle enormi stanze di quell’antico edificio, le pareti erano piene di affreschi che potevano benissimo risalire al dopoguerra.
- Allora, suo padre mi ha mandato il Curriculum, devo dire un curriculum di tutto rispetto.-
Un leggero rossore comparve sulle sue guance, non ne era proprio convinto, ma sorriso comunque al suo complimento.
- Come ben sa dovrete sostituire l’insegnante di Storia dell’Arte, ha finalmente avuto un bambino, quindi per qualche mese sarà in maternità.-
L’uomo cominciò a frugare tra i cassetti, sbuffò quando non trovò cosa stava cercando e seccato chiamò la sua segretaria.
- Questa scuola è molto antica, da generazioni istruiamo i ragazzi preparandoli ad un’eventuale vita universitaria o lavorativa.-
S’interruppe quando la segretaria entrò reggendo in mano una cartellina, la posò sulla scrivania del Preside ed andò via salutando con il lieve cenno del capo. Tutto in quella scuola sprizzava snobismo da tutti i pori.
- Per questo motivo mi aspetto che la vostra preparazione corrisponda ai requisiti che troverà in questo fascicolo. Suo padre mi ha detto in quale Università ha studiato, perciò non dovrebbe avere problemi. In questa cartella troverete il programma e il regolamento. La mia segretaria le mostrerò la scuola, le farà conoscere il corpo insegnanti e le mostrerà la classe dove terrete lezione.-
Poche parole furono dette prima che i due si separassero. Prima di andare via, Dave strinse vigorosamente la mano del Preside, ringraziandolo ancora una volta per quell’opportunità ed uscì dalla stanza velocemente.
Fuori la porta lo attendeva la donna che prima aveva portato dentro la cartellina, mosse la testa in un breve cenno mentre le labbra si stiravano in un piccolo sorriso.
- Venite, vi mostrerò la scuola. Ah mi chiamo Penny Miller, piacere di conoscerla.-
La mano di Penny era sottile, ma dalla stretta vigorosa, Dave era quasi sicuro che avesse sulla quarantina d’anni: i suoi capelli biondi erano stretti in uno chignon, la frangia era acconciata con un elegante ciuffo laterale.
Il suo abbigliamento era classico, un tailleur nero con camicia bianca, le scarpe erano nere come l’abito, rigorosamente con il tacco. Più che una segretaria sembrava una donna d’affari Newyorkese, come quelle che vedeva di continuo a bordo di Taxi o lungo la strada, sempre attaccate al cellulare.
La visita cominciò dalle aule del primo piano, ogni aula aveva la porta socchiusa. Dave sbirciò al loro interno di tanto in tanto: gli studenti erano seduti composti al loro posto, alcuni che seguivano sul libro, altri invece che prendevano appunti, l’unica voce che si poteva udire era la voce del professore. Di tanto in tanto sentiva gli studenti ridere ad una battuta appena fatta, o intervenire educatamente quando dovevano chiedere spiegazioni o fare delle domande sull’argomento. Evitò di rimanere a bocca aperta, Kurt aveva ragione, non esagerava affatto nel descrivere la Dalton.
- Questa è la caffetteria, aperta a pranzo e aperta anche a cena per i ragazzi che sono in dormitorio.-
Ricordava quel piccolo particolare, se non andava errato, Kurt anche usufruiva del dormitorio.
La caffetteria era vuota, eccezion fatta per un paio di insegnanti che a quanto pare avevano un’ora buca, entrambi sostavano al bancone mentre tenevano in mano una tazza di caffè.
La segretaria lo condusse verso i due uomini, zigzagando tra gli eleganti tavoli in legno già apparecchiati per il pranzo.
- Signori posso presentarvi il signor Karofsky?-
Penny si era intromessa educatamente nella discussione dei due uomini, indicando poi Dave che li salutò timidamente con un gesto del capo. I due uomini si guardarono curiosi, entrambi potevano avere sui trent’anni se non di più.
- Simon Martinez, insegnante di spagnolo, piacere di conoscerti.-
Spagnolo, di colpo gli venne un piccolo flash del professor Schuester, sorrise cordialmente e strinse lui la mano.
