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Another brick in the wall
"I
know what it takes to move on
I know how it feels to lie
All I wanna do is trade this
life for something new
Holding on to what I haven't got"
[Waiting For The End – Linkin Park]
2 Marzo, Villa Stark
Nei
giorni che precedettero il processo e non appena fu in grado
di alzarsi dal letto contro ogni buonsenso, Tony divenne sempre
più nervoso e incostante.
Entrò in uno stato di attività febbrile, vivendo
prevalentemente in
laboratorio e facendosi vedere di rado nel resto della casa, preso
com'era dal suo lavoro che sembrava averlo rinvigorito almeno nel
fisico
dalla spossatezza post-operatoria. Lo
stesso non si poteva dire delle sue condizioni psichiche: era
soggetto a frequenti e improvvisi scoppi d'ira, seguiti da profonde
crisi depressive che però duravano al massimo un paio d'ore,
per poi
tornare in uno stato di euforica attività. Spesso era
tormentato da
atroci fitte di dolore al moncherino connesso alla protesi, cosa che
lo innervosiva ulteriormente ma che non bastava a imporgli il confino
a letto come gli aveva prescritto Ian.
Nonostante questo
miscuglio di emozioni altalenanti lavorava sempre fino a sfinirsi,
accumulava appunti e schizzi in un caos ingestibile sulla sua
scrivania e affidava il lavoro della fusione ai robot, assicurandosi
di persona che fosse eseguito alla perfezione. Era diventato quasi
ambidestro, ma non si fidava a fondere e preparare la lega di
unobtanium con una mano incerta e un braccio incompleto. Aveva
realizzato a tempo di record il telaio, incluse le
dita, anche se
non riusciva ancora a muoverlo se non per pochi, basilari gesti.
Passava ore nel tentativo di controllare quel rudimentale abbozzo di
braccio, sostenendo che doveva abituarsi a quello prima di riprodurre
il resto.
In
generale, stava compiendo una lotta contro il tempo per terminare il
braccio in modo che fosse funzionale prima del processo: sembrava
preoccuparsi più di come sarebbe apparso in aula che non del
processo in sé.
Questo
clima di tensione influiva anche su chi viveva con lui o decideva suo
malgrado di fargli visita.
Rhodey,
ancora all'oscuro delle condizioni di Tony e probabilmente andando
contro gli ordini della SHIELD, aveva commesso l'errore di
disturbarlo mentre stava controllando la fusione dell'unobtanium,
impresa non facile con la sola sinistra e in bilico su una sedia a
rotelle. Gli era tremata la mano al momento sbagliato quando
Rhodey lo aveva chiamato tramite l'interfono e aveva quindi
rovesciato il metallo fuso sul banco di lavoro, rischiando di
danneggiare irreparabilmente anche la protesi. Era andato su tutte le
furie e gli aveva precluso l'accesso al laboratorio all'istante,
intimandogli di non mettere più piede in casa sua. Aveva
probabilmente perso un importante appoggio per il processo e a nulla
erano valse le scuse di Pepper per conto di Tony e i suoi tentativi di
accennargli la gravità della situazione: Rhodey se n'era
andato stizzito, dicendole di fargli presente quando il suo "amico"
avesse deciso di comportarsi da persona civile, e non aveva voluto
ascoltare altro. A quel punto era stata Pepper a stizzirsi e a
decidere che non aveva tempo né energia per tener testa a due
adulti che si comportavano come tredicenni isteriche.
Ian
ormai si faceva vedere poco e niente alla Villa a causa
dell'intrattabilità di Tony durante i controlli, neanche gli
stesse
impiantando di nuovo il braccio da sveglio. Si era limitato a
prescrivergli degli antidolorifici, dedicandosi anima e corpo al suo
nuovo impiego alle Stark Industries nonostante l'indisponenza del suo
datore di lavoro.
