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Autore: StephEnKing1985    16/04/2012    1 recensioni
- Marco? - chiamò Manuel. Marco era lì seduto sul panettone di cemento a piangere sconsolato.
Manuel gli andò vicino e s'inginocchiò di fronte a lui, incontrando i suoi grandi occhi color cioccolato, ora bagnati dalle calde lacrime- Ehi - gli disse - Ma perché piangi? Guardati intorno. C'è Torino di notte che è tutta per noi. E poi... Ci sono io con te. - Gli sorrise e gli porse la mano. Marco lo guardò. In quegli occhi azzurri c'era molta più sincerità di quanta non ne avesse mai vista in vita sua... Quegli occhi color cristallo gli sorridevano, e sembravano dire "Non abbandonarmi, amico mio. Se mi abbandoni, tutto sarà stato vano." Marco allora prese quella mano e Manuel dolcemente lo tirò su. - Andiamo - disse soltanto.
- Ti voglio bene, Manuel. - sussurrò Marco all'orecchio di Manuel, mentre sotto di loro il Po scorreva tranquillo...
- Ti voglio bene anch'io, Marco. - rispose Manuel, stringendolo ancora di più nell'abbraccio.
*****

Marco e Manuel. Un anno d'età di differenza, anni luce differenti per modi di pensare ed agire. Eppure così simili, così saldamente uniti da un legame fraterno che li farà incontrare e sperare di nuovo nella vita. Sostegno l'uno dell'altro contro le delusioni della vita, prime fra tutte quelle d'amore. Una meravigliosa storia di amicizia, che vede protagonisti Marco De Cristina e Manuel Chiaravalle, già presenti nelle fiction di Notrix "Finalmente... Laureati!" e "Troppo bello per essere vero". In questo nuovo romanzo, Notrix ci conduce per mano verso un grande ed inesplorato parco (la città di Torino, che ha dato i natali a Marco e Manuel), dove la falsità e l'opportunismo sono elementi del paesaggio, e dove due ragazzi, così differenti in tutto e per tutto, trovano nell'amicizia una sicurezza contro le avversità della vita.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Cogli l’attimo fuggente”, recitava l’idea principale del film omonimo del 1990. Cogli l’attimo fuggente, l’occasione che ti farà cambiare la vita, il momento chiave, ciò che nella vita capita poche volte, o addirittura una volta sola. Difficile riconoscere quando effettivamente un momento è chiave, ma non altrettanto difficile è saperlo cogliere. A Marco sarebbe bastato vedere la palla almeno dieci secondi prima che gli atterrasse sul viso facendogli perdere i sensi, mentre a Martin sarebbe bastato andare in infermeria e baciare Marco mentre era privo di sensi. Sicuramente Marco in quelle condizioni aveva avuto ben poche possibilità di cogliere qualunque attimo, però sentiva che voleva conoscere quel bel ragazzo, che appena si era risvegliato era andato via (deludendolo ampiamente, perché pensava sarebbe rimasto), lasciando solo Marco a bere il suo caffè d’orzo. L’avrebbe mai rivisto? Continuava a chiederselo, ma le probabilità erano molto scarse… figurarsi poi se un bel ragazzo come quello si sarebbe sprecato accanto ad un ragazzotto come Marco. Amore, se non la smetti di dire che sei brutto, ti tiro un pugno che ti faccio diventare brutto veramente! Era la scherzosa minaccia che solitamente gli faceva Rocco, il suo ex ragazzo, per dirgli di non fissarsi di essere brutto, perché non lo era. A chi l’avesse visto da lontano, Marco appariva basso e dallo sguardo perso nel vuoto, con quegli occhioni grandi e marroni spalancati su tutta la fantasia del mondo, e quei capelli dello stesso colore degli occhi, così arruffati e pieni di vita, ispiravano a toccarli per la loro morbidezza. D’accordo, l’altezza era molto inferiore a quella media di un ragazzo della sua età, però c’era da dire che la sua statura lo faceva sembrare più giovane dei suoi ventisei anni, tanto che per sembrare un po’ più maschile, aveva iniziato a farsi crescere barba e pizzetto.

