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Autore: Flaren_    16/04/2012    3 recensioni
Una ragazza come tante altre, sognatrice, timida e romantica.
Un ragazzo inglese, più studente che professore, sicuro di sè, e senza un problema al mondo, ma con un segreto che si porta dietro da anni.
Cosa succederà a Ronnie quando Lucas, un misterioso ragazzo neolaureato, diventerà il suo professore di Letteratura?
L'amore per Shakespeare, per Oxford e un Liceo Classico di Roma sono le uniche cose che li legano, ma che riusciranno ad intrecciare i loro destini in un modo inimmaginabile, forse. O forse no.
Tra aforismi, tulipani olandesi e segreti mai svelati, può sbocciare l'amore tra un professore e una studentessa?
{Believe significa "credi". Credi in te stesso, credi nel Destino, credi nell'Amore. Credi in quello che vuoi, ma non smettere mai di farlo, perchè se non credi in niente... il niente è tutto quello che avrai. }
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 10: Lucas, chi sei?


 

Lucas POV

Bene, ok. Mi ero ripromesso di farlo, e quindi dovevo assolutamente mantenere la parola. Forse. Ma anche no.
No, meglio lasciar perdere, pensai, rigirandomi l’iPhone nero tra le mani.
Pensa a quello che ti ha detto Ronnie. Sei un ingrato, Lucas. Alza quel cazzo di telefono e chiamali subito, saranno preoccupati a morte, sono mesi che non ti fai vivo.
Le voci nella mia testa continuavano ad essere insistenti, quindi con un sospiro cercai il numero di casa nella rubrica – come se non lo sapessi a memoria – e premetti il tasto di chiamata.
Tu … tu … tu …
Mi ritrovai a pregare che nessuno rispondesse, ma sapevo che c’era una possibilità su un miliardo. C’era sempre qualcuno a casa.
« Buonasera, qui casa Evans. » rispose infatti una voce, fredda ed informale. « I signori non ci sono, ma potete lasciare un messag… »
« Sono Lucas, mi passi la signora, per favore. » tagliai corto, già infastidito. Non conoscevo quella domestica, Pierre o Janine mi avrebbero riconosciuto subito.
« Oh. » si lasciò sfuggire la donna. « In questo caso la chiamo subito, signore. Le chiedo solo la pazienza di attendere un minuto, la Sua telefonata non era prevista. »
« Aspetterò. » risposi, sbrigativo, già stanco di tutta quella deferenza.
« Benissimo, allora. La signora arriva subito. »
La musichetta dell’attesa – Per Elisa, di Beethoven – mi riempì l’orecchio destro, e tamburellai nervosamente sul piano liscio e immacolato del tavolo circolare della cucina. Conoscendola, avrei scommesso che ci avrebbe messo parecchio, invece probabilmente era schizzata via alla velocità della luce dal tavolo dove stava prendendo il tè con i miei fratelli o con le amiche, perché la musichetta si arrestò quasi subito.
« Oh, Signore, Lucas! Ma dov’eri finito? Mi hai fatta preoccupare! Non rispondi alle chiamate, non ti fai vivo, la signora Hopkins lo stess … »
« Hai ragione, scusa, mamma. » la interruppi, seriamente in colpa.
Non la chiamavo quasi mai mamma, e infatti la sentii ringalluzzirsi. A volte proprio non riuscivo a chiamarla con quell’appellativo così affettuosocon cui lei sognava sempre di sentirsi chiamare, era come se le parole mi morissero in gola … come se stessi facendo un torto alla mia vera madre.
« Non preoccuparti, l’importante è che tu stia bene … sei ancora a Roma? Stai tornando a casa? »
« Sì e no. » ammisi, sentendomi nuovamente un ingrato, quando percepii la speranza che nutriva nell’ultima domanda. « Sì, sono ancora a Roma, e no, non sto tornando a casa. Non penso che tornerò tanto presto … di certo non prima della fine dell’anno scolastico, a giugno. »
« Oh. » sospirò, senza riuscire a nascondere la sua delusione. « Però … » iniziò, più allegra. « Però potresti venire a trovarci, un giorno! Un weekend, magari … o, se preferisci, veniamo n… »
« Penso di non voler vedere ancora nessuno. Ho bisogno di stare da solo. » la interruppi, prima che potesse illudersi. Volevo bene a tutti, ma avevo bisogno di tempo per far guarire tutte le ferite, e vedermi di nuovo pronto a stare accanto alle persone che amavo. In un certo senso, stavo cercando di allontanarmi anche da loro, per non ferirli e non ferire me stesso.
« Come vuoi. » si arrese. « Però sai bene quello che penso al riguardo, e se fosse per me sarei già venuta a riportarti a casa seduta stante. Neanche tuo padre tollera questo tuo atteggiamento, sai che non hai colpa per quello che è successo » ribadì, forse per la miliardesima volta. Insisteva a considerarmi suo figlio a tutti gli effetti – l’anno prima mi avrebbe fatto commuovere -, alla pari di Will, Seb o Lily, e proprio come una madre non riusciva a vedere che la colpa di tutto quello che era successo era stata solo mia. Se solo fossi stato più attento, se fossi stato meno preso da me stesso …
« E’ inutile che continui a rimproverarti per ciò che non potevi impedire. » mormorò, intuendo i miei pensieri.
« Forse lo è, ma non posso fare a meno di pensarci. » ammisi, con la voce roca.
I ricordi ancora mi perseguitavano, a volte mi svegliavo nel cuore della notte con il cuore che mi batteva all’impazzata, neanche la lontananza fisica mi aveva aiutato molto.