Fury non si era ancora fatto vivo nonostante
avesse finalmente annunciato un'imminente riunione dei Vendicatori
per "fare il punto della situazione", così avevano almeno
evitato di inimicarsi personalità altrettanto suscettibili
come Hulk
o Thor. La reazione di Tony era stato di puro fastidio: era
evidentemente ancora molto, molto risentito per lo stato di totale
ignoranza in cui lo stavano tenendo e per il loro apparente
disinteresse nei suoi confronti.
Un paio di settimane prima Coulson le aveva comunicato in privato che
il quartier generale era al momento piuttosto in subbuglio a causa di
alcuni contrasti col governo, che a quanto pareva non vedeva di buon
occhio qualunque "progetto" la SHIELD stesse cercando di nascondergli.
Un certo generale Ross aveva avanzato delle pretese discutibili
riguardo alla coordinazione del progetto, con enorme irritazione di
Fury, già impegnato a gestire un fronte turbolento tra
Asgard e Midgard. Sembrava che Stane non avrebbe potuto scegliere
momento peggiore per dare di matto e ridurre Tony in quello stato.
Coulson l'aveva pregata di non fare parola delle tribolazioni della
SHIELD con lui, vista la sua posizione già abbastanza
ambigua e precaria nei Vendicatori. Non avevano bisogno di ulteriori
colpi di testa da parte sua e Pepper si era trovata d'accordo,
nonostante sentisse un lieve disagio nel mentire a Tony. D'altronde,
questi era troppo assorbito dal suo lavoro per prestare veramente
attenzione a qualunque cosa accadesse oltre le mura del laboratorio.
Happy
e Pepper stavano iniziando ad accusare la situazione tutt'altro che
serena, essendo obbligati a convivere
con Tony ventiquattr'ore su ventiquattro. Il primo aveva risolto il
problema prendendosi delle lunghe ferie per una presunta zia malata.
Pepper sapeva benissimo che aveva preso il primo aereo per Las Vegas
e non poteva biasimarlo, visto che ormai aveva ben poco da fare alla
villa in veste di autista e personal trainer di Tony.
E
così lei era rimasta da sola a gestire un impero
finanziario, in
compagnia di una specie di grizzly che usciva una volta al giorno dal
laboratorio unicamente per mangiare, quando se ne ricordava, o stare
ore
nella vasca da bagno – l'unico atto che pareva dargli
sollievo dal
dolore ai moncherini – con un blocco degli appunti sempre a
portata
di mano, lasciandole un processo da affrontare e la casa desolatamente
vuota.
Tony accettava solo sporadicamente la sua compagnia, costantemente di
cattivo umore per un qualche problema tecnico insorto nella
costruzione del braccio. Sembrava che tollerasse solo la presenza di
JARVIS, che almeno aveva il chip del sarcasmo nei limiti della sua
tolleranza.
Da
un lato, Tony sembrava rendersi ben conto
dell'insopportabilità del suo
comportamento scostante e pareva quasi sentirsi in colpa, dall'altra
sembrava avere un bisogno fisiologico di stare da solo, dopo aver
passato un mese in uno stato di sorveglianza quasi costante. Pepper
si era impressa a fuoco nella mente le parole di Ian sullo stress
post-traumatico
e cercava comunque di non abbandonarlo a se stesso per più
di
qualche ora.
Fortunatamente
le rare volte che riemergeva di sua sponte dal laboratorio per
lavorare in terrazzo era quantomeno trattabile e diventava
più
incline a parlare.
Quella
mattina, due giorni prima del processo, Pepper era appunto in
terrazzo occupata a visionare vari documenti e registri delle Stark
Industries in preda al caos e a cercare di contattare un avvocato
disposto a difendere Tony: data la situazione decisamente sfavorevole
tutti richiedevano un prezzo esorbitante – non che fosse un
problema, ma non era entusiasta di ingaggiare una sanguisuga
– o rifiutavano
direttamente, temendo di essere trascinati nel turbine dello scandalo
che circondava il miliardario. Di questo passo sarebbero stati
costretti a ripiegare sugli avvocati delle Stark Industries, che per
quanto competenti erano fin troppo suscettibili all'influenza del
consiglio d'amministrazione, lo stesso che fino a poco tempo prima
aveva avallato le bieche manovre di Stane e che adesso se ne
distanziava nettamente come se ne fosse stato all'oscuro. Pepper si era
ritrovata da sola a tener testa a quel branco di sciacalli, ansiosi di
firmare un'ingiunzione per escludere Tony dalla direzione dell'azienda
quanto lo erano al suo ritorno dall'Afghanistan. Il diretto interessato
non sembrava ritenersi tale e si era rifiutato ancora di rendere note
le sue condizioni, sostenendo, stavolta forse a ragione, che
ciò li avrebbe solo convinti della sua incapacità
decisionale.
