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Autore: Laura Sparrow    10/11/2006    2 recensioni
Due giovani donne sole in uno sperduto paesino dei Caraibi, ma determinate ad inseguire i loro vecchi sogni di libertà, l'incontro con un pirata prigioniero che cambierà la vita di entrambe. Mentre un bizzarro gioco del destino riporta a Laura Evans una nave nera che sembrava solo un ricordo di infanzia e una minacciosa maledizione torna da un passato che sembrava dimenticato, Will sceglie di infrangere per una e una sola volta la promessa che lo lega a Calipso per rivedere Elizabeth ancora una volta. Laura Evans e Faith Westley si trovano davanti ad una svolta: voltare le spalle a tutto ciò che è stato e seguire l'unica strada di chi rifiuta le regole: la pirateria. (ULTIMO RINNOVAMENTO COI FATTI RIALLACCIATI AD AWE)
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2
Jack Sparrow



- Laura?- Stephanie mi agitò la mano davanti alla faccia. - Sei con noi?-
- Oh sì, scusami Faith... - mi ero distratta: la minestra nella pentola ribolliva: tolsi la pignatta dal fuoco e seguii Faith che mi precedeva per i corridoi della prigione, brandendo il mestolo. - La zuppa!- annunciò mentre passavamo davanti alle celle: i prigionieri si avvicinarono alle sbarre con l'aria di animali affamati, tendendo la loro scodella in attesa che fosse riempita. Quanti ne avevo visti in un anno? Uno che il giorno prima c'era, il giorno dopo poteva non esserci più, e nessuna di noi due se ne meravigliava: ormai avevamo imparato a cosa, otto volte su dieci, andavano incontro i prigionieri che vedevamo. Di cella in cella riempimmo le scodelle di tutti i detenuti: mentre Faith riponeva il mestolo nella pignatta dopo aver riempito la scodella di un tipo grande e grosso di nome Hans io la avvertii: - Aspetta, c'è anche l'ultima cella: hanno portato uno nuovo stamattina. -
Così ci fermammo di fronte all'ultima cella. Il nuovo prigioniero se ne stava seduto con la schiena contro il muro, e sembrava perfettamente a suo agio. Pareva addirittura rilassato, non smaniava né imprecava, né si disperava come tanti altri prigionieri, se ne stava semplicemente lì seduto come se stesse attendendo qualcosa. Non era particolarmente alto né muscoloso, ma era asciutto e ben piantato: aveva lineamenti affilati e due vispi e profondi occhi castani. I suoi capelli erano scuri, lunghi e arruffati, coperti da una bandana rossa e un consunto tricorno da capitano; anche la sua camicia, i pantaloni e gli stivali erano piuttosto sporchi e consumati, aveva inequivocabilmente l'aria di chi viaggia per mare.
Quando ci avvicinammo lui sollevò gli occhi all'udire i nostri passi, e inarcò le sopracciglia.
- Ohi, se le carceriere sono così carine qui ci torno anche l'anno prossimo. - esclamò con aria sorniona appena ci vide. Se non altro oggi ci era capitato un commento lusinghiero, di solito i commenti erano di tutt'altro tono.
- Su, avrete fame: datemi la scodella. - disse Faith; l'uomo le porse la scodella e lei la riempì con una porzione piuttosto generosa. - Grazie dolcezza. - ritirò la scodella, sempre col suo sorriso scintillante nella penombra della cella: notai che aveva tre denti d'oro; per un attimo i nostri sguardi si incrociarono. Era insolito, questo contatto che si era improvvisamente stabilito fra noi e lui: di solito non socializzavamo mai con i prigionieri, eppure per lui sembrava non fare differenza l'essere dietro le sbarre di una cella per fare conoscenza. - Scusatemi, non mi sono presentato: sono il capitano Jack Sparrow, e voi?- inaudito: mi porgeva addirittura la mano attraverso le sbarre.