« Spero che troverai ciò che cerchi, lì in Italia. »
Sorrisi, amaro. « E’ quello che spero anche io »
 Stavo cercando me stesso, quello che ne rimaneva, e capire chi ero diventato. Anzi, chi ero e basta. Non lo sapevo più nemmeno io.
« Ehi! Mamma, c’è Lucas al telefono e non me lo dici? »
L’inconfondibile voce di Seb raggiunse anche me, e sorrisi automaticamente.
Sentii rumori strani per qualche secondo, ma poi di nuovo lui: « Fratello, sei in vivavoce, così ti sentono tutti. Lily e Will stanno arrivando. » m’informò, allegro come sempre.
« Ottimo, scommetto che Will muore dalla voglia di rivedermi. » commentai, secco. Tra me e lui non era mai corso buon sangue, e pensavo che fosse perché mi aveva sempre visto come un rivale, in qualsiasi ambito, anche in amore. Quando era successo, lui aveva incolpato me … continuavo a negarlo, ma uno dei motivi per cui avevo radunato le mie cose ed ero scappato dall’aria - diventata opprimente – di quella casa era lui.
« Già, lo sai che stravede per te. »
« Sebastian! » lo richiamò l’altra, quasi scandalizzata.
« Che c’è, mamma? È vero. Will lo detesta, e nessuno sa perché. »
« Sempre a parlar bene di me, eh, fratellino? » intervenne una voce più profonda, ma al tempo stesso più ruvida, sebbene assomigliasse molto a quella del fratello minore.
« Oh, ciao Will. » lo salutò lui, incurante. « C’è Lucas al telefono. »
« Lo so, non sono mica sordo. »
« Uhm, ciao, William. » intervenni, prima che la loro conversazione degenerasse, anche se solo pronunciare quelle parole mi fece venire l’amaro in bocca.
« Ciao, Lucas. Ancora in Italia o torni qui? »
« Puoi stare tranquillo, rimango ancora un po’. » risposi, freddo, percependo chiaramente nella sua domanda un interesse di certo non indifferente.
« Ragazzi … » ci riprese la mamma, bonaria, ma ben sapendo che non sarebbe bastato.
« Bè, ero venuto solo per dirvi che Lily minaccia di uccidere tutti se non parla anche lei con Lucas. » sputò tra i denti il mio adorato fratellastro. Era invidioso, poco ma sicuro. Come sempre.
« Benissimo, allora ciao. » lo congedai, sbrigativo, e di certo lui fu ben felice di andarsene.
« Scusalo, fratello. Lo sai com’è fatto. » si scusò Seb, per lui. Immaginai che stesse scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo.
« Fin troppo bene. » replicai, a denti stretti. Ma se avessi voluto dire qualcos’altro, non avrei potuto, perché la voce acuta e squillante dell’ultimogenita mi trapassò i timpani.
« Lucas! Dov’è Lucas?! Se ha chiuso giuro che lo ammazzo! »
Risi di cuore, sentendo quelle parole. « Tranquilla, Lils, sono ancora qui. Per poco, ma ci sono. »
La sentii sbuffare sonoramente ed intimare a Sebastian di farle posto.
« Perché, cosa dovresti fare? » chiese.
« Bè, devo correggere diciotto compiti di Letteratura, preparare la lezione per martedì, e magari, se riesco, anche quella per venerdì … mi hanno mollato due giorni di fila, una tortura. » la informai, fingendomi esasperato. In realtà, adoravo il mio lavoro, ma soprattutto correggere i compiti. Quello di Ronnie era sempre quello che mi capitava per mano per primo, in un modo o nell’altro. Adoravo soprattutto le parti in cui chiedevo di riflettere sopra brani, oppure di dare pareri personali. Era brillante, con una mente assolutamente fuori dal comune, e la cosa che mi sorprendeva era che scriveva sempre cose molto personali, dappertutto era possibile vedere che lei credeva davvero in ogni singola frase che aveva scritto.
Già, non come altri, che scrivevano ciò che pensavano volessi sentirmi dire, lei non fingeva mai. Ma soprattutto, quando scriveva mi lasciava entrare un po’ nella sua anima, nei suoi pensieri, e non riuscivo a negare quelle visioni non mi piacessero, perché erano incantevoli. Lei era incantevole.
« Ronnie … » mormorai ad alta voce, senza averne l’intenzione.
« Ehi, chi è questa Ronnie?! » s’intromise subito la piccola peste.
« Già, fratello, sei lì da pochi mesi e già hai fatto strage di cuori? Vengo anch’io a trovarmi una ragazza italiana! » scherzò, ridendo.
« Una ragazza? » chiese anche la mamma, che probabilmente stava facendo altro per lasciarmi un po’ di intimità con i miei fratelli.
Cazzo. « Ehm, no, nessuna ragazza. È una solo studentessa molto, molto brava. Stavi dando un’occhiata al suo compito. » mentii, sperando che se la bevessero. « Sono davvero in ritardo e se non comincio subito dovrò passarci sopra la notte. »
« Oh, certo, ti lasciamo lavorare! » s’intromise la mamma, premurosa.
« Ma io ancora non ci ho parlato per bene! » protestò Lily, imbronciata.
« Tranquilla, piccola peste, domani mi racconti tutto quello che vuoi, ok? » la rassicurai, con un sorriso.
« Va bene. » accettò, di buon grado, già allegra alla prospettiva di riempirmi di discorsi su ragazzi, amiche e trucco. Benvenuto inferno.
« Bè, allora ci si sente presto, fratello. Fatti vivo, ok? Mi sei mancato. » mi salutò Seb, caloroso.
« Anche tu mi sei mancato, Seb. »
« Chiama, ogni tanto, Lucas. » si raccomandò ancora la mamma.
« Te lo prometto, mamma. Vi voglio bene. A presto. » li salutai, e chiusi la telefonata.
Il mio primo pensiero? Ronnie.
 