- Io sono Mike Coleman.-
Simon era poco più basso di lui: i tratti ispanici e il colore della pelle della stessa tonalità della pelle di Santana, Mike invece era castano, gli occhi marroni e l’aspetto simile ad un modello della Calvin Klein.
Cominciò a sentirsi a disagio, tutto in quella scuola sembrava perfetto: dagli insegnati al corpo studentesco.
Spostò il peso da un piede all’altro sorridendo timidamente e rispondendo poi alle cortesi domande dei due, notò il loro sguardo sorpreso quando disse loro di essersi laureato da poco e di avere solo 25 anni. Probabilmente non lo credevano all’altezza del compito.
Penny diede due colpetti al suo orologio con il dito, facendogli segno di tagliare corto, Dave si affrettò a salutarli e la seguì fuori dalla caffetteria.
Seguì poi la sala insegnanti, la sala lettura, la biblioteca, l’aula canto ( usata per la maggior parte dai Warblers, il Glee della scuola ) e la sala riunioni.
Uscirono poi fuori per raggiungere i dormitori, che guardò solo dall’esterno, recandosi poi nei complessi sportivi della scuola: avevano un campo da football regolamentare, un paio di campi da tennis, ed una palestra dove facevano bella mostra, due canestri ai lati del campo.
- Lì dietro c’è la palestra, di solito la usano i ragazzi della squadra di football e basket. Bene, penso che tu abbia fatto il giro completo.-
Dave si passò una mano sulla barba lasciata incolta, si annotò mentalmente di radersi per il giorno dopo. Seguì la donna che prese a camminare velocemente lungo la strada da dove erano venuti.
- Dove si trova l’aula dove svolgerò lezione?-
La domanda gli uscì con voce flebile, come se avesse paura di farle una qualsiasi domanda, per quanto lei stessa lo avesse incoraggiato a farle, in caso ne avesse avuto bisogno.
- Piano terra, seconda aula da inizio corridoio.-
La visita si concluse poco dopo, venne accompagnato all’ingresso e dopo un breve ma cordiale saluto, rimase di nuovo solo. Sentì il suono della campanella riecheggiare nell’edificio, il rumore di passi annunciò lui che la mattinata di lezione era giunta al termine e prima che qualche studente potesse vederlo, si avviò velocemente alla macchina per tornare a Lima.
Non si era accorto che uno dei tanti studenti della scuola, aveva osservato la scenetta con un piccolo ghigno sul volto.
 


 
- Seconda aula a partire da … da dove comincia il corridoio?-
La campanella era suonata da qualche secondo, gli studenti si affrettarono a raggiungere le aule, lasciando Dave solo nel bel mezzo del corridoio, mormorando maledizioni sotto voce.
Non ricordava quale fosse la sua aula, ricordava solo che era la seconda aula. Prese un grosso respiro avviandosi deciso verso la seconda aula a partire da inizio corridoio, così come lui ricordava, sperando di ricordare bene.
Aprì la porta velocemente, sbiancando quando vide l’aula piena, ed un uomo che aveva appena posato la sua borsa sulla cattedra.
- David, giusto?-
Qualche secondo più tardi, Dave si accorse che l’uomo in questione era Mike Coleman, uno degli insegnanti conosciuto il giorno prima. Annuì lentamente mormorando qualche scusa, mentre sentiva gli occhi di tutti puntati su di lui.
- Aspetta.-
L’uomo si rivolse poi agli studenti, dicendo loro di prendere il libro e andare a pagina 30.
- Scusami, stamattina non sapevamo come avvertirti, abbiamo fatto un piccolo scambio di aule, tu adesso hai la terza aula, questa qui affianco insomma.-
Dave sospirò, allora non si era ricordato male, annuì ringraziando il professore dirigendosi velocemente nell’aula indicatogli aprendo poi la porta e chiudendole alle spalle lentamente.
- È stato un piacere, David.-
Mike rimase fermo in mezzo al corridoio con un piccolo sorriso sul volto, aspettò che Dave chiudesse la porta e tornò in aula dai suoi studenti.
