Storie originali
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Autore: Sarasvathi    15/04/2012    1 recensioni
Basta una frase per cambiare il pensiero di una persona. Basta uno sguardo per capire le intenzioni altrui. Vita. Morte. Non hanno importanza. La principessa del pianoforte suona sempre. Le persone che incontra sono le mani e lo spartito. Ha i fili. Comanda. Ubbidisce. È la luce. È il buio.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“Mi scusi, dovrei andare ora: si sta facendo tardi.”
“Certo signorina, mi perdoni continueremo domani; vedremo se riusciremo a finire di tracciare le linee principali.”
Hime prese la borsa e uscì salutando il vecchio signore.
Quello inspirò a fondo il sigaro e alzò una mano verso la ragazza, poi fissò il foglio su cui aveva tracciato con una matita le linee principali del soggetto. Non male. Finita questa prima stesura avrebbe cominciato a trascrivere sulla tela i colori della pelle della ragazza.
Non ricordava bene perché quel giorno di qualche settimana prima avesse chiesto alla giovane di fargli da modello, ma non gli importava.
Finì il sigaro e andò al lavoro.
 
Luigi si svegliò di cattivo umore, consumò una magra colazione e trascinandosi uscì di casa.
Si mise le cuffie nelle orecchie. El Dorado, Iron Maiden.
Nei pressi della scuola si fermò e osservò ogni movimento della ragazza che lo precedeva di qualche metro, Hime; non era accompagnata da nessuno, forse questa era la seconda opportunità che gli veniva data, forse era destino. Affrettò il passo mentre il cuore cominciava a pompare più velocemente man mano che si avvicinava alla ragazza.
 
Da quando Ryu aveva iniziato a frequentare la nuova scuola, i suoi genitori lo avevano visto più sereno. Forse questa era la volta buona che loro figlio si faceva degli amici e poteva vivere una vita scolastica normale, libera –in parte- da pregiudizi infondati. Loro figlio aveva cominciato a sorridere di più e, anche se non si apriva ancora con loro, i suoi occhi infondevano una tale pace interiore che a loro non importava sapere ogni particolare della giornata del figlio.
 
Ryu intravide Luigi dall’altro lato del marciapiede, un suo compagno di classe che stava spesso in disparte ma che sembrava essere una brava persona, così attraversò in fretta, senza curarsi troppo delle macchine che potevano investirlo.
Quando si trovò abbastanza vicino al ragazzo lo salutò, ma quello sembrò non averlo sentito.
Ripeté: “Ciao!”
Ma il compagno sembrava interessato a tutt’altro, qualcosa davanti a lui, forse qualcuno, ma tra tutta la gente che stava davanti a loro Ryu non sapeva su chi far ricadere l’attenzione di Luigi.
“Ah, forse non ti ricordi bene visto che sono nuovo. Sono Ryujiro, il novo alunno. Hey, mi senti?”
Ryu vide il ragazzo girarsi.
“Ah, finalmente. Buongiorno per l’ennesima volta.”
“Sì, buongiorno.”
Ryu si guardò intorno e poi si voltò verso Luigi: “Che cosa stavi cercando? Se me lo dici ti aiuto: quattro occhi sono meglio di due.”
“No, niente. Lascia stare.”
“Sei sicuro?”
“Sì, non ha importanza. Sei Park giusto?”
Ryu annuì leggermente e aggiunse: “Se vuoi puoi anche chiamarmi Ryu”
Ma Luigi sembrava di nuovo distratto.
Camminarono in silenzio fino a quando non entrarono in classe.
 
Luigi aveva sentito qualcuno chiamarlo ma non gli aveva dato troppa importanza fino a che quello non gli aveva quasi urlato nell’orecchio: il nuovo alunno. Cosa voleva? Non lo voleva sapere: doveva raggiungere Hime.
Aveva affrettato il passo, ma quello gli era stato dietro e aveva cercato di cominciare una conversazione decente, ma l’attenzione di Luigi era stata pari allo zero; quando il compagno gli aveva chiesto cosa cercasse aveva rinunciato a raggiungere Hime. Troppo faticoso e rischioso.
Park. Ryu. Nessuna differenza per Luigi. Avevano poi camminato in silenzio fino in classe, poi Park aveva cominciato a dare il buongiorno a tutti e a consumare le domande che ancora qualcuno gli poneva, eppure non sembrava mai dare una risposta decisa. Ogni sua parola sembrava aria: la parte fredda rimaneva al suolo, quella calda volava verso il soffitto.
Forse era una sua impressione.
Non gli piaceva.
 
