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Autore: sistolina    15/04/2012    3 recensioni
“Il termine tecnico è Schizofrenia Ebefrenica di Tipo Disorganizzato, ma per comodità la chiameremo SED” per comodità un paio di palle, è uno sfigato con l'accento da college prestigioso che non vuol far sentire come diventa plebea la sua erre mentre dice “ebefrenica”. E forse anche perché ci godeva alla grande che io fossi una sigla, così non avrebbe dovuto ricordare come mi chiamo, perché odio Via Col Vento anche se lo riguardo almeno una volta alla settimana, perché scarto i cavoletti di Bruxelles anche se mi piacciono, perché non scrivo mai il mio nome con la penna rossa, o non riesco a guardare l'orologio senza sentire il bisogno di uscire dalla stanza. Ci sono scritte quelle cose, DOC, sul fascicolo spesso come la Costituzione Americana che avrai letto sul cesso 'stamattina. Ci sono scritte un sacco di porcherie su di me che nemmeno io so, eppure ha deciso che basta chiamarmi SED perché l'intero Universo conosciuto possa arrogarsi il diritto di parlare di me
Genere: Drammatico, Satirico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note mute di pianoforti inutili

 

 

Gli angeli sono esseri impegnativi,

specie quelli della razza di cui si tratta in questo libro.

Non hanno soffici piume, hanno un pelame raso, che punge.
Basta. Che se ne vadano così, come sono venuti.

Niente li giustifichi, niente li protegga,

tanto meno una nota a margine tessuta di parole di circostanza.

(L'Angelo Nero, Antonio Tabucchi)

 

 

Le giuro signora che si sbagliano! Non è stato lui, io ho visto teppisti che hanno fatto, non lui, signora, NON LUI!” i soffitti del loft sono alti, arcuati giusto quanto basta perché la voce echeggi nel modo giusto, al momento giusto.

Eppure la sua voce a malapena scalfisce il muro del suono.

Lei non lo ascolta, intenta com'è ad indossare il gemello sinistro del suo solitario. Sembra una frase idiota, ci sono un sacco di frasi che sembrano idiote, agli idioti.

Il suo orecchio a sventola oscilla leggermente, e si ammira allo specchio.

Non gli concederà il privilegio di guardarlo negli occhi, non finché il suo minimarket 24 ore su 24 sarà in quel quartiere di immigrati vietnamiti.

Non finché sarà così sciatto e trascurato da lasciare che quei jeans abbiano un orlo così sfilacciato, e la sua camicia pecchi di quelle macchie di unto sul colletto e sotto il terzo bottone, diverso dal secondo, e dal quarto.

Non si abbasserà ad anteporre il suono della sua voce a quello dei tacchi sul marmo di Carrara del salotto, sul parquet di noce della camera da letto, sulle piastrelle in cotto lavorato a mano del corridoio.

Chang è sulla porta, con il suo basco in mano, stritolato, sudato, la fronte che riflette la luce del lampadario di vetro soffiato a Murano.

E lei non lo guarda, perché il suo vestito da cocktail color lavanda necessita di un paio di sandali adatti, e di uno scialle, e di una collana che s'intoni con i solitari che penzolano alle sue orecchie.

Se lo guardasse, probabilmente, avrebbe la pena di non farlo sentire in imbarazzo per i suoi capelli radi e tagliati male, per la barba di due giorni, per gli occhiali tenuti insieme dal nastro adesivo. Per i suoi occhi a mandorla, e il colore lievemente anemico della sua pelle.

Le sue unghie sono lunghe e sporche di nero.

Le sue scarpe sono scollate da una parte.

I denti d'oro la infastidiscono.

Concluderà che sua moglie è una gretta nullafacente, come tutti i cinesi immigrati, il suo negozio è una bettola, l'ufficio d'igiene dovrebbe intervenire, e magari anche l'immigrazione.

Non lo guarda, perché tanto “proletariato” le ferisce gli occhi.

Il sudore non si riflette bene sui diamanti.

Non lo guarda, però è una signora, e gli deve la cortesia di congedarlo.