Pepper sospirò, cancellò il sesto numero di
telefono dalla lista accanto a sé e si impose una pausa
dalla ricerca del legale: aveva comunque una considerevole montagna di
scartoffie che l'avrebbe tenuta più che occupata.
Tony
si materializzò dal nulla accanto a lei ancora in
pantaloncini e
canotta del pigiama, con un fascio di fogli sottobraccio. Si
sedette
al tavolo senza una parola, trovando come sempre grandi
difficoltà
nel manovrare le stampelle: il braccio era ancora decisamente
primitivo e non gli garantiva una gran libertà di movimento,
ma si
era incaponito a volersi spostare così, rinunciando alla
relativa comodità della sedia a rotelle e mettendo a dura
prova la pazienza di
Ian, seriamente preoccupato per le ripercussioni di quell'abitudine
sul moncherino e sulla schiena. Gli aveva proposto di applicare
temporaneamente una protesi rigida
alla gamba, per permettergli almeno di avere un appoggio e
semplificargli gli spostamenti, ma Tony aveva opposto un rifiuto
categorico ad "impiantarsi una gamba di legno".
"Mi
basta una gamba finta al processo," aveva aggiunto irritato.
«Dormito
bene?» chiese Pepper, distratta, ben sapendo che aveva come
sempre
fatto le ore piccole e che si era probabilmente alzato alle sei del
mattino per rimettersi al lavoro.
O forse, più probabilmente, non
aveva dormito affatto.
«Molto. Sono crollato ieri sera in
laboratorio verso le dieci e mi sono svegliato ora,» rispose
invece
lui, stranamente calmo e massaggiandosi il collo a riprova della
dormita decisamente scomoda.
Pepper
alzò lo sguardo: appariva effettivamente più
riposato, anche se le
occhiaie erano ancora evidenti; tra l'altro si era anche ostinato a
non togliersi la benda dall'occhio destro nonostante Ian gli avesse
detto chiaramente che avrebbe fatto meglio a iniziare a scoprirla per
aiutare la cicatrizzazione. Gli aveva ripetuto più volte che
non
c'era nulla da fare e che potevano solo affidarsi alla chirurgia
plastica per camuffare il danno, magari ricorrendo poi a un occhio di
vetro. Lui invece sembrava non volersi
rassegnare a quella perdita definitiva, né a "fare un
cosplay del pirata irascibile", e Pepper aveva visto
di sfuggita qualche schizzo di apparecchi ottici confusi con il
marasma di bozzetti che si trascinava sempre dietro.
«Ha preso
gli antidolorifici?» chiese, conoscendo già la
risposta.
«Le
ho già detto che quella roba mi ottenebra il cervello. Non
sento
dolore, e tanto basta,» sbottò infatti lui,
chiudendo lì la
questione e mentendo spudoratamente, a giudicare dalle contrazioni
involontarie che gli attraversavano il volto ad ogni piccolo movimento.
Pepper evitò ovviamente di
dirgli che li assumeva inconsapevolmente attraverso i litri di
caffè
e clorofilla che scolava ogni giorno, e che nonostante ciò
le
sembrava che la sua capacità di intendere e di volere fosse
rimasta inalterata. Piuttosto,
la caffeina lo rendeva perennemente scontroso e iperattivo, ma quel
giorno sembrava essere in una delle sue fasi buone: il sonno doveva
avergli fatto bene.