“Buooooooongiorno a tutti!”
“Ooooh Ryu, Ryu” aveva urlato qualcuno “Vieni un attimo qui. Senti un po’ sta canzone è stupenda.”
Ryu si avvicinò con calma, alcune ragazze lo guardavano in un modo strano; non sapeva se crederle affascinate ed entusiaste o schifate, tanto è labile il confine tra le due cose.
Che roba era? Ryu non capì tutto l’entusiasmo per quella musica insulsa, quasi offensiva.
“Fa schifo”
I suoi compagni rimasero fermi a guardarlo.
“Perché mi guardate così?”
“Sembri arrabbiato” aveva risposto uno dei ragazzi.
“Oh, scusate allora. Semplicemente non ascolto questo genere di musica”
“Ascolti canzoni d’A-MO-RE?” aveva canticchiato un altro.
Ryu rise: “Figuriamoci. Se devo essere sincero la musica più affascinante è la classica.”
Alcuni scoppiarono a ridere.
“Eddai Ryu, non scherzare! Quella è musica per i vecchi!”
“Non sto scherzando. Suono anche il violoncello.”
“Tu? Il violoncello? Dai smettila di scherzare.”
“Non credeteci allora.” sbuffò Ryu, poi si volse verso Hime che stava aiutando una compagna a ripassare per un’interrogazione; infine guardò Luigi che stava parlando con un suo amico e che qualche volta voltava lo sguardo verso il resto della classe.
 
All’intervallo Ryu andò da Luigi con passo deciso.
“Accompagnami a prendere da mangiare, Gigi”
“Gigi?”
“Posso chiamarti Gigi vero? Ti chiamano tutti Luigi, ma Luigi è brutto e poi quando ti chiamo sai che sono io visto che sono l’unico che ti chiama così, no?”
“Beh,…”
“Cosa, cosa? Andiamo altrimenti non trovo più niente da mangiare e sto morendo di fame.”
Non capiva perché ma si sentiva in pace con accanto Luigi, forse avrebbero trovato qualcosa in comune se avessero cominciato a frequentarsi, magari sarebbero diventati amici inseparabili.
Ryu prese da mangiare e non smise di parlare anche con la bocca piena.
“Ah, Gigi, anche tu ascolti la musica che stavano ascoltando quelli stamattina? Non so neanche che tipo di musica fosse; forse rap, ma non so. Ah, un rap misto a elettronica? Boh, sono ignorante in certi campi musicali.”
“No, non piace nemmeno a me quel tipo di musica, però credo sia bene ascoltare tutto prima di poter giudicare, perché giudicare a prescindere indica chiusura mentale”
“Mmm, può darsi. Vedrò di documentarmi prima di dire ‘Fa schifo’.”
“Ma perché oggi stai con me?”
“Ti do fastidio?”
 
Eccome pensò Luigi. Voleva starsene un po’ da solo, magari si sarebbe potuto trovare da solo con Hime in classe e quello lo aveva trascinato fino al bar e aveva cominciato a parlare e parlare e parlare.
“No, figurati. Torniamo in classe che tra un po’ suona. Ho anche lasciato Nicola da solo oggi.”
Park era fastidioso, sembrava sapesse tutto di lui e Hime e lo facesse apposta.
Fortunatamente quando erano rientrati in classe aveva trovato due dei ragazzi che gli avevano fatto ascoltare quella canzone prima dell’inizio delle lezioni e si era andato a scusare con loro.
Hime non era in classe.
Quando era rientrata Ryu l’aveva presa per mano e l’aveva portata dai ragazzi con cui poco prima aveva parlato e aveva chiesto loro di mettere quella canzone e farla ascoltare anche a lei.
 
