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Autore: LadySherry    15/04/2012    3 recensioni
« Ci sono due cose che ho imparato da quando sono qui. La prima: mai fidarsi degli estranei. La seconda: mai fidarsi di Bill Kaulitz.»
(...)
«Ma tra il bivio del prendere o lasciare, avevo deciso di prendere.»
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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14 capitolo.

 

Okay, lo ammetto.

Sono momentaneamente attratta, almeno in parte, da Tom.

Ma solo perchè adesso andiamo decisamente più d' accordo di prima, e non in quel senso, gente.

No, o per lo meno non sono i livelli delle ragazzine urlanti là fuori.

La palazzina era piena e il backstage pullulava di tecnici da tutte le parti. Gente che va e che viene...se ne vessi la possibilità, scapperei all' istante.

Sento una mano picchiettarmi la spalla, mi volto e un Tom tutto sorridente mi si presenta davanti, con le braccia incrociate al petto.

«So che muori dalla voglia di scappare, ma almeno evita di farti vedere. Non voglio passare i prossimi venticinque anni a spiegare al mondo che tu non stai con nessuno di noi quattro, anche se immagino che la gente partirà dal presupposto che tu sia la ragazza di Hagen».

«Ma lei è bionda» sbuffai.

«Loro non lo sanno. Ora, per favore, potresti fare un paio di passi indietro?».

Effettivamente, lui se ne sta appoggiato a un muretto ad almeno sei metri da me, mentre io, senza neanche accorgermi, sto per finire sul palco.

Faccio quei quattro passi indietro, il doppio di quelli richiesti d Tom. Giusto per stare sicura che non mi vedano.

«Brava» si complimenta, annuendo.

«Grazie. Ti serve qualcosa?».

«Sì, mi chiedevo dove fossero finite le mie chitarre» sbuffò, fissandomi.

Il cuore comincia ad accelerare più del solito, più del dovuto.

Le chitarre?

«Non lo so. Di solito non le lasci ai tecnici che le sistemano accanto al palco?».

«Sì, ma non ci sono».

«E perchè, secondo te, dovrei sapere dove sono le tue chitarre?» sbuffo.

«Be', secondo il contratto sei tu quella che deve assicurarsi che sia tutto pronto e perfetto, accordarti con i tecnici e tutte queste cose. Ti avverto, di là la situazione sta degenerando. Bill sta impazzendo. Se non si trovano le chitarre, niente live».

I sensi di colpa cominciano a farsi strada dentro di me.

Se le chitarre non sono dove dovrebbero essere, la colpa è soltanto di una persona: io. Come ho fatto a dimenticarmi delle chitarre?

Cerco di mantenere la calma.

«Aspetta, ma io sono quasi del tutto certa di averle viste caricare nel camion» dico.

«Quasi? -.

«Tom, ti dico che quelle chitarre sono arrivate fino a qui. Questa mattina erano...».

La porta si aprì. Fu un attimo.

David, Bill e tutto gli altri mi si pararono davanti. Tom era leggermente nascosto dietro di loro.

Non ci sto più capendo niente.

«Tu. Sei. Licenziata».

Sgrano gli occhi, sorpresa. Licenziata?

David mi fissa furioso. Bill, invece, è impassibile.

Guarda il fratello e poi me, quasi a scatti. Ma il suo ultimo sguardo, mi incenerisce definitivamente.

«Non ho fatto nulla» sussurro, senza guardarli.

«Sì, invece. Hai mentito a tutti quanti. Credevi che non ce ne saremmo accorti, che io non l' avrei scoperto? Sappiamo cos'è successo alle chitarre di Tom».

A quel nome, scatto.

«Non so dove siano finite le chitarre, ma io le ho viste mentre venivano caricate sul camion e portate vie insieme agli altri strumenti» dissi, alzando la voce.

«Ian, vieni qui».

Un nome che non ho mai sentito.

Un uomo vestito con maglietta blu e pantaloni leggermente più scuri, mi si presenta davanti.