Ronnie POV
 
« Mamma, questo dove lo metto? » chiesi, soppesando un sacchetto di fragole.
« Uhm, in frigo. Guarda se c’è posto giù in basso. »
Lottando con l’insalata, riuscii a far entrare in quel coso straripante anche le fragole.
« Bene, abbiamo finito. » annunciai, soddisfatta, chiudendo l’anta del frigorifero.
« Sì, grazie dell’aiuto. »
« Di nulla. »
Feci per andarmene, ma lei mi richiamò.
«Ronnie, vorrei parlarti ancora di quel ragazzo, Lucas. »
Rimasi interdetta, non mi sembrava di averle mai detto che si chiamava così!
« Hans mi ha parlato di lui. » spiegò, e io ringhiai. Quel figlio di puttana! «E’ preoccupato per te, dice che lui è una persona violenta e che teme possa farti del male. Ti vuole molto bene, lo sai. »
« Allora, mettiamo in chiaro una cosa. » iniziai, furente, giurando a me stessa che Hans me l’avrebbe pagata, e cara, molto cara.  « Lucas non è affatto una persona violenta, anzi. È un vero gentleman, pensa, la sua famiglia è di Kensington! »
La sua espressione cambiò improvvisamente, facendosi interessata. « Kensington? Come hai detto che si chiama, di cognome? »
« Evans. Perché? » chiesi, confusa. Cosa c’entrava, ora, come si chiamava?
Lei s’illuminò, probabilmente dimenticando tutto il discorso convincente che doveva averle sciorinato quel grandissimo stronzo chiamato Hans Wangdorf.
« Quegli Evans? » chiese, con uno scintillio preoccupante negli occhi castani.



Flar's Notes *********************************************
Salve ragazze ^^ Eccomi qui, son puntualissima, una settimana precisa ;)
Come avrete notato, questo capitolo (siamo già al decimo! *-*) è incentrato su Lucas e sulla sua storia. Avrete capito un po' di più di lui, spero ;) Lo so, mi ucciderete per esser così misteriosa, ma altrimenti il nostro Lucas non avrebbe nemmeno un millesimo del suo fascino ;)
eìDetto questo, vi lascio, domani mi interroga in greco e, detto sinceramente, me la sto facendo sotto >.<
Per favore, almeno sei, almeno seiiiii.... ops, scusate ^^"
Un bacio ;)
   
 
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