“Cogli l’attimo fuggente”, recitava l’idea
principale del film omonimo del 1990. Cogli l’attimo fuggente, l’occasione che
ti farà cambiare la vita, il momento chiave, ciò che nella vita capita poche
volte, o addirittura una volta sola. Difficile riconoscere quando
effettivamente un momento è chiave, ma non altrettanto difficile è saperlo
cogliere. A Marco sarebbe bastato vedere la palla almeno dieci secondi prima
che gli atterrasse sul viso facendogli perdere i sensi, mentre a Martin sarebbe
bastato andare in infermeria e baciare Marco mentre era privo di sensi. Sicuramente
Marco in quelle condizioni aveva avuto ben poche possibilità di cogliere
qualunque attimo, però sentiva che voleva conoscere quel bel ragazzo, che
appena si era risvegliato era andato via (deludendolo ampiamente, perché
pensava sarebbe rimasto), lasciando solo Marco a bere il suo caffè d’orzo. L’avrebbe
mai rivisto? Continuava a chiederselo, ma le probabilità erano molto scarse…
figurarsi poi se un bel ragazzo come quello si sarebbe sprecato accanto ad un
ragazzotto come Marco. Amore, se non la
smetti di dire che sei brutto, ti tiro un pugno che ti faccio diventare brutto
veramente! Era la scherzosa minaccia che solitamente gli faceva Rocco, il
suo ex ragazzo, per dirgli di non fissarsi di essere brutto, perché non lo era.
A chi l’avesse visto da lontano, Marco appariva basso e dallo sguardo perso nel
vuoto, con quegli occhioni grandi e marroni spalancati su tutta la fantasia del
mondo, e quei capelli dello stesso colore degli occhi, così arruffati e pieni
di vita, ispiravano a toccarli per la loro morbidezza. D’accordo, l’altezza era
molto inferiore a quella media di un ragazzo della sua età, però c’era da dire
che la sua statura lo faceva sembrare più giovane dei suoi ventisei anni, tanto
che per sembrare un po’ più maschile, aveva iniziato a farsi crescere barba e
pizzetto.
- Uff… questa barba mi prude proprio –
borbottò Marco, mentre, seduto sul tram, si grattava la guancia destra. Il
ritorno dal lavoro era sempre una gioia anche se pure quel giorno i capi gli
avevano rotto le scatole a puntino, e si era stressato a tenere buoni dei
clienti che avevano perso le loro spedizioni, mentre nella sua testa si faceva
sempre più strada la convinzione di dover mollare tutto e cercare un altro
lavoro. O darsi all’ozio in casa sua. Unico pensiero fisso in tutto quel mare
di stress, restava solo il bel ragazzo, di cui aveva appreso il nome da Manuel:
Martin.
Ormai erano passati alcuni giorni da
quando era successo il fattaccio. L’unico ricordo che restava di quel giorno
era un grosso cerotto sul naso di Marco ed un paio di vecchi occhiali da vista
rotondi con la solita montatura di tartaruga, visto che gli altri avevano visto
la fine sotto il colpo mortale del pallone da volley. Dopo tutti quei giorni, e
dopo che il ragazzo non s’era visto nella compagnia che adesso frequentava
insieme a Manuel, Marco cominciava a pensare che non l’avrebbe più rivisto.
Finché…
Lo zainetto della palestra. Era lì,
appoggiato alla porta della sua stanza da letto, da quel giorno. Vedendolo
tornare dall’allenamento con il naso incerottato e la testa fasciata, la madre
di Marco l’aveva riempito di domande ed espressioni preoccupate, a cui Marco
aveva risposto coerentemente, seppur con una velata seccatura. Così, lo
zainetto era rimasto lì con la tenuta arbitrale sudata. Forse è ora di dar loro una lavata, pensò Marco, mentre prendeva in
mano lo zaino.
Velocemente, tirò fuori tutte le cose.
Maglietta, scarpe, pantaloncini, asciugamano. Non c’era rimasto più niente,
quindi lo capovolse per togliere i residui di polvere, che caddero sul
pavimento formando una piccola nube grigiastra.
Insieme a quelli spuntò fuori anche un
foglietto.
Marco sgranò gli occhi. Era un
foglietto bucherellato, proveniente di sicuro da un taccuino a spirale. Piegato
in quattro, sembrava una specie di messaggio di quelli che si usano nelle caccie
al tesoro. Lo prese in mano e lo aprì. Sopra di esso, un numero ed un nome.
Martin
– 348 – 12 88 934.
Nel leggere quei caratteri, il suo
cuore perse un battito. Cioè, quel foglietto era sempre stato là, e lui non se
n’era mai accorto. Oh porca put…. Pensò Marco, cercando di ricordare dove
avesse messo il telefono cellulare.
Lo trovò nella sua borsa del lavoro. La
vita di un operatore call center è mezza spesa al telefono, quindi è facilmente
intuibile il motivo per cui Marco dimenticasse sempre dov’era il suo cellulare…
Questa volta però era di vitale importanza prenderlo e fare il numero. Così lo
afferrò e compose le prime cifre.