E' un tecnico, vista la targhetta attaccata alla maglietta.

«Sì, la signorina mi aveva pregato, questa mattina, di assicurarmi che le chitarre non arrivassero a destinazione» dice, guardando serio David.

«Ma è assurdo. Non è vero!».

Tom, dalle spalle di David, mi fissa, immobile.

«Continua» lo esortò David.

«Le abbiamo caricate comunque sul camion, visto che, ai suoi ordini, non dovevamo dare il benché minimo sospetto. Aveva detto che se tutto andava come i suoi piani, lei ci avrebbe ricompensati, alla fine».

Stanno per cedermi le gambe, poco ma sicuro.

Porto un mano sulla pancia, mentre a fatica tento di stare in piedi.

Mi manca aria. Non riesco a respirare.

«Non...è...vero...io...non ho....fatto niente di tutto ciò. Lo giuro» dico, implorante.

«Dice così perchè non vuole essere scoperta» aggiunge Ian, fissando David.

«Senza dubbio. E tu, raccogli la tua roba e sparisci, all' istante! Zac, Kevin, assicuratevi che abbandoni il palazzetto tra non più di dieci minuti».

Mi ritrovo in pochi istanti tra i due, mentre mi tengono uno per il braccio destro e l' altro per quello sinistro.

Non oso voltarmi per guardare gli alti, consapevole del fatto che non posso fare assolutamente nulla.

Posso dire qualsiasi cosa. Qualsiasi.

Troverebbero comunque il modo di usarla contro di me.

 

**

 

Fisso il paesaggio sotto di me. La città è come un puntino, vista da quassù.

Un lacrime scende lenta sul mio viso, fino a posarsi sul ginocchio, inumidendo appena i miei jeans.

Ci hanno messo poco a prenotarmi un volo di sola andata per Amburgo.

E questa volta sarebbe stata per sempre. Fatico a crederci, eppure è così.

Perchè a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?

Ma soprattutto, a chi ho dato così tanto fastidio da mettermi in una situazione come questa?

Quando scendo dall' aereo, mi dirigo al ritiro bagagli.

Ad spettarmi c'è Giulia, arrivata di corsa dopo la mi telefonata.

Mi getto letteralmente tra le sue braccia, mentre un fiume di lacrime prende a scorrere rovente lungo le mie guance.

«E' stato orribile, Giu» singhiozzo.

«Tranquilla Chiara, risolveremo tutto. Ora andiamo a casa, ti fai una doccia e poi ne parliamo, okay?».

Lungo il tragitto fino a Berlino, nessuno parla.

Sto tornando a casa, e questa è l' unica nota positiva in tutto questo casino.

L' appartamento è proprio come me lo ricordavo; non è cambiato nulla.

Mi lavo e mi vesto con una tuta, giusto per stare comoda.

Torno in salotto, dove Giulia mi aspetta, quasi ansiosa.

«Dai, racconta» mi incita, sforzandosi di sorridere.

«Stavo osservando le fan nella palazzina da dietro il tendone del palco. Ad un certo punto è arrivato Tom, chiedendomi che fine avessero fatto le sue chitarre. Ero sconvolta. Ero sicura al cento per cento che fossero state caricare sul camion. Poi, dieci secondi dopo, è arrivato David con tutti gli altri e ha fatto parlare un certo Ian. Sì, si chiamava Ian e ha cominciato a dire che io avevo corrotto lui e i suoi colleghi per nascondere le chitarre di Tom per impedire il concerto di questa sera. Così mi hanno licenziata. Ci ha messo dieci minuti a prenotarmi un volo di sola andata per Amburgo».

Ricomincio a piangere, presa d una miriade di emozioni: odio, tristezza, rancore, frustrazione. Fatico ancora a credere che la mia vita sia stata distrutta in tre ore.

«Chiara, devi scoprire come mai ti hanno...incastrata così».

«Sinceramente, Giulia? Non mi va di affrontare lo sguardo di Tom e gli altri...non mi crederanno mai».