E' gentile ad essere venuto fin qui” e con fin qui intende in un quartiere dove una piastrella costa più della sua casa, e lo sguardo che lei gli sta rivolgendo è fasullo e seccato appena un decimo di quello di tutti quelli che vedrà tornando alla sua bettola, dalla moglie trasandata, al suo minimarket flagellato da teppistelli sporchi di accenti creoli mai sentiti. “Ma ora me ne occuperò io” e con “io” non intende lei e suo marito, il mio brillante padre adottivo, ma solo lei, perché non necessita di alcuna approvazione da parte di nessuno. Mai.

Non lo guarda, ma in compenso guarda me.

Non perché ne sia lontanamente degno, ma le serve guardarmi per ricordare, a se stessa e me, quando sottile sia il legame che ci unisce.

Legalmente sono suo figlio, e lì si riduce l'amore parentale fra noi.

Questo non mi ferisce, non mi interessa.

Mi interessa il centone che è costretta ad allungarmi di tanto in tanto, distrattamente, sempre facendo altro, parlando all'auricolare o cucinando qualche cena francese che fa schifo a tutti, ma nessuno glielo dice.

Spende duecento dollari alla settimana per quelle lezioni.

Mi interessa il bagno in camera, lucidato come uno specchio da Rosa la domestica ispanica che se la fa con “papino” il mercoledì pomeriggio, quando lei va fuori città a visitare una casa qualunque dei sobborghi urbani da trasformare in una villa da quattro milioni di dollari.

Mi interessano il computer, e la connessione a fibra ottica.

Forse anche la scuola prestigiosa, forse, ancora non ho deciso cosa farmene.

Lei mi guarda, adesso, perché il signor Chang ha tagliato la corda stringendo il suo basco sporco di sudore fra le dita sporche di grasso della serranda cigolante, le unghie troppo lunghe, gli occhi troppo a mandorla e la pelle troppo gialla.

Lei non lo ha nemmeno guardato, ma è stato consapevole di tutto lo stesso, perché non serve guardare qualcuno per fargli capire che non ne vale la pena.

E lei è bravissima in questo gioco.

Mi sembra di capire che non sporgerà denuncia” non le rispondo perché sono pi

bravo di lei.

Armeggia con l'elaborata acconciatura che crede nasconda le sue orecchie paraboliche ma che non fa altro che accentuare le mandibole marcate e il mento inesistente. “Aiutami” l'aiuterei, davvero, se l'intento fosse quello di mettere fine alla sua patetica vita. Ma vuole solo che le chiuda la cerniera del vestito da cocktail color lavanda.

Io e il signor Chang abbiamo violato il suo santuario e interrotto il suo rito di vestizione del sabato pomeriggio, e tutto per darle un'informazione di cui non aveva bisogno.

Perdita di tempo.

Lei odia perdere tempo.

Per questo non aspetta che il coglione arrivi ad allacciarle il vestito e permette anche a me di toccarla.

Per questo mi si avvicina più di quanto entrambi desidereremmo.

Per questo sono ancora qui.

Perché mandarmi via richiederebbe troppi sforzi.

Il pianoforte a coda nero e lucente, e il suo vaso di fiori bianchi, finti.

La stampa della Notte Stellata di Van Gogh lungo tutta la parete.

Le fotografie immobili, incorniciate sui ripiani.

Il divano in pelle, vera, perché sono feng shui, ecologici, sostenibili, ma non c'è niente di meglio che la vera pelle per accogliere gli ospiti in casa tua.

Il tappeto persiano bianco, immacolato, abbacinante. Quello non le da' fastidio agli occhi.

Ne da' a me.

Non suonano il pianoforte, non guardano i quadri, non camminano sul tappeto, a stento si siedono sul divano. Cose inutili per inutili persone. Desideri di altri realizzati per finta.

Nessuna cornice oltre cui guardare, solo fotografie monodimensionali senza fondo.

Le tiro su la cerniera.