Una volta completo il numero sul display,
Marco ebbe un’esitazione.
Ma…
ma… e se avesse sbagliato zaino? Forse non voleva darlo a me, questo numero..
Il pensiero lo fece esitare. Tuttavia,
non avrebbe potuto saperlo se non contattando il bel Martin. Si morse un
labbro. Era vero che ormai aveva preso dimestichezza con le conversazioni
telefoniche, ma qui non c’era il suo gestionale delle spedizioni ad aiutarlo,
né tantomeno si trattava di una questione lavorativa. Distorse la bocca,
cercando di trovare le parole giuste per cominciare una conversazione di quel
tipo con uno sconosciuto…
*****
Il telefono di Martin si mise a
squillare. Era poggiato sulla mensola del retrobottega del bar dove lavorava.
- Martin! Telefono! – disse un ragazzo
che stava preparando dei panini.
- Arrivo! – rispose Martin, afferrando
il telefono con la mano destra mentre con la sinistra posava un vassoio pieno
di bicchieri vuoti.
- Pronto. – disse, con un sorriso,
anche non conoscendo il numero che l’aveva chiamato.
- Ciao – disse una voce fievole – Sono…
Marco. –
Un po’ incredulo, Martin spalancò gli
occhi e si passò una mano fra i capelli. – Marco? Chi, scusa…? –
Dall’altra parte ci fu un sospiro, come
di tristezza. Poi quella voce fievole disse qualcosa che somigliava ad uno “Scusa
se ti ho disturbato” e la comunicazione s’interruppe.
- No, aspetta…! – disse Martin, ma non
fu abbastanza in tempo.
*****
Sospirando, Marco mise giù il
telefonino, posandolo sulla scrivania. Ma
come ti è venuto in mente che potesse ricordarsi di te… Figuriamoci. Pensò,
quindi si sdraiò su un fianco e chiuse gli occhi. Non ebbe nemmeno il tempo di
rilassarsi, che il suo telefono iniziò a squillare.
Velocemente lo prese in mano e vide il
numero che aveva composto prima.
- Pronto. – disse, con quella voce un po’
impastata di poco fa.
Dopo un secondo di silenzio, la voce di
Martin lo salutò allegramente – Ciao zuccherino. Parli sempre così o solo
quando rispondi ad un amico che ancora non hai incontrato? –
Marco sgranò gli occhi. Non ci poteva
credere. L’aveva richiamato.
- I… io.. – balbettò Marco
- Dai, non te la prendere che
scherzavo. A proposito, credo che non ci siamo presentati. Io sono Martin, e tu
sei Marco, giusto? –
- S… sì. Marco, già. – disse Marco,
annuendo e mettendosi a gambe incrociate sul letto.
- Sai Marco… - incominciò Martin – …ti
ho dato il mio numero perché avevo voglia di conoscerti. Purtroppo a causa dell’incidente
che hai avuto non c’è stato tempo, quindi ho pensato che avremmo potuto
conoscerci in un secondo momento. –
- B… beh, è stata una… una buona idea. –
Ancora la balbuzie. Quando era emozionato (e in quel momento lo era parecchio),
Marco aveva la tendenza a balbettare come un disco rotto. Ridacchiò per
stemperare l’emozione, ma si diede del cretino per essere così poco capace di
controllare le emozioni.
- Che ne diresti se un giorno di questi
ci vedessimo e ti offrissi un aperitivo? – propose Martin. Marco stette zitto
per un momento.
- Ehi, sei ancora lì, dolcezza? –
- Eh? S… sì sì sì sì. Sono ancora qui! –
si affrettò a dire Marco – Certo, per me va bene! A che ora, e dove? – Si diede
ancora del cretino, e si domandò se Martin non stesse facendo lo stesso.
- Così mi piaci, dolcezza. Allora... facciamo
al Bar della Ferrovia, quello vicino alla stazione, domani alle sette, ok? –
- O… ok! Ci sarò. –
- Grazie bello… e … mi raccomando, non
mancare. – disse Martin, e Marco immaginò che gli avesse fatto l’occhiolino.
- N… non mancherò, stanne certo! C…
ciao…! – concluse Marco, e Martin chiuse la chiamata ridacchiando.
Una volta chiusa la comunicazione,
Marco si sentì al settimo cielo. Quel bel ragazzo l’aveva invitato a prendere
un aperitivo, non era un sogno! E la sua voce, il suo sguardo, il suo carisma…
lo prendevano troppo. Talmente tanto al punto che chiuse gli occhi e s’immaginò
vestito di bianco, insieme a lui che lo portava via con un cavallo bianco… con
Manuel che annuiva soddisfatto e tutti che lo salutavano. Si beò nell’immaginare
quella scena più e più volte, sognando Martin e pensando a come vestirsi per l’incontro.
Finalmente, dopo tanto tempo, si sentiva un po’ meglio.
Ma sarebbe stato veramente bene come
immaginava, con Martin?