- Uff… questa barba mi prude proprio – borbottò Marco, mentre, seduto sul tram, si grattava la guancia destra. Il ritorno dal lavoro era sempre una gioia anche se pure quel giorno i capi gli avevano rotto le scatole a puntino, e si era stressato a tenere buoni dei clienti che avevano perso le loro spedizioni, mentre nella sua testa si faceva sempre più strada la convinzione di dover mollare tutto e cercare un altro lavoro. O darsi all’ozio in casa sua. Unico pensiero fisso in tutto quel mare di stress, restava solo il bel ragazzo, di cui aveva appreso il nome da Manuel: Martin.

Ormai erano passati alcuni giorni da quando era successo il fattaccio. L’unico ricordo che restava di quel giorno era un grosso cerotto sul naso di Marco ed un paio di vecchi occhiali da vista rotondi con la solita montatura di tartaruga, visto che gli altri avevano visto la fine sotto il colpo mortale del pallone da volley. Dopo tutti quei giorni, e dopo che il ragazzo non s’era visto nella compagnia che adesso frequentava insieme a Manuel, Marco cominciava a pensare che non l’avrebbe più rivisto. Finché…

Lo zainetto della palestra. Era lì, appoggiato alla porta della sua stanza da letto, da quel giorno. Vedendolo tornare dall’allenamento con il naso incerottato e la testa fasciata, la madre di Marco l’aveva riempito di domande ed espressioni preoccupate, a cui Marco aveva risposto coerentemente, seppur con una velata seccatura. Così, lo zainetto era rimasto lì con la tenuta arbitrale sudata. Forse è ora di dar loro una lavata, pensò Marco, mentre prendeva in mano lo zaino.

Velocemente, tirò fuori tutte le cose. Maglietta, scarpe, pantaloncini, asciugamano. Non c’era rimasto più niente, quindi lo capovolse per togliere i residui di polvere, che caddero sul pavimento formando una piccola nube grigiastra.

Insieme a quelli spuntò fuori anche un foglietto.

Marco sgranò gli occhi. Era un foglietto bucherellato, proveniente di sicuro da un taccuino a spirale. Piegato in quattro, sembrava una specie di messaggio di quelli che si usano nelle caccie al tesoro. Lo prese in mano e lo aprì. Sopra di esso, un numero ed un nome.

Martin – 348 – 12 88 934.

Nel leggere quei caratteri, il suo cuore perse un battito. Cioè, quel foglietto era sempre stato là, e lui non se n’era mai accorto. Oh porca put…. Pensò Marco, cercando di ricordare dove avesse messo il telefono cellulare.

Lo trovò nella sua borsa del lavoro. La vita di un operatore call center è mezza spesa al telefono, quindi è facilmente intuibile il motivo per cui Marco dimenticasse sempre dov’era il suo cellulare… Questa volta però era di vitale importanza prenderlo e fare il numero. Così lo afferrò e compose le prime cifre.

Una volta completo il numero sul display, Marco ebbe un’esitazione.

Ma… ma… e se avesse sbagliato zaino? Forse non voleva darlo a me, questo numero..

Il pensiero lo fece esitare. Tuttavia, non avrebbe potuto saperlo se non contattando il bel Martin. Si morse un labbro. Era vero che ormai aveva preso dimestichezza con le conversazioni telefoniche, ma qui non c’era il suo gestionale delle spedizioni ad aiutarlo, né tantomeno si trattava di una questione lavorativa. Distorse la bocca, cercando di trovare le parole giuste per cominciare una conversazione di quel tipo con uno sconosciuto…

 

*****

 

Il telefono di Martin si mise a squillare. Era poggiato sulla mensola del retrobottega del bar dove lavorava.

- Martin! Telefono! – disse un ragazzo che stava preparando dei panini.