Si stato tu” rigira le dita attorno alla fede, distratta come il suo matrimonio “Quei ragazzini avrebbero rubato della birra, un giornalino porno, dolci. Ma perché un rosario Milo?” sistema le maniche, il corpetto e la gonna svolazzante, si passa una mano nell'acconciatura, sugli zigomi, sotto le palpebre “non insultare la mia intelligenza ragazzino, non lo fare. Un rosario di plastica che si illumina al buio? Cosa sei Milo, una rozza contadina messicana? Per Dio...” sorride di puro piacere nel contemplare se stessa allo specchio, nel sentire quanto grande e importante può essere se paragonata ad ogni squallida, povera, sudicia contadina messicana di mezza età che recita preghiere silenziose ancorata al suo rosario. “Rispondimi cazzo!” portarla all'esasperazione è facile. Troppo facile, presto potrei stancarmi.

Le cose non vanno bene quando mi annoio.

Sono stato io” dico in tono piatto. Sembra soddisfatta

Perché, non credi in Dio, che io sappia, e certo non ti ho mai visto pregare!” la diverte trovarmi mancante, più che con ogni altro.

Osservo il pianoforte, la luce dei lampadari sulla superficie liscia, il tappeto persiano, le cornici, il divano. Tutto si riflette, sformato e oblungo.

Perché avete un pianoforte se nessuno dei due sa suonare?”

Io so suonare. Posso farlo quando voglio”

Io posso pregare”

Ma non lo fai”

Nemmeno tu”

Io non l'ho rubato, però”

Ho lasciato due dollari nelle offerte per la nuova chiesa” mi fissa attraverso lo specchio, come una strana Regina di Cuori dal viso spigoloso.

Stronzo” dice solo.

Cammina sui tacchi, ticchettando come un orologio imperioso e frettoloso.

Il coglione sta arrivando dall'ufficio legale, sempre un po' paonazzo, sempre leggermente accaldato, come se si fosse fatto una sega in taxi dall'ufficio a casa.

Probabilmente è così.”

 

“Questo è il tuo ricordo felice, brutto frocio?” l'ineguagliabile simpatia di Topher potrebbe riempire il Paradiso Terrestre e avanzarne ancora, nell'evenienza in cui Adamo ed Eva decidessero di costruirsi una veranda “ma non hai mai scopato porca puttana?”

Non lo conoscevo affatto, ogni giorno mi convinco di questa cosa, che non avevamo niente in comune e prima o poi mi avrebbe fatto arrestare, uccidere, o sbattere fuori (il che non sarebbe stato davvero male a dirla tutta), eppure sapevo, di una consapevolezza disarmante e completamente folle (ma hei, stiamo parlando di me, se la parola folle non comparisse una o duecento volte mi sentirei come minimo a disagio!) che non gli avrebbe risposto. A malapena avrebbe voltato la testa nella sua direzione, perché sapeva come ferire, dove cavolo colpire, il bastardo, e se esisteva qualcosa nel mondo, oltre ad un presidente degli Stati Uniti nero, che potesse far incazzare un invasano nazifascista di terza generazione, figlio di magiaterra del Texas con la pistola nei calzoni e il tabacco da masticare, la sputacchiera come massima decorazione in salotto, e gli stivali sporchi di fango a far da padroni su una veranda in legno marcio, beh, insomma, il peggior sgarro che si può fare ad uno così (Barack Obama escluso, se si pensa alla Casa Bianca, e si chiama Bianca no?) è ignorarlo.

Io, come sapete, sono uno che non sa ignorare un cavolo. Non sono proprio capace, e parlo e parlo e parlo, e se non trovo nessuno di vivo con cui parlare me la chiacchiero con gente morta, tipo Kennedy, Mata Ari, Gesù (dovrei raccontarvelo di quella volta che ho parlato con Gesù, insomma, ve la ridereste di gusto, parola mia) o quel ciccione che faceva i Blues Brothers, com'era? John Belushi. Quello è un fico, ogni volta che lo vedo finisco a cantare alla Johnny Cash (parlo anche con lui, per la cronaca) con un paio di calzoni troppo corti e calzini bianchi in bella vista, un accento che non è il mio, a onor del vero, per niente, io che a stento apro la bocca quando parlo mi devo mettere a fare il cantante country ruminante, ma me la godo alla grande, me la godevo, almeno, con la spazzola per capelli di mia sorella tutta spelacchiata, e la brillantina alla Elvis.