Tony
fissò con aperto disgusto le pratiche legali sparse sul
tavolo,
prima di impugnare la matita con la destra e tentare di maneggiarla
senza spezzarla: la potenza della protesi doveva ancora essere
calibrata. Le dita erano decisamente primitive, quasi dei pistoni, e
Tony non si era ancora abituato a gestirla, così finiva per
rompere
le cose senza volerlo, facendosi male lui stesso se si muoveva
sovrappensiero. Sembrava
aver fatto progressi notevoli col controllo della protesi, ma era
evidente che doveva concentrarsi al massimo anche solo per muovere le
dita della mano, perché il congegno sembrava rispondere solo
in
parte ai suoi ordini. Per ora era solo un telaio di titanio con cavi,
fili e chip scoperti in attesa di essere trasformati in tendini e
legamenti, collegati da uno snodo di fibra di carbonio direttamente
alla piastra della spalla, l'unico pezzo definitivo del congegno.
«Quand'è
il processo?» le chiese all'improvviso, le sopracciglia
aggrottate
nello sforzo di non disintegrare la matita e di seguire allo stesso
tempo la linea del righello.
«Il
quattro marzo, dopodomani. Quindici.» aggiunse.
«Quindici
cosa?»
«Quindici
volte che me lo chiede in tre giorni.»
Tony
fece un mezzo sorriso per celare il suo nervosismo al pensiero, prima
che la matita si spezzasse di netto tra le sue dita meccaniche.
Imprecò tra i denti e provò a scrivere con il
mozzicone, ma gli si
frantumò definitivamente. Rinunciò a usare la
protesi
e si arrese a
scrivere con la sinistra, nonostante lo trovasse estremamente
scomodo.
Pepper
smise di osservarlo e ritornò ai suoi documenti,
sottolineando le
parti che non la convincevano: a sentire l'accusa, Tony era un
terrorista in grado di minacciare gli Stati Uniti da solo; aveva
sabotato delle esercitazioni militari – dunque Rhodey aveva
parlato
– e negli ultimi sei mesi si era trovato coinvolto in diversi
scontri armati in cui non era stato chiaro per quale parte
combattesse. Restavano
da chiarire i motivi che l'avevano spinto a far saltare il reattore
arc e ad uccidere l'amico e collaboratore Obadiah in una "lotta impari"
e l'esistenza di una gigantesca arma robotica non meglio identificata
oltre alla famosa armatura.
Almeno,
questo era quello che sostenevano le scartoffie che aveva in mano. Vi
erano un'altra decina di accuse, riguardanti i vari danni a
infrastrutture e edifici pubblici durante lo scontro, attribuiti a
"una furia distruttiva senza pari" e ai "postumi del
trauma subito in Afghanistan, che hanno portato l'imputato a
ricambiare le violenze subite durante la prigionia". Secondo
quegli avvocati, Tony era una specie di pazzo criminale che aveva
come unico scopo quello di distruggere tutto ciò che poteva.
"Un
mare di idiozie," concluse, sbarrando con decisione quei capi
d'accusa come se ciò potesse eliminarli anche dalla
realtà.
Alzò
lo sguardo: Tony le sembrava più inoffensivo che mai, preso
com'era
a tracciare un abbozzo della sua protesi, con la fronte aggrottata
per la concentrazione di scrivere con la sinistra e lo sguardo
assorto che celava un velo di sofferenza. Teneva la protesi poggiata
sul moncherino inferiore con fare protettivo, e la testa più
inclinata del solito per leggere meglio ciò che scriveva.
Pepper
distolse lo sguardo da lui nel rendersi conto di quanto le facesse
male vederlo in quelle condizioni, nonostante tutto l'ottimismo che
si era imposta.
Tornò alle sue carte per non soffermarsi su quelle
riflessioni: veniva imposto il sequestro
immediato dell'arma ribattezzata "Iron Man" e della sua
fonte di energia, il che implicava tacitamente la consegna del
reattore arc impiantato nel corpo di Tony del quale tutti ignoravano
l'esistenza. E l'armatura era ridotta a un ammasso di metallo
semifuso: Tony non aveva trovato né tempo né
voglia di
ricostruirla, visto che non sapeva se avrebbe potuto ancora usarla.