Hime era stata portata da due suoi compagni di classe da Ryu mentre stava chiacchierando con alcune sue compagne; quando era arrivata davanti a quei due aveva sentito della musica partire.
A quel punto Ryu le aveva chiesto se le piaceva quella canzone.
“Non l’ho mai sentita prima. Comunque strumentalmente non è niente di che e il testo a sentirlo così di fretta non ha niente di profondo o particolare, come la voce del cantante che è troppo piatta.”
“Hime sei sempre così precisa quando si tratta di musica, che ci metti in imbarazzo” rise il ragazzo col cellulare in mano.
“Scusate, scusate. Lo faccio involontariamente.” si scusò lei e girò le spalle ai ragazzi.
Sentì Ryu seguirla: “Hey, dopo andiamo nel nostro Paradiso?”
“Sì.”
 
“Ryu, sta arrivando l’inverno e le foglie hanno già perso colore.” spostò una ciocca di capelli che le copriva il viso “ti piace l’inverno?”
“Non molto. Non mi interessano i morti: amo soltanto vedere morire, quel che segue è vuoto di emozioni.”
“È tutto il giorno che continui a ripetere a tutti che suoni il violoncello. Un giorno mi fai sentire qualcosa? Domani sei libero?”
“Non lo so. Vorresti venire da me a sentirmi?”
“A me sta bene anche se veniamo fin qua, se preferisci”
“Sì, allora veniamo qui verso le 11?”
“Bene. Sai Ryu, mi piacerebbe molto sentire Theme and Variations For Solo Cello di Sibelius. Non so se l’hai presente.”
“Sì, la conosco ma non l’ho mai suonata. Domani ti suono una parte di Sonata for solo cello di Ligeti.”
“Bella.”
“Tu ascolti anche musica per violoncello?”
“Io ascolto tutto e comunque il violoncello rimane uno dei miei strumenti preferiti, dopo il pianoforte ovviamente, allo stesso livello dell’arpa e della viola”
“Un giorno mi farai sentire come suoni”
Hai!
Anata wa, nihongo dehanashitai desuka?
Zettai ni, Ryu-san
Eeeh, so desuka? Ima, watashi-tachi wa nani o shimasuka?
Wakaranai
“Parliamo di musica oggi, va bene?”
“Perfetto. Grazie Ryu, di tutto”
“E di che? Lo faccio solo perché lo voglio, sappilo”
“Ok. Come si dice ‘La musica è lo specchio dell’anima’?”
“Mmm…Ongaku wa tamashī no kagami desu.”
”Ongaku wa...tamashi...ka...kagami?”
“Lo ripeto un’altra volta e vediamo se riesci a dirlo bene… Ongaku wa tamashi no kagami desu”
“Ok questa volta ci sono: ongaku wa tamashi no kagami desu. Giusto?”
“Sì. Sei veramente brava nelle lingue e anche la tua pronuncia è bella”
“Grazie Ryu.”
Si avvicinò al ragazzo e lo pizzicò in un braccio “È anche merito del maestro se sono così brava”
“Beh, mi sembra logico.”
Il cielo cominciò a rannuvolarsi e i due decisero di rientrare.
Ryu accompagnò Hime fino a casa “Domani vengo a prenderti io va bene?”
Hime aveva semplicemente annuito, poi era entrata dentro.
 
Ryu corse a casa e suonò per ore il pezzo che avrebbe dovuto eseguire per Hime. Voleva essere perfetto, non voleva commettere nessun errore.
Come sempre il tempo sembrava metronomico e sembrava non riuscire a sbagliare nota, eppure non riusciva a dare niente di sé. Sapeva cosa bisognasse fare, ma non sapeva come farlo.
Cercò di non affaticarsi troppo per essere in forma smagliante il giorno seguente.
 