Poi finisce che non sono né uno né l'altro, ma almeno non ho passato il pomeriggio ad ascoltare mia madre che se la racconta con le sue due amiche del bridge del sabato pomeriggio su chi se la fa con chi e perché, e come mai la figlia dei Donahue è grassa come un vitello senza avere un fidanzato.

E va da sé che cominciano a parlare dell'aiutante del macellaio, sì, Brent Foster, quello alto e brufoloso, magro come un morto vivente, e quel naso ingobbito dopo quella volta che ha fatto a pugni con Buz Mellow in sesta classe. Non l'avevano visto, quello stronzetto impenitente, gironzolare intorno alla figlia di Lowson in questi mesi, E a Betty Donahue? Traete voi le conclusioni (non su Betty, lei era incinta di sicuro, ma dubito dell'aiutante visto che è gay ma gay, gay, ve la racconterò anche questa un giorno), su mia madre e le sue ciabatte stantie, affilate come e peggio dell'affettatrice del macellaio, tanto per restare in tema, ma più profumate.

Capita con quelli che chiamano i bifolchi arricchiti, capita con la mia famiglia da secoli e secoli, e tutti gli irlandesi prima di noi, che se ne vanno in giro per il mondo con i loro innumerevoli figli cenciosi alle calcagna, cani, gatti e animali vari, e quella parlata chiusa e stretta, e hanno il coraggio di vivere una vita dignitosa.

Maledetti noi, che arriviamo in massa nei porti di tutti gli Stati Uniti e pretendiamo anche un lavoro, una casa magari, e di far valere i nostri titoli d'istruzione! Indecente, direbbe la signora Meade, la borghesuccia vedova di ben più alte aspirazioni di mia madre, che mi faceva portare a spasso i suoi tre barboncini per una merdosissima manciata di dollari.

Ed è così che va alla fine no? Finisce che abbiamo un po' di soldi in tasca, qualche dollaro per andare alle scuole private (non tutti noi, ovviamente, solo quel rotto in culo di mio fratello Tim) e laurearsi da qualche parte dove fa fico già solo dire di essere andati. Succede che lui farà l'avvocato e guadagnerà una valanga di soldi, e mia madre e mio padre finiranno in un ospizio bello decorato, con le tendine alle finestre e la zuppa che non puzzerà di piedi, magari. Magari anche un giardino con i salici e le peonie, e le panchine sempre dipinte di verde acceso, non come il color merda che rimane dopo un po', con la pioggia, il vento e il caldo appiccicoso.

Forse anche Siobhan, vi ho parlato di Siobhan, la sorella che mi odia no? Forse anche lei sposerà un ricco del New England, o di New York, e farà una vita da casalinga disperata del Connecticut con un paio di figli al massimo (sia mai che ingrassi troppo!) e decisamente più frustrazioni.

Io non farò quella fine gente, ve lo prometto, cazzo!

Sì beh, magari me ne starò qui a marcire fino a che i soldi dei miei genitori (quelli che hanno risparmiato per un college che non vedrò mai) non saranno finiti ma, ehi, non è che si può essere tutti Perry Mason...o Charles Manson!

E adesso non fate i presbiteriani schizzinosi del cazzo! Chi decide la declinazione del talento? Voi? Io? Il Papa o il Presidente? Gli artisti dipingono, gli attori recitano e le ballerine muoiono anoressiche, alla peggio, ma alla meglio ballano gloriosamente finché morte non le separi dalle punte. I serial killer psicopatici ammazzano, e se lo fanno bene, se fanno scervellare per anni esperti laureati cum laude inutilmente, se semplici figli di proletari riescono ad ammazzare gente per mesi senza che nessuno riesca a prenderli, con libri scritti e film girati su di loro, con ricerche, e gente che sbatte la testa contro i muri, e ci scrive sopra intere foreste di fascicoli, e fa ipotesi, e si sbatte come una trottola in giro per conferenze nella vana speranza di formare qualcuno capace di prenderli beh...secondo me, e la mia opinione per me ha sempre contato, sappiatelo, per quello è talento. Impiegato in modo dubbio, non stiamo qui a sindacare su questo, ma di sicuro è talento.