- Arrivo! – rispose Martin, afferrando il telefono con la mano destra mentre con la sinistra posava un vassoio pieno di bicchieri vuoti.

- Pronto. – disse, con un sorriso, anche non conoscendo il numero che l’aveva chiamato.

- Ciao – disse una voce fievole – Sono… Marco. –

Un po’ incredulo, Martin spalancò gli occhi e si passò una mano fra i capelli. – Marco? Chi, scusa…? –

Dall’altra parte ci fu un sospiro, come di tristezza. Poi quella voce fievole disse qualcosa che somigliava ad uno “Scusa se ti ho disturbato” e la comunicazione s’interruppe.

- No, aspetta…! – disse Martin, ma non fu abbastanza in tempo.

 

*****

 

Sospirando, Marco mise giù il telefonino, posandolo sulla scrivania. Ma come ti è venuto in mente che potesse ricordarsi di te… Figuriamoci. Pensò, quindi si sdraiò su un fianco e chiuse gli occhi. Non ebbe nemmeno il tempo di rilassarsi, che il suo telefono iniziò a squillare.

Velocemente lo prese in mano e vide il numero che aveva composto prima.

- Pronto. – disse, con quella voce un po’ impastata di poco fa.

Dopo un secondo di silenzio, la voce di Martin lo salutò allegramente – Ciao zuccherino. Parli sempre così o solo quando rispondi ad un amico che ancora non hai incontrato? –

Marco sgranò gli occhi. Non ci poteva credere. L’aveva richiamato.

- I… io.. – balbettò Marco

- Dai, non te la prendere che scherzavo. A proposito, credo che non ci siamo presentati. Io sono Martin, e tu sei Marco, giusto? –

- S… sì. Marco, già. – disse Marco, annuendo e mettendosi a gambe incrociate sul letto.

- Sai Marco… - incominciò Martin – …ti ho dato il mio numero perché avevo voglia di conoscerti. Purtroppo a causa dell’incidente che hai avuto non c’è stato tempo, quindi ho pensato che avremmo potuto conoscerci in un secondo momento. –

- B… beh, è stata una… una buona idea. – Ancora la balbuzie. Quando era emozionato (e in quel momento lo era parecchio), Marco aveva la tendenza a balbettare come un disco rotto. Ridacchiò per stemperare l’emozione, ma si diede del cretino per essere così poco capace di controllare le emozioni.

- Che ne diresti se un giorno di questi ci vedessimo e ti offrissi un aperitivo? – propose Martin. Marco stette zitto per un momento.

- Ehi, sei ancora lì, dolcezza? –

- Eh? S… sì sì sì sì. Sono ancora qui! – si affrettò a dire Marco – Certo, per me va bene! A che ora, e dove? – Si diede ancora del cretino, e si domandò se Martin non stesse facendo lo stesso.

- Così mi piaci, dolcezza. Allora... facciamo al Bar della Ferrovia, quello vicino alla stazione, domani alle sette, ok? –

- O… ok! Ci sarò. –

- Grazie bello… e … mi raccomando, non mancare. – disse Martin, e Marco immaginò che gli avesse fatto l’occhiolino.

- N… non mancherò, stanne certo! C… ciao…! – concluse Marco, e Martin chiuse la chiamata ridacchiando.

Una volta chiusa la comunicazione, Marco si sentì al settimo cielo. Quel bel ragazzo l’aveva invitato a prendere un aperitivo, non era un sogno! E la sua voce, il suo sguardo, il suo carisma… lo prendevano troppo. Talmente tanto al punto che chiuse gli occhi e s’immaginò vestito di bianco, insieme a lui che lo portava via con un cavallo bianco… con Manuel che annuiva soddisfatto e tutti che lo salutavano. Si beò nell’immaginare quella scena più e più volte, sognando Martin e pensando a come vestirsi per l’incontro. Finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva un po’ meglio.

Ma sarebbe stato veramente bene come immaginava, con Martin?

  

   
 
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