“Ah, buongiorno signora. Sono Ryujiro Park, un compagno di classe di Hime.”
La donna guardò il ragazzo con indifferenza, appoggiò a terra il vaso con un fiore a forma di stella marina, entrò in casa e urlò: “Hime! Devi uscire con uno che si chiama…” poi si voltò verso il ragazzo e gli chiese: “Nome?”
“Ryujiro”
La donna sospirò e verso l’interno della casa risuonò il nome di Ryujiro.
Hime si affacciò alla sua finestra, i capelli scompigliati e con un gran sbadiglio salutò Ryu.
“Arrivo Ryu, non ci metto molto”
La donna era già ritornata alla sua pianta e Ryu aveva cominciato a osservarla.
Stava annaffiando quella pianta con grande attenzione, controllando quanta acqua e il livello di umidità della terra circondante il fiore. C’era solo un fiore dal colore rossastro e la donna sembrava sussurrarle qualcosa; poi si diresse verso una pianta stranissima –sembrava un cactus lungo e stretto con alla base un cespuglio spinoso-, l’annaffiò poi, alzando il viso aggrottò le ciglia, sembrava aver visto qualcosa e una lacrima cominciò a scenderle lungo le guance.
“Signora, sta male?”
Quella si asciugò rapidamente: “Io no, ma lei sì” e si girò verso la pianta.
“È una pianta malata?”
“No, per fortuna”
“Allora perché sta male?”
“Perché sta cominciando a fiorire”
“E non dovrebbe essere un bene questo?”
“Affatto.”
“Ma se deve fiorire allora è un bene che abbia cominciato”
“Quando mi sono trasferita qui l’ho trovata piantata e ho fatto ricerche su questa strana pianta. Questo non è certo il suo habitat naturale però mi sono sempre presa cura di lei.”
“Non capisco però come la pianta possa stare male perché sta fiorendo”
“Hai mai sentito parlare della pianta che fiorisce ogni cento anni?”
“No, mi dispiace. È quella?”
“Già.”
“Quindi sono passati cento anni da quanto è stata piantata?”
“Sì, e quando fiorirà morirà”
“Per questo piangeva?”
La donna annuì e si diresse verso la pianta col fiore di stella marina.
“Questa si chiama Stapelia Hirsuta, il suo fiore è bellissimo. Lo vuoi vedere da vicino?”
“Mi farebbe piacere”
Più il fiore si avvicinava e più diventava bello agli occhi di Ryu.
“È stupenda” disse senza staccare gli occhi dal fiore
“Lo so”
Ryu alzò lo sguardo e trovò un viso stanco e segnato dal dolore, gli occhi con una piccola scintilla forse tenuta viva dai suoi fiori. E ora che quella pianta centenaria stava per fiorire, quanta di quella debole luce si sarebbe demolita?
“Ryu, eccomi! Scusa se ti ho fatto aspettare”
“Figurati”
“Oh mamma, che bella la tua Stapelia. Hai pianto?”
“No”
Ryu si rivolse alla donna: “Come si chiama la pianta che sta male?”
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“Mamma, non dirmi che…”
La donna si girò verso Hime e la guardò con sguardo severo, stringendo la Stapelia al petto. Poi le urlò “E se anche fosse?” e si allontanò a passo spedito.
“Mamma, esco.”
Ma la madre non le rispose.
“Signora, noi andiamo. Non facciamo tardi”
La donna si girò sorridendo leggermente “Certo caro, non preoccuparti se fate tardi, basta che lei non ti frantumi”
Ryu stava per chiedere il significato di quella frase, ma Hime l’aveva tirato per la giacca correndo.
 