Milo è il genere di persona che ha quel genere di talento.

Ora lo so, ma allora no, allora non sapevo niente di lui, se non che sapeva leggere le persone meglio di un cieco dalla nascita che sa leggere il brail. È uno che ha un talento fuori dal comune, così fuori che io che sono fuori, ho fatto fatica a capirlo.

Alle volte, quando cerco di essere normale, di far funzionare il mio cervello come le altre persone, a pensare al futuro, alla macchina, alla famiglia, ai soldi e alla fermata dell'autobus che hanno soppresso davanti casa mia, me la faccio sotto a pensarci, a pensare a quanto vicino sono stato all'essere fritto come il piatto forte di un ristorante cinese.

Ma rima non era così, prima all'ordine del giorno c'era solo barcamenarsi, e io mi barcamenavo bene, modestie a parte.

Anche in quel momento, mentre Topher sbraitava su quanto Milo fosse frocio, e disadattato, e quanto spaccare i culi di quei giudei di merda fosse infinitamente un ricordo più divertente dell'aver avuto il cazzo duro pensando alla propria madre adottiva (pensate voi se non aveva come minimo frainteso), l'altro se ne restava con lo sguardo fisso su DOC, impassibile, il nostro piccolo SA (il Sindrome di Asperger, l'ebreo genio no?) che dondolava come un cavallino per bambini sulla sedia, l'Anoressica sempre scocciata di essere lì perché “io non ho nessun problema, e fra questi disadattati di merda non ci voglio stare”, e io che mi mangiavo quasi le unghie (quasi, perché me le mangio solo in momenti davvero speciali) nell'attesa, peggio di MiMA nei periodi d'oro delle sue soap operas, quando ne succede di ogni ad ogni episodio, e quasi crediamo ne valga la pena per tutte le volte in cui la gente non fa altro che scopare e guardarsi negli occhi stralunata, mentre la telecamera fa inquadrature in primissimo piano con le musiche roboanti per creare pathos.

“Topher, lungi da me impedirti di esprimere tutto il tuo disappunto nei confronti di questo flusso di coscienza, però devo ricordarti le regole del Cerchio” DOC ha parlato con il suo tono acculturato da laureato fighetto, e Topher ha provato a fare il duro lanciandogli un'occhiataccia, ma la gente così non sa resistere all'autorità, nemmeno se ci prova, e quindi ha abbassato le orecchie come un cazzo di cane bastonato, biascicando con quella bocca di fogna texana le “regole del Cerchio della Fiducia”. E mentre lo stronzo parlava, elencava, mugugnava, Milo restava immobile a fissare DOC, nell'attesa di qualcosa, qualcosa che ancora non mi viene in mente, che forse non gli ho chiesto, e se gliel'ho chiesto non me l'ha detto.

So solo che non è stato soddisfatto, nemmeno alla fine, nemmeno quando quel nazischello coglione ha dovuto ripetere per tre colte la questione del rispetto degli altri, di tutti gli altri, compresi quelli che per un motivo o per l'altro ci stavano sul cazzo. L'ha obbligato a chiedere scusa a tutti, me compreso (lo ammetto, me la sono goduta da matti), e Milo niente.

Niente di niente.

Niente è la parola che userei per parlare di lui.

Che poi è come tutto, non vuol dire un cazzo.

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Angolo della delirante autrice: buona domenica a tutte!!! Spero che siate in giro a divertirvi anzichè a casa ad annoiarvi, ma nel caso in cui foste spatasciate sul divano a non far nulla, ecco il nuovo chappy di questa ff^^
Ammetto di amarlo, questo capitolo, principalmente perchè amo intensamente i flussi di coscienza asciutti come il deserto di Milo. Mi diverto a scriverli quasi quanto le follie famigliari di PatrickXD
Vi invito sempre a passare dal gruppo FB In some dreaming state, giusto a fare due chiacchiere, se siete timidi^^
Alla prossima!!!

   
 
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