Lo fissai aggrottando la fronte. - Vi sembra che siamo qui per fare conoscenza?- dissi in tono quasi di scherno. Lui si corrucciò, abbassando gli occhi e stringendo la bocca in un'espressione buffa mentre abbassava lentamente la mano ritraendo un dito dopo l'altro. C'era qualcosa di così bizzarro e al contempo divertente nel suo modo di fare che un istante dopo aggiunsi in tono più gentile: - Mi chiamo Laura Evans. E lei è Stephanie Westely. -
Sparrow risollevò lo sguardo e mise in mostra i denti d'oro. - Piacere di conoscervi, pur se in un posto tanto allegro... -
Sembrava gioviale, era diverso dagli altri bruti che la prigione ospitava: eravamo abituate a sentirci chiamare “bambola” o “bellezza” dai prigionieri, ma le loro erano sempre frasi di scherno: il suo invece era stato un complimento, una gentilezza. Davvero uno strano prigioniero.
E il suo nome... Jack Sparrow aveva detto? Possibile che mi suonasse familiare? Aggrottai le sopracciglia mentre lo scrutavo forse con troppa curiosità di quanto fosse conveniente: dove potevo averlo già sentito nominare?
- Westley! Evans!- ci richiamò la guardia, per ricordarci che non eravamo lì per socializzare. A malavoglia raccattai la pignatta ed io e Faith girammo i tacchi per tornare ai nostri compiti.
- Bene, sembra che ci rivedremo spesso, allora. - ci salutò Sparrow, appoggiato alle sbarre, sorridendomi di nuovo mentre mi seguiva con gli occhi. Mi fermai per un attimo, la pignatta fra le mani, rimanendo ad osservarlo. - Di certo. Buona permanenza, signor Sparrow. -
Gli voltai le spalle e me ne andai.

*

- Marcirete tutti all'inferno! Vermi! Avanzi di galera, luridi, viscidi topi di fogna!- il prigioniero urlava e smaniava, picchiando contro le sbarre: lo avevano appena rinchiuso, e a quanto pareva non era affatto d'accordo. - Ve ne farò pentire amaramente, vedrete se non ve la farò pagare!-
Le guardie facevano orecchie da mercante in fondo al corridoio, c'ero solo io ad ascoltare le sue grida: mi diressi di gran carriera verso la sua cella e mi fermai proprio di fronte a lui. - Smettila, urlare non ti servirà a niente. - intimai. Il prigioniero esitò solo un attimo, sorpreso dal mio arrivo, ma poi ricominciò ad urlare, più forte di prima.
- E tu levati di torno, sgualdrinella! Io voglio uscire da qui! Vi farò ingoiare le vostre budella!- si dimenava come un'anguilla, scalciando contro le sbarre della sua cella come se fosse deciso a sfondarle.- Basta!- urlai, superando la sua voce. - Sta zitto! Stammi a sentire, non so perché ti abbiano messo dentro... -
- Perché? Oh, te lo dico io il perché!- esclamò lui, pigiando il viso irsuto contro le sbarre, i lineamenti contratti in una smorfia ringhiante. - Perché mi divertivo a fare fuori le puttanelle come te! E mi hanno chiuso qua dentro... in questo buco... non si respira... e ci lasceranno marcire qui per l'eternità, finché non ci crescerà il muschio sulle ossa!-
Sostenni il suo sguardo spiritato, replicando: - Se è quello che facevi allora te lo meriti. Non so se davvero marcirai, non sarò qui a vederlo in ogni caso. - mi allontanai dalla cella mentre il prigioniero continuava a smaniare, stavolta fra i denti, picchiando contro le sbarre. Mi appoggiai alla parete, cercando di fermare il tremito delle gambe: si vedevano spesso scene di quel genere, non erano altro che folli che una volta in cella davano di matto, eppure mi lasciavano ancora scossa. Respirai a fondo, l'aria umida e viziata della prigione: non il massimo per riprendersi ma cominciavo già a sentirmi meglio.