Pepper
sospirò scoraggiata: troppi, troppi problemi da affrontare e
risolvere, troppo poco tempo e soprattutto troppa poca collaborazione
da parte
del diretto interessato.
«È
difficile,» commentò lui all'improvviso, come
esprimendo i suoi
pensieri.
«Deve
solo farci l'abitudine: prima o poi riuscirà a controllare
il
braccio come vuole lei,» replicò automaticamente,
senza staccare
gli occhi dall'ennesima pagina di tiritere legali.
«No,
intendevo... questo è
difficile.»
Si sporse verso di lei e
le mostrò il progetto al quale stava lavorando: una decina
di
abbozzi della protesi in varie angolazioni e posture erano stilizzati
in alto, e una serie di complessi calcoli occupava il resto del
foglio. Pepper si distolse momentaneamente dalla sua occupazione, lieta
di
potersi distrarre e rallegrandosi in cuor suo che Tony la stesse
mettendo parte del suo lavoro.
«Qui,»
indicò lo snodo del gomito, «dovrei riprodurre una
sorta di
cartilagine per ridurre l'attrito, perché l'articolazione si
blocca.»
A
dimostrazione, piegò faticosamente il braccio verso l'alto e
si
sentì un sinistro scricchiolio metallico: si era
effettivamente
incastrato e dovette spingerlo con l'altro per farlo tornare disteso.
La
protesi emise uno scatto secco seguito da un cigolio di protesta e il
mignolo si afflosciò inerte.
«Ah.
Si è di nuovo logorato il cavo di collegamento,»
commentò tra i
denti Tony.
Provò inutilmente a muovere il dito, cosa che anche
con una protesi funzionante doveva essere estremamente difficile, ma
quello continuò a penzolare,ignorando i suoi sforzi.
«Ecco,
questo è un altro problema dell'attrito: il rivestimento dei
cavi si
logora, l'unobtanium entra in contatto con gli altri cavi e li
deteriora – senza contare che ossida il titanio –
e si
interrompono gli impulsi nervosi. Mi serve della cartilagine
sintetica ma...»
«Non
sa come riprodurla.»
«Esatto. Tutti i materiali che ho testato sono troppo poco
durevoli. Potrei
provare ancora con l'unobtanium, ma preferirei un'alternativa,
perché
è troppo instabile... e poi ha una forma solida, mentre la
cartilagine è più morbida,»
commentò, giocherellando
sovrappensiero con un cavetto che sporgeva dal telaio.
«Signor
Stark, vorrei tanto aiutarla, lo sa, ma non capisco assolutamente
niente di robotica e ingegneria biomedica,»
osservò gentilmente
lei, con un sorriso di scuse.
«Non
importa,» ribattè lui. «Devo solo
parlarne con qualcuno, esporre le
mie idee per ragionare... insomma, essere ascoltato e ripreso se
parto per la tangente. Mi basta questo, e lei è sempre stata
bravissima a farlo,» concluse, con un sorriso sghembo,
facendole
abbassare lo sguardo imbarazzata. «Comunque...
quante possibilità ho di uscire quasi
integro dal processo?»
cambiò improvvisamente discorso, un po’ troppo
ironicamente.
«Non le nascondo che per ora tutto è contro di
lei, ma forse potremmo riuscire a sfruttare le accuse a nostro
favore, soprattutto sull'ambiguità dell'armatura intesa come
arma.
Dovremmo comunque tentare di evitare le domande più spinose
e
dirigere il processo su zone sicure per noi,
così...»