“Speriamo che non piova”
“Già, ma è successo qualcosa tra te e tua madre?”
“Niente in particolare, perché?”
“Mi era sembrato che…” ma Hime l’aveva interrotto: “Suona per me, ti prego”
Ryu non sbagliò una nota, il suo metronomo mentale non fallì nemmeno per un secondo.
Quando finì alzo gli occhi verso Hime, ma lei non sembrava mostrare nessuna reazione alla sua splendida esecuzione “Non ti è piaciuto?”
Lo sapeva, sempre lo stesso problema, non sapeva come applicare la formula banale: esprimi te stesso.
“Senti Ryujiro…”
Hime non l’aveva mai chiamato per intero.
“Haha, lo so che non sono bravo” disse subito Ryu
“Devo dire che tecnicamente sei perfetto, non hai fatto un minimo errore, ma ti piace suonare?”
“Certo che mi piace.”
“Non lo fai per inerzia?”
“Non potrei”
“Risuonalo”
“Quindi ti è piaciuto?”
“Solo se volevi fare un’esecuzione del brano. Io ti avevo chiesto di suonarmi qualcosa, non di eseguirlo”
“Scusa e che differenza c’è?”
“La differenza sta nel trasmettere! Ecco qual è la differenza. Quando esegui devi stare attento a note, tempo e che tutto quadri alla perfezione; nella fase di studio è ammissibile, eppure già nella fase di studio dovresti sentire qualcosa dentro, qualcosa che strappi il pentagramma e aggredisca chi ti ascolta. Hai un arco che raschia delle corde, fanne buon uso”
Ryu capì benissimo cosa Hime intendesse, ma lui non era capace di farlo “Non so fare”
“Tutti sanno fare”
“Io no”
“Non pensare alle note”
“Come faccio?”
“Suona a casaccio”
“Come a casaccio?”
“Sì, ora non voglio più sentire il brano di prima. Voglio che tu poggi quel fottuto arco su quelle fottute corde e che muova le tue dita su quel fottuto manico, anche se salta fuori qualche nota stonata, qualche dissonanza, suona”
“E se non ci riesco?”
“Ti prego Ryu, fammi capire chi sei”
Non aveva capito cosa ‘fammi capire chi sei’ significasse, ma sospirando chiuse gli occhi e si abbandonò al suo inconscio.
Ryu suonò per circa un minuto e per la prima volta riuscì a raggiungere la Musica; non riuscì a superarla, ma la sentì vicina, non era più schiavo del violoncello.
“Oh, Ryu…” sussurrò Hime appena Ryu aveva terminato.
“Hime, perché tieni la testa bassa?”
“Era questo ciò che volevo sentire; ora lo so…”
“Ora lo sai, cosa?”
Hime alzò il viso rigato di lacrime e sorrise: “La nostra promessa si compirà”
“Dici che sono pronto?”
“Sei solo tu a deciderlo Ryu, io ti sto solo aspettando, ma ora che conosco il tuo animo sono sicura che ce la faremo insieme”
Ryu s’incupì impercettibilmente mentre riponeva il violoncello nella custodia; le prime gocce d’acqua cominciarono a bagnare i vestiti dei due ragazzi.
“Ryu, grazie di tutto. Ritorniamo a casa, sta cominciando a piovere”
 
 Dopo qualche minuto di cammino a Ryu ritornò in mente la prima volta che aveva incontrato Hime.
“Quel giorno perché piangevi?”
Hime si fermò di colpo, Ryu si accorse che la ragazza non gli stava più accanto dopo qualche passo.
“Hey, Hime, perché sei rimasta indietro?”
“Possiamo…possiamo non parlare di quel giorno Ryujiro?”
Il ragazzo si stupì di essere stato chiamato nuovamente per intero e si affrettò a dirle che non gliel’avrebbe più chiesto.
“Grazie Ryu, quando sarò pronta te ne parlerò da sola”
“Bene”
“Mi accompagni fino a casa?”
“Certo”
Poi Hime prese la manica del piumino del ragazzo, lo strinse forte “Andiamo”
Ryu, lasciò la ragazza stringergli la manica del piumino, poi davanti al posto dove l’aveva trovata le prese la mano e gliela strinse forte, la allentò pochi secondi dopo e Hime gliela strinse.
Camminarono così, mano nella mano per qualche minuto, lei persa tra le gocce d’acqua che le scendevano lungo il corpo, lui col cuore in subbuglio, non riuscendo a capire se si trovasse ancora sulla terra e se la mano che stringeva fosse concreta o frutto di un sogno.
Voltato il primo angolo Hime lasciò la mano di Ryu, fissò il ragazzo negli occhi e gli sorrise.
Lui si abbassò fino a raggiungere il viso della ragazza.
“Hime…”
  
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