- Buongiorno.-
I ragazzi si alzarono di scatto non appena video Dave entrare in aula, gesto che lo fece sobbalzare. Da quando in qua gli studenti si dovevano alzare appena entrava un insegnante in classe? Al McKinley era già tanto ottenere un semplice “Buongiorno”, figurarsi farli alzare tutti in quel modo.
- Buongiorno. Come sapete sono il supplente di Storia dell’Arte e…-
Non fece in tempo a finire la frase che notò qualcosa sulla sedia dietro la cattedra. Un piccolo sorriso comparve sul suo volto, anche a distanza di anni, conosceva ancora i trucchetti e tutti gli scherzetti che gli studenti si divertivano a fare agli insegnanti, soprattutto ai supplenti.
- Mi chiamo David Karofsky, ma preferisco che mi chiamate David, non sopporto che mi si chiami per cognome.-
Girò attentamente attorno alla cattedra, esaminandone la superficie e notando quale e là alcune chiazze di quello che poteva essere benissimo saliva.
- Cercherò di seguire alla lettera il programma di studi che mi ha lasciato la vostra insegnante, ma prima di parlare di quello che faremo insieme in questi mesi, vorrei che qualcuno si alzasse per pulire la cattedra. Grazie!-
Indicò la superficie con la mano per poi riprendere il suo giro. Due studenti del primo banco si alzarono e prese due pezze e una bottiglietta di alcool da dentro un piccolo armadietto all’angolo dell’aula, cominciarono a pulire.
- Se potete anche togliere la gomma da masticare che avete messo sulla sedia…. Grazie.-
Gli sguardi degli studenti si fecero sempre più stupiti, di sicuro erano abituati ad avere a che fare con poveri insegnati che si lasciavano ingannare facilmente dalle finte facce d’angelo di ognuno di loro.
Quando fu sicuro di essere immune da ogni tipo di pericolo o scherzetto, prese posto dietro la cattedra, aprendo la sua borsa e cacciando il registro che aveva preso quella mattina dalla sala professori.
Cominciò a fare l’appello, ogni studente rispondeva con un secco “presente”, alzandosi e sedendosi velocemente.
Alla voce Smythe Sebastian, un ragazzo dai curati capelli castani si alzò velocemente, mormorò un udibile “presente” e tornò velocemente al suo posto. Dave osservò il piccolo ghigno che aveva sul volto, lo stesso ghigno del ragazzo incontrato il giorno prima in Presidenza.
Continuò l’appello cercando di non pensarci, forse si era sbagliato. I suoi occhi schizzarono più volte verso il ragazzo, che da quando era stato chiamato, non aveva spostato il suo sguardo da lui.
Si sentì travolto da quello sguardo, mentre lentamente, affogava nel verde dei suoi occhi che colpiti dal sole, sembravano smeraldi.
- Qualcuno mi può dire fino a che punto del programma siete arrivati?-
 


 
Il programma seguito dall’insegnante era piuttosto semplice, almeno per lui. Decise di partire direttamente dall’arte del 1800, seguendo poi il piano di studi che l’insegnante aveva prefisso per la classe.
Aprì la cartellina che conservava in borsa dal giorno prima, sostanzialmente il corso era seguito dai Junior e dai Senior motivo per il quale non aveva un gran lavoro da fare, escludendo poi il laboratorio di Arte che teneva tutti i pomeriggi agli studenti degli altri anni.
Alla fine della lezione pensò di aver catturato abbastanza l’interesse degli studenti, perlomeno li aveva visti attenti mentre mostrava loro alcune diapositive preparate il giorno prima,  per introdurre il primo argomento che avrebbero trattato in quella settimana.
Oltre la sua voce si poteva sentire solo la ventola del suo MacBook e la ventola del proiettore, da parte degli studenti non proveniva neanche un mormorio.
A parte lo studio della corrente artistica, ci teneva a soffermarsi su alcuni esponenti della suddetta corrente ed esaminarne alcuni dipinti, ricordava quanto adorasse quella parte della lezione, e sperava di trasmettere lo stesso entusiasmo ai ragazzi seduti sui quei banchi.