- Tutto bene?- da dietro le sbarre della sua cella Jack Sparrow mi osservava con aria seria, rigirandosi fra le dita un sassolino probabilmente raccattato dal pavimento. Mi raddrizzai e mi sforzai di sorridere con sicurezza. - Sì... solo un prigioniero che dava di matto. -
- Non un bel vedere, eh?- fece con comprensione, oscillando il capo.
- No. - ammisi, scuotendo il capo. Jack gettò via il sassolino che teneva in mano per poi frugare sotto la paglia che ricopriva il pavimento di pietra e raccoglierne un altro, che strofinò contro la pietra della parete. Non soddisfatto buttò via anche quello, quindi si voltò ancora verso di me e tornò a guardarmi, carezzandosi pensoso la barba. - Che ci fate tu e Stephanie qui?- domandò ad un certo punto, mentre la sua mano si allungava a raccogliere un altro sassolino.
Logico che se lo chiedesse, se lo chiedevano tutti. Perfino io. - Abbiamo dovuto accettare il primo lavoro decente che abbiamo trovato. - risposi con un'alzata di spalle, Jack abbozzò un sorriso comprensivo. - Se tu questo lo chiami decente... - aveva trovato un altro sassolino, nero come un carboncino, e pareva soddisfatto del segno che esso lasciava sul muro.
- Non ci crederete, ma il compenso è più che accettabile per badare a degli avanzi di galera. - replicai. Lui si tirò su dal pavimento per avvicinarsi di più alle sbarre. - Grazie per il complimento. - sorrise ironico.
- Ma non mi riferivo a te!- ribattei fingendomi esasperata, senza neanche accorgermi di essere passata bruscamente al “tu”. Alle mie parole lui sollevò le sopracciglia, sogghignando. - No?- mi chiese sottovoce, mentre una punta di malizia si mescolava alla sua parlata calda. - Ha parlato miss “buona permanenza”?-
- Vi accorgerete in fretta che rimanere qui il più a lungo possibile è quanto di meglio potrete augurare a voi stesso!- sibilai con tanta veemenza che Sparrow rizzò il capo aggrottando le sopracciglia. Sapevo di essere stata acida, cattiva perfino, vista la sua condizione: eppure non sopportavo il suo modo di prendere tutto come se fosse stato un contrattempo, una situazione di stallo, mentre io da un anno vedevo gente entrare lì dentro ed uscirne solo per andare al patibolo. - Lo sapete come vanno le cose qui? I soldati riempiono il carcere finché c'è posto, e se ci sono dei prigionieri importanti mandano l'avviso di cattura a Port Royal. Così, nel giro di una o due settimane, le autorità di Port Royal decidono la sua sorte, e così caricano i condannati scelti in massa su una nave e li spediscono a Port Royal, dove vengono messi a morte. Redmond fa la parte della ramazza: raccoglie tutto, poi però non si sporca le mani con le impiccagioni. Capite ora perché quel che posso augurarvi è... buona permanenza?-
- Port Royal... - ripeté lui lentamente, dondolando il capo, quindi sogghignò apertamente. - E' toccante che tu mi dica queste cose... sembra quasi che ti preoccupi per me! In fondo io sono pur sempre un pirata... non hai paura di me?-
Avanzai di qualche passo verso di lui, stando al gioco e ricambiando il sorrisetto strafottente che gli si dipingeva su quei tratti affilati. - Perché, dovrei averne? A parte che non potete fare granché finché siete lì dentro e io qui fuori. - lo avvisai candidamente. Lui non smise di sorridere sotto i baffi: - Apri la cella allora. - rispose prontamente. - Così puoi verificare se davvero sono pericoloso quando non sono dietro le sbarre. Oppure... - abbassò la voce mentre un ghigno birichino gli si allargava sul volto. - ... puoi entrare tu. - Ci fissammo per alcuni istanti, in silenzio: i suoi occhi scuri avevano letteralmente catturato i miei. A che gioco stavamo giocando? Dopo qualche attimo distolsi lo sguardo da lui e gli voltai le spalle per tornare ai miei compiti, ma sentivo il suo sguardo sulla mia schiena: sembrava trapassarmi.
  
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