«Non puoi deludere Tom».

«L' ho appena fatto».

«Ma non hai fatto niente!».

Sospiro.

«Lui crede a tutta questa storia, ne sono certa».

«Te l' ha detto lui?».

«No ma...».

Il cellulare vibra da sopra la mensola, quella accanto alla finestra.

Lo prendo velocemente. Un messaggio.

Mi si gela il sangue.

«E' un messaggio di Tom» sussurro, con la mano tremante.

«Leggilo, no?».

Lentamente apro la casella dei messaggi.

 

Sinceramente, Chiara. Non riesco a credere come tu possa essere in grado di fare una cosa simile. Ti prego, dimmi che si sbagliano. Dimmi che è stato quell' uomo a mentire a tutti noi e non tu.”

 

Deglutisco, anche se mi rendo conto di avere la salivazione a meno diecimila.

«Mi prega di dirgli che Ian è quello che mente, e non io» dico, guardando Giulia.

«Visto che non è arrabbiato con te? Forza, rispondigli!».

 

Non sono stata io. Sono pronta a giurartelo...non sono stata io, non potrei mai, Tom.”

 

Inviai.

Il messaggio di risposta arriva tre minuti dopo.

 

Ne ero certo. Volevo sentirmelo dire, almeno da te. Non preoccuparti, le chitarre sono magicamente apparse nella tua stanzetta qui alla palazzina. Ti tirerò fuori da questo casino e potrai tornare a lavorare con noi, te lo prometto.”

 

Tom, non tornerò a lavorare con voi, anche se la verità dovesse venire a galla. Non riuscirei ad affrontare David, tuo fratello e tutto gli altri.”

 

Mio fratello non ce l' ha con te.”

 

Guarda che me la ricordo la sua occhiata di tre ore fa...”

 

Era arrabbiato, questo è vero. Ci abbiamo riflettuto ed effettivamente non puoi essere stata tu. Sei rimasta con me la maggior parte del tempo e non ti sei avvicinata in alcun modo ai tecnici. Proveremo che ti hanno ingannata, okay? Non preoccuparti.”

 

**

 

E' confortante scoprire che almeno un paio, forse poco più, di persone mi credono, ma è devastante lo stesso.

Mamma mi prega di andare a trovarla, per parlarne un po' con lei, ma non ne ho voglia. Papà rimane sulle sue e Giulia, invece, cerca di trascorrere ogni secondo possibile con me.

«Forse dovrei cercarmi un altro lavoro. Sono due settimane che rimango chiusa in casa...dovrei darmi da fare» dico, a cena.

Giulia annuisce, sorridendo.

«Se vuoi posso chiedere se il posto da Dior è ancora libero...».

«Non sarebbe male...grazie».

In fondo, mi dà molto più di quello che merito.

Non sento Tom dal suo ultimo messaggio e ormai do per scontato il fatto che si sia totalmente dimenticato di me. Non lo incolpo di questo; dopotutto, è circondato da persone che sostengono la mia colpevolezza nell' accaduto e gli avranno fatto il lavaggio del cervello.

Ma la vita non è così male, anche se non faccio più parte del “Tokio Hotel team”.

Sparecchia la tavola e saluto Giulia che ha il turno di pomeriggio.

Passo le prime tre ore a guardare uno stupidissimo programma in televisione, poi decido che è ora di cambiare pagina.

Mi vesto di tutto punto ed esco di casa.

Scendo dalla macchina e mi avvio per le strade di Berlino. Questa città mi era mancata tantissimo, anche se con il tempo ho finito per rimpiangere Amburgo.

Quando ero in tour con la band, sentivo la necessità di un posto stabile e mi sentivo come se non avessi più una residenza e a quel punto, mi sarei accontentata di tornare alla casa di Amburgo.

Entro nel parcheggio del grande centro commerciale, in cerca di un posto dove sostare con la macchina.

Dopo venti minuti abbondanti, arrivo a varcare per miracolo la soglia dell' entrata.