Finita la lezione, osservò i ragazzi sfilargli davanti uno per uno, mentre mormoravano un saluto. Sebastian Smythe fu l’ultimo ad uscire, si era attardato e rimase nella classe fino a che non uscì anche l’ultimo studente. Camminò lentamente verso la cattedra, lanciò uno sguardo penetrante al neo insegnante e andò via con il suo solito ghigno divertito sul volto.
Dopo quella lezione non aveva altro fino al pomeriggio, perciò ne approfittò per rifugiarsi nella Sala Insegnanti, sperando di togliersi di dosso quella strana sensazione di disagio dovuto allo sguardo lanciatogli da Smythe.
- David! Com’è andata?-
Il ragazzo sobbalzò quando sentì la voce di Mike, si accorse un secondo dopo che era fermo accanto a lui. Si alzò di scatto scusandolo per non averlo visto, fece poi un piccolo sorriso nervoso prima di tornare a sedersi con calma.
- Scusami ero talmente immerso nei miei pensieri che non ti ho sentito entrare.-
L’altro rimase dapprima stupito dalla sua reazione, poi sorrise in risposta, prese posto nella sedia accanto alla sua.
- Come ti sei trovato? Non sono poi così male no? Di sicuro meglio di un qualunque liceo pubblico.-
Dave annuì lasciandosi andare ad una risata.
- Ho frequentato il liceo pubblico e concordo con te, qui sembra tutto così diverso, ma credimi sotto quella faccia da angelo, si nascondono dei diavoletti.-
Mike puntò i suoi occhi castani in quelli verdi di Dave, appoggiò il mento tra le mani ascoltandolo interessato.
- Cosa ti hanno fatto?-
Dave scrollò le spalle con un sorriso, non riuscì a sostenere lo sguardo del professore, così decise di spostarlo sulla pianta all’angolo della Sala.
- Nulla di che, gomma da masticare sulla sedia, cattedra sporca di qualche sostanza che non ho capito cosa fosse… insomma i soliti scherzetti che si fanno ai supplenti.-
Le labbra dell’uomo si strinsero in una smorfia.
- Puoi sempre punirli sai?-
Dave scosse la testa.
- Non è di certo il miglior modo per ingraziarmeli e poi me ne sono accorto in tempo, quindi nessun problema.-
La parola “punizione” era una sorta di scherzo per gli studenti delle scuole pubbliche, le poche volte che lui era stato in punizione, era rimasto chiuso in un aula a fare assolutamente niente: l’insegnante leggeva il giornale e gli studenti in punizione chiacchieravano tra loro o dormivano sui banchi.
- Qua le punizioni sono piuttosto temute, avere un brutto voto alla Dalton o avere la fedina macchiata, potrebbe essere un problema per l’ammissione all’Università, per non parlare del lavoro. Ogni singola cosa avvenuta qui dentro, è riportata sul curriculum.-
Quella prospettiva non era poi così grave da come la vedeva Dave, ma immaginava che per gli altri studenti invece lo fosse. Rimasero entrambi alcuni secondi senza parlare, Mike teneva lo sguardo fisso su Dave, quasi aspettandosi di sentirlo parlare. Il suono della campanella fece sobbalzare entrambi, Mike si riscosse alzandosi in piedi, prese la sua borsa posata a terra e lanciò un altro sguardo al collega.
- Senti hai da fare per pranzo? C’è un ristorante qui vicino, non si mangia niente male e di solito alcuni di noi vanno lì per pranzo.-
L’idea di pranzare in un ristorante lo allettava, per quanto trovasse interessante il menù della scuola, provava uno strano senso disagio a sedere al tavolo con altri professori che non conosceva, sotto lo sguardo curioso dei ragazzi della scuola.
- Sì certo, mi farebbe molto piacere.-
Si alzarono insieme e si diressero verso l’uscita della saletta, quando sentì la mano dell’uomo posarsi sulla sua spalla in modo amichevole, ebbe quasi un sussulto. Lasciò correre dirigendosi in fretta verso l’ingresso di scuola, dove li aspettavano Simon, l’insegnante di Spagnolo, ed altri due uomini più vecchi sia di Simon che di Mike.
Le presentazioni avvennero strada facendo, a causa però della sua reticenza a parlare alla presenza di estranei, passò l’ora pranzo quasi in silenzio, rispondendo solo alle cortesi domande di Mike e Simon che cercavano in tutti i modi di integrarlo nel gruppo.
 


 
Era ora di cena quando Dave tornò a casa. Aprì stancamente il portone, rimanendo piacevolmente sorpreso di sentire odore di pollo fritto, provenire dalla cucina. Abbandonò la propria borsa sul divano, raggiungendo in fretta la cucina dove suo padre stava finendo di friggere le ali di pollo.
- Ah sei tornato!-
Paul pulì le mani sul grembiule che aveva indosso, sorridendo al figlio e mostrando con un gesto, il piatto pieno di ali fritte e l’altro pieno di patatine.
- Papà vuoi farmi morire annegato nel fritto?-
Si abbandonò ad una risata, suo padre non era mai stato un asso in cucina da quello che ricordava, ma da quando la moglie l’aveva lasciato, si era dovuto adoperare come poteva per riuscire a sopravvivere e non andare avanti a cibo precotto o fast food.
Mosse i primi passi in cucina avvicinandosi alle alette, inspirandone il profumo, sembravano deliziose.
- Sono sorpreso, non hai ancora messo fuoco alla casa!-
Paul guardò il figlio fintamente offeso, poi spostò i due piatti sul rotondo tavolo in legno, già apparecchiato. Lanciò un’occhiata al piccolo televisore acceso, sintonizzato sul telegiornale locale, si sedette a tavola e aspettò che anche suo padre facesse lo stesso, Dave aprì poi due bottiglie di birra, ne passò una a suo padre, facendole sbattere delicatamente tra di loro.
- Brindiamo a te Dave, a questo nuovo lavoro…-
Dave sorrise a suo padre mentre sentiva i suoi occhi riempirsi di lacrime, non era più il ragazzino del liceo che gettava granite in faccia agli studenti che riteneva perdenti, non era più il ragazzo che cercava di nascondere al mondo intero chi fosse veramente.
- Io brindo a noi, papà.-
Ancora una volta le due bottiglie di birra cozzarono tra di loro, mentre padre e figlio si sorrisero, erano rimasti soli, da soli contro il resto della famiglia che come sua madre, non potevano accettare di avere un nipote gay.
Finita la cena Paul non volle sentire ragioni, spedì Dave al piano di sopra a farsi una doccia e rilassarsi, dopo tutto aveva dovuto sopportare anche un’ora di viaggio per tornare a casa e sicuramente era stanco.
Quando uscì dalla doccia, sentiva ancora vaghi rumori provenire dalla cucina, segno che suo padre non ancora aveva finito di lavare i piatti. Prese il suo iPhone indeciso, da quando era tornato voleva fare una chiamata, il suo dito passò sullo schermo touchscreen scorrendo la rubrica in cerca di un numero in particolare. Premette il tasto verde sullo schermo e portò il telefono all’orecchio.
- Sì?-
La voce di Kurt risuonò allegramente, in sottofondo si sentiva il rumore del traffico di New York.
- Hey Kurt!-
- Dave! Allora come va? Non ti ho più sentito da quando sei partito.-
Il moro sorrise passandosi una mano sul viso, si stese sul letto sospirando.
- Sono passati solo due giorni da quando sono tornato! Sei troppo apprensivo.-
Sentì qualcuno parlare in sottofondo, poi di nuovo la voce seccata di Kurt.
- Blaine ti saluta, era in pensiero anche lui.-
- Che cosa carina, digli che per qualche mese sarò il supplente di Storia dell’Arte alla Dalton.-
L’urlo di Kurt spaccò quasi i timpani a Dave che dovette spostare il telefono dall’orecchio, mentre strizzò gli occhi con una smorfia fino a quando l’urlo non finì.
- E quando ce lo avresti detto???-
Sentì poi Kurt dirlo a Blaine, l’urlo del riccio arrivò fino a lui, anche se meno acuto e sonoro come quello di Kurt. Seguì un piccolo battibecco, fino a che Blaine non prese possesso del telefono.
- Ciao D! Allora com’è la Dalton? Come ti trovi? Raccontami tutto.-
Dave sorrise, cercò di descrivere brevemente com’era stato il suo primo giorno, interrompendosi quando sentiva Blaine e Kurt battibeccare per il possesso del telefono.
- Grande sono felice per te! Senti ti passo di nuovo Kurt prima che mi uccida per riavere il telefono.-
Si salutarono velocemente poi la voce di Kurt trillò di nuovo nel telefono.
- Allora! Ci sono insegnanti carini? Hai già un appuntamento con qualcuno?-
Altro sospiro.
- Sì ci sono insegnanti carini e no, non ho appuntamento con nessuno, oggi è stato il primo giorno di lavoro e malapena ne conosco un paio. Non so neanche se giocano nella nostra squadra.-
S’interruppe pensando a Mike, al modo in cui aveva posato la mano sulla sua spalla, stringendola delicatamente, all’ora di pranzo in cui non aveva fatto altro che parlare con lui. Non voleva interpretare male le sue attenzioni, forse era solo stato gentile, doveva averlo visto spaesato e voleva aiutarlo. Annuì fortemente a quel pensiero, ignorando per un attimo le continue domande di Kurt.
- Non ti preoccupare per me, io sto bene.-
L’altro fece una piccola pausa, in cui si sentì soltanto il rumore del traffico e il chiacchiericcio intorno a loro.
- Sai che Matt …-
Dave deglutì, non aveva più sentito Matt, il suo primo ed unico ragazzo avuto a New York, anzi il suo primo e unico ragazzo assoluto.
- Sì … so che si sta vedendo con un altro.-
Altra pausa.
- Sei tornato a casa anche per questo motivo?-
- No. Sono tornato perché volevo farlo, sono tornato per mio padre soprattutto.-
Non c’era bisogno di spiegare il motivo, Kurt e Blaine sapevano benissimo cosa era successo tra suo padre e sua madre.
- Ok… senti se hai voglia di parlare chiamami a qualunque ora, ok? Noi ora dobbiamo andare o perdiamo l’aereo.-
Il moro sgranò gli occhi mettendosi a sedere.
- L’aereo?-
Kurt ridacchiò.
- Io e Blaine abbiamo avuto una piccola parte in un telefilm, facciamo dei personaggi secondari, ma è sempre meglio di niente no?-
Dave sorrise.
- Sono felice per voi ragazzi, i vostri sogni si stanno realizzando.-
- Vedrai che anche i tuoi si realizzeranno Dave… adesso ti lascio, ci sentiamo domani al massimo ok? Ti chiamerò da Los Angeles!-
Chiuse la chiamata qualche secondo dopo, il sorriso era scomparso e al suo posto comparve una piccola smorfia di dolore. Sapeva che Matt lo aveva lasciato nel momento stesso in cui aveva deciso di tornare qualche mese in Ohio, ma sentirsi confermare da Kurt i suoi sospetti, lo aveva distrutto.
Strinse il cuscino tra le braccia abbandonando il suo iPhone sul comodino, avrebbe dovuto lavorare sulla lezione che doveva fare il giorno dopo, ma in quel momento non ce la faceva proprio.
Chiuse gli occhi cercando di allontanare quello strano senso di malessere che si stava annidando dentro di lui, sapeva benissimo che Matt non era il ragazzo per lui. Quante volte Kurt e Blaine gliel’avevano detto? Quante volte si era ritrovato a piangere sul letto per qualcosa che Matt aveva fatto o detto?
Scacciò quei pensieri sperando che anche quella notte le lacrime portassero via almeno una parte di quel dolore, insieme a quei ricordi che a fatica riusciva a scacciare dalla sua mente. 




Non ho una beta... perciò perdonate i miei errori di battitura grammaticali ecc ecc. 

Dedico la FF ai ragazzi del NY, grazie vi giuro ogni giorno mi date davvero tanto,

e al Dave del mio Seb. Per le serate demenziali a parlare di tutto e niente e al tuo incoraggiamento. 

Grazie a tutti voi che leggerete e che recensirete :)

SMYTHOFSKY RULEZ!
   
 
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