L'attenzione
di Tony durò poco. Scivolò con la sedia accanto a
lei, ignorando
completamente ciò di cui stava parlando e ricambiando a suo
volere e
piacere argomento per lanciarsi in una dettagliata spiegazione
tecnica per risolvere il problema dell'unobtanium, tracciando linee
sul foglio e guardandola di tanto in tanto, come in cerca di
approvazione. Lei non poteva fare altro che tentare di seguire i suoi
ragionamenti intricati, perdendosi inevitabilmente quando lui
enunciava teoremi e formule, ma era comunque molto interessata:
nonostante Tony fosse un pessimo insegnante, sapeva catturare
l'attenzione di chi lo ascoltava. Aveva senza dubbio un magnetismo e
un fascino innati, cosa che aveva ampiamente dimostrato sia nei suoi
numerosi discorsi pubblici che nella sua disinvoltura nel districarsi
indenne da situazioni che volgevano a suo sfavore.
Pepper
sperò che riuscisse a fare lo stesso anche al processo.
«... si
logorano i cavi interni: quelli esterni non sono un problema, anche
perché dovrò sostituirli con qualcosa di meno
ingombrante... non
posso diminuire i cavi, né spostarli, né
modificare quelli che
contengono l'unobtanium...»
Pepper lo guardò sconsolata e Tony
mordicchiò pensieroso la matita, apparentemente in stallo.
«Però...
aspetti. Forse... ci sono! Ci sono. Non devo cercare di risolvere il
problema ma... evitarlo, e sfruttarlo a mio
vantaggio!»
esclamò all'improvviso riprendendo le sue parole e aprendosi
in un
gran sorriso, il primo spontaneo da giorni.
Pepper
non fece in tempo a chiedere spiegazioni che Tony era balzato in
piedi, rischiando di uccidersi per la fretta di prendere le
stampelle; afferrò i fogli e gli schizzi e le
schioccò a sorpresa
un bacio sulla guancia:
«Lei
è un genio, Pepper!» esclamò
entusiasta, avviandosi zoppicando
verso il laboratorio e lasciandola sul terrazzo in un misto di
felicità e stupore.
***
Il
suo cellulare trillò.
«Virginia
Potts, mi dica.»
«Molto
piacere, signorina Potts. Sono Kyle Andrews, un avvocato. Ho saputo
del processo del signor Stark e vorrei offrirmi come
difensore.»
«Mi
scusi, chi le ha dato questo numero?»
«Sono un ex-paziente del
dottor Ian Mitchell, mi ha dato lui gli estremi. Mi scuso per non
essermi proposto prima, ma ho dovuto vagliare attentamente la
situazione. Sarei davvero disposto a difendere il signor
Stark.»
«È
assunto,» lo informò subito Pepper, senza pensarci
due volte e
stentando a credere a quello che poteva senza dubbio dirsi un
miracolo.
«Oh,
che rapidità!» si sentì una lieve
risata all'altro capo del
telefono. «Quando potrei avere un colloquio con lei o
direttamente
con l'imputato?»
Pepper
ebbe appena tre secondi di esitazione.
«Oggi,
il prima possibile. Mi fornisca il suo indirizzo e la faccio venire a
prendere in mattinata.»
«Ah,
mi risparmia un'immensa fatica. Grazie.»
Pepper
riattaccò e balzò in piedi, diretta al
laboratorio.
«Tony!»
Revisione effettuata il 19/02/2018
Note Delle Autrici:
Ed ecco a voi l'altro capitolo u.u (ma no?)
Ci stiamo rendendo conto che stiamo pubblicando a raffica, ma d'altra parte questa FF sta venendo fuori liscia come l'olio, senza blocchi *incrocia le dita* e cavoli vari quindi... perché aspettare? :D
Questo, come il gentile pubblico può notare, è un capitolo di stallo! *standing ovation* No, seriamente, non proprio di stallo... diciamo "riassuntivo".
Idee o ipotesi per il nuovo personaggio? :) Ci sono un po' di indizi... si aprano i giochi! :D
Ringraziamo come sempre alliearthur, Rogue92 e sofy96 che recensiscono e hanno aggiunto la storia tra le seguite ^_^
Sunset In The Darkness aka Shadow&Light
P.S. Applauso ai Pink Floyd (<3) che ci hanno prestato il titolo XD
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