Mi do alle spese pazze. Compro una borsa, due paia di jeans e una felpa.

Solo alla fine mi rendo conto di aver fatto fuori il mio stipendio di un mese.

Ma non sono preoccupata nemmeno di quello. A breve troverò un nuovo lavoro, no?

Sono quasi le sei e ormai fa buio. Forse è il caso di tornare a casa.

Parcheggio la macchina di fronte al cancello e scendo

«Chiara!».

Mi volto, quasi spaventata dal sussurro del mio nome.

«Bill?».

Aggrotto le sopracciglia, del tutto sorpresa.

«Sì, ehm...sono io. Non dovrei essere qui, ma ci sono lo stesso».

«Vedo».

Apro il cancello senza degnarlo di uno sguardo.

«Posso entrare? Devo parlarti».

«Io non ho niente da dire»

«Io sì, invece».

«Okay».

Giulia non è ancora rientrata. Il negozio chiude alle otto, stasera.

«Dimmi quello che vuoi dirmi e poi vai via. Domani ho un colloquio e non posso permettermi di non andarci a causa delle tue fan accampate qui fuori» sbuffo, dandogli le spalle.

Apro il frigorifero e tiro fuori le lasagne che Giulia ha preparato per questa sera. Le metto in forno e le scaldo.

«Volevo solo farti sapere che ti crediamo, io e Tom...».

«Bastava un sms».

«Non avresti risposto».

«Lo so...» ridacchio, tra me e me.

Conoscendomi, avrei eliminato il messaggio ancor prima di leggerlo.

«E poi un' altra cosa. Quando sei andata via hai dimenticato questa...».

Mi porge una foto, che ritrae me e gli altri appena scesi dall' aereo, in Francia.

L' aveva scattata Georg, giusto per farmi un dispetto e per dimostrare quanto i miei capelli, la mattina, fossero peggiori dei suoi. Casualmente erano venuti nella foto anche Bill, Tom e Gustav, anche se si intravede una piccola ciocca di capelli di Natalie.

«Non l' ho dimenticata...» sussurro, guardandola.

«Be' dai, è carina. Dopotutto, sono tutte bellissime creature nella foto, no?».

Scoppio a ridere.

«Sì, direi di sì».

«Tom mi ha detto che non vuoi tornare a lavorare con noi, anche se dovessero ammettere che la colpa non è tu ma di altri. Mi spieghi il perchè?».

«Non c'è molto da spiegare. In molti, comunque, avrebbero una certa diffidenza nei miei confronti...compresi voi».

«Non è vero» esordì, sicuro.

Scuoto la testa, decisa a non proseguire la conversazione. Mi domando come mai non si sia ancora alzato dalla sedia.

«Bill, senti, non ho intenzione di discutere ancora sull' argomento. Ve la caverete anche senza di me, come avete sempre fatto» sospiro.

Mi guarda, sbattendo le palpebre più volte.

«Okay, come vuoi. Ma io non mi arrendo, non ancora» dice, sicuro.

«Insisti quanto vuoi. Non cedo e vincerò io».

«Io non perdo mai».

«Mai dire mai».

Scoppiamo a ridere insieme.

«Tra una settimana riprendiamo il tour, perciò ci tenevo a salutarti anche per questo. Tom sarebbe venuto, ma sai com'è. Poi la sua macchina si nota molto più della mia, anche se è più piccola. Non ci offenderemo se ogni tanto ci farai uno squillo, così, giusto per farci sapere che esisti ancora e che non hai preso la disperata decisione di porre fine alla tua vita. Sì, insomma...».

Si stringe nelle spalle, come se stesse dicendo una cosa ovvia, che io già so.

«Credi davvero che prenderò una decisione così drastica? Ma soprattutto, sei realmente convinto che vi farò sapere della mia ancora piena esistenza?».

«Sì».

Okay, è inutile discutere con Bill Kaulitz.

Inutile.

 

 

 

 

Note: ho notato che le recensioni stanno scarseggiando